leggi un assaggio - Ad est dell`equatore

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leggi un assaggio - Ad est dell`equatore
ad est dell’equatore
B.live
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e poi cominciatti
a fa' l'attore
ezio cardarelli
prefazione di marco giusti
ad est dell’equatore
©
2014 ad est dell’equatore
vico orto, 2
80040 pollena trocchia (na)
www.adestdellequatore.com
[email protected]
editing, appendice e note: Carlo Ziviello
impaginazione: Loredana Giudice
A Franco Lechner
tzé, tzé
di marco giusti
Tzé, tzé.
Un libro sulla vita e le opere di Bombolo? Certo che ne abbiamo bisogno. Perché non ci sarà mai più un altro Bombolo
nel cinema italiano.
E ci mancano le sue battute al punto che già a leggerne di
nuove in questo libro ci esaltiamo. Come se non ne conoscessimo già abbastanza. Il fatto è che Bombolo non era esattamente un attore, era qualcosa di reale, di pesantemente vitale e
scatenato, precipitato nel pieno del teatro e del cinema comico
italiano degli anni ’70 e primi ’80. Come un meteorite.
E infatti ci colpì immediatamente con una forza inaspettata.
Come se ci fosse sempre stato. Senza bisogno di un Fellini che
lo scoprisse.
Quando arrivò sui nostri schermi, fra tv e cinema, lo riconoscemmo subito. Esattamente come lo riconobbero Eli Roth
e Quentin Tarantino in W la foca. Al punto che in Inglorious
Bastards, quando i bastardi si travestono da italiani e devono
esprimersi nella nostra lingua di fronte a Christoph Waltz, si
sforzano di imitare gli tzé tzé di Bombolo. Me lo ha confermato Eli Roth. Avevano imparato un po’ di italiano imitando
il dottor Patacchiola in W la foca. Non solo. Quando vennero
a presentare il film in Italia, Eli Roth, di fronte al pubblico dei
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critici italiani stupiti li salutò al grido di Viva Bombolo! Senza
sapere quanto poco i critici italiani avessero apprezzato quel
film e Bombolo. Il pubblico no. Lo ha sempre amato. E io pure.
Mi ricordo che lo incontrai un secolo fa durante la registrazione di un programma sul cinema ideato e condotto da Vittorio Gassman, Cinecittà Cinecittà. C’erano Alvaro Vitali, Marino
Girolami, Michela Miti, Renato Nicolini, Mario Merola e c’era
Bombolo.
“Tu, Bombolo, hai inventato le scorregge al cinema!”, gli
dissi prima delle riprese ricordandogli di Venticello nei film di
Tomas Milian. “Quando mai!? Tzé tzé. E chi te l’ha detto? E
che fai il critico della merda...”. Ci rimasi male. Poi, neanche un
quarto d’oro dopo, incominciò a vantarsi della cosa. “Ebbene
sì, tzé tzé, so’ stato io a portare le scorregge al cinema, è vero”.
Aveva negato per paura che a causa di questa assurda paternità i produttori non lo facessero più lavorare al cinema. Sbagliava. Bombolo poteva fare qualsiasi cosa. In quel tipo di cinema, si muoveva meglio di tutti. “Tra gli ultimi caratteristi italiani
è un gigante”, scrivevo già allora, nel 1982. “Ha un fisico e una
voce impensabili per qualsiasi altro cinema che non sia quello
italiano più sporco e sudato.
Ex piattaro della zone di Vicolo delle Palle a Roma, Bombolo
è in pieno il comico preso dal vicolo e portato sullo schermo.
Con una voce inconfondibile e facilmente imitabile dai ragazzini
è il caratterista più amato dal pubblico romano. Sempre sudato,
coi capelli alla bebè come Oliver Hardy, una sola espressione in
viso, pronto al pianto isterico e alla battuta pesantissima, più che
una spalla per Tomas Milian-Monnezza, Pippo Franco e Cannavale, Bombolo è la presenza più sincera della romanità nel nostro
cinema e la verifica che questo cinema è fatto di volti e di voci.
Senza Bombolo, Pippo Franco non è più lo stesso, e nemmeno
Milian-Monnezza. Ricordo che un giorno a Venezia, durante la
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proiezione del film di Cesare Zavattini La veritàààà alla Mostra
del Cinema del 1982, mi sembrò di riconoscere Bombolo tra
gli attori e, in mezzo a un pubblico compitissimo di cinefili,
urlai: “Ma quello è Bombolo!!!”, lasciando più generazioni di
giornalisti di stucco. E, magari, sbagliavo pure. Ma tale era
la foga di riconoscerlo in un film assolutamente fuori linea e
strampalato che mi ero lanciato nel grido.
Del resto era stato, credo, il primo critico a parlarne su giornali
e riviste. Lo aveva scoperto, mi sembra, in un piccolo ruolo ne
Il marito in collegio con Enrico Montesano, e lo avevo adorato
sia come Venticello nei polizieschi con Tomas Milian diretti da
Bruno Corbucci sia nei grandi film di Pippo Franco diretti da
Pier Francesco Pingitore, come Il casinista e L’imbranato, autentici
capolavori del genere, dove fa il cognato di Pippo, cattivo come
pochi col protagonista.
