Inganno volontario e involontario. Samsara e Maja
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Inganno volontario e involontario. Samsara e Maja
Torino, 30 giugno 1951 Bollettino n°2 anno III TERAPIA E PSICANALISI INGANNO VOLONTARIO E INVOLONTARIO SAMSARA e MAYA Abbiamo scritto nell’articolo precedente “Colui che giunge ad impadronirsi della propria volontà di potenza, ed a servirsene ai fini della conquista spirituale, è veramente più che padrone del mondo”. La volontà di potenza che alligna nell’uomo è, infatti, la leva segreta che solleva al più alto diapason, non solo le forze dell’uomo, ma anche tutte le manifestazioni fenomeniche della natura e finisce per incidere profondamente anche sulle leggi manifestatrici. La volontà di potenza è la “libertà” intesa però in senso lato, cioè esplicatesi nei piani bassi e grazie alla quale, questa volontà, trasforma l’antagonismo in lotta dalla quale nasce il molteplice attrito e dalle cui scintille si formano i mondi. In nessun aspetto della Natura la volontà di potenza è chiaramente, decisamente, nettamente accentuata quanto lo è nell’uomo, più in alto egli sale, sulla scala dell’evoluzione, più la volontà di potenza conferma se stessa ed attua l’impulso al superamento ed all’assolutismo, poiché nell’uomo la volontà di potenza è espressione del divino a cui ognuno naturalmente aspira per quel tanto di celeste che è in lui. La volontà di potenza non fa parte della personalità, bensì della psiche, anzi, è della psiche la prima azione che promuove la spinta iniziale verso la liberazione, Non appena l’uomo giunge alla conoscenza della sua innata potenza, subito vuole esplicarla perciò, chi consapevolmente vuole liberare dall’inconscio le forze segrete e le vuole realmente indirizzare alla conquista spirituale, riesce a dominare pienamente la vita in ogni suo aspetto ed a uscire dall’inganno volontario (Samsara) e da quello involontario (Maya), cosicché il transitorio, il limitato, il trasmutabile, non ha più un’azione diretta sopra la psiche e non fomenta più, nella personalità, quelle manifestazioni peculiari che hanno nel “Samsara” l’unica loro ragione di essere. Colui che, mediante la volontà di potenza, attua nel suo spirito l’equilibrio, può serenamente passare nelle vie della perenne trasformazione senza esserne contaminato od ostacolato e senza perdere gran parte del suo tempo nella sterile ripetizione di futili esperienze. Ma quanti sono coloro che sanno servirsi a loro pro di questo formidabile mezzo di vittoria? Pochissimi! I più ignorano anche cosa voglia dire volontà di potenza o la confondono con la violenza e con la crudeltà. Taluno, se non giunge alle elucubrazioni di Nietzche, si ripiega nella ricerca e nella conquista di poteri psichici, scambiando uno dei tanti mezzi con il fine supremo, così indugia nelle pratiche da giocoliere o in esibizioni da fachiro, senza che nel suo Spirito scenda un solo raggio di luce, soprattutto senza che ad operare sia veramente la sua volontà. Qui, mi direte “siamo ai soliti paradossi...!” No! Perché nella conquista dei poteri psichici è assai difficile che intervenga, effettivamente e consapevolmente, “la volontà di potenza” dell’individuo che li brama bensì, quest’individuo, vuole i poteri psichici sotto l’assillo e la suggestione di forze estranee a lui che lo dominano appunto traverso il “Samsara” e lo illudono con l’aiuto di “Maya”. Ma è tempo che veniamo a parlare del “Samsara” e della “Maya”, cioè dell’inganno volontario e di quello involontario che durante la vita fisica e talora anche oltre, tengono prigioniero lo Spirito umano in un vero giardino di “Armida”. Il “Samsara” è, secondo il pensiero Indù, quel ciclo di complessi fisici ed iperfisici che esigono particolarmente nell’uomo un’esplicazione