rassegna di giurisprudenza articolo 609 cp

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rassegna di giurisprudenza articolo 609 cp
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA ARTICOLO 609 C.P.
PALPEGGIARE LA COSCIA SULL’AUTOBUS E’ VIOLENZA SESSUALE
Corte di Cassazione – Sez. II pen. – Sentenza del 19.03.2008 n. 12157
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Terza Sezione Penale composta dagli Ill.mi Signori: dott.
Guido De Maio I. dott. Alfredo Teresi 2. dott. Mario Gentile 3. dott. Margherita Marmo 4. dott.
Giovanni Amoroso
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da V. Andrea, nato a … omissis …, avverso la sentenza della Corte d’Appello
di Palermo in data 3 1.10.2006 con cui è stata confermata la condanna alla pena di anni uno
mesi tre giorni 15 di reclusione inflittagli nel giudizio di primo grado quale colpevole del reato di
cui all’art. 609 bis, ultimo comma, cod. pen.;
Visti gli atti, la sentenza denunciata, il ricorso e la memoria della parte civile; Sentita in pubblica
udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi; Sentito il PM nella persona del PG dott.
Francesco Bua, che ha chiesto il rigetto del ricorso; Sentito il difensore della parte civile avv.
Marco Attanasio, che ha chiesto il rigetto del ricorso con la condanna dell’imputato alla rifusione
delle spese del grado; Sentito il difensore del ricorrente, avv. Francesco Paolo De Felice, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
osserva
Con sentenza in data 31.10.2006 la Corte di Appello di Palermo confermava la condanna alla
pena della reclusione inflitta nel giudizio di primo grado a V. Andrea quale colpevole di ave re
commesso, sulla corriera Palermo - Trapani, una pluralità di atti sessuali, palpeggiando
insistentemente la coscia di Maria Donatella I., costituitasi parte civile.
La Corte, alla stregua delle dichiarazioni della persona offesa, attendibile per coerenza,
spontaneità e disinteresse, riteneva, in fatto, che l’imputato, che sembrava appisolato, dopo
l’iniziale pressione della propria gamba contro quella della ragazza, seduta accanto a lui, aveva
allungato la mano, traendola dal sacchetto che teneva tra le gambe e aveva palpeggiato la coscia
dell’I. suscitando la sua immediata reazione, essendosi essa allontanata dal posto occupato
comunicando telefonicamente al fratello quanto subito dallo sconosciuto.
Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge sul rigetto
dell’istanza di rinvio dell’udienza 31.10.2006 sebbene egli avesse fatto pervenire un certificato
medico attestante assoluto impedimento a comparire, immotivatamente disatteso. Inoltre era
stata omessa la declaratoria di contumacia nel giudizio d’appello; sul rigetto dell’eccezione
d’incompetenza territoriale del Tribunale di Trapani essendo competente il Tribunale di Palermo,
sezione distaccata di Partinico; sull’affermazione di responsabilità basata sulle incerte e
contraddittorie dichiarazioni della denunciante e sull’esame del di lei fratello, il quale non aveva
assistito ai fatti, mentre non era stata acquisita alcuna dichiarazione di testimoni imparziali che
avevano viaggiato sulla corriera e che avrebbero dovuto accorgersi delle molestie sessuali o dello
stato di agitazione della ragazza.
Chiedeva l’annullamento della sentenza.
In tema d’impedimento dell’imputate a presenziare al dibattimento, non può giustificare la
mancata comparizione e documentare l’effettiva sussistenza dell’impedimento una certificazione
medica generica essendo necessario che la suddetta attestazione contenga tutti quei dati che
consentono al giudice di formulare un proprio giudizio.
La prova del legittimo impedimento a comparire dell’imputato deve essere fornita dall’interessato,
non essendo configurabile in capo all’organo giudicante alcun obbligo di procedere d’ufficio alla
sua acquisizione quando questa sia in atti insussistente o insufficiente.
Pertanto, grava sull’imputato l’onere di corredare l’asserzione d’impedimento a comparire della
relativa documentazione in mancanza della quale il giudice non è tenuto a effettuare accertamenti
d’ufficio, sicché una certificazione medica di malattia, rilasciata il giorno precedente l’udienza, con
diagnosi di faringite febbrile, senza indicazione del grado d’alterazione, correttamente è stata
ritenuta inidonea a giustificare la mancata comparizione dell’imputato in giudizio per legittimo
impedimento.
La verifica del dedotto impedimento a comparire, costituente un potere discrezionale attribuito
dalla legge al giudice di merito, è stata, nella specie, svolta con adeguata motivazione immune da
vizi logici e giuridici, sicché correttamente è stata ritenuta insussistente l’eccepita nullità
consistendo configurando l’addotto impedimento dell’imputato a intervenire nel giudizio d’appello
solo una patologia di lieve entità. Sono, quindi, infondate le deduzioni difensive essendo logico e
coerente l’iter motivazionale a sostegno della decisione assunta alla stregua della documentazione
sanitaria presa in considerazione.
