File - Antonio Nucci

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File - Antonio Nucci
PLAYMAKER
CAPITOLO I – Partenza
1.
Sollevò il ricevitore sperando che non fosse una questione di lavoro. Non era nel giusto ordine d’idee
per risolvere problemi.
Spero solo che non sia quello della Tecnomedia Lombarda con le sue solite richieste strampalate.
Oggi non lo affronterei.
La riconobbe ancor prima di sentire la sua voce.
“Ciao” attese un istante “volevo salutarti.”
“Ti avrei chiamato io prima di partire.”
“Lo so, ma tra poco devo uscire per un lavoro e ho lasciato il cellulare a casa, così…”
“Capisco. Sei un po’ più calma oggi?”
“La parola giusta è: rassegnata.”
“Sai quant’è importante quello che dobbiamo fare.”
“Sì, lo so, anche se continuo a non capire perché debba andarci per forza anche tu.”
“Te l’ho detto Mari, non posso tirarmi indietro proprio adesso.”
“Già. Così per non lasciare soli i tuoi compagni d’avventura lasci sola me. Non pensi a come starò io
nel frattempo?”
“Ti prego, non ricominciamo ora. Vedrai, andrà tutto bene stavolta. Con un po’ di fortuna metteremo
fine a questa storia. Nigel e Matteo sono in gamba. Se siamo decisi ce la possiamo fare.” Non sentì
risposta. “Mi vuoi ancora bene?”
“E’ per questo che mi arrabbio” disse lei sconsolata.
Poco dopo riagganciò il ricevitore avviandosi verso la stanza da letto quando il telefono lo richiamò sui
suoi passi. Era Nigel.
“Noi siamo pronti” disse con il suo pesante accento inglese ”Matteo è già nella sala d’aspetto. Sembra
un leone in gabbia.”
“Bene, sono pronto anch’io. Fra mezz’ora al massimo sono li.”
“Ce la facciamo vero?”
Guardò il pendolo in fondo al corridoio. L’aereo partiva alle 13,50 da Malpensa. Mancavano circa due
ore e mezza. C’era tutto il tempo di raggiungerli in hotel a Corsico, riprendere la tangenziale ovest e
arrivare in tempo per l’imbarco.
“Stai tranquillo, mi muovo subito.”
Nigel. Doveva ammettere che, per essere un giovane benestante che girava il mondo in cerca
d’emozioni, aveva davvero, come si suol dire, gli attributi. Era appassionato di fenomeni paranormali
al punto di rischiare la vita, lo aveva dimostrato a Montigny nove mesi prima nella precedente
spedizione.
In quello sperduto paese del Massiccio Centrale, ad ottobre, non erano riusciti a chiudere la faccenda
definitivamente, avevano condotto bene la ricerca ma all’atto finale si erano disuniti lasciando il gioco
nelle mani dell’avversario.
Questa volta non dobbiamo commettere lo stesso errore. Tre persone sono già poche per questo
lavoro, se poi gli lasciamo fare il suo gioco e finiamo per separarci…
A differenza dell’avventura in Francia avevano dalla loro, in questo caso, una considerevole quantità
di materiale e conoscenze tecniche in più. Avevano, insomma, tutte le armi giuste per farcela. Matteo,
al secolo Dott. Caravalle, aveva fatto un ottimo lavoro con i fondi dell’Accademia di Scienze Occulte.
Era riuscito anche a farsi finanziare le spese per il viaggio, quelle per gli spostamenti, cioè. Le camere
d’albergo avrebbero dovuto pagarsele con i loro soldi.
Dopo la telefonata poté finalmente andare a chiudere la valigia grande. Non resistette alla tentazione
di aprire un’ultima volta la valigetta più piccola, quella contenente tutte le informazioni necessarie, e
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dare un ulteriore sguardo alle pagine Web raccolte e stampate, come se avesse bisogno di
convincersi di ciò che stava per fare. Tutte le notizie raccolte erano riferite ad una concentrazione
impressionante di morti, quasi sempre violente, nella zona che aveva come epicentro St. Nicholas,
una cittadina di circa 20.000 abitanti nel Missouri, alcune spiegabili, altre meno. In uno di questi articoli
lo sceriffo locale, tale George Griffith, faceva presente in un’intervista di aver richiesto un intervento
dell’FBI ritenendo che il numero di omicidi fosse paurosamente aumentato negli ultimi due mesi e
lamentando la scarsità di personale atto a condurre un numero di indagini incredibilmente alto per una
città di così modeste dimensioni. Nigel aveva rintracciato a fatica l’ubicazione di quello che sarebbe
diventato il loro nuovo campo di battaglia. Si trattava anche in questo caso di un paese a ridosso delle
montagne e molto distante dai più grossi centri abitati dello stato.
Ci risiamo pensò se non chiudiamo la partita, continuerà all’infinito.
Si guardò allo specchio come per concentrarsi prima del lungo viaggio. Avrebbero fatto tappa a New
York per la notte e l’indomani con il primo aereo per Sant Louis sarebbero ripartiti. Una volta giunti
laggiù avrebbero noleggiato un’auto. Era il modo migliore per spostarsi in quelle zone. Anche in
questo caso, per fortuna, potevano utilizzare quei fondi dell’Accademia. All’ultimo momento decise di
sgonfiare la valigia che conteneva gli indumenti di ricambio togliendo il maglioncino di cotone pesante,
probabilmente non gli sarebbe servito. Laggiù avrebbe fatto molto caldo, in tutti sensi. Adesso era
davvero ora di muoversi. Qualunque cosa potesse aver dimenticato di prendere con sé l’avrebbe
comprata durante la sua permanenza nel Missouri.
Chiuse la manopola dell’acqua, quella del gas, spense tutte le luci e calò le tapparelle. Portò i bagagli
sul pianerottolo e diede un ultimo sguardo all’appartamento buio. Girò due volte la chiave nella toppa
e la mise sotto lo zerbino. Poi, raccolte le valigie, cominciò a scendere le scale.
2.
Aveva da poco superato il casello di Galliate quando qualcosa nella sua mente si liberò
inaspettatamente. Non dovendo più occuparsi dei preparativi gli risultò inevitabile pensare a due anni
prima, a quando tutto aveva avuto inizio, a quell’estate finita in modo così tragico. Per molto tempo
aveva cercato di ripulire la sua mente da quei tristi ricordi sovrapponendone altri e riuscendovi anche
per un certo periodo grazie soprattutto a Marinella, a quella nuova storia che gli aveva dato così tanta
linfa vitale. Poi, lentamente, aveva capito che il dubbio, la possibilità di non aver messo veramente
fine all’esperienza più sconcertante della sua vita, lo avrebbe sempre seguito come un’ombra se non
avesse un giorno deciso di occuparsi nuovamente della faccenda. Per questo quando Matteo e Nigel,
conosciuti all’epoca in cui il fenomeno si era manifestato per la prima volta, gli avevano telefonato per
dirgli che il pericolo si era nuovamente concretizzato in un paese della Francia aveva da subito preso
in considerazione la possibilità di sposare la loro causa. Per la verità aveva avuto, più di quanto gli
fosse successo di recente, parecchi tentennamenti prima di accettare e anche in quel caso aveva
dovuto vincere l’ostilità della sua fidanzata. Poi erano partiti e le cose erano andate un po’ per conto
loro. Gli era sfuggito il pesce dalla rete ma almeno avevano salvato parecchie vite a differenza di
quanto successo la prima volta in Italia.
Mentre pensava a tutto ciò, d’improvviso gli tornò la paura. A fatica la ricacciò indietro e cercò subito
di ritrovare l’ottimismo dei giorni precedenti.
Una ventina di minuti dopo, in un piazzale antistante l’Hotel Bellevue, stava caricando i bagagli dei
suoi due compagni. Una volta saliti si guardarono come per rinnovare la loro intesa, nessuno disse
nulla, il portiere dell’hotel vide l’auto allontanarsi. Anche la loro vita di tutti i giorni stava allontanandosi
mentre procedevano. I ricordi, quelli no, non si allontanavano.
CAPITOLO II - Il paese
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L’automobile rossa superò l’ultimo tratto in salita descrivendo una lunga curva per poi iniziare la sua
discesa verso il fondo della vallata. Da quel punto si poteva vedere tutto il paese, che appariva come
incastonato nella montagna, specchiarsi nelle tranquille acque del lago. Poco dopo apparve il cartello
“CHIESETTA - frazione di S.Clara” e la discesa si fece più ripida. Ancora qualche tornante e la prima
strada a sinistra avrebbe condotto Walter al centro del paese.
S.CLARA
Comune gemellato con Boisson (F) ed Egenbach (D)
si leggeva sul cartello segnaletico. La vista del mercato gli fece tornare in mente, per una di quelle
associazioni di idee che fanno ricordare senza un preciso motivo sensazioni anche di tanti anni prima,
una vecchia canzone dei Nomadi di cui non ricordava il titolo.
Aveva voglia di fermarsi e fare un giro fra le bancarelle. A dire il vero, avrebbe voluto fermarsi in ogni
punto in cui si ricordava di aver fatto qualcosa in passato, anche la più banale, come prendere un
gelato o comprare uno dei tanti fumetti che da ragazzo divorava e leggerselo su una panchina del
giardino adiacente al cinema parrocchiale. Ma non era per questo che era tornato, non per rimettersi a
fare il ragazzino. Aveva anzi, in cuor suo, una piacevole sensazione: quella di tornare da vincitore.
Vincitore di cosa? Vincitore sulle sue incertezze, forse, sui suoi timori adolescenziali tipici di chi,
ancora acerbo negli anni, deve ancora crearsi una personalità ben definita. Non aveva mai saputo
spiegarsi perché tutte le sue più inconfessabili debolezze si riconducessero a quella piccola cittadina
di provincia. Gli pareva che in passato nessun luogo più di quello avesse messo a dura prova il suo
coraggio. Ora si sentiva più forte, le stesse strade e le case che gli parevano enormi tanti anni prima
ora sembravano più piccole, meno imponenti.
Al bivio per Roccanera voltò dalla parte opposta e dopo circa un Km. scorse il tetto della casa che non
vedeva da quasi tre anni. In quel caso si era trattato di una veloce visita dopo altri sei anni in cui non
aveva messo piede a S.Clara. A parte quello sparuto episodio dunque, si poteva considerare che da
nove anni non fosse coinvolto nella vita sociale del paese di cui era originaria la sua famiglia.
Parcheggiò al termine dello stradello sterrato e dopo aver armeggiato a lungo con le chiavi aprì il
cancello e lo oltrepassò. L’impressione che dava la casa era di completo abbandono. Le piante
rampicanti avevano invaso buona parte della facciata e l’intonaco era talmente attraversato da crepe
che sarebbe bastato scrostarne un pezzetto per farlo cadere completamente al suolo. Cercò la chiave
del portone: questa volta fu più fortunato e la trovò subito. Entrando nell’ingresso principale attivò
l’interruttore centrale facendo scappare con i suoi movimenti un paio di ragnetti che vi soggiornavano.
Accese la luce e si guardò intorno: tutto era come una volta, come quando da piccolo giocava a
macchinine con Umberto e Gino sulla rampa di scale che portava al piano di sopra. A questo pensiero
una valanga di ricordi d’infanzia lo investì, tanto che passarono alcuni minuti prima che si rendesse
conto che non era tornato nella sua vecchia casa di montagna per nostalgia ma per iniziare i lavori di
ristrutturazione di quella che sarebbe stata la sua seconda dimora, la sua oasi di relax, il suo luogo di
villeggiatura a buon prezzo o più semplicemente il posto dove organizzare weekend e feste con gli
amici. Forse, dopo tutto, questa era una buona ragione per sentirsi vincitore. Più di una volta aveva
rischiato di perderla quella casa. Prima una disputa fra parenti per i diritti di successione, poi gli
interventi per eliminare i fattori di rischio per l’incolumità dei passanti, infine il faticoso racimolare
denaro per la ristrutturazione. Ora però non c’era più nessun ostacolo, bastava solo un mese di
pazienza. Dopo una rapida ispezione al piano di sopra e dopo aver aperto le finestre per far uscire
l’odore di chiuso tornò all’auto per prendere gli attrezzi necessari a dare una prima ripulita sommaria:
scopa, spazzolone, piumino, straccetti ed oltre a questi una bottiglia di acqua minerale comprata
all’autogrill insieme alla borsa frigo che la conteneva. Era questo l’unico lavoro che potesse fare senza
dover pagare costose ore di manodopera all’impresa di costruzioni incaricata della ristrutturazione.
L’unico locale dove non si avventurò fu la cantina: là ci avrebbe pensato la ditta incaricata della
disinfestazione.
Ancora un paio d’ore prima di pranzo. Avrebbe lavorato di buona lena e poi sarebbe andato dalla zia
Tilde che nel frattempo gli stava sicuramente preparando qualcuno dei suoi saporitissimi arrosti, a
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distanza di tanti anni li ricordava ancora. Per un istante le sue papille gustative sembrarono ricordarsi
il sapore di uno di essi.
La zia Tilde abitava in uno dei tanti villini sulla parte meno ripida della montagna con vista sul lago. Un
bel panorama: suggestivo e rilassante. Con lei abitava la zia Amelia, un’altra zia di secondo grado di
Walter. Entrambe più che sessantenni erano rimaste vedove. Nel villino di fianco abitava Enrico, il
figlio di zia Tilde, che con moglie e figli era in vacanza in Grecia fino alla fine di Agosto. Questa
sarebbe stata la residenza di Walter il tempo necessario per portare a termine i lavori: una quindicina
di giorni, così aveva detto il Geom. Valenti.
Due colpi di clacson e zia Tilde fu sulla soglia.
“Allora, come sta il nipote che non vedo mai?”
“Bene, bene. E tu?”
“Eh, insomma, gli anni passano. Vieni, vieni dentro che zia Amelia è tutta la mattinata che mi chiede
quando arrivi.”
Attraversarono il giardino sempre ordinato e curato come Walter ricordava bene ed entrarono. Zia
Amelia era in sala da pranzo su una sedia a sdraio. Lo salutò immediatamente ma ci mise un po’ per
metterlo a fuoco con la vista.
“Mamma e papà come stanno?”
“Qualche acciacco ma resistono bene.”
“Li ho sentiti qualche sera fa. Mi hanno detto che non vai tanto spesso a trovarli a Bologna, eh?” disse
con aria di rimprovero.
“E’ vero purtroppo, sai, lavorare in proprio…”
Dopo aver sostenuto un autentico interrogatorio sullo stato di salute di parenti, collaterali e di qualsiasi
persona avesse un seppur lontano legame di sangue con la famiglia si sedettero a tavola e Walter
mangiò con quell’appetito che l’aria di montagna riesce a stanare meglio di qualunque altra cosa.
L’aria era calda ma non afosa, i rumori esterni erano strettamente di origine naturale fatta eccezione
per qualche raro passaggio di un’auto sull’asfalto. Alla fine del pranzo le sue palpebre erano aperte
solo a metà.
“Ieri sera ho sentito Lucio. Ha detto che ti aspetta a cena per le otto. Ti ricordi dove abita no?” disse
zia Tilde mentre gli riempiva un bicchiere di anice di produzione locale.
“Sì, certo, dopo il campo sportivo, per andare verso le fonti.”
“Esatto. Mi raccomando, chiedi a suo padre come sta. Sai che l’hanno operato di cistifellea.”
“Sì, sì certo, non ti preoccupare.”
“Se dopo vuoi andare di là a portare su la tua roba e farti un riposino dimmelo che ti vengo ad aprire.”
“Sei sicura che per Enrico non è un problema se dormo in casa sua in questi giorni?”
“Ma stai scherzando? Ha detto di fare come se fossi a casa tua.”
Aveva immaginato la risposta, ma la domanda gli sembrava d’obbligo.
2.
A S.Clara la sera faceva sempre un po’ freschino persino dopo una calda giornata estiva. Walter se ne
ricordava dai tempi in cui, appena adolescente, veniva in villeggiatura durante le vacanze scolastiche. Per
questo motivo quella sera aveva portato con se la sua felpa verde con l’effigie “Paddy Irish Whiskey”,
ricordo del suo viaggio in Irlanda di due anni prima, annodata con le maniche intorno alla vita.
Si sentiva meglio ora dopo un paio d’ore di sonno in una quiete alla quale non era più abituato. Stava
scendendo a valle riscoprendo ad ogni angolo tutte le stradine della sua S.Clara. Persino l’odore di quei
luoghi gli pareva di percepire. C’è qualcosa pensò nei paesi di montagna che conferisce loro un’odore
particolare. Non è qualcosa che si respira nell’aria quanto nel terreno e negli stessi muri delle case. Non
riesco a spiegarmelo. Forse, più semplicemente, si sentono meglio i profumi perché qui l’uomo non ha
ancora devastato l’ambiente.
Giunto alla fine del viottolo che stava percorrendo si immise nella strada che aveva percorso al mattino.
Dopo qualche metro, sulla sinistra, ritrovò il sentiero che tanti anni prima gli serviva da scorciatoia per
arrivare più in fretta alla pianarella, la zona così chiamata dai paesani per indicare l’unica parte non in
pendenza del paese nella quale si trovava casa Rambaldi, la casa di Lucio cioè, il suo migliore amico da
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quelle parti.
Il riscoprire quel percorso ripido, stretto e con una fitta vegetazione che limitava parecchio la visibilità
all’imbrunire bastò a riportargli alla mente una vecchia ma forse mai sopita sensazione di prudenza e
timore. Mamma e papà glielo dicevano sempre di fare la strada normale perché era pericoloso
scendere giù da quella parte. C’era anche un altro motivo che lo aveva sempre indotto ad una sorta di
rispetto reverenziale per quel luogo ma preferì non soffermarsi troppo con la mente sull’argomento.
Mancava alle otto ancora qualche minuto perciò continuò a percorrere la strada asfaltata visto che
non era in ritardo. Non era il caso di rischiare di farsi male per guadagnare una manciata di minuti.
Quel percorso lo avrebbe riesplorato in un’altra occasione, alla luce del giorno.
Il profumo di cibo proveniente dalle cucine del borgo che stava attraversando gli fece sentire un
improvviso vuoto allo stomaco nonostante l’abbondante pranzo e il pomeriggio di tutto riposo. Superò
il ponte sul Calendro, il fiume che sfociava nel lago di S.Clara, voltò a destra per un cortiletto e
intravide la sagoma di Lucio nel giardino di casa mentre finiva di apparecchiare. Si videro e si
salutarono con abbracci e pacche sulla spalla alla maniera tipica dei vecchi amici che non si vedono
da un pezzo.
Il padre di Lucio era un parlatore instancabile, non sembrava proprio soffrire i postumi della recente
operazione. Gli aneddoti di vita vissuta, soprattutto quelli del primo dopoguerra, erano l’argomento
preferito. Beveva un po’ meno vino di una volta ma non sembrava intenzionato a privarsi del tutto di
tale piacere. Vedendolo riempirsi un altro bicchiere la moglie Mara lo riprese.
“Non è il quarto, ne ho bevuti solo due prima” rispose lui.
“Mezzo bicchiere aveva detto il dottore.”
“Il dottore ne dice tante, magari stasera è in osteria.”
Walter e Lucio si guardavano sghignazzando. Walter scorse una nuvola di fumo grigio proveniente da
dietro un’altura. Anche Lucio se ne accorse.
“Anche stasera, ma cosa diavolo hanno sempre da bruciare?”
Walter lo guardò con aria interrogativa.
“Ogni tanto, di sera, si alza del fumo da laggiù.”
“Chi abita da quelle parti?” chiese Walter non ricordando.
“Mah, nessuno, la c’è la conca.”
“Basta che non facciano dei danni. Che non succeda come sul monte quella volta” disse il signor
Beppe.
“Quella che bruciò mezza montagna? Mi ricordo” disse Walter ”ero qui in quei giorni, ci misero
parecchio i pompieri a spegnere l’incendio.”
“Già, dissero che era doloso ma non si capì mai chi fu l’autore.”
La montagna in questione era il Monte Cappuccio, il monte che dominava S.Clara dall’alto. La conca
invece era un altro posto che Walter non ricordava con particolare piacere. Laggiù, infatti, aveva preso
insieme a Lucio uno dei più grossi spaventi della sua vita. Alla conca, un avvallamento di forma quasi
ovale non tanto scosceso da non essere percorribile a piedi, si accedeva tramite un lungo ma agevole
sentiero quasi del tutto pianeggiante. Non aveva niente di particolarmente suggestivo e non era molto
frequentato. Era solo un posto dove piccoli esploratori in erba potevano giocare in assoluta libertà.
Come quella volta in cui, all’improvviso, un enorme biscione sbucò da un cespuglio fermandosi proprio
di fronte a Walter con la testa all’altezza della sua, terrorizzandolo e ipnotizzandolo al punto che fu
necessario l’intervento di Lucio per ricordargli che le gambe potevano essere usate, oltre che per
giocare, anche per scappare. L’amico lo prese per un braccio e lo trascinò con se via da quel mostro.
Era veramente così grande e così minaccioso o eravamo noi tanto piccoli e paurosi? Si chiedeva
Walter ricordando l’episodio.
Dopo cena andarono di sopra in camera di Lucio a sentire un po’ di musica, sprofondati in poltrona in
attesa dell’arrivo di Miriam, fidanzata con Lucio da parecchi anni e con tutta probabilità futura
consorte, e qui poterono chiacchierare più tranquillamente anche di faccende strettamente personali.
“Allora, a donne come va?” gli chiese Lucio mentre inseriva l’ultimo CD dei Dream Theatre.
Nonostante ora portasse i capelli molto più corti rispetto ad un tempo, i suoi gusti da metallaro ancora
legato al vecchio hard-rock degli anni 70 non erano cambiati granché: si erano solo adeguati ai tempi.
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Era stato proprio lui a far conoscere a Walter i Led Zeppelin, i Deep Purple e gli AC/DC quando erano
appena quindicenni, circa una ventina d’anni prima. Anzi a dire il vero il vinile di Made in Japan
prestatogli da Lucio chissà quando era ancora in suo possesso.
“Mah, non male ma niente legami al momento” rispose Walter sorseggiando il suo bicchiere di grappa.
“E tu, quand’è che ti sposi?”
“No, ti prego, bastano già i miei genitori e quelli di Miriam a ricordarmelo. Te la ricordi la Mirna?”
“Sì, aspetta. Era quella morettona che faceva i concorsi di bellezza?”
“Esatto, la figlia di Silvani, quello del vino. Si è sposata con un industriale di Bergamo. Ha mollato il
fidanzato, il lavoro da estetista e si e’ trasferita lì. E’ passata di qua la settimana scorsa con questo
tizio sulla cinquantina tutto laccato con macchinona, anelli e una gran aria da fenomeno. Era tutta
gasata, ha detto che dopo sarebbero partiti per Bali.”
“Beata lei.”
“Mah, non lo so. Sembrava tutto così...finto.”
Walter sorrise. “E Sonia? Hai notizie?”
“Sapevo che me l’avresti chiesto” rise “Sì, è qui in questi giorni, forse la vedremo anche dopo al bar.
Anche lei sta con un tipo, uno di Montemarino, un certo Claudio. Un tipo tranquillo. E’ da qualche
mese che stanno insieme. Ti è rimasta un po’ nel cuore eh?”
“Ormai è passato tanto tempo, saranno due anni.”
“Ma non vi vedete mai in città? Ogni tanto lei ci passa.”
“Un paio di volte ci siamo incrociati di sfuggita mentre eravamo in giro, ognuno con i propri amici.”
“Capisco” disse Lucio in modo piuttosto faceto.
“Cosa capisci?” raccolse Walter.
“Niente, niente” sghignazzò “dico solo che l’orgoglio è una brutta bestia.”
“Ma va…Non me ne frega più niente.”
“Certo, certo.”
“Raccontami piuttosto qualche altra novità. Enzo, per esempio, ho sentito che lavora per la Rai.”
Ne avevano da raccontarsene. Del resto insieme ne avevano vissute davvero tante di situazioni.
Alcune anche brutte. Come quella volta in cui si scontrarono con una banda di ragazzi più grandi di
loro. Abitavano tutti nei dintorni di S.Clara e si divertivano a fare i bulletti quando giravano in gruppo. Il
biondino alto aveva provocato Lucio dicendogli di regalargli la catenina d’oro. Al netto rifiuto di questi
la provocazione era degenerata in scazzottata. In due contro cinque più forti di loro non poterono far
altro che incassare un sacco di botte. Niente colpi proibiti, per fortuna, ma la rabbia dentro era rimasta
per parecchio tempo. Il parroco di allora li aveva poi aiutati a nascondere la cosa ai genitori. In fondo
due lividi sul corpo potevano essere anche il risultato di una caduta dalla bicicletta.
“Non vi preoccupate, ci penso io a quei bei soggetti, non vi daranno più fastidio d’ora in avanti.”
Non lo fecero, infatti. Don Clemente li minacciò di fargli passare dei guai raccontando tutto alle loro
famiglie. Poi, come detto, per un po’ di anni Walter non fece più le vacanze con i suoi genitori a
S.Clara e non seppe più niente dei componenti di quel gruppetto.
Chissà se adesso avrebbero ancora il coraggio di riprendere il discorso. Sarei proprio curioso di
vederli.
Circa mezz’ora dopo udirono dalla finestra l’arrivo di un’auto nel cortiletto.
“A giudicare dalla frenata schizofrenica direi che è lei: la belva di S.Clara!”
Era Miriam, infatti, lo capimmo dalle voci al piano di sotto. L’orologio segnava quasi le 23 e i due
vecchi amici si accorsero di aver dato fondo alla bottiglia di grappa che prima era piena a metà. Il
tempo passa veramente in fretta quando si chiacchiera.
“Waaalter!!! Come stai?” L’abbraccio di Miriam fu caloroso come sempre.
Iniziò a chiedergli tante cose ma Lucio fu perentorio:
“Dai, dai che è tardi, parlerete di tutto al bar se no non ci muoviamo più.”
3.
Il Bar Arlecchino era un punto di ritrovo quasi obbligato per giovani e meno giovani nottambuli della
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zona; era, infatti, l’unico bar della Val Groppiana a rimanere aperto fino alle due di notte e spesso la
chiusura vera e propria avveniva, tra una chiacchiera e l’altra, quasi un’ora dopo. C’era molta gente
quella sera, soprattutto volti nuovi, ragazzi e ragazze all’apparenza da poco maggiorenni e cinque o
sei persone della vecchia guardia che Walter conosceva. Fra questi Cristiano che incredibilmente
raccontava episodi di cui lo stesso Walter, seppur protagonista anch’egli, aveva perso il ricordo. Si
formò ben presto una tavolata di una quindicina di persone e fra un giro di birre e l’altro l’atmosfera si
fece allegra e spensierata.
“Ti ricordi quella volta che il fioraio, come si chiamava, Gironi, ci corse dietro col bastone perché gli
avevamo sfasciato la vetrata col pallone colpendo anche un cliente? Mai corso tanto in vita mia.”
“Gia, fui io l’autore, per tutta l’estate non osai ripresentarmi davanti al negozio. L’estate dopo mi
perdonò.”
Walter e gli altri anziani ne raccontavano una dietro l’altra fra le risa del resto della combriccola.
Ad un certo punto si accorse, quasi all’improvviso, di essere piuttosto segnato dalla fatica e dall’alcool
ma la compagnia era così piacevole che non considerò minimamente l’ipotesi di congedarsi. In fondo
l’indomani era sabato e fino a lunedì mattina alle otto non avrebbe dovuto occuparsi di seguire i lavori;
tanto valeva godersi appieno quei due giorni di relax.
Di lì a poco arrivò anche lei. Sonia. In compagnia di colui che era con tutta probabilità il suo boy-friend
e di un’altra coppia a Walter sconosciuta. Era evidentemente già stata informata del suo arrivo (in un
paese piccolo le voci girano molto in fretta, si sa) perché non mostrò particolari segni di sorpresa nel
vederlo e dopo aver salutato un paio d’amiche si rivolse a lui non senza una punta d’imbarazzo.
Walter, dal canto suo, la salutò cordialmente ma mantenendo un certo distacco per non mostrare
segni di particolare emozione, visto che considerava la love story con lei una questione
definitivamente chiusa.
“Ciao, come stai? E’ un pezzo che non ci vediamo.”
“Già” fu la laconica risposta di Walter “sembra che ci si incontri solo da queste parti.”
Dopo questo breve scambio di battute Walter strinse la mano a Claudio e agli altri due: Franco, detto
Franz, e Marina. Si sedettero e la conversazione riprese più chiassosa di prima. Ben presto Walter si
rese conto tramite qualche occhiata furtiva di essere oggetto di continui sguardi da parte di Sonia.
Aveva l’impressione che gli sguardi di lei nascondessero una certa malinconia ma si disse che
probabilmente era solo il suo orgoglio a dare questa connotazione alla semplice curiosità di una ex
che non lo vedeva da tempo. Claudio dal canto suo non aveva avuto reazioni particolari nei confronti
di Walter visto che per tutto il tempo aveva continuato a conversare animatamente con gli altri
presenti. In quella situazione Walter finì con l’estraniarsi completamente dalla conversazione. Lucio
sembrò accorgersene e cercò di ricondurlo alla realtà.
“Domani sera andiamo al Mickey Mouse. Naturalmente non puoi mancare.”
“Naturalmente, ma cos’è?”
“Una discoteca a Groppiano. Ha aperto quest’inverno ma continua tutta l’estate perché funziona
anche all’aperto. Vedrai, non è niente male.”
4.
Erano quasi le due quando lasciarono il bar. Lucio e Miriam lo accompagnarono in auto fino al
cancelletto di casa. Walter era discretamente sbronzo e molto provato dalla stancante giornata; quasi
non aveva gli occhi aperti quando si salutarono mettendosi d’accordo per la sera dopo. Dormì come
un ghiro fin quasi a mezzogiorno e, dopo un breve giro al mercato, mangiò qualcosa in un bar che
metteva a disposizione vari piatti freddi, ne scelse uno con la pasta fredda condita e si concesse un
bicchiere di vino bianco nonostante i sensi di colpa per quanto bevuto la sera prima. Nel rientrare
decise di fare la scorciatoia. Gli tornò alla mente quel vecchio episodio mai dimenticato. Aveva circa
otto, nove anni quando un pomeriggio si avventurò giù per il sentiero, per arrivare prima all’emporio,
dalla signora Anna, a prendere un ghiacciolo. Arrivato ad un punto in cui esso si faceva meno ripido,
si accorse di un nugolo disordinato di vespe che rendeva il passaggio piuttosto problematico. Decise
allora di aggirare l’ostacolo aggrappandosi ad un paio di alberi a margine del sentiero, ma prima che
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potesse farlo le vespe si erano riunite in un vero e proprio sciame minaccioso che puntava verso di lui
o almeno questo era ciò che la sua fertile mente di bambino sovreccitata ricordava. Fatto sta che
Walter si trovò a risalire a gambe levate con dietro lo sciame che si disperse solo quando arrivò in
cima al sentiero.
“Probabilmente gli hai dato fastidio, se no non ti avrebbero attaccato” diceva il signor Vincenzi,
l’anziano vicino di casa.
Walter non era convinto.“Eppure non mi sono avvicinato e non fatto movimenti bruschi.”
“Qualcosa avrai fatto. Non attaccano mai senza motivo.”
Per molto tempo Walter conservò una grande fobia delle vespe che superò solo in età adulta. Ora gli
si presentava l’occasione di tornare sul posto in cui la fobia aveva avuto inizio. Probabilmente il
rivedere il luogo per ciò che realmente era, un innocuo sentiero di montagna, oggi lo avrebbe fatto
sorridere, ne era sicuro.
Prese a salire guardando metro per metro l’ambiente circostante e quando fu giunto nel punto in cui
era avvenuto il fatto di tanti anni prima si fermò. Niente, nessuna emozione. D’altronde cosa poteva
aspettarsi di provare? Si mise a sorridere come promesso a se stesso. Poco dopo però, una voce
dentro di sé gli chiese: avresti anche il coraggio di venirci di notte?
Rispose alla voce sdegnato: che discorsi, qua di notte non si vede un fico, chi ci verrebbe?
Riprese il cammino mettendosi alle spalle quell’ultimo stupido pensiero.
Passò il resto del pomeriggio a sistemare le sue cose nella stanza da letto che Enrico gli aveva
liberato. Intanto pensava all’imminente serata in discoteca. Aveva proprio voglia di divertirsi un po’. Ne
aveva bisogno, aveva lavorato davvero troppo ultimamente. Stava pensando più o meno a questo
quando trillò il cellulare.
“Signor Ghetti? Sono Vannini.”
Ecco, questo proprio non ci voleva pensò.
“Mi scusi davvero se la disturbo. So che è sabato pomeriggio e so che è in ferie.”
“Beh, sì, in effetti…ma se è importante…”
“Non l’avrei chiamata se non fosse così. Il server mi si è piantato. Abbiamo provato a risolvere la cosa
per telefono con il suo impiegato ma non c’è stato niente da fare. Dovrebbe venire lui di persona ma
mi ha detto che in negozio la prossima settimana c’è solo lui e non può abbandonarlo. Perciò, le
chiedevo: non conosce qualcuno da mandarmi? Un tecnico che possa venire lunedì e metterci in
condizione di lavorare. Dobbiamo chiudere un lavoro e siamo nei guai.”
“E’ in ditta adesso?”
“Sì.”
“Beh, proviamo a vedere se riesco a fare qualcosa da qui.”
“Grazie, lei è troppo gentile, mi scusi ancora.”
Riattaccò il cellulare quasi mezz’ora dopo. Il problema era risolto ma non aveva voglia di esultare.
Ma certa gente non va mai in ferie? Sembra che esista solo il lavoro per qualcuno. Poi magari si
lamentano che la moglie ha l’amante e non c’è dialogo con i figli. Mah!
Questo era l’aspetto meno simpatico del suo lavoro. Non ci si poteva mai veramente sentire in relax.
D'altronde la scelta di aprire un negozio di vendita di prodotti informatici con relativa assistenza si era
mostrata valida economicamente. C’era però un prezzo da pagare in termini di stress e se ne
accorgeva in questi momenti.
5.
Groppiano, punto di riferimento per tutti gli abitanti della vallata, distava pochi minuti di auto da
S.Clara. Si era molto ingrandita negli ultimi anni grazie all’espansione della sua zona industriale e alla
sempre fiorente produzione di porcellane fino a contare quasi trentamila abitanti su tutta la superficie
del comune contro i cinquemila di S.Clara che però in estate raddoppiava la popolazione per la sua
attrattiva turistica. Durante l’inverno, con il calo del numero di turisti, S.Clara tornava ad essere uno
dei paesi satellite di Groppiano. Per questo chiunque volesse intraprendere un’attività non collegata al
turismo lo faceva nel vicino polo economico. Qualsiasi cosa non si trovasse a S.Clara la si trovava a
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Groppiano: uffici, biblioteche, studi tecnici e commerciali, ambulatori, tutto.
Persino la cartomante, Madam Annette, una svizzera francese che prediceva il futuro, la si trovava
laggiù. Proprio mentre Walter cercava di ripristinare il server della ditta Vannini, Madam Annette stava
leggendo per proprio conto una previsione riguardante il futuro della vallata.
Non poteva credere ai propri occhi. Eppure le carte parlavano chiaro: stava iniziando un periodo
tragico per la gente di quel luogo, terribili sciagure stavano per abbattersi sulla zona. Riordinò le carte
più volte, il risultato era sempre lo stesso. La carta raffigurante la morte usciva sempre nello stesso
punto. Sebbene credesse nel suo lavoro provò un certo turbamento. Non le era mai capitato che le
carte occupassero a più riprese sempre la stessa posizione.
Poco fuori Groppiano, sulla strada per S.Clara, un passante stava cercando di calmare il suo cane. La
bestia ringhiava furiosamente contro qualcosa di non ben identificabile, qualcosa che pareva trovarsi
in mezzo alla vegetazione ai lati della strada. Il padrone dovette faticare non poco a calmare l’animale
e ricondurlo con se a casa.
Un ora dopo, nel centro di S.Clara, Katia Gironi, figlia del fioraio che era corso dietro a Walter e ai suoi
amici anni prima, chiuso il negozio si avviava verso casa dove, in giardino, constatava che il suo
Pucci, gattone con un folto pelo nero e occhi gialli, era ferito gravemente ad una zampa e presentava
ferite, fortunatamente non mortali, in tutto il corpo.
“Ma chi ti ha conciato così? Mamma mia! Così imparerai a non ficcarti dappertutto adesso.”
La bestiola guardava la sua padrona con gli occhi bagnati di lacrime. Se avesse potuto parlare
avrebbe risposto: Chi mi ha conciato così avrebbe conciato così anche te!
6.
