il calamaro gigante, una leggenda divenuta realtà

Transcript

il calamaro gigante, una leggenda divenuta realtà
di Alfonso Lucifredi
Note
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1
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4
Dominguez (1954).
5
Fujita (2012); Imura, Tomonaga e Yagi (2008)
6
Parron e Fagot (2007).
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Fujita (2012).
8
Per una discussione dell’effetto consecutivo di movimento, o
9
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Ibidem.
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©?????
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IL CALAMARO GIGANTE, UNA LEGGENDA DIVENUTA REALTÀ
I
l 10 gennaio scorso è circolata in rete una notizia dello
spiaggiamento di un calamaro gigante dalle dimensioni
veramente spropositate a Santa Monica in California:
lungo oltre 160 piedi (quasi 50 metri) questo colosso, secondo l’opinione di alcuni esperti, sarebbe frutto della radioattività generata dall’incidente alla centrale nucleare Dai-Ichi
di Fukushima nel 2011. La notizia era corredata da una foto1
che mostrava l’animale spiaggiato circondato da decine di
curiosi. Tutto questo pochi giorni dopo il ritrovamento, avvenuto sulle stesse spiagge, di un oarfish, in italiano regaleco
o re delle aringhe, di 95 piedi di lunghezza (quasi 30 metri,
a fronte di lunghezze medie di pochi metri), anch’esso presunta vittima di gigantismo causato dalle radiazioni nocive
generate da Fukushima, propagatesi nell’oceano Pacifico.
Grazie a reminescenze di stampo “godzilliano” la notizia
è ben presto diventata virale ed è apparsa qua e là sulle
pagine facebook e tra i tweets di migliaia di persone in giro
per la rete.
Si tratta di un classico esempio di notizia farlocca tirata
su in quattro e quattr’otto: la bufala è nata da un articolo del
portale satirico Lightly Braised Turnip (in nota 2 il link all’originale) l’immagine è stata creata con un fotomontaggio, peraltro piuttosto grossolano, di un altro calamaro rinvenuto a
La Arena in Cantabria (in nota 3 e 4 il link all’originale), con
l’immagine di una balena trovata morta in Cile nel 20115. Allo
stesso modo, sono stati inventati di sana pianta anche gli
esperti citati nell’articolo originale, il biologo Martin L. Grimm
e la presunta manager dei parchi di Santa Monica Cynthia
Beard, tutti nomi di persone mai esistite. E, per finire, nella traduzione in altre lingue e nel marasma di condivisioni,
evitando qualunque conversione dal sistema anglosassone
al metrico decimale, i 160 piedi sono allegramente diventati
160 metri.
In questo caso non c’era nemmeno bisogno di fare
grandi ricerche per svelare la bufala: era sufficiente un’osservazione più attenta dell’immagine, palesemente manipolata anche all’occhio di un non esperto, per riconoscere
lo scherzo e accantonare la notizia con un sorriso. Ciononostante, l’evento in sé ha riportato l’interesse per un
animale quasi sconosciuto, di grande fascino e che vale la
pena di riscoprire.
Tante volte le esplorazioni dedicate alla ricerca di creature misteriose e leggendarie hanno infatti ottenuto risultati deludenti. Tra yeti, bigfoot, chupacabra, mostro di Loch
Ness e tanti altri, ai racconti folcloristici e a sporadici avvistamenti non sono corrisposte prove scientifiche tangibili dell’esistenza di animali così affascinanti e introvabili. Ciononostante esistono le eccezioni, soprattutto per quanto riguarda
Query - numero 18 - Estate 2014
31
Il circlemaker che non ti aspetti
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Yoji Ookata1 è un fotografo giapponese, specializzato in immagini subacquee. Scoprì il mondo sottomarino
quando frequentava le scuole superiori, trasformando
la sua passione in lavoro all’età di 39 anni. Ma in cinquant’anni di immersioni non aveva mai visto una cosa
come quella che gli apparve2 al largo dell’isola Amami
Oshima, a una profondità di circa 25 metri, nel maggio
del 2007: uno strano cerchio perfettamente scavato nella
sabbia, formato da più strutture concentriche, della larghezza di quasi due metri.
La formazione, per certi versi simile a un cerchio nel
grano, era stata subito battezzata “mystery circle”. Ma al
posto di gridare “all’Ufo all’Ufo”, Ookata ha provato a risolvere il mistero.