Va poi rilevato che “l’omissione della decloratorie formale di contumacia. in presenza di
presupposti del giudizio contumaciale (assenza di un legittimo impedimento dell’ imputato), non è
causa di nullità della sentenza, in quanto si tratta di nullità non prevista specificamente
dall’ordinamento e non riconducibile al novero delle nullità di ordine generale considerato che
essa non importa alcun effetto pregiudizievole ai fini dell’intervento e dell’assistenza dell’imputato”
(Cassazione Sezione V a. 46857/2005, D’Avanzo, RV. 233045).
Non è censurabile la motivazione di rigetto dell’eccezione d’incompetenza territoriale.
Premesso che la competenza per territorio deve essere accertata in base a elementi oggettivi
desumibili con certezza dalle prove acquisite e non sulla base di mere congetture, va rilevato che i
giudici di merito hanno ritenuto, con congrua motivazione, che, non essendo certo il locus
commissi delicti, sia per la scarsa chiarezza della mappa prodotta dalla difesa sia per 11 tenore
dei riferimenti forniti dalla persona offesa, operava la regola residuale di cui all’art. 9 c.p.p. Nel
resto, il ricorso non è puntuale perché propone censure che distorcono la sostanza del
provvedimento impugnato che, invece, possiede un logico apparato argomentativo del tutto
rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali. Non è quindi, ravvisabile l’asserita illogicità
della motivazione che, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè
di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e
adeguato le ragioni del conV.mento (Cassazione Sezioni Unite a. 24/1999,24.11.1999, Spina, RV.
214794).
Fissato il sopraindicato limite, è vietato a questa Corte di procedere alla ricostruzione del fatto
diversamente da quanto abbia fatto il giudice di merito in presenza di concreti elementi, nonché di
prendere in considerazione censure, sia pure specifiche , inidonee a dimostrare in modo
incontrovertibile la difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dalla prova assunta e le
conseguenza che il giudice di merito ne abbia tratto (come nel caso in cui un fatto considerato
come esistente sia invece pacificamente inesistente).
Nel caso in esame, il ricorso contesta le puntuali e stringenti argomentazioni della corte
territoriale, che valgono a sostenere l’affermazione di responsabilità, limitandosi a criticare la
ricostruzione del fatto eseguita sulla ba se delle spontanee, dettagliate, coerenti e disinteressate
accuse della persona offesa, rivolte, nell’immediatezza del fatto, a persona mai conosciuta in
precedenza e non smentite da alcuna contraria emergenza. E’ stato, quindi, coerentemente
ricostruito lo snodarsi della condotta criminosa dell’agente, che, durante il viaggio in corriera da
Palermo a Trapani ha palpeggiato la coscia della ragazza che le sedeva vicino, dopo l’iniziale
pressione della propria gamba su quella della vicina.
Sulla configurabilità del reato va osservato che la violenza richiesta non è soltanto quella che pone
il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza voluta, tanto da realizzare un
vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta nei compimento
insidiosamente rapido dell’azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del
soggetto passivo (Cassazione Sezione III, n. 3990/2001, Invidia, RV. 218540; Sezione III n.
6945/2004, Manta, RV.228493: “In teme di violenza sessuale, l’elemento oggettivo consiste sia
nella violenza fisica in senso stretto, sia nell’intimidazione psicologica che sia in grado di
provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia anche nel compimento di atti dl
libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o
comunque prevenendone la manifestazione di dissenso”].
Correttamente non è stato dato eccessivo rilievo al fatto la vittima, subito alzatasi dal posto
appena subita la molesta sessuale, abbia evitato di reagire platealmente all’interno del veicolo
avendo essa chiesto aiuto, tramite cellulare, al fratello, il quale si recò alla fermata della corriera
per rimproverare vivacemente l’imputato che si mostrò remissivo assicurando che il fatto non si
sarebbe più ripetuto.
Grava sul ricorrente l’onere del pagamento delle spese del procedimento e della rifusione delle
spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e
alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate complessivamente
in .2.OOO, oltre IVA e accessori di legge.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 19.03.2008
PALPARE IL SENO E’ ABUSO SESSUALE
Cassazione – Sezione terza penale – sentenza 5 aprile – 22 maggio 2007, n. 19718
La Y. Denunciava ai carabinieri che il 6 agosto del 2002 mentre passeggiava per il
piazzale Michelangelo di Firenze, era stata superata da un ciclomotore guidato da un
signore con una tuta sgargiante. Questi, dopo averla superata, aveva parcheggiato il
mezzo ed era ritornato indietro a piedi. Giunto alla sua altezza, le aveva palpeggiato
fulmineamente il seno sinistro e si era allontanato velocemente. La ragazza aveva però
rilevato il numero di targa del ciclomotore che era l’unico parcheggiato nella zona. Sulla
base di tale targa i carabinieri individuarono il proprietario nella persona dell’attuale
ricorrente la cui fotografia, insieme con altre, venne mostrata alla parte offesa, la quale
riconobbe nel prevenuto l’autore del palpeggiamento. Successivamente in udienza
vedendo l’imputato ribadì il riconoscimento fotografico.