Il Mickey Mouse era praticamente un grosso terrazzone sul margine di un colle poco fuori dal centro
abitato coperto da una tettoia rivestita di piante rampicanti. Esso sovrastava la parte interrata adibita
ad uso invernale. Il DJ quella sera suonò una lunga carrellata di brani più o meno famosi degli ultimi
anni nonché qualche rispolverata di brani più datati abbracciando un po’ tutti i generi: rock, dance,
beat, funky, reggae. Una scaletta molto furba insomma, che accontentava un po’ tutti i gusti. Era
piuttosto vario anche il genere di frequentatori: dai ventenni che saltavano come pazzi al suono dei
Rage Against the Machine, ai trentenni che in maniera più compassata battevano il tempo sui vecchi
cavalli di battaglia dei gruppi degli anni ottanta.
Verso la mezzanotte erano tutti intorno a un tavolo un po’ distante dagli altoparlanti per riuscire a fare
un po’ di chiacchiere. Lucio e gli altri erano discreti bevitori; nulla di strano quindi che la serata stesse
prendendo la stessa piega di quella precedente.
“Chi offre il prossimo?” chiese Aldo, anch’egli vecchia conoscenza.
“Io” si offrì volontario Walter “però bisogna che qualcuno mi aiuti a portare tutto.”
“Viene Marione che non si muove mai” disse Andrea ridendo e colpendo quest’ultimo con delle
pacche sulla pancia.
“No, dai, vengo io.” Claudio si alzò.
Durante la lunga coda alla cassa e poi al bancone ebbero occasione di fare conoscenza meglio della
sera prima. Claudio era molto estroverso e cordiale. Dava comunque l’impressione di essere un tipo
con la testa sulle spalle, tutto dedito al suo lavoro di rappresentanza e senza grilli per la testa. Parlava
dei suoi progetti di vita in comune con Sonia con molta convinzione. Lei doveva ancora arrivare; era in
giro con delle amiche.
Walter si chiese se fosse a conoscenza della loro vecchia storia; non seppe darsi una risposta.
Si erano di nuovo seduti al tavolo da un paio di minuti quando fece la sua comparsa il gruppetto di
cinque ragazze, Sonia compresa. Una di esse in particolare, bionda e procace, suscitò l’attenzione di
Walter. Lei e Miriam si salutarono molto amichevolmente. Il suo nome era Cristina, per gli amici Kris,
con la k come usava firmarsi. Tutti sembravano conoscerla molto bene. A dire il vero anche troppo a
giudicare dalle informazioni che Miriam fornì più tardi a Walter. Pare che una buona fetta di ragazzi e,
si diceva, anche un paio di ragazze di S.Clara avessero avuto con lei rapporti piuttosto intimi. Era
molto disponibile insomma, come disse Lucio scherzandoci su. Comunque era molto simpatica e
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intelligente e Walter entrò ben presto in sintonia con lei. Anche quella sera il gioco di sguardi più o
meno velati con Sonia cominciò e andò avanti per parecchi minuti poi fu Walter a cercare di distrarsi
parlando con Kris che gli si era seduta accanto. Sonia sembrava ancora più inquieta della sera
precedente al bar. Più tardi mentre molti di loro erano in pista a ballare e i più ubriachi a dimenarsi,
Walter era rimasto in disparte appoggiato di schiena al davanzale del terrazzo; lei gli si avvicinò:
“Allora, come te la passi, ho saputo che finalmente l’hai messa a posto quella casa?”
“Finalmente si. Sai quanto ci tenessi.”
“Già, ricordo. E anche il lavoro e ok?”
“Sì. C’è da lavorare sodo ma…Tu sei sempre in quello studio?”
“Sì, dovremo trasferirci qui a Groppiano prima o poi, è più comodo per molte cose.”
“Beh, se rimani lì vuol dire che ti trovi bene, no?”
“Non mi lamento, in effetti. E…per il resto tutto bene? E’ un po’ che non passo da Novara.”
Continuando a conversare ebbe la netta l’impressione che Sonia volesse far scivolare la
conversazione su argomenti più personali trattenendosi però nel timore di sembrare inopportuna.
Poi arrivò Claudio, prendendola sottobraccio, a dirle che era già piuttosto tardi e dovevano anche
accompagnare Franz e Marina a casa loro. Di nuovo vide in lei quel velo di tristezza. Si salutarono e a
lui si accavallarono nella mente mille pensieri ai quali non avrebbe saputo dare una precisa
collocazione. Decise di distrarsi raggiungendo gli altri in pista.
Mancavano pochi minuti alle tre quando la musica cessò e si accesero le luci chiare. Kris venne a
salutarlo.
“Dobbiamo proprio andare, Silvia non sta in piedi e mi sa che dovrò guidare io e magari anche
accompagnarla a letto. Comunque ci vediamo le prossime sere no?”
“Sì, certo. Fino al 21 non mi muovo di qui.”
“Bene. Ho saputo che abitiamo vicini. Io sono in quella fila di case rosse che si vede dalla tua strada.
Potresti venire a cena da me una di queste sere.”
“Con molto piacere” disse Walter pensando meglio di così...”
7.
La loro era stata una storia breve ma molto intensa. Si conoscevano fin da piccoli. Conosceva bene
anche Ludovica, la sorella di Sonia, anzi, era lei fra le due sorelle a polarizzare l’attenzione di Walter
quando veniva in vacanza a S.Clara. Il primo ricordo che aveva di loro due era di un pomeriggio in riva
al lago con i rispettivi genitori mentre insieme giocavano a nascondersi.
La prima a trovare un fidanzato fisso era stata Ludovica. L’ultima volta che Walter si era recato a
S.Clara, tre anni prima, l’aveva ritrovata sposata e con una bambina. Era piuttosto sfiorita e parecchio
ingrassata, uno di quei casi in cui la maternità lascia un segno indelebile. Sonia invece, diventando
donna, era sbocciata in maniera sorprendente, il viso acerbo di un tempo era diventato deciso e
seducente.
“Sai Walter, adesso abito a Novara, ho trovato lavoro lì” gli aveva detto in quell’occasione.
“Ah, come ti trovi?”
“Bene, ma non conosco nessuno. Ti va se ci vediamo ogni tanto?”
“Certo, dopo ti lascio il mio numero.”
Si erano frequentati un po’, Walter le aveva fatto conoscere un po’ di persone. Sembrava che tutto
fosse riconducibile ad una tranquilla amicizia. Poi una sera, a casa di lui, si erano ritrovati sul divano a
guardare un film. Alla fine di questo le aveva chiesto se volesse essere accompagnata a casa e lei
l’aveva baciato.
Era andata avanti per tutto l’inverno poi lei, inspiegabilmente, era entrata in una specie di crisi
esistenziale. Per un po’ avevano allentato il legame, poi l’aveva vista con Leo, un tizio che avevano
conosciuto ad una festa e aveva capito che c’era qualcosa fra loro. Per un po’ aveva atteso qualche
spiegazione e non ricevendone non le aveva più telefonato. Poi, tempo dopo, lei era ritornata a
S.Clara e lui aveva cercato di non pensarci più. Gli era sembrato, quello di lei, un modo piuttosto
antipatico di chiudere una storia ma ormai dopo tutto questo tempo il risentimento in lui era del tutto
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scomparso, o quasi.
8.
La domenica pomeriggio passò in maniera molto tranquilla. Eccezion fatta per una serie di urla verso
le quattro che attirarono l’attenzione di Walter, e non solo di lui. Provenivano dalla casa dei Righi.
Questo fu pressappoco ciò che si udì.
Voce maschile:….SEMPRE LA SOLITA TROIA!!!”
Voce femminile: CREDI DI ESSERE TANTO MIGLIORE DI ME?”
Voce maschile: NON CERCARE SCUSE. NON RIVOLTARE…….ADESSO BASTA!!!”
Rumore di qualcosa che sbatte forte.
Voce femminile: CREDI CHE NON SAPPIA CHE ANDAVI A CARICARE LE MIGNOTTE CON…….?”
La signora Cinti se ne stava nascosta fra le tapparelle aguzzando le orecchie. Quando Walter, seduto
sul dondolo in giardino con un libro in mano, si girò verso di lei sparì dalla finestra. Piano piano la
situazione tornò alla normalità.
Poco più in là il Rag. Servidei stava curando le sue piante, un’improvviso colpo di vento lo fece
rabbrividire e non di freddo. Può succedere che in una giornata in cui non si muove un filo d’aria si alzi
una ventata, è un fenomeno normale. Allora perché si era girato di scatto come temendo qualcosa?
Senza rendersene conto la sua mano si era stretta più forte intorno al manico della zappa. Continuò a
guardare la boscaglia per alcuni secondi poi si rimise al lavoro. Ogni tanto lanciava sguardi sospettosi
intorno a se.
Dalla parte opposta del paese un cane lanciava guaiti simili agli ululati di un lupo. L’unica nuvola in
cielo andò a coprire il sole creando una strana luce grigia.
9.
La sera, dopo una cena dalle zie, uscì presto per andare al bar. Poco prima di arrivare notò lo stesso
fumo di due sere prima proveniente dalla stessa zona. Questa volta gli parve anche di avvertire un
odore. Non riuscì ad associarlo a nessun materiale.
Il gruppo era sempre là allo stesso tavolo. La campagna acquisti e le amichevoli di precampionato
erano gli argomenti che tenevano banco. Arrivò anche Kris dopo un po’ con una amica. Non c’erano
Lucio e Miriam che avevano preferito andare a letto presto. Walter si girò ad un certo punto in
direzione del bancone sentendo un gran baccano di voci.
“E’ Martino, te lo ricordi Walter? E’ sempre più pazzo.”
“Beh, troppo normale non lo è mai stato a quanto mi ricordo.”
“Adesso è ancora peggio. Racconta di cose pazzesche che secondo lui succedono nei boschi.
Sembra che siano infestati dai demoni. E’ completamente partito.”
Martino era un anziano signore la cui moglie era morta molti anni prima per il crollo accidentale di una
tettoia. In seguito aveva cominciato ad avere disturbi mentali dovuti al senso di colpa per aver
mandato la moglie nella legnaia che da tempo doveva essere riparata perché pericolante. Viveva solo
in una casa sperduta quasi in cima alla montagna e veniva in paese un paio di volte alla settimana per
fare scorta di generi alimentari o per bere, passando la restante parte del suo tempo a girovagare per i
boschi quasi costantemente sotto l’effetto dell’alcool. Niente di strano quindi che vedesse fantasmi
dappertutto. Anche quella sera stava farneticando al riguardo.
“Ti dico che c’era un coniglio con il collo tirato come si fa con le galline, pieno di cicatrici e ferite come
se lo avessero torturato.”
“Dai Martino, sarà stata una volpe o un altro animale.”
“Che volpe e volpe. E perché l’ha lasciato lì senza mangiarselo allora, eh? No, lo riconosco un collo
strozzato con le mani, e vuoi sapere un’altra cosa? Non c’erano impronte di scarpe in giro.”
Gli anziani signori di fianco a lui sorridevano a denti stretti scuotendo la testa. Martino li mandò a quel
paese, poi accortosi di Walter che lo fissava continuò puntando l’indice verso di lui.
“Stanno succedendo cose strane, prima o poi ve ne accorgerete. Continuate pure a darmi del matto,
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ve ne accorgerete.” E così detto vuotò d’un sorso il bicchiere di rosso che aveva in mano, per metà
rovesciato durante la sua delirante conversazione. Se non fosse stato per il comportamento dei
presenti al bar forse Walter sarebbe rimasto turbato dall’enfasi e dalla convinzione con cui il vecchio
aveva parlato. Ma c’era Kris di fronte a lui a prendere posto nei suoi pensieri. Sembrava mangiarselo
con gli occhi con quei continui sorrisetti. Verso l’una e mezza Walter salutò la comitiva; sarebbe
rimasto molto volentieri ma l’indomani alle otto in punto doveva essere sul luogo dei lavori e la
giornata che aveva davanti era piuttosto lunga per tutta una serie di impegni anche burocratici.
Comunque, cosa importante, si era messo d’accordo con Kris per cenare da lei.
“Martedì allora, non dimenticarti.”
“Ci mancherebbe. Ciao ragazzi, a presto.”
“Ciao Walter.”
Uscito dal bar si avviò per gli stradelli del paese. Il suono degli insetti sugli alberi era l’unico rumore
che si sentiva a quell’ora, oltre a quello dei suoi passi. Una leggera brezza si alzava di tanto in tanto e
portava con se uno strano odore. Le fronde degli alberi frusciavano intorno a lui. Istintivamente
accelerò il passo.
10.
“Non ha idea di cosa abbiamo trovato là sotto: topi e scarafaggi a bizzeffe, anche una biscia e
addirittura due scorpioni grossi così” disse il Geom. Valenti usando gli indici come strumenti di misura.
“Eh, lo immagino! Erano anni che nessuno scendeva in quella cantina.”
“Alle dieci abbiamo appuntamento all’Ufficio d’Igiene per le pratiche sul rifacimento dei bagni. E’
meglio andare.”
Passarono tutta la mattina in Comune e nel pomeriggio Walter si adoperò per il trasporto di tutti gli
oggetti inutili o inservibili alla discarica mentre gli operai procedevano con i lavori. A fine giornata era
esausto, tanto che la sera al cinema con gli amici si addormentò più volte durante la proiezione
finendo col non capire nulla di tutto il film.
Il giorno seguente fu meno caotico, ormai il lavoro era avviato. Walter si recò sul posto per gli ultimi
piccoli trasporti e per firmare alcuni atti con il geometra. Per il resto della settimana avrebbe dovuto
solo farsi vedere qualche volta e controllare che non ci fossero imprevisti, quindi l’impresa edile
avrebbe interrotto i lavori qualche giorno per ferie per poi riprendere dopo Ferragosto.
Non sapeva bene cosa aspettarsi da quella serata o forse se lo aspettava fin troppo bene. In ogni
caso Kris era una piacevole compagnia e un invito a cena da una bella donna non si rifiuta mai. Si
presentò alle nove come d’accordo con una bottiglia di vino e una di liquore della riserva di zia Tilde.
Nel suonare il campanello si accorse di aver abbondato un po’ con il dopobarba.
“Ciao, entra! Scusa il disordine, è passata mia sorella con i nipotini e...”
“Se questo è il tuo disordine dovresti vedere casa mia.”
“Sono un po’ in indietro, se stai morendo di fame ci sono dei salatini sul tavolo.”
“Stai tranquilla, posso resistere. Come stai, tutto bene?”
“Sì, sì. E tu? Come va con i restauri?”
“Bene, non hai idea di quante scocciature ci sono per spostare quattro muri. Comunque sono
contento: finalmente diventerà abitabile.”
“E quindi potrai venire spesso a trovarmi.”
“Naturalmente.”
“Vuoi mettere su un CD? Vedi un po’ se trovi qualcosa che ti piace.”
Per tutta la durata della cena notò in lei una sorta di malcelata compiacenza nei suoi confronti,
qualunque fosse l’argomento della conversazione. Gli aveva messo gli occhi addosso insomma, era
chiaro, e lui giocava a fare la parte di quello che non aveva ancora realizzato completamente la cosa.
“Perché non ti sdrai sul divano intanto che mi preparo?”
Avevano deciso di andare in un pub dove avrebbero trovato una sorta di festa che si svolgeva tutti gli
anni in onore della squadra vincitrice di un minitorneo di calcetto locale.
“Mi calza bene il vestito dietro o fa le pieghe?” disse sbucando di nuovo in salotto.
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Con quel fisico le sarebbe calzata bene qualsiasi cosa. La risposta di Walter era scontata.
“Stai benissimo così.”
Lei sorrise ammiccando.
Al Charlie’s Pub incontrarono anche gli amici di sempre già tutti al secondo o terzo boccale di birra.
Era usanza che i componenti delle squadre che non avevano vinto pagassero a turno da bere ai
componenti della squadra vincitrice nonché ai loro amici presenti. Fu così che Walter e Kris si
ritrovarono per un paio d’ore con i boccali sempre pieni in quanto amici di due giocatori della squadra
campione. C’erano anche due amiche di Sonia che lanciavano occhiate furtive e facevano commenti
fra loro con fare malizioso.
“Immagino cosa stiano dicendo quelle megere. Domani in tutto il paese e zone limitrofe si saprà che
siamo usciti insieme.”
“E anche se fosse?” disse Walter.
“Beh, io non ho una bella reputazione da queste parti, te l’avranno sicuramente detto, e uscendo con
me la tua peggiorerà di sicuro.”
“Mmh, la cosa non mi preoccupa. Sono abbastanza adulto da non curarmi di quello che dice la gente.”
Lei gli sorrise mimandogli un bacio.
“Se questa mia trasferta a S.Clara continua così, al ritorno dovrò fare una cura per disintossicarmi
dall’alcool.”
“Anch’io sono ubriaca. E se andassimo fra un po’?” disse appoggiandogli dolcemente la mano su un
ginocchio.
“Okay. Finisco di bere e andiamo.”
Usciti dal locale costeggiarono per un lungo tratto il fiume. Kris lasciò scivolare il braccio intorno a lui.
Walter fece altrettanto. Probabilmente avrebbe potuto osare di più ma aveva ancora qualche
esitazione. Non ne ebbe poco più tardi quando nel soffermarsi di fronte alla porta di casa di lei si
abbracciarono istintivamente per qualche istante; poi lei sollevò lo sguardo verso i suoi occhi e si
baciarono.
“Dai, vieni dentro” disse lei quasi ansimando.
Appena richiuso l’uscio si avvinghiarono con trascinante passione. Lo sospinse verso il divano in
modo quasi violento levandogli la maglietta e iniziando a mordicchiarlo sul collo mentre sistemava il
suo corpo sopra di lui.
Era veramente piacevole lasciarsi sedurre in quel modo. Si sentì sbottonare dolcemente i pantaloni
mentre le sfilava il reggiseno poi il tutto sfuggì piacevolmente ad ogni controllo razionale.
Non troppo distante da loro una figura scura sbucava dalla boscaglia in un silenzio quasi assoluto. Un
eventuale passante non avrebbe sentito nessun rumore di passi e non si sarebbe accorto di nulla se
non grazie all’aiuto di una torcia, sapendo ovviamente dove puntarla. La figura si fermò di fronte alle
luci accese della casa, fece alcuni gesti difficili da descrivere e dopo qualche istante riscomparve nella
boscaglia, verso un’altra direzione. Walter e Kris non avrebbero mai potuto sentire l’odore portato da
una folata di vento, concentrati com’erano sui reciproci organi sessuali. Il sudore li impregnò entrambi.
“Andiamo di sopra, in camera, staremo più comodi” disse lei con un tono di voce quasi rauco che
risultò enormemente eccitante alle orecchie, e non solo, di Walter. In realtà si fermarono sulle scale,
non resistevano più. Il primo amplesso si consumò lì. Più tardi raggiunsero la stanza da letto. Poi,
poco prima dell’alba, si addormentarono esausti.
11.
Verso le nove quasi contemporaneamente si svegliarono riabbracciandosi.
“Devi andare a vedere i lavori?”
“Dovrei, ma non ne ho voglia. Andrò nel pomeriggio tanto non devo fare nulla d’importante.”
“Oh, si. Rimani qui. Non voglio restare sola.”
Si risvegliarono verso mezzogiorno. Scesero in soggiorno per fare colazione.
Finito il latte con i biscotti Kris gli si sedette a cavalcioni sulle gambe.
“Sai che sei proprio una belva?” disse Walter.
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Sorrise. “Anche tu non scherzi. Non...non coinvolgerti troppo con me però. Non ti conviene, sono
troppo volubile.”
“Non ti preoccupare, non mi innamoro tanto facilmente.”
Lei sorrise rassicurata. “Soltanto amici allora?”
“Soltanto amici.”
“Non credere che non ti voglia bene però” tenne a precisare lei.
“Vale anche per me.”
Si strinsero per un po’ in silenzio poi Walter chiese:
“Stasera che c’è di bello in giro?”
“Mmh, non so. Io vado a trovare un’amica a Groppiano. Glielo avevo promesso. Puoi venire anche tu.”
“Ti telefono più tardi, così vedo come sono messo” rispose.
Nel rincasare passò da zia Tilde che gli fece sapere della telefonata di Enrico dalla Grecia. Stavano
stupendamente e lo salutavano.
Verso metà pomeriggio il tempo cominciò a guastarsi. Grossi nuvoloni spuntavano da dietro la
montagna mentre Walter confabulava con il Geom. Valenti.
Un chilometro più in là il parroco, Don Mario, stava chiudendo le imposte della sagrestia per evitare
che sbattessero. Un vento improvviso aveva preso a soffiare dal bosco. Attraversando la navata della
chiesa per recarsi nel contiguo appartamento, notò lo strano colore del Cristo in bronzo e si avvicinò
per vedere meglio. Era soltanto un po’ di polvere, probabilmente caduta dal soffitto. Non ne notò,
stranamente, sul pavimento.
“Cesare! Portami due stracci che facciamo un po’ di pulizia” disse al suo attendente appena disceso
dal campanile. Fu necessario usare tutto l’olio di gomito che avevano per far nuovamente risplendere
Gesù sulla croce. Il giorno dopo dovettero buttare gli stracci nel pattume perché quasi lacerati, come
corrosi.
Verso sera Lucio gli telefonò per proporgli una serata a poker con un paio di amici. Walter pensò che
una serata casalinga sarebbe stata l’ideale per non sfinire ulteriormente il suo fisico già provato dalla
lunga nottata e chiamò Kris per dirglielo.
“Sei molto stanco?”
“E’ un tipo di stanchezza piacevole.”
La sentì sogghignare all’altro capo del telefono.
“Allora, magari ci vediamo domani al bar?”
“Sì, certo. A domani allora, stammi bene.”
“Anche tu.”
Si alzò dal divano e avviandosi verso il bagno guardò attraverso i vetri della finestra. Il vento
sembrava essere calato d’intensità.
Tanto frastuono e poi neanche due gocce d’acqua pensò vagamente.
CAPITOLO III – Misteri
1.
Patrizia Ronchi appoggiò la cipolla sul tagliere e cominciò a sminuzzarla finemente. Alzò la fiamma del
fornello mentre il notiziario di Radio Sole stava terminando.
“Va ora in onda Noche caliente. Conduce in studio El Niño” annunciò la voce femminile che usciva
dagli altoparlanti dello stereo.
Un piatto di pasta al sugo, un po’ di televisione e poi a letto presto. La giornata lavorativa era stata di
quelle che non ti lasciano un briciolo di energia. Lavorare ad agosto nel più grosso supermercato di
una località turistica è estenuante. D’altronde non c’era scelta visto che aveva iniziato solo un mese
prima a lavorare al Mezzaluna Market e non aveva maturato abbastanza ferie. Pazienza, sarebbe
andata in vacanza a febbraio alle Canarie con il suo Pierpaolo. Lacrimando rovesciò la cipolla tritata
sulla padella insieme alla passata di pomodori e appoggiò il coltello sul marmo. L’acqua non bolliva
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ancora e lei ne approfittò per andare in bagno. Dalla radio proveniva un allegro motivetto di musica
latinoamericana.
Uscita dal bagno notò la mancanza di sottofondo musicale ed entrando in sala da pranzo vide che
l’impianto era spento. Pensò ad un contatto ma si accorse ben presto che la leva di selezione era in
posizione di OFF come se qualcuno l’avesse spostata. Forse era difettosa. Fece un paio di
controprove senza esiti poi ritenne di essere troppo stanca per cercare di capire e riaccese
semplicemente. Uno strano odore sembrava venire da fuori.
“Cari amici di Radio Sole, sono le 21 e 40. Un po’ di pubblicità e poi ci risentiamo in studio. A tra
poco.”
Tornò ai fornelli e subito notò qualcosa di strano: sul marmo vicino al coltello da lei usato poco prima
ve ne era un altro che era sicura di non avere preso dalla credenza. Era parallelo all’altro, sistemato
con una precisione quasi millimetrica. Si guardò intorno stupita per qualche secondo. Un leggero
senso di disagio si stava impadronendo di lei ma riuscì a cacciare gli strani pensieri che le frullavano
in testa e cercò di sorridere dandosi della stupida; quante volte succede di fare le cose senza
pensarci?
Sentì bisogno di fumare e andò nell’ingresso a prendere le sigarette dalla giacca. Silenzio. La radio si
era di nuovo zittita. Tornò in sala e questa volta non ebbe bisogno di avvicinarsi all’impianto per capire
che la leva era di nuovo spostata. Guardò istintivamente sul marmo ed ebbe un sussulto. I coltelli ora
erano tre e tutti perfettamente allineati. Lo capì immediatamente e con certezza: qualcuno era in casa!
E stava giocando con lei ed i suoi nervi.
“Pier, sei tu? Non farmi prendere paura.” Il suono della sua voce tremolante in mezzo a quel silenzio
rese l’atmosfera ancora più sinistra.
“Pier, per favore, sai che non sopporto queste cose, smettila!” Era l’unica persona che poteva avere le
chiavi e Patrizia cercava di convincersi che fosse lui.
Lo schianto del coltellaccio grande contro il legno della credenza la atterrì e cacciò un urlo.
“PIER, FINISCILA CON QUESTI SCHERZI DEL CAZZO!!!”
Silenzio di tomba. E dal buio salotto adiacente la cucina da dove era partito il fendente nessun
segnale. Attese un attimo nella speranza di vedere Pier uscire dall’ombra, ridendo; l’avrebbe insultato
e magari preso a sberle ma sarebbe stata felice di vederlo. Ormai non ci credeva più. Prese uno dei
coltelli senza sapere bene cosa farne: in realtà quegli oggetti le avevano fatto sempre una gran paura.
L’unica speranza era imboccare l’ingresso vicino a lei, uscire in giardino e gridare chiedendo aiuto. Si
precipitò scagliandosi verso la porta ma una lunga lama le penetrò nella schiena.
2.
A volte si vorrebbe poter volare per vedere dall’alto il mondo e tutte le cose che vi accadono
contemporaneamente. O forse anche solo per vedere ciò che succede in un semplice paese. Avendo
potuto vedere tutto ciò che accadeva dall’alto quella mattina a S.Clara si sarebbe visto come prima
cosa il furgoncino di Stefano Minoli che depositava i quotidiani a fianco delle edicole, tra le 7.00 e le
7.15. Poi l’arrivo in auto da due diverse direzioni di due infermieri che dovevano iniziare il turno del
mattino al Pronto Soccorso, l’apertura quasi contemporanea delle tre edicole cittadine e, fra le 8.10 e
le 8.30, una trentina di auto che si avviavano verso Groppiano, probabilmente per motivi di lavoro.
Tutto come tante altre mattine. Quella mattina però, dopo le 8.30, qualcosa di diverso dal solito si
sarebbe potuto vedere dall’alto. Una decina di persone sostavano in un cortiletto mentre un’auto blu e
bianca della Polizia attraversava il paese procedendo proprio in quella direzione. Qualche minuto
dopo gli agenti sfondavano una porta, uno di loro impediva alle persone di entrare. Circa dieci minuti
dopo, altre due auto a sirene spiegate raggiungevano la casa in questione. Per tutta la mattinata ci fu
un continuo andare e venire di persone ed automobili. Verso le 10 infine un’ambulanza era ripartita a
sirene spente. L’inusuale andamento di quel martedì mattina fu il primo caso di una lunga serie. Nei
giorni a seguire nulla sarebbe stato come prima, quel susseguirsi di eventi scanditi dal tempo con una
ripetitività quasi meccanica a cui i santaclaresi erano abituati avrebbe fatto posto ad una totale
incertezza anche nei movimenti più naturali della gente del luogo.
15
La signora Cinti avrebbe avuto da sbirciare e chiacchierare per tutto il resto del tempo che le restava
da vivere e nessuno avrebbe più osato dire che a S.Clara non succedeva mai niente.
3.
Il mercato di S.Clara era il più fornito della zona, aperto al mercoledì in inverno e tutti i giorni tranne il
lunedì nel periodo estivo. Oltre a fornire parecchie occasioni di acquisto era un modo come un altro di
passare il tempo per chi, come Walter quella mattina, ne avesse avuto da perdere. Si era svegliato
presto e di ottimo umore: quello che era successo con Kris gli aveva fatto bene al morale sebbene
sapesse di non doversi aspettare nulla di particolare da quella relazione. Era quasi convinto di
comprare il paio di occhiali da sole che stava provando quando intravide la sagoma di Sonia intenta a
selezionare abiti alla bancarella accanto.
Aspettò che lei alzasse lo sguardo accorgendosi di lui e le fece un cenno col capo. Era sola e gli si
fece lentamente incontro.
“Ciao, fai acquisti?” chiese lui.
“Sì. Cercavo un abito da sera per infoltire il mio guardaroba ma non ho trovato granché. Tutto bene?”
“Mah, sì. Cercavo di far arrivare l’ora di pranzo.”
“Ho visto che ti sei inserito bene nel gruppo, coi ragazzi cioè. Sei in giro tutte le sere, dicono.”
Notò una punta di sarcasmo in quell’affermazione e gli parve anche di capire perché ma fece finta di
nulla.
“Beh, sai, a parte gli impegni per la casa, sono in vacanza. Ti va di bere qualcosa?”
“No, grazie davvero, finisco il giro e poi vado che sono in ritardo. Ci vediamo in giro, in queste sere,
allora.”
“Certo, a presto.”
“Ciao.”
Schizzò via come una meteora e Walter si compiacque della propria freddezza ma nel rincasare si
accorse di essersi dimenticato di comprare gli occhiali.
Passando davanti al negozio di alimentari aveva già intuito qualcosa dalla conversazione di un paio di
signore ma solo con la telefonata di Kris nel pomeriggio seppe dell’accaduto, anche perché le zie
erano fuori città quel giorno.
“Ma tu la conoscevi?”
“Di vista, eravamo nella stessa sezione a scuola ma lei era due anni più avanti.”
“E non hanno idea di chi sia stato?”
“Sembra che l’assassino avesse le chiavi e l’unico ad averle era il fidanzato. C’erano anche dei
giornalisti in piazza, vedrai che domani su La valle ci sarà scritto tutto.”
“Un bello shock per una cittadina come S.Clara.”
“Puoi dirlo, qui non è mai successo niente. Mi ricordo parecchio tempo fa un accoltellamento fra due
tizi per una storia di corna; uno finì all’ospedale e l’altro si fece un bel po’ di galera.”
“Già, non ricordo niente di simile neanche quando venivo da piccolo.”
“Va be’. Come è andata ieri sera?”
“Ah, ieri. Lucio ha sempre avuto una fortuna sfacciata, comunque non ho perso neanche tanto. Poteva
andar peggio.”
“E stasera?”
“Stasera...al bar. Vengono anche Lucio e Miriam.”
“Io arriverò un po’ tardi mi sa. Mi aspetti?”
“Certo, se sei sicura di venire.”
“Sicurissima. A stasera allora, cucciolone.”
“Ciao, a stasera.” L’espressione cucciolone lo fece sorridere ma gli fece piacere ugualmente.
In realtà le raccomandazioni di Kris furono inutili perché Walter e gli altri non si mossero dal bar per
tutta la sera. L’argomento principale fu ovviamente l’omicidio della sera prima: un tale Giorgio, amico
dei ragazzi, era presente quando la polizia aveva portato via il cadavere, ben avvolto in teli di plastica
perché pare fosse in condizioni impresentabili. L’assassino doveva aver infierito in maniera davvero
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brutale: avvicinatosi per un momento all’entrata, prima che i poliziotti gli intimassero di allontanarsi,
Giorgio aveva intravisto un muro coperto di schizzi di sangue. Nessuno aveva idea di chi potesse
essere stato e perché. Chi conosceva Pierpaolo avrebbe messo la mano sul fuoco sulla sua
innocenza.
“Oggi per poco non metto sotto un cane, mi si è buttato in mezzo alla strada e l’ho evitato per un pelo”
raccontò Marione per cambiare argomento. “Correva come se avesse dietro una mandria di bisonti.
Poi, l’auto si è spenta e non ripartiva più. Ad aggiungere sfiga ero in curva e per poco un camioncino
non mi tampona. Tutto in un paio di minuti.”
“Poi come hai fatto?”
“Ho messo il triangolo prima della curva e dopo una decina di tentativi sono ripartito. Per un po’ mi
sono sentito come Paperino in una delle sue storie.”
Alla chiusura del bar Kris chiese a Walter se gradisse un ultimo drink a casa sua, così, tanto per fare
due chiacchiere. In realtà sapevano benissimo entrambi come sarebbe andata: ritrovatisi di nuovo su
quel divano si ricreò ben presto la situazione di due sere prima.
“Non dicevi che non dovevamo coinvolgerci troppo?” chiese Walter ironicamente una volta fra le
braccia di lei.
“Se vuoi tirarti indietro sei ancora in tempo” disse lei provocatoriamente.
“Io invece credo che ormai sia troppo tardi, almeno per questa volta.”
Lei sorrise scostandogli i capelli dalla fronte e lo baciò cercando la sua lingua.
4.
Era venerdì e il Geom. Valenti si congedò insieme all’impresa Monti per la programmata settimana di
pausa.
“Allora ci rivediamo il 16 mattina, va bene? Per qualsiasi imprevisto, perdite o cose del genere mi
chiami pure al cellulare senza esitazioni.”
“Speriamo che non ce ne sia bisogno. Arrivederci e buon riposo anche a lei.”
Erano le cinque o poco più e Walter si fermò all’edicola per comprare il giornale ma questo era
esaurito dalla mattina; era curioso di avere informazioni sulla faccenda dell’omicidio ed entrò in un
piccolo bar-latteria a prendersi qualcosa di fresco e a leggere le notizie sul quotidiano messo a
disposizione dei clienti.
Le prime quattro pagine de La valle erano interamente dedicate all’argomento con i particolari,
raccapriccianti, e le dichiarazioni di parenti e amici della vittima. Sembrava esclusa la possibilità di un
coinvolgimento del fidanzato che all’ora del delitto si trovava con alcuni amici intorno ad un tavolo da
biliardo a circa venti chilometri da S.Clara. Tutti i conoscenti descrivevano la coppia come un esempio
di stabilità e qualcuno lanciava l’ipotesi di uno psicopatico magari fuggito da qualche manicomio
criminale. In quanto ai particolari dell’omicidio si sottolineava che il corpo della vittima presentava un
numero imprecisato di ferite da coltello di cui solo due mortali, segno di una esecuzione volutamente
sadica e spietata; i colpi erano stati inferti trafiggendo, oltre all’addome, quasi ogni zona del corpo,
mani, bocca, persino uno dei bulbi oculari. L’orrore che si era presentato agli agenti di polizia era stato
tale che, a detta del cronista, persino il funzionario di medicina legale pare fosse stato colto al termine
del sopralluogo da conati di vomito. Nessuno all’ora del delitto aveva avvertito alcun rumore provenire
da casa Ronchi. Ad informare le forze dell’ordine era stata la famiglia Giagnoni. I vicini di casa si
erano insospettiti dalla larga macchia di sangue fuoriuscito da sotto la porta di casa di Patrizia. Anche
la sera a cena dalle zie si parlò della vicenda: una conoscente di zia Amelia era in buoni rapporti con
la Ronchi ed i suoi genitori e li reputava una ottima famiglia.
“Per me è stato qualche pazzo furioso che non è di queste parti” asserì.
“Beh, a volte la pazzia si nasconde dietro un’apparenza di perfetta normalità” asserì Walter.
“Comunque” concluse zia Tilde ”una cosa orribile, non l’ha solo ammazzata ma si è accanito come un
mostro.”
“Ho letto che però non c’è traccia di violenza sessuale. Chissà.”
Nel pomeriggio, mentre discendeva gli scalini che dalla Piazza Centrale immettevano nella stretta via
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pedonale disseminata di negozi di abbigliamento, ebbe la strana sensazione di essere osservato.
Voltatosi non notò niente di particolare. C’era abbastanza gente intorno a lui ma gli occhi andarono
istintivamente su un tizio che percorreva la strada in senso opposto al suo. Era piuttosto giovane, di
corporatura media e con una camicia beige. Ebbe l’impressione che il tizio si fosse appena voltato.
Poco dopo un’altra persona nella piazza ebbe la stessa impressione.
5.
Nell’andare all’Arlecchino, come il venerdì precedente, passò da casa di Lucio. Di nuovo notò il fumo
proveniente da dietro la montagna.
