Notiziario S.U.N.A.S.

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Notiziario S.U.N.A.S.
www.sunas.it
S I N D A C A T O
U N I T A R I O
A S S I S T E N T I
S O C I A L I
N A Z I O N A L E
Notiziario S.U.N.A.S.
IN QUESTO NUMERO:

Firmato il documento tra SUNAS
e FIMMG sulla riorganizzazione
della Medicina Generale nell’otti-
A N N O
X X I I — N U M E R O
OTTOBRE - NOVEMBRE 2013
5 / 6
ca di integrazione tra sociale
sanitario (testo completo)

Patto per la professione: la formazione Univeritaria
riorganizzazione della Medicina Generale nell’ottica di
Ultim'o
ra
integrazione tra sociale sanitario
SOMMARIO:
Firmato il documento
tra SUNAS e FIMMG
1
Pubblicato il Decreto sui
parametri per la liquidazione dei compensi professionali
1
Patto per la professione:
la formazione universitaria
2
La legge italiana e la
salute e sicurezza sui
luoghi di lavoro
4
L’Editoriale: avviso ai
naviganti
6
Il testo completo del
documento SUNAS FIMMG
7
La Carta del Servizio
Sociale
12
Ruolo e funzioni dell’assistente sociale all’interno del segretariato sociale
Firmato il documento tra SUNAS e FIMMG sulla
Il giorno 24 ottobre 2013 è stato sottoscritto dalle Organizzazioni Sindacali SUNAS, rappresentato dal Segretario Generale Dott. Salvatore Poidomani e FIMMG ( Federazione Italiana Medici di Medicina Generale ), rappresentata dal Segretario Generale Dott. Giacomo Milillo, un documento sulla Riorganizzazione delle modalità di lavoro della Medicina Generale e dell’Area delle Cure Primarie, in una prospettiva multi professionale e multidimensionale e di integrazione tra sociale sanitario. Il documento è il risultato di un percorso di collaborazione e dell’attività
di un gruppo di lavoro interassociativo che ha elaborato l’ipotesi di
un nuovo modello organizzativo, nell’ambito del quale è previsto un
ruolo significativo del Servizio Sociale Professionale.
(da pag. 7 il documento completo)
Pubblicato il Decreto 2 agosto 2013, n. 106 sui parametri per la
liquidazione dei compensi professionali
Il giorno 24 settem-
13
bre 2013 è entrato
in vigore il Decreto
Ministero della Giustizia 2 agosto 2013,
n. 106 con il quale
sono state introdotte alcune modifiche
e integrazioni al regolamento per
la determinazione dei parametri
per la liquidazione dei compensi
professionali.
Il Decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 223 del 23 sett e mb r e 201 3 , è t it o la t o
"Regolamento recante integrazioni e modificazioni al decreto del
Ministro della giustizia 20 luglio
2012, n. 140, concernente la determinazione dei parametri per la
liquidazione da parte di un organo
giurisdizionale dei compensi per le
professioni regolamentate vigilate
dal Ministero della giustizia, ai sensi
dell'articolo 9 del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 marzo
2012, n. 27".
In effetti con l'articolo 9 del Decreto Legge n. 1/2012 erano state abrogate le tariffe professionali e si era
stabilito che, nel caso di liquidazione
da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista
fosse determinato con riferimento a
parametri stabiliti con decreto del
Ministro vigilante. In attuazione di
questa disposizione legislativa, era
stato adottato, quindi, il decreto del
Ministro della Giustizia 20 luglio
2012, n. 140, che, previo parere del
Consiglio di Stato, definiva i parametri per la liquidazione dei compensi
per le professioni regolamentate
vigilate dal Ministero della Giustizia.
Le modifiche introdotte dal DM n.
106/2013 riguardano, in particolare, le
sezioni dedicate a notai, attuari e assistenti sociali per i quali, al Capo V-bis,
vengono previste specifiche disposizioni.
È la prima volta che una legge dello
Stato definisce specifiche prestazioni
della Professione di Assistente Sociale
elencando dettagliatamente le tipologie
di lavoro che questi professionista
svolge relativamente alle diverse aree
di intervento.
Il SUNAS esprime grande soddisfazione per questo ulteriore risultato raggiunto dalla nostra categoria.