Il fatto che attualmente le ragazze, peraltro solo sulle spiagge e non sulla pubblica via,
ostentino il seno nudo non significa che tale parte del corpo abbia perduto la sua natura
erogena e non autorizza qualsiasi bagnante o passante a palpeggiarlo senza il consenso
dell’interessata. Il seno femminile era e rimane una zona erogena ed il palpeggiamento di
esso, sopra o sotto i vestiti, ancorché fugacemente, configura un atto sessuale se
effettuato per soddisfare il proprio desiderio erotico e diventa criminoso se attuato senza
il consenso dell’interessata. Trattasi, infatti, di un atto che offende la libertà di
autodeterminazione sessuale della vittima e per tale ragione si distingue dal più generico
reato di violenza privata che rimane assorbito nella violenza sessuale. Invero il delitto di
violenza privata ha natura generica e sussidiaria e ricorre quando la violazione dell’altrui
libertà di autodeterminazione non è prevista come ipotesi specifica di reato.
Secondo l’orientamento di questa corte (Cass. n. 44246 del 2005; 37395 del 2004), in
tema di violenza sessuale, deve intendersi per atto sessuale previsto dall’art. 609 bis cod.
pen., oltre al coito di qualsiasi natura, ogni atto diretto ed idoneo a compromettere la
libertà della persona attraverso l’eccitazione o il soddisfacimento dell’istinto sessuale
dell’agente. Ne consegue che per la configurabilità del reato occorre la contestuale
presenza di un requisito soggettivo, costituito dal fine di concupiscenza (ravvisabile
anche nel caso in cui l’agente non ottenga il soddisfacimento sessuale), e di un oggettivo,
costituito dalla concreta idoneità della condotta a compromettere la libertà di
autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e a suscitare o
soddisfare la brama sessuale dell’agente.
A tale fine anche un semplice toccamento, non casuale, di zona erogena effettuato al fine
di soddisfare la propria bramosia sessuale configura il reato. D’altra parte il prevenuto
non ha fornito un’interpretazione alternativa sulla natura di quel palpeggiamento.
PQM
La Corte letto l’articolo 616 c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali
LA DONNA CHE SI FA INSAPONARE IL FONDOSCHIENA COMMETTE REATO
Cassazione – Sezione terza – sentenza - 20 giugno 2008, n. 25214
Presidente Altieri - Relatore Mancini Pm Passacantando -conforme
Svolgimento del processo
Con sentenza del 25.1.2007 la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza di
primo grado che aveva condannato l'appellante P.A. alla pena di anni uno mesi dieci di
reclusione per il reato di cui all'art. 609 quater co. 1 n. 1 c.p. - riconosciuto il caso di
minore gravità -per averla giudicata colpevole di avere compiuto atti sessuali con il
minore F.A. di anni dieci. La condotta dell'imputata era consistita nel farsi insaponare il
fondoschiena dal minore stesso. Preliminarmente la Corte di merito, anche in risposta ai
rilievi mossi dalla appellante alla decisione di primo grado, si è posta il problema della
procedibilità di ufficio del reato risolvendolo affermativamente sul rilievo che il minore era
in pratica affidato all'imputata sia pure nel contesto di un rapporto temporaneo od
occasionale.
Ha quindi considerato che le dichiarazioni della parte offesa, del fratello e del padre
conducevano in modo del tutto tranquillante alla affermazione della responsabilità della
donna. In particolare per quanto riguarda il fratello più piccolo la consulenza tecnica
effettuata su di lui aveva dimostrato che era capace di rievocare in modo lineare gli
avvenimenti che lo avevano interessato e di riferirli in modo preciso ed attendibile.
Quanto alla condotta oggetto del processo la Corte territoriale ha rilevato che si trattò per
la zona del corpo interessata, sicuramente erogena, di condotta sessuale idonea a
turbare lo sviluppo psico-fisico del minore tanto che costui omise inizialmente di
raccontare ai genitori l'accaduto per timore di essere rimproverato.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia il Procuratore generale
che l'imputata.
Il primo lamenta che nella specie sia stato applicato l'indulto per un delitto per il quale la
legge 241 del 2006 espressamente lo esclude. La seconda, agendo personalmente,
deduce con un primo motivo violazione o erronea applicazione della legge nonché
mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta
procedibilità di ufficio del reato, a suo avviso erroneamente dedotta da un inesistente
affidamento fiduciario del piccolo alla imputata da parte dei genitori.
Spiega infatti la ricorrente che il minore ed il fratello erano all'epoca sotto il controllo del
tribunale che aveva giudicato i genitori non idonei a svolgere i compiti relativi ed il padre
aveva dichiarato di essere addirittura contrario a che i figli la frequentassero in qualsiasi
modo, ritenendola persona non raccomandabile.