Quasi quasi domani sera faccio un salto e vado a vedere di che si tratta. Anzi, prima nel pomeriggio
vado alla conca a fare un giro. Tanto, per quel che ho da fare…
Era il weekend che precedeva il ponte ferragostano e la confusione al bar era tale da non riuscire a
sedersi. C’erano anche Sonia e Claudio. Quest’ultimo fu come sempre molto cordiale nei confronti di
Walter, anzi, sembrava avere una particolare simpatia nei suoi confronti. Anche Sonia sembrava un
tantino più rilassata del solito quasi come confortata dalla presenza del fidanzato. All’arrivo di Kris e
Morena però fece quasi una smorfia di disprezzo, cosa che convinse completamente Walter che la
sua ex fosse al corrente di ogni suo più recente movimento. Kris nel salutare Walter si lasciò andare
con un bacio quasi sulle labbra nonostante si fossero ripromessi di non lasciarsi andare ad effusioni in
pubblico per non alimentare i già crescenti pettegolezzi su di loro. Nella mente di Walter incominciava
a farsi largo l’impressione che le raccomandazioni di lei riguardo il non coinvolgersi troppo servissero
in realtà a mascherare una propensione di lei stessa al facile innamoramento. “Forse” pensò “sarebbe
il caso di congelare un po’ le cose per evitare malintesi.” D’altra parte l’effetto di vedere Sonia quasi
irritata dalla situazione provocava in lui un gusto quasi morboso ed il gioco era troppo divertente da
portare avanti.
D’un tratto si trovò in un parapiglia senza nemmeno capire come. Aldo era infuriato e sembrava
avercela con un tizio.
“DOVETE FINIRLA DI VENIRE QUA A ROMPERE I COGLIONI!!! CAPITO?” urlò tendendogli contro il
dito. Questi sorrideva con fare da sbruffone.
“Io vado DOVE CAZZO MI PARE, bambino.”
In mezzo a loro si era formato un cuscinetto di persone che, un po’ litigando anch’essi, un po’
cercando di parlarsi, cercavano di evitare lo scontro fisico fra i due. Per poco le cose non
degenerarono quando uno del gruppetto di sconosciuti alzò la voce anch’egli per intimare ad Aldo di
risolvere le cose al di fuori del locale. Fortunatamente fu subito zittito da un altro suo amico.
L’intervento risolutore fu però di Contini, il barista.
“Adesso basta o chiamo la Polizia e vi beccate una denuncia tutti, va bene?”
Le reciproche spiegazioni andarono avanti per circa un quarto d’ora davanti all’entrata del bar con
improvvisi accenni di tensione e faticosi ritorni alla calma.
“Ma chi sono quelli là?” chiese Walter a Lucio.
“Gente di Groppiano, un branco di idioti!”
Rientrando nel bar, più tranquillo almeno all’apparenza, Aldo spiegò agli altri il perché della sua
arrabbiatura.
“Arrivano ubriachi, ti urlano nelle orecchie, ti passano davanti a fare la fila, fanno i commenti a voce
alta sulle nostre donne. E dobbiamo anche sopportarli? Ma vaffanculo, se lo ribecco quello
stronzetto…”
“Dai, calmati adesso!” gli dissero un paio di loro con tono deciso.
Più tardi, radunata tutta la compagnia, ci si ritrovò al Mickey Mouse più che mai affollato di villeggianti
di origine locale e non.
“Walter ci sei domani al compleanno di Enzo vero?” gli chiese Lucio ad un certo punto della serata in
cui erano tutti sparsi in giro.
“Ah, certo. A proposito, ho sentito che fate colletta per il regalo.”
“Sì, gli prendiamo uno stereo per l’auto. Se vuoi contribuire...”
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La serata fu allegra ma un po’ dispersiva: verso la fine Walter si rese conto di non aver parlato quasi
con nessuno, il che era dovuto anche al volume altissimo e alla gran confusione. Solo Kris, di tanto in
tanto, gli lanciava dalla pista sorrisi e saluti maliziosi. Sonia era rimasta per gran parte della serata
appollaiata su di uno sgabello vicino al bancone apparentemente distratta e gelida. A Walter non
venne voglia di assodare il suo umore.
A fine serata, coerentemente con quanto aveva deciso, non andò a passare la notte a casa di Kris
nonostante il desiderio di lei. Gli sembrò la decisione più saggia anche se difficile. Preferì riposarsi con
una bella dormita e tenersi in forma per l’indomani ma prima di chiudere gli occhi non poté fare a
meno di pensare all’espressione enigmatica di Sonia ad ogni loro incontro. Valeva la pena cercare di
parlare con lei? E a quale scopo parlare di ciò che poteva essere e non era stato? Dopo tutto questo
tempo poi. Ciò nonostante la mente lo riportò ai vecchi ricordi di loro due al punto che quella notte la
sognò in una serie di situazioni, come spesso accade nei sogni, confuse ed insensate.
6.
Si svegliò verso l’una del pomeriggio e prima di un’ora non gli venne lo stimolo di mettere i piedi giù
dal letto. Verso le tre e mezza invece gli parve di essersi ripreso e decise di fare un salto alla conca
come pensato la sera prima. Faceva parecchio caldo ma la voglia di fare una camminata nel bosco
come ai vecchi tempi era troppo forte. Prese il suo vecchio e malridotto zainetto e vi infilò la felpa, un
paio di merendine preconfezionate e una bottiglia di acqua gelata. Attraversò la zona alta del paese e
si inoltrò per il sentiero che ben conosceva. Scelse poi un alberello per staccare un rametto col quale
percuotere leggermente l’erba davanti a sé: era un vecchio metodo insegnatogli dagli anziani della
zona per mettere in fuga eventuali vipere che, in quanto cieche, sentendo il rumore sull’erba si
sarebbero allontanate. Camminò per un’altra ventina di minuti non parendogli vero di metterci così
tanto tempo rispetto a quanto ricordava. Ed ecco sotto di lui la radura dove giocava da bambino. Era
uguale a come la ricordava, ma c’era un odore, un odore che ricordava di aver già sentito di recente:
né buono né cattivo, soltanto strano. Diventava sempre più intenso mano a mano che camminava
verso la parte opposta a quella da dove era venuto. Tirò fuori l’acqua dallo zaino e bevve fino a
togliersi la sete. Non ricordava di aver mai proseguito dopo quell’avvallamento anche perché il
sentiero che prima era comodo e pianeggiante ora si faceva ripido e stretto. Stava riflettendo
sull’opportunità o meno di proseguire, seduto su una roccia arrotondata, quando suonò il cellulare.
“Sono Enzo, Walter. Dove sei? A casa?”
“Veramente no, sono in giro a fare l’escursionista.”
“Avrei bisogno di te se hai tempo. E’ per la festa di stasera. Devo fare scorta al supermercato e ho
bisogno di qualcuno che mi dia una mano a trasportare la roba e anche per fare i cocktail. Non riesco
a trovare nessuno.”
“Ok. Dammi solo il tempo di rincasare, una mezz’ora o poco più e ti raggiungo.”
“Fai con calma, mi basta che arrivi. Grazie vecchio.”
Fu così che non prese in considerazione l’ipotesi di approfondire le sue conoscenze del luogo. E di
non scoprire l’origine delle colonne di fumo che si vedevano la sera dopo cena. In seguito ebbe modo
di rallegrarsi di non aver scoperto il motivo così presto.
Sulla via del ritorno un vento, a tratti anche piuttosto sostenuto, soffiava alle sue spalle come per
spingerlo ad allontanarsi in fretta. Era stranamente freddo.
Verso sera Kris gli telefonò per dirgli che si sarebbero visti direttamente a casa di Enzo. Dal tono di
voce non sembrava irritata dal deciso ma cortese rifiuto di lui la sera prima. Era forse solo un po’
rattristata ma sembrava capire la situazione. Walter ne ebbe la conferma alla festa.
“L’hai sentito il tirami su?”
“Sì, buonissimo.”
“Sonia mi saluta a fatica ultimamente, sai?”
“Uno dei suoi atteggiamenti infantili. Non è la prima volta, non ci badare.”
“Ma tu...la desideri ancora?”
“Anche se fosse non avrebbe importanza. Comunque no, non credo almeno.”
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Gli sembrò stranamente rincuorata. La guardò pensando. Non era quella ragazza di facili costumi,
come si diceva un tempo, che tutti in paese gli avevano descritto; era solo un po’...facilona, per così
dire. Walter la vedeva come una vittima di se stessa e della sua esuberanza. A fine serata, in mezzo
ai saluti, Kris non gli chiese se intendeva rimanere a dormire da lei ma fu il suo semplice sguardo a
farlo. Walter combatté con se stesso per parecchi secondi mentre lei si allontanava con le sue amiche
ma preferì lasciarla andare seppure a malincuore. Probabilmente era meglio così per entrambi,
altrimenti sarebbe diventato tutto più difficile. Quanta parte avesse avuto la presenza di Sonia in tutto
ciò era cosa assai difficile a misurarsi.
7.
Cecilia Vestri si alzò dal divano sul quale, fino a pochi minuti prima, si era appisolata guardando alla
TV un programma di giochi a premi e decise che era ora di andare a letto. Si avviò su per la scala che
portava al piano di sopra contemplando come ogni sera le immagini religiose che addobbavano un po’
tutta la casa in cui viveva compiendo una serie di movimenti resi meccanici dalla monotonia del suo
vivere. Del resto tutta la sua vita era sempre stata piuttosto monotona, dagli anni trascorsi in un
collegio di suore a quelli passati con la famiglia rigidamente religiosa che si adoperava in modo quasi
morboso a proteggerla dalle insidie e dai peccati del mondo. I suoi ricordi di gioventù si associavano
al pensiero di lunghe giornate solitarie con il fiato sul collo di genitori bigotti e repressivi che
selezionavano accuratamente per lei tutte le persone frequentabili. Niente di strano quindi che negli
anni si fosse sviluppato in lei un profondo timore dei rapporti umani, fossero essi di natura sessuale o
più semplicemente sentimentale. Solo in un caso si era parlato di matrimonio con una persona,
ovviamente scelta dalla famiglia, ma anche in quel caso non se ne era fatto nulla per il mancato
consenso del padre di lei. Anche dopo la morte di quest’ultimo dovuta ad una grave malattia ed al
ricovero della madre per demenza senile la sua vita non era cambiata granché e la sua fobia del
sesso aveva fatto in modo che si ritrovasse a 55 anni completamente vergine e votata a Dio come una
monaca di clausura.
Notò che cominciava ad esserci un’aria piuttosto viziata in casa, l’indomani sarebbe stato bene
arieggiare un po’ le stanze. L’odore stava diventando piuttosto stantio. Attraversò il lungo atrio della
vecchia casa di famiglia in cui viveva sola ormai da più di sei anni, quando notò il crocifisso. Era per
terra spezzato in due. Probabilmente era usurato e per questo si era sganciato dal chiodo che lo
sosteneva finendo col rompersi nella caduta. Eppure il legno sembrava ancora robusto. Rimase a
guardare l’oggetto con lo sconforto di un superstizioso che guarda uno specchio rotto sperando che
ciò non attiri veramente disgrazia. Ne avrebbe comprato uno nuovo al più presto ed anche più bello,
magari alla processione della Madonna dei Laghi. Il busto della Beata Vergine all’inizio dell’ingresso
alle sue spalle crollò d’improvviso frantumandosi in più parti. Nel voltarsi il crocifisso le cadde di mano.
Si fece il segno della croce istintivamente e con timore si avvicinò per vedere. Il cuore le batteva forte
ma doveva stare calma per non rischiare di avere un malore. Per qualche secondo vi riuscì ma alla
vista di un quadro con l’effigie di Gesù che dondolava come se qualcuno lo avesse urtato ne percepì
la presenza. Il Demonio era lì, in una delle sue tante forme. Si inginocchiò e cominciò a pregare ma la
preghiera non le servì.
8.
Dopo le giornate piene di avvenimenti della sua prima settimana di vacanza-lavoro, Walter si accorse
quasi d’improvviso di annoiarsi un po’. Congelata la storia con Kris e con i lavori fermi per ferie, l’unico
momento di vero svago erano le serate al bar senza che peraltro a nessuno dei ragazzi passasse per
la testa l’idea di muoversi da lì. Era comunque un’occasione per costringere se stesso a riposare
senza pensare al suo negozio nel centro di Novara ottimamente gestito in sua assenza da Fabio, il
capocommesso, al quale aveva telefonato per dirgli di chiudere e prendersi anche lui un po’ di
vacanza durante il ponte. In caso di necessità non sarebbe stato un problema per Walter fare un salto
in città e ritornare in giornata a S.Clara che distava da Novara poco più di un centinaio di chilometri.
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I suoi genitori, nativi della zona, si erano sposati 34 anni prima nella parrocchia di Don Clemente. Si
erano poi trasferiti a Bologna per motivi di lavoro. Tre anni dopo era nato lui. A vent’anni il suo primo
lavoro come postino, poi all’età di 28 anni si era trasferito a Milano per evitare di rimanere senza
lavoro in quanto la filiale di Bologna dell’agenzia di trasporti dove lavorava era stata chiusa.
Un paio di amici di Novara, ex colleghi nella ditta milanese, gli avevano poi consigliato di unirsi, come
da loro già sperimentato con buoni risultati, alla rete di franchising di una catena di negozi di
informatica che operava in tutto il Nord Italia. Qui, in una città più a misura d’uomo, si era trovato
benissimo e vi risiedeva ormai da quattro anni. In seguito a ciò aveva considerato l’ipotesi di rilevare la
vecchia casa di S.Clara ereditata dal nonno e farne una seconda abitazione. Era anche un’occasione
per ritrovare le proprie radici.
Il mercoledì pomeriggio fu ben lieto di far parte della scampagnata alle foci del Calendro. Erano in una
decina tra ragazzi e ragazze. Queste erano particolarmente tese e preoccupate dagli ultimi
avvenimenti nella zona.
Dopo l’omicidio della Vestri, percossa a morte con i suoi stessi crocifissi e violentata con uno di essi,
alcune di loro confessarono di aver provato paura recentemente a muoversi di notte in solitudine per il
paese; in particolare Morena aveva avuto l’impressione, una sera di ritorno dal bar, di essere stata
seguita pur senza aver notato o sentito nessuno alle sue spalle.
“E’ stato molto strano. Non vedevo e non sentivo nessuno ma ero sicura di non essere sola.”
“Era il mostro dei boschi!!!” disse Sandro allargandosi la bocca con le dita e rovesciando le pupille
dopo essersi messo in testa due fronde di un alberello.
Morena lo colpì con una sberla su una spalla. Walter e gli altri sogghignarono.
Giornali e notiziari TV regionali avevano già creato la psicosi da serial-killer, il che non giovava certo a
migliorare la situazione. Due giorni dopo, a questi fatti se ne aggiunse un’altro non meno spiacevole;
in questo caso però il tutto pareva ricondursi ad uno sfortunato incidente: Flavio Cerioni, un impiegato
postale di 42 anni, era deceduto a causa dello sfondamento del cranio contro una parete dello stabile
dove viveva, un condominio di quattro piani, di fronte all’ascensore che probabilmente aveva appena
usato, evidentemente per uno scivolone o una banale perdita di equilibrio. Poteva forse aver giocato
un ruolo fondamentale la sua ben nota claustrofobia in un ascensore che già in passato aveva avuto
qualche problema.
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno Walter era stato nuovamente testimone di un litigio fra i
coniugi Righi. Questa volta sembrava proprio essere l’ultimo.
“PRENDI I TUOI STRACCI E VATTENE! CAPITO? E NON FARTI PIU’ VEDERE!”
“CERTO CHE ME NE VADO. COSA CREDI, CHE RIMANGO QUI A FARMI TRATTARE COSI’ DA
TE?”
Il tono dei due si abbassò per poi rialzarsi poco dopo quando la porta si aprì.
“MANDERO’ QUALCUNO A PRENDERE LE MIE COSE. NON VOGLIO RESTARE NEANCHE UN
MINUTO IN QUESTA CASA” disse lei nell’uscire.
“BRAVA, MANDA IL TUO AMICHETTO COSI’ VEDIAMO SE HA LE PALLE DAVVERO.”
La porta sbatté forte e lei si ritrovò sola sull’uscio. La signora Cinti non fece in tempo a ritrarsi dalla
solita finestra.
“E TU CHE GUARDI, VECCHIA STREGA? NON HAI ALTRO DA FARE?”
La Cinti scomparì in un nano-secondo.
Alba Righi guardò anche in direzione di Walter. Questi non si fece sorprendere a guardare e la donna
non disse nulla. Lei si girò e si allontanò. Lui non poteva certo immaginare di essere una delle ultime
persone a vederla in vita.
Un minuto dopo la Cinti era al telefono con la sua amica e confidente Marta Guglielmini.
“Ma se ne è proprio andata?”
“Sbattendo l’uscio. Il marito parlava di un amante.”
“E se fosse proprio….”
“Il nipote della Tilde? No, non li ho mai visti neanche parlarsi. Certo che…”
Nonostante si trovasse a pochi metri di distanza, Walter non poteva certo sentire la conversazione fra
le due donne. Si sarebbe senz’altro adirato per gli spropositi sulla sua persona.
21
“Vorresti dire che pensi che lui…”
“Non ho detto questo. Dico solo che da quando lui è arrivato sono morte due donne. Tutto qui. Non mi
piace per niente, gira sempre nudo per casa e alla notte torna tardi o non torna proprio. Non mi fido.”
“Gira nudo?”
“Sì, e poi ascolta musica piena di urli…”
9.
Era di nuovo venerdì, l’ultimo delle sue vacanze e con tanta polizia in giro per S.Clara come non se ne
era mai vista. Toccò a lui questa volta, come già successo a tanti altri del luogo, essere fermato da
una pattuglia per accertamenti. Dei due gli parlò quello più anziano.
“Lei vive a Novara. Come mai da queste parti?” disse con tono non proprio amichevole.
“Vacanze. Ho una seconda casa qua vicino.”
“Capisco. Quanto intende fermarsi ancora?”
“Riparto lunedì.”
“Bene. Attenda in auto, per favore.”
Poco dopo il poliziotto gli restituì i documenti.
“Tutto a posto. Buona serata” disse molto più gentilmente di prima.
Mentre ingoiava la sua birra la sorte di Alba Bertoldi in Righi si era già consumata da qualche ora.
Dopo che Walter l’aveva vista allontanarsi lei aveva imboccato lo stradello sassoso avendo con se
solo la sua borsetta appoggiata a tracolla sulla spalla. L’idea era di andare a passare la notte da sua
madre e poi studiare il da farsi. Suo fratello poteva occuparsi di portarle tutte le sue cose dalla casa
dove non sarebbe mai più tornata, neanche se lui l’avesse pregata in dieci lingue diverse.
Poi telefonerò a Silvio. Ora, se mi vuole davvero, sono libera. Potremmo cercare casa, a Verbania
magari. O in un qualsiasi posto meno noioso di questo.
Decise di accorciare la strada deviando in salita per un tratto di bosco in cui gli alberi erano meno fitti.
Ci avrebbe messo meno tempo. Un sasso piuttosto grosso si contrappose fra il tacco della sua scarpa
e il terreno facendole perdere l’equilibrio. Cadde male sul terreno e rotolò per un paio di metri senza
riuscire a coordinarsi. Sentì un scrocchio dolorosissimo quando si fermò. Il dolore era insopportabile
se solo provava a muoversi. Si era probabilmente rotto qualcosa.
“Diavolo! esclamò.”
Si guardò attorno, sarebbe passato qualcuno prima che facesse buio? Attese qualche minuto poi
decise di provare a trascinarsi usando la gamba sana e le braccia. La fine del sentiero non era
lontanissima e lassù, sulla strada, le auto passavano spesso. L’impresa si rivelò più difficile del
previsto. Ogni tanto doveva fermarsi a respirare tanto era lo sforzo. Il sole stava calando e le fronde
degli alberi si agitavano. Improvvisamente sentì un insopprimibile senso di angoscia e il bisogno di
urlare.
“AIUTO! AIUTO! NON C’E’ NESSUNO QUI?”
Silenzio assoluto, anche il rumore degli insetti era svanito.
Pensò a Renzo e alla litigata di poco prima. Tutta colpa di quel bastardo.
Tentò ancora. Le braccia le dolevano e riuscì ad avanzare solo di tre o quattro metri. Fra poco
sarebbe stato buio. Le parve di sentire rumore di fogliame.
“AIUTO, SONO FERITA. QUALCUNO PUO’ AIUTARMI?”
Stava quasi avendo una crisi quando intravide una figura umana.
“Ah! Meno male che è arrivato lei. Mi devo essere rotta una gamba. Mi aiuta per favore?”
L’espressione supplichevole sul suo viso si contrasse in una smorfia di terrore.
In quel momento il disco solare scomparve completamente dietro la montagna.
10.
La vacanza era proprio finita. Appuntamenti di lavoro importanti richiedevano la sua presenza a
Novara ed il suo ultimo impegno in paese era riconsegnare le chiavi di casa all’impresa il lunedì
22
mattina dopodiché sarebbe rincasato per poi tornare solo a lavori ultimati. Anche una parte di amici
avevano concluso le vacanze ed erano pronti a tornare a casa. I più vivevano a Verbania, altri a
Novara o a Varese. Il sabato di congedo fu così occasione per una sbornia collettiva.
Virginia Bertoldi invece aveva ben altro da pensare mentre parlava con il genero.
“Cosa vuol dire “è andata via”?”
“Vuol dire che non abita più qui. Chiaro? Dov’è adesso? Se non lo ha detto a lei che è la madre chi lo
deve sapere?”
Poco dopo buttò giù la cornetta in preda all’ansia. Oh, Dio. Devo stare calma come ha detto il
cardiologo. Devo stare calma!
Non le era mai piaciuto Renzo. Lo diceva che era un menefreghista, un insensibile; e ora ne aveva la
conferma. Ma dove poteva essere la sua Alba? Forse da quella sua amica, come si chiamava? Elena.
Forse il numero era nell’agenda. Continuò le sue ricerche per un bel pezzo. Un’ora più tardi al
Comando dei Carabinieri ricevettero una sua telefonata.
Walter si riprese solo alla fine di una domenica pomeriggio passata con il mal di testa per i cuba libre
ingurgitati. Rimase sul letto per parecchio tempo e riaddormentandosi di tanto in tanto. Non si accorse
nemmeno dell’arrivo dei due carabinieri giunti per avere chiarimenti da Renzo Righi riguardo la
scomparsa della moglie.
La serata al bar si concluse presto e lontano dall’alcool; l’impresa arrivava alle otto e dopo il rientro lo
attendeva una giornata di lavoro molto piena. Walter salutò tutti con non poco dispiacere per non
poter prolungare la sua villeggiatura ma sapendo di poter tornare nei weekend ogni qualvolta lo
avesse voluto e ritrovare chi a S.Clara viveva tutto l’anno come Kris che lo salutò stringendolo forte a
sé.
“Mi raccomando, non sparire. Ok?”
“Come potrei? Tra poco avrò anche una casa qui.”
“Voglio dire che se quando torni non passi da me ti odierò.”
“Non ce ne sarà bisogno. Ti chiamo presto.”
Poco dopo la mezzanotte era già nel letto. La luce del soggiorno della Cinti era ancora accesa. Ella si
meravigliò di averlo visto rincasare così presto. Il giorno dopo vedendo ripartire il suo sospetto
assassino di donne si sentì più tranquilla. La sua tranquillità però ebbe breve durata.
11.
Claudio Ferri accese l’interruttore dello scantinato e cominciò a scendere la vecchia scaletta in legno
che iniziò a scricchiolare subito e smise solo quando il 46enne taxista fu arrivato in fondo. Da quando
Erika aveva chiesto il divorzio, dopo ventidue anni di convivenza e un figlio in comune, e si erano
separati le serate erano così monotone e tristi. Il desiderio di una donna si faceva sempre più forte ma
una storia importante sembrava non arrivare mai. Era del resto difficile per uno come lui, chiuso e di
poche parole, rimettere in piedi una vita sentimentale con le poche amicizie di cui poteva disporre e gli
annunci matrimoniali gli sembravano così freddi e pieni di sorprese. Aprì uno dei cassetti del vecchio
mobiletto dei genitori. Le vecchie riviste pornografiche impolverate, nascoste quando il suo matrimonio
era ancora in piedi, erano ancora lì come ben ricordava ma il cassetto stentava ad aprirsi. Non
riuscendo ad estrarlo completamente provò allora a sfilare i giornaletti con una mano ma l’operazione
sembrava complicarsi anziché il contrario. La cosa lo fece irritare al punto di non far caso allo strano e
forte odore che stava impregnando la stanza. Perdendo la calma diede un ulteriore strattone al
cassetto provocando un’oscillazione del mobile. Qualcosa cadde dalla cima dello stesso. Carta da
pacchi arrotolata chissà quando finì sulla sua testa costringendolo a mangiare parecchia polvere. Ma
qualcos’altro si nascondeva nelle pieghe di quell’oggetto. Se ne accorse istintivamente ma non
realizzò subito, poi all’improvviso un dolore acuto, una fitta tremenda, indirizzò i suoi occhi verso la
gamba destra. Le chele di uno scorpione rosso addentavano lo stinco dolorante ed altre due di quelle
bestie, una fuori dalla sua visuale, camminavano sul suo corpo. Proprio quest’ultima lo morsicò alla
spalla. Si sentì all’improvviso come se tutto il sangue in lui stesse per prendere fuoco e in pochi attimi
le forze lo abbandonarono. Crollato al suolo gli restò per qualche secondo un barlume di conoscenza
23
ma senza avere energia per rimuovere un altro scorpione che gli zampettava lentamente sulla fronte.
12.
Quando il mattino seguente salutò le zie ancora non poteva sapere nulla degli ultimi avvenimenti. Solo
verso sera Kris gli raccontò telefonicamente della sfortunata sorte del suo concittadino e della
scomparsa della moglie di Renzo Righi. Nel pomeriggio aveva ricevuto la telefonata del Geom.
Valenti.
“Da mercoledì può passare dal mio studio a ritirare le chiavi. Domani sera sarà tutto pronto.”
“Bene. mercoledì nel pomeriggio sarò da lei.”
Il giovedì sera chiamo Kris per dirle che nel weekend avrebbe inaugurato la nuova casa. Lei ne fu
felice. Sembrava però preoccupata e forse spaventata e nello spiegare a Walter i motivi di tali
apprensioni fu piuttosto enigmatica. Parlava di sensazioni che provava nell’andare in giro per il paese
e parlando con la gente ma anche quando la sera rimaneva in casa, sola. C’erano state altre tre morti:
l’omicidio di un uomo a colpi di mattone, il suicidio senza apparenti motivazioni di un bancario
buttatosi da una rupe sul Monte Cappuccio e l’annegamento di una donna ritrovata nei pressi della
riva del lago. Un concatenamento sconvolgente di destini avversi con annesso l’incubo di uno o forse
più assassini in libertà.
Nel primo caso si era arrivati alla conclusione che si trattasse di omicidio in base alla testimonianza di
una donna che prima di trovare il cadavere di Ennio Perrone, muratore di 51 anni, aveva sentito le
imprecazioni di aiuto di quest’ultimo. Gli altri due casi sembravano slegati da qualsiasi dinamica
omicida. Ora i giornali non parlavano più del killer delle donne ma semplicemente di omicidi senza
apparenti motivazioni. Alcuni ragazzi del luogo, due di essi noti anche a Walter, avevano anche
organizzato ronde notturne allo scopo di rilevare eventuali stranezze e segnalarle alle autorità ma le
loro ricerche non avevano prodotto il minimo risultato. S.Clara conservava la sua apparenza di
cittadina tranquilla ma con una scadenza quasi regolare di situazioni che culminavano verso un
destino comune: la morte.
Lo stesso Walter poté verificare di persona la cappa di preoccupazione e diffidenza che aleggiava
sulla zona quando, fermatosi al bar all’imbocco della strada che conduceva al centro cittadino, si sentì
squadrare da capo a piedi con aria sospettosa dal barista e dai pensionati ai tavoli per tutta durata
della sua sosta, cosa peraltro singolare in un paese in cui gli abitanti erano abituati alla vista dei
forestieri. Per qualche istante si sentì nella situazione di Jessica Tandy in Uccelli di Hitchcok quando
le anziane signore al ristorante si rivoltano contro di lei mettendo in correlazione la sua presenza con
gli ultimi strani avvenimenti. Era l’ultimo weekend di agosto e faceva ancora piuttosto caldo. Il numero
di turisti era visibilmente diminuito rispetto a quando Walter era tornato a Novara; anche il mercato
non era particolarmente affollato. A pranzo con le zie, Enrico, la moglie ed i bambini ebbe modo di
conoscere altri particolari sulle ultime vicende. Il cugino infatti aveva tenuto i ritagli di giornale di tutti e
tre i casi. Strano che un rude muratore, alto 1,90 per 90 chili di peso si fosse lasciato spaventare da
qualcuno armato semplicemente di un mattone al punto di urlare per chiedere aiuto. Forse si trattava
di più persone. Il caso della donna annegata, Marta Rizzo, era praticamente privo di indizi: mancava
da casa da un paio di giorni e non si immaginava da quale punto potesse essere caduta. Non
presentava al momento del ritrovamento alcuna ferita sul corpo, solo tanta acqua nei polmoni. Il caso
che gli rimase maggiormente impresso riguardava la morte di Perotti, il bancario: pare che al
momento di mettere in atto il suo folle gesto fosse stato colto da un ripensamento, la qual cosa era
deducibile dalle ferite alla mano destra per i tagli inferti da un ramo probabilmente dello stesso
alberello che era rovinato con lui al suolo. Nessun problema economico, niente che potesse
giustificare un suicidio. E la sorella diceva di non credere a tale ipotesi.
13.
La casa era perfetta, ristrutturata a puntino. Dopo averla ammirata e rimirata come fosse un’opera
d’arte accese il portatile con dentro una sua cassetta di brani misti, alzò il volume e si adagiò su una
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sedia, soddisfatto.
Ecco qual’era la prima cosa da portare la volta successiva: un bel divano; c’era un posto, un discount
del mobile a Groppiano che offriva prezzi veramente bassi e si occupavano anche del trasporto. Si
alzò e aprì il vecchio ma ancora discretamente funzionante frigo Zoppas che le zie gli avevano
procurato a costo zero. Da bere c’era solo aranciata, ne vuotò mezza bottiglia.
Erano quasi le sei quando suonò il campanello. Kris lo salutò abbracciandolo e baciandolo; sembrava
particolarmente felice di vederlo. Aveva un’aspetto un po’ sbattuto e un’aria piuttosto ansiosa.
“Stai qui anche domani, vero?”
“Sì, ma domani sera rientro. E’ un periodo stressante, però sono soddisfatto, il lavoro al negozio va
piuttosto bene. E tu come te la stai passando?”
“Mah. Bene, credo. Solo...c’è una tensione in giro ultimamente. Se ne sentono di tutti i colori: chi dice
di sapere chi è il fantomatico killer, chi parla di malocchio collettivo, chi non esce più di casa. Sembra
che S.Clara stia impazzendo.”
“Beh...certo che è una situazione che da di che pensare. Anche nella parentela ho notato molta
apprensione, soprattutto in Enrico verso i figli; non li ha persi di vista neanche un attimo mentre
giocavano nel prato. Comunque si tratta di fatti diversi tra loro e a parte gli omicidi per il resto sono
solo coincidenze sfortunate.”
“Molta gente in paese non la pensa così. Sembra che anche in quelle che tu chiami coincidenze ci sia
qualcosa che sfugge; qualcosa di troppo....sfortunato.
Cenarono insieme e verso le undici si mossero verso il bar. Walter aveva voglia di una passeggiata
ma Kris insistette per prendere l’auto. Anche la solita allegria degli amici sembrava aver subito una
ridimensionata. Vero è che rispetto ad agosto era diminuito anche il numero di persone del gruppo.
Sonia e Claudio erano in vacanza a Parigi e Lucio con Miriam era in Liguria a passare il week-end.
Aldo era tornato a Verbania e Beppe era in vacanza a Tenerife. La serata fu piacevole ma senza
grossi scossoni. Sembrava che ognuno avesse qualcosa di più importante da pensare che da dire.
Nessuno disse una parola sui fatti ben noti e Walter preferì non violare la reticenza degli amici. L’unica
eccezione fu il consueto delirio di Martino nemmeno troppo sbeffeggiato nella situazione.
“Allora! Come siamo silenziosi stasera. Visto che non dicevo stronzate? E questo è solo l’inizio, vedrete in
seguito.”
“Intanto vedi di non buttarmi il vino addosso” rispose quasi arrabbiato Sandro, il cugino di Aldo.
Di solito quando Walter accompagnava Kris a casa rimanevano a parlare un po’ davanti all’uscio e
quella sera lei gli chiese senza troppi giri di parole di rimanere a dormire in sua compagnia.
“Non è come le altre volte credimi, non è per quello che pensi. E’ che...dopo tutte queste storie...non
mi piace dormire sola. Sarò stupida ma mi sta tornando la paura del buio come quando ero piccola.
Una volta tanto che ci sei tu a farmi compagnia...”
“Okay, solo che volevo inaugurare la casa rimessa a nuovo. Perché non dormiamo da me? Sei già
qui, prendi quello che ti serve e andiamo.”
Le tornò la serenità sul volto.
“Faccio in un minuto, prendo due cose e arrivo.”
Tirarono su le coperte fra i cigolii del vecchio letto matrimoniale nella camera con l’arredamento
ancora da completare e mentre Walter sceglieva l’intensità della luce dal nuovo interruttore regolabile
lei lo guardò con aria riconoscente.
“Grazie per avermi fatto contenta.”
“Figurati, non dovresti drammatizzare però. D’accordo che forse c’è un pazzo che si aggira per
S.Clara, ma basterebbe far installare un impianto d’allarme. Non costano poi così tanto e per una
donna che vive sola può fare sempre comodo.”
“Sì, hai ragione, in effetti la causa delle mie paure è proprio questa. Sai, un paio di notti ultimamente mi
sono svegliata con l’impressione che qualcuno fosse in casa. Probabilmente stavo solo sognando perché
non ho sentito rumori ma la prima volta soprattutto ho avuto un’impressione così...netta che per non so
quanto sono rimasta irrigidita nel letto senza muovermi, come bloccata. Poi, quasi all’improvviso, la paura è
passata. E sai la cosa strana? Anche a mia sorella la notte scorsa è successa la stessa cosa. Forse siamo
solo tutti un po’ ipertesi in paese.”
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“E’ anche comprensibile, sta succedendo di tutto qui.” La strinse a sé e sentì i suoi muscoli rilassarsi.
Dormirono abbracciati teneramente tutta la notte senza che nulla potesse svegliarli.
L’indomani Kris lo aiutò a sistemare alcune cose poi verso sera lui la accompagnò a casa e si
salutarono.
“Allora, ci vediamo venerdì sera o alla peggio sabato. Mi raccomando, fai come ti ho detto. Chiama
quella ditta per l’allarme, almeno per sapere quanto ti costa.”
“Okay, ma tu chiamami ogni tanto, non ti fai più sentire.”
“Promesso.”
Cenò a casa di Enrico e verso le dieci si mise in viaggio verso Novara ripensando all’impressione che
gli aveva lasciato quello strano fine settimana.
14.
“Signori, adesso devo proprio chiudere” disse il gestore dell’Osteria della Santa.
Fulvio De Stefanis guardò l’orologio cercando di coordinare le pupille annebbiate e capì che non era il
caso di insistere oltre. Erano già passati venti minuti dopo l’orario di chiusura previsto. Ingoiò in un
sorso qull’ultimo bicchiere di Barbera insieme al suo amico Sergio Ravero, l’unico rimasto a tenergli
compagnia, ed insieme si alzarono dal tavolo per uscire. Restarono un po’ davanti alla saracinesca
chiusa parlando in pratica di niente poi, molto lentamente, si diressero verso due opposte direzioni.
Ravero procedeva zigzagando, Di Stefano facendo due passi al minuto. Poco dopo si appoggiò al
parapetto di protezione sul Calendro. Dopo un paio di minuti riuscì a trovare il pacchetto di sigarette in
una tasca della giacca e dopo altrettanti riuscì ad accendersela. Le boccate che tirava avevano uno
strano sapore.
Una bella sigaretta in riva al fiume e poi vado a letto felice. C’è anche un bel venticello.
In fondo la vita non era poi così male. Bastava qualche bicchiere di vino e tutto diventava più roseo.
Che importava se suo figlio, dichiaratosi omosessuale, se ne era andato a vivere a Torino per lavorare
in un gay club. All’inizio, quando la cosa si era saputa in paese aveva provato un certo disappunto.
Tutti quei commenti a voce bassa, le barzellette dei colleghi: Un finocchio entra in un bar e chiede al
barista…
Ma sì! Al Diavolo. Che fosse pure omosessuale, omosessuale ma felice. Era sempre suo figlio, no? E
sua moglie? Sì, rompeva un po’ ma in fin dei conti bastavano due urli ogni tanto quando esagerava.
Se solo lei avesse avuto ancora il fisico di una volta…Che fisico aveva una volta! Adesso se ne stava
cadendo tutto. Una donna con un fisico ancora asciutto, ecco cosa lo avrebbe fatto ancora felice.