Eccolo ai bagni Cicerchia di Ostia come bagnino che molla
due pessimi posti, a lui e alla signora, cioè Luciana Turina. Poi
cucina le cozze e manderà tutti in bagno. E il povero Pippo, che
ha il letto vicino al cesso, perché “tzé, tzé, tutti i lussi hai, pure
la camera con bagno!”, dovrà far passare tutti quella notte, visto
che ci sarà un via vai di scariche fetenti. Se nei film di Pingitore
vessa continuamente il povero Pippo Franco, con Tomas Milian
è vigliacco, infido, frignone, totalmente inaffidabile. “Tzé tzé...
io nun ho fatto gnente... mi madre è vedova e mi padre pure...”.
In Delitto a Porta Romana, ingiustamente accusato di omicidio,
finisce per adattarsi bene alla vita di prigione tanto che si fidanza
e sogna matrimonio e vita di coppia con Bartolo il Monzese,
tremendo bandito gay interpretato da Elio Crovetto.
Cercai di intervistarlo, Crovetto, a riguardo, ma stava già
molto male. In Delitto sull’autostrada si fidanza anche con la
giustamente celebre Bocconotti Cinzia di Gabriella Giorgelli,
“tanto una brava ragazza, tzé tzé”. E come pronunciava lui
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Bocconotti Cinzia non lo pronunciava nessuno. Ma stava
bene anche con la mamma. Ricordate i dialoghi tra Bombolo
e la madre in Squadra antitruffa: “Stasera famo gli spaghetti alla
scorreggiona”, “Perché viene anche zi’ Fernanda? mannaggia
’a mignotta”, “Che m’hai chiamato?”, “Ma che chiamato, m’è
caduta la schedina dentro il caffellatte!”.
Ah, Bombolo! Non c’è un attore che non lo ricordasse con
affetto e amicizia. Anche perché sembrava che non ci fosse
grande differenza tra il Bombolo della vita e quello dello
schermo. Solo Tomas Milian ricordava che Bombolo a casa sua
era un padre, un marito, assolutamente serio e autorevole. Ma
nello speciale sulla sua vita diretto per la Rai da Pier Francesco
Pingitore, Bombolo è sempre e solo Bombolo. Al punto che non
è facile costruirgli un personaggio diverso. Sì, si può chiamare
Venticello, Er Trippa, Patacchiola, ma sempre Bombolo
rimane. E la morte di Bombolo fu improvvisa come la sua
apparizione nel cinema. Era incredibile pensare a quel cinema
senza di lui. E pensare a lui in un modo che non fosse comico.
Anche se, quando se ne andò Bombolo proprio quel cinema
stava scomparendo. Forse era già praticamente scomparso. Ma
le continue riproposte dei suoi film in tv, il successo incredibile
degli stessi film in VHS e poi in DVD ne hanno fatto, in questi
ultimi trent’anni, una specie di monumento comico romano. E
i bambini e i ragazzi hanno continuato a imitarlo, a imparare a
mente le sue battute. Meglio di una statua al Pincio.
Tzé tzé.
prologo
Da stracciarolo gli è stata data la possibilità di dimostrare le sue
capacità, ma poi, quando stava per affermarsi definitivamente, è come se
Dio gli avesse detto: “Adesso basta, tu sei l’attore dell’osteria...”.
Alessandro Lechner
Questo libro è nato dalla necessità di riannodare i fili tra il
passato e un personaggio del cinema italiano di cui oggi si sente
grande mancanza; attore molto amato all’epoca e oggi pienamente rivalutato.
A dire la verità, queste pagine non ci sarebbero mai state se
non fosse accaduto un fatto che per me ha quasi del miracoloso.
Una cosa successa a settembre del 2008, negli Stati Uniti e per
l’esattezza in Florida: a Miami Beach a pochi metri dalle tanto
rinomate spiagge e da Ocean Drive, la strada della movida per
tanti personaggi famosi. Avevo deciso di recarmi a Miami per il
viaggio di nozze; New York sarebbe stata la prima meta e, dopo
un veloce passaggio a Washington, sarei arrivato in quel lembo
di terra a due passi dall’isola di Cuba. Quest’ultima meta fu scelta
non perché io ami esageratamente il mare, bensì perché avevo
saputo che a Miami Beach viveva Tomas Milian, una persona che
a Roma non abbiamo mai smesso di amare. Mi sarebbe piaciuto
conoscerlo, perciò andai proprio lì dove viveva.
A parte le battute nei film che mi hanno sempre divertito
molto, la cosa di quell’attore che più mi aveva colpito era la sua
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bravura nell’aver creato un personaggio che è rimasto un’icona
della romanità. Lui, cubano, aveva saputo dar vita a una figura
diventata una vera e propria maschera della città di Roma.
Il Monnezza come Rugantino.