Con altro motivo deduce ancora violazione o errata applicazione della legge nonché
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di ritenuta
rilevanza penale della condotta attribuitale posto che dalle risultanze processuali non
sarebbe emersa con chiarezza la zona del corpo interessata dal contatto dovendosi
peraltro tenere presente che il minore era vestito e fuori della vasca da bagno dove ella
stava facendo la doccia. Sarebbe poi da escludere che tale condotta sia stata
coscientemente posta in essere come atto a valenza erotica idoneo ad invadere la sfera
sessuale del soggetto passivo. E' comunque certo — conclude la ricorrente — che il fatto
non impressionò il minore tanto è vero che non ne fece cenno ai genitori.
Motivi della decisione
Il ricorso della imputata è infondato e deve essere respinto. Preliminarmente si osserva
che la decisione dei giudici di merito di ritenere il fatto procedibile di ufficio invece che a
querela di parte ai sensi dell'art. 609 septies co. 4 n. 2, censurata dalla ricorrente anche
in questa sede, appare al contrario pienamente condivisibile. Ed invero, a parte l'opinione
espressa dal padre dei minori circa le qualità morali dell'imputata — tali da sconsigliare,
secondo quanto da lui riferito, la frequentazione della stessa da parte dei figli — resta il
fatto inoppugnabile che costoro, anche secondo la testimonianza resa dal M. dei CC.,
erano spesso in compagnia della donna e ciò esclude in concreto che il padre fosse
realmente contrario ad affidarglieli posto che in caso contrario, stante la loro tenera età
( dieci anni la parte offesa di questo procedimento, ancora più piccolo l'altro ), non gli
sarebbe stato certo difficile impedire che ciò accadesse ( è in altre parole verosimile che
solo ex post abbia ritenuto opportuno ne gare che la donna accudisse sia pure non
continuativamente i minori ).
Deve dedursene che egli quanto meno accettasse questo stato di cose, nel quale dunque
correttamente i giudici del merito hanno ravvisato la tipica condizione in forza della quale
i minori dovevano considerarsi affidati sia pure di fatto ed occasionalmente, al di fuori
pertanto di un qualsiasi rapporto formale o istituzionale, alla imputata. Ebbene proprio
da tale condizione il legislatore fa scaturire la conseguenza che fatti-reato di norma
procedibili a querela, quali sono quelli sessuali, siano invece procedibili di ufficio, nulla
rilevando, secondo il costante orientamento di questa Corte Suprema, che il rapporto
fiduciario di affidamento abbia carattere temporaneo od occasionale (cfr. tra altre Sez. III
n. 38057 del 2002 Rv 223789 ). Parimenti non condivisibile è il morivo concernente la
rilevanza penale della contestata condotta, che la ricorrente giudica priva di tale valenza
vuoi con riguardo alla intenzionalità del gesto vuoi con riguardo alla sua natura erotica
vuoi infine con riguardo all'effetto che il gesto stesso possa aver prodotto sul minore.
Sul piano fattuale deve invero ricordarsi come l'istruttoria dibattimentale, di cui si dà
atto anche nella impugnata sentenza, abbia acclarato, con il conforto della deposizione
del fratello del minore parte offesa e del padre - al quale ultimo l'accaduto era stato
riferito - che il bambino sia stato invitato dalla imputata, intenta a farsi la doccia, a
lavarle i glutei. Ebbene, per la parte anatomica su cui 1 azione del piccolo si è svolta, non
può esservi dubbio alcuno che l'invito abbia avuto un movente ed una finalità erotica.
Non può esservi infatti altra spiegazione e la stessa ricorrente, a ben vedere, sul punto è
particolarmente laconica salvo affermare in modo del tutto apodittico che il gesto andava
inquadrato e letto nel contesto di un rapporto molto confidenziale fra lei ed il minore. Al
contrario la maliziosità del gesto trova una precisa conferma nella circostanza che
quest'ultimo, così come riferito dal fratellino, si guardò bene dal parlarne
spontaneamente ai genitori dai quali temeva di essere rimproverato evidentemente
perché in qualche modo consapevole di essere stato coinvolto in un fatto comunque non
commendevole. Si è dunque trattato di un gesto di sicura valenza sessuale in quanto
diretto all'appagamento di un istinto di tale natura del soggetto che per raggiungere tale
scopo si è avvalso della collaborazione di un bambino di dieci anni, precocemente
coinvolto in una esperienza di tipo erotico idonea ad incidere negativamente sul regolare
sviluppo della sua sfera sessuale (cfr. tra altre Cass. Sez. III n. 9223 del 2000 Rv 217261,
nella quale si è ravvisata la fattispecie delittuosa de qua, sia pure nella forma tentata, nel
fatto dell'agente che mostrando il pene si era limitato ad indicare al minore la manovra
della masturbazione maschile senza tuttavia dare inizio alla vera e propria attività
sessuale ). Consegue al rigetto del ricorso della imputata la sua condanna al pagamento
delle spese processuali.