continua; il ciclo delle sensazioni e delle ipersensazioni che vanno dalla grossolana espressione dei cinque sensi: “Vista, udito, olfatto, gusto, tatto”, alla rappresentazione drammatica dell’extrasensorietà esplicantesi in tutte le forme metafisiche e metapsichiche, dalla telepatia alla lettura del pensiero, all’applicazione concreta di tutte le forme divinatorie. Il “Samsara” viene definito inganno volontario e distinto da quello involontario che è “Maya”, infatti, il “Samsara”, è l’esplicazione dell’anima senziente, esplicazione che non può avvenire senza un concorso manifesto della mente concreta, mentre la “Maya” è l’esplicazione del fenomenico a sé stante, operante anche sull’anima senziente, ma in modo sfuggevole e non continuativo; esempio pratico: il panorama delle Dolomiti è fra i più belli del mondo, la sua contemplazione impressiona vivamente la mente nei primi momenti, ma finisce per passare inosservato a chi, in quel luogo, è nato e vissuto...; esempio palmare che niuna cosa lega l’uomo senza la partecipazione della sua volontà e senza l’esplicazione della sua attenzione. Non così il gioco del “Samsara”, il quale agisce fortemente sull’uomo traverso la sua anima senziente, ma soprattutto traverso la sua mente concreta. E’ facile astrarsi dal fenomenico se esso ci è relativo, non è facile quando esso incide sopra la nostra attività psichica o fisica, soprattutto quando sfiora i più complessi e riposti aspetti della personalità... cioè, in quel punto, dove la coscienza di essere diviene anche disperazione di essere, ma non anelito alla liberazione, poiché questa liberazione implicherebbe la distruzione di tutte le sovrastrutture, personalità compresa. Il “Samsara” è il vero ciclo della personalità; ivi, in lungo e in largo, essa domina e si manifesta, ivi, con lusinghe e con minacce, tiene schiava e prigioniera la povera Psiche, facendo sì che Essa si creda libera e padrona di sé e che sempre più fortemente voglia prolungare la sua permanenza nella forma, autoconvincendosi che per lei non vi è altra sorte, altra possibilità, per cui il suo desiderio, fondendosi con quello della personalità, perpetua l’inganno. Allora il “Samsara” diviene veramente il rifugio; il mondo dei sensi si spalanca e imita il mondo dello Spirito, caricaturando in immagini le idee, creando un vero “alter ego” ai mondi spirituali e perpetuando nell’anima senziente sia gli aspetti più orrendi che i più attraenti della forma, così da creare i “reali” (sensoriamente intesi) paradisi ed inferni di tutte le religioni, veri “Samsara” dell’anima dove lo Spirito vive una vita spinta ai confini dell’obnubilamento e dell’annichilimento senza possibilità di comunicare con la psiche, men che meno di liberarla dall’impeto della personalità. Nel “Samsara” l’inganno è volontario; colui che in esso si dibatte non vuole uscirne per il terrore di perdere il senso del suo “io”. Le sofferenze più atroci son le benvenute, purché esse diano, traverso l’anima senziente, sempre nuove prove di separatività; un nirvana di annichilimento, un indiamento ove tutto è annullato, formano il vero terrore del “Samsara” il soffrire non è nulla purché dia la prova di una permanenza: la volontà di essere si aggrappa al Samara e ne diviene la sua volontà; si conosce la verità, ma ci si attiene all’inganno. “Non importa ciò che io sia, purché io sia qualcosa”. Il “Samsara” però, di per se stesso non potrebbe durare a lungo se non trovasse in Maya la sua più forte alleata e talora la sua maggior nemica. Maya è l’inganno involontario, l’illusione della forma, la “féerie” (fantasmagoria) dell’immagine, che però opera autonomamente. Mille fiori, diversi di forma e di colore, sono suscitati da un unico raggio e, di quest’unico raggio, esprimono ognuno