Closed for Business

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Closed for Business
Susan Milligan, “Chiuso
per affari: l’Energy Bill è il trionfo degli
interessi particolari”, The Boston Globe, 4 ottobre 2004 (seconda parte di
un’inchiesta in tre puntate)
Titolo originale: Closed for Business. Energy Bill a special-interests
triumph – traduzione di Fabrizio Bottini per http://eddyburg.it
http://www.boston.com/news/nation/articles/2004/10/04/energy_bill_a_special_i
nterests_triumph/?
WASHINGTON - Robert Congel ha grandi piani, e una visione chiara per il suo
complesso commerciale nel nord dello stato di New York. Etichettato come il
più grande mall del mondo, l’ancora da costruire DestiNY USA ospiterà 400
negozi di varie dimensioni, migliaia di stanze d’albergo, un parco di 30 ettari
chiuso in un involucro di cristallo, e poi una parete di roccia e ghiaccio da
scalare, o un teatro in grado di ospitare gli spettacoli di Broadway.
E se i suoi sostenitori nel Congresso troveranno il modo, il mega-mall sarà
parzialmente finanziato dall’Energy Bill federale, che fornirà 100 milioni di dollari
di denaro pubblico. La febbrile campagna di lobbying condotta da Congel paga i
suoi dividendi a Capitol Hill. Quando i membri dell’assemblea legislativa lo
scorso inverno hanno votato l’aumento dei prezzi della produzione di petrolio
interna, hanno anche votato per aiutare Congel a costruire il suo mall gigante,
attraverso le “obbligazioni verdi” - greenbonds - esentasse.
L’iniziativa dei greenbonds – chiamati così perché i progetti che finanziano
dovrebbero essere energeticamente efficienti – è stata una delle numerose
aggiunte cacciate dentro all’energy bill da legislatori che si incontravano a porte
chiuse. Questi provvedimenti non hanno sostenitori ufficiali, e non facevano
parte della documentazione originale approvata da camera e Senato, ma sono
state aggiunti più tardi da mani sconosciute, quando le 816 pagine del
documento sono state redatte in riunione segreta.
Pensato per delineare un apolitica energetica nazionale per la prima volta in più
di dieci anni, lo energy bill è diventato una cuccagna di finanziamenti per gli
interessi legati alle imprese, dentro e fuori il campo energetico. Il progetto,
fermo per una serie di manovre al Senato ma ancora in cima alle priorità
legislative del Presidente Bush, prevede iniziative per incoraggiare la
produzione di energia da fonti esistenti e nuove. Ma è anche diventato un
simbolo, spesso quanto un elenco telefonico, del modo attuale di fare le leggi a
Washington, dove la politica è indirizzata da chi ha soldi, potere, e accesso ad
un gruppo relativamente ristetto di decisori.
Un’analisi condotta dal Boston Globe su migliaia di pagine delle pratiche di
lobbying mostra che i vari soggetti con interessi consolidati nelle politiche
energetiche hanno speso in attività di lobbying 387.830.286 dollari a
Washington lo scorso anno. Hanno anche pagato decine di migliaia di dollari in
contributi elettorali agli incaricati che hanno costruito il documento tra la Casa
Bianca e Capitol Hill.
L’analisi del Globe dimostra che le grandi corporations e altri, comprese alcune
Università, sono stati premiati dal progetto di legge attraverso riduzioni fiscali,
progetti di costruzione, deroghe ai regolamenti che risparmieranno loro molto
più di quanto non abbiano speso per rendere note al governo le proprie
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esigenze.
In alcuni casi, i beneficiari sono specifiche compagnie come Home Depot, che
ha speso 240.000 dollari in lobbying nella speranza di guadagnarne decine di
milioni in risparmi. Home Depot – il cui PAC ha contribuito il massimo di 5.000
dollari alla campagna di Bush del 2004, e i cui dipendenti ne hanno versati
226.400 a Bush e al Republican National Committee – è beneficiata da una
sezione in due paragrafi del progetto di legge, che elimina le tariffe sui
ventilatori da soffitto cinesi. Questa modifica farà risparmiare a Home Depot a
ad altre compagnie un totale di 48 milioni, secondo i calcoli del bipartisan Joint
Committee on Taxation.