Insieme a una troupe televisiva dell’NHK è tornato
sul posto, scoprendo altri cerchi sottomarini e filmando il
momento della formazione di uno di questi. La soluzione
del mistero è andata in onda il 9 settembre 2012 in una
puntata speciale del programma di divulgazione scientifica “Darwin has come!”4.
Niente UFO o astronavi sottomarine, ma qualcosa di
altrettanto sorprendente: il circlemaker era un pesce palla. Nelle riprese di Ookata si vede infatti l’animale stendersi sul fondale e imprimere più e più volte la forma del
suo corpo nella sabbia, per poi decorare il cerchio con
conchiglie trasportate sul posto, rotte con la coda e infine
sparpagliate in tutta la formazione.
Un lavoro che ha richiesto quasi sei giorni di lavoro,
e fatto con un preciso scopo: trovare una compagna. Gli
zoologi che facevano parte della spedizione hanno notato
gli ambienti oceanici, dove le scoperte sono quasi all’ordine
del giorno: il censimento della vita marina, avvenuto nel
decennio tra il 2000 e il 2010 (sul sito ufficiale 6 i risultati
ottenuti sono resi pubblici) ha portato all’identificazione di
migliaia di nuove specie marine appartenenti a tutti i grandi
gruppi tassonomici.
Tra le varie leggende riguardanti i mostri marini, un
posto di assoluto rilievo è occupato dal calamaro gigante,
spesso noto, nella sua forma più gigantesca e leggendaria,
col nome di Kraken (dal norvegese krake, mostruoso, che
in tedesco assume, guardacaso, il significato di “piovra”).
Questo è dovuto alla sua ricorrente presenza nella cultura
popolare: tante sono le leggende marinare che raccontano di lotte all’ultimo sangue con i capodogli o di attacchi a
navi anche di grandi dimensioni, trascinate in fondo al mare
da giganteschi tentacoli; probabilmente Omero l’aveva descritto nell’Odissea col nome di Scilla. Il calamaro gigante è
anche protagonista di tanti romanzi di avventura (si scaglia
contro il Nautilus in Ventimila leghe sotto i mari e Melville
descrive un suo incontro col Pequod in Moby Dick, mentre
Madeira e Tenerife, quando la corvetta francese Alecton
avvicinò un animale, moribondo in seguito a un probabile
scontro con un capodoglio, e cercò di issarlo a bordo, riuscendo a recuperarne solo la parte posteriore, lunga circa
5 metri. Leggenda vuole che il 10 maggio 1874 il vascello
Brick Pearl, al largo del Golfo del Bengala, fosse assalito
da un calamaro gigante, i cui tentacoli provarono a inclinare lo scafo e lottarono corpo a corpo con i marinai. Forse
anche il mito, nato nel XVI secolo, del “Pesce Monaco” 7
è dovuto all’incontro con uno di questi animali nel Mare del
Nord. Secondo altre testimonianze, non confermate, dopo
l’affondamento del Britannia nel 1941, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, alcuni superstiti aggrappati ai bordi
dello scafo di una zattera, talmente piccola da non riuscire a
contenerli tutti, vennero attaccati da un calamaro gigante e
uno di loro venne trascinato a fondo, mentre il luogotenente
del vascello riuscì a sopravvivere, al prezzo di numerose
cicatrici a forma di ventosa su una gamba.
La definitiva conferma della sua esistenza si è ottenuta
grazie ad una serie di esemplari spiaggiati rinvenuti negli
La balena bicefala e altre duplici storie
come le femmine di pesce palla fossero attirate dai cerchi:
maggiore la complessità delle formazioni, maggiori la probabilità di accoppiamento.
Imprimere queste complesse strutture sul fondale potrebbe inoltre costituire una strategia evolutiva: le femmine di pesce palla depongono le uova fecondate al centro
dei cerchi, e il sistema di creste e canali creato con la sabbia servirebbe a proteggerle dalle correnti marine. Anche
le conchiglie rotte e sparpagliate nella formazione avrebbero una funzione: non semplici decorazioni, ma cibo per
i nascituri.
Sofia Lincos
Note
1
http://tinyurl.com/oco8ybq
2
http://tinyurl.com/n98sz2z
3
http://tinyurl.com/ome383x
4
http://tinyurl.com/na9fagn
in tempi più recenti è protagonista del bestseller Tentacoli di
Peter Benchley, da cui è stata tratta una miniserie televisiva)
ed è apparso tante volte al cinema, non ultimo nella saga dei
Pirati dei Caraibi, anche qui sotto il nome di Kraken.