un aspetto, ma nessuno di questi aspetti esprime la realtà dei fiori né quella del raggio, essi variano, mutano di continuo, ed in questo mutare è l’essenzialità di Maya. Essa illude, o meglio, permette l’illusione; il suo inganno però è senza frode, non così quello del Samsara. Il Samsara è l’incantatrice Armida che tiene prigioniero il cavaliere Rinaldo; Maya, invece, è la fata Morgana che proietta immagini di luoghi e di cose realmente esistenti, ma lontanissime dal punto in sui si trova l’osservatore. Mentre Armida, per tener prigioniero Rinaldo, deve forzare la complicità dell’anima senziente, lusingando in Rinaldo le manifestazioni personalistiche, la fata Morgana è, di per sé innocua, in quanto, qualunque rappresentazione essa faccia del mondo formale, mai giunge alla proiezione esterna della drammatizzazione interiore degli aspetti manifestativi della mente concreta, quindi, non può giungere alla catalizzazione di complessi psichici più o meno imponenti, atti a creare ex novo dei mondi animici ove l’inganno si perpetui. Per questo abbiamo affermato che il Samsara trova, in Maya, sia la sua più forte alleata, che la sua più irriducibile nemica. Maya, a differenza del Samsara, inganna involontariamente l’uomo, essa è l’eco che ripete l’ultima parola, mentre, il Samsara, è l’insidiosa domanda che trasforma in risposta sibillina l’ultima parte di sé come nel gioco ritmico ben noto: ”Quand’è che “Ora! Mia Filli Ria! La verità Ita!” qui è nel convenga pastorella cuore far molto suo è dimora?” seria? scolpita? Si potrebbe continuare all’infinito mutando la “eco” in oracolo e, astutamente, facendolo operare. L’inganno si veste di verità, così il Samsara prende da Maya l’aspetto reale per operare il suo irreale inganno, l’innocente manifestazione della vita diventa spaventevole espressione di “morte” (la morte è qui intesa, non già come il fenomeno fisico, ma come incapsulamento delle facoltà animiche e spirituali e come impossibilità a liberare la parte divina che è lo Spirito stesso presente in ogni uomo). In ogni uomo crocifisso, Maya e Samsara s’intrecciano come serpi nel caduceo di Mercurio, con le teste opposte e le code allacciate. L’uomo dei sensi è la verga intorno alla quale si avvolgono i serpi, mentre l’uomo dello Spirito è Mercurio che porta sia la verga che i serpi come insegna di comando e se ne fa, al tempo stesso, un’arma d’attacco. Conoscendo la verità, l’afferma nel simbolo e la rivela avvolgendola d’un velo di luce cosicché solo l’Eletto giunga a possedere l’ultima chiave, ma vi giunga solo a prezzo di durissime lotte e di immani vittorie su se stesso. Il caduceo di Mercurio e l’argentea chiave di Iside, sono la cristallizzazione simbolica di quest’assioma. Nella tecnica buddhista, così come nella pratica Yoga si tenta, per vie opposte, d’impadronirsi del caduceo di Mercurio, si tenta cioè di individuare “Samsara e Maya” non come parte dell’uomo, ma come qualcosa in cui l’uomo si dibatte. Samsara è la cesta e Maya è il flauto del quale l’incantatore di serpenti si avvale per custodire e far agire il cobra che è la psiche. Ora è chiaro che il cobra non si valorizzerà, divenendo la cesta ov’è custodito, o il flauto che lo eccita, ma divenendo l’incantatore, in altre parole: mutandosi in una superiore natura. Per operare questa trasmutazione, la psicanalisi può essere utile? Può portare a risultati concreti e dare all’umanità almeno una delle chiavi segrete, quella dell’Immacolata Concezione? Possiamo, senza tema di errare, asserire di sì... a patto e condizione però, che la psicanalisi esca dall’empirico e dall’approssimativo e che, lasciando in disparte... cesta, flauto e cobra, passi direttamente all’attacco dell’incantatore; cioè lasciando quindi in pace l’inconscio (il quale