Lo sbirro di Stanislavskij

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Lo sbirro di Stanislavskij
Lo sbirro di Stanislavskij
Scritto da Samuele Zara
Giusto ieri, navigando nei mari della rete alla ricerca di nuove scintille per alimentare le sacre
fiamme della recitazione, ho deciso di
approfondire la storia di un attore spinto dalla
curiosità di aver ascoltato per caso uno speciale sulla sua vita e sull’uscita di una sua
autobiografia. Un attore che reputavo interessante, ma che nella mia ignoranza non mi
aspettavo quanto dotato e talentuoso fosse, finché non mi sono imbattuto nella storia della sua
vita, letto riguardo i suoi film, ed aver visto una lunga intervista trasmessa alla Rai nel 2009 in
cui si ripercorrevano le tappe più importanti di questo uomo conosciuto dai più come un trucido
poliziotto romano, senza sapere nient’altro del suo grande lavoro di attore e del suo
approcciarsi alla recitazione, segno questo di quanto certi film e certe scelte lavorative possano
influire sull’immagine di un attore e dell’uomo dietro l’attore.
Sto parlando nient’altro che del famoso Tomas Milian, conosciuto maggiormente per il suo
personaggio Er Monnezza, ma di cui ben poco oltre questo si conosce o si immagina.
Nato all’Avana il 3 Marzo 1937, Tomas Milian è lo pseudonimo di Tomas Quintin Rodriguez,
nato cubano da un generale del regime di Gerardo Machado arrestato in seguito dopo il colpo
di Stato di Fulgencio Batistas. Tomas fuggi a vent’anni negli Stati Uniti dove divenne
cittadino. Iscrittosi dapprima all’Università dell’Accademia Teatrale di Miami, un anno dopo si
trasferì a New York e venne subito notato da una responsabile di una piccola scuola di
recitazione da lui frequentata che lo spinse ad iscriversi al prestigioso Actor’s Studio. Da qui i
primi lavori teatrali a Broadway e nel 1957 la sua partecipazione a una serie TV statunitense:
Decoy. Trasferitosi in Italia alla fine degli anni Cinquanta ebbe inizio la sua fortunata carriera
italiana, lavorando con registi del calibro di Bertolucci, Antonioni, Bolognini, Visconti, Pasolini.
Finché non finì sotto contratto del produttore Franco Cristaldi che per cinque anni morse il suo
collo stringendolo come un cappio vorace ed esigente. I compensi non furono esorbitanti, non
certo quanto potevano essere quelli della Twenty Century Fox e così Milian si coprì di debiti
facendo regali ad amici e conoscenti. Per uscire da questa situazione Cristaldi lo costrinse
dinnanzi ad un compromesso, o avrebbe rinnovato il contratto per altri cinque anni, oppure se
ne sarebbe potuto andare interpretando Raffaello Sanzio nel famoso film di Carol Reed “Il
tormento e l’estasi” (1965), nelle quali Charlton Heston vestiva i panni di Michelangelo
Buonarotti.
Uscito da questa tormentata vicenda ed avendo bisogno di denaro, non gli rimase altro da fare
che rapinare le banche. Fece far girare dal suo agente la voce che avrebbe potuto interpretare
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qualsiasi ruolo di bandito e fuorilegge nell’allora crescente genere degli spaghetti-western. Ma i
produttori non vedevano di buon occhio il buon Tomas, portati a considerarlo adatto solamente
a ruoli di cinema colto ed intellettuale.
L’occasione giunse nel 1966 con una proposta dalla spagna. Regia di Eugenio Martin, il film
chiamato “El Precio de un hombre”, conosciuto maggiormente con il nome di “The Bounty
Killer”, narra la storia di un efferato criminale chiamato Josè Gomez. Tomas Milian accettò
solamente con la concessione di dare un contributo personale alla realizzazione del
personaggio. La produzione e gli sceneggiatori pensarono semplicemente ad un “cattivo” senza
pietà, ma Tomas volle trovare dei motivi alla cattiveria di quest’uomo, spinto da una società che
lo aveva ridotto alla fame, da un’infanzia crudele e da un passato oscuro alle spalle che lo
portava a vendicarsi nei confronti di tutta gli uomini. Il film fu un successo, il primo di tanti del
genere.
In un altro film, “La resa dei conti” di Sergio Sollima per esigenze di copione doveva addirittura
essere legato ad un mulino ed essere torturato. Milian soffrendo di vertigini rifiutò
categoricamente ed allora per giorni fu implorato dalla troupe, dalla moglie che lo andò a
trovare in albergo ed alla fine fu costretto a cedere. Nell’intervista fa menzione a Stanislavskij , il
quale affermava che durante il lavoro, quando stai recitando o quando ti accingi ad interpretare,
qualunque cosa ti succeda, non devi combattere le tue sensazioni: USE IT!, adoperale, perché
se proverai a nasconderle queste ti bloccheranno e la gente se ne renderà conto.
E fu quel che fece Milian. Salì su quel mulino ed usò la sua paura legato come un salame,
realizzando una scena dal forte impatto emotivo. É di quel periodo il lungo sodalizio con il
regista che lo volle protagonista, diventandone poi un simbolo, nei film quali “La resa dei conti”
(1966), “Faccia a faccia” (1967) e “Corri uomo corri” (1968), o nello spaghetti-western
iper-violento “I quattro dell’apocalisse” diretto da Lucio Fulci (1975).
In particolare nel film “Faccia a faccia”, in cui recita fianco a fianco con Gian Maria Volontè,
risulta interessante notare il graduale cambiamento della psicologia dei personaggi, dove si
evidenzia il passaggio di chi prima era buono e poi diventa cattivo e viceversa, in uno spessore
narrativo raramente riscontrato nel genere.