Alla fine della fiera però, dopo oltre 2000 anni di miti
e leggende, l’osservazione diretta ha confermato quello in
cui pochi credevano: l’elusivo calamaro gigante esiste davvero, e si può trovare in tutti i mari del mondo, per lo più a
grandi profondità. Le osservazioni sporadiche avvenute nel
corso dei secoli erano infatti poco credibili a causa di alcune probabili esagerazioni, ma a lungo andare la conoscenza sull’animale si è approfondita ed è diventato sempre più
evidente che il calamaro gigante non appartiene solo al
mondo delle leggende.
Nella storia non mancano infatti le testimonianze di osservazioni dirette dell’animale o dei suoi resti, a partire dai
numerosi spiaggiamenti avvenuti sulle coste dei mari del
nord (ad esempio in Islanda nel 1639 e in Olanda nel 1661),
per arrivare agli incontri con gli animali vivi: il più celebre è
avvenuto il 17 novembre 1861 al largo delle Canarie, tra
Ha fatto il giro del mondo la notizia1 di un insolito ritrovamento in Messico nel gennaio di quest'anno: due balene
siamesi appena nate, con due teste e due code perfettamente formate ma unite all’altezza del torso. Secondo
quanto riferito dagli esperti del museo di storia naturale di
Los Angeles a National Geographic le due balene siamesi
erano più piccole di un balenottero normale appena nato
(2-3 metri contro 4 di media), ma questo può voler dire che
si tratta o di un aborto o di feti nati sottopeso per via dello
sforzo nella gravidanza gemellare. Al ritrovamento la balena bicefala era ancora viva ma è sopravvissuta solo poche
ore: le balene siamesi non sopravvivono a lungo dopo la
nascita perché hanno difficoltà a nuotare e respirare.
Considerando che i cetacei nascono con la coda in
avanti, e che qui di code ce n’erano ben due, non è chiaro
come la madre abbia potuto partorire, né se sia sopravvissuta al parto. Non è comunque stata ritrovata.
Per quanto raro, gli esperti riferiscono che non si tratta
di un evento unico e che gemelli siamesi erano già stati
riportati per altre specie di balena. Smentiscono anche la
voce che sia colpa delle radiazioni di Fukushima.
Questo non è l’unico esempio di animale bicefalo nato
a cavallo del 2014: il 30 dicembre 2013 era nato un vitellino bicefalo2 in Marocco. Basta guardare sul web per
vedere che l’evento di un vitellino bicefalo, al contrario di
quanto accade per le balene, per quanto infrequente e per
quanto bizzarro, non è poi così raro. Idem dicasi per i serpenti, le tartarughe, i gattini, i polli, gli squali, le salamandre e così via. C’è persino il caso famoso di Abigail e Brittany Hensel, le teen-ager americane gemelle siamesi con
due teste e un unico corpo, con ciascuna testa che muove
il braccio e la gamba della metà corrispondente del corpo. Nessun vertebrato, insomma, è immune al fenomeno.
Serpenti e tartarughe sembrano sopportare abbastanza
meglio degli altri lo stress dovuto alla mutazione e riescono in alcuni casi ad arrivare sino all’età adulta, mentre la
mortalità neonatale degli individui bicefali tra i mammiferi
sprovvisti di cure mediche sfiora il 100%. Frank e Louie
tuttavia sono le due teste di un gatto siamese (di razza
e di fatto) arrivato all’incredibile età di 12 anni. In realtà
si tratta di due facce collegate a un cervello solo, quindi
si muovono all’unisono. Frank però non ha un esofago,
quindi Louie mangia per due.
L’origine della bicefalia (o, più propriamente, policefalia) è la stessa dei gemelli siamesi ed è dovuta alla mancata disgiunzione di due gemelli monozigoti nelle prime
fasi della vita embrionale, avviene da sempre, e non è
particolarmente collegata alle radiazioni. È stato addirittura rinvenuto il fossile di un rettile del cretacico inferiore
bicefalo.
Il fenomeno ha però da sempre contribuito ad alimentare l’immaginario e fantasioso mondo interiore di Homo
sapiens. Cerbero, il cane a tre teste, ad esempio, o l’idra di Lerna erano mostri policefali della mitologia greca.