Merita per contro di essere accolto il ricorso proposto dal Procuratore generale. La Corte
territoriale ha infatti errato nell'applicare l'indulto alla pena inflitta all'imputata posto
che fra le esclusioni dal beneficio di cui alla legge 241 del 2006 è compreso — art. 1 co. 2
n. 21 - quello di atti sessuali con minorenne anche nel caso, come quello che ne occupa,
che il fallo sia stato ritenuto dal giudice di minore gravità ( tanto dovendosi dedurre dal
testo del provve dimento legislativo, che al riguardo non prevede alcuna eccezione ).
P.Q.M.
in accoglimento del ricorso del Procuratore generale annulla senza rinvio la sentenza
impugnata nel punto dell'applicazione dell'indulto, che elimina. Rigetta il ricorso di P.
Amelia, che condanna al pagamento delle spese processuali.
VIOLENZA SESSUALE: SI ALLA CONDANNA SU TESTIMONIANZA DEL
MINORE
Cassazione – Sez. Terza pen. – Sent. del 16.05.2008, n. 19729
Svolgimento del processo I — Con sentenza del 2.7.2007 la corte d’appe llo di Roma,
riformando parzialmente quella resa in data 31.5.2004, in esito a giudizio abbreviato, dal
g.u.p. del locale tribunale: - riduceva alla reclusione di cinque anni la pena inflitta a
Maurizio D. siccome responsabile del delitto di cui agli artt, 609 bis e 609 ter, commi 1 e
2, c.p., per aver compiuto atti sessuali sulla figlia minore di anni 8, in Roma in data
29.4.2001; - confermava le pene accessorie della interdizione in perpetuo dai pubblici
uffici e della privazione della potestà genitoriale ;
- confermava altresì la condanna del D. al risarcimento dei danni a favore della parte
civile Liliana C., costituita in proprio e in nome e per conto della figlia minore, danni da
liquidarsi in separata sede, riducendo la provvisionale immediatamente esecutiva a
50,000 euro. Dopo aver disposto ai sensi dell’ari 603 c.p.p. la rinnovazione parziale
dell’istruttoria, assumendo la testimonianza della moglie separata dell’imputato, Liliana
C. , e del ginecologo dott. Pietro T. , che aveva visitato - la corte territoriale nella ampia
motivazione della sentenza, osservava e riteneva in sintesi quanto segue: - secondo le
dichiarazioni della madre, ribadite anche in sede dibattimentale nel giudizio di appello,
nell’ultima domenica di aprile 2001, dopo una giornata trascorsa col padre e col fratello
(di qualche anno più grande), mentre la madre si accingeva a farle il bidet, si era
raccomandata di agire delicatamente, sicché la madre aveva constatato segni di
arrossamento nella zona vulvare della piccola. Chieste spiegazioni,la bambina aveva
rivelato di aver subito attenzioni sessuali da parte del padre fin da quando frequentava la
scuola materna. La C. , prudentemente, dopo tre/quattro giorni, faceva visitare la figlia
dal suo ginecologo di fiducia, doti Pietro T. , il quale — secondo quanto riferito dallo
stesso nella sua deposizione in sede di appello — aveva rilevato la presenza in zona
vulvare di abrasioni (cioè escoriazioni del derma) ed ecchimosi. Su richiesta del
ginecologo, aveva escluso di essersi grattata, o di essere andata in bicicletta, sull’altalena
o sul cavallo a dondolo, ma aveva spiegato che il padre “le metteva il pisellino nella
pisellina” “le faceva strusciamenti col pisellino sino all’ombelico” [anche se in seguito si
era chiarito che non vi era stata penetrazione]; - su consiglio dello stesso ginecologo la
madre si era rivolta alla Divisione di Neuropsichiatria dell’Ospedale Pediatrico Bambino
Gesù, che il 23 giugno 2001, dopo aver esaminate . aveva stilato un rapporto per la
Procura della Repubblica competente. Agli specialisti dell’Ospedale, la minore, dopo
iniziale reticenza, aveva ripetuto il racconto fatto alla madre, precisando inoltre che sia il
padre sia alcuni suoi amici, sin dai tempi della scuola materna, le avevano fatto “le cose
brutte”, mettendola su una sedia, abbassandole i pantaloni, e “strisciando col pisellino
sulla pisellina”;
- era provato oltre ogni ragionevole dubbio che l’imputato era responsabile dell’abuso
commesso nell’ultima domenica di aprile 2001, giacché il racconto spontaneo e genuino
di era oggettivamente riscontrato dalla deposizione testimoniale del ginecologo che l’aveva
visitata a pochi giorni dal fatto. Inoltre, l’idoneità a testimoniare della minore e la sua
attendibilità soggettiva erano state accertate sia dai consulenti tecnici del p.m.,
dottoresse Marilena M. e Anna C., che avevano rilevato anche indicatori di abusi sessuali,
sia dalla perizia collegiale svolta dai dottori Salvatore G. e Claudio F. , i quali avevano
criticato la prima perizia del dottor S. , che aveva concluso affermando da una parte che
esisteva un post traumatic stress desorder rivelatore di abuso sessuale, e dall’altra che
non si poteva accertare che cosa fosse realmente accaduto; - al contrario nessun
riscontro aveva confermato il racconto sugli abusi pregressi, che non potevano ritenersi
totalmente e tranquillamente avvenuti, giacché, nonostante le indagini approfondite, non
erano stati individuati né i componenti del gruppo di pedofili indicato dalla minore, né
l’amichetta r. che la stessa aveva indicato come altra vittima degli abusi. In particolare
erano risultate infondate le accuse mosse ad S. , che era stato prima coimputato assieme
al D. e infine assolto, nella considerazione che le accuse contro di lui erano state il frutto
di una suggestione materna. Inoltre, in relazione a questi racconti sugli abusi pregressi,
la minore era incorsa in contraddizioni e mutamenti di versione anche rilevanti.