Detto in altre parole, gruppi di imprese hanno investito milioni di dollari in
poressioni per ottenere miliardi in finanziamenti governativi e in deregulation.
L’industria nucleare, che ha speso ben 71.405.955 in lobbying a Capitol Hill,
avrà 7,37 miliardi fra tasse e progetti, compresi finanziamenti federali per
costruire un impianto nucleare da un miliardo in Idaho. Questo impianto, che
sarà il primo commissionato in decenni, avrà anche ripercussioni benefiche
sull’industria dei carburanti all’idrogeno, dato che l’installazione nucleare dovrà
produrli.
Parecchie grandi compagnie in campo energetico, che hanno speso decine di
milioni in lobbying, hanno ottenuto una storica deregulation nel proprio campo,
che toglierà di mezzo controlli che risalgono all’epoca della Depressione, su
come spendono i propri soldi, e consentirà loro di diventare conglomerate – con
poche possibilità di recupero per i piccoli investitori se gli investimenti
speculativi delle compagnie andranno male.
I principali sostenitori di Bush guadagneranno profumatamente dall’energy bill.
Sessanta dei 400 cosiddetti Pioneers e Rangers – quelli che si sono impegnati
a raccogliere rispettivamente almeno 100.000 o 200.dollari per sostenere la
rielezione di Bush-Cheney – saranno beneficiati dalle riduzioni fiscali, dai
sussidi, dal ridimensionamento di regole e controlli, secondo un calcolo del
Sierra Club.
La Massey Energy del West Virginia – il cui direttore, James H. “Buck” Harless,
è uno dei principali raccoglitori di fondi per Bush – avrà centinaia di milioni di
dollari in prestiti garantiti per un impianto di gasificazione del carbone. Harless
ha lavorato nella squadra per la trasformazione energetica del Presidente Bush,
che ha preceduto la Energy Task Force del Vice President Dick Cheney, la
quale a sua volta ha sviluppato il progetto centrale del progetto di legge a
Capitol Hill.
”Il problema è che tutto si sta trasformando in un progetto di interessi
particolari”, dice Charlie Coon, esperto in questioni energetiche alla Heritage
Foundation, think tank conservatore. “Il problema di base, è che non risolverà il
problema di fornire l’energia necessaria alle attività economiche, o perché la
gente possa accendere la luce. Si sta trasformando tutto in una farsa”.
Dietro le porte chiuse
La costruzione del progetto di legge riflette il modo in cui sono condotti gli affari
a Washington nel 2004. Coi Repubblicani che godono del controllo di entrambe
le Camere, più la Casa Bianca, i leaders del Grand Old Party mettono insieme
enormi programmi dietro porte chiuse, escludendo il partito di minoranza e
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schiacciando il dissenso da parte di Repubblicani moderati e lobbisti i cui
programmi non coincidono con gli scopi del partito, a parere di membri di
entrambi gli schieramenti e ex parlamentari.
E anche se altri progetti hanno avuto la loro parte di programmi privilegiati e
distribuzione di risorse a varie imprese o gruppi di interesse, lo energy bill è
considerato dai gruppi ambientalisti e dalle associazioni dei consumatori uno
degli esempi più estremi di eccesso nella distribuzione ai privati.
”La cosa davvero sorprendente è come una combinazione di persone
dell’industria energetica, del gas e petrolio, dei grandi servizi pubblici, del
carbone, attraverso un’ampio raggio di decisioni politiche (che siano la
Environmental Protection Agency o l’energy bill) ottengano letteralmente
miliardi di dollari come pagamento in cambio di milioni di dollari” in contributi e
spese di lobbying, afferma Mark Longabaugh, vice presidente anziano per le
questioni pubbliche della League of ConservationVoters.
Il progetto di legge ha iniziato a definirsi dapprima come prodotto collaterale
della task force sull’energia di Cheney, un comitato di funzionari di Washington
che si incontrava in provato per redigere un documento di politica energetica
nazionale, poco dopo che Bush era stato eletto.
