Libro Verde “The EU corporate governance framework” Risposta di

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Libro Verde “The EU corporate governance framework” Risposta di
Libro Verde “The EU corporate governance framework”
Risposta di Confindustria alla consultazione della Commissione UE
1.
Valutazioni generali
La Direzione Generale per il Mercato Interno e i Servizi (DG MARKT) della
Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sulle proposte contenute
nel Libro Verde “The EU corporate governance framework”.
In particolare, la Commissione intende valutare l’efficacia del vigente quadro normativo
e autoregolamentare in materia di corporate governance delle imprese europee, con
specifico riferimento ai temi del consiglio di amministrazione, degli azionisti e del
principio “comply or explain”.
Confindustria condivide gli obiettivi della consultazione pubblica, con cui si punta ad
avviare un confronto sulle opzioni percorribili per migliorare gli attuali meccanismi di
corporate governance e raccogliere contributi e chiarimenti da parte delle istituzioni e di
tutti gli stakeholder interessati. Un sistema di governo societario efficiente ed
equilibrato rappresenta un elemento cruciale per la crescita delle imprese, poiché
garantisce sostenibilità a lungo termine, correttezza nei rapporti tra gli organi interni e
credibilità sul mercato.
Un ruolo fondamentale in questo settore è svolto dai codici nazionali di autodisciplina.
Infatti, l’autoregolamentazione assicura alle società quotate la possibilità di adeguare
spontaneamente il proprio assetto organizzativo ai principi di governo societario
espressione delle best practices, condivise dagli operatori e dal mercato a livello
interno ed internazionale. I codici di autodisciplina permettono altresì alle imprese di
introdurre nella propria struttura organizzativa elementi di flessibilità che tengano conto
di fattori quali le peculiarità del mercato domestico, il settore economico di
appartenenza, la dimensione della società e la composizione della compagine
azionaria.
Non è casuale, pertanto, che molte delle questioni affrontate nel Libro Verde in
consultazione siano già ampiamente regolate dai codici nazionali di autodisciplina,
indipendentemente dall’esistenza di specifici precetti normativi o di iniziative
regolamentari che vadano in direzioni analoghe. Le recenti crisi che hanno investito i
mercati azionari hanno accresciuto la consapevolezza, da parte degli attori di questi
mercati, delle proprie responsabilità nei confronti degli investitori e delle istituzioni
(nazionali e comunitarie).
I codici di autodisciplina nazionali garantiscono flessibilità agli emittenti anche sotto un
altro profilo. Grazie all’applicazione del principio “comply or explain”, infatti, le imprese
possono scegliere se adeguarsi alle indicazioni autoregolamentari, ovvero giustificare i
motivi di eventuali scostamenti. Occorre rafforzare l’efficacia di questo strumento,
incentivandone l’effettiva applicazione da parte delle imprese, che significa bilanciare
libertà e flessibilità operativa con la richiesta rigorosa alle società che si discostano dal
codice di autodisciplina di spiegare in modo esauriente le motivazioni per cui vi
derogano.
Le differenze che si riscontrano all’interno dei paesi membri, a partire dalle diverse
strutture che possono essere adottate dagli organi di amministrazione e controllo,
rendono invece molto difficile isolare un modello generale di corporate governance che
sia applicabile a tutte le società europee. Un approccio di questo tipo comporta, infatti,
il concreto rischio di dar luogo a rigidità normative che finirebbero per porre a carico
degli operatori economici eccessivi, e spesso inutili, oneri operativi, amministrativi ed
economici. È invece opportuno concedere ai singoli ordinamenti, fin dove è possibile
anche in termini di sussidiarietà e proporzionalità, la flessibilità di adattare il contesto
normativo nazionale in funzione della buona governance delle imprese e della
valorizzazione del mercato azionario, tenendo in adeguata considerazione anche le
diverse tradizioni giuridiche nazionali.
Sotto altro profilo, in un contesto normativo in materia di diritto societario e tutela del
risparmio in continua evoluzione, con il frequente susseguirsi di Direttive e
Raccomandazioni, riforme nazionali e codici di autodisciplina, è meno pressante rispetto, ad esempio, a un decennio fa - l’esigenza di interventi normativi a livello UE.