2 — I difensori dell’imputato hanno proposto ricorso, deducendo cinque motivi di
annullamento. In particolare lamentano: 2.1 — violazione di norma processuale a pena
di nullità ex art. 178 lett. c) c.p.p. e difetto di motivazione sul punto. Il giudice
dell’udienza preliminare non aveva consentito al consulente della difesa, prof. Maurizio
M., di interloquire con i periti d’ufficio G. e F., durante l’udienza dell’8. 1.2004 in cui
questi erano stati esaminati in contraddittorio delle parti sulla relazione peritale da loro
depositata. La motivazione addotta dalla corte di merito per respingere il motivo d’appello
presentato al riguardo — e cioè che tre giorni prima della udienza il consulente di parte
aveva depositato una memoria scritta al fine di criticare la relazione peritale, sicché i
difensori avevano potuto utilizzare la memoria critica del consulente per condurre il
controesame dei periti d’ufficio — era francamente censurabile, perché ignorava che una
cosa sono le domande che può fare un difensore, sia pure sulla base di note
specialistiche, altra cosa sono le osservazioni critiche che può svolgere oralmente un
cultore specialistico della materia. Di qui la nullità della sentenza impugnata;
2,2 — violazione degli artt. 604 e 605 c.p.p., in relazione agli artt. 403 e 441 c.p.p.,
nonché difetto di motivazione sul punto. I difensori censurano la motivazione con cui la
sentenza impugnata ha confermato la legittimità dell’ordinanza del primo giudice che
aveva negato un nuovo esame, in contraddittorio tra loro, del dott. S. e dei componenti
del collegio peritale, dott. G. e F., sul rilievo che i precedenti esami dei periti, molto
dettagliati, avevano sufficientemente istruito la causa sul punto; 2.3 — illogicità e
contraddittorietà della motivazione della sentenza, laddove ha esaminato e valutato
l’attendibilità della piccola 2.4 — ancora contraddi ttorietà e illogicità della motivazione,
sino al travisamento dei fatti, laddove la sentenza impugnata ha da una parte ignorato il
grave stato di conflittualità tra i genitori separati e le manifestazioni di aggressività della
moglie contro il marito, e, dall’altra, ha escluso l’ipotesi di alienazione genitoriale, nonché
il rilevante condizionamento della madre nelle dichiarazioni fantasiose e menzognere
della figlia.
Con un’analisi molto dettagliata in fatto, i difensori in particolare sostengono che mai la
piccola ha dichiarato di aver subito abuso sessuale da parte del padre in quella domenica
del 29.4.2001, nella quale infatti lei e D. passarono tutta la mattina al mare a giocare
sulla spiaggia e il pomeriggio nella casa dell’amichetto Giuseppe, sino al ritorno nell’
abitazione della loro madre. Contestano inoltre l’attendibilità della testimonianza del
ginecologo dott. T., resa a molti anni dal fatto, senza l’ausilio di un referto, che il medico
indebitamente e inspiegabilmente non aveva redatto; 2.5 — ancora violazione degli artt.
604 e 605 c.p.p., laddove la corte territoriale ha omesso qualsiasi motivazione in ordine
al motivo d’appello con cui sì censurava la irrogazione della pena accessoria della perdita
della potestà genitoriale nei confronti del figlio I.
Motivi della decisione
3 — Vanno anzitutto disattese le eccezioni processuali formulate con i primi motivi del
ricorso (nn. 2,1 e 2.2).