nulla è se non una cloaca) e vada, risalendo per il canale di scolo, ad identificare l’elemento produttore dei vari complessi. Non si può procedere ad una vera pulizia dell’inconscio, per conseguenza non si può ristabilire la massa dei vari equilibri psicofisici compromessa dai complessi, se non si risale all’origine del complesso stesso; origine che non è né psichica né fisica, bensì squisitamente spirituale. Cobra, flauto e cesto servono all’incantatore di serpenti, ma non sono l’incantatore. E’ chiaro che possiamo spezzare il flauto, sfondare il cesto, uccidere il cobra, ma con questo noi non avremo recato che un danno minimo all’incantatore stesso, che è il padrone del cobra ed il suscitatore delle sue passioni, delle sue collere, delle sue paure, delle sue cupidigie: o ci mettiamo d’accordo con l’incantatore di serpenti o ci lasciamo mordere ed avvelenare dal cobra. Così la psicanalisi deve coraggiosamente affrontare il problema dello spirito che è uno nell’umanità e che si differenzia nel singolo uomo soltanto traverso le molteplici identificazioni che esso vuol dare e che altro non sono se non un riproporre lo stesso problema sotto aspetti diversi. Il problema della sofferenza e quello della gioia nascono dall’inganno volontario del Samsara; mentre il problema del dolore e della felicità sono originati nel Principio della Mente spirituale, sono radicati nello Spirito come caratteri e stigmate della divina somiglianza. Se l’uomo accepisce la sua prima origine e trae, dai caratteri fondamentali della sua somiglianza divina, l’intima ragione del suo stesso essere, il Samsara scompare; per far questo però, l’uomo deve coscientemente imparare a voler conoscere il Samsara, a passare nel giardino di Armida (come i due santi guerrieri riscattati dal cavaliere Rinaldo) armato con la spada della volontà, difeso dallo scudo della fortezza; in una parola: nell’esercizio consapevole e volitivo delle virtù che sole fanno l’uomo simile a Dio. L’opera della psicanalisi deve, quindi, puntare decisamente verso lo Spirito, cioè verso la pienezza di quei veri valori eroici nel senso assoluto nobile e pieno della parola, ovverosia verso la manifestazione di Eros, o Spirito Santo, Spirito d’Amore, o Dio-Uomo che è l’ultimo e vero significato della creazione stessa. Vista sotto questo aspetto, ci rendiamo ben conto che la psicanalisi viene a rivestire veri valori religiosi, allora, una domanda s’impone: fra la pratica della religione rivelata e la serietà scientifica dell’indagine psicanalitica, quale differenza vi è? Praticamente nessuna se la pratica religiosa non è superstizioso bigottismo e l’indagine psicanalitica non è ciarlataneria pseudo-scientifico, ossia: se entrambe sono perseguite con nobiltà d’intenti e serietà di attuazioni. L’uomo ha bisogno di Dio: Psiche da sempre tende ad Eros che, da sempre, l’attende e la chiama. Dare all’uomo coscienza di Dio significa rendere l’uomo maggiore a se stesso e portarlo, oltre le apparenze, all’assoluto della realtà. Per far ciò però, bisogna sgomberare il pensiero dell’uomo dall’enorme quantità di sovrastrutture che lo gravano; semplificare al massimo la via del ritorno, riunire i simboli in un unico Simbolo, quello di Mercurio che raccoglie da terra il bastoncello con i due serpi attorti e che, levandolo nel sole, ne fa chiara insegna di potere, procedendo con passo spedito verso le mète intraviste. Allora “Samsara e Maya” non potranno più nuocere all’uomo, ma l’uomo le porterà seco per dominare la vita, sfidare la Gorgone, vincere la Medusa e strappare dalle braccia del nero Plutone la bianca Proserpina, figlia della terra e del Cielo, che è la desolata eppur coronata Psiche, avviata per un sentiero di spine ad un’unica suprema splendente mèta di gloria. ***********