Uno studio dello scorso anno dell’indipendente General Accounting Office ha
rilevato che la task force sull’energia era informata da “interessi energetici” di
tipo privato, principalmente imprese legate al petrolio, carbone, nucleare, gas
naturale, industrie elettriche. Il rapporto afferma che non si è stati in grado di
determinare l’estensione dell’influenza di queste imprese sulle decisioni
politiche, a causa delle limitate informazioni messe a disposizione del General
Accounting Office.
Ma altri documenti, forniti dietro ordine di un tribunale, mostrano come quindici
soggetti connessi al campo energetico abbiano avuto contatti con la task force,
contatti che si sono risolti in provvedimenti di politica energetica a proprio
favore.
Lo Edison Electric Institute, che aveva avuto contatti con la task force 14 volte,
spendendo 12 milioni in lobbying a Washington lo scorso anno, si è assicurata
una storica deregulation riguardo all’impresa energetica che gli analisti
calcolano di un valore di miliardi di dollari.
Il Nuclear Energy Institute, che ha ottenuto miliardi in riduzioni fiscali e progetti,
aveva avuto 19 contatti con la task force, e sborsato1.280.000 dollari in azioni
di lobbying nel 2003. Anche l’industria nucleare trarrà beneficio dall’estensione
e ampliamento, nello energy bill, del Price Anderson Act, che blocca la
solvibilità finanziaria di un impianto di energia nucleare in caso di incidente.
Anche se non è stato commissionato alcun nuovo impianto nucleare in decenni,
il progetto prospetta una rinascita di questa discussa fonte di energia.
La Southern Company, impresa elettrica che ha speso 990.000 dollari in
lobbying, trarrà beneficio da regole più lasche sull’emissione di mercurio,
sostanza tossica rilasciata dagli impianti energetici. Il vice presidente della
Southern e un lobbista si sono incontrati con la task force, secondo documenti
messi a disposizione a seguito di una citazione in giudizio del Natural
Resources Defense Council. La Environmental Protection Agency, che deve
emanare i regolamenti definitivi il prossimo anno, stima che la deregulation sulle
emissioni di mercurio farà risparmiare agli impianti energetici degli USA un
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totale di 2,7 miliardi.
L’American Petroleum Institute, che ha avuto contatti con la task force sei volte,
e ha speso 3.140.000 in lobbying lo scorso anno, avrà miliardi di riduzioni fiscali
e sussidi per incoraggiare la produzione interna.
Gli ambientalisti, esclusi dalla task force, hanno ottenuto poco nel pacchetto
definitivo, dopo aver speso una piccolissima parte di quanto speso dall’industria
energetica in lobbying. La League of Conservation Voters, per esempio, ha
speso 46.516 dollari in lobbying l’anno scorso; il Natural Resources Defense
Council 920.000, e la Union of Concerned Scientists 150.000, come emerge dai
rapporti sulle attività di lobbying.
Le imprese che avevano contatti con la task force di Cheney ottenevano
vantaggi strategici, afferma Larry Noble, analista del Center for Responsive
Politics, perché potevano sostenere le proprie ragioni già dalle prime fasi di
sviluppo delle politiche energetiche.
”Hanno ottenuto quello che volevano sin dal primo giorno” dice Noble. “Tutti i
lobbisti sanno quanto sia importante essere presenti quando si preparano i
documenti, prima che si scrivano le leggi. Quando il progetto di legge è pronto,
è tardi. Si gioca solo in difesa”.
Il comitato congiunto
Dopo che la task force di Cheney aveva redatto le sue raccomandazioni, il
compito di stendere il progetto di legge passò a camera e Senato, dove i
membri della maggioranza Repubblicana mantennero immutate molte delle
proposte. Poi, nella speranza di realizzare un accordo fra Camera e Senato, i
leaders nominarono un comitato congiunto.
Ma questo comitato cominciò ad aggiungere parti che non erano mai comparse
in nessuna versione del progetto. E i lobbisti subissavano i membri di richieste
per includere qualcosa o qualcuno, compreso il mall di Congel, nella legge.
L’aggiunta di progetti del genere fa rizzare particolarmente il pelo dei cani da
guardia degli sprechi governativi. Anche se DestiNY USA prometteva di essere
un modello di efficienza energetica, i critici si chiedevano cosa avesse a che
fare un centro commerciale con la definizione di una politica energetica
nazionale.