Di Gian Maria Volontè, Tomas Milian parla con ammirazione e rispetto. Avevano litigato
pesantemente su quel set, arrivando persino alle mani, ma niente di ciò che accadde gli ha
impedito di portare un grande affetto per quello straordinario uomo ed attore ed è con occhi
velati di lacrime che ricorda quei momenti, vitali e sinceri anche nelle incomprensioni e negli
scontri.
Tomas nell’intervista racconta inoltre di certi registi quali Mario Lanfranchi e di come arrivassero
sul set con la puzza sotto il naso per quel genere di pellicole, come se camminassero sulla
m***a e facendo sentire delle m***e tutti quanti loro che con quei film ci campavano e nei quali
mettevano tutta l’anima, l’impegno e la professionalità. Questo a riprova del fatto che spesso le
grandi prove, regie e le grandi interpretazioni non sono nelle grandiose produzioni, ma che in
ogni lavoro, in ogni pellicola o rappresentazione teatrale si debba mettere lo stesso impegno, la
stessa passione ed attenzione di quanto si debba mettere in altre produzioni. Crederci sempre.
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Se l’attore deve fare la cacca, quella cacca deve essere la più bella del mondo, ed è qui che i
grandi attori si riconosco.
Nel “Tepepa” (1968), per la regia di Giulio Petroni gli fu proposto di scegliere personalmente,
come suo antagonista nel film, un attore tra una vasta schiera di attori famosi con cui recitare.
La scelta cadde su Orson Wells che rivestì i panni del perfido colonnello Cascorro e che
modificò contro i pareri di regista, attori e sceneggiatore diverse scene, facendole risultare
migliori e più fluide, ma nelle quali Tomas si vide privato di diverse battute!
Quando l’epoca degli spaghetti-western ebbe termine, venne quella dei film polizieschi e lui non
fece altro che far girare la voce al suo caro agente che lui era uno straordinario interprete di
sbirri e delinquenti. Si trattava soltanto di cambiare il cavallo e di passare alla motocicletta.
Avere la capacità di spaziare, di mettersi in gioco, di cambiare genere e ruoli, andando contro le
aspettative di registi e produttori e dimostrando il proprio talento e la propria voglia di creare, è
questo che fece Tomas Milian in quegli anni, dando prova di grande valore artistico.
Sono di quegli anni i film come “Squadra volante” (1974) , “Milano odia: la polizia non può
sparare” di Umbero Lenzi (1974), “Roma a mano armata” (1976) sempre di Lenzi.
Del film “Milano odia”, Tomas racconta come per impersonare il ruolo del protagonista, un
delinquente sadico e violento, dovesse scavare in profondità i sentimenti più scuri e negativi e
di come più lui fosse immedesimato nella parte più Lenzi ne gioiva e più il regista ne gioisse più
lui fosse portato a dare di più.
Sono di quegli anni i film sotto la regia di Bruno Corbucci dove compare per la prima volta il
personaggio di “Er Monnezza”. Tra quei famosi film ricordiamo: “Squadra antimafia” (1978),
“Assassinio sul tevere” (1979), “Delitto al ristorante cinese” (1981), “Delitto al Blue Gay” (1984).
In quegli anni ebbe modo anche di interpretare altri ruoli che si discostavano totalmente dal suo
“sbirro romano” e nei quali spicca il suo straordinario talento e versatilità. È doveroso ricordare
di quegli anni: “Identificazione di una donna” (1982) di Michelangelo Antonioni ed il film “La
Luna” (1979) di Bernardo Bertolucci che gli valse Il Nastro D’Argento nel 1980.
Tomas Milian di quegli anni parla con rimpianto, definendoli gli anni più belli della sua vita. Del
personaggio “Er Monnezza” lui amava tutto, avrebbe voluto esserlo totalmente. Romano,
estroverso, sincero, paraculo, buono, donnaiolo, buon padre, buon marito, buon amico. L’ha
fatto perché è ciò che avrebbe sempre voluto essere e perché era totalmente il suo opposto. L’amava talmente tanto che non volle neanche riddoppiarsi ma lasciare che un vero romano, il
grande Ferruccio Amendola, ne desse la voce. E lo amava talmente tanto che volle andarsene
dall’Italia nel 1984 con l’ultimo film “Delitto al Blue Gay”, decidendo di lasciare ai posteri
quell’immagine perché stava invecchiando e voleva che il suo personaggio fosse ricordato per
sempre giovane e vitale, come un Dorian Gray dei nostri tempi.
Tomas Milian così ritornò negli States e numerose divennero le sue collaborazioni con
acclamati registi e produttori. Tra i più importanti lavori ricordiamo: “JFK- Un caso ancora
aperto” (1991) di Oliver Stone, “Amistad” (1997) di Steven Spielberg, “Traffic” (2000) di Steven
Sodenbergh.
Di se stesso Tomas Milian ha detto: “Io sono Romano. Sono nato a Cuba per sbaglio. Roma è
mia madre, a Roma sono diventato uomo, ho appreso una filosofia di vita che mi ha aiutato a
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campare.
”
Insomma, un uomo ed un artista dalla rara profondità e sensibilità da riscoprire e rivalutare. Un
attore che ha saputo vivere gli anni che gli si sono presentati con saggezza e grande autoironia,
con l’intelligenza ed il coraggio di sapersi mettere in gioco sempre, sapendo dimostrare fin dove
il talento interpretativo e l’ecletticità del lavoro dell’attore possano giungere, con grande
impegno e responsabilità, regalandoci sempre forti emozioni, sorrisi e risate.
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