La presenza di una regolamentazione articolata e in costante miglioramento
suggerisce l’opportunità di assicurare una fase di consolidamento e stabilizzazione dei
diversi sistemi di corporate governance, che sono già avviati, anche per effetto delle
numerose iniziative comunitarie, verso una progressiva armonizzazione. Peraltro,
rigide regolamentazioni esterne rischierebbero di disincentivare l’attuale tendenza delle
imprese a dotarsi di best practices, che vanno oltre gli obblighi legislativi per andare
incontro alle esigenze del mercato.
Piuttosto, è necessario, in questa fase, che l’azione della Commissione, così come
delle singole Autorità nazionali di settore, sia principalmente rivolta a una più efficace
vigilanza sull’effettiva applicazione del complesso di regole esistenti in questa materia.
Va inoltre considerato anche un altro aspetto. L’attuale crisi economico-finanziaria, a
differenza di quella che ha investito i mercati all’inizio del secolo e che ha portato a
profondi cambiamenti nei sistemi di governance delle imprese quotate, non è
riconducibile, se non per specifici aspetti, a malfunzionamenti dei sistemi di governo
societario e, ancor meno, ad anomalie dei meccanismi di governance adottati dalle
imprese industriali, ma è in larga parte ascrivibile ad una serie di criticità riscontrate nel
settore finanziario.
Una reazione normativa in materia di governo societario non appare quindi giustificata,
né risolutiva, anche sotto questo profilo. Le regole di governance costituiscono senza
dubbio uno degli elementi necessari per ridare fiducia al mercato interno, ma eventuali
2
misure in questo settore devono essere necessariamente coordinate con una serie di
interventi mirati anche nelle altre aree (es. regolamentazione finanziaria, misure fiscali,
politiche del lavoro), che hanno determinato l’attuale debolezza dell’economia europea.
Di seguito, si riportano alcune osservazioni più specifiche sulle singole tematiche
oggetto della consultazione della Commissione e alcune riflessioni su altri profili
rilevanti, a giudizio di Confindustria, in tema di governo societario.
2.
Risposte alle singole domande
(1) Le misure UE sul governo societario devono tener conto delle dimensioni
delle società quotate? In che modo? Andrebbe stabilito un regime differenziato e
proporzionato per le piccole e medie imprese quotate? In tal caso, esistono
definizioni o soglie idonee? In caso affermativo, si prega di suggerire, nelle
risposte fornite, come eventualmente adattarle alle PMI.
L’idea di differenziare il regime di corporate governance in ragione della dimensione
delle imprese è in linea di principio condivisibile. Anche il codice italiano di
autodisciplina1 contiene alcuni principi che vanno in questa direzione. Tuttavia, va
anche considerato che eventuali regimi normativi differenziati possono trasformarsi in
ostacoli alla crescita, incentivando le imprese quotate a rimanere sotto determinate
soglie dimensionali.
Inoltre, la definizione di “piccola e media impresa quotata” varia da Stato a Stato e
questo rende difficile ipotizzare una normativa uniforme a livello comunitario. Peraltro,
la dimensione è soltanto uno dei parametri rilevanti, dal momento che rilevano ulteriori
aspetti idonei a differenziare le imprese tra loro, a partire dalla struttura degli assetti
proprietari.
Confindustria non ritiene pertanto opportuno un approccio trasversale dell'
Unione
europea a questo tema, né tantomeno specifiche proposte regolamentari. Sarebbe
piuttosto preferibile che l’esigenza di differenziare i regimi applicabili venga tenuta in
considerazione, anche in sede di revisione della disciplina comunitaria esistente, e
modulata sulla base degli obiettivi volta per volta perseguiti dall’UE e dei destinatari
delle eventuali future iniziative regolamentari.
(2) Quali misure relative al governo societario nelle società non quotate
andrebbero adottate a livello UE? L'UE dovrebbe concentrarsi sulla promozione
dell'elaborazione e dell'applicazione di codici volontari per le società non
quotate?
È molto difficile ipotizzare un quadro uniforme di corporate governance idoneo per tutte
le società non quotate europee, soprattutto in considerazione delle significative
differenze che si rilevano, sul punto, nell’ambito dei diversi Paesi UE.
1
Si fa riferimento al Codice di Autodisciplina adottato dal Comitato per la Corporate Governance, nella sua
ultima versione del 2006, aggiornata, per la parte relativa alle remunerazioni dei manager (art. 7), nel
2010.
3
Peraltro, il fatto che tali società non ricorrano al pubblico risparmio è un elemento
decisivo a sfavore dell’opportunità di estendere alle società non quotate obblighi e
oneri regolamentari applicabili agli emittenti quotati, così come le migliori pratiche di
governance seguite da questi ultimi.