L’iniziativa dei greenbonds non faceva parte dei progetti originali di camera e
Senato passati attraverso udienze pubbliche e la discussione in aula. Era stata
aggiunta dal comitato congiunto, un gruppo che aveva escluso i Democratici del
tutto, salvo per due delle riunioni di redazione del documento. La massiccia
versione definitiva fu resa pubblica un sabato, lasciando ai Democratici e a quei
Repubblicani non inseririti all’interno dei gruppi di negoziazione a malapena tre
giorni per studiarsela, prima che fosse chiesto di votarla in aula.
Il deputato Edward Markey, Democratico di Malden veterano dello Energy and
Commerce Committee, racconta che fu obbligato a seguire gli sviluppi del
documento del suo comitato parlandone coi lobbisti di Washington.
”Non potevamo stare dietro a quello che stava succedendo” dice Markey. “Tutto
quello che avevamo erano fughe di notizie. Quello che hanno fatto su questo
disegno di legge per l’energia non ha precedenti. Non hanno avuto rispetto per i
Democratici, ma - cosa più importante – nemmeno dei gruppi ambientalisti e di
consumatori del paese.
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Congel è un costruttore, di successo anche se discusso, il cui valore economico
è stimato dalla rivista Forbes di circa 700 milioni. Congel e la sua impresa, la
Pyramid Management, sono stati citati a giudizio nel 2000 da ex soci in affari
per frode, e il caso è ancora aperto. La Pyramid ha ripagato più di 800.000
dollari a un’impresa affittuaria, la Limited, che affermava come si fossero
gonfiate le cifre delle bollette telefoniche. Gli organi giudiziari statali e federali
non hanno ritenuto di procedere nei confronti dell’impresa.
Sia Congel che la DestiNY USA non hanno risposto a ripetute richieste di
commentare questo fatto.
Altri tre progetti di centri commerciali - uno in Georgia, uno in Louisiana (patria
di un ex presidente dello House Energy and Commerce Committee, il deputato
Repubblicano Billy Tauzin), e uno in Colorado – trarranno benefici dalle
proposte dei greenbonds, anche se ci vuole qualche capacità speciale per
capirlo dal linguaggio del progetto di legge.
Chiamata “programma dimostrativo per i siti industriali inquinati, per
edificazione ambientalmente qualificata e progetti a orientamento sostenibile”,
la sezione greenbonds del programma non fa menzione di particolari progetti o
stati. Ma le linee guida si adattano esattamente a questi, sia secondo i
rappresentanti del Congresso, sia secondo i gruppi di osservatori che hanno
studiato il documento.
”Non sono nominati, ma tutti sanno quali sono, basandosi sul linguaggio” dice
Keith Ashdown, vice presidente per le questioni politiche al Taxpayers for
Common Sense. “Un senatore Repubblicano scherzava sul fatto che il
documento avrebbe potuto anche richiedere che uno dei progetti fosse
collocato in un luogo il cui nomignolo è Cajun State”, a sottolineare come uno di
questi casi particolari stia a Shreveport.
Congel è stato aggressivo sostenitore dei finanziamenti pubblici al suo progetto.
Ha formato un comitato di azione politica, il Green Worlds Coalition Fund, che
ha raccolto 82.897 dollari, la maggior parte dei quali sono andati a contributo
della campagna elettorale di Bush, e dei deputati nei posti chiave riguardo allo
energy bill. In più Congel, la sua famiglia, e i dipendenti di DestiNY USA e della
Pyramid, hanno contribuito con altri 69.084 dollari a campagne per il Congresso
e per Bush, secondo le analisi dell’indipendente Center for Responsive Politics.
I proponenti del progetto hanno fatto anche grossi investimenti in lobbying,
spendendo 140.000 dollari lo scorso anno e 60.000 quest’anno per convincere
il Congresso – che ha già dato a DestiNY USA 1,7 miliardi l’anno scorso per la
trasformazione delle aree circostanti il sito del progetto – ad approvare la
proposta dei greenbonds.
Nel frattempo, Congel lavorava per aiutare alcuni decisori chiave. Lui, la sua
famiglia, i suoi soci, hanno dato molto al deputato Bob Beauprez, una matricola
del Colorado che vorrebbe anche assistenza finanziaria per un progetto di
costruzione nel suo distretto. Congel ha anche ospitato un’iniziativa di raccolta
fondi a cui ha partecipato Cheney.
