in tarda stagione - Edizioni Helicon
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Tullio Mariani IN TARDA STAGIONE Quarantacinque sonetti e un canto di viaggio Prefazione di Rodolfo Vettorello Edizioni Helicon A CESARE DIEGOLI Scorrevamo i tracciati della vita come fieri gitani delle idee dai lidi di Provenza alle maree di vento e spighe di Castiglia antica. Con stocchi acuti d’ironia impudica castigavamo le prosopopee e azzannavamo duro alle trachee lupi, iene e ogni belva travestita. Dove sei ora? Ti starai annoiando. Tutto perfetto, tutto senza falla, tutto leziose arpe e eterei veli. Tienimi posto amico, sto arrivando, con la santa ironia e la giusta balla rivolteremo pure i sette cieli. 13 A GABRIO AVANZATI A GUIDO MARTINI Dimmi, eravamo amici? Io non lo so. Tu spocchiosetto ed io presuntuosetto ci giostravamo burle atroci e affetto mascherato da sadico sfottò. Vecchio amico dei tempi di allegria delle risate grasse un tanto al soldo e dello sbeffeggiare manigoldo contro gli stronzi e la malinconia Non ho più in mente come si avviò quello strano rapporto di dispetto frammisto a stima, fatto d’intelletto e di comune fede che franò. dello sfregiare a schiaffi d’ironia quel nostro intorno falso, bolso e stolto serioso ma non serio, sempre avvolto da fumi e fole senza fantasia. Ora non ci sei più. Mi manca molto quel nostro arguto e colto baccagliare tu duro come capra, io come mulo. Passano gli anni, siamo entrambi bianchi e hai scelto di tornare al tuo paese a godere la luce della sera. Ci rivedremo a tempo mio risolto, tu, come io per te, disposto a dare la pelle intera per salvarmi il culo. Che sia per te una nuova primavera di vita e libertà e di allegre imprese. Amico non partire, già mi manchi! 14 15 A CLAUDIA PETRONGOLO A LORENZO DEGL’INNOCENTI nel giorno del pensionamento Attore e regista del CENACOLO DEI GIOVANI di Firenze Quasi una dea, serena ed elegante discesa a regolare un mondo vile barbaro, trasandato, cupo, ostile. Certo rimpiangeremo ad ogni istante Lorenzo, quell’aspetto da impunito è certo una risorsa non da poco nello star faccia al pubblico, nel gioco di autentiche finzioni, nell’ordito quella bellezza dolce e signorile quel fare tuo, discreto e tollerante (forse pure un po’ troppo!) e la costante prontezza a perdonare l’incivile tra il falso ed il sincero. Il vecchio rito profano e sacro come l’acqua e il fuoco, tonante declamare o pianto fioco, ombra di vita e seme d’infinito urgenza di noi poveri mortali sempre di fretta, tesi ed affannati, mai calmi, mai tranquilli, mai puntuali, ha in te un grave maestro, né contrasta l’acuta verve da giullare antico né l’umore pungente ed assassino. e, diciamolo pure, un po’ frustrati. Chi saprà rimediare ai nostri mali se tu ci lasci soli e disperati? Altro direi, ma un sonetto non basta: mi onorerebbe averti per amico, maledetto geniaccio fiorentino! 30 marzo 2011 16 17 FRIDA NULLA DI NUOVO Potrei chiamarti Irene, oppure Pace, ma in Frida brilla un nordico splendore e un suono dall’esotico sapore, quasi un frullare d’ali, od un audace Vieni, facciamo un gioco. È il vecchio gioco di frasi usate e di parole spente un gioco di passato e di presente il gioco di ogni volta, mesto e fioco soffiar di fresca brezza nella brace dura d’agosto, o un tono di colore e luminoso e terso nel grigiore di un giorno incerto, timido e fugace. come un fumo di nebbia, come un roco lamento di gabbiano, come lente gocce di pioggia grigia sul pendente di rugginose gronde, come un fuoco Ma io vi trovo l’eco vigorosa di antichi skald e delle immense saghe che m’intrigano, vecchio ancor bambino, stentato e fiacco, inabile a sviare il gelo dalle mani e dalla vita. Giochiamo alle ragioni che non trovo. e ascolto la risata fragorosa dell’alto Thor e il cozzare di spade che danno luce alla casa di Odino. Vieni, giochiamo almeno ad evitare gli sterili perché, la gara trita del cercar colpe alla gallina o all’uovo. Giochiamo che è finita giochiamo a non doveva cominciare. Nemmeno questo, sai, è un gioco nuovo. 18 19