(Salvatore Poidomani)
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Patto per la professione: la formazione universitaria
di Delia Manferoce
Il SUNAS circa la formazione accademica della professione di assistente sociale ha da tempo
espresso la propria posizione, e cioè che il titolo di assistente sociale sia quello conseguito alla conclusione di un percorso quinquennale. Su tale questione ha anche deliberato in seno alla segreteria e
al consiglio nazionale del SUNAS di voler sostenere i contenuti del disegno di legge sul riordino della professione presentato dal CNOAS al governo alcuni mesi addietro.
Fermo restando che l'articolazione del percorso formativo potrebbe restare sul 3 + 2 o
su 5 anni a ciclo unico, quello che fa la differenza è che l'assistente sociale dovrà essere quella
che ha completato un percorso di cinque anni e non di tre. La questione non è avulsa da una serie di correlazioni che intervengono su più ambiti, compresi quello giuridico normativo e del profilo,
nonché della modifica o decadenza del decreto DPR 328 del 2001, istitutivo dei due albi / sezioni professionali, A e B.
Vediamo un po’ a ritroso di ricordare i punti di criticità derivati proprio dal citato DPR.
Quando si pose come obbligatoria, all’entrata in vigore del DPR 328/001, la scelta di definire gli albi, il CNOAS di
allora, decise, malgrado la posizione contraria ed espressa di alcuni consiglieri anche di componente SUNAS, tra cui la
sottoscritta, di ridefinire funzioni e competenze. Avvenne allora un’operazione di “scippo”, di riduzione di un pezzo delle
competenze e funzioni che proprio la legge 87 aveva attribuito all’assistente sociale e si delinearono due figure, come per
Adamo ed Eva da una costola, venne fuori un’altra figura, l’assistente sociale specialista, accanto a quella dell’assistente
sociale che era stata definita dalla legge 84. La cosa grave fu decidere che la maggior parte della categoria venisse collocata
nella sezione più bassa , una grave ingiustizia per l’intera comunità professionale: la spaccatura al ribasso con cui venivano
ammessi alla sezione più alta solo coloro che al momento avessero posseduto alcuni specifici requisiti tra cui la laurea. Ci
furono tante giustificazioni che andavano dal pericolo di non poter entrare nel mondo del lavoro a quello di ”occorre rimettersi a studiare e fare dimenticare le scuole dirette a fini speciali di scarso livello”, o ancora la necessità di non fare
”sanatorie come il DPR 14, o ancora chi vuole essere specialista deve avere la laurea, qualificarsi …
Nulla di più sbagliato. Una miopia politica che se pure in buona fede e con una serie di motivazioni anche di
intrinseca validità, fece un danno ( in colmato sinora) all’intera comunità professionale: da una parte sminuì il valore della
conquistata legge 84, dall’altra codificò una netta cesura tra passato e presente ,senza capire che i pezzi di un passato fortemente coeso, professionalizzante, con principi e fondamenti chiari trasferibili anche attraverso forme di tirocinio e tutoraggio ancorati al mandato professionale, si sarebbero dematerializzati nel corso degli anni per la ricaduta che il DPR
avrebbe avuto anche indirettamente sul percorso di studi. Un esempio: il tirocinio presso gli enti sopravviveva grazie agli
assistenti sociali della sezione B! E per fortuna. A ciò si aggiunse anche l’errata convinzione che la sezione specialista desse
in automatico l’accesso alla dirigenza nella P.A., così pure la laurea, passata da sperimentale a magistrale.
Da un lato i rigoristi dello studio e la rincorsa alla laurea per assurgere a dirigenti, dall’altro la maggioranza degli
assistenti sociali che si vedeva letteralmente scippato un pezzo di storia e di esperienza maturata sul campo in tanti anni di
lavoro, di formazione pagata con sacrificio e mirata al settore di lavoro specifico!!
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La soluzione, anzi la scelta più opportuna sarebbe stata e poteva tranquillamente essere fatta senza timore di
inficiare di pressapochismo professionale e formativo la categoria: accesso nella sezione “A” a tutti gli assistenti sociali che
avevano titolo abilitante all’esercizio professionale all’entrata in vigore del DPR 328/01,a salvaguardia di un passato diversamente normato e procedere poi da lì a regolamentare il futuro assistente sociale …
Il che non significava fare torto a coloro che stavano per conseguire o avevano conseguito la laurea sperimentale
o altro, né consentire l’accesso a funzioni i dirigenziali per chi non aveva un titolo universitario ad hoc, ma al contrario,
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procedere con gradualità a distinguere nel futuro il professionista del triennio e quello del quinquennio, andando a definire in due sezioni, il dottore in tecniche del servizio sociale e l’assistente sociale tout court, come di fatto avvenne per gli
psicologi o altre professioni.