Scilla fu per gelosia trasformata dalla maga Circe in un
mostro a sei teste e quattro occhi. E poi c’è naturalmente Giano Bifronte dei romani, forse ispirato a un caso di
disopropia, ovvero due facce ma una testa sola, come il
gatto Frank e Louie. Gli dei della mitologia indiana hanno
un numero di teste nettamente superiore alla media degli
altri dei: Brahma ne ha quattro, Ravana ne ha dieci, Airavata è un elefante a sette teste e così via. Poi ci sono
anche i draghi a due o più teste delle mitologie nordiche e,
pur non essendo una creatura leggendaria o divina, una
piccola menzione la merita anche Zaphod Beeblebrox
della Guida galattica per autostoppisti.
La policefalia ci inquieta perché si tratta di due creature che condividono un unico corpo e, se da un lato
ci desta orrore per la deformità, dall’altro siamo coscienti
che si tratta di una creatura con ben due cervelli, ovvero
il 100% in più della nostra materia grigia, e ci si aspetta
che ci batta in scaltrezza. Considerata l’intelligenza delle
balene, se la balena bicefala fosse sopravvissuta avrebbe
probabilmente potuto spiegarci qualcosa, soprattutto sul
perché non è una buona idea dare la caccia alle balene.
Lisa Signorile
Note
1
http://tinyurl.com/q3fwalv
2
http://tinyurl.com/o49orb7
Query - numero 18 - Estate 2014
33
di Marco Ferrari
Nel 2012 un team composto dall’americana Edith Widder, dal neozelandese Steve O’Shea e dallo stesso Kubodera è riuscito, grazie all’utilizzo di esche luminose, a registrare un filmato dell’animale nel suo ambiente naturale
(all’ indirizzo indicato in nota11 si può vedere la divertente
conferenza su TED di Edith Widder in cui racconta di come
siano riusciti nel loro intento).
Certo, il vero calamaro gigante è molto più piccolo di
quanto raccontino le leggende marinare, dove le esagerazioni sono all’ordine del giorno, e sicuramente mai uno di
questi animali si sognerebbe di attaccare lo scafo di una
nave, soprattutto se di grandi dimensioni. In realtà le otto
specie stimate che compongono il genere Architeuthis raggiungono al massimo i 13 metri compresi i tentacoli più lunghi utilizzati per la predazione, mentre il calamaro colossale
(Mesonychoteuthis hamiltoni), il più grande invertebrato conosciuto, diffuso esclusivamente nei mari del sud, può raggiungere al massimo i 14 metri totali. Un esemplare di calamaro colossale è esposto nel museo Te Papa Tongarewa,
in Nuova Zelanda, mentre alcune sue immagini si possono
vedere sul sito ufficiale del museo12.
Perché il mistero sul calamaro gigante sia durato così
a lungo è presto detto: la sua elusività è dovuta alle grandi
profondità a cui vive, ed è un significativo segnale di come
sia importante cercare di esplorare e conoscere al meglio la
biodiversità che popola i nostri oceani. Pochi esempi possono rappresentare al meglio la nostra ignoranza in fatto
di vita marina quanto un gigante rimasto nascosto per oltre
due millenni.
34
ultimi decenni del Novecento (in particolare in Nuova Zelanda), dal rinvenimento di resti nello stomaco dei capodogli
(che sono effettivamente loro predatori) e da tanti anni di ricerche. La massima autorità nel campo è stato, per oltre tre
decenni, Clyde Roper8, zoologo americano della Smithsonian Institution esperto di cefalopodi, che ha organizzato
svariate spedizioni nei mari della Nuova Zelanda alla ricerca
del gigante marino, rinnovando l’interesse del grande pubblico per questo animale negli anni ’90.
Le prime fotografie9 dell’animale vivo nel suo ambiente
naturale sono state scattate pochi anni dopo, il 30 settembre
2004, dai ricercatori giapponesi Tsunemi Kubodera e Kyoichi Mori, a oltre 900 metri di profondità e grazie all’ausilio di
esche composte da piccoli calamari e gamberetti.
Nel 2005 l’acquario di Melbourne ha acquistato per
100.000 dollari australiani un esemplare intatto, conservato
all’interno di un blocco di ghiaccio trovato da alcuni pescatori nelle acque neozelandesi.
Nel 2006, al largo delle isole Malvinas-Falkland, un altro esemplare congelato della lunghezza di quasi 9 metri
e ribattezzato Archie, è stato raccolto da un peschereccio.
Inviato al Museo di Storia Naturale di Londra, dopo un meticoloso processo di scongelamento e conservazione è stato
messo in mostra nel 2006 al Centro Darwin10.