Anche se la gran parte dei contributi elettorali di Congel e di DestiNY USAsono
andati ai Repubblicani, i sostenitori del progetto non hanno trascurato i senatori
Democratici di New York, Hillary Rodham Clinton and Charles Schumer, i quali
entrambi hanno ricevuto contributi da Green Worlds e dallo stesso Congel.
Schumer, secondo una tattica apparentemente contraddittoria piuttosto comune
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a Washington, ha lottato decisamente per inserire i greenbonds nello energy
bill, anche se stava anche lottando per la sconfitta del progetto nel suo insieme.
”Pensavo che fosse una buona iniziativa” ha detto Schumer a proposito dei 2,2
miliardi di dollari a DestiNY USA, che i costruttori affermano porterà più di
100.000 posti di lavoro fissi legati al turismo, nell’area di crisi economica del
nord New York.
Schumer afferma anche di essersi opposto allo energy bill perché liberava dalla
responsabilità i produttori di un additivo della benzina che ha avvelenato le
acque sotterranee a New York e in altri stati.
Sul versante dei deputati, James Walsh, Repubblicano di Syracuse, è stato un
campione nel sostegno al progetto DestiNY, localizzato nel suo distretto. Walsh,
che dice di essere stato compagno di scuola di Congel al liceo, difende il
progetto coma valido prototipo di come si possa realizzare un mall sostenuto da
energie rinnovabili come quella solare.
E aggiunge che i posti di lavoro sarebbero importanti nel suo distretto.
”È l’unica persona che bussa alla mia porta e vuole spendere due miliardi” dice
Walsh.
Ma i deputati che stanno all’erta contro gli sprechi, e gli ambientalisti, si
chiedono perché mai il governo federale dovrebbe aiutare un costruttore
multimiliardario a realizzare un complesso commerciale e turistico.
”È evidente che l’unico verde a cui è mai stato interessato Bob Congel è quello
che sta nelle sue tasche” dice Chuck Porcari, direttore per le comunicazioni alla
League of Conservation Voters.
Quando lo energy bill era fermo a dicembre, Pete Domenici, Repubblicano del
New Mexico a capo del Senate Energy and Natural Resources Committee, l’ha
modificato per renderlo più accettabile a un Senato poco convinto. Una diversa
versione, che ufficialmente non ha rimpiazzato il bill originale, non comprende
l’istituto dei greenbonds.
Ma con l’aiuto di Schumer, DestiNY USA può dare un altro morso alla torta dei
fondi federali. Schumer e il Senatore Zell Miller, un Democratico il cui stato – la
Georgia – è in corsa per un progetto da greenbonds, hanno inserito un
emendamento che accorpa i progetti a un disegno di legge per le tasse di
impresa, con più alta probabilità di guadagnarsi l’approvazione. Un comitato
congiunto inizierà la stesura del progetto da oggi.
”È come un’arma a testate multiple. Proviamo con il progetto di legge
sull’energia, o quello sui trasporti, o quello sugli stanziamenti. Se spariamo tutte
queste testate, riusciremo a colpire qualcosa” commenta David Williams,
dell’indipendente Coalition Against Government Waste.
Far ingrassare un documento
Il progetto di Congel non è stato l’unico a trovarsi un nuovo veicolo di
finanziamento, nonostante il blocco del disegno di legge.
Il Senatore Charles Grassley, Repubblicano dello Iowa a capo del Senate
Finance Committee, e il cui sostegno allo energy bill era critico per le questioni
fiscali, voleva 50 milioni di dollari per una foresta pluviale artificiale nel suo stato
coltivato a granturco. I sostenitori dicevano che il progetto sarebbe stato
educativo, ma è stato cancellato prima che lo energy bill andasse alla
discussione in aula.
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Ma Grassley ha avuto quello che voleva in gennaio, quando il suo progetto è
stato fatto scivolare in un decreto omnibus di spesa per il finanziamento di
azioni delle agenzie federali per il 2004. “La maggior parte dei progetti
straordinari, se sostenuti da politici potenti, hanno nove vite” dice Ashdown.