Questo passaggio di memoria storica secondo il mio personale pensiero, serve ad attualizzare quanto detto in
precedenza, e cioè che oggi occorre che il titolo di assistente sociale oggi debba essere quello conseguito dopo un quinquennio formativo.
Punto irrinunciabile per una svolta di spessore nella variegata dimensione giuridico normativa e formativa ,nella
quale prevedere un’articolazione per gli ultimi due anni non più monotematica e orientata solo a funzioni di managerialità,
ma che sia specialistico e orientato verso aree tematiche ed ambiti di lavoro specifici, che offrano anche opportunità all’esercizio della libera professione. Si era puntato ad un titolo accademico con la sincera convinzione che avrebbe cambiato
lo status di una professione, facendole fare un balzo dove dirigere avrebbe potuto catalizzarla verso un alveo contrattuale
più alto e remunerativo. Obiettivo da mantenere sicuramente ma non l’unico!
Così non è stato, anche se è fuori discussione che le due classi di laurea sono state indispensabili a proteggere la professione dallo scivolare indietro rispetto alle altre di pari
grado e che oggi dobbiamo ancora cercare di migliorare.
Rivedere il percorso di studi comporta allora tutta una serie di adempimenti e di passaggi anche a tutela e garanzia dello stato della professione ex ante. Primi fra tutti gli
aspetti contrattuali e la salvaguardia delle prerogative già acquisite specialmente nel
settore della P.A., dove la categoria è maggiormente radicata, uniformare i numerosi
profili sorti nelle aziende e negli enti, individuare la strada per l’accesso al pubblico impiego che riconosca i titoli della professione una volta per tutte, individuare e creare la
riserva delle funzioni proprie della professione!
Ecco perché la modifica del percorso di studi si colloca come strategico nel più ampio
riordino della professione. Ecco perché occorre sviluppare adesso un indirizzo aperto per
il corso di laurea che da monotematico spazi verso ambiti già praticati nel concreto,
quello giuridico, sanitario, consulenziale, manageriale, scolastico, terapeutico, verso
nuove competenze, modelli, metodi e tecniche di ricerca capaci di leggere le nuove realtà in cui ci muoviamo. E difendere la laurea da quelle professioni che oggi accedono impunemente e si appropriano del titolo.
Alcune valutazioni finali.
Se la laurea triennale finora ha consentito un ingresso pressoché immediato nel mondo del lavoro, oltre a dubitare che essa possa ancora rispondere a questa esigenza, siamo convinti, in ogni caso, che non si possa continuare a puntare
su una formazione accademica oggi lacunosa e insufficiente e non più all’altezza del sfide che attendono la professione
fortemente legate alla complessità dell’intervento sociale e alla complessità dei problemi sociali attuali e del sistema dei
servizi. È evidente che la formazione a ciclo unico dovrà prevedere un potenziamento a livello di contenuti didattici e metodologici nell’ambito dell’area delle materie professionali, e l’istituzione di uno specifico settore scientifico disciplinare di
Servizio Sociale.
Prima pagina
Si dovranno infine garantire percorsi formativi capaci di consentire oltre all’esercizio professionale, di offrire ai
futuri assistenti sociali la possibilità di sviluppare nuove abilità tecniche di intervento professionale, mantenendo uno
stretto rapporto tra teoria e prassi, di apertura verso nuovi saperi e nuovi ambiti della ricerca sociale proiettati nel
mercato del lavoro.
La strada non è facile ma il SUNAS è in prima fila per accompagnare far si che la professione
vada avanti, all’insegna di una sempre maggiore affermazione nella realtà accademica come in
quella del mercato del lavoro.