Con la prima i difensori si lamentano in sostanza perché il primo giudice aveva inibito al
consulente tecnico di parte di controesaminare i periti d’ufficio nel corso della udienza
tenuta in data 8.1.2004. Basti osservare al riguardo che, a norma dell’art. 501 c.p.p., per
l’esame dei periti e dei consulenti tecnici si osservano, in quanto applicabili, le
disposizioni sull’esame dei testimoni; e che, ai sensi dell’art. 498, commi 1, 2 e 3, c.p.p.,
l’esame dei testimoni è condotto dalla parte che l’ha chiesto come mezzo di prova, mentre
il controesame è condotto dalle altre parti. Non esiste alcuna ragione per cui queste
disposizioni relative all’esame dei testimoni non debbano essere estese anche all’esame
dei periti. Ne deriva con tutta evidenza che l’esame dei periti può essere condono dal
pubblico ministero o dal difensore della parte che l’ha richiesto (art. 498, comma I, c.p.p),
mentre il controesame può essere condotto dalle altre parti, e quindi, a seconda dei casi,
dal difensore dell’imputato, della parte civile, del responsabile civile, della persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria o dal pubblico ministero, salvo il potere
spettante al presidente ex art. 506 c.p.p. di rivolgere domande integrative. In nesSun
caso è previsto un potere del consulente di porre domande al posto del difensore: il che
corrisponde esattamente alla funzione del primo, che non comprende, a differenza della
funzione del secondo, il compito di contribuire alla istruttoria del processo. Con la
seconda eccezione, in sostanza, i difensori lamentano il diniego del richiesto confronto
tra i periti già esaminati (dottor S., da una parte, e i dottori G. e F., dall’altra). Ma sul
punto la decisione del giudice di merito è incensurabile, avendo egli, con motivazione
legittima, ritenuto superfluo il mezzo di prova, sul presupposto della sufficienza
istruttoria delle rispettive relazioni peritali e degli esami già espletati a chiarimento.
4 — Occorre quindi affrontare le due censure più importanti e delicate, relative alla
valutazione di attendibilità della persona offesa (n. 2.3) e più in generale alla tenuta
logica della motivazione sul giudizio di responsablità dell’imputato (n. 2.4),
Sul punto giova premettere che — secondo il costante insegnamento della giurisprudenza
di legittimità — la testimonianza della persona offesa può assumere per se stessa pieno
valore probatorio, indipendentemente da riscontri esterni, anche se è resa da un minore,
purché, in quest’ultimo caso, sia in grado di superare un vaglio di attendibilità
particolarmente rigoroso, in considerazione della elevata possibilità che la testimonianza
del minore sia suggestionata da fattori esterni o addirittura eterodiretta. Orbene, nel caso
concreto, la valutazione di attendibilità della piccola effettuata dai giudici di merito è
sorretta da una motivazione che resiste alle censure di illogicità, e pertanto non può
essere disattesa dal giudice di legittimità se non al prezzo di una indebita rivalutazione
delle risultanze processuali, che è preclusa a questo giudice. La logicità dell’impianto
motivazionale tanto più resiste alle censure dei difensori, quanto più la sentenza
d’appello viene esaminata in modo integrato con la sentenza di primo grado, come è
lecito fare quando la prima è confermativa — sia pure parzialmente — della seconda.
Una considerazione integrata delle due sentenze di merito giustifica senza dubbio il
rigetto della diversa richiesta del pubblico ministero di udienza, che non sì è mostrato
appagato di alcuni passaggi argomentativi della sentenza impugnata.
In particolare, la competenza testimoniale di Z , intesa come idoneità psicofisica a
rendere testimonianza, fondata sul possesso delle risorse cognitive e mnemoniche
adeguate allo scopo, è stata accertata da tutti i periti, compreso il dottor S. La credibilità
oggettiva delle sue narrazioni accusatorie è stata motivatamente accertata da entrambi i
giudici di merito con argomenti logici che non sono minimamente scalfiti dalle censure
dei ricorrenti. L’argomento più pregnante in questo senso è che quelle narrazioni
denotano un patrimonio di conoscenze di carattere sessuale che in una bambina di
appena otto anni non si poteva spiegare se non come frutto di esperienze autenticamente
vissute (v. in particolare pag. 18 della sentenza del g.u.p.). ha infatti esattamente
descritto i caratteri del rapporto orale e dell’orgasmo maschile in particolare della
eiaculazione del pene. Durante l’incidente probatorio, a domanda, ha precisato che il
“pisellino” dell’abusante era un po’ “sporco” e in tal modo le sporcava la sua “pisellina”
(pag. 9 della sentenza citata). Altro argomento di rilievo è la spontaneità e la genuinità
della maggior parte delle sue dichiarazioni accusatorie. Sono questo profilo, se è vero che
il primo giudice ha messo in rilievo che le prime dichiarazioni rese alla madre potevano
essere condizionate dal carattere suggestivo e incalzante delle domande della genitrice, è
anche vero, però, che lo stesso giudice ha aggiunto che la C., incalzata sul punto durante
la deposizione dibattimentale, ha risposto con linearità e con franchezza, senza cercare di
offrire giustificazioni o spiegazioni improprie (pàg. 15 sent. cit,). Al di là di questo
episodio iniziale, l’atteggiamento della madre è apparso ispirato dal sincero desiderio di
capire che cosa effettivamente era successo, in modo scevro da pregiudizi e da ossessioni
accusatorie. Comunque, tutte le altre narrazioni ben più dettagliate che ha fatto, sia
davanti agli psicologi dell’ Ospediale Pediatrico del Bambin Gesù, sia in sede di incidente
probatorio, appaiono scene da suggestioni o da eterodirezioni, soprattutto se si considera
l’abbondanza di particolari verosimili che le ha caratterizzate.