I sostenitori dell’energy bill riconoscono che sia stato imbottito di programmi
locali, ma dicono che queste inclusioni spesso ernao necessarie per cucire
insieme una coalizione di voto. “È una delle funzioni del processo di formazione
delle leggi” afferma Frank Maisano, un lobbista dell’industria energetica per il
marchio Brace and Patterson.
E la battaglia sul pacchetto energetico certamente ha aspetti filosofici. Quelli
che lo appoggiano sostengono che la nazione deve produrre più energia da
sola per liberare il paese dalla dipendenza dal petrolio estero. Alle imprese
devono essere offerte riduzioni fiscali e sussidi, affermano uomini delle imprese
e alcuni politici e analisti, perché la ricerca e sviluppo di nuove fonti
energetiche è una cosa costosa.
Anche se agli ambientalisti piace demonizzare i profitti dell’industria petrolifera,
dice Maisano, queste imprese hanno bisogno di incentivi finanziari per cercare
nuove riserve in zone inesplorate. Per esempio ci sono potenziali riserve
petrolifere particolarmente costose, perché stanno ad alta profondità; senza
riduzioni fiscali, la maggior parte delle imprese non si prenderà il rischio
finanziario di trivellare in quei luoghi.
Ma i critici, tra cui anche parecchi Repubblicani conservatori in fatto di tasse,
insieme ai Democratici, insistono nel sostenere che le riduzioni sono sfuggite di
mano nel corso delle riunioni a porte chiuse, con moltissimi beneficiari ridotti di
fatto a singole imprese. Una volta finita, la versione originale dell’energy bill
conteneva circa 20 miliardi fra crediti fiscali e sussidi all’industria energetica.
Ma gli analisti ritengono che il principale colpo per le aziende siano i
provvedimenti di deregulation, per assicurarsi i quali le compagnie energetiche
hanno speso centinaia di milioni di dollari.
Il primo punto sulla lista delle cose da fare era l’eliminazione di una vecchia
regola, chiamata Public Utility Holding Company Act. Poco conosciuta al di fuori
del mondo energetico e finanziario, è una questione critica per l’industria
elettrica, la cui vasta squadra di lobbisti è riuscita a persuadere i negoziatori al
Congresso a rimuovere quella legge. Nelle centinaia di memorie dei lobbisti
inoltrate per tentare di influenzare i lavoro sullo energy bill, la necessità di
togliere di mezzo le regole sull’industria elettrica compare 98 volte.
Gli interessi legati all’elettricità hanno investito milioni di dollari nel tentativo di
abbattere quella legge.Lo Edison Electric Institute, che rappresenta l’industria
elettrica, ha speso 12.540.000 dollari per una squadra di 35 lobbisti nei propri
uffici e in dodici altre imprese per fare pressioni sul Congresso, la Casa Bianca,
e le agenzie federali, contro il Public Utility Holding Company Act e su altre
questioni energetiche. Singole imprese del settore, insieme ad altre contrarie a
questa legge fondamentale, hanno sborsato altri 56.420.670 in lobbying lo
scorso anno, secondo i documenti archiviati dagli uffici di camera e Senato.
E l’industria non è stata spilorcia nemmeno nei contributi elettorali. Dirigenti e
responsabili delle industrie elettriche hanno dato un totale di 7.733.941 dollari
per la tornata elettorale del 2004, facendo del settore il 19° maggior
contribuente, secondo i calcoli del Center for Responsive Politics. Tauzin,
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potente ex presidente dello House Energy and Commerce Committee, è stato
particolarmente beneficiato, ricevendo più di 150.000 dollari per la sua
campagna dall’industria dell’energia nel suo complesso, compresi i circa 76.000
dal solo settore elettrico.
Lo sforzo ha avuto successo: passaggi tesi ad abbattere la legge spartiacque di
regolamentazione sono inclusi in tutte le versioni dello energy bill presenti ora a
Capitol Hill. Se il disegno diventerà legge, sia i favorevoli che gli oppositori
prevedono un’esplosione negli investimenti nel settore energetico.