Ne consegue che anche l’applicazione di eventuali codici di autodisciplina deve essere
rimessa all’iniziativa dei soggetti interessati a livello nazionale. Ciò anche alla luce dei
diversi modelli di amministrazione e controllo riscontrabili nei singoli Stati membri e
delle differenti evoluzioni che essi hanno subito, nonostante l’esistenza di alcuni
principi e regole comuni già dettati dall’Unione europea (es. in materia contabile).
(3) L'UE dovrebbe cercare di assicurare che le funzioni e i compiti del presidente
del consiglio di amministrazione e dell'amministratore delegato siano
chiaramente distinti?
Confindustria è consapevole dell’importanza che la figura del presidente del consiglio
di amministrazione assume all’interno del board, in virtù dei compiti di organizzazione
dei lavori e di raccordo tra amministratori esecutivi e non esecutivi che gli sono affidati.
Pertanto, è in linea di principio condivisibile la separazione dei ruoli di presidente e
chief executive officer (CEO), che consente di rafforzare le caratteristiche di
imparzialità ed equilibrio richieste al primo.
La disciplina delle società per azioni italiane, specie dopo l’ultima riforma del 20032, è
peraltro già in linea con l’obiettivo indicato dalla Commissione. Infatti, le norme del
Codice civile (art. 2381) assegnano proprio al presidente la funzione di garantire agli
amministratori un adeguato flusso di informazioni circa i lavori del board e le materie
iscritte all’ordine del giorno. Quest’obbligo del presidente è coerente con il regime di
responsabilità degli amministratori, chiamati ad agire in modo informato, e con la
facoltà, che è riconosciuta loro, di richiedere in consiglio ulteriori informazioni relative
alla gestione della società.
Anche il codice di autodisciplina italiano fa proprio il principio della separazione dei
ruoli di presidente del board e CEO, raccomandando espressamente di evitare la
concentrazione di cariche sociali in capo a un unico soggetto.
Non può peraltro escludersi che esistano situazioni, in particolare negli emittenti di
minori dimensioni, in cui il cumulo del ruolo di presidente con quello di CEO risponda a
esigenze organizzative non trascurabili. In casi del genere, è opportuno prevedere
adeguati contrappesi, in grado di bilanciare il cumulo di funzioni che viene a
determinarsi in capo al presidente. Non a caso, il codice di autodisciplina italiano
prevede che nell’ipotesi in cui il presidente sia anche CEO - così come quando si tratti
della stessa persona che controlla l’emittente - venga istituita la figura del lead
independent director (art. 2). Questa figura rappresenta un punto di riferimento e di
coordinamento per gli amministratori non esecutivi (in particolare quelli qualificati come
indipendenti) e collabora con il presidente al fine di garantire, tra l’altro, l’adeguatezza e
la tempestività dei flussi informativi.
2
Si fa riferimento al decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003
4
L’attuale quadro di regole, di fonte legislativa e autoregolamentare, appare quindi già
adeguato alla finalità di mantenere chiaramente distinte funzioni e compiti di presidente
e CEO. Pertanto, Confindustria non ritiene necessari ulteriori interventi della
Commissione su questo punto.
(4) Le politiche di selezione del personale dovrebbero definire con maggiore
precisione il profilo degli amministratori, incluso il presidente, per garantire che
possiedano le necessarie competenze e che la composizione del consiglio di
amministrazione presenti un'adeguata diversità? In caso affermativo, come
ritenete sia meglio procedere e a che livello: nazionale, UE, internazionale?
La selezione degli amministratori rappresenta un momento della vita societaria che
attiene in via esclusiva alle prerogative degli azionisti.
Le regole applicabili alla nomina degli amministratori devono assicurare trasparenza
del procedimento, specie in ordine alle caratteristiche personali e professionali dei
candidati, nonché una tempistica idonea all’esercizio consapevole del diritto di voto da
parte dei soci.
L’attuale regolamentazione UE è già in grado di soddisfare tali esigenze, specie a
seguito dell’adozione, e del successivo recepimento da parte degli Stati membri, della
Direttiva 2007/36/CE. Con tale provvedimento, che ha ad oggetto l'
esercizio di alcuni
diritti degli azionisti di società quotate, sono stati, tra l’altro, ulteriormente rafforzati i
presidi procedurali e informativi diretti a garantire un’effettiva e ampia partecipazione
alle assemblee societarie.