Come quella cassiera a Groppiano. Bella, imponente, soda.
Nell’acqua si era formato una specie di gorgo. Cosa c’era la sotto? Sì, era una figura di donna. Ed
era…no, non era possibile…Era nuda. Giovane, bella e completamente nuda.
No, non può essere. Ho davvero bevuto troppo, ho le allucinazioni.
Stropicciò gli occhi e poi guardò ancora sotto. Eppure…si, la vedeva. Era sicuramente
un’allucinazione, non ne aveva mai avute prima. Sembrava che l’acqua le passasse attraverso il
corpo. O che il corpo fosse trasparente. Stava convincendosi che ciò che vedeva non fosse affatto
vero quando lei gli fece cenno di raggiungerla. Si sporse ancora in avanti sul parapetto. Gli pareva
anche di percepirne la voce.
Vieni…seguimi…è così bello qua sotto…
Il gorgo lentamente si innalzò e il movimento dell’acqua aumentò furiosamente.
Non è possibile.
Pochi istanti dopo la strada era deserta.
15.
Erano circa le 10,30 di mercoledì 31 agosto quando uscì dal negozio per il solito caffè al solito bar.
Nello sbirciare distrattamente il Corriere notò un breve trafiletto che introduceva alla pagina otto.
L’articolo intitolato Un paese a rischio? riguardava proprio S.Clara ed i suoi lutti.
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Quando una tranquilla cittadina di montagna subisce un trauma come la morte di un membro della
comunità l’emozione è sicuramente molto forte, non solo per parenti ed amici, ma per tutti i
concittadini in quanto vi si trovano un affratellamento ed una compattezza maggiori rispetto alle grandi
città. Nel caso di S.Clara il destino sembra voler mettere a dura prova la capacità di reazione dei suoi
abitanti. Tre omicidi, due sparizioni, un apparente suicidio e tre morti accidentali. Tutto ciò in meno di
un mese è davvero troppo per un piccolo comune del Verbano. E’ tutto frutto del caso? Quali
collegamenti si possono fare tra casistiche così dissimili tra loro? Esiste un mostro a S.Clara o il
destino ha voluto concentrare nello stesso periodo tutte le sfortune di una città che da sempre non fa
parlare di sé nelle cronache se non per qualche festa dell’uva o del cinghiale? leggeva Walter
pensando a quanto fosse rilevante il fatto che un giornale nazionale desse tanto risalto a quanto
successo di recente.
Dopo pranzo chiamò Kris per parlare un po’ con lei.
“Mi sembri un po’ giù. Qualcosa non va?”
“Te l’ho detto, c’è un clima strano qui, te ne sarai accorto.”
“Sì, capisco, ma perché non dormi la notte?”
“Non è che non dormo. Mi addormento poi dopo un po’ mi sveglio pensando che sono sola in casa e
che magari fuori c’è un assassino.”
“Ma hai visto qualcosa di strano nei dintorni?”
“No, solo…ieri sono uscita in giardino e c’era un odore…strano. Molto forte. Lo sento sempre più
spesso alla sera.
“Un odore? Di che tipo?”
“Non lo so, non ne ho idea. Magari è solo qualcuno che cucina qualcosa.”
O che brucia qualcosa pensò Walter con davanti agli occhi l’immagine della colonna di fumo vista a
casa di Lucio e rivista più volte.
Cercò di distrarla e al termine della telefonata ebbe l’impressione di averle un po’ risollevato il morale.
Si adoperò durante la settimana in modo tale da poter partire il venerdì sera. Arrivò a S.Clara verso le
nove e mezza, appena in tempo per sistemarsi e raggiungere i ragazzi al bar dove consumò la sua
cena: un panino con prosciutto e formaggio ed un cestino con bocconi di pizza che divise con loro.
“Domani volevo fare un piccolo ritrovo per festeggiare la casa nuova, un aperitivo, poi magari andiamo
a mangiare fuori. A meno che non vogliate che cucini io. Ma ve lo sconsiglio.”
“E’ un rischio che non possiamo correre” ironizzò Enzo.
“Ho letto” intervenne ad un certo punto Carletto, il più giovane della compagnia “che a Cavigliano,
dopo il confine verso Locarno, hanno trovato in un cimitero tracce che fanno pensare ad una setta
satanica che celebra messe nere. Hanno trovato anche un cadavere bruciato irriconoscibile. Si
firmano con un nome in latino che adesso non ricordo. Magari sono un branco di esaltati che si sono
persi in una follia omicida. Potrebbero anche essere loro ad aver provocato tutte queste morti. In
America succedono spesso queste cose. Non mi meraviglierei che cominciassero a capitarne anche
qui.”
“E perché proprio a S.Clara?”
“Mah, forse perché è un po’ il centro religioso della zona, potrebbe anche essere no?”
“E i suicidi allora, li hanno convinti a farlo?”
“Magari erano affiliati della setta, non so, è un idea come un’altra.”
“Boh, a questo punto tutto può essere.”
“Assassinati da una congrega di satanisti svizzeri impazziti. Che fine del cazzo!” concluse
ironicamente Marione. Ma nessuno rise.
CAPITOLO IV – Sospetti e vecchi ricordi
1.
Nel centro di Verbania, in un ufficio della Procura della Repubblica, stavano seduti l’uno dinanzi
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all’altro due uomini divisi da una scrivania. Uno in completo grigio, stempiato e con baffi, l’altro in
completo scuro con capelli corti color castano chiaro.
“Pensa che potenziando il numero di unità nella zona le cose potrebbero migliorare? Posso avanzare
una richiesta se lo ritiene necessario” disse l’uomo con i capelli castani.
“Non credo sia un problema di mezzi” disse l’uomo stempiato “e non credo nemmeno che possa
essere utile spezzettare le indagini tanti tronconi.”
“Ma lei ha parlato di casi tra i quali non si intravede un seppur vago filo conduttore…”
“Sì, certo, ma credo che il problema vada comunque visto nella sua unicità. E’ mia opinione,
puramente personale, che una cittadina di poche migliaia di abitanti dove l’ultimo delitto risale al
dopoguerra per motivi politici non possa divenire tutto di un colpo un covo di assassini spietati del tutto
isolati fra loro. Ci dev’essere qualcosa di più profondo sotto la superficie.”
“Lei dimentica però che nel caso gli autori dei delitti fossero più di uno non necessariamente questi
dovrebbero risiedere tutti a S.Clara. Ha controllato se vi sono stati nuovi insediamenti di persone di
recente? Turisti a parte, intendo.”
“Soltanto uno. Un certo Walter Ghetti. Pensavamo di interrogarlo in quanto persona informata sui fatti
riguardo il caso di Alba Righi. E’ una delle ultime persone ad averla vista prima che scomparisse.”
“Mi raccomando, vada avanti in ogni direzione. Non vorrei che questa situazione ci sfuggisse di mano
e che a Roma pensassero che è necessario mandare qualcuno perché non siamo in grado di fare
passi in avanti, anche la stampa ci sta incalzando parecchio.”
Il Sostituto Procuratore si alzò e strinse la mano al Procuratore Capo assicurandogli il massimo
impegno nelle indagini, poi uscì dall’ufficio.
2.
Uscito di casa si mise in cammino senza una precisa meta. L’idea era di fare una camminata fra i
boschi circostanti. L’autunno sembrava non voler mai arrivare e quel sabato pomeriggio era
probabilmente una delle ultime occasioni per un’escursione con un clima ancora accettabile. La
libreria l’avrebbe montata verso sera al rientro.
Canticchiando fra sé il ritornello di un pezzo dei Verve sentito poco prima alla radio imboccò un
viottolo sassoso che conduceva a Monte Cappuccio. Non fu una scelta meditata ma nel tragitto si
ricordò dell’uomo buttatosi di sotto e decise di fare un sopralluogo sulla scena del suicidio, così, tanto
per dare un obiettivo alla sua camminata. Ad un certo punto lasciò lo stradello per prendere una
scorciatoia di cui si ricordava da sempre. Il sentiero era abbastanza ripido e dalla sua fronte
cominciarono a cadere le prime gocce di sudore. Arrivato in cima si guardò attorno. Il paese era ai
suoi piedi e poteva distinguerne ogni zona. Pensò al suicida ma non gli riuscì di cogliere nulla in giro
che potesse visualizzargli la scena. Dopo essere rimasto qualche minuto seduto su un masso a
riposare e a contemplare il panorama incominciò la discesa stando attento a non scivolare sul terreno
friabile quando, giunto nei pressi di una piccola cascata d’acqua, notò la persona chinata su se stessa
ed intenta ad analizzare su una parete sassosa qualcosa di non ben identificabile. Era un signore
anziano ma robusto con barba e capelli bianchi e vestito, nonostante la tenuta estiva, piuttosto
distintamente. Alla vista di Walter sembrò per un attimo spaventato ma dopo averlo focalizzato meglio
con la vista, probabilmente non più tanto buona, tornò a concentrarsi sulla parete oggetto della sua
attenzione. Nemmeno Walter si soffermò più di tanto sullo sconosciuto e proseguì il suo cammino
verso casa. Là lo attendeva il parroco, Don Mario, doveva aver suonato il campanello da poco.
Vedendo Walter approssimarsi al cancelletto si presentò. Era venuto per conoscere il nuovo membro
della comunità e portargli la parola di Cristo. Walter lo fece entrare e gli offrì da bere.
“No, grazie, non è serio che un prete beva mentre diffonde messaggi di cristianità.”
“Beh, guardi, io non sono credente sebbene rispetti le scelte religiose di chiunque, ma penso che se
esiste un Dio non può aver creato il vino per non berlo” strizzando l’occhio ”non ne farò parola con
nessuno” disse porgendogli nuovamente il bicchiere.
“Beh, quand’è così, sia benedetto il vino. Grazie.”
Fu così che fra l’ateo Walter e Don Mario il messaggero di Cristo si sciolse il ghiaccio ed iniziò una
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conversazione così lunga da sorprendere entrambi.
“Lei ha conosciuto Don Clemente quindi.”
“Sì, sposò anche i miei genitori. Mi dispiace davvero che se ne sia andato. Era un brav’uomo.”
“Se il Signore ci chiama a se avrà le sue buone ragioni anche se a noi sfuggono.”
“Non ne dubito ma…sarei curioso di sapere come un uomo di chiesa come lei riesce a dare una
collocazione filosofica a ciò che sta succedendo a S.Clara. A tutte queste morti, soprattutto a quelle
per mano di altri uomini.”
Don Mario attese qualche attimo prima di trovare le parole.
“Lei sa che il male si annida ovunque, evidentemente anche questo paese non ne è immune. Ricordo
che Don Clemente prima di lasciarci mi parlò di un periodo, tanti anni fa, in cui sembrava che il male si
stesse impadronendo della zona. Poi, fortunatamente tutto tornò alla normalità.”
“Cosa successe esattamente?” chiese incuriosito Walter.
“Pare che accadessero in continuazione fatti strani ed inspiegabili, gente che perdeva la rotta per la
strada di casa, che trovava oggetti spostati al rientro, animali maltrattati e a volte anche uccisi.”
“Anche morti umane, come adesso?”
“No, quelle no, per fortuna. Solo un caso di sparizione. Un uomo sparì all’improvviso, non fece mai più
ritorno. Non ricordo il nome.”
“E tutto tornò alla normalità all’improvviso?”
“Sì, così come era iniziato. Speriamo che anche questa volta il bene abbia la meglio. Beh, ora devo
proprio andare. Ho la funzione alle 18. Mi farà piacere se vorrà passare dalla parrocchia ogni tanto,
indipendentemente dalle sue convinzioni teologiche.”
“Non mancherò” disse accompagnando Don Mario alla porta.”
Adesso devo proprio sbrigarmi, ho solo un’ora per andare all’emporio a comprare quattro cose per
dopo pensava Walter mentre colei che lo considerava un possibile assassino, la Cinti cioè, era in
preda ad un’ansia senza nome: strane folate di vento le penetravano in casa, ora da una finestra, ora
dall’altra. Una di esse fece sbattere forte le imposte nella stanza da letto. Decise di chiuderle tutte
nonostante il caldo. Ora però c’era uno strano odore in casa. Guardò fuori: non sembrava esserci un
temporale. In quell’istante il vetro davanti al suo viso scoppiò come una bomba travolgendole il viso ed
il petto. Il vento entrò impetuoso e la fece cadere per terra. Renzo Righi non poteva sentirla, avvolto
com’era da un brano di Bach a tutto volume nella sua camera, orientata in direzione opposta alla casa
della sua vicina pettegola. Enrico, moglie e figli erano in centro a far compere. Nel rialzarsi la donna si
toccò il viso ritrovandosi le mani completamente coperte di sangue. Una scheggia di vetro era
conficcata nel palmo della mano destra e il sangue sgorgava copioso. Poi, anche l’altro vetro, come
se qualcuno lo avesse preso in pieno con un bastone, andò in frantumi cadendo su di lei.
3.
“Cominci a prenderci gusto a venire qua a fare il villeggiante, eh?” chiese Lucio versandosi un mestolo
di liquido arancione senza chiedersi più di tanto da cosa fosse composto. Intorno a loro, nel piccolo
ma elegante giardino, un’altra decina di persone chiacchieravano piacevolmente. A Walter però parve
di notare visi un po’ contriti rispetto al solito. Qualcuno aveva le borse sotto gli occhi come se non
avesse riposato bene.
“Sì, così riesco veramente a staccare la spina con il lavoro. Ho preso un nuovo cellulare il cui numero
è sconosciuto ai miei clienti. L’altro è rimasto a Novara.”
“Una vera fuga dalla città. Voglio però vedere se verrai anche in inverno. L’anno scorso una
perturbazione ha congelato tutto. Una sera abbiamo toccato i –16. Un clima siberiano.”
“Beh, dipende da quanta neve dovrò spalare. Hai già pensato a dove andare dopo?”
“Sì, ho già prenotato anche, anzi è ora di muoversi tra poco. Ho detto loro che arrivavamo alle 9.30 e
ci vuole quasi mezz’ora per arrivarci.”
Poco dopo Walter uscì per ultimo dal cancelletto e lo chiuse. Una volta in auto, mentre si dirigevano
verso il ristorante, la solita scia di fumo proveniente da dietro il monte colpì la loro attenzione.
“Ma nessuno è riuscito a capire di chi si tratti?” chiese Walter.
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“Mah, non si è ancora capito. Una sera magari facciamo una spedizione e andiamo a vedere.”
“Sarà il mostro di S.Clara che brucia i suoi cadaveri.”
“Non è proprio il caso di scherzare” si infiammò Kris “come fai ad essere sempre così cinico?”
“Ehi, ehi!” fece Marione “cercavo solo di sdrammatizzare.”
“Beh, cambia modo, ok? Non mi piace quello che sta succedendo.”
“In effetti è pazzesco tutto questo: sembra la favola dei dieci piccoli indiani in versione horror”
concluse Aldo.
Più tardi, sul finire della cena, Kris prese la mano sinistra di Walter sotto al tavolo e non se ne staccò
finché non si alzarono.
Il giorno dopo seppero dell’accaduto.
4.
“Quindi, una disgrazia a quanto pare.”
“Così dicono, un’altra ancora. Che brutto periodo, un gran brutto periodo” disse mestamente zia Tilde.
Sarà anche una disgrazia ma quello che dice Kris è vero: troppa sfortuna, è quasi innaturale pensava
Walter e se anche queste cosiddette disgrazie fossero in realtà delitti commessi ad arte da un tanto
abile quanto spietato killer? Ma a quale scopo? Non può esserci un movente per così tante uccisioni.
Dev’essere pazzo allora, e se è così siamo tutti in pericolo. Pensa un po’: ho fatto tanto per crearmi
un angolo di relax quassù e all’improvviso…
“Riparti domani allora?” chiese zia Amelia facendolo risalire dall’abisso mentale in cui era caduto.
“Sì, ma penso di tornare il prossimo fine settimana, ho bisogno di rilassarmi, anche se negli ultimi
tempi non si può dire ci sia il clima giusto.”
“Eh no, proprio no. Ho già una certa età ma non ricordo un periodo simile a questo.”
Il giorno dopo Walter, mentre si trovava in negozio, ricevette la visita di due agenti di polizia. Il
mercoledì mattina si presentò alla procura di Verbania nell’ufficio del Sostituto Procuratore Luigi
Giacomino.
“Prego, si accomodi” disse il funzionario. Osservò i documenti sul suo tavolo poi, dopo qualche
istante, cominciò.
“Dunque Signor Ghetti, l’abbiamo fatta venire qua per mettere a verbale le sue dichiarazioni riguardo
la sparizione di Alba Righi. Lei è stato l’ultima persona, a detta del marito, ad aver visto la donna
scomparsa. Ora le farò qualche domanda e la prego di cercare di ricordare bene quello che vide e
sentì quel giorno. La informo che allo stato attuale lei, essendo stato convocato come persona
informata sui fatti e non come persona sospetta, non necessità di assistenza legale durante questo
interrogatorio. Se però dovessero crearsi, in base alle sue risposte, condizioni tali da destare sospetti
sulla sua persona, in quel caso sospenderei l’interrogatorio e le consentirei di consultare un suo legale
di fiducia in quanto dal quel momento ogni sua dichiarazione potrebbe essere usata contro di lei in
tribunale. E’ tutto chiaro?”
“Chiarissimo. Chieda pure.”
“Mi può raccontare cosa successe nel pomeriggio del 19 agosto quando vide la signora Righi uscire di
casa?”
“Mah, ero seduto in giardino, nel giardino del mio parente Enrico Bovi, e come prima cosa sentii una
serie di urla, stavano litigando…”
“Chi stava litigando esattamente?”
“La Righi col marito, lui non lo vidi ma ne riconobbi la voce. Si scambiarono anche qualche insulto,
credo, poi lei uscì dicendo qualcosa come: me ne vado e non torno più. Non ricordo le parole esatte,
sa, stavo cercando di leggere un libro.”
“Poi la signora cosa fece?”
“Vide la signora Cinti e le chiese che cosa aveva da guardare.”
“La Cinti, la dirimpettaia defunta tre giorni or sono, anche lei assistette alla scena quindi?”
“Sì, era nascosta dietro la finestra, lo faceva spesso.”
“Poi che successe?”
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“La Righi si avviò per lo stradello in direzione del centro.”
“Ricorda com’era vestita?”
“Un vestito a fantasia, forse a fiori ma non ci giurerei, comunque non di un unico colore, di questo
sono sicuro.”
Seguirono altre domande perlopiù di chiarimento dopodiché l’interrogatorio si concluse.
“Se le venissero in mente altri particolari che possono esserle sfuggiti mi chiami a questo numero”
disse porgendogli un biglietto scritto a mano “è il numero diretto di quest’ufficio. Per ora la ringrazio e
se avremo bisogno di lei la richiamerò.”
Uscì dalla Procura un po’ più disteso nonostante non avesse avuto nulla da temere da quella
convocazione: si sa, il formalismo negli uffici giudiziari mette sempre un po’ di tensione addosso. Quel
Dott. Giacomino poi, l’aveva squadrato in continuazione come per leggergli negli occhi mentre
parlava. Per tutto il tragitto che lo separava da Novara non pensò ad altro che a tutto quel groviglio di
tristi vicende.
Nei due giorni successivi il bollettino di guerra di S.Clara non migliorò. Il giovedì vi fu un incidente
stradale con due morti: un’auto finita giù per un dirupo a causa, pare, di una banale distrazione del
conducente. Il venerdì invece fu teatro di un’altra sparizione misteriosa: Diana Fumagalli, un’impiegata
di 26 anni uscita nella pausa pranzo e non più rientrata in ufficio.
Quando il giorno successivo, verso le 13, Walter faceva il suo ingresso in paese, il corpo di Fulvio De
Stefanis giaceva all’obitorio, ritrovato per puro caso da un pescatore su una riva sabbiosa del lago.
5.
Mentre scendeva verso il centro del paese aveva avuto una strana sensazione, una voce dentro di se
gli aveva parlato.
C’è qualcosa qui intorno, qualcosa che non va…
In realtà non c’era nulla che potesse creare preoccupazioni in quella strada contornata di alberi ma
qualcosa in lui l’aveva messo in guardia, un istinto animale forse, o un’improvvisa e maleodorante
folata di vento. Fatto sta che Walter accelerò il passo e giunto alla scorciatoia evitò di servirsene.
Quando si ritrovò in mezzo alla gente si diede dello stupido. Certe paure cieche appartenevano ormai
al suo passato ma per qualche istante ne aveva dubitato. Si costrinse a pensare razionalmente a ciò
che aveva veramente senso, doveva semplicemente comprare pasta, pane e magari un po’ di
formaggio fresco per quella sera e per l’indomani. Uscito dall’emporio con più confezioni di quante
intendesse comprarne si sentì chiamare da una voce familiare. Non si era accorto di passare davanti
alla parrocchia.
“Signor Ghetti, come sta? E’ tornato a godersi un po’ di aria fresca?”
“Ah, Don Mario. Si, adesso che ho la casa in montagna me la godo.”
“Bravo, fa bene. L’aria di Novara non sarà cattiva come quella di una grande città ma qui è comunque
migliore. Va di fretta o posso offrirle un bicchierino? Stavolta tocca a me. Mi creda, ne vale la pena, ho
un rosato…”
Cesare stava sistemando le candele mentre attraversavano la navata. Anche qui Walter percepì uno
strano odore, questa volta indefinibile. Poco dopo mentre Walter e Don Mario erano seduti in
sagrestia l’aiutante del parroco si guardava intorno, dubbioso.
“Veramente squisito, aveva ragione.”
“Eh, glielo avevo detto, questo è un dono di un mio confratello di Cuneo, ne beva pure perché è
l’ultima bottiglia che mi è rimasta. Fino a Natale non ne avrò più.”
“Ho saputo le ultime notizie, sembra che quello che lei chiama Demonio non voglia saperne di
andarsene.”
Don Mario si fece il segno della croce con gli occhi al cielo.
“Mi aveva incuriosito la volta scorsa” proseguì Walter “può dirmi qualcosa di più su quel periodo di
tanti anni fa di cui mi aveva parlato?”
“Mah, posso dirle ben poco in realtà. Io in quel periodo non ero qui. Ricordo solo ciò che mi raccontò
Don Clemente quando venni qua come novizio. Disse che per qualche tempo la città fu teatro di strani
31
eventi e ricordo quello che disse riguardo la fine di quel periodo. Disse: Il male se ne andò ma senza
essere sconfitto. E il male non sconfitto può sempre tornare.
“Chissà se c’è un collegamento tra quel periodo e questo” disse Walter senza sapere egli stesso fin
dove potessero condurre tali elucubrazioni.
“Ora che ci penso c’è una persona che le può raccontare qualcosa di più sull’argomento. Un certo
Soldani, un vecchio amico di Don Clemente. Lui probabilmente è a conoscenza di molti più particolari
di quanti potrei fornirle io. Vada pure a trovarlo e dica che la manda Don Mario. Dopo le faccio una
piantina per spiegarle dove abita.”
Uscito dalla parrocchia ripercorse a ritroso la viuzza a serpentina che conduceva verso casa. Stava
giungendo all’imbocco della scorciatoia quando per poco non rovesciò la borsina di plastica dalla
sorpresa. Un ragazzino sbucò da dietro la curva correndo come un razzo. Walter si era appena
ripreso dall’emozione quando lo scontro con un altro ragazzino sbucato improvvisamente dai cespugli
gli fece scivolare di mano la spesa.
“AAAAHHH!!!” Il ragazzo mandò un urlo di terrore.
“Ehi! Ma cosa state...”
Rimasero a fissarsi un istante poi il giovane scappò via a raggiungere il suo amico. Walter si chinò a
raccogliere le sue cose. L’odore era fortissimo adesso, quasi insopportabile. Gli ricordava…si, quando
aveva trovato quel cane investito. Ecco cos’era, odore di cadavere! Si fece coraggio e discese il
sentiero, istintivamente si turò le narici. Dapprima non notò nulla poi, con la coda dell’occhio, vide
qualcosa. Una catasta di rami . E spuntava…una mano! Si avvicinò ancora e capì il motivo della fuga
precipitosa dei due ragazzini terrorizzati. Si guardò attorno, era nello stesso punto dove tanti anni
prima…non volle pensarci. Risalì il sentiero fino alla strada e dimenticando la sua spesa si diresse di
corsa al posto di Polizia.
6.
Erano le 9.10 quando chiamò Kris per chiederle se le andasse di cenare fuori.
“Ti sento un po’ scosso. Qualcosa non va?”
“Non si è ancora saputo in paese?”
“Saputo cosa?”
“Del ritrovamento.”
“Che ritrovamento?”
“Vengo a prenderti con la macchina e ti spiego tutto.”
Circa mezz’ora dopo alla Pizzeria Caprese le raccontò di come aveva scoperto il corpo di Alba Righi.
“Non hai fame, vedo. Ti capisco. Hai visto il cadavere?”
“In realtà no ma, mentre recuperavano il corpo, il Capo della Mobile mi ha descritto in che condizioni
era e dopo sono andato dietro un cespuglio a vomitare.”
Lei gli prese la mano.
“L’assassino l’ha uccisa piantandole nel corpo dei paletti di legno appuntiti, poi l’ha occultata sotto una
catasta di rami.”
“Dio mio!” fece Kris mettendosi le mani davanti agli occhi.
“Pare che sia morta anche lentamente.”
“Dai, non pensarci ora, non torturarti.”
“Mentre la portavano via, sotto il lenzuolo ho visto una sporgenza all’altezza della bocca.
Probabilmente le ha piantato un paletto anche lì” disse questo mentre gli si strozzava la voce.
“Dai, basta adesso. Sai cosa facciamo? Ci facciamo mettere le pizze nei contenitori e ce le portiamo a
casa mia. Quanto te la sentirai di mangiare le riscalderemo in forno, ok?”
“Sì, è una buona idea, il mio frigo è vuoto, non ho nemmeno recuperato la spesa che avevo rovesciato
sulla strada.”
“E poi rimani a dormire da me così non ti farò fare brutti sogni.”
“In effetti stasera sono io che ho bisogno di assistenza. Rischi però di passare tutta la notte in bianco
insieme a me.”
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“Questo non è un problema fra noi” disse sorridendo anche se non con troppa allegria.
Anche lui sorrise.
7.
Nel bar non c’erano altre persone oltre a lui ed il barista. Svegliatosi verso le undici era uscito per
prendere un caffè e leggere il giornale. Nessuno in giro, solo il cortiletto della chiesa era brulicante di
persone per la funzione domenicale. Walter lesse il suo nome sul giornale per la prima volta nella sua
vita nell’articolo che descriveva l’accaduto del giorno prima. Un particolare era oggetto di dubbi: la
morte della Righi risaliva a quattro giorni dopo la sparizione. C’era un intervallo di diciotto giorni in cui
il cadavere non era stato ritrovato. Era impensabile che per tutto quel tempo nessuno di coloro che
avevano utilizzato quel sentiero avesse mai sentito il forte odore dovuto alla decomposizione.
Probabilmente l’assassino aveva trasportato il cadavere in quel luogo solo di recente per far sì che
qualcuno lo ritrovasse.
Il suono delle campane che chiamavano a raccolta i fedeli gli rammentò la conversazione del giorno
prima con Don Mario. Gli era venuto un improvviso desiderio di indagare, di cercare nel suo piccolo di
capire quali segreti potesse nascondere quel piccolo centro abitato. Decise quindi di recarsi a fare la
conoscenza di questo tale…come si chiamava? Soldani. Nel pomeriggio si ritrovò a suonare il suo
campanello. Gli apparve un uomo anziano ma robusto con barba e capelli bianchi. Aveva un che di
familiare. Teneva la porta aperta ma non completamente come se intendesse richiuderla a breve.
Walter si presentò cercando di spiegare il più chiaramente possibile i motivi della sua visita. L’uomo lo
lasciò parlare squadrandolo con un’aria incuriosita. Poi chiese:
“Dove ci siamo già visti?”
Di fronte a quella domanda Walter realizzò.
“Ah sì, un giorno ci siamo incrociati in cima al monte.”
“Già, ora ricordo. Ero a caccia di minerali, una mia vecchia passione. Lei è quello che ha preso casa
nella borgata vecchia per caso?”
“Sì, sono io. Il paese è proprio piccolo” rispose un po’ sorpreso Walter.
“Sa, non l’avevo mai vista prima e io qui conosco tutti almeno di vista. Sono nato e vissuto da queste
parti. Beh, venga dentro, vediamo se posso esserle utile.”
L’uomo era piuttosto affabile a dispetto della prima impressione suscitata. Probabilmente era solo un
po’ sospettoso. Walter intuì presto dal suo modo di discorrere e dalla sua ben fornita biblioteca
casalinga che dovesse trattarsi di una persona di notevole cultura. Era infatti un professore di Scienze
Naturali ora in pensione che di tanto in tanto dava qualche lezione ai figli di parenti e amici.
“Mi dica, cosa le interessa sapere?”
“Come le dicevo, Don Mario ha parlato di un periodo, anni fa, in cui accadevano cose strane, un po’
come adesso anche se in tono decisamente meno drammatico.”
Soldani lo scrutò come se cercasse di capire se potere o no fidarsi di quello sconosciuto. Poi,
decisosi, iniziò un racconto.
“Tempo fa, nell’estate del 1978, il mio buon amico Don Clemente che lei, mi diceva, ha conosciuto in
gioventù mi chiamò un giorno per chiedermi un parere sulla possibilità che alcuni strani fenomeni
fossero spiegabili scientificamente. Aveva ascoltato le confessioni di alcuni suoi parrocchiani che
asserivano di aver vissuto situazioni al limite dell’assurdo. Da buon uomo di chiesa mantenne il
segreto sui nomi delle persone in questione ma, preoccupato dall’acutizzarsi del fenomeno, mi
raccontò tutta una lunga serie di casi quanto meno inusuali in cui pareva esserci qualcosa che
sfuggiva al controllo della scienza.”
“Per esempio?”
“Un tizio si trovava i bicchieri della dispensa riempiti di latte ad ogni risveglio, un altro asseriva di aver
portato in casa per tre volte la stessa cassa di frutta ed essersela ritrovata altrettante di nuovo fuori
dall’uscio. Una signora si svegliava tutte le notti immaginando che la sua casa fosse in fiamme per poi
tranquillizzarsi solo una volta uscita all’aperto. Ed erano tutte persone che non avevano mai dato
segni di squilibrio prima. Poi si cominciò a trovare animali sgozzati o strangolati un po’ ovunque. I volti
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della gente in giro erano sempre timorosi e disorientati.
“Quanto durò tutto questo?”
“Due o tre mesi, praticamente tutto il periodo estivo, più o meno da giugno ad agosto.”
“E come finì?”
“Fini di colpo in pratica, senza un apparente motivo. E fortunatamente senza fatti di particolare
gravità.”
“Don Mario però mi ha parlato di una persona scomparsa in quei giorni.”
Soldani sorrise. “Eh, Don Mario ha la lingua lunga davanti al bicchiere. Sì, un nostro giovane
concittadino sparì all’improvviso senza fare più ritorno. Ma come mai questo interesse per cose che
appartengono al passato?”
“Beh, a volte il passato ritorna, anche questo è un periodo molto particolare.”
“C’è un’atmosfera quantomai pesante ultimamente, eh?” chiese il signor Soldani, ad un certo punto
del discorso conoscendo già la risposta.
“Eh, sì! Un mese fa sembrava il paese più felice del mondo e ora...”
”...e ora ognuno guarda il suo dirimpettaio con sospetto, come se temesse di riconoscere in lui il
mostro di S.Clara come diceva una giornalista” disse questa frase con voce ironica ma per nulla
divertita.
“Certo...finché non troveranno l’autore o gli autori di tutto questo.”
“Degli omicidi intende? Non sarà facile, non tramite le forze dell’ordine almeno. Non che io non
consideri la nostra Polizia sufficientemente preparata, ma le vie che portano alla soluzione di questo
mistero non sono a portata di mano. Le faccio una domanda, ci pensi bene. Ha notato un filo
conduttore in tutte queste vicende, incidenti e suicidi compresi?”
Walter cercò in pochi secondi di ricostruire le sue conoscenze e dare una risposta sensata ma non vi
riuscì.
“Mmh, no...non saprei proprio.”
“Esatto. E’ proprio questo il problema. Ogni caso è completamente diverso dall’altro, non una
situazione, non un particolare che faccia risalire ai casi precedenti. Tutto ciò va al di là di ogni teoria
poliziesca. Chi opera in questo modo opera su tutti i fronti, sfruttando tutte le situazioni, con estrema
freddezza e lucidità. Sembra quasi onnipresente.”
“Quindi lei crede che anche gli incidenti e i suicidi siano in realtà omicidi preparati con precisione?”
“Potrebbe essere. Poco fa le ho detto che non vi erano particolari comuni in tutte queste storie ma uno
in realtà c’è: tutte le vittime prima di morire erano sole. In perfetta solitudine, in balia di se stessi e
delle proprie paure.”
Walter non aveva smesso di ascoltare il suo interlocutore nemmeno per un secondo. Sembrava
saperla lunga e...sì, sembrava saperne anche più di quanto non mostrasse e che cercasse di non
sbilanciarsi troppo.
“Ma lei...ha per caso dei sospetti?” chiese Walter più che mai incuriosito.
L’uomo non rispose subito continuando a guardare nel vuoto, poi si girò.
“Può darsi.” Si alzò e ripeté “Può darsi. Non me ne voglia ma preferirei non parlarne. Almeno per ora.
Tra poco arriverà la mia...governante, diciamo così, un‘amica di famiglia che ogni tanto mi dà una
mano in casa e devo prepararmi. La inviterei a cena ma non so quanto la farei aspettare.”
“Grazie, non si preoccupi, avevo già un invito.”
“Torni pure quando ha voglia di chiacchierare. Alla mia età di tempo se ne ha da vendere.”
Walter si stava già avviando quando Soldani lo chiamò uscendo.
“Dimenticavo” disse abbassando il tono di voce “se notasse qualche stranezza di qualsiasi tipo, anche
banale, la prego, me lo riferisca. D’accordo?”
Walter lo guardò un istante poi rispose affermativamente senza fare domande su quella richiesta
quantomai vaga e si avviò lungo il viale sotto il sole che iniziava a tramontare.
8.
”...in balia di se stessi e delle proprie paure. Cosa avrà voluto intendere?” si chiedeva Walter mentre
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Lucia, la moglie di Enrico, portava in tavola l’insalata con i pomodori.
“Ti vedo pensieroso Walter. Tutto OK?”
“Sì...sì certo. Sai, oggi ho conosciuto un tizio, un certo Soldani.”
“Il professor Soldani? Fu mio insegnante per un anno alle medie.”
“Lo conosci quindi, che tipo è?”
“Un bravo professore, in gamba. Mi è sempre sembrato una persona seria, a posto. Perché?”
“No, chiedevo così. Abbiamo parlato molto...delle ultime cose insomma.”
“Gran brutto periodo” si fece scuro in volto “sono molto in apprensione per Elisa e Marco. Spero che la
Polizia trovi il pazzo che sta combinando tutto questo e lo sbattano dentro vita natural durante” disse
Enrico avvalorando così la tesi del killer psicopatico, la più accreditata in paese.
“Soldani” ripeté poi sembrando rilassarsi “Sì, era un buon insegnante. Io andavo maluccio con lui, ma
del resto andavo male anche con tutti gli altri. Sai, a me lo studio...”
Estate del ’78. Ero qui anch’io? Vediamo…si, fu l’ultima estate di vacanza passata qui. L’anno dopo
per festeggiare la Licenza Media andammo in Versilia. Allora fu la stessa estate in cui con Lucio
scappammo da quell’enorme biscia, e la stessa di quando nel sentiero le vespe mi assalirono. Lo
stesso sentiero di ieri…
“…di mascarpone?”
“Eh? Cosa?”
“Ah, ma allora siamo proprio distratti stasera. Non saremo mica innamorati?” disse Enrico con fare
divertito.
“Chiedevo se volevi un po’ di dolce al mascarpone” aggiunse Lucia.
“Sì, grazie, scusa, oggi ho la testa fra le nuvole.”
“Stai pensando a ciò che hai visto ieri?” chiese con tono decisamente più serio.
“Mah, si, un po’ a tutto.”
Più tardi, mentre scendeva in paese la testa ritornò in alta quota.
Forse molte delle paure che provai da queste parti non erano solo ingigantite dalla mia mente di
bambino. Forse sono stato testimone anch’io di eventi non del tutto naturali. Ricordo una notte in cui
mi svegliai perché i miei genitori erano agitati. Mio padre era sicuro che fuori in giardino ci fosse
qualcuno, si alzò e con un bastone in mano andò a vedere ma non notò nulla di anomalo. Ciò
nonostante mia madre rimase molto tesa per parecchio tempo. Cosa sentirono? Io non udii nulla di
particolare. E se anche così fosse che collegamento ci può essere con ciò che sta succedendo
adesso? E soprattutto cosa sta succedendo adesso?