Ma là dove i finanzieri vedono opportunità di investimenti, i difensori dei
consumatori vedono futuri casi Enron in via di costruzione, perché quella legge
era stata approvata per isolare gli impianti di produzione dal tipo di scambi nel
settore energetico che hanno causato il crollo della Enron di Houston, con la più
grossa bancarotta della storia. Liberatevi delle regole che limitano gli
investimenti incrociati delle compagnie, dicono i rappresentanti dei consumatori,
e il paese si troverà di fronte a una crisi energetica e finanziaria molto simile a
quella che ha portato all’approvazione del Public Utilities Act.
La radici di questa legge stanno nell’era della Grande Depressione e della crisi
del 1929. L’allora nascente induatria elettrica era in gran parte di proprietà di un
piccolo gruppo di holdings, che utilizzavano i proventi delle vendite di energia
per investire in modi più rischiosi.
Quando quegli investimenti iniziarono a vacillare, le holdings implosero, e 53
imprese elettriche andarono in bancarotta; questo collasso rese più grave la
Grande Depressione. Il consolidamento del settore consentì anche alle
compagnie di manipolare il mercato e scaricare prezzi più alti sui consumatori.
Dopo un’indagine e una serie di audizioni, il Congresso approvò le norme del
Public Utility Holding Company Act nel 1935, imponendo controlli senza
precedenti sulle holdings energetiche. Ma ora, dicono i portavoce dell’impresa
energetica, quella legge è superata, e così onerosa da scoraggiare gli investitori
dal mettere risorse nell’elettricità.
”Si tratta di un settore capital-intensive. L’abolizione del PUHCA servirà a
incoraggiare potenzialmente i capitali a tornare a scorrere verso il merecato
dell’energia” afferma Pete Sheffield, portavoce della Duke Energy, impresa che
aveva tra i suoi dipendenti Andrew Lundquist, direttore della task force
sull’energia di Cheney, a fare lobbying per la soppressione della legge.
Le amministrazioni Clinton e Bush hanno già indebolito alcune regole,
consentendo alle imprese di aggirare alcuni punti del PUHCA. Ma l’eliminazione
completa della legge potebbe avere effetti catastrofici sia sui mercati finanziari
che sui consumatori, osservano i critici.
”È l’unica cosa che sta tra noi e un monopolio” dice Lynn Hargis, ex avvocato
della Federal Energy Regulatory Commission, che ora lavora per il gruppo di
osservatori Public Citizen.
Cancellare il PUHCA dal corpo delle leggi metterà in gioco una cifra stimata in
un trilione di dollari energy in titoli elettrici, continua la signora Hargis, con
implicazioni enormi sia per il settore energetico in particolare che per i mercati
finanziari in generale.
La deregulation, prevede, consentirà altri episodi come il caso dello scandalo
Enron, dato che le compagnie potranno muovere capitali in ogni direzione, e
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mettere a rischio la solidità finanziaria dei fornitori di energia.
Deregulation aggiuntiva
Ma i lobbisti degli interessi energetici sono riusciti ad andare anche oltre
l’allentamento delle regole finanziarie.
L’attuale progetto di legge auspica una deregulation anche delle norme che
proteggono la qualità dell’aria. Una delle proposte allenterebbe i limiti
sull’ozono, che produce smog. Questi passaggi, che non si trovavano in
nessuno dei progetti originali usciti da camera o Senato, non solo
abbasserebbero gli standards del Clean Air Act per la produzione di ozone, ma
allungherebbero i tempi a disposizione dell’industria per adeguarsi. Queste
modifiche, inserite in sede di comitato congiunto, andrebbero a grosso
vantaggio delle raffinerie.
Sono stati inseriti nel progetto anche passaggi che esentano le imprese di
prospezione per gas e petrolio da alcune regole del Clean Water Act; secondo
queste modifiche, le imprese non potrebbero essere accusate di contaminare
acque pubbliche. Sarebbe fornito alle compagnie del settore gas e petrolio un
“free pass” che le liberi dalle leggi sull’acqua, rendendole le uniche imprese non
soggette a queste regole, come osserva Bob Filner, deputato Democratico della
California.
I lobbisti energetici hanno anche convinto l’amministrazione Bush ad allentare i
controlli sul mercurio, un agente tossico rilasciato nell’atmosfera dagli impianti
di produzione elettrica a carbone. Le nuove regole proposte alzerebbero o limiti
delle emissioni, dando anche più tempo agli impianti per adeguarsi: nell’insieme
una combinazione – dicono gli ambientalisti – che non fa molto per proteggere
la gente dall’inquinamento da mercurio di acque e pesci.