Ulteriori meccanismi che rispondano all’obiettivo di un’adeguata composizione del
consiglio di amministrazione devono essere rimessi ai codici nazionali di autodisciplina,
che già contengono appositi principi e raccomandazioni in tal senso. Il principio
“comply or explain” assicura alle imprese la possibilità di adattare il profilo e le
competenze degli amministratori alle esigenze e alle caratteristiche della società, per
loro natura variabili nel tempo.
Non si condivide, pertanto, l’opzione di imporre alle società specifiche politiche di
selezione degli amministratori, né tantomeno obblighi di disclosure ulteriori rispetto a
quelli già adottati dagli ordinamenti nazionali e dai codici di autoregolamentazione.
(5) Le società quotate dovrebbero essere tenute a comunicare se hanno adottato
politiche a favore della diversità? In caso affermativo, dovrebbero descriverne gli
obiettivi e le linee principali e pubblicare periodicamente una relazione sui
progressi ottenuti?
La diversità di esperienze all’interno del consiglio di amministrazione - intesa in senso
ampio e non solo in termini di genere - può contribuire a un migliore funzionamento
dell’organo, permettendo di analizzare gli argomenti in discussione da prospettive
diverse e, dunque, alimentando la dialettica all’interno del consiglio, che è in grado di
favorire decisioni ponderate e propriamente collegiali.
5
Tuttavia, se è vero che la diversità è un valore importante, è altrettanto vero che sono
decisivi per garantire il buon funzionamento del consiglio di amministrazione
soprattutto le qualità professionali, il merito, l’esperienza e le competenze dei candidati.
Non è pensabile, e neppure auspicabile, che la regolamentazione sia in grado di
assicurare per ogni tipo di impresa la composizione più efficiente, e allo stesso tempo
maggiormente diversificata, del consiglio di amministrazione. La presenza di vincoli
regolamentari in questa direzione rischia invece di essere controproducente, laddove
limiti eccessivamente la libertà di elezione tra i vari candidati, ad esempio limitando il
diritto degli azionisti di selezionare amministratori che avrebbero, altrimenti, tutti i
requisiti per essere eletti.
Può dunque ripetersi quanto già sostenuto con riferimento alle politiche di selezione (v.
risposta alla domanda n. 4), vale a dire che i criteri di nomina degli amministratori
devono continuare ad appartenere alla responsabilità degli organi societari competenti,
fatta salva la previsione di specifici presidi a tutela di interessi ritenuti meritevoli.
(6) Le società quotate dovrebbero essere tenute a garantire un maggior
equilibrio tra uomini e donne nel consiglio di amministrazione? In caso
affermativo, in che modo?
In linea di principio, Confindustria ritiene che l’introduzione a livello europeo di
indicazioni vincolanti in materia di equilibrio di genere, come ad esempio attraverso la
previsione di quote riservate alle donne, non sia la soluzione al problema della loro
modesta rappresentanza negli organi di amministrazione e controllo delle società.
Peraltro, l’esigenza di regole comuni in questo ambito è in parte superata dalla
progressiva adozione, nei singoli ordinamenti nazionali, di specifiche misure che
mirano a un riequilibrio del rapporto tra i generi.
Anche l’Italia si è allineata a questo orientamento, adottando di recente un’apposita
legge sulle cd. “quote rosa”. Tale provvedimento è diretto ad assicurare la parità di
accesso agli organi di amministrazione e controllo delle società quotate e di quelle
controllate dallo Stato, anche non quotate. In particolare, si prevede che gli statuti di
queste società debbano garantire l’equilibrio dei generi nella composizione di consigli
di amministrazione e dei collegi sindacali, riservando una quota del totale dei posti
disponibili (in una prima fase di applicazione della legge pari al 20% e, in una seconda,
al 33%) al genere meno rappresentato.
Alla luce di queste considerazioni, Confindustria non ritiene necessarie ulteriori
iniziative dell’UE in questo campo.
(7) Ritenete che sia necessaria una misura a livello UE per limitare il numero di
incarichi che un amministratore senza incarichi esecutivi può ricoprire? In caso
affermativo, come dovrebbe essere formulata?
Il numero degli incarichi ricoperti è un elemento di valutazione importante, che va
tenuto in considerazione al fine di valutare la concreta possibilità che gli amministratori
non esecutivi dedichino tempo sufficiente allo svolgimento dei loro compiti.