Avevo deciso di andarlo a cercare e, sebbene pensassi ad
un’impresa difficoltosa, fu tutto molto più semplice del previsto. Trovato il suo indirizzo grazie ad un sito internet e ad
una carta prepagata eccomi piombare davanti alla sua casa, alla
maniera del peggior venditore porta-a-porta. Mi rispose la moglie, che gentilmente mi aprì subito. Ero già pronto a sfoggiare
il mio bell’inglese, quando venni accolto da una donna bionda
che parlava benissimo l’italiano.
“Mi dispiace, ma mio marito non c’è, è a New York per
lavoro...”.
Era la signora Rita, moglie amatissima da Tomas e sua colonna per tutta la vita.
Dopo quella frase, che non aveva lasciato in me alcuna speranza, me ne tornai in albergo. Un paio di giorni dopo avrei
fatto le valigie per tornare a casa.
Ci rimasi male: Miami non è per nulla vicina e quindi la mia
unica possibilità di conoscere Tomas Milian era sfumata per
sempre.
Una volta in Italia gli scrissi una lettera e poi più nulla.
Passarono alcuni mesi fino a Capodanno del 2009; mentre
festeggiavo insieme a mia moglie e a tanti amici, ricevetti una
telefonata talmente inaspettata che mi fece pensare subito a
uno scherzo:
«Pronto, chi è ?».
«Ciao Ezio, sono Tomas, buon anno!».
«Tomas chi?».
«Tomas, er Monnezza...».
Provai una sensazione straordinaria: Tomas Milian stava
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al telefono con me con un tono e un linguaggio da amico di
vecchia data.
A volte la vita fa accadere strane cose!
Da quella sera non ho più smesso di sentire Tomas al telefono.
Almeno tre volte al mese: la sera, mentre stavo in casa a fare
le solite cose di routine ecco squillare il telefono e la voce di
Tomas entrare in casa mia da migliaia di chilometri di distanza.
Mi sentivo e mi sento davvero una persona fortunata; fu proprio in una di quelle telefonate che Tomas mi raccontò del giorno in cui aveva conosciuto Bomboloi.
Accadde durante una pausa mentre erano al lavoro sul set di
Squadra Antifurto, in un ristorante che oggi non esiste più, nei
pressi della diga sul Tevere all’altezza della via Flaminia.
Bombolo era seduto al tavolo e stava ordinando un piatto
di spaghetti dicendo più o meno così: “Ah camerie’ che ce
porti...”.
Tomas guardò Bruno Corbucci, gli disse qualche parola ed
ecco che nel film nacque la scena “Ah camerie’ ariva ‘sta pizza...”, accompagnata da quello schiaffo che Bombolo prese in
pieno. Il primo di una lunga e amatissima serie.
Passo tante volte per quella zona e tutte le volte mi viene da
pensare a loro due quel giorno e al fatto che nessuno immaginasse quanto quell’idea si sarebbe rivelata geniale. Ma d’altronde Tomas Milian di colpi di genio ne ha avuti tanti.
In seguito Tomas pensò che gli schiaffi avrebbero potuto
annoiare e renderlo antipatico al pubblico – un poliziotto che
abusava del suo potere – allora propose al povero Bombolo
una “moratoria” sugli schiaffi, che però egli non accettò: “Ah
i Bombolo, come ha rivelato lo stesso Franco Lechner, è sempre stato il
suo soprannome; nasce dalla canzone omonima scritta e musicata da Mario
Bonavita (Marf) e Vittorio Mascheroni nel 1932 e resa popolare dal Trio
Lescano.
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To’, ma quanno ricominci a menamme? Ma che no’ lo sai che a
la gente je piace...?”.
E allora giù altri schiaffi.
Tomas mi ha parlato anche di una delle scene più esilaranti:
quella dell’aeroporto e dell’indimenticabile “Arriva un
jumbo da Colleferro...”. Una battuta così assurda da entrare
nell’immaginario e nel linguaggio di molti: basti pensare
che un giorno ho incontrato un tizio che mi disse di vivere
vicino Roma, a Colleferro, aggiungendo “Colleferro, il paese
dell’aeroporto di Bombolo...”.
Una scena che già di per sé sarebbe stata comica ma quel “allacciate le cinture ché è cascato l’aroplano...” fu inaspettato per
tutti, specie per chi aveva scritto il copione e quel finale non lo
aveva mai scritto né tantomeno previsto.
“Fu una sorpresa e quella battuta fece scoppiare tutti a ridere.
Io stesso iniziai a ridere come un pazzo, a tal punto che da quel
momento non riuscimmo più a rimanere seri per poter girare
altre scene. Se si guarda bene la sequenza, si capisce che io stavo
ridendo veramente di cuore”.
Tanti ricordi affettuosi fino a quando fu lui stesso a rievocare
il funerale dell’amico così amato.
“Quel giorno mi ero messo in fondo alla chiesa, sono rimasto nascosto e lontano da tutti... Quello doveva essere il giorno
di Bombolo, il suo ultimo giorno sulla Terra e volevo che la
scena fosse tutta per lui... Quanto mi manca!”.
Uno dei momenti che mi ha dato più gioia è stato quando
ho passato il mio cellulare a Regina, la moglie di Bombolo, dicendole che Tomas voleva salutarla. Erano trent’anni che non
si sentivano.
Quegli occhi felici, il tono della voce, le cose che si sono