Il punto di vista dell’amministrazione Bush sui pericoli da mercurio è molto più
tranquillo di quello dei suoi predecessori.
Quando sotto la presidenza Clinton l’EPA emanò un comunicato nel dicembre
2000 annunciando che per la prima volta sarebbero state richieste riduzioni alle
emissioni di mercurio, la sostanza veniva descritta come “nociva”, che “è stata
associata a danni sia neurologici che allo sviluppo degli esseri umani. Il feto in
fase di crescita è il più sensibile agli effetti del mercurio, che comprendono
danni alla formazione del sistema nervoso”.
Ma l’EPA della presidenza Bush ha assunto un punto di vista più rilassato, e sul
suo sito web descrive il mercurio come “elemento naturale ampiamente diffuso
nell’ambiente”. Anche se l’esposizione a mercurio deve essere “trattata
seriamente” prosegue il sito “i problemi di salute causati dipendono da come
entra nei corpi, quanto si resta esposti, quale è la risposta degli individui”.
Gli interessi energetici e i loro sostenitori al Congresso affermano che il nuovo
progetto di legge emerge da questioni filosofiche, non da pressioni di lobbying; i
portavoce dell’industria dicono che troppe regole mettono pastoie finanziarie
alle imprese e rendono più difficile aggiornare i processi con strumenti più
efficaci rispetto all’ambiente. Ma chi aveva accesso agli ambienti del Congresso
è entrato molto nella formazione del pacchetto, secondo le nostre analisi dei
fascicoli di lobbying, contributi elettorali, e dibattito legislativo.
A Capitol Hill, leggi complicate come l’energy bill tendono ad essere redatte da
più gruppi di lavoro, che a loro volta possono rivolgersi a persone esterne
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all’ambito governativo per consulenze sul linguaggio legale, ci dice un senatore
Repubblicano che chiede di restare anonimo. Gli specialisti sono di solito
lobbisti, dicono i rappresentanti dei consumatori, il che crea una situazione dove
essi hanno un’influenza accresciuta sulla formazione delle leggi.
Gli specialisti esterni, lobbisti o meno, spesso sono dotati di valide capacità. Il
prblema, dicono alcuni lobbisti e legislatori, è che il processo tende a favorire
coloro che hanno già entrature alla Casa Bianca, sia perché ci hanno già avuto
qualche incarico, sia perché hano raccolto denaro per la campagna elettorale
Bush-Cheney.
I lobbisti dell’industria energetica dicono che non è un problema di ripagare i
favori, ma solo una situazione in cui gli ambientalisti si stanno scontrando con
una maggioranza democraticamente eletta che non ha particolarmente a cuore
i loro interessi. Gli ambientalisti – proseguono i lobbisti – dovrebbero essere più
flessibili e riconoscere di aver a che fare con un’amministrazione che desidera
aumentare la produzione energetica.
”Penso che i gruppi ecologisti si siano emarginati da soli, al punto di non avere
l’effetto che potrebbero invece ottenere, concentrandosi solo sugli attacchi a
Bush” afferma Maisano. “Non sono interessati al tipo di politiche, sono solo
contrari alla persona”.
I lobbisti ad orientamento ambientalista, da parte loro, dicono di scontrarsi con
porte chiuse quando cercano di pare pressioni su Capitol Hill. Se riescono a
incontrare qualche legislatore favorevole al loro punto di vista, va a finire che
questa prospettiva è schiacciata dalla maggioranza Repubblicana che vuole
solo vedere più ricerche e produzione nel campo del petrolio, gas, energia
nucleare.
”Sul versante della Casa Bianca, la situazione è decisamente Orwelliana” ci
dice Marchant Wentworth, lobbista della Union of Concerned Scientists. “I
rappresentanti Repubblicani mi hanno detto in faccia che semplicemente non si
confronteranno col presidente su nessun punto. Non ho mai visto niente del
genere”.
Closed for Business. Energy Bill a special-interests triumph – traduzione di Fabrizio Bottini
- The Boston Globe 4 ottobre 2004 - 10/10