6
Il codice italiano di autodisciplina già prevede che gli amministratori, all’atto di accettare
la carica, debbano confermare di poter dedicare il tempo necessario per assolvere in
maniera ottimale ai propri compiti. Al tempo stesso, il consiglio di amministrazione è
chiamato a individuare criteri generali di compatibilità tra il numero degli incarichi
ricoperti dagli amministratori in altre società e l’efficace svolgimento del mandato.
Peraltro, tali criteri sono necessariamente differenziati sulla base di elementi quali la
natura e le dimensioni delle diverse società in cui gli incarichi sono ricoperti. Ciò
assicura la necessaria flessibilità al principio, senza comprometterne l’attuazione.
Al contrario, misure one-size-fits-all eventualmente imposte a livello UE, con la
previsione di tetti predeterminati al numero dei mandati, introdurrebbero un elemento di
rigidità sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito, peraltro in sé condivisibile. Per
questo motivo, sarebbe opportuno che il tema continuasse ad essere rimesso
all’autodisciplina, piuttosto che essere oggetto di specifici interventi regolamentari.
(8) Le società quotate dovrebbero essere incoraggiate a procedere ad una
valutazione esterna a scadenza regolare (ad es. ogni tre anni)? In caso
affermativo, in che modo?
La scelta da parte delle società quotate di avvalersi o meno dell’opera di consulenti
esterni ai fini della board evaluation deve essere rimessa alla libera determinazione
degli emittenti. Non vi sono ragioni per ritenere che il ricorso a esperti esterni sia, di per
sé, lo strumento più idoneo ad assicurare l’efficacia di tale processo. Eventuali
indicazioni vincolanti in tal senso darebbero luogo a ulteriori voci di costo per le società
quotate, senza trascurare i possibili rischi di conflitti d’interessi che possono
determinarsi quando il consulente esterno presti contemporaneamente diverse
tipologie di servizi (tra cui quelli connessi alla board evaluation) a beneficio della
società e/o di singoli amministratori.
Il codice italiano di autodisciplina, analogamente a quanto avviene con i codici di molti
altri Paesi membri, già contiene precise indicazioni su questo tema, raccomandando al
consiglio di amministrazione di svolgere, con cadenza almeno annuale, una
valutazione su dimensione, composizione e funzionamento del consiglio (art. 1, lett. g).
Obiettivo del processo è, tra l’altro, l’individuazione di eventuali figure professionali che
possano arricchire le competenze e l’equilibrio in seno al consiglio. La delicatezza e
l’importanza del tema è testimoniata anche dalla discussione attualmente in corso sulla
possibilità di modificare, in senso più rigoroso, i principi appena richiamati.
Confindustria ritiene pertanto che gli emittenti quotati debbano essere incoraggiati a
procedere alla board evaluation, secondo una tempistica regolare, e che il processo
debba continuare ad essere rimesso all’autodisciplina, senza criteri o previsioni
vincolanti imposte per legge. Ciò anche con riferimento alla scelta delle modalità
(ricorrere o meno a consulenti esterni) con cui procedervi.
(9) Dovrebbe essere resa obbligatoria la divulgazione della politica retributiva,
della relazione annuale sulle remunerazioni (incentrata sull'attuazione della
politica retributiva nel corso dell'esercizio precedente) e delle singole
remunerazioni degli amministratori con incarichi esecutivi e non esecutivi?
7
(10) Dovrebbe essere reso obbligatorio sottoporre al voto degli azionisti la
politica retributiva e la relazione sulla sua attuazione?
Negli ultimi anni, l’UE ha assunto significative misure in tema di remunerazioni dei
manager, con l’obiettivo di incrementare la trasparenza delle politiche retributive e
uniformarle a criteri predeterminati, parametrati ai risultati - soprattutto - di lungo
periodo raggiunti dalle società. In particolare, le due Raccomandazioni adottate dalla
Commissione nel 2009, in risposta alla crisi e alle anomalie riscontrate soprattutto nel
settore finanziario, hanno integrato e rafforzato i principi contenuti nelle precedenti
Raccomandazioni e sono state gradualmente recepite da parte degli Stati membri.
L’Italia si è allineata alle indicazioni comunitarie in tema di compensi, dandovi
attuazione con iniziative legislative (d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 259) e
autoregolamentari (art. 7 del codice di autodisciplina, come modificato nel 2010)
dedicate, rispettivamente, alla disclosure e ai criteri cui uniformare le politiche
retributive.