“Non lo so. Non lo so cosa sta succedendo Walter” disse Lucio sconsolatamente mentre nel
giardinetto di casa Rambaldi aspettavano l’arrivo di Miriam con l’auto “è tutto così...irreale. Non è solo
per gli omicidi o le disgrazie. Sembra che tutti abbiano paura di tutto.”
Walter lasciava parlare il suo amico senza interromperlo e senza prendere una posizione
sull’argomento.
“Io stesso, e sai che non sono un tipo impressionabile, ho avuto una paura folle sabato scorso. Ti ho
detto che ero andato a pescare no? Di solito viene Beppe con me ma lui era appena tornato dalle
Canarie ed era troppo stanco. Sono andato da solo. Erano le cinque o poco più e l’alba non si
intravedeva ancora quando all’improvviso tutti gli uccelli hanno smesso di cinguettare: un silenzio mai
sentito a quell’ora del mattino, una cosa innaturale, come se in giro ci fosse una belva feroce e tu sai
che da queste parti al massimo ci può essere un cinghiale o qualche volpe; ed io sentivo una forte
sensazione di pericolo e l’ho sentita per almeno cinque minuti. C’era qualcuno, magari lo stesso
qualcuno che uccide gente da queste parti. Forse erano più persone per riuscire a spaventare un
intero bosco e forse...forse l’ho scampata bella.”
Salirono sulla Twingo di Miriam e si avviarono al solito bar. Quella sera all’Arlecchino Walter giocò
molto a biliardo. In doppio con Lucio vinsero in agilità le prime due partite, un po’ meno agevolmente
la terza, poi persero in modo netto la quarta dopodiché Walter passò la mano sentendo di aver perso
la concentrazione. Poco dopo arrivarono Sonia e Claudio. Lei questa volta sembrava più di buon
umore rispetto alle occasioni precedenti, addirittura quasi euforica nel raccontare il loro soggiorno a
Parigi.
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Come già sapeva Kris era là con le amiche. Lo abbracciò con grande affetto e volle andare lei stessa
a prendergli da bere. Walter si sentiva strano, per tutto ciò che era successo il giorno prima, certo, ma
anche per gli umori che sentiva nella gente, per il racconto di Lucio, per quell’incontro pomeridiano e
forse anche per la presenza di Sonia che ogni tanto lanciava le sue solite occhiate furtive soprattutto
mentre Kris gli era attorno. Pensò a come sarebbe stata una discussione con lei riguardo la fine della
loro storia. Un dialogo immaginario iniziò nella sua mente.
Sonia: Te l’ho detto, ero in crisi in quel periodo.
Walter: Eri in crisi o la tua crisi era dovuta a me? Fa una certa differenza. Preferirei che me lo dicessi
con onestà.
Sonia: No, il problema era mio ma forse qualcosa fra noi due non andava poi così bene se è finita
così.
Walter: Se è finita così è perché uno dei due ha cominciato ad allontanarsi dall’altro.
Sonia: Avresti potuto provare a starmi vicino.
Walter: Non è facile stare vicino a qualcuno a cui non va mai bene niente.
Sonia: Lo so, ti posso capire.
Sarebbe veramente andata in quel modo se ne avessero parlato? O era solo una proiezione creata
dal suo punto di vista? E poi lei ora stava con un altro e magari quella storia per lei era già figlia di un
passato remoto.
Quella domenica sera il tempo cominciò veramente a guastarsi. Una perturbazione in arrivo dal Nord
Europa aveva causato il primo sbalzo climatico in vista dell’autunno e ciò a circa 1200 metri di
altitudine significava già doversi coprire bene di notte. Aveva deciso di rientrare il lunedì mattina e di
passare la notte a S.Clara per non viaggiare col buio. Un po’ tutti quella sera gli fecero domande
sull’esperienza del giorno precedente seppure con la dovuta discrezione.
Più tardi Walter notò che tutti avevano fatto particolare attenzione a rincasare almeno in due alla volta.
Fu Lucio ad accompagnarlo sotto casa. Di poche parole nel soffermarsi si raccomandò però con
Walter affinché chiudesse bene le entrate. Richiudendo la porta sentì l’auto avviarsi e allontanarsi
piuttosto celermente. Era quasi l’una quando uscì dal bagno e si infilò nel letto questa volta senza Kris
rimasta a dormire a casa sua in compagnia di Morena. Si abbandonò con la mente a ripercorrere i vari
momenti di quella strana giornata senza che peraltro i suoi pensieri prendessero una piega precisa,
poi le palpebre diventarono pesanti e spense la luce.
9.
La camera era ancora avvolta nel buio quando gli occhi si spalancarono all’improvviso. Cercò di
inquadrare la striscia di luce lunare proveniente da dietro le tende che coprivano la finestra e piano
piano i contorni della stanza si fecero più distinti. I muscoli erano tesi in tutto il corpo ed il battito
cardiaco era piuttosto alterato. In quello stato di agitazione non si rese nemmeno conto del lieve strato
di sudore freddo sulla fronte. Era stato un brutto sogno dovuto alla quattro formaggi un po’ pesante o
qualcosa lo aveva svegliato? Non aveva idea di quanto tempo fosse passato e non gli sembrava
nemmeno di aver dormito, quantomeno non profondamente. Avrebbe voluto vedere l’orologio ma
preferì non accendere la luce e tendere l’orecchio per sentire eventuali rumori provenienti dall’atrio
sottostante ma non sentì nulla di strano. Tuttavia l’idea che qualcuno, ladri o peggio, potesse essere
penetrato in casa sua suggerì a Walter di alzarsi in punta di piedi e sgattaiolare fino alla porta della
camera che per una vecchia abitudine aveva tenuto chiusa. Aprì lentamente uno spiraglio e sbirciò nel
buio dell’ingresso. Ormai le pupille erano diventate come quelle di un felino e quando fu sicuro che
non vi fosse pericolo si avviò lungo il corridoio sempre con l’accortezza di evitare ogni rumore.
All’angolo avrebbe potuto sbirciare l’atrio dalla cima delle scale e sincerarsi che non vi fosse
effettivamente nessuno. Così fu e dopo un paio di minuti quando si sentì sicuro si fece coraggio ed
accese di scatto la luce. Nessuno. Nessun segno di effrazione o tracce del passaggio di qualcuno.
D’altronde perché allarmarsi tanto? In fin dei conti niente poteva lasciar pensare che la sua dimora
fosse stata violata. Eppure c’era qualcosa…qualcosa che gli segnalava una situazione di pericolo.
L’odore! Ecco cos’era. Quel dannato odore che ogni tanto sentiva in giro per il paese. Dalla grande
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finestra nel soggiorno vide le fronde degli alberi muoversi per un improvviso quanto violento colpo di
vento, poi più nulla. Anche l’odore era sparito come se quella ventata se lo fosse portato via. Poi,
senza un preciso motivo, si sentì più tranquillo e decise di tornarsene in camera. L’orologio segnava le
quattro e un quarto. Faticò a riaddormentarsi poi la stanchezza prese lentamente il sopravvento sulla
tensione e crollò. Solo al mattino svegliatosi abbastanza presto e non del tutto riposato collegò quanto
accadutogli al racconto di Kris davanti alla tazza di caffelatte. Per scrupolo ricontrollò ogni angolo della
casa compresi gli esterni incurante del tempo che così sottraeva all’attività lavorativa poi, verso le
nove e mezza, salì sull’auto, pensieroso. Stranamente avrebbe preferito trovare qualcosa che
giustificasse l’agitazione di quel risveglio, un tentativo di scasso o un vetro infranto. Almeno avrebbe
avuto una ragione per prendere qualche precauzione e per non sentirsi uno che ha paura del nulla. Le
sensazioni raccontate da Kris e Morena, quelle di Lucio, così simili alla sua, e le considerazioni
volutamente incomplete di Soldani vagavano senza meta nel suo cervello. Era appena arrivato al
ponte sul lago che separava S.Clara dalla provinciale per Verbania quando si fermò ricordandosi
proprio delle parole di Soldani e decise di riferirgli l’accaduto. In fondo avrebbe tardato al massimo di
una mezz’ora il rientro.
Parcheggiata l’auto di fianco alla casa dell’anziano insegnante suonò il campanello un paio di volte
senza avere risposta quando udì la voce dalla villetta adiacente:
“Chi cerca, scusi?” chiese con tono falsamente cordiale la signora con il volto appena affacciato dalla
finestra.
“Cerco il signor Soldani. Sa se è in casa?”
“No. Non c’è. E’ uscito presto stamattina. Di cosa aveva bisogno?” chiese sempre mantenendo quel
tono duro e timoroso al tempo stesso.
“Niente. Volevo solo salutarlo, ma è lo stesso. Grazie.”
Continuò a sbirciare con aria sospettosa da dietro la finestra finché Walter non fu ripartito. In quel
momento il cellulare suonò evidenziando la scritta NEGOZIO. Era Fabio che, non vedendolo per
quell’ora, chiedeva istruzioni per una consegna molto importante.
10.
“Don Mario, io vado allora.”
“Certo Cesare, vai pure e salutami la tua mamma, mi raccomando.”
“E’ sicuro di non avere bisogno di me?”
“Stai tranquillo. Vai e non ti preoccupare.”
Il fedele aiutante del parroco uscì dalla porta secondaria verso le 9.30 di quel martedì mattina. Stava
bene con Don Mario, quando aveva bisogno di un paio di giorni per andare a trovare l’anziana madre
a Vercelli non c’era nessun problema. L’importante era non lasciarlo solo di domenica o in un giorno
festivo quando la maggiore affluenza dei fedeli rendeva assolutamente necessaria la presenza di
un’altra persona.
Dopo aver pregato per una buona decina di minuti in ginocchio davanti all’altare, Don Mario si avviò
verso la sagrestia per consultare un libro liturgico. Si era ricordato di un bellissimo passo del Vangelo
secondo Giovanni e pensava di riproporlo per la prossima omelia ma aveva bisogno di rinfrescarsi la
memoria. In quel momento il pullman per Verbania partiva da Piazza Centrale con Cesare a bordo.
Aveva appena messo piede in sagrestia quando un rumore in fondo alla navata richiamò la sua
attenzione. Nel voltarsi notò un movimento sotto il telo color porpora che rivestiva il confessionale. Si
diresse verso di esso e verso colui che immaginava essere un fedele bisognoso di liberarsi dal peso
dei propri peccati. Non gli riuscì di capire perché quella persona si fosse infilata sotto il telo senza
dirgli nulla. Forse pensava di trovare già qualcuno dentro anche con la chiesa completamente vuota?
“Ha bisogno di confessarsi?”
Non ebbe risposta. Il telo si gonfiò leggermente per un istante come per uno sbuffo di vento.
Avvicinandosi avvertì nelle narici odore di…di cosa? Non sapeva proprio a cosa accostarlo. Una
sensazione di disagio si impadronì di lui. Ripeté la domanda con voce malferma.
“Deve confessarsi, scusi?”
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Non udendo nulla allungò la mano sul telo e lo scostò. Nulla. Nessuno era dentro il confessionale.
Eppure era sicuro di aver visto un movimento ben preciso. Si guardò attorno con ansiosa perplessità.
Sentì un’improvvisa ventata alle sue spalle e prima che potesse girarsi il pesante candeliere quasi
colmo di candele accese gli si rovesciò addosso. La giacca prese fuoco con una rapidità incredibile,
come se qualcuno l’avesse cosparsa di alcool.
“Oh, Signore!”
Cercò di non perdere la calma e di levarsi la giacca ormai ridotta ad una torcia ma le fiamme avevano
già intaccato buona parte del gilet e della camicia. Si diresse verso l’uscita, qualcuno l’avrebbe visto e
avrebbe cercato di spegnere le fiamme sulla sua schiena già gravemente ustionata. Il bruciore era
terribile oltre ogni dire. Nel precipitarsi inciampò in una panca stranamente non allineata con le altre e
cadde. Le fiamme su di lui si trasmisero anche alla panca di legno e le lingue di fuoco cominciarono
ad innalzarsi e a devastare anche il resto del suo corpo. Cercò di alzarsi ma si sentiva venir meno.
Provò a trascinarsi ma il corpo non gli rispondeva più.
“AAAHHHH!!!!!!” Cominciò ad urlare, dopo due minuti perse conoscenza e chiuse gli occhi, per
sempre. Poco dopo il fumo cominciò ad uscire dalla chiesa e qualcuno cominciò ad accorrere.
11.
Erano le sei del pomeriggio quando Kris gli comunicò dell’avvenuto incendio nella chiesa. Don Mario
era ricoverato all’Ospedale di Groppiano in gravissime condizioni. I medici disperavano che potesse
salvarsi.
“Quando sono entrati in chiesa era già avvolto dalle fiamme. Ma cosa diavolo sta succedendo qui?
Non è possibile una cosa del genere” disse con un misto di rassegnazione e paura.
“Lo so, è tutto incredibile. Pensa che ci eravamo parlati tre giorni fa. Non so che dire. E’ proprio vero:
troppa sfortuna, ci dev’essere qualcosa sotto.
Verso sera quando Walter ebbe finalmente un attimo di tempo consultò l’elenco del telefono e
rintracciò il numero di Soldani.
“Immagino sappia anche lei di Don Mario.”
“Ero in ospedale due ore fa. Il medico aveva appena firmato il certificato di morte. Piuttosto strano che
tutto sia successo proprio pochi minuti dopo che Cesare era uscito.”
“Non mi dirà che sospetta di lui?”
“Di Cesare? Oh, no, non volevo dire questo. Intendevo dire che è una coincidenza quantomeno
singolare che tutto ciò sia successo appena Don Mario si è ritrovato da solo.”
“Pensa che qualcuno gli abbia dato fuoco?”
“Ho parlato con un poliziotto mentre ero là. Sembra si tratti proprio di uno sfortunato incidente.”
“Ma lei non ci crede, vero?”
“Mah, nessuno è stato visto aggirarsi nei dintorni della chiesa né prima né dopo il fatto. E intorno ci
sono molte case.”
“Quindi cosa conclude?”
“Concludere? Non sta a me farlo e probabilmente non ci riuscirei con cognizione di causa. Cambiando
discorso: la mia dirimpettaia ha detto che uno sconosciuto mi ha cercato ieri mattina. La descrizione le
calzava a pennello.”
“Ero io infatti.”
Il racconto di Walter fu breve e preciso.
“Ciò che lei ha provato o sentito ieri notte pare sia successo un po’ a tutti qua in giro. Credo...che
dietro ci sia un pericolo reale. Così reale da essere percepito da i nostri sensi in maniera quasi
istintiva, animale.”
“Non so perché, ma quando parlo con lei ho l’impressione che sappia più cose di quanto non voglia
mostrare. O sbaglio?”
“Anche questo è un particolare che lei rileva grazie ad un istinto” rispose Soldani con quel tono di voce
sempre ermetico. Può darsi che anch’io abbia qualche buona intuizione ma quando si parla di omicidi
ci vogliono prove tangibili. Dica la verità: tutta la situazione la incuriosisce molto vero?”
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“Sì, infatti. Credo che ci sia un collegamento tra i fatti dell’estate del 1978 e quelli che stanno
succedendo adesso. Non so quale ma sono convinto che ci sia. Ma forse lei preferisce non
interessarsene.”
“Non è così. E’ mia opinione però che la vicenda debba essere studiata senza preclusioni di alcun
genere. Uscendo dagli schemi, valutando anche le ipotesi più irrazionali. Lei crede di avere
abbastanza elasticità mentale? Voglio dire: per guardare le cose anche da punti di vista non
convenzionali?”
“Mah, sì, credo di sì almeno.”
“Quando pensa di ripassare di qui?”
“Nel fine settimana probabilmente.”
“Riuscirebbe a fare un salto qui prima, magari una sera? Così potrò mostrarle alcune cose e
approfondire l’argomento con lei.”
“Potrei forse mercoledì sera. La chiamerò per conferma.”
“D’accordo, faccia in modo di venire. La saluto.”
12.
Kris spinse la porta in avanti senza quasi aver finito di girare la chiave nella toppa e la richiuse
immediatamente. Dopo un sospiro per tirare il fiato per la lunga corsa si mise alla finestra a guardare
con gli occhi sbarrati. Niente. Non si vedeva nulla. Non si vedeva ma...SI SENTIVA! Lo aveva sentito
dall’inizio del viottolo strusciare fra i cespugli e avvicinarsi. Era tesa come una corda di violino e se
qualcuno o qualcosa si fosse mosso alle sue spalle probabilmente sarebbe svenuta. Fuori il vento si
era alzato di intensità.
“Quanto tempo fa è successo?” chiese Walter allarmato.
“Circa mezz’ora” rispose lei all’altro capo del telefono.
“E non hai chiesto aiuto a nessuno?”
“Non avrei saputo cosa dire. Magari era solo una grossa biscia. Non è detto che fosse un’uomo.
Appena mi è passata la paura mi sono infilata le scarpe da tennis e sono corsa in paese per stare in
mezzo alla gente.”
“E adesso cosa conti di fare?”
“Tra poco sarà ora che torni al lavoro. Poi stasera non so. Ho paura di tornare a casa. Dio, Walter, mi
sembra di diventare pazza.”
“Senti: io stasera devo passare di lì per parlare con una persona. Quando arrivo ti telefono. Magari tu
aspetta in un bar, ok? Verso le otto sarò lì.”
“Hai sentito dei bimbi morti avvelenati?”
“Sì, l’ho letto sulla cronaca locale; la seguo tutti i giorni ormai.”
“Mia sorella conosceva la madre. E’ disperata. E per di più sospettano di lei.”
Attese un paio di secondi per trovare le parole giuste. “Cerca di non pensarci e non perdere la calma.
E soprattutto non rimanere mai da sola.”
“Va bene, ti aspetto.”
Passò l’intero pomeriggio in stato di agitazione senza riuscire veramente a concentrarsi sul lavoro.
L’idea che Kris potesse essere in pericolo orbitava intorno a lui. Ricollegò istintivamente il racconto di
lei alle sue paure di bambino: la fuga a perdifiato dallo sciame indispettito e quella dall’enorme biscia.
Erano circa le 19,45 di mercoledì 14 settembre quando parcheggiò di fronte al Bar Centrale, quello da
dove partivano i pullman per ogni direzione.
Kris era seduta ad uno dei tavolini con accanto a lei l’inseparabile Morena.
“Con chi hai detto che devi parlare?”
“Con quel tale che ho conosciuto sabato scorso, ma appena finito ti chiamo al cellulare.”
“Rimani qui stanotte? Morena ha dei parenti a casa e poi non voglio approfittare sempre di lei” disse,
mentre la sua amica era al bagno “in fondo non posso scomodare sempre tutti per ogni piccolo
timore.”
“Se qualcuno di seguiva di nascosto non è un piccolo timore, soprattutto di questi tempi e da queste
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parti.”
“Ma in fin dei conti non ho visto nessuno. Forse ho esagerato, magari sono un po’ esaurita. Adesso
Morena mi accompagna da mia sorella, ceno con lei e poi ti aspetto.”
“Se faccio tardi ti mando un messaggio. Sei un po’ più calma ora?”
“Adesso sì. Ti voglio bene.”
Si abbracciarono, poi Walter le lasciò l’indirizzo di Soldani per ogni eventualità.
CAPITOLO V - Il playmaker
1.
“Spero che questa volta sarà un po’ più esauriente delle precedenti” disse in tono cortese Walter.
“Su questo non dubiti. Anche a me piacerebbe trovare la soluzione dell’enigma. Non credo però di
saperne molto più di lei.”
“Cominciamo con quello che lei sa e che io non so.”
“La volta scorsa avevamo parlato della persona scomparsa nell’estate del ’78, ricorda?”
“Sì, e ho l’impressione che sia un particolare importante.”
“E’ un’impressione giusta, non fosse altro per il fatto che fu dopo quella sparizione che i fenomeni
strani cessarono.”
“Ah, questa è una strana coincidenza.”
“Indubbiamente. Forse cercando di risalire al tipo di persona potremmo riuscire a capire se c’è un
nesso con quello che accadde. E con quello che sta accadendo ora.”
“Beh, a questo punto non le resta che dirmi di chi si tratta.”
Soldani si alzò dalla poltrona e da uno scaffale della libreria prese un grosso album fotografico. Walter
lo fissava più che mai incuriosito.
Mostrò a Walter le foto di un tizio in tenuta da giocatore di basket in una azione di gioco e in foto di
gruppo con i compagni di squadra: la Robur di Groppiano, campionato di serie B, 1977/78.
“Ha mai seguito il basket signor Ghetti?”
“Quasi per niente a dire il vero. A malapena sono informato sul calcio.”
“Allora non può conoscere colui che era la punta di diamante del basket locale: Guido Tirelli detto il
falco per il suo modo di intercettare il pallone in volo a mo’ di artiglio. Un giocatore davvero
fenomenale, l’anima di quella squadra. Era un piacere vederlo in azione: un vero leader, con lui la
squadra volava. Era la personificazione del suo ruolo: il playmaker, l’ispiratore della manovra, la
mente della squadra. Aveva una visione del gioco a 360 gradi. Spesso lanciava i compagni senza
nemmeno guardarli come se conoscesse già la loro posizione in mezzo al campo. Quell’annata fu
eccezionale: i gialloneri sfiorarono la promozione in A2 perdendo solo nei play-off e ciò fu dovuto ad
un suo infortunio in allenamento due settimane prima.”
Walter guardò la foto in primo piano. Non gli diceva nulla di particolare non fosse altro che per quel
sorriso che non aveva nulla di gentile.
“E’ questa è la persona che scomparve?”
“Esatto. Lo ebbi come allievo per un paio di anni, tra l’altro. Un ragazzo molto, molto sveglio: un mio
collega mi disse che durante le interrogazioni gli capitava di sentirsi lui al posto dell’allievo e di
guardare il Tirelli come se fosse l’insegnante. Aveva uno sguardo ipnotico, a volte inquietante. Come
le ho detto nello spogliatoio era più che rispettato, quasi temuto, e pare che lo stesso allenatore si
guardasse bene dal contraddirlo nonostante non avesse mai avuto litigi o tensioni con alcuno. Del
resto nessuno dei suoi compagni avrebbe mai osato mettersi contro di lui.”
“Insomma, una personalità molto forte. Se lo immaginerebbe come potenziale assassino?” chiese
Walter.
“Questo non lo potrei dire. Però un particolare in quel senso lo ricordo: una volta ero con la sua classe
nel cortile della scuola e alcuni allievi erano incuriositi alla vista di un gatto che aveva appena
catturato un topo di medie dimensioni. Il felino aveva squarciato a morsi il ventre della bestiola che,
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sebbene morente, dava ancora segni di vita zampettando penosamente. Fui colpito dallo sguardo del
Tirelli: sembrava provare un gusto morbosamente sadico a quella vista. Il suo sguardo era
impressionante: gli occhi erano spalancati ed il sogghigno sulle labbra lasciava intendere che traesse
piacere da quella scena che alla maggior parte dei compagni disgustava al di là della curiosità
suscitata.”
“Beh, questo prova solo che non fosse proprio un animalista. Lei ha detto che scomparve
all’improvviso. Cosa può dirmi di più preciso?”
“Non molto. Si sa solo che una mattina un vicino notò la porta della sua casa semiaperta e dopo aver
bussato senza ottenere risposta vi entrò. Non c’era nessuno e tutto era intatto, come in un giorno
qualunque. Scomparve così, all’improvviso e senza lasciare traccia. Qualcuno affermò di averlo visto
quella mattina avviarsi verso il bosco dietro al monte. Furono effettuate ricerche ma nessuno riuscì a
trovarlo; nessun indizio nemmeno in casa sua. Sparì e basta. Proprio quando cominciavano ad
esserci voci di richieste presso grossi club di A1: si parlava di Varese e Milano.”
“E da allora nessuno lo ha più visto?”
“Nessuno. Tre giorni dopo, un incendio devastò il Monte Cappuccio.”
“Lo ricordo, un incendio doloso. E il piromane non fu mai individuato.”
“Esatto.”
Walter guardò l’orologio che segnava le undici meno un quarto.
“Mi scusi, chiamo la mia amica per dirle che tardo.”
Fece qualche tentativo ma non riuscì a prendere la linea e non conoscendo il numero dell’abitazione
di Eva, la sorella, decise di riprovare in seguito.
“E la sua casa? Cosa successe quando si capì che non sarebbe più tornato?”
“La casa era di proprietà del padre. Qualche anno dopo andò a viverci il fratello, Ennio, che all’epoca
della scomparsa era ancora minorenne. Abita ancora là. I genitori invece sono morti entrambi. E
questo è tutto quello che so.”
“Che tipo è il fratello, lo conosce?”
“Certo, gliel’ho detto, qui conosco tutti. Un tipo schivo, solitario. Non è certo la persona che fa parlare
di se. E’ scapolo e non ha praticamente amici anche se va d’accordo con tutti in paese.”
“Le capita mai di parlargli?”
“L’ultima volta è stato un po’ di tempo fa. Mi chiese qualche consiglio su come coltivare in maniera
corretta un vitigno. Saranno passati due anni.”
“Comunque non è detto che la pista giusta sia questa, anzi, non è nemmeno detto che l’assassino sia
uno solo. Voglio dire: anch’io sono convinto che si tratti di un unico disegno ma potrebbe essere
messo in pratica con la complicità di più persone.”
“Sì, potrebbe, ma si ricordi che questo paese è molto piccolo. Essere complici significa mantenere
contatti e quindi creare movimento di persone e qui ogni spostamento è sulla bocca di tutti in men che
non si dica.”
“Lei comunque è convinto che i suicidi e gli incidenti siano in realtà anch’essi omicidi, cioè delitti
camuffati abilmente da disgrazie?”
“Credo proprio di sì e le spiego il perché. C’è una costante, per lo meno in alcuni di questi casi: le
paure ancestrali delle persone in questione. Lo sa che la prima vittima, quella ragazza, aveva il terrore
dei coltelli? E non trova stranamente casuale che l’anziana signora fosse stata violentata e uccisa con
gli stessi oggetti di culto che adorava ma che al tempo stesso temeva? E lo shock anafilattico che ha
ucciso il taxista? Con gli scorpioni e molto più raro subirne uno che con le vespe. E’ come se qualcuno
sfruttasse le paure delle vittime. Le dirò che ultimamente anch’io ho provato paura in alcune
circostanze e una sera in casa da solo ho visto o almeno credo di avere visto un’ombra con
sembianze umane alle mie spalle, e si muoveva. Non mi importa se con questa dichiarazione
diventerò a lei meno convincente o se le sembrerò un po’ instabile ma a volte sento una presenza
nelle vicinanze.”
“Sta parlando di una specie di fantasma?” Non era una domanda ma una constatazione.
Soldani sorrise mestamente senza rispondere.
“Mi dica una cosa” continuò Walter “ammettendo che abbia ragione, perché, secondo lei, alcune
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persone vengono uccise e altre provano solo paura, perché l’assassino non uccide anche quelle?”
“E’ una buona domanda. Forse le piccole paure e via via il terrore sono solo stadi consequenziali
prima dell’atto finale; qualcuno resiste di più e qualcun’altro cede prima. Forse le persone uccise
avevano tutte vissuto una specie di escalation prima di crollare. Anche lei del resto ha provato
qualcosa di simile qualche notte fa.”
“Non lo so, potrebbe essere, ma se è così che razza di potere ha questo assassino? Cos’è, un
extraterrestre, un diavolo o che cosa? Mi scusi ma pensandoci bene è un po’ difficile da credere.”
“Certo, è difficile ma se lei fosse stato con me in certe isole delle Antille, dove il vudù è radicato nella
gente, avrebbe visto cose in grado di far vacillare lo scetticismo di chiunque. Una volta un mio collega
inglese conosciuto ad Haiti, come me in giro per il mondo a scopo di ricerche, volle bere la pozione di
un mago locale. Io lo vidi dormire ininterrottamente per quasi quattordici ore tenendolo strettamente
sotto sorveglianza. Nella tenda c’eravamo solo noi due. Al risveglio mi raccontò di aver fatto un
viaggio nel tempo e di aver conosciuto gli abitanti di un popolo che dominava la Terra molte migliaia
d’anni fa. Fin qui nulla di strano visto che si trovava sotto l’effetto di allucinogeni. La cosa singolare fu
che quando si svegliò stringeva nella mano destra una pietra levigata di colore rosaceo. Asseriva
fosse il dono di un capo tribù di quel popolo. Per pura curiosità sottoponemmo quella pietra alla prova
del Carbonio 14, immagino sappia di cosa si tratta, e ci crederebbe? Risultò vecchia di quasi novemila
anni! E’ ancora conservata al British Museum di Londra.”
“Beh, che certe cose succedano in posti esotici l’ho sentito spesso ma in quei luoghi immagino si
respiri un’atmosfera particolare. Nella fredda e distaccata Europa non mi pare ne accadano mai.”
“E qui si sbaglia, ne accadono. Sono semplicemente rapportate a questa realtà. Le racconto un’altra
storia allora: tempo fa il fratello di un mio conoscente prese in affitto un appartamento in una città
dell’Emilia, non ricordo quale; Nel risistemare la cantina trovò nell’intercapedine della porta di acciaio
una busta contenente alcuni fogli manoscritti. L’autore era il precedente affittuario. Nel manoscritto
raccontava il perché della sua dipartita. Pare che un giorno si fosse perso in un labirinto di stradine di
campagna a causa della fitta nebbia. Fermatosi nell’impossibilità di proseguire per la visibilità
pressoché nulla avrebbe poi perso i sensi risvegliandosi in un’altra zona a qualche chilometro di
distanza alcune ore più tardi senza peraltro ricordare nulla di quel lasso di tempo. Scoprì in seguito
che altre persone erano scomparse nella zona in maniera misteriosa senza fare ritorno. Indagando in
compagnia di uno scienziato tornò da quelle parti. In una casa diroccata la persona da lui interpellata
scomparve nel nulla a pochi metri da lui. In seguito sentendosi perseguitato da forze misteriose decise
di trasferirsi altrove. Nessuno seppe più niente di lui. Pare comunque che avesse lasciato l’Italia.”
Walter ascoltava in silenzio. Soldani incoraggiato da quel silenzio proseguì.
“Certo, probabilmente si tratta di misteri spiegabili razionalmente. Ma proprio perché si tratta di misteri
è bene non tralasciare nessuna possibilità, nemmeno la più fantasiosa. A volte ci si ferma a guardare
ciò che è possibile tralasciando di considerare ciò che è impossibile, almeno all’apparenza,
precludendosi altre strade che potrebbero portare alla soluzione. Per questo le dicevo che bisogna
essere mentalmente molto elastici in casi come questo.”
“Il concetto mi sta bene ma bisogna comunque sciogliere alcuni nodi in maniera razionale. Per
esempio: tutti hanno un movente, perché questa persona uccide?”
“Forse per puro sadismo. Anche questo è un movente. In tutti noi c’è un po’ di sadismo, in alcuni più di
altri; nella maggior parte dei casi il tutto si ferma entro limiti accettabili ma per alcune persone esso fa
parte del modo di vivere: è un bisogno. Sono nato e vissuto a S.Clara ma ho girato parecchio il
mondo. Ho fatto anche il cronista e ho visto cose che avrebbero colpito la sensibilità di chiunque abbia
dentro di sé un minimo di umanità: gente capace di uccidere per futili motivi, senza particolari rancori
o addirittura gratuitamente e in molti casi senza accontentarsi di uccidere ma trucidando per il gusto di
farlo. Mi creda: ci sono persone che hanno il male addosso e che godono del tormento altrui.”
Aveva già provato a richiamare Kris senza successo. Riprovò ancora. Niente, linea interrotta. D’un
tratto ebbe un’illuminazione: e se per caso Soldani ci avesse azzeccato? Se questo omicida o
qualunque cosa fosse avesse portato Kris all’ultimo stadio allora lei poteva essere veramente in
pericolo. L’istinto prevalse sulla ragione e qualcosa si mosse in lui da capo a piedi.
“Mi scusi se interrompo la conversazione ma sono molto preoccupato per la mia amica. Penserò a
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quello che mi ha detto con attenzione e senza scetticismi. Ora però devo proprio andare, è quasi
mezzanotte e non riesco a rintracciarla.”
“Certo, certo, vada pure. Anzi, le stia vicino; se sta come mi ha detto e bene che si prenda cura di lei.
Avremo occasione di riparlarne presto, immagino. Arrivederci.”
Evidentemente si ciba della paura altrui e diventa man mano più forte ed è per questo che sta
espandendo il suo raggio d’azione pensava Walter mentre imboccava la strada verso il centro. Ma no,
no, come poteva essere che una persona riuscisse ad arrivare a terrorizzare un’intero paese senza
essere mai almeno avvistata se non scoperta? E che razza di doti poteva avere per farlo? Era meglio
non pensare troppo ai discorsi di Soldani. A Walter l’anziano insegnante sembrava comunque molto
convinto delle sue deduzioni.
Aveva percorso appena un chilometro o poco più quando notò la sirena luminosa dell’ambulanza in
mezzo alla strada e subito pensò al peggio. Cercò di immaginare qualche particolare che potesse far
pensare che non fosse l’auto di Kris quella col muso accartocciato sul muretto a lato della strada ma
non ne trovò alcuno e alla vista della targa ebbe la certezza.
Scese senza chiudere lo sportello mentre gli infermieri risalivano sul mezzo.
“Hey, un attimo, c’era una ragazza alla guida? Come sta?”
“Sì, una ragazza bionda, era sola. Mi dispiace, purtroppo non possiamo far niente” sentenziò quello
alla guida, poi attese un paio di secondi. “Abbiamo fatto gli accertamenti. Quando siamo arrivati era
già priva di vita. Ora andiamo all’obitorio, ci scusi.”
Rimase qualche istante a guardare l’ambulanza che si allontanava sentendosi come in un sogno
interrotto dalla voce del carabiniere che si rivolgeva a lui.
“Mi scusi, conosceva la vittima?”
“Sì, è (avrebbe dovuto dire era) un’amica. Come...è stato?” fu ciò che riuscì a chiedere.
“Non lo sappiamo con certezza ma l’auto ha sbandato all’improvviso come ci stava dicendo questa
signora che ha assistito alla scena.”
“Sì, ero alla finestra” disse la donna sentendo e girandosi verso di loro “stavo stendendo i panni prima
di andare a letto e ho visto questa macchina che andava piuttosto forte e poi, arrivata qui, ha sterzato
all’improvviso come per evitare qualcosa, forse un gatto. Ho chiamato l’ambulanza e poi con mio
marito siamo venuti a vedere. C’era tanto sangue...”
Preferì non continuare per non pensare alla scena.
Non era un gatto diceva la mente di Walter nella sua irrazionalità.
Cercò di scacciare un’immagine indefinibile dalla sua mente e si sforzò di rimanere calmo e riflessivo
ma il terreno sembrava scottargli sotto i piedi.
“Conosce un parente? Sa, per avvertire al più presto la famiglia, e anche per l’identificazione”
prosegui il carabiniere.
“So dove abita la sorella. Vi accompagno se occorre.”
“Sarebbe molto utile. La vedo un po’ scosso. Se la sente di guidare?”
“Sì, credo di sì.”
Li guidò verso il centro cittadino come inebetito ripetendo, mentre guidava, frasi sconnesse ad alta
voce e fissando allo specchietto la sirena dei carabinieri come unico barlume di realtà. Solo ora aveva
capito che il suo era stato un presentimento giunto però troppo tardi.
Eva reagì alla notizia nel modo peggiore: incolpando se stessa per averla lasciata sola seppure per
poco tempo. Doveva solo andare a prendere i bambini dalla nonna a cinque minuti di cammino da
casa ma evidentemente in quel breve lasso di tempo qualcosa era precipitato e Kris aveva deciso
improvvisamente di raggiungere Walter da Soldani, probabilmente dopo aver cercato inutilmente di
comunicare con lui, lasciando alla sorella un’affrettato biglietto: Ci sentiamo più tardi. Kris. Passarono
parte della notte alla camera mortuaria e dai genitori di Eva. Walter cercò per quanto possibile di
mitigare i sensi di colpa di quest’ultima ripetendole che una cosa del genere sarebbe potuta
succedere in qualsiasi momento. Fu lui poco prima dell’alba a riaccompagnarla a casa.
“Non è una disgrazia Walter, no, lo sai anche tu. Qualcuno la stava perseguitando. Può anche darsi
che sia stato un incidente ma qualcuno l’ha portata a questo.”
Lui scosse la testa senza sapere cosa rispondere.