Altri rilevanti sintomi logici di credibilità dell’abuso sessuale paterno sono i malesseri
fisici e psichici patiti da - — soprattutto durante la frequenza della scuola materna,
nonché la sua resistenza (riferita dalla madre e dal fratello) ad andare a trascorrere il fine
settimana col padre. Sul primo punto è opportuno sottolineare che tutti i periti,
compreso il dottor S., hanno ravvisato chiari indicatori di abusi sessuali. E l’osservazione
conserva il suo peso, anche se gli studi più recenti di psicologia infantile hanno escluso
la valenza assoluta di questi indicatori. Quanto alla relazione peritale del dottor S., il
primo giudice ne ha correttamente messo in luce le contraddizioni, nonché la esorbitanza
dai suoi compiti, laddove ha voluto mettere in dubbio la credibilità oggettiva delle
narrazioni accusatorie, invadendo così il campo riservato alle valutazioni del giudice (pag.
22 sentenza di primo grado).
Da ultimo, la corte di merito ha motivatamente ravvisato un riscontro esterno all’abuso
sessuale perpetrato il 29.4,2001 nella deposizione testimoniale del ginecologo dott. T., il
quale, visitando pochi giorni dopo, ebbe a constatare alcune escoriazioni nella zona
vulvare della medesima, sicuramente compatibili con l’abuso sessuale raccontato dalla
minore. A invalidare questo riscontro non bastano le censure formulate nel ricorso, che
sono tutte fondate su mere asserzioni fattuali prive di sostegno probatorio, come la
scarsa memoria del teste, o il concreto svolgimento di quella domenica di aprile del 2001,
che non avrebbe lasciato il padre mai da solo con la figlia.
Anche il grave rapporto di conflittualità tra i due coniugi separati è una mera asserzione
fattuale, puntualmente smentita dalla sentenza del primo giudice, che aveva al contrario
accertato che il D. e la C. mantennero rapporti discreti al momento della separazione e li
conservarono molto buoni, tanto che, salvo piccoli screzi, avevano continuato l’abitudine
di trascorrere insieme con i figli alcune vacanze e alcuni fine settimana. Certo, resta il
fatto che nessun riscontro esterno è stato accertato per gli abusi perpetrati dal padre e
dai suoi amici prima del 29.4.2001, dal momento che gli inquirenti non sono riusciti a
individuare le case dove essi si svolsero e a identificare i complici che li consumarono
assieme all’attuale imputato. Solo un complice, Antonio S., fu identificato in base alle
ipotesi avanzate dalla C.; ma è stato poi assolto perché non lo ha mai identificato con
sicurezza. Ma questo fatto, da una parte dimostra che ‘ non è affatto una teste
eterodiretta; e dall’altra può essere spiegato con la particolare difficoltà di individuare
luoghi e persone in una città vasta come Roma, con l’ausilio di pochi e labili indizi. In
ogni caso, questo fatto, noti incrina di per sé la credibilità della piccola teste, così come
sopra motivatamente accertata.
In conclusione, si può tranquillamente escludere che la narrazione di sia stata indotta e
analiticamente costruita dalla madre”, anche perché una ipotesi siffatta non è stata
propriamente avanzata neppure dall’imputato, che si è a lungo difeso in sede
dibattimentale. (v. sul punto pag. 19 della sentenza di primo grado).
Vanno quindi disattese anche la terza e la quarta censura,
5 — Resta infine da esaminare l’ultimo motivo di ricorso (n. 2.5), col quale i difensori
lamentano che la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale non sia stata
limitata al rapporto con la sola unica persona offesa dal reato, ma sia stata estesa anche
nei confronti del figlio certamente estraneo all’abuso.
Sul punto non risultano precedenti giurispudenziali né prese di posizione dottrinarie, Ma
non sembra dubbio che questa specifica pena accessoria debba riferirsi a tutti figli, e non
solo al figlio che è vittima dell’abuso sessuale. E ciò sia per la formulazione letterale della
disposizione normativa, che non fa alcuna distinzione al riguardo; sia per la ratio
legislativa che la ispira, la quale intende sanzionare la indegnità del genitore in quanto
tale e non in rapporto a questo o quel figlio determinato. In altri termini, se un genitore
ha gravemente mancato ai suoi doveri morali verso un figlio, egli è indegno di esercitare
la sua potestà genitoriale anche nei confronti degli altri figli.
6 — Per le su e sposte ragioni, il ricorso deve essere respinto. Consegue ex art. 616 c.p.p.
la condanna alle spese processuali. Considerato il contenuto dell’impugnazione, non si
ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
L’imputato va anche condannato alla rifusione delle spese delle parti civili, liquidate
come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spe se processuali a favore delle parti
civili, liquidate in 2.500 euro complessive per ciascuna, oltre C.P.A. e accessori di legge.