Sotto il primo profilo, è stato rafforzato il diritto degli azionisti di esprimersi in forma
consapevole sulle politiche di remunerazione degli amministratori adottate dalla
società. A tal fine, gli emittenti sono tenuti a mettere a disposizione del pubblico,
almeno ventuno giorni prima della data dell'
assemblea, presso la sede sociale, sul
proprio sito Internet e con le altre modalità che verranno stabilite dalla Consob, una
relazione sulla remunerazione. Questa relazione contiene due sezioni: la prima illustra
la politica generale seguita dalla società in materia di remunerazione dei componenti
degli organi di amministrazione (oltre che dei direttori generali e dei dirigenti con
responsabilità strategiche); la seconda, invece, contiene i compensi corrisposti, a vario
titolo, ai singoli amministratori nell’esercizio di riferimento (art. 123-ter TUF).
L'
assemblea è poi chiamata a deliberare, in senso favorevole o contrario, sulla politica
adottata dalla società in materia di remunerazioni dei manager.
Il codice di autodisciplina italiano individua, invece, i criteri cui uniformare i compensi
degli amministratori (e dei dirigenti con responsabilità strategiche) in modo da
garantire, tra l’altro, un adeguato bilanciamento della componente fissa e di quella
variabile e l’allineamento degli interessi degli amministratori con l’obiettivo della
creazione del valore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo.
Pertanto, l’ordinamento italiano è già perfettamente conforme agli obiettivi indicati dalla
Commissione nel Libro Verde, dal momento che sono previsti come obbligatori sia la
predisposizione - e la relativa disclosure - sia il voto degli azionisti sulle politiche di
remunerazione.
Inoltre, va rilevato come la direttiva 2007/36/CE, nel rafforzare i diritti degli azionisti,
abbia riconosciuto loro, tra le altre, la facoltà di far inserire punti all'
ordine del giorno
dell'
assemblea e porre domande relative a tali punti. La prima applicazione delle
disposizioni comunitarie ha confermato, anche in Italia (che ha recepito la direttiva con
il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27), la validità delle soluzioni adottate, soprattutto perché è
sensibilmente cresciuto il livello di partecipazione degli azionisti alle assemblee
annuali. È prevedibile che questo trend si consolidi e che, quindi, gli azionisti prendano
parte sempre più attivamente al confronto sulle politiche adottate dall’emittente, anche
in materia di remunerazioni dei manager.
8
Alla luce di queste considerazioni, Confindustria ritiene che non siano necessari
ulteriori interventi da parte dell’UE in questo ambito. In ogni caso, va tenuta in
considerazione l’esigenza di differenziare l’approccio seguito per gli emittenti del
settore finanziario rispetto alle altre categorie di società quotate, dal momento che,
come già anticipato, le criticità emerse a seguito della recente crisi economica in tema
di compensi dei manager hanno riguardato soprattutto il primo dei due settori appena
citati. Piuttosto, è necessario monitorare in questa fase l’attuazione nei singoli
ordinamenti nazionali delle Raccomandazioni del 2009, valutando nel medio periodo i
suoi effetti in termini di efficacia e trasparenza.
(11) Siete d'accordo nel ritenere che il consiglio debba approvare ed essere
responsabile della propensione al rischio della società e che ne renda conto con
chiarezza agli azionisti? L'obbligo di informazione dovrebbe includere anche i
principali rischi sociali?
(12) Siete d'accordo nel ritenere che il consiglio di amministrazione debba
garantire che le disposizioni sulla gestione dei rischi adottate dalla società siano
efficaci e commisurate al suo profilo di rischio?
Il consiglio di amministrazione svolge un ruolo centrale in materia di controllo interno e,
in particolare, di risk management, in quanto spetta ad esso la valutazione dei rischi e
la responsabilità di adottare un sistema in grado di gestirli, adeguato alle caratteristiche
dell’impresa. È quindi importante che gli amministratori possano beneficiare di un
flusso informativo costante in merito alle situazioni che possono influire sulla gestione
del rischio dell’impresa, anche per favorire un’effettiva supervisione del board su tali
tematiche.
Il tema della gestione del rischio è adeguatamente presidiato a livello comunitario. Da
ultimo, la direttiva 2006/43/CE ha comportato una generale rivisitazione della disciplina
in materia di revisione legale dei conti, con importanti riflessi anche in materia di
gestione dei rischi aziendali.