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Gli offrì di restare sul divano vedendolo molto provato e quando Eva riuscì ad andare a letto,
finalmente pianse. Povera Kris. Le voleva bene. Si conoscevano solo da due mesi ma il loro rapporto
era sincero come pochi. E anche lui, in fondo, si sentiva un po’ colpevole per non aver capito prima la
gravità della situazione. D’improvviso i suoi nervi crollarono e gli occhi si chiusero.
2.
Quando si erano salutati la sera prima non immaginavano certo che si sarebbero rivisti così presto.
Era circa mezzogiorno quando arrivò a casa di Soldani. Si era alzato un’ora prima da quel divano con
il mal di testa e un senso di nausea poi aveva telefonato a Fabio per spiegargli la situazione
avvertendolo che sarebbe rimasto lì fino al termine del weekend. Aveva lasciato qualche ricambio la
settimana prima per ogni eventualità. L’uomo era in casa in compagnia della domestica e di una
giovane studentessa.
“L’ho saputo da un vicino, immagino come si senta. Le chiedo solo di attendere una decina di minuti
mentre termino la lezione. Vada nello studio e si prenda qualcosa da bere; faccia come se fosse a
casa sua. Tra poco arrivo.”
Si versò un Macallan nonostante la giornata piuttosto calda non lo consigliasse e rimase per tutto il
tempo a fissare il cielo fuori dalla finestra senza riuscire a indirizzare i suoi pensieri in una direzione
precisa.
“Deve ancora mangiare suppongo. La signora Laura sta facendo delle polpette e ho dell’ottimo rosso
in cantina.”
“Pensa che anche questo non sia un incidente?”
“E’ abbastanza possibile, quanti ne sono già capitati? Troppi perché si possa parlare di casualità.
Quello che è capitato ieri sera ha ben poche spiegazioni logiche.”
“Mi sento in colpa” disse Walter premendosi le tempie con i polpastrelli “forse potevo evitarlo.”
“Non si senta troppo in colpa: chi agisce in questo modo attende il momento giusto, ha visto cosa è
successo a Don Mario.”
“Ma la testimone non ha visto nessuno in mezzo alla strada.”
“Ormai, signor Ghetti, dovrebbe aver capito che non abbiamo a che fare con un essere umano come
lo intendiamo noi comunemente: insomma, capisco che sia difficile da credere ma questo soggetto ha
poteri fuori dalla norma e che noi non immaginiamo nemmeno. Se non le piace l’idea di considerarlo
un essere con capacità soprannaturali pensi allora ad un abilissimo illusionista, un mago del terrore.”
“Se quello che lei dice è vero, noi cosa possiamo fare?”
“Innanzitutto cercare di non cadere nelle sue trappole noi per primi e la avverto che non sarà per
niente facile perché trovarsi ad esempio, come è successo a me, un’ombra umana alle spalle o alcuni
oggetti spostati misteriosamente per una persona dalla mente razionale è qualcosa cui è impossibile
reagire senza provare quantomeno disagio o timore se non vera paura. Non dobbiamo assolutamente
dargli modo di minare il nostro equilibrio mentale cercando di non mostrargli sudditanza psicologica
ma per farlo anche lei dovrà prima accettare il fatto che questo...essere, esista, per riuscire a pensare
che quello che ci mostra è solo il prodotto della sua mente diabolica e che non accettando ciò come
fatto reale è possibile ridurre la sua potenza, mi segue?”
“Sì, insomma, dobbiamo accettare la sua esistenza ma non i suoi illusionismi per non cadere in
trappola.”
“Esattamente. Per combattere ciò che è irrazionale bisogna contrapporre la razionalità senza però
disconoscerne il suo opposto.”
“Però qualcosa dobbiamo fare, non possiamo solo difenderci. Dobbiamo scoprire di chi si tratta.”
“Potrebbe essere molto pericoloso, lo sa?”
“E non lo è ugualmente così? Se questo soggetto ama uccidere per puro piacere non basta stargli alla
larga, si può sempre essere presi di mira in qualsiasi momento.”
“Questo è vero, ma in che direzione possiamo cercare?”
“Nell’unica pista che abbiamo al momento. Il fratello dello scomparso.”
“Ennio? E cosa potremmo chiedergli? Se per caso suo fratello è ancora vivo e se è lui che va in giro
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ad ammazzare persone? Se fosse suo complice non ce lo direbbe di certo e finiremmo con lo
scoprirci. In caso contrario ci riderebbe in faccia di gusto.”
“Potremmo andare a fargli visita con una scusa e cercare di capire se ne sa qualcosa.”
“Una scusa dice? Per esempio?”
“Mah, lei potrebbe presentarmi come un vecchio amico di suo fratello che ritornato dopo tanti anni, il
che è vero, è venuto a sapere solo ora della sua scomparsa.”
“Sì, potremmo tentare. E’ capace di recitare?”
“Penso di sì. Basterà dire meno cose possibili in modo da non essere colti in fallo.”
“Bene, faremo un salto da lui più tardi. Lavora in fabbrica ed esce dopo le cinque, di solito.”
3.
Ennio Tirelli mise il volto fuori dalla porta e dopo aver salutato Soldani squadrò Walter da capo a piedi.
“Questo è il mio amico Walter Ghetti, figlio di compaesani tornato all’ovile. Ha saputo solo adesso di
tuo fratello e ci è rimasto un po’ male. Non ci crede ancora e vorrebbe sentire da te come andarono le
cose, sempre che non ti dispiaccia ricordare. Solo cinque minuti.”
Attese qualche istante poi aprì ulteriormente la porta per farli entrare mantenendo uno sguardo fra
l’incredulo e il sospettoso. Walter cercò di rendere la cosa più naturale possibile raccontando della sua
passione per il basket e di come Guido fosse un vero talento naturale. Disse che lo aveva conosciuto
durante gli allenamenti della Robur in uno dei suoi soggiorni estivi e di averlo visto all’opera in alcune
partite. Ennio lo ascoltava senza mostrare particolari segni di emozione.
“E’ un vero peccato che non abbia potuto continuare la sua carriera. Per me era una specie di mito”
concluse Walter sperando di averlo convinto.
“Sì, era molto bravo” disse finalmente il padrone di casa “quello che le ha detto il signor Soldani è
esatto, un giorno se n’è andato e non l’abbiamo più rivisto.” Disse questo in modo da dire non so
niente di più.
Walter notò un vecchio quadretto con una foto del fratello scomparso. Sembrava essere stata scattata
in un luogo esotico.
“Quella è una foto delle sue vacanze invernali qualche mese prima che scomparisse.”
“Ah, dove si trovava?” chiese Walter cercando di prendere tempo per guardarsi attorno.
Ennio pensò bene prima di rispondere.
“In Africa” disse senza approfondire.
La fortuna volle che in quel momento si sentisse un rumore proveniente dal retro.
“Scusate, è il cane che vuole entrare.”
Mentre il padrone di casa apriva la porta che dava sull’orto Walter si allungò per leggere bene la
didascalia che aveva notato sul quadretto. Marzo 1978 – Antananarivo.
“Buono, buono, vai in camera, su” disse Ennio al grosso husky accarezzandolo.
Walter guardò Soldani come per dire possiamo anche andare.
“Beh, Ennio, non ti rubiamo altro tempo. Grazie per averci ricevuto” disse porgendogli la mano.
“Si figuri, ci mancherebbe.”
Poco dopo mentre Walter pensava all’impressione che gli aveva fatto quell’uomo così distaccato,
almeno all’apparenza, Soldani gli chiese:
“Che ne pensa allora? Ha notato qualcosa di strano?”
“Niente, a parte il fatto che ha cercato di parlare il meno possibile come se non volesse sbottonarsi.
Forse non gli ispiravo abbastanza fiducia.”
“Non credo, non è abituato a parlare molto neanche con chi conosce bene, è il suo carattere.”
“Lei sa dove si trova Antananarivo per caso?”
“Se non sbaglio è il nuovo nome di Tananarive, la capitale del Madagascar.”
“Era scritto su quella foto, il suo ultimo viaggio prima di sparire. Forse è semplicemente tornato laggiù
perché ne aveva abbastanza di vivere qui. Magari è rimasto affascinato da quei luoghi.”
“Sì, può essere, ma perché non avvertire nessuno allora?”
“Si ricorda Viaggio in Africa con Alberto Sordi e Nino Manfredi? Forse voleva essere sicuro che
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nessuno lo andasse a riprendere” disse Walter con una punta di ironia.
“Mah, comunque sia non ne abbiamo ricavato nulla, pare.”
“Già, e purtroppo non abbiamo altre piste da battere. Beh, io torno a casa, così provo a rilassarmi un
po’.”
“D’accordo, se trovo qualcosa di interessante su cui indagare la chiamo.”
In frigo c’erano solo un caspo di lattuga e un pezzo formaggio. Decise che gli sarebbero bastati, una
cena leggera ogni tanto ci vuole. Mentre guardava alla finestra la solita colonna di fumo proveniente
da dietro il monte si stagliava verso l’alto.
E se fosse questa una pista? E’ più di un mese che qualcuno continua ad accendere il fuoco laggiù.
“Effettivamente è una cosa piuttosto strana, l’avevo notata anch’io. Potremmo fare un salto domani
sera, vengo a prenderla verso le otto, va bene?” disse Soldani all’altro capo del telefono.
“Bene. Se c’è qualcosa di strano laggiù lo scopriremo.”
4.
Quella notte ebbe un incubo. Camminava in un bosco senza avere il senso della posizione, sentiva
solo di doverne uscire al più presto. Poi, d’un tratto, intravedeva una figura dinanzi a lui. Era Alba
Righi con i paletti conficcati nel corpo ma senza che sgorgasse sangue e che, con un sorriso assente,
gli diceva soltanto non è così terribile…non è così terribile. Poi una specie di tromba d’aria avvolgeva
la donna e la faceva svanire. Fu a quel punto che Walter si svegliò sentendo l’ultima parte dell’urlo
emesso dalla sua stessa gola. Da quel momento, le cinque del mattino, il suo sonno fu una specie di
dormiveglia intramezzato da continui risvegli finché verso le nove decise di alzarsi. Dopo aver girato
su giù per la casa senza far nulla di preciso pensò bene di fare un giro al mercato, così, per distrarsi.
Mentre guardava senza troppo interesse le bancarelle Eva gli telefonò per comunicargli che il funerale
di Kris si sarebbe svolto il lunedì successivo alle 16.00 nella Cappella dell’Ospedale di Groppiano.
“Non è obbligatorio che tu venga se hai dei problemi col lavoro.”
“Non riuscirei a lavorare neanche se mi sforzassi in un momento come questo.”
Giunto all’angolo opposto del mercato non poté fare a meno di guardare la chiesa la cui entrata era
ancora sbarrata dai sigilli della Polizia. Mentre la osservava, qualcosa colpì la sua attenzione: uno
strano simbolo era disegnato sul lato che dava verso il bosco. Era una specie di rombo schiacciato
con le due estremità arricciate a mo’ di spirale, una verso l’alto, l’altra verso il basso. Largo quasi un
metro, sembrava essere stato apposto abbastanza di recente. La sostanza giallo-verdastra simile al
gesso rimase sul dito indice di Walter dopo che l’ebbe toccata. Faticò non poco a ripulirsene. Decise
di deviare per la piazza e avviarsi verso casa. Pensava a Kris e all’assurdo incidente con cui se ne era
andata.
Di nuovo quell’odore indefinibile.
Si bloccò di colpo deciso a scoprirne la provenienza. Si guardò attorno: la piazza era un via vai di
persone di ogni genere ma la sua attenzione, per qualche arcano motivo, si era posata su di un tizio
che pensava di aver già visto. Sì, era la stessa persona che aveva notato quella volta che gli era
parso di essere osservato. L’unico particolare diverso era la camicia di colore azzurrino. L’uomo voltò
per una delle tante viuzze che a raggiera partivano dalla piazza. Walter decise di seguirlo, era curioso
di vederlo in volto. Affrettò il passo in modo da non perderlo di vista. Adesso, in quella via
semideserta, l’odore era più forte, più netto. Quando l’uomo fu giunto all’angolo della strada Walter
ebbe l’impressione che questi stesse per voltarsi, fece quindi finta di fermarsi ad un portone. Con la
coda dell’occhio lo vide voltare a destra. Quasi correndo arrivò anch’egli all’angolo della strada e
sbirciò: nessuno. L’uomo si era come volatilizzato. Se fosse entrato in una casa si sarebbe dovuto
almeno sentire il rumore di una porta che si chiudeva, invece niente. D'altronde erano passati non più
di tre o quattro secondi da quando Walter l’aveva perso di vista. Procedette lungo la stretta strada
incredulo.
Forse avrei dovuto essere più cauto. Si sarà accorto che lo seguivo. Questo significa che ha qualcosa
da nascondere. Ma come diavolo ha fatto a sparire così in fretta?
Rimase qualche secondo a guardarsi intorno. L’odore era svanito. A poca distanza le fronde degli
46
alberi si agitarono per un improvviso colpo di vento ma Walter non ci fece caso.
5.
Erano circa le 8.10 quando salì sul fuoristrada di Soldani, un Cherokee color blu.
“Ha un’idea di quale possa essere il punto esatto da dove proviene di solito il fumo?” chiese Walter.
“Credo di sì. Secondo me viene dall’avvallamento opposto a dove si trova la conca. Per questo dal
paese si ha l’impressione che il fumo salga da lì.”
Pochi minuti dopo, lasciata la provinciale, Soldani salì per una strada sterrata ed arrivato nel punto più
alto si fermò e spense il motore facendo segno a Walter di guardare in basso.”
“Se il posto è quello giusto da qui potremo vedere senza doverci avvicinare troppo.”
“C’è un edificio laggiù.”
“E’ la vecchia Palestra Comunale di S.Clara, ora in disuso. Lì si allenava la Robur all’epoca in cui
Tirelli era sulla breccia. Questo prima che venisse ampliato il Centro Sportivo di Groppiano. Non la
conosceva?”
“Da piccolo non mi avventuravo mai fin laggiù.”
“C’è un simbolo disegnato sul muro vicino all’entrata. Prenda il mio binocolo e guardi se per caso è
come quello che ha visto stamattina sul muro della chiesa?”
“Proprio quello. Coincidenza singolare, no?”
“Già, stiamo a vedere cosa succede, ormai ci dovremmo essere. Sono le 8.30, l’orario in cui di solito
comincia a salire il fumo.”
Cinque minuti dopo apparvero i primi bagliori all’interno dell’edificio; dal lucernario si intravedeva una
luce tremolante aumentare sempre più d’intensità. Walter si girò verso Soldani aspettandosi un
commento.
“Lei che ha il binocolo provi a notare qualche particolare.”
“Si direbbe che qualcuno abbia acceso un enorme falò” disse Walter impugnando l’arnese.
“Potrebbe anche essere un insieme di piccoli fuochi, non vedo fiamme tanto alte.”
“Già. Potrebbe essere un senza tetto che ha bisogno di riparo.”
“E’ difficile. Un senza tetto qui dopo due giorni sarebbe oggetto di chiacchiere in tutta la zona; e un
vecchio impiccione come me ne sarebbe sicuramente al corrente.”
“Allora una coppia di giovani amanti che cercano un posto tranquillo per la notte.”
“E che dopo mezz’ora spengono il fuoco per poi rimanere al freddo? No, sento che c’è qualcos’altro.”
Il fumo cominciò a salire dal lucernario stagliandosi nell’aria e formando una colonna scura.
“Avevo visto giusto, da questo posto sale la colonna che vediamo tutte le sere da più di un mese”
sentenziò Soldani.
“Sente quest’odore? E’ lo stesso che ho sentito questa mattina.”
“Quando ha seguito quel tizio che poi è scomparso?”
“Esatto, e quel fumo ha lo stesso odore.”
“Cominciamo ad avere degli indizi: il fumo ed il suo strano odore, un simbolo tribale, una persona che
emana quello stesso odore e che sembra abbia qualcosa da nascondere. Non è molto ma può essere
un inizio.”
“Che facciamo, andiamo a vedere? Non mi pare che quella sia una proprietà privata, siamo liberi di
capitarci per caso.”
“Crede sia prudente? Se laggiù c’è qualcuno che sta bruciando materiali inutili, nessun problema.
Ammettiamo però per un momento che si tratti veramente di un personaggio pericoloso. Non
sappiamo niente di lui, potrebbe essere armato, potrebbe avere dei complici di vedetta. E anche se
non si trattasse dell’assassino che cerchiamo potrebbe essere qualcuno che ha comunque qualcosa
di sporco da nascondere e a cui non farebbe piacere un nostro intervento.”
Udendo le parole assassino che cerchiamo Walter si sentì per un attimo investito del ruolo di
investigatore come in un film.
“Attendiamo che si spenga il fuoco e vediamo se qualcuno esce da là dentro” consigliò saggiamente
Soldani.
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Più tardi, cessato il misterioso fenomeno, i due improvvisati investigatori si ritrovarono a scrutare la
palestra nel buio, le giornate stavano accorciandosi. Dopo una ventina di minuti dallo spegnimento del
fuoco nessun essere umano era uscito dall’edificio. Soldani stava accendendo il motore del Cherokee
quando Walter vide le fronde degli alberi intorno alla palestra agitarsi come per l’arrivo di un
temporale.
“Il vento!” esclamò.
“Che cosa?”
“Vede le foglie che si muovono laggiù? Qui invece non tira vento. E’ una cosa che ho notato spesso di
recente. Ci sono folate di vento improvvise ed isolate in città e ho l’impressione siano quelle a portare
in giro quello strano odore. Non so cosa possa voler dire. Lo so, stiamo parlando di aria nel vero
senso del termine. Ciò nonostante credo sia un particolare da non trascurare.”
Qualche istante dopo il fuoristrada scendeva verso il centro abitato.
“Secondo me dobbiamo partire dall’indizio più concreto, quello strano simbolo” asserì poco dopo
Walter seduto nel salotto di casa Soldani davanti ad un bicchiere di liquore al mirtillo. “Sarebbe
interessante controllare se oltre che sulla chiesa il simbolo sia stato apposto anche sulle abitazioni
delle altre vittime, non crede?”
“Sì, e in tal caso ciò vorrebbe dire che c’è un collegamento ben preciso fra le due cose. Lei resta qui
fino a lunedì ha detto? Bene, dividendoci i compiti nella giornata di domani potremmo intanto darci
questa risposta.” Iniziò a scrivere.
“C’è un’altra cosa: lei ha detto che in quella palestra si allenava il Tirelli. E se non si trattasse di una
coincidenza? Se per ipotesi fosse ancora vivo e fosse tornato per rimettere in piedi un progetto
omicida interrotto vent’anni fa, non sarebbe logico che trovasse rifugio in un posto che conosce
bene?”
“Certo, è proprio per questo che stasera l’ho portata lassù.”
Walter rimase un po’ sorpreso. “Quindi lei sospetta che si tratti sempre di lui?”
“Non possiamo dare corpo a nessun sospetto per ora. E’ solo che dovendo scegliere un posto dove
cominciare le ricerche mi è sembrato logico puntare prima su quello che poteva avere qualche
collegamento con il primo sospettato. Persona della quale però, ricordiamoci, non si hanno notizie dal
’78. Noi il Tirelli non l’abbiamo visto e, anzi, non abbiamo visto nessuna persona laggiù, quindi…”
“Quindi l’unica cosa concreta da fare è continuare ad indagare.”
“Esatto, controlli questa lista e veda se ho dimenticato qualcuno. Ho omesso la famiglia dove sono
morti i due bambini per avvelenamento e le due vittime dell’incidente stradale in quanto tutti sono, o
erano, residenti a Groppiano. Basteranno gli altri per avere la conferma che cerchiamo.”
No, non mancava nessuno. La Ronchi, la Vestri, Ferri, Cerioni, la Fumagalli, Perotti, la Righi, Perrone,
la Rizzo, De Stefanis, la Cinti e naturalmente Cristina. Quando lesse quel nome sentì un groppo in
gola come se i suoi polmoni avessero cessato di assorbire aria. Doveva andare avanti anche per lei.
Se era morta per colpa di qualcuno, questo qualcuno doveva pagare. Anche se non sarebbe servito a
riportarla in vita.
“Sei case le controllerò io e sei lei. Potremmo cominciare verso le dieci, così nel pomeriggio potremo
tirare le somme. D’accordo?”
“Sì, prima cominciamo meglio è” rispose Walter.
“Bene, cerchiamo ora di dividere la ricerca in due zone in modo da fare il meno possibile percorsi
inutili.”
6.
Quella notte, dopo tanti anni che non lo faceva, dormì tenendo la luce accesa. All’inizio si sentì un po’
stupido poi, pensando alla lista fatta da Soldani quella sera ed al suo significato, se ne fece una
giustificazione. Oltre a questo aveva chiuso accuratamente tutte le finestre sia al piano di sotto che
nelle camere di sopra. Aveva poi chiuso a chiave la porta della sua camera e sistemato sul comodino
il suo coltello da caccia già aperto e pronto per un eventuale uso. Non era molto considerando che in
giro ci fosse un assassino particolarmente abile ma ciò lo fece sentire più tranquillo.
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Sarà anche una persona con poteri fuori dalla norma ma se non passa attraverso le finestre e le porte
come i fantasmi avrò almeno il tempo di sentirlo e di farmi trovare sveglio con il coltello in mano.
Sempre che si presenti fisicamente…
Pensò al vento strano che a tratti spazzava la città e per un attimo ebbe l’istinto di vegliare fino al
mattino ma la stanchezza per la notte precedente passata in dormiveglia sul divano in casa di Eva gli
calò ben presto sulle membra e dopo qualche tentativo di tenere gli occhi aperti crollò. Riaprì gli occhi
per qualche minuto intorno alle sei del mattino e la vista della luce del giorno attraverso le fessure lo
tranquillizzò un poco. Alle otto e mezza si svegliò definitivamente, apri la porta della camera con la
chiave e scese le scale. Uscì in giardino come per confermare a se stesso che la notte era passata
senza traumi. Questo gli diede una incoraggiante sensazione di fiducia in se stesso.
Circa un’ora dopo era nei pressi della casa di Kris. Aveva deciso di cominciare da lì per togliersi subito
il magone dalla gola. Sulle prime non notò nulla poi scorse sotto il davanzale quello che lui e Soldani
avevano ipotizzato. Questa volta non toccò lo strano simbolo limitandosi a guardarlo da vicino. Anche
in questo caso pareva che la sostanza utilizzata fosse una polvere con un forte potere adesivo. Il
passo successivo fu la casa della Ronchi. Qui il simbolo era stato apposto sul muro al di sopra della
porta di entrata anche se molto in piccolo rispetto agli altri che aveva visto. Si recò poi a casa di
Perrone cercando di non farsi scorgere dalla moglie per non attirare sospetti su se stesso come gli
aveva consigliato Soldani. Inutile dire che anche qui il simbolo era in evidenza sull’edificio come pure
sulla facciata della casa di Ferri. Il giro previsto si concluse là dove si trovavano le due case vicine a
quella di Enrico. Sulla casa della Cinti il marchio era impresso sul lato posteriore della casa, quello
rivolto verso il bosco. Sopra casa Righi invece non scorse nulla su nessuna delle facciate. Aveva
potuto controllare con tranquillità la casa visto che con tutta probabilità Renzo Righi non ne era
all’interno, mancava l’automobile solitamente parcheggiata sotto una tettoia. In quel mentre si sentì
chiamare dalla voce di Lucia.
“Ciao Walter, cercavi qualcuno?”
“Mmh, no, stavo andando dalle zie a trovarle quando” disse inventando “ho visto un grosso corvo e mi
sono distratto. C’è Enrico?”
“No, è uscito con i ragazzi.”
“Ah, salutameli. Ciao, a presto.”
Approfittò per controllare anche la loro casa e quella delle zie. Il non vedere sopra di esse nessun
simbolo lo tranquillizzò un poco sulla sorte dei suoi parenti. Mezz’ora dopo mentre era seduto in quella
specie di giardino botanico curato da zia Tilde ricevette la telefonata di Soldani.
“L’ho visto signor Ghetti, l’ho visto!.”
“Che cosa…?”
“L’ho visto, il Tirelli voglio dire. Era proprio lui, Guido Tirelli, non posso sbagliarmi. L’ho incrociato
pochi minuti fa.” Il tono di voce di Soldani era tra lo sconvolto e l’affaticato. Walter non sapeva che dire
di fronte a quella scioccante rivelazione.
“Mi sente signor Ghetti?”
“Sì, ma lei dov’è ora? La raggiungo?”
“Non servirebbe. Ho provato ad inseguirlo ma mi è sfuggito. Sto andando a casa ora, mi raggiunga là
prima possibile, d’accordo?”
“Arrivo subito.”
“Tutto bene Walter?” chiese zia Tilde vedendolo sbiancato. Lui cerco di dare al proprio viso un aspetto
rassicurante.
“Sì, un amico ha bisogno di me, niente di grave ma devo andare.”
“Allora non resti a pranzo? Peccato, stavo facendo le frittelle.”
“Tienimene da parte qualcuna, se riesco ripasso più tardi. Ciao.”
Arrivarono quasi contemporaneamente. Mentre Walter era di fronte al cancelletto Soldani era apparso
in fondo alla strada. Poco dopo, all’interno, Soldani iniziò a parlare.
“Avevo già controllato quasi tutte le case, mi mancava solo quella di De Stefanis. Là mi stavo recando
quando ho sentito l’odore di cui lei mi aveva parlato e all’improvviso ho riconosciuto il Tirelli. L’ho visto
per un solo istante ma non ho dubbi: era lui! Deve essersi accorto di me perché si è girato di colpo e a
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passi veloci si è allontanato. Ho provato a seguirlo ma andava troppo veloce, gli è bastato salire in
fretta una delle scalinate che portano alla piazza per seminarmi. Probabilmente è la stessa persona
che ha seguito anche lei senza successo, aveva i pantaloni beige, giusto?”
“Già, io non l’ho visto in volto ma per il resto tutto coincide.”
“La cosa pazzesca è che non sembrava invecchiato per niente, longilineo, non una ruga, non un
capello bianco. Come se il tempo per lui si fosse fermato a vent’anni fa. E’ inconcepibile!”
“Anche in questo caso quindi era diretto verso la zona alta del paese. Da quelle parti c’è la casa del
fratello. Pensa che ne sia al corrente?”
“E’ probabile. Sarà il caso di tenerlo d’occhio, con circospezione naturalmente, e questo può farlo lei
che è ancora agile e scattante. Io invece posso fare un’altra cosa.”
“Ovvero?”
“Una bella ricerca su Internet per cercare di capire cosa diavolo è quel simbolo. Ci vorrà del tempo,
tutta la notte forse, ma la cosa diventa necessaria alla luce del fatto che tutte le case dei defunti
recano quel marchio. A proposito, anche le case che ha controllato lei sono segnate?”
“Tutte tranne quella dei Righi. Là non ho visto nulla del genere.”
“Mmh” rifletté “potrebbe esserci una spiegazione anche per questo. Forse nella morte della Righi c’è
una componente di casualità. Non era previsto che si allontanasse da casa, questo è successo solo in
seguito al litigio con il marito. Probabilmente l’assassino non aveva progettato di ucciderla ma ne ha
avuto la possibilità per puro caso. E lei si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.”
“Quindi l’indagine continua.”
“Sempre che lei se la senta. La cosa sta diventando un po’ pericolosa, ora abbiamo qualcosa di più di
qualche sospetto.”
“Beh, seguiamo gli sviluppi e se la cosa diventerà troppo grande per due dilettanti come noi potremo
sempre passare le informazioni al Dott. Giacomino, ho ancora il suo numero di telefono.”
“Sempre che noi si riesca a raccogliere delle prove, prove concrete intendo. Per ora non ne abbiamo.”
“Non come intende la Polizia, certo. Beh, io intanto stasera farò un giro dalle parti di casa Tirelli prima
di andare a trovare gli amici al bar.”
“Mi raccomando, attenzione. Chiunque sia questo assassino, Tirelli o altri, è particolarmente abile. Ci
vediamo domani e spero di avere delle novità.”
Quando furono sulla porta di casa Walter ebbe un’illuminazione.
“Mentre porta avanti quella ricerca provi a tener presente in qualche modo il Madagascar, ho il
sospetto che sia importante.”
“Per via della foto a casa di Ennio?”
“E’ stato il suo ultimo viaggio prima di quella serie di eventi strani e prima di sparire. Potrebbe esserci
un nesso.”
“Lo terrò presente, a domani.”
7.
Aveva deciso di prendere l’auto oltre che per raggiungere i ragazzi più tardi anche per potersi
nascondere meglio nel caso ve ne fosse stato bisogno. Parcheggiò ad una ventina di metri dalla casa
di Ennio in corrispondenza di una casa adiacente con le tapparelle abbassate quando erano circa le
9.30. Dieci minuti dopo, cioè, che la solita colonna di fumo proveniente da dietro i monti si era dissolta
completamente. Le luci della casa erano accese ed ogni tanto Walter scorgeva la sagoma di Ennio
mentre transitava davanti alle imposte, sembrava piuttosto indaffarato. Walter sistemò il sedile un
poco all’indietro per far sì che la sua sagoma non potesse essere scorta immediatamente nel caso in
cui Ennio fosse uscito in giardino. Quella posizione unita ad una leggera sonnolenza, dovuta
probabilmente alle frittelle di zia Tilde, finì con il fargli calare le palpebre a metà sugli occhi. Dopo
quasi un quarto d’ora di appostamento senza aver scorto nulla di strano all’interno della casa cominciò
a considerare l’ipotesi di abbandonare per quella sera la sua missione e andare un po’ a distendere i
nervi alla serata di chiusura del Mickey Mouse estivo. In quel momento però Ennio mise la faccia fuori
dalla finestra del soggiorno guardando fuori con circospezione. Walter si calò su di un fianco
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appoggiando il gomito sul sedile del passeggero lasciando soltanto la fronte e gli occhi al di sopra del
finestrino. Vide le fronde degli alberi agitarsi dietro la casa per il vento. Ennio rientrò per qualche
istante poi tornò a chiudere le imposte. Pochi secondi dopo il vento era cessato. Fu allora che Walter
vide, nascoste solo parzialmente dai tendaggi bianchi, le due sagome che parevano discutere l’una di
fronte all’altra. Eppure Ennio gli era sembrato solo in casa. Forse qualcuno dormiva al piano di sopra.
Oppure era entrato dal retro. Rimase qualche istante pensando a cosa fare poi decise, doveva
rischiare. Scese dall’auto avendo cura di spegnere la luce del cruscotto e accostando semplicemente
la portiera senza chiuderla. Attraversò la strada e, protetto da un paio di alberi, si avvicinò il più
possibile alla finestra dove, al di là dei tendaggi, si stagliavano nettamente le due sagome. I due
uomini parevano discutere animatamente e qualcosa si udiva nonostante le finestre fossero chiuse.
L’odore, quell’odore, era così forte da avvertirsi anche all’esterno. Walter riconobbe la voce di Ennio
nella sagoma alla sua sinistra. L’altra voce era quasi baritonale e sebbene l’uomo parlasse con
parecchia enfasi solo poche e isolate parole trapelavano in maniera intelligibile.
Questo fu ciò che Walter udì:
Ennio: E’ impossibile che sospettino……nulla da cui potrebbero aver……
Altro uomo: ….ti dico….farli entrare….quel nuovo….per niente stupido.
Ennio: Non potresti smettere….interrompere per un po’?
Altro uomo: …sai bene….perdere potere….occuparmene…..
Ennio: Devi…polizia dovunque…
A quel punto l’altro uomo rise sguaiatamente. Una risata che a Walter fece gelare la schiena. Pareva
non emessa da una voce umana. Qualcosa nel suo subconscio gli consigliò di allontanarsi da lì.
Mentre tornava all’auto notò che alle sue spalle la luce aveva cambiato intensità. All’interno della casa
la luminosità si era affievolita come se tutte le lampadine accese avessero ridotto inspiegabilmente la
loro potenza a metà. A quel punto qualcosa lo fece sobbalzare. Una scia di vento smosse le fronde
degli alberi dietro la casa allontanandosi nella boscaglia. Lo stesso fenomeno che Walter ricordava di
aver visto alla vecchia palestra la sera precedente. Senza indugiare oltre risalì in auto e dopo aver
controllato che nessuno potesse vederlo girò la chiave e partì alla volta della casa di Soldani. Un‘ora
dopo la Golf di Aldo con dentro Sandro, Enzo e sua cugina Antonella partiva dal Bar Arlecchino alla
volta del Mickey Mouse.
“Ma non doveva venire anche Walter?”
“Ha detto che veniva alle dieci, sono le undici e mezza. Forse non ne aveva più voglia. Comunque se
è in ritardo sa dove trovarci, no?”
A meno di un chilometro di distanza da loro il Rag. Servidei sull’uscio di casa stava notando strani
movimenti fra le piante in giardino. Stava tremando come le foglie del suo orto.
8.
Soldani rimase pensieroso senza fare commenti alla fine del resoconto dell’appostamento di Walter
davanti a casa Tirelli.
“Purtroppo non posso dire se si trattasse del fratello. Dalla sagoma poteva anche essere.”
“Ne sono più che convinto e dopo che le avrò raccontato ciò che ho scoperto finora lo sarà anche lei.
Tanto per cominciare le dirò che aveva visto giusto” disse Soldani “riguardo quella foto a casa di
Ennio.”
Walter si fece tutt’orecchi.
“Il simbolo che ha visto all’entrata della palestra fu notato per la prima volta da alcuni colonizzatori
francesi nelle zone montuose interne del Madagascar alla fine dell’ottocento. Dalle informazioni
riportateci da uno storico francese pare che esso incutesse particolare timore negli indigeni Sakalava
il cui dominio si estendeva da duecento anni ai due terzi dell’isola. Deve sapere che esisteva ed esiste
tuttora una forma di culto della possessione legata alle grandi divinità adorate da quella popolazione.
Gli spiriti venivano evocati attraverso cerimonie in cui un eletto, tramite un preciso rituale e
l’assunzione di alcune particolari sostanze, cadeva in uno stato di trance dal quale parlava alla tribù
per conto delle divinità.”
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“Una specie di vudù?”
“Qualcosa del genere. Normalmente gli spiriti evocati erano benefici e ciò era fatto allo scopo di
ottenere informazioni per il miglioramento dello stato sociale della tribù nonché a fini economici, ma
una popolazione confinante particolarmente bellicosa ed ostile ai Sakalava ne aveva stravolto
l’essenza a fini malefici per combattere questi ultimi e sottrarsi alla loro imminente dominazione. Gli
Zañampoha, questo era il loro nome, si erano ritirati in zone montuose ed inaccessibili dove i
Sakalava non osavano addentrarsi considerandole infestate da divinità malvagie. In questo modo gli
Zañampoha riuscirono a rimanere autonomi fino alla fine dell’ottocento quando furono dispersi dalle
milizie francesi.
I Sakalava, che ancora oggi celebrano cerimonie perlopiù in rispetto alla tradizione, non hanno
tramandato molte notizie sulle pratiche dei loro nemici come se avessero cercato di insabbiare agli
occhi della storia quel terribile culto di cui nessuno di essi ama parlare. Lo stesso nome del culto è
incerto anche agli esperti. Chi lo chiama Hitsu o Hitse, chi ancora Jakatse. Siamo a conoscenza solo
di poche pratiche e di qualche simbologia. Il simbolo che lei ha visto, ad esempio, assume significati
opposti a seconda che le spirali siano orientate verso l’alto o verso il basso: se quella destra è in alto
evoca spiriti benefici, in posizione contraria evoca divinità distruttive. Nella nostra cultura
corrisponderebbero rispettivamente alla croce in posizione diritta che simboleggia l’Onnipotente e a
quella rovesciata che simboleggia invece il Maligno.”
“E quello che abbiamo visto noi è il simbolo negativo. Però si può obiettare che chiunque possa averlo
visto su qualche libro prendendolo a prestito. Molti si tatuano i simboli tribali più strani a scopo
ornamentale e spesso senza conoscerne il vero significato.”
“Beh, innanzitutto quello non è un simbolo che si può trovare su una qualunque enciclopedia ne
tantomeno dal tatuatore. Queste informazioni le ho avute personalmente via e-mail da un docente
dell’Università di Lione il quale ha promesso che mi farà pervenire al più presto tutte le notizie, non
molte a quanto pare, riguardo le pratiche rituali conosciute, positive e negative, degli Zañampoha.
Forse a breve avremo qualcosa di più pratico su cui ragionare.”
Walter lo guardava annuendo senza sapere cosa dire.
“Sono tutte coincidenze” riprese “o indizi, lo so benissimo, ma cominciano ad essere parecchi.