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La legge italiana e la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro:
quattro passi nel Sistema di Prevenzione e Protezione
Maria Alessandra Giribaldi
Con il recente omicidio di una psichiatra all’interno del Servizio di Salute Mentale di Bari, è
prepotentemente tornato alla ribalta la problema della tutela della salute e della sicurezza per i lavoratori dei Servizi di aiuto. Purtroppo, l’attenzione a questa tematica segue ciclicamente e cinicamente
l’andamento dei fatti di cronaca, senza avere trovato ancora una attenzione costante e senza un sostanziale riconoscimento del rischio specifico che corrono i lavoratori che operano all’interno dei servizi
di aiuto, e in particolare coloro che lavorano nei Servizio sociali-assistenziali. Sul nostro Notiziario abbiamo già affrontato più volte l’argomento, e il Sunas, da tempo, ha scelto di occuparsi in modo sistematico di queste tematiche, consapevole che la gravità del momento storico, la crisi che non allenta la sua morsa e l’emergere di larghe fasce
di popolazione sempre più disperate e impotenti non potranno che acuire un fenomeno già di per sé caratteristico dei Servizi Sociali. Da sempre sosteniamo che i rischi psicosociali insiti in un lavoro come il nostro vadano considerati alla stregua
di tutti gli altri rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, rispetto ai quali la legge italiana stabilisce debbano essere predisposti in tutti i luoghi di lavoro precisi interventi di prevenzione e protezione.
Prima ancora di portare le nostre istanze all’attenzione dei datori di lavoro, degli amministratori e della parte politica, appare però necessario partire dalla conoscenza e da una maggiore consapevolezza dei lavoratori di quelli che sono i
loro diritti e doveri nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza. Purtroppo, non sempre vi è una reale comprensione dei meccanismi e delle tutele che la legge già oggi prevede e dunque non vi è la capacità di portare avanti le proprie
richieste in modo puntuale ed efficace. Ricordiamo che ogni lavoratore, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni
e ai mezzi forniti dal datore di lavoro, ha l'obbligo di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre
persone presenti sul luogo di lavoro, sulle quali ricadono gli effetti delle sue azioni od omissioni (cfr art. 20 Dlgs 81/08).
Perciò, cercheremo qui di delineare in modo sintetico le funzioni del Sistema di Prevenzione e Protezione, strumento cardine che la legge italiana pone a tutela della salute e della sicurezza di tutti i lavoratori, in ogni contesto di lavoro.
Innanzi tutto, quali sono i riferimenti normativi cui dobbiamo fare riferimento? In Italia la salute e la sicurezza sul
lavoro sono regolamentate dal Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, anche noto come Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, entrato in vigore il 15 maggio 2008, e dalle relative disposizioni correttive, ovvero dal Decreto
legislativo 3 agosto 2009 n. 106 e da successivi ulteriori decreti. Si tratta di una normativa “in progress”, soggetta a continue integrazioni e modifiche: per poter disporre di un testo sempre aggiornato, si consiglia la consultazione del sito
www.lavoro.gov.it
Prima pagina
Il modello culturale alla base dell’attuale normativa italiana sulla salute e sicurezza in ambito lavorativo è basato
sulla partecipazione coordinata ed attiva di diversi soggetti, che a vario titolo e con gradi di responsabilità diversi, si adoperano per prevenire/ridurre i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Si pone al centro della gestione della sicurezza
non più solo l'ambiente fisico di lavoro ed il singolo individuo, ma anche l'organizzazione : è in base a come il lavoro è organizzato, alle scelte e alle decisioni organizzative adottate, che possono realizzarsi le condizioni di pericolo o di rischio per il
benessere fisico, ma anche psichico dei lavoratori. La valutazione del rischio è alla base dell'approccio italiano (ed europeo)
per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. La valutazione del rischio si basa su diversi aspetti e procedure quali questionari, liste di controllo, analisi statistica degli infortuni, degli eventi sentinella o di variabili precedentemente individuate, dei tassi di malattia ed assenza dal lavoro, carichi di lavoro etc. Si tiene anche conto di quanto già indicato nella letteratura scientifica sull'argomento, mettendolo in relazione con il concreto ambiente lavorativo a cui ci si riferisce.
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Il Servizio di Prevenzione e Protezione ( S.P.P.) art.31 e 33 e Dlgs 81/08 è dunque costituito dalle persone, dai
sistemi e dai mezzi interni o esterni all'azienda finalizzati all'attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali
per i lavoratori. Diversi sono gli attori della sicurezza sui posti di lavoro: in primis lo stesso Datore di lavoro ed i vari Dirigenti preposti, quindi il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione , il medico competente, gli addetti all'antincendio e al primo soccorso, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed infine (per ultimo ma non ultimi) gli stessi
lavoratori. Il S.P.P. ha fra i suoi compiti: individuare i fattori di rischio; valutare i rischi; individuare ed elaborare misure preventive e protettive; elaborare procedure di sicurezza; consultare e incontrare periodicamente i lavoratori; proporre programmi di informazione e formazione; informare i lavoratori su rischi, misure e procedure.