Anche il codice di autodisciplina italiano (art. 8) contiene specifiche previsioni dirette ad
assicurare la corretta gestione dei rischi aziendali da parte del consiglio di
amministrazione. È previsto infatti che le valutazioni e le decisioni relative al sistema di
controllo interno siano supportate da un’adeguata attività istruttoria. A tal fine, il
consiglio di amministrazione costituisce un comitato per il controllo interno, composto
da amministratori non esecutivi, la maggioranza dei quali indipendenti. Il codice
raccomanda, inoltre, di individuare un amministratore incaricato di curare la funzionalità
del sistema di controllo interno, cui spetta il compito di identificare i principali rischi
aziendali e di sottoporli periodicamente all’esame del consiglio di amministrazione. A
quest’ultimo spetta, per legge (art. 2381 c.c.), la responsabilità di valutare
l’adeguatezza delle scelte organizzative compiute.
Gli emittenti, sulla base delle indicazioni contenute nella legge e nel codice di
autodisciplina, hanno sperimentato prassi efficaci, ad esempio avvalendosi della
facoltà di istituire una apposita funzione di internal audit, che ha il compito di verificare
che il sistema di gestione sia adeguato ed effettivamente funzionante.
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Le scelte organizzative adottate, adeguatamente motivate, devono essere comunicate
agli azionisti e al mercato nell’ambito di una relazione annuale prevista dalla legge
(relazione sul governo societario e gli assetti proprietari). Gli azionisti, in Italia, possono
quindi contare su una sufficiente gamma di garanzie e di strumenti per valutare
l’efficacia delle misure dirette a contenere i rischi aziendali.
Disposizioni analoghe a quelle del codice di autodisciplina italiano sono fatte proprie
dai principali codici di governo societario dei diversi Stati membri.
Pertanto, Confindustria non considera necessarie ulteriori misure a livello UE in
materia di gestione del rischio, che si aggiungano a quelle già imposte per via
regolamentare o adottate come best practices da parte degli emittenti quotati.
(14) È necessario adottare misure e, in caso affermativo, quali, riguardo alla
valutazione dei risultati e alla struttura di incentivo dei gestori di attivi che si
occupano dei portafogli degli investitori istituzionali a lungo termine?
(15) La normativa UE dovrebbe promuovere una vigilanza più efficace sui gestori
di attivi da parte degli investitori istituzionali per quanto riguarda le strategie, i
costi, la negoziazione e la misura in cui i gestori degli attivi devono impegnarsi
attivamente nelle società partecipate? In caso affermativo, in che modo?
È condivisibile l’accento posto nel Libro Verde sull’importanza crescente del ruolo
assunto dagli investitori istituzionali. Una maggiore trasparenza delle politiche di voto
adottate da questi soggetti è auspicabile, anche per rafforzare il vincolo fiduciario
esistente con i soggetti titolari delle quote dei fondi. È un obiettivo che può essere
perseguito attraverso differenti soluzioni, tra cui quella di favorire la predisposizione e
l’adozione di best practices da parte degli investitori istituzionali, ispirate, come per gli
emittenti, al principio “comply or explain”.
(21) Ritenete che gli azionisti di minoranza debbano godere di maggiori diritti in
modo da poter rappresentare più efficacemente i propri interessi in società dove
siano presenti azionisti dominanti o di controllo?
(22) Ritenete che gli azionisti di minoranza necessitino di una maggiore
protezione rispetto alle operazioni con le parti correlate? In caso affermativo, in
che modo?
Negli ultimi anni il tema della protezione delle minoranze ha registrato un’attenzione
crescente da parte del legislatore, sia comunitario che nazionale, soprattutto in quegli
ordinamenti caratterizzati da una sensibile concentrazione degli assetti proprietari,
come l’Italia.
Nell’ordinamento italiano, la tutela degli azionisti minoritari è tra i principi cardine del
Testo Unico della Finanza (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) e della riforma del diritto
societario del 2003. L’obiettivo perseguito da questi interventi normativi è stato di
bilanciare la stabilità e l’efficienza della gestione con la garanzia del disinvestimento
tempestivo e con l’attribuzione di significativi diritti di intervento e partecipazione (es., i
cd. diritti di voice, il meccanismo della sollecitazione e raccolta di deleghe, la possibilità
per una minoranza qualificata di soci di promuovere l’azione sociale di responsabilità).
10
Successivamente, la cd. legge risparmio (legge 28 dicembre 2005, n. 262), recependo
anche la Raccomandazione UE del 12 febbraio 2005, ha ulteriormente rafforzato il
quadro delle tutele, con l’introduzione delle figure dell’amministratore di minoranza e
dell’amministratore indipendente, cui è affidato il compito di rafforzare l’efficacia della
supervisione del board sull’operato degli amministratori esecutivi. Lo stesso codice di
autodisciplina italiano fa leva proprio sulla figura dell’amministratore indipendente per
favorire la dialettica all’interno del consiglio e l’adeguata rappresentazione degli
interessi di tutti gli azionisti.