D'altronde l’unica vera prova sarebbe cogliere il Tirelli in flagrante sul luogo di un delitto, il che è
impensabile, oppure mentre celebra i suoi riti nella vecchia palestra ma, mi creda, se le cose stanno
così non ci conviene assolutamente sfidarlo senza avere altre informazioni; non abbiamo nulla da
controbattere al suo potere, ci annullerebbe.”
“Quindi non possiamo fare nulla al momento?”
“Nulla, se non salvaguardare la nostra stessa vita. Lui potrebbe sapere che siamo sulle sue tracce,
soprattutto alla luce di ciò che lei gli ha sentito dire stasera, e decidere di eliminarci. Anzi, nel caso
fossi io ad essere eliminato, sarà bene che le mostri dove trovare tutte le informazioni necessarie sul
mio computer.”
A quelle parole pronunciate con così tanta freddezza Walter rimase un poco turbato: stava rischiando
la vita dunque? Certo, se tutte queste teorie si fossero rivelate fondate. Se ne rendeva conto solo ora
e per un istante provò l’impulso di mandare tutto all’aria, tornarsene a Novara e aspettare che tutto
fosse finito prima di rimettere piede a S.Clara. E se la faccenda non avesse trovato fine? Doveva
andare avanti, almeno finché il coraggio gli fosse bastato.
9.
Quelli come lui hanno qualcosa dentro. Qualcosa che sa di morte.
Le parole pronunciate in quel western di Sergio Leone che stava guardando in TV per riuscire a
prendere sonno, sebbene senza attinenza con la situazione, riecheggiarono nella mente di Walter per
parecchi minuti così come la risata agghiacciante udita poche ore prima. D’altronde sarebbe stato
impossibile per lui pensare ad altro in quel momento. Guardò fuori dalla finestra. Era tutto cosi
assurdo ma il pensiero di tutte quelle morti era tremendamente reale. E poi perché non andare a
fondo di quella faccenda? Da adolescente era molto attratto dalle storie soprannaturali ed ora aveva la
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possibilità di viverne una da protagonista e ciò in fondo lo eccitava. Inoltre il pensiero di indagare sulla
morte della sua amica gli dava modo di soffrire meno che rimanendo spettatore passivo. Quella notte
sognò. Sognò il suo corpo in putrefazione divorato dai vermi e quando al mattino presto si svegliò
aveva in bocca un sapore cattivo e sconosciuto che non gli ricordava nulla di già provato prima. Non
aveva avvertito presenze quella notte ma la sensazione che sentiva addosso era di forte disagio. La
casa, la sua stessa casa, sembrava avere qualcosa di diverso dal solito. Ed anche una volta uscito
per qualche istante gli sembrò di vedere il mondo avvolto da una strana nebbiolina.
Nonostante non sentisse peso allo stomaco non fece colazione: l’idea del cibo lo nauseava, cosa
strana per lui abituato a svegliarsi con una fame da lupo. Con Soldani dovevano vedersi nel
pomeriggio. Lui gli aveva detto che avrebbe continuato a fare ricerche per tutta la notte e che si
sarebbe riposato un po’ al mattino.
Niente, non riusciva a riprendersi. La testa gli girava e gli occhi facevano fatica a restargli aperti.
Decise di continuare comunque a camminare verso il centro ma non fu una buona idea.
Pochi minuti dopo si ritrovò senza quasi rendersene conto in mezzo ad un capannello di persone
davanti alla casa di Servidei.
…la zappa piantata nel collo…sentì dire da una delle persone intorno a lui e questo gli confermò
quanto aveva già immaginato. Un’altra vittima. Forse, se fosse riuscito a capire qualcosa di più dalla
conversazione tra Ennio e il fratello, ormai era convinto che si trattasse di lui, avrebbe potuto fare
qualcosa per impedire questo ennesimo omicidio. Forse.
Il solito simbolo, quel simbolo, era presente nell’angolo in alto a sinistra sulla facciata della casa. Lo
osservò a lungo e in lui si fecero largo i più truci pensieri. Poi decise di allontanarsi dal gruppo dei
curiosi. In quell’istante si sentì chiamare.
“Signor Ghetti, buongiorno.”
“Ah, Dottor Giacomino, buongiorno. Anche se per qualcuno non è un buon giorno” disse indicando la
scena del delitto.
“Già, mi hanno rovinato la domenica in famiglia” disse con una punta di cinismo.” E’ venuto a passare
il weekend a S.Clara?” disse in tono incuriosito.
“Veramente sono qui da mercoledì e sono rimasto per il funerale di un’amica. Cristina Morello, è morta
in un incidente stradale, forse ne ha avuto notizia.”
“Oh,no! Io seguo indagini penali, come questa. Anche se qui di incidenti cominciano ad essercene
veramente troppi, un po’ come per gli omicidi.”
“Già! Avete scoperto qualcosa di nuovo? La gente qui è molto spaventata.”
“Stiamo valutando ogni singolo caso con la massima attenzione. Ma…perché me lo chiede?” disse
assumendo di nuovo quel tono da indagatore.
“Beh, finche vengo da queste parti sono anch’io una potenziale vittima, sono spaventato anch’io.”
“Ha motivo di temere per la sua persona?”
“Non più di ogni altro essere vivente a S.Clara. Sembra che questo killer uccida indiscriminatamente,
probabilmente è uno psicopatico.”
“Sì, è probabile” tagliò corto “mi dispiace per la sua amica, le mie condoglianze.”
“Grazie, buon lavoro.”
Mentre il Sostituto Procuratore si allontanava Walter stava pensando ad un modo per metterlo al
corrente di ciò che sapeva, ma quale?
Sa dottore, c’è un tizio scomparso vent’anni fa che è riapparso adesso ed è lui la causa di tutte queste
morti. Uccide con la magia nera in tanti modi diversi. Dovrebbe sorvegliare la casa del fratello, alla
sera gli piomba in casa dopo il rito magico arrivando sotto forma di vento e portando uno strano
odore, poi sempre sotto forma di vento si avvia a casa della sua vittima per ucciderla facilmente in
quanto già soggiogata dalla magia nei giorni precedenti.
Gli avrebbe riso in faccia, e non a torto.
Il senso di nausea era appena diminuito e comunque non gli era riuscito di mandar giù altro che un
piccolo trancio di pizza. Al Bar Centrale non trovò conoscenti. Nerio, il barista gli disse che erano tre
giorni che non si faceva vivo nessuno della compagnia. Uno dei frequentatori più assidui del bar era
addirittura scomparso da casa inspiegabilmente. Quanto a Martino, da almeno due settimane nessuno
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l’aveva più visto in paese. Bevve un aperitivo alcolico tanto per rilassarsi e tornò verso casa di Soldani
il quale lo aspettava in uno stato di ansia febbrile.
“Venga, venga. E’ arrivata l’e-mail che aspettavo...”
A computer acceso Soldani riassunse la situazione:
“Come sospettavo il fuoco era parte essenziale dei loro riti ed anche il ritmo ipnotico dei tamburi.”
“Noi però non abbiamo sentito tamburi ieri sera.”
“Ieri sera eravamo piuttosto lontani. Ad ogni modo il problema fondamentale è capire come lui irretisce
le persone. Gli Zañampoha sfruttavano una serie di sostanze allucinogene che provocavano il delirio
dei loro aggressori. Riuscivano poi tramite i loro rituali a pilotarle nella direzione a loro conveniente. E’
probabile che tutte le vittime avessero ingerito o avuto contatti con sostanze di questo tipo.”
“Ingerito?” Walter ebbe un sussulto “E’ da quando ho cenato ieri sera che faccio fatica a mandar giù
un boccone di cibo. Ho la nausea da stamattina” disse guardando Soldani senza sentire il bisogno di
aggiungere altro.
“Non è più tornato in casa da oggi?”
“No, da stamattina.”
“Non lo faccia allora. Non le conviene tornare nella sua casa. Alcune di quelle sostanze non hanno
bisogno di essere ingerite. Basta che siano cosparse sugli oggetti che tocchiamo. Spesso sono
inodore e insapore.”
Soldani attese qualche attimo. “La sua casa potrebbe essere, come dire, contaminata. Non ha avuto
nessun tipo di allucinazione oggi?”
“No, solo malessere e spossatezza.”
“Non voglio spaventarla, ma potrebbe avere dei problemi stanotte. Non le consiglio nemmeno di
mettersi alla guida, sarebbe molto rischioso. Si ricordi quello che è successo alla sua amica.”
Walter rabbrividì. Sentiva il pericolo sotto forma di formicolio sulla sua pelle.
“E’ meglio che rimanga qui stanotte. La sorveglierò io. Ci metteremo qui nello studio, i divani sono
reclinabili, così saremo pronti a fronteggiare qualsiasi situazione. Cerchi di restare tranquillo, ora
abbiamo alcune notizie di grande importanza.”
Soldani riprese il discorso interrotto anche per distrarre Walter dalla preoccupante situazione.
“Credo che il Tirelli sia divenuto col tempo una specie di sciamano: nelle cerimonie di possessione
colui che è malato viene curato da un sacerdote. Al termine di un preciso rituale l’anima del malato
subisce una discesa degli dei ed una incarnazione corporale. Quella del sacerdote invece dopo aver
abbandonato il corpo sale al cielo o scende agli inferi ed entra in contatto con gli dei. Egli conserva
così la sua integrità psichica al contrario del posseduto il quale viene totalmente invaso dal dio che si
sostituisce alla sua normale personalità. Nel nostro caso Tirelli rappresenta il sacerdote e noi i malati.”
“E di che malattia si tratta, è una malattia conosciuta?”
“Un paio di medici malgasci la scoprirono. Si chiama Baranjana ed ha caratteristiche di trasmissione
simili alla malaria in quanto è tipica delle zone palustri. Era stata circoscritta in Madagascar agli inizi
del novecento ma pare che le piante che la provocano possano ancora trovarsi in qualche zona
sperduta dell’isola.”
“E immagino che da queste piante si estraggano le sostanze di cui parlava poco fa.”
“Immagina giusto, ne ho qui una classificazione” disse indicando il computer “e ho anche una lista di
altri estratti curativi. Fortunatamente, si fa per dire, non è trasmissibile ed occorre un certo numero di
contatti con quelle sostanze per contrarla in maniera grave.”
“E quali sono i sintomi?”
“Avrei preferito non dovergliene parlare data la situazione ma è giusto che lei sappia. Dopo il contatto
per uno o due giorni il paziente prova un malessere generale poi si manifesta un’agitazione nervosa
che assume una forma allucinatoria. Gli equilibri mentali vengono stravolti e possono prendere corpo
le visioni più disparate. Questi ultimi però non sono sintomi immediati e secondo la credenza si
osservano solo nei malati che sono stati sottomessi all’influenza del sacerdote. Le persone quando
vengono prese da una malattia che presenta sintomi coreutici o nervosi si suggestionano
ulteriormente e inconsciamente finiscono con l’acutizzarne i sintomi. Il fuoco e il ritmo ossessivo dei
tamburi, normalmente usati per “canalizzare” in qualche modo il disordine della mente, dovrebbero
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fungere da agente curatore ma nel nostro caso il sacerdote cerca di creare la situazione opposta: il
caos mentale.”
“Se ho capito bene quindi, sono stato a contatto con quegli estratti e questa notte il...sacerdote
cercherà di spaventarmi con tutti i mezzi in suo potere.”
“Dipende dall’entità del contatto che ha avuto. Probabilmente il suo è solo il primo stadio della malattia
ma se non ci sbrigheremo a fermare quel pazzo la situazione non potrà che peggiorare. Non si
dimentichi che anch’io ho avuto qualche forma allucinatoria ultimamente. Nemmeno qui siamo troppo
al sicuro.”
“Crede che lui abbia capito che stiamo cercando di fermarlo?”
“Può darsi, sembra che sappia sempre tutto e che trovi sempre il momento giusto per agire, quindi sì,
credo di sì. Ma non si perda d’animo; come le ho detto sappiamo abbastanza su quelle piante per
poterci curare o quantomeno difendere, immunizzandoci dai suoi attacchi. Per sconfiggerlo però
dovremo imparare a servirci della sua stessa magia, o meglio del suo opposto.”
“Possiamo curarci quindi, ma in che modo?”
“Per cominciare possiamo usare del semplice chinino, me ne sono già procurato, che è efficace contro
tutte le forme malariche ma per essere sicuri dovremo procurarci altri estratti specifici; uno di essi, il
Ramija è praticamente introvabile ma gli altri si possono trovare in una buona erboristeria. C’e n’è una
ben fornita a Verbania, possiamo fare un salto domani mattina. Per stanotte però il chinino non avrà
abbastanza tempo per fare effetto, dovremo essere ben vigili e non lasciarci ingannare da niente.”
Dopo una cena precauzionalmente a base di cibi preconfezionati cercarono di rilassarsi sul divano
davanti al televisore poi, nonostante la tensione, le energie cominciarono a cedere. Sistemarono i
divani lasciando però la TV accesa e mantenendo i vestiti addosso per ogni eventualità.
Per qualche istante Walter si sentì quasi stupido in quella situazione ma cercò di convincersi che
stava facendo la cosa giusta.
“Che strano” pensò “è passato solo un mese da quando si faceva festa tutte le sere e sembrano tempi
così lontani.”
Era proprio una sensazione strana: avrebbe voluto dormire per non pensare più a nulla ma il timore di
ciò che avrebbe potuto aspettarsi glielo impediva. Gli tornò beffardamente in mente l’eco di una
canzone dei Faith No More:
...e ogni notte chiudo gli occhi come se non dovessi più rivedere la luce.
10.
La prima cosa che notò aprendo gli occhi fu il televisore spento. Poi si girò verso l’altro divano e lo
vide vuoto. Cercò di alzarsi ma sentiva le gambe incredibilmente pesanti. Fece uno sforzo per riuscirvi
e cercò di trascinarsi verso la porta. Per un attimo pensò di essersi preso l’influenza.
Appena entrato nell’ingresso vide la sagoma di Soldani che, con uno sguardo diabolico, brandiva
un’accetta e si scagliava contro di lui.
“Che idiota sono stato a fidarmi, è suo complice ed io ci sono cascato come un pollo” pensò in
quell’istante. Arrivatogli ad un metro lo vide vibrare un colpo. Walter disperatamente riuscì a bloccare
con una mano l’avambraccio e con l’altra il manico dell’arnese. I due caddero e lottarono a terra per
un po’, poi Walter riuscì a trovare la forza per divincolarsi dal suo avversario e catapultarsi in fondo al
corridoio e qui si alzò girandosi. Fu questione di un secondo, sentì lo scroscio di qualcosa di liquido
sulla sua faccia e chiuse d’istinto gli occhi. Quando li riaprì vide Soldani che si manteneva a distanza
da lui e cercava di calmarlo.
“Signor Ghetti, sono io, nessuno la sta aggredendo, si fermi.”
Walter lo guardò e vide che teneva una brocca in mano. Sul suo volto non c’era più traccia di quella
malignità che aveva visto prima. Si guardò e si ritrovò coperto di semplice acqua.
“La prego, si calmi. Ha avuto un’allucinazione. Sta cercando di metterci contro, capisce?”
Walter si guardò intorno come risvegliatosi. La lucidità sembrava essergli tornata anche se in quel
momento era tutto un fascio di nervi tremolante.
Soldani gli spiegò che si era alzato per andare al bagno e nel tornare lo aveva visto barcollare
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all’imbocco dell’ingresso. Aveva cercato di aiutarlo ma la scomposta reazione di Walter lo aveva fatto
desistere. Poi Walter era stato preso da convulsioni e lui non aveva trovato di meglio che prendere la
brocca d’acqua che aveva lasciato in cucina e versargliela in faccia per ricondurlo alla realtà.
“Allora ci sta provando anche con me il maledetto” disse Walter a Soldani rientrando in salotto.
Guardò la TV: era ancora accesa anche se a volume bassissimo.
“Sì, è come pensavamo, ora ne abbiamo avuto anche una prova. Ha approfittato dell’unico momento
in cui l’ho lasciata solo. Non lo si vede ma sa sempre tutto, Dio sa come ci riesca. Oltre ad essere a
conoscenza di pratiche terribili è anche maledettamente intelligente.”
Passarono il resto della notte svegli ad eccezione di qualche breve periodo verso l’alba in cui a Walter
crollarono le forze mentre Soldani rimase scrupolosamente vigile. Fortunatamente non si verificarono
altri problemi. Verso le 8.30, dopo una breve colazione, uscirono e trovarono la sorpresa: un Mahanta,
il simbolo base che avevano imparato a conoscere e a temere, con la spirale sinistra in alto, disegnato
sull’uscio di casa con quella strana sostanza. Era un chiaro messaggio.
“Ha deciso di farci la festa. Dobbiamo sbrigarci, non c’è tempo da perdere” sentenziò Soldani.
Salirono in auto alla volta di Verbania dove furono abbastanza fortunati nel trovare quasi tutti i prodotti
curativi necessari.
Nel primo pomeriggio Walter si sentiva già molto meglio del giorno prima.
“Devo andare al funerale di Kris, non posso mancare.”
“Non credo sia una buona idea. Dovrebbe dar tempo alle cure di fare effetto. Le sue condizioni sono
buone, l’attacco di quell’infame non ha fatto in tempo a produrre gli effetti peggiori, ma sarebbe meglio
non rischiare.”
“Devo farlo, sarà questione di un’ora.”
“Stia molto attento però, non è ancora fuori pericolo.”
“Non si preoccupi, ho il cellulare con me se serve.”
“Mi spiace ricordarle il fatto ma alcune sere fa non le è servito a molto.”
“Cercherò di stare sempre in luoghi frequentati” sorrise mestamente “come fanno i bravi bambini. Ci
vediamo per cena.”
“Ho bisogno di sapere una cosa. E’ ancora convinto di andare fino in fondo? In caso contrario non la
biasimerei, io sono avanti con gli anni e posso rischiare, lei è ancora giovane.”
“Sono un tipo testardo. Spero solo che serva, se no sarà la più grossa cazzata della nostra vita.”
Soldani annuì senza parlare.
Guidò verso Groppiano lentamente e con estrema cautela come Soldani gli aveva consigliato. Al
funerale incontrò per primi Aldo e Marione, quest’ultimo non riuscì a dire altro che “Sono giorni strani,
proprio strani.” Eva gli si avvicinò e lo ringraziò per essere venuto. Dopo una decina di minuti
strazianti, per fortuna la bara era stata tenuta chiusa, uscirono dalla Cappella. C’era anche Sonia. Nel
salutarla notò che aveva un’aria piuttosto dimessa e un po’ di borse sotto gli occhi.
“Mi dispiace molto per Kris, tu come stai?”
“Dire bene sarebbe ottimista ma...” alzò le spalle come per dire cosa vuoi farci?
“Certo, immagino.”
In lui si mosse qualcosa e riuscì a dirle ciò che avrebbe voluto dire ad amici, parenti, a tutto il paese
se solo avesse potuto.
“Fossi in te me ne andrei da qui e me ne starei alla larga da questi posti.”
“Lo so, è rischioso, ma non possiamo farci prendere dal panico. Prima o poi finiranno queste…brutte
cose.”
La guardò e cerco di essere più convincente possibile.
“Sonia, guardati attorno. Non ti sei accorta che la gente in questo paese muore in mille modi diversi?
C’è qualcosa di più, credimi. Non posso spiegarti ma se ci tieni a te stessa (avrebbe voluto dire: io ci
tengo a te) stai lontana da S.Clara.”
“Ma tu...sai qualcosa, dunque?”
Walter attese qualche istante.
“Più di quanto tu creda. Può darsi che tutto si risolva a breve o che non si risolva affatto, capisci?”
“Sai qualcosa allora. Ma ti stai mettendo in situazioni pericolose? Perché non vai alla Polizia?”
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Walter non le rispose.
“Segnati il mio numero di cellulare. Per qualunque problema chiamami, ok?”
“Ok, ma cosa....”
“Qualunque problema, anche la cosa più banale. Ora devo andare” si fermò quasi subito “non
cercarmi a casa mia, non mi troveresti.”
Lei rimase a guardarlo per parecchi secondi mentre si allontanava. Aveva ancora il suo sguardo
davanti agli occhi.
11.
Aveva scelto di rientrare dalla via più trafficata, una specie di piccola tangenziale che aggirava il
paese nella zona alta. A quell’ora però, mancava un quarto alle cinque, il flusso di auto era ancora
piuttosto ridotto. Il cielo era nuvoloso e prometteva pioggia. Notò il triangolo catarifrangente poco
prima del tornante dove quell’auto bianca era parzialmente affossata. Accese le luci di emergenza
appena fermatosi. La persona all’interno della Punto fece un breve gesto alzando la mano come per
confermare il suo bisogno di aiuto.
Walter lo riconobbe al volo nonostante gli anni trascorsi da quel vecchio episodio. Qualche chilo in più
visibile sul volto, qualche capello grigio mescolato a quelli biondi ma tutto sommato ben riconoscibile.
“Ci conosciamo pare” disse Walter senza l’ombra di un sorriso. Il tizio non rispose limitandosi ad un
leggero movimento del capo e ad un austero sorriso nel quale non si intravedeva la strafottenza di
quando si erano, per così dire, incontrati quell’estate. Un flashback di una manciata di secondi sfilò
davanti agli occhi di Walter. La spinta di uno di loro, il primo pugno sferrato a Lucio, la loro reazione
scoordinata e istintiva, puramente rabbiosa, dopodiché il loro rapido crollare sotto i pugni di quel
gruppetto di provocatori. Il tutto con la scusa, il pretesto, di avere come trofeo una piccola catenina
d’oro. Erano passati vent’anni, ora erano persone adulte, era solo una scazzottata in gioventù,
d’accordo, ciò nonostante i pugni di Walter si strinsero istintivamente in una morsa di furore tale che
se qualcuno avesse avuto il collo fra le sue mani in quel momento non avrebbe vissuto a lungo.
“Ho un piede incastrato fra i pedali, si sono piegati nell’urto. Credo sia rotto.”
“E’ meglio che non ti muovi, hai chiamato qualcuno?” disse Walter controllandosi.
“Purtroppo no, il cellulare dev’essersi rotto per la botta.”
Qualcosa in lui gli diceva che quella persona avrebbe meritato di essere lasciata lì per quella vecchia
carognata ma il buonsenso prevalse. Si disse che ciò sarebbe stato come abbassarsi al livello di un
individuo squallido e vigliacco. Senza dire altro estrasse il suo telefonino e formò il 118. Dopo aver
fornito tutte le istruzioni, sempre mantenendo un tono ben poco pietoso, tornò a parlare con lui.
“Com’è successo?”
“E’ incredibile a dirsi ma un colpo di vento improvviso mi ha investito e oltre ad aver deviato la
traiettoria dell’auto mi è arrivato forte in faccia dal finestrino aperto tanto da farmi chiudere gli occhi
per qualche istante. Stavo quasi per finire di sotto quando ho sterzato completamente col volante e
sono finito nel fosso. Sono stato fortunato.”
“Già, parecchio” disse Walter sempre mantenendo quel tono gelido.
“Beh, spero che tu non ce l’abbia ancora con me per quella vecchia storia, è passato tanto tempo.”
Walter attese qualche istante.
“Come si diventa buoni quando si ha bisogno, eh?” Lui non rispose abbassando lo sguardo.
“L’ambulanza sta arrivando” disse, poi girò intorno all’auto per notare se vi erano segni particolari.
Nulla tranne i segni della frenata sull’asfalto.
Di nuovo quel vento, non si può più parlare di coincidenze. Dobbiamo fare qualcosa.
Il suono della sirena incominciò ad udirsi e Walter si avviò verso l’ambulanza alzando un braccio per
farsi notare.
“Beh, allora grazie” disse l’uomo tendendogli la mano mentre gli infermieri scendevano con la barella.
Walter rimase immobile e rispose “Non c’è di che. Buona fortuna.” Quel rifiuto di stringergli la mano
nella sua mente significava era un dovere, l’avrei fatto per chiunque.
Mentre risaliva in auto ricevette la telefonata di Soldani.
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“Tutto bene? Qualche problema? Ho visto che tardava e…”
“Per me sì, ma il nostro amico ci ha provato ancora. La vittima si è salvata per un pelo.”
“Che cosa?”
“Le spiego tutto quando arrivo. Cinque minuti e sono lì.”
Nel ripartire osservò dallo specchietto retrovisore gli infermieri che estraevano l’uomo dall’auto. Aveva
fatto la cosa giusta.
“Se non interveniamo ci farà fuori tutti ad uno ad uno” disse Soldani scuotendo la testa poco dopo.
“Già, ma come?”
“Qualche mezzo lo abbiamo, basta studiare bene le pratiche rituali opposte per contrastarlo.”
“Contrastarlo, lei dice? Non so quante conoscenze sull’argomento lei abbia messo insieme ma…noi
abbiamo capito adesso di cosa si tratta, lui invece ha un’esperienza di vent’anni. Siamo come
principianti di fronte ad un maestro.”
“E’ vero ma proprio per questo non saremo mai veramente pronti ad affrontarlo e ciò nonostante non
possiamo aspettare oltre.”
“Non c’è nessuno a cui chiedere aiuto, qualche esperto in materia? Quel Professore di Lione?”
“Mi ha detto che invierà uno studioso molto esperto con il suo aiutante ma essendo loro attualmente
impegnati in Sudamerica potrebbero metterci molto ad arrivare qui a S.Clara. E intanto la spirale di
morte di quel pazzo non si arresta, anzi.”
Walter rifletteva con i pugni serrati intorno al viso.
“Potremmo andare da Ennio e cercare di metterlo con le spalle al muro. Da quello che ho sentito
quella sera non va molto fiero di ciò che fa il fratello nonostante lo copra.”
“Crede che ci aiuterebbe? Probabilmente ha molta paura anche lui.”
“Possiamo sempre tentare. In fondo non rischiamo nulla di più se non funziona, il fratello sa già che
noi sappiamo, non renderemmo la situazione più grave di quanto non sia ora.”
“D’accordo, andiamo subito allora. A quest’ora lo troveremo solo, dopo cena invece…”
12.
Era chiaro che Ennio non si aspettasse una loro visita perché aprì in modo piuttosto deciso.
Probabilmente appena gli erano apparsi Walter e Soldani si era subito pentito di non aver guardato
prima dallo spioncino, nel qual caso avrebbe certo finto di non trovarsi in casa.
“Salve Ennio, avremmo bisogno di parlarti” disse Soldani con un tono particolarmente deciso tale da
sorprendere lo stesso Walter “possiamo entrare?”
“Veramente non ho molto tempo, stavo preparandomi ad uscire.”
“Ah, e dove vai di bello, per caso alla vecchia palestra?”
Ennio sbiancò a quella domanda.
“Non so di cosa stia parlando” disse con voce malferma poi attese un’istante. “Se dovete chiedermi
qualcosa vi prego di farlo, in caso contrario…”
“D’accordo” replicò Soldani “puoi dirci chi ucciderà tuo fratello stanotte, chi è la sua prossima vittima?”
Cercò di chiudere la porta ma Walter fu lesto ad impedirglielo. Soldani lo seguì e si ritrovarono tutti e
tre nel soggiorno. Soldani chiuse la porta.
“Non potete entrare in casa mia, è violazione di domicilio!”
“Bene, chiama la Polizia allora così facciamo quattro chiacchiere anche con loro” rispose Walter.
“E che cosa gli raccontereste, di grazia?”
“Che sospettiamo di te e che ti abbiamo visto aggirarti intorno alla casa di qualche vittima. Le nostre
due versioni coincideranno. Basterà per aprire una indagine e per metterti sotto controllo” disse
Soldani incredibilmente agguerrito.
“Ho qui il numero del Sostituto Procuratore che indaga sui fatti” aggiunse Walter “vuoi controllare?”
Ennio restò senza parole con una visibile espressione di rabbia sul volto mentre li guardava. Poi
abbassò la testa e scagliò un pugno sopra il mobiletto alla sua destra facendo sobbalzare i
soprammobili.
“Voi siete pazzi, non avete idea di cosa state facendo. State giocando con qualcosa di enormemente
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più grande di voi” disse poi a voce bassa ammettendo in pratica il suo coinvolgimento nella vicenda.
“Lo sappiamo ma siamo decisi ad andare avanti e tu ci aiuterai” disse Soldani con sicurezza.
“Io?” sorrise istericamente. “E come? Io so solo di avere un fratello che è come un demonio, l’ho
sempre saputo ed ora ne ho la completa certezza. Vi conviene andarvene da qui voi che avete capito
e portarvi dietro più gente che potete, almeno voi salverete la pelle. Non c’è altro da fare. Credete che
se avessi potuto fare qualcosa non lo avrei fatto? Non so niente su pratiche di magia nera,
probabilmente ne sapete di più voi due.”
“Quando è tornato Guido?”
“Alla fine di Luglio. Una sera me lo sono trovato qui in casa, per poco non mi viene un colpo. Quando
mi disse ciò che voleva fare tentai di dissuaderlo ma capii che era inutile cercare di parlare con un …
essere totalmente invaso dal male. Non sapete di cos’è capace né di cosa sarà capace in futuro.
Potete anche chiamare la Polizia e circondare questa casa o la palestra, non servirà. Lo capirebbe
prima ancora di veder arrivare qualcuno, anzi, forse sa già che siete qui. Andatevene, io proverò per
l’ennesima volta a convincerlo di fermarsi ma so che non servirà.”
Poco dopo Ennio vide dalla finestra i due uomini avviarsi lungo la strada. Era in forte stato di
agitazione. Le sue mani si raccolsero intorno alla testa.
13.
Ora signor Ghetti, dobbiamo proprio metterci al lavoro.”
“Al lavoro? Cosa intende?”
Poco dopo, chiusa la porta dello studio per evitare che la signora Laura sentisse i loro discorsi,
l’anziano insegnante si spiegò meglio.
“Se lei passerà indenne questa notte potrà considerarsi del tutto fuori pericolo e potremo finalmente
sferrare un’attacco a colui che stiamo combattendo.”
“Un...un attacco? Adesso?”
“Non possiamo fare altrimenti. Più tempo passa e più gli diamo la possibilità di metterci in difficoltà.
Dobbiamo attaccarlo. Per questo le ho chiesto se se la sentiva di continuare. Se ha dei dubbi lo dica
ora ma se non li ha tiri fuori tutta la convinzione che può perché non possiamo commettere sbagli: lui
non ce li perdonerebbe. E’ importante che lei sia convinto, che creda veramente in ciò che faremo
perché le pratiche di cui la metterò al corrente necessitano di molta precisione dal punto di vista
mentale oltre che da quello materiale. Pensi bene a tutto ciò che sa e che le è successo. Ci crede?”
Fino a quel momento Walter si era mantenuto in una posizione a metà fra il credo e il non credo
ovvero fra accettazione del fatto e curiosità in attesa di verifica. Ora dopo le parole di Ennio non
poteva avere dubbi, doveva crederci. Si chiese se ne valesse la pena: perché avrebbe dovuto
rischiare di sacrificare la sua vita? Perché proprio lui? Decise di non rispondersi perché in caso
contrario la logica gli avrebbe imposto di mollare tutto.”
Alzò gli occhi e rispose.
“Ok, vada avanti!”
Con le istruzioni del Prof. Lacombe alla mano incominciarono a leggere formule e ad acquistare
dimestichezza con simboli e preparati di erbe studiando tutte le soluzioni, tutti i rituali che si riteneva
fossero idonei a contrastare le eventuali reazioni del nemico al loro attacco.
Poco dopo la signora Laura bussò.
“Signor Soldani, mi scusi, ho sentito bussare alla porta poco fa e aprendo non ho visto nessuno. C’era
però questa sulla soglia” disse porgendogli una busta da lettera.
“Grazie, l’apro io, non si preoccupi.”
Attese che la donna uscisse ed estrasse il biglietto di cui lesse il contenuto.
Credo di aver capito che intendete andare avanti con la vostra battaglia. Come dicevo non posso
aiutarvi con notizie riguardanti le pratiche magiche di mio fratello ma una cosa posso dirvi: se
intendete affrontarlo dovete farlo al tramonto poco prima che lui inizi il rituale e nello stesso luogo
dove lo celebra, la palestra. Quello è il momento in cui il suo potere è al minimo. Il rituale serve
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proprio come ricarica. Una volta di fronte a lui cercate di non farvi ipnotizzare in nessun modo e
impeditegli di distogliere la vostra attenzione dal rito che intendete opporgli. E’ tutto ciò che posso fare
per voi. Sono in partenza, mi sono esposto troppo e temo che per questo mio fratello potrebbe
decidere di eliminare anche me. Ricordatevi che più vite umane sacrifica più grande diventa la sua
potenza. Spero che riusciate a compiere quest’impresa. Troppa gente è già morta e tant’altra morirà
se ciò che fate non avrà successo. Buona fortuna.
Ennio Tirelli
Le parole di Ennio confermavano, se ce ne fosse stato bisogno, l’urgenza di agire per il bene di tutti.
Evidentemente la sua coscienza si era ribellata a quella sorta di complicità dovuta al terrore che
provava nei confronti del fratello indemoniato.
Walter e Soldani non poterono far altro che rimettersi al lavoro per cercare di arricchire in fretta la loro
conoscenza in vista dello scontro, dovevano sfruttare il tempo nel miglior modo possibile quella notte.
Purtroppo la buona azione era costata cara al povero Ennio. Nemmeno un’ora dopo che la lettera era
stata letta da Walter e Soldani il suo corpo era disteso senza vita lungo il pavimento di casa sua senza
nessun segno apparente di aggressione. Sulla soglia vi era una valigia pronta per essere portata
dentro un’auto. Un’ombra ne richiuse il portello posteriore e spinse la valigia all’interno della casa, poi
spense le luci e diventò tutt’uno con il buio. Poco prima quell’ombra aveva pronunciato le seguenti
parole:
Sei stato fortunato fratellino, con te ho usato la mano di velluto. Pensa a quello che è capitato a quelli
che sono venuti prima di te…Hai fatto male a tradirmi, molto male!
14.
Verso l’una decisero di fermarsi, erano a buon punto con l’apprendimento. Walter non riuscì
comunque a dormire granché ma in ogni caso più della sera precedente mentre Soldani rimase
sveglio tutta la notte per precauzione. Non vi furono problemi, nessuna allucinazione, il chinino e le
altre erbe avevano fatto effetto. Al mattino presto telefonò in negozio per dare istruzioni a Fabio e
dirgli che si assentava ancora e che non sapeva quando sarebbe tornato (o in realtà SE sarebbe
tornato).
All’arrivo della signora Laura, verso le 10.30 circa, decisero di appisolarsi su un paio di sedie a sdraio
in giardino. La fatica per la nottata insonne si faceva sentire ed ora, con la presenza di una persona
che restasse sveglia e attiva, si poteva provare a recuperare un po’ di forze.
Intorno alle 12.00 stavano dormendo entrambi, anche se non molto profondamente, quando trillò il
cellulare di Walter.
“Walter, sono Sonia.”
Sentendo quel nome si riprese in fretta dal sonno. “Dimmi” fece appena in tempo a dire.
“Mi avevi detto di chiamarti se notavo qualcosa di strano. C’è un odore fortissimo in casa, non riesco a
capire cosa sia e tirano strane folate di vento dalle finestre.”
Ci mise meno di un secondo a realizzare. “Esci subito di casa! Capito? Scappa immediatamente. Esci
di corsa, sei in pericolo. Non perdere tempo. Cerca compagnia da qualcuno e poi richiamami.”
“Ok, ma…?”
“FAI PRESTO!!!”
A quell’urlo anche Soldani si svegliò. Sonia aveva riattaccato male il telefono e Walter poté udire il
suono del vento proveniente dall’altro capo del telefono. Pochi secondi dopo qualcuno riattaccò.
“Quel bastardo sta cercando di uccidere Sonia.” Attese che lei richiamasse per secondi che gli
sembrarono anni. Non riusciva a stare fermo.
“Devo andare a vedere, potrebbe averla inseguita.”
“Aspetti, vengo con lei” disse Soldani.
In quell’istante il telefono trillò di nuovo.
“Sonia?!?”
“Sì, sono io. Sono davanti a un negozio, ho fatto come mi avevi detto.”
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“Non ti muovere da lì, spiegami dov’è.”
“Tutto bene?” chiese poco dopo Soldani con apprensione.
“Sì, vado a raggiungerla. Non importa che venga anche lei, si riposi.”
“Si fa per dire.”
Poco dopo si incontrarono in via Pascoli.
“Come mai eri sola in casa? Ti avevo detto di venire a S.Clara il meno possibile.”
“Lo so. Avevo bisogno di prendere alcune cose da casa. Erano solo dieci minuti che ero entrata.”
“Potevano bastare per lasciarci la pelle, non devi più tornare a casa, non lì.”
“Ma io non ho visto nessuno. Cosa significa tutto questo, cosa sono quell’odore e quel vento? Credi
che sia in pericolo anch’io? Se sai qualcosa dimmelo.”