Nell’ambito della norma su salute e sicurezza, il Datore di lavoro è il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il
lavoratore o, comunque, colui che ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita
poteri decisionali e di spesa. Nelle Pubbliche Amministrazioni si intende come datore di lavoro il dirigente cui spettano i
poteri di gestione, dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. Il datore di lavoro ha diversi compiti, fra cui –non delegabili- quello della valutazione dei rischi presenti sul luogo di lavoro (con la conseguente redazione del documento di valutazione dei rischi) e quello di nominare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. E’ sostanzialmente il principale responsabile del Sistema di Prevenzione e Protezione, e risponde in prima persona, anche penalmente, in caso di
inottemperanza od omissioni. Il Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione (RSPP) è la persona, in possesso di
specifiche capacità e requisiti professionali, designata dal Datore di lavoro (ed a cui risponde) per coordinare il Servizio di
Prevenzione e Protezione dai rischi. Il
Documento di Valutazione dei Rischi
(DVR) è la mappatura (obbligatoria
per legge) dei rischi per la salute e la
sicurezza presenti in una azienda. Al
suo interno devono essere definite le
procedure necessarie per attuare le
misure di prevenzione e di protezione
da realizzare, ed i ruoli di chi deve
realizzarle. (art. 17 e 28 del D.lgs
81/08). Un’attenzione particolare
merita la figura del Rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza (RLS): si
tratta di un lavoratore, eletto o designato a rappresentare i lavoratori per
quanto riguarda tutti gli aspetti della
salute e della sicurezza sul lavoro.
(D.lgs 81/08 art. 47-50)
Ripercorriamo nel dettaglio l’articolo
attribuzioni. Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza:
50, che ne definisce le specifiche
 accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;
 è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nella azienda o unità produttiva;
 è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, all’attività di prevenzione
incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;
 è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’articolo 37;
 riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione
relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed ai preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali;
 riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;
 riceve una formazione adeguata e, comunque, non inferiore a quella prevista dall’articolo 37;
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 promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e
l’integrità fisica dei lavoratori;
 formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali è, di norma,
sentito;
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
partecipa alla riunione periodica del SPP di cui all’articolo 35;

fa proposte in merito all’ attività di prevenzione;

avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;

può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi
adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza
e la salute durante il lavoro.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico
senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi e degli spazi necessari per l’esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli, anche tramite l’accesso ai dati, di cui all’articolo 18, comma 1, lettera “r”, contenuti in applicazioni informatiche.
Non può subire pregiudizio alcuno a causa delle svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse
tutele previste dalla Legge per le rappresentanze sindacali. Ha dunque diritto ad un monte ore di permessi retribuiti al fine
dello svolgimento del suo mandato. E’ chiaro, dunque, che si tratta di una figura molto importante, che dobbiamo imparare a conoscere e ad “utilizzare” nel modo migliore. Ad esempio, potremo rivolgerci al RLS per verificare quali rischi siano
indicati all’interno del Documento di Valutazione dei rischi per la nostra specifica collocazione lavorativa: è considerato il
rischio di aggressioni? Viene valutato lo stress lavoro-correlato? Sono indicati accorgimenti per ridurre questi rischi? E se
troveremo, come spesso accade, che l’unico rischio riconosciuto è quello da uso del videoterminale, sarà nostro compito
segnalare in modo puntuale e costante le situazioni diverse che mettono a rischio la nostra salute, anche sotto il profilo di
quei rischi psicosociali che più ci riguardano e che invece meno vengono riconosciuti. Tra l’altro, ricordiamoci che all’interno del Documento di Valutazione dei Rischi la valutazione dello stress lavoro correlato è obbligatoria. Ricordiamoci, infine,
che per ogni segnalazione al RLS e al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione è necessario non limitarsi a
generiche rimostranze o lamentele verbali ma si deve utilizzare sempre la forma scritta.
L’Editoriale: AVVISO AI NAVIGANTI
(a cura di Giuseppe Viani)
Seppur tra non poche difficoltà (legate soprattutto al fatto che il nostro Notiziario è frutto dell’impegno assolutamente volontaristico di tutti noi) ormai ci avviamo ad una certa
regolarità sia nella periodicità della nostra pubblicazione sia