Il Libro Verde richiama correttamente l’attenzione su uno dei temi più sensibili
nell’ottica delle minoranze azionarie, vale a dire quello delle operazioni con parti
correlate, su cui l’ordinamento italiano ha raggiunto adeguati standard regolamentari.
Infatti, già la riforma del diritto societario del 2003 conteneva alcuni principi generali in
tal senso, poi attuati da parte della Consob con un apposito regolamento (lo scorso
anno). Le regole vigenti sono dirette, in particolare, ad assicurare adeguati presidi di
trasparenza e correttezza procedurale di queste operazioni, per minimizzare i rischi di
conflitti d’interessi ad esse collegati e, in particolare, la possibilità che gli azionisti di
controllo di società quotate (e i manager che ne sono espressione) dispongano del
patrimonio sociale nel proprio interesse e a danno degli altri soci.
Sulla base di queste considerazioni, Confindustria ritiene prioritario che le istituzioni
nazionali e comunitarie concentrino la loro attenzione sull’enforcement delle regole
esistenti, senza introdurre ulteriori presidi in un’area che è stata già oggetto di ripetuti
interventi normativi.
(24) Siete d’accordo con l’idea che le società che si discostano dalle
raccomandazioni contenute nei codici di governo societario siano obbligate a
fornire spiegazioni dettagliate sui motivi di tale scelta e a descrivere le soluzioni
alternative adottate?
Il principio “comply or explain” è, come anticipato, alla base dei codici di governo
societario adottati nei principali Paesi europei.
L’Italia, come molti altri Paesi membri, recepisce questo principio all’interno del proprio
codice di autodisciplina. L’adesione al codice comporta che qualora l’emittente non
abbia fatto proprie, in tutto o in parte, una o più raccomandazioni, fornisce adeguate
spiegazioni in merito ai motivi della mancata o parziale applicazione. Inoltre, nel caso
in cui sia possibile optare tra diversi comportamenti alternativi, è richiesta una
descrizione dei comportamenti osservati, mentre non è necessario fornire motivazioni
in merito alla scelta adottata.
Il corretto funzionamento del principio “comply or explain” è essenziale nell’ottica di una
corporate governance efficiente. Pertanto, è auspicabile che esso venga non solo
mantenuto alla base del framework comunitario, ma anche rafforzato. Al riguardo, non
può che essere condivisa l’opportunità di favorire l’effettiva trasparenza sulla sua
applicazione, attraverso la puntuale spiegazione dei motivi per cui la società decide di
discostarsi dalle indicazioni fornite dal codice di governo societario e l’illustrazione delle
eventuali diverse soluzioni adottate.
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(25) Siete d’accordo sul fatto che gli organismi di controllo dovrebbero essere
autorizzati a verificare la qualità delle informazioni e delle spiegazioni fornite
nella dichiarazione sul governo societario e a richiedere alle società di fornire
ulteriori spiegazioni ove necessario? In caso affermativo, quale dovrebbe essere
esattamente il loro ruolo?
Non si condivide l’idea di puntare su meccanismi di controllo esterno per verificare la
qualità delle informazioni e delle spiegazioni fornite dalle società e, quindi, sulla
corretta applicazione del principio “comply or explain”. Sistemi di questo tipo non sono
infatti compatibili con la flessibilità del principio e, soprattutto, rischiano di snaturare la
natura e la funzione dei codici di governo societario.
È preferibile che sia il mercato, e non un organismo di controllo esterno, a vigilare sulle
dichiarazioni rese dagli emittenti in questo campo e a “sanzionare” gli eventuali
comportamenti scorretti. In particolare, il coinvolgimento di un’Autorità pubblica
comporterebbe costi aggiuntivi, per gli emittenti e per la stessa Autorità, oltre che una
confusione tra regolamentazione e autodisciplina che deve essere evitata.
In questa ottica, eventuali forme di verifica sulla sufficienza ed esaustività delle
informazioni fornite al mercato potrebbero essere più opportunamente affidate agli
stessi enti che promuovono la redazione, l’aggiornamento e la diffusione dei codici di
governo societario tra gli emittenti.
Roma, 22 luglio 2011
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