“Senti, questa notte io e una persona cercheremo di risolvere il problema una volta per tutte. E’ difficile
spiegarti tutto. Tu nel frattempo faresti bene a restare in città solo quando devi lavorare. Non hai la
possibilità di stare da qualcuno fuori città?”
“Ho le chiavi della casa di Claudio a Montemarino. Lui non c’è, è ad un corso di aggiornamento a
Milano per tutta la settimana.”
“Sarebbe meglio che rimanessi sempre in compagnia di qualcuno. C’è un assassino in città che è
molto abile ad approfittare dei momenti di solitudine delle sue vittime.”
“Potrei andare dagli zii a Verbania. Mi crea qualche problema con gli spostamenti, ma...”
“Ecco, questa è una buona idea. Al lavoro hai molti colleghi?”
“E’ uno studio legale, c’è sempre un via vai...”
“Bene, mi raccomando, se noti di nuovo qualcosa di simile fai come ti ho detto, cerca di non rimanere
mai sola. Ora vado, ho un po’ di cose da fare.”
“E’ una cosa pericolosa quella che devi fare stanotte?”
Attese qualche istante.
“Non ci pensare e stai attenta, andrà tutto bene.” Non ci credeva troppo nemmeno lui ma non poteva
dire altro. Lei lo abbracciò poi lo guardò. “Grazie” disse, poi gli diede un bacio quasi sulle labbra. Poco
dopo Walter si allontanò.
CAPITOLO VI - La sfida
1.
Era la signora Laura quella che, con le mani davanti al viso, singhiozzava davanti a casa Soldani
mentre altre due persone non ben identificate cercavano di calmarla. Nel vedere Walter cercò di
parlare ma l’emozione fece uscire dalle sue labbra solo pezzi di frasi sconnesse del tipo: “sono
entrata...era lì...per terra...non è possibile…” Era comunque intuibile il senso del discorso per chi
come Walter avesse potuto aspettarsi un fatto del genere.
Entrò nonostante i consigli dei due soccorritori. Il corpo di Soldani era disteso per terra nel suo studio,
una pozza di sangue all’altezza del cranio, quest’ultimo coperto da un avambraccio come in un gesto
di disperata difesa.
“Mi raccomando, non tocchi niente, abbiamo già chiamato la Polizia. Passavamo di qui, abbiamo
sentito le urla della signora e...” spiegò il più giovane dei due entrato con lui.
Lo aveva ucciso! E questa volta senza servirsi di alcun mezzo esoterico. Evidentemente sentendo il
rischio di un attacco e non potendo eliminarli per l’immunità acquisita con le cure il Tirelli aveva deciso
di agire in maniera puramente fisica contro l’anziano professore per sbarazzarsi di lui definitivamente.
Poco dopo una brutta sorpresa gettò Walter nello sconforto: nonostante lo stato di shock cercò di
salvare prima dell’arrivo della polizia i dati utili dal computer ma non vi riuscì. Tutte le cartelle
riguardanti il caso erano state cancellate e la scatola di floppy-disk era sparita.
All’arrivo degli agenti spense il computer e ovviamente tacque con loro al riguardo. La signora Laura
stava dando spiegazioni ad uno di essi. Aveva bisogno di un paio di limoni ed era uscita un momento
per andare a farseli dare da un’amica. Vedendo il professore che dormiva profondamente aveva
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preferito non disturbarlo, era cosa di pochi minuti. Al suo rientro lo aveva trovato morto.
Avremmo dovuto metterla al corrente e io, stupido, potevo inventarmi qualcosa per dirle di non
perderlo di vista pensava Walter in preda ad un misto di rabbia ed angoscia. In realtà la rapidità con
cui si susseguivano gli eventi non lasciava spazio per un briciolo di lungimiranza.
Poco dopo giunse anche il Dott. Giacomino. Alla vista di Walter non si trattenne dal fare un
commento.
“Signor Ghetti, anche questa volta la trovo sulla scena di un delitto. Se non sbaglio è già la terza
volta.”
Si sentì un poco irritato da quella considerazione espressa in tono alquanto sarcastico ma mantenne
la calma e pensò bene a cosa rispondere.
“Veramente è la seconda. La signora Righi l’ho vista prima che fosse uccisa.”
“Già, ma ha ritrovato lei il cadavere, no?”
“Un cadavere la cui morte risaliva a parecchi giorni prima se non sbaglio.”
Giacomino sorrise. “Non sbaglia. Posso chiederle come mai passava di qui?”
“Ero amico del signor Soldani. Avevamo una passione comune per le scienze naturali. Avremmo
dovuto pranzare insieme, la signora stava iniziando a cucinare.”
“Capisco. Lei dov’era nel frattempo?”
“Mi sono assentato per incontrarmi con un’amica. Le interessa sapere il suo nome?”
“Non importa per ora, grazie. Non era un interrogatorio ufficiale. Se sarà necessario la riconvocherò
nel mio ufficio.”
“A sua disposizione” replicò. Questa volta era suo il sarcasmo. “Posso andarmene?”
“Lei può andare dove vuole. Arrivederci.”
Sì, all’inferno se le cose continuano così. D'altronde non se la sentiva di biasimare il Sostituto
Procuratore per il semplice fatto di essere sospettoso nei suoi confronti. Probabilmente l’uomo era ben
lontano dall’immaginare cosa potesse esserci dietro a tutta quella serie di delitti e morti
apparentemente accidentali. Forse Walter avrebbe potuto cercare di metterlo sulla pista buona con
una lettera o una telefonata anonime. Magari semplicemente indirizzando i sospetti sul riapparso
Guido Tirelli nascosto nella vecchia palestra e omettendo i particolari riguardanti le pratiche occulte in
quanto poco credibili. Rischiava però di essere scoperto ottenendo per di più soltanto un rinvio del
problema. Le parole di Ennio riecheggiarono nella sua mente.
…potete anche chiamare la Polizia e circondare questa casa o la palestra, non servirà. Lo capirebbe
prima ancora di veder arrivare qualcuno…
No, sarebbe stato inutile. Bisognava combattere il suo potere con le armi giuste e questo non era
possibile al momento. Cominciò a vagare per il paese senza una meta sentendosi completamente
perduto. Guardava le persone chiedendosi quale sarebbe stato il loro destino. La signora con il
bambino, l’uomo che faceva jogging, chiunque incontrasse.
Verso le tre del pomeriggio si ritrovò in un piccolo bar di Groppiano dove non conosceva nessuno per
meditare un po’ in solitudine. Tutto sembrava perduto. Senza le formule rituali gli estratti non avevano
potere e lui non aveva modo di metterne insieme una copia. Era davvero finita? Quel bastardo
avrebbe continuato a seminare morte indisturbato? Si sarebbe placato o avrebbe continuato? E fino a
quando? Forse poteva cercare di rintracciare il Prof. Lacombe. Non aveva detto Soldani che
sarebbero dovuti arrivare due esperti mandati dal suo corrispondente francese? Cosa aspettavano ad
arrivare?
Appoggiando il cellulare sul tavolo si accorse della chiamata persa. Era Fabio dal negozio. Selezionò
il numero.
”…e poi è arrivata questa strana e-mail, non ha nessun riferimento commerciale. L’intestatario è un
certo Soldani. C’è scritto solo per Walter Ghetti. E’ allegato un documento, molto lungo, sembra un
trattato storico.”
Walter sentì un fremito.
“Non cancellarla, mi raccomando, anzi, salvane una copia. Ti richiamo dopo e ti dico a quale indirizzo
inoltrarla.”
Digitò il numero di Sonia in meno di due secondi.
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“E’ molto importante. Avrei bisogno anche che me lo stampassi, senza farlo vedere a nessuno,
assolutamente a nessuno.”
“Sono molte pagine hai detto? Lo salvo su un dischetto e poi lo stampiamo a casa di Claudio sul suo
computer. Puoi aspettare fino alle sei, quando esco?”
“Benissimo, alle sei sono lì. Grazie davvero Sonny, non sai quanto sia importante.”
Lei attese un secondo prima di salutarlo. Non la chiamava così da quando...da quando stavano
insieme.
2.
Non gli pareva vero. Le pagine che scorrevano sul video gli ridavano speranza. Soldani aveva unito
tutta la documentazione in un unico file che aveva poi spedito al negozio, sentendosi probabilmente in
pericolo, per permettere a Walter di poter agire comunque.
“Che roba è?” chiese Sonia incuriosita.
“E’ l’unica cosa che può salvarci. Non immagini quanto quello che hai fatto sia utile. Ora devo andare.
Mi raccomando, dormi dagli zii le prossime sere.”
“Quando...affronterai quella persona?”
“Presto, forse domani stesso.”
Sonia ebbe un sussulto e qualcosa si mosse in lei.
“Walter” disse lei guardandolo dritto negli occhi “ci sono tante cose che avrei voluto dirti riguardo...ciò
che c’è stato tra noi.”
“Lascia stare, ormai è acqua passata.”
“No, voglio dirtelo. In quel periodo ero troppo insicura. Non riuscivo ad essere costante in niente e non
sapevo spiegarmene il motivo. Non riuscivo a spiegarlo nemmeno a me stessa.”
“Probabilmente ho fatto degli sbagli anch’io.”
Lei appoggiò la testa sulla sua spalla. Le loro guance si accarezzarono ma Walter preferì non andare
oltre. La guardò. Sì, forse un po’ l’amava ancora, ma sentiva che ormai le loro strade avevano preso
due direzioni diverse.
“C’è la possibilità...che non ti riveda?” disse lei con un filo di voce.
“Se tutto va come spero porterò a casa la pelle e forse libererò la città da questo tormento.”
“Devi uccidere qualcuno?” disse lei agitandosi.
“No, non ho armi con me, non quelle che conosci almeno. Ma non posso spiegarti cosa sto per fare,
sarebbe un discorso troppo lungo e anche difficilmente credibile. Fidati di me, so quello che faccio.”
Lo abbracciò forte. Quell’abbraccio gli diede una inaspettata sensazione di forza e di fiducia in se
stesso. Quando Sonia si staccò da lui aveva gli occhi lucidi.
“Fa come ti ho detto: stai lontana il più possibile da S.Clara finché tutto sarà finito.”
“Ok” riuscì soltanto a dire scuotendo il capo.
Si costrinse ad andare ma non riuscì a staccarle gli occhi di dosso finché non fu alla guida dell’auto.
Era ormai tardi per procurarsi nuovamente le sostanze utili; doveva rimandare all’indomani. Non
potendo rischiare passando la notte a S.Clara e per di più nella sua casa ormai per nulla sicura era
costretto a lasciare il paese. Preferì però fermarsi in un motel sulla A26 nei pressi di Stresa anziché
rientrare a Novara. Aveva con se tutto ciò che gli occorreva, ricambi e altri oggetti personali, e non
voleva perdere la concentrazione su ciò che doveva fare. Ormai lo doveva fare. Certo, l’idea di dover
affrontare una situazione così rischiosa completamente solo non gli piaceva per nulla ma ormai era
deciso a farlo. Non c’era altra soluzione: per coinvolgere qualcun’altro ci sarebbe voluto troppo tempo
e poi forse un’altra persona, magari poco convinta, gli sarebbe stata più d’impaccio che di utilità. Tutto
era nelle sue mani. Non poté fare a meno di chiedersi se egoisticamente fosse stato meglio tirarsi
indietro: chi gli imponeva di fare tutto questo? Solo...la sua coscienza; e il pensiero di tutti quei morti e
di quelli a cui sarebbe toccata la stessa sorte; e i suoi parenti, gli amici, il pensiero di Kris, di Soldani;
certo, anche Sonia. Il senso di colpa sarebbe rimasto come un macigno nella sua vita. Sperare che le
forze dell’ordine avessero potuto catturare Tirelli prima o poi era fin troppo ottimistico. Quell’uomo o
qualunque cosa fosse diventato era un pericolo troppo grande per essere combattuto con mezzi
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convenzionali. Iniziò a rileggere i documenti e quando la stanchezza lo colse, assunte le dosi curative
giornaliere, si addormentò. Vista la situazione, un sonno di quasi sei ore senza particolari turbamenti
fu quanto di meglio non avrebbe potuto aspettarsi.
3.
Erano circa le 19.45 di mercoledì 21 settembre quando fermò l’auto in cima al colle che dava sulla
vecchia palestra. Aveva passato tutto il pomeriggio in un giardino pubblico a Baveno in riva al Lago
Maggiore a ripassare il piano, con le relative pratiche rituali, stabilito il giorno prima con Soldani. Ad
ogni ripensamento sull’azione decisiva di quella sera faceva fronte calcolando le eventuali risposte
alla reazione che il Tirelli avrebbe avuto in seguito all’attacco. Ogniqualvolta il pensiero di doversi
trovare faccia a faccia con quel mostro si faceva largo in lui, però, un fremito di angoscia faceva il giro
del suo sistema nervoso. Aveva cenato a fatica, senza gusto e solo per raccogliere le forze. I due
whiskey poi erano andati giù come acqua minerale. Si guardò a lungo intorno prima di scendere nel
piazzale con l’auto.
Quando fu di fronte all’edificio ebbe un attacco di tremarella che durò qualche secondo. Ci mise un po’
a respingerla. Nonostante cercasse di mantenere la calma il suo inconscio stava realizzando
veramente ciò a cui andava incontro. Ritrovata la combattività si fece forza pronunciando ad alta voce
un “Ok! Andiamo Walter, forza!” ed aprì lo sportello iniziando a scaricare il materiale. Aprì il portone ed
entrò nella palestra illuminandola con una potente torcia scoprendo che quanto aveva ipotizzato
Soldani era fortunatamente vero. Il parquet era tutto disseminato di rami accatastati secondo un
preciso ordine e già bruciacchiati per i falò accesi. Meno male, altrimenti non ci sarebbe stato il tempo
di portare della legna e avrebbe dovuto desistere. Aveva tutto il tempo per sistemare le cose nel modo
giusto, nonostante ciò si mosse con sollecitudine. Sapeva, grazie alla lettera di Ennio, che il potere del
suo antagonista diminuiva gradualmente col passare delle ore e risaliva solo dopo il rito evocatorio.
Tuttavia se quel pazzo avesse in qualche modo anticipato le sue mosse sorprendendolo sarebbe
stata la fine. Si guardava continuamente attorno tenendo a portata di mano il vecchio ma ben affilato
coltello da caccia di suo nonno infilato nell’apposita fondina pur sapendo che un oggetto del genere
avrebbe potuto dargli una protezione solo psicologica, anche una pistola sarebbe risultata inutile
contro i poteri di quel diavolo. Per prima cosa radunò tutto il legname in un angolo del parquet poi
incominciò a formare i falò secondo l’ordine dettatogli dallo schema che aveva per le mani cercando di
riprodurre più fedelmente possibile anche le distanze fra i mucchi di legna. Li congiunse poi con scie
di polvere bruna, una mescolanza di varie erbe che si era procurato in mattinata. Erbe che, prese ad
una ad una, non avrebbero curato nemmeno un raffreddore ma che unite appositamente sarebbero
dovute servire a creare un antidoto contro l’azione del fuoco. Salì poi sulle spalliere ai lati del locale
per poter verificare la disposizione del tutto. Gli oggetti descritti formavano ora l’opposto geometrico
del simbolo impresso vicino all’entrata.
In ultimo attizzò uno ad uno i falò e quando ebbe finito accese lo stereo portatile con su un nastro di
antichi ritmi tribali Sakalava procuratosi con Soldani nei giorni passati e che era rimasto in suo
possesso: ciò non seguiva fedelmente la procedura esatta che imponeva di suonare i tamburi
manualmente ma l’espediente avrebbe dovuto funzionare comunque. Poi prese i fogli necessari ed
incominciò a declamare ad alta voce il discorso rituale in un antico linguaggio malgascio scandendo le
parole lentamente e cercando di usare il più correttamente possibile la pronuncia aggiunta riga per
riga da Soldani. Durante il discorso con la mano destra si cospargeva il viso di una polvere azzurrina
dall’odore appena percettibile. Quando ebbe terminato riattizzò un paio di focolari che si andavano
estinguendo e guardò l’orologio: era quasi l’ora. Prese nuovamente i testi e ricominciò a leggere
daccapo per mantenere attiva la protezione divina. Non era ancora arrivato a metà del Wakajbeko, il
discorso introduttivo, quando sentì provenire dall’altro angolo della stanza, quello attiguo allo
spogliatoio, un leggero rumore. Si voltò di scatto mentre il pallone cadeva dal canestro rimbalzando
questa volta con un rumore ben più netto. La sagoma di un uomo in abbigliamento da cestista che
raccoglieva la sfera non gli lasciò dubbi. Era lui!!
Si era chiesto più volte che reazione avrebbe avuto all’incontro con quell’essere diabolico, ora lo
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sapeva. Nonostante l’aspetto di un innocuo sportivo la vista di quel sogghigno, più glaciale di quanto
non avesse mai visto nel volto di alcuno, ebbe l’effetto di pietrificarlo dalla testa ai piedi per secondi
che sembrarono non finire mai. C’era qualcosa di ipnotico in lui al quale era difficile sottrarsi.
“E’ inutile che tu ripeta tutto. SONO QUI!”
Quelle parole pronunciate ad alta voce ma senza la minima enfasi echeggiarono in tutto il locale come
se arrivassero da ogni direzione, come in un cinema con impianto acustico a 360 gradi.
Walter preferì non parlare. Sentì che il suono della sua voce avrebbe tradito l’ansia e il terrore che
quella presenza gli incuteva.
“Sei venuto a fare due tiri? Come te la cavi in lunetta? O forse preferisci tirare da fuori?”
“Sai benissimo perché sono qui” disse finalmente Walter per aiutare se stesso a rompere gli indugi e
anche per darsi un tono che non fosse da bambino impaurito.
“Già.” Sorrise, sempre con quella freddezza innaturale. “Per contrastarmi. E ti dirò che non mi
dispiace. Stava diventando tutto troppo facile. Non è bella la vittoria se non la si ottiene contro un
avversario valido. E tu sei il meglio che posso trovare da queste parti. E poi sei di origine santaclarese
anche tu no? Di un po’: ti piace ancora il gelato alla fragola?” disse, continuando a palleggiare.
“E tu che ne sai?”
Rise sguaiatamente. Una risata gelida, senza emozione. La stessa che aveva sentito quella sera, fuori
da casa di Ennio. Si fermò.
“Come, non ricordi? Quando tu e Lucio le prendeste da quegli sbruffoncelli tuo nonno ti consolò
pagandoti un bel gelato alla fragola anche se la fragola ti faceva venire i brufoli. Hai anche incontrato
uno di loro ieri. E non ne hai nemmeno approfittato, anzi, gli hai dato aiuto. Che brava persona!” Disse
questo sorridendo ma era un sorriso di disprezzo. “O forse preferisci parlare dello sciame di vespe che
ti mandai dietro quella volta? O di quel simpatico serpentone che ti terrorizzò così tanto? L’incendio
sulla montagna…beh, quello fu solo un piccolo esperimento.”
Rimase inebetito per un attimo a quelle rivelazioni che erano in realtà solo una conferma di quanto già
pensava. Poi ebbe un realizzo: lo stava ipnotizzando. Ennio glielo aveva detto, non doveva perdersi
dietro ai suoi discorsi, lo faceva apposta per distrarlo dal suo scopo.
“Tagliamo corto” disse Walter con il tono di voce più minaccioso che poteva. Aveva ritrovato il
coraggio, sentiva una strana forza venirgli da dentro. “Dimmi solo perché odi tanto questa gente.
Perché tutto questo sadismo?”
“Io odio tutto e tutti. Le persone che popolano il mondo e le loro regole di merda. S.Clara è solo il
punto di partenza. Qui conosco ogni metro di terra. Vuoi sapere perché sento il bisogno di farlo? Non
credo capiresti. Perché la gente fa quello che fa? Per potere. Per la soddisfazione di avere ciò che
non tutti possono avere. Anche questo è sadismo: il sadismo del ricco a cui da gusto avere tanti soldi
perché sa che c’è tanta gente che non ne ha. Il sadismo di chi vuole comandare ogni attimo della tua
vita per sentirsi il tuo padrone. Bene, io ho un altro potere: quello di poter disporre della vita e della
morte delle persone a mio piacimento. E questo è il potere più grande, il potere assoluto.”
“Non mi convinci, c’è qualcosa di sbagliato in quello che dici. La realtà è che sei solo un pazzo
sanguinario che non sa far altro che uccidere persone che non gli hanno fatto nulla.”
Tirelli sorrise ancora e quello fu l’ultimo sorriso che Walter vide sul suo volto.
“So fare anche un’altra cosa, non ricordi? Sono un playmaker: IO faccio il gioco. TU puoi solo
impedirmi di fare centro.”
A quelle parole scagliò via il pesante pallone. La sfera attraversò la palestra in meno di un attimo
come un razzo in piena corsa andando a stamparsi contro il viso di Walter che non ebbe nemmeno il
tempo di farsi scudo con le braccia. Il tempo di una frazione di secondo e un male lancinante lo piegò
in ginocchio stordendolo. Il dolore percorse la testa dalla fronte a tutto il cranio e per qualche istante
gli sembrò di non vederci più.
“COME, NON TI PIACE QUESTO GIOCO?” urlò la belva “EPPURE ERI VENUTO PER QUESTO!”
Tentò di rialzarsi. Il naso gli sanguinava copiosamente e gli faceva un male fortissimo ma doveva
reagire subito. Cercò di fermare l’emorragia coprendosi le narici con la maglietta ed arretrò verso i
fogli per prenderli e chiedere aiuto alle forze benevole. Sebbene ancora stordito dal dolore iniziò a
pronunciare la preghiera contro le divinità maligne. Tirelli prese allora a disfare i falò a calci urlando
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come un invasato in un idioma anch’esso quanto mai remoto. Walter continuò a declamare i suoi testi
imperterrito con la mano destra e la maglietta ormai coperte di sangue. Il suo avversario allora prese il
primo tizzone a portata di mano e glielo scagliò contro alla stregua di come aveva fatto con il pallone.
Questa volta Walter non si fece sorprendere e si scansò ma i fogli gli caddero per terra. Un istante
dopo una ventata immotivata ed improvvisa li fece volare via. Guardò il Tirelli e vide in lui la fierezza di
chi si sente già vincitore.
“Credevi di farcela, eh? Quelle parole non sono niente se non ci credi davvero.”
Walter si guardò e vide. Vide un numero spropositato di vespe ricoprirgli il corpo, ne sentiva il
brulicare sulla sua pelle. Due serpenti enormi venuti dal nulla gli si annodarono intorno alle braccia.
Chiuse gli occhi e rimase immobile, non doveva cedere all’illusione. Poi non poté fare altro che tentare
di resistere con l’unica possibilità a sua disposizione: aveva imparato a memoria un'unica frase, quella
fondamentale. Con essa implorava un intervento estremo contro le divinità degli inferi. Iniziò a
ripeterla continuamente, ininterrottamente, in maniera ossessiva. Riuscì a non farsi influenzare dal
caos che il mostro scatenava intorno a lui: pezzi di legna che volavano, le polveri che avevano
formato una specie di tromba d’aria, il fuoco che iniziava ad espandersi. Riuscì a concentrarsi solo
sulle sue parole, quelle uniche parole. Poco dopo un vento ed un boato fortissimo, continuo,
echeggiarono per parecchi secondi, poi all’improvviso il nulla. Il silenzio più assoluto si era ora
impadronito dell’intero locale. Solo poche minuscole fiammelle lo illuminavano. Nessuna traccia di
bestie sul suo corpo. E del Tirelli nemmeno l’ombra. Si guardò intorno nel dubbio di essere veramente
riuscito nell’intento. Tutto era finito o almeno così pareva. Avanzò di qualche passo e inciampò in
qualcosa che gli fece emettere un verso di sorpresa: il pallone da basket che lo aveva ferito,
macchiato del suo sangue, unica traccia reale di ciò che era accaduto. Lo scalciò lontano da se con
disgusto.
Non gli pareva vero. Aveva funzionato sul serio? O era l’ennesimo trucco? E quel boato era
veramente la divinità accorsagli in aiuto? Gli era parso di sentire anche un urlo di disperazione
soffocarsi nella gola del suo avversario. La palestra era devastata come un campo di battaglia.
Uscì lentamente, ancora incredulo, aveva difeso la sua vita e salvato quella di tanti altri. Risalì in auto
e si allontanò dopo essersi tamponato le narici con pezzi di fazzoletti di carta. Attraversò il centro del
paese quando erano le 21,15. Quasi nessuno in giro per le strade. La tentazione di fermarsi nella sua
nuova casa gli balenò per la testa solo per pochi istanti.
Non era ancora sicuro che tutto fosse finito: gli antichi testi dicevano che dopo essere state sconfitte le
entità negative e chi le aveva evocate non perdevano potere immediatamente ma poco a poco. Passò
la notte in una pensioncina a Verbania. Non dormì molto, le immagini della battaglia scorrevano
continuamente davanti ai suoi occhi indipendentemente dalla sua volontà. Era stata una prova
durissima il cui ricordo avrebbe cambiato per sempre il suo modo di vedere la vita. Anzi, la sua vita
stessa era già cambiata.
CAPITOLO VII - Il destino si compie
1.
Fu svegliato dal bussare della donna delle pulizie che chiedeva se avesse dovuto trattenersi ancora.
Fece una breve doccia, si cambiò d’abito e scese a pagare il conto. Il naso non gli sanguinava più ma
la sensazione di sentirlo come fosse di pietra non era piacevole. Al primo bar sulla strada si fermò per
fare colazione. Una strana sensazione non gli dava pace. Sentiva che la faccenda non era ancora
finita, non del tutto almeno.
L’incendio sulla montagna…beh, quello fu solo un piccolo esperimento. Cosa aveva inteso dire?
Telefonò in negozio per rassicurare Fabio sul suo rientro l’indomani poi si diresse di nuovo a S.Clara.
Pioveva, aveva piovuto tutta la notte, non forte ma insistentemente. Le previsioni lette sul Corriere
indicavano maltempo e rischio di allagamenti in tutto il Nord-Ovest. Fece un giro per il paese, così,
senza una meta precisa, solo per verificare che non vi fosse nulla di strano. Risalì nuovamente la
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collina che dominava la vecchia palestra. Tutto apparentemente calmo. Aveva deciso, trovandosi lì, di
ridiscendere verso Verbania dal versante opposto, quello che costeggiava il Lago Maggiore, anziché
passare per Domodossola. Alla vista di alcuni grossi sassi che cadevano dall’altro versante
dell’avvallamento che stava percorrendo ebbe un intuizione: se era vero che il potere di quel pazzo
poteva avere ancora un colpo di coda dopo la sconfitta e se le forze che evocava erano in grado di
avere effetti anche sull’ambiente, allora forse....forse poteva anche......
Un masso cadde dal suo versante a poco più di venti metri avanti all’auto attraversando la strada e
continuando a rotolare a valle. Non ci pensò più di un istante. Fermò l’auto e si guardò attorno: altri
due massi caddero dall’altro versante e subito dopo alcuni sassolini caddero a poca distanza da lui.
Capì di essere nell’occhio del ciclone e ingranò la retromarcia fino a cercare un piccolo spiazzo che si
ricordava di aver visto poco prima, suonando il clacson in prossimità della curva. Appena l’ebbe
trovato fece inversione e si precipitò verso il paese. Non c’era un attimo da perdere: doveva avvertire
chi di dovere del pericolo. Un rumore simile ad un tuono parve venire anche da sottoterra, preferì non
considerarlo. Arrivato ad un bivio dovette scegliere: ridiscendere verso S.Clara e rischiare di finire in
mezzo a quella che pareva essere la più grossa frana mai vista da quelle parti o deviare per l’altro
versante per mettersi in salvo? Si voltò in cerca di qualcosa che lo aiutasse nella decisione. La vista di
una nube di polvere e terriccio grande come un palazzo al lato opposto del versante in cui si trovava
gli tolse ogni dubbio. Non era questione di mancato altruismo: non avrebbe mai potuto farcela. Risalì
la strada per Colleverde tirando la seconda al massimo e dopo un paio di chilometri ad un tornante si
fermò e guardò sotto. Una muraglia di terra si abbatté sul Calendro facendolo tracimare e formando
così un mare di fango che in pochi secondi iniziò a travolgere ogni cosa del paese. Walter vide tutto.
Vide le case di S.Clara travolte e coperte da quella enorme poltiglia fangosa. Le auto e le persone in
giro, tutto ciò che quella enormità incontrava veniva spazzato via. Gli sembrò di vivere come in un
sogno, come se ogni percezione di realtà se ne fosse andata. Durò pochi minuti ma quella vista era
destinata a rimanere impressa nella sua mente per tutti gli anni a venire.
Poco dopo il lago si riempiva di fango e con esso anche di automobili travolte e probabilmente di
qualche sventurato passante. Poi il silenzio, totale, irreale, interrotto solo dalle urla di disperazione
della gente e dalle imprecazioni dei primi concittadini che portavano soccorso. Suoni che arrivavano
fino in cima al colle dove Walter assisteva impietrito a quel terribile spettacolo. C’era riuscito. Quel
bastardo era riuscito, almeno in parte, nel suo intento di distruggere il paese. Nonostante la sconfitta
come sacerdote degli inferi aveva assestato una batosta enorme a quella innocente cittadina di
montagna. Non era un disastro naturale come tutti avrebbero creduto, Walter lo sapeva.
Riavutosi dallo shock decise di andare anch’egli a prestare soccorso ma la cosa non fu semplice.
Conosceva ovviamente molto bene la zona ma l’unico tragitto accessibile per arrivare dalla parte
opposta del lago, quella rimasta illesa dal disastro, era un vero labirinto di stradelli. Le vie principali
erano completamente sepolte da una massa di fango e detriti. Arrivò sulla provinciale mentre i primi
camion dei Vigili del Fuoco stavano attraversando il ponte sul lago. Lasciò l’auto e percorse il ponte a
piedi.
Cercò di dare una mano come poté, spostando mattoni e cercando di udire, se possibile, le grida di
aiuto sotto le macerie poi, all’arrivo dell’imponente schieramento di uomini della Protezione Civile, si
fece da parte.
Nella concitazione dei soccorsi notò le due persone che più tardi lo avrebbero contattato. Uno era alto
e snello, piuttosto giovane, con capelli biondo-ramati, a prima vista straniero. L’altro, sulla quarantina,
brizzolato e un po’ più rotondetto di corporatura. Non erano in divisa e non sembravano nemmeno
villeggianti occasionali. Nonostante l’agitazione Walter non poté fare a meno di notarli.
Avrebbe voluto correre in aiuto di parenti e conoscenti ma tutta la zona centrale era impercorribile.
Non poté far altro che telefonare ma né le zie né nessun altro gli risposero. Le linee erano interrotte,
probabilmente un ripetitore era fuori uso. Provò anche con Sonia ma nemmeno lei rispose. Fu preso
da una crisi di rabbia ed un lungo urlo strozzato gli uscì dalla gola. Si accasciò su un mucchio di pietre
con le mani davanti al viso incurante della pioggia che gli inzuppava i capelli.
2.
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Erano quasi le 14 quando si versò un goccio di brandy e dalla grande finestra del soggiorno che dava
sui campi intorno a Novara guardò la luce del sole che si apriva un varco tra le nubi. A due giorni dal
disastro finalmente il maltempo concedeva una tregua. Notiziari radio e TV continuavano a dare
notizie sul disastro fornendo il numero dell’unità di crisi a cui telefonare per avere informazioni sulle
vittime. Era riuscito così a ricostruire la situazione. Le zie, Enrico, la moglie e i figli l’avevano
scampata. Il fatto di abitare lontano dal fiume aveva risparmiato loro la brutta fine di circa 150
concittadini. Lucio invece, al lavoro a Groppiano durante il fatto, aveva perso i genitori travolti mentre
si trovavano all’interno di quella casa dove Walter aveva cenato così allegramente al suo arrivo un
paio di mesi prima. Non li avrebbero più visti, mai più. Degli amici solo il povero Enzo aveva perso la
vita dopo un inutile trasporto all’ospedale. Fra gli altri però erano stati parecchi i lutti in famiglia. Sonia
era salva: non sentendosi bene quel giorno e pensando alle raccomandazioni di Walter non si era
presentata al lavoro ma lo studio era andato completamente distrutto, il suo capo era fuori per lavoro
ma i due colleghi non avevano avuto sorte ugualmente benevola.
Un paio di ore prima Walter aveva ricevuto una telefonata.
“Buongiorno. Parlo con Walter Ghetti?”
“Sono io. Chi parla?”
“Mi chiamo Matteo Caravalle e sono membro dell’Accademia Italiana di Scienze Occulte. Ho
rintracciato il suo numero sull’elenco telefonico. Sono un collaboratore del Prof. Lacombe
dell’Università di Lione. So che lei era amico del signor Soldani. E’ esatto?”
“Sì, è esatto. Sono a conoscenza dei contatti con il Prof. Lacombe. Lei è per caso uno dei due esperti
che dovevano presentarsi a S.Clara?”
”Proprio così. Purtroppo io e il mio assistente siamo arrivati tardi come ben sa, forse avremmo potuto
fare qualcosa per evitare il massacro ma eravamo impegnati dall’altra parte del globo e…”
“So anche questo. Ho cercato di fare io qualcosa, quello che potevo almeno, ma evidentemente non è
bastato.”
“E’ per questo che l’ho chiamata. Avrei bisogno di raccogliere più informazioni possibili sulla cosa.
Potremmo vederci per parlarne? So che è un momento difficile per lei ma…”
“Non si preoccupi. Anzi, forse parlarne mi svuoterà di ciò che ho dentro. Se non ha fretta potremmo
vederci lunedì.”
“Andrebbe benissimo. Mi dica lei dove e quando.”
Quando riagganciò il ricevitore si sentì stranamente tornare alla realtà. Ora che il sole era ritornato a
splendere gli restava solo da verificare in che condizioni fosse la sua tanto sospirata casa. Riuscì a
trovare la forza di uscire e salire in macchina. Giunto in paese lo attraversò sentendo un nodo alla
gola. La ricostruzione era iniziata e la strada principale era sgombra. Il tratto dal centro a casa però lo
dovette percorrere a piedi inerpicandosi talvolta sulle tante collinette di detriti che pochi giorni prima
erano case ed arrivato in cima ad una di esse la vide: tetto e strutture portanti avevano retto bene ma
gli interni erano pieni di fango. Girò intorno allo stabile e giunse al portone. Ebbe un sussulto alla vista
di quel simbolo sul muro sopra l’entrata. Avvicinatosi lo sfiorò con i polpastrelli della mano destra.
Sembrava ancora fresco. Si guardò le dita sporche con disgusto e si sfregò le mani. Andò alla
fontanella e le sciacquò, poi guardò verso l’alto, verso la sommità della montagna.
Speriamo che sia finita, che sia davvero finita.
Guardò ancora una volta la casa mentre si allontanava dalla zona. No, non avrebbe più potuto viverci,
in nessun modo. L’avrebbe venduta, una volta rimessa in sesto, e coi soldi ne avrebbe comprata
un’altra, lontano da lì, lontano. Nel ridiscendere incontrò una ragazza intenta a fotografare. Gli sguardi
si incrociarono come per dirsi qualcosa poi lui passò oltre.
“Hem, mi scusi...”
Walter si girò.
“Da quella parte si riesce a salire?”
“Non credo, la collina è ripida e tutta coperta di fango. Non glielo consiglio.”
“Lei è di queste parti?”
“Sì, quella è...la mia casa.”
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“Mi dispiace, un disastro terribile.”
“E’ una giornalista?”
“Non proprio. Diciamo che cerco di diventare una fotoreporter. Avrei preferito non dover fare un
servizio su una cosa del genere ma...”
”...bisogna pur lavorare” concluse Walter.
“Già. Proprio così” rispose con un mezzo sorriso.
“Io mi chiamo Walter e dammi pure del tu.”
“Marinella.”
Scesero insieme per un po’ poi si fermarono a sedere su un muretto. Lei era molto stanca. Era in giro
dal mattino.
“Quindi stai a Novara. Ho delle amiche là, è un po’ che non vado a trovarle.”
“Quando passi fammelo sapere. Dopo ti lascio il mio numero.”
Lei sorrise senza sapere cosa dire. La guardò. Era proprio un bel tipo: mora, con i capelli raccolti a
coda di cavallo ed uno sguardo profondo.
“Vuoi sposarmi?” chiese Walter improvvisamente.
“Come?”
“Sì, mi sposeresti?”
Lei lo guardò strabuzzando gli occhi poi non riuscì a trattenere una risatina incredula. Anche lui rise.
“Non farci caso. Sono un po’ pazzo ultimamente.”
Restarono lì un paio di minuti poi si alzarono e ricominciarono a camminare.
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