Note
1
http://tinyurl.com/lmvwar5
2
http://tinyurl.com/okscov9
3
http://tinyurl.com/oq3twqu
4
http://tinyurl.com/nsykwpn
5
http://tinyurl.com/nrvjpnm
6
http://www.coml.org/
7
http://tinyurl.com/ped5pxo
8
http://tinyurl.com/p2dv3q6
9
http://tinyurl.com/pn8ro6p
http://tinyurl.com/nw9eswx
10
http://tinyurl.com/q62vem5
©?????
UOMINI E TOPI (GIGANTI)
L'
articolo di Repubblica uscito il 10 febbraio 2014,
dal titolo “Prepariamoci all’era dei supertopi. Dai
roditori lo strano scherzo dell’evoluzione”1 è un po’
una raccolta di molti degli errori che i mass-media fanno
quando parlano di animali o piante in evoluzione.
È interessante ripercorrere i passi del pezzo, perché permettono di capire come si intrecciano conoscenze corrette
(magari da fonti autorevoli) con credenze di senso comune.
Non tutte le colpe, ovviamente, sono da ascrivere all’articolista, Simone Cosimi, ma in varia misura ai responsabili delle
pagine e al titolista.
11
http://squid.tepapa.govt.nz/
12
ALFONSO LUCIFREDI: Alfonso Lucifredi è un naturalista,
divulgatore scientifico, scrittore e musicista genovese
di origine argentina. È autore dal 2006 di mostre, laboratori
e conferenze scientifiche per il Festival della Scienza di
Genova e altri eventi di divulgazione. Nel 2011 ha pubblicato
Pensieri. Parole. Opere. Omissioni., opera teatrale dedicata a
temi quali l'ambiente, la società contemporanea e il dramma
dei desaparecidos argentini. Per 5 mesi è stato responsabile
itinerante della mostra del Consiglio nazionale delle ricerche
(Cnr) Agorà nel suo tour in varie località della Cina.
Che specie è?
Il primo problema è la (solita) confusione tra topi ‒ nel titolo
e nel testo‒ e ratti ‒ nel testo. Sono due specie del tutto diverse,
come ben sa chiunque abbia visto un topolino delle case (Mus
musculus) e un ratto (Rattus norvegicus). Le dimensioni sono
decisamente diverse (7,5-10 cm contro 25 cm) e l’aspetto anche. Il topolino domestico è più snello e il colore marrone un po’
più chiaro, orecchie e occhi sono più grandi rispetto al corpo. Ma
soprattutto i topolini abitano le case, i ratti preferiscono fogne
e sotterranei. Sono animali così diversi che visti l’uno accanto
all’altro sono difficili da confondere: ma i media usano l’uno o
l’altro termine quando e come fa comodo per il ritmo dell’articolo.
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Alla ricerca della curiosità
Il secondo punto è: “qual è la notizia”? Probabilmente
è l’aumento di resistenza agli anticoagulanti, i veleni che
vengono usati per combattere i roditori. Gli animali, secondo l’articolo, «sono infatti in grado di resistere ai veleni più
diffusi Oltremanica». Come se fosse un fenomeno improvviso e appena avvenuto. In realtà, cercando di rintracciare
la fonte, ho trovato un articolo2 del Daily Mail – che quanto
ad autorevolezza è lì lì con Novella 3000 – pubblicato all’inizio dell’anno. Si dice che è in atto un’invasione di “super
ratti mutanti” in occasione delle alluvioni che hanno colpito
la Gran Bretagna; gli animali sono super perché resistono ai
rodenticidi. Un minimo di ricerca, e di ricordi universitari (nel
secolo scorso...), mi dice che la resistenza ai rodenticidi è
un fenomeno studiato da decenni, il primo caso fu in Scozia
nel 1958. Nessuna novità quindi, se non che un paio d’anni fa alcuni ricercatori del Rodenticide Resistance Action
Group dell’università di Reading hanno fatto un’analisi dello
stato delle cose3. Affermando che sarebbero necessarie altre politiche per affrontare il problema. Niente emergenza,
niente invasione, niente malattie trasmesse. No, queste ci
sono, ma anche in questo caso i pericoli erano ben noti.
Il tutto, quindi, è ben lontano da una “scherzo dell’evoluzione” – altra frase del titolo. ? Non si tratta infatti di qualQuery - numero 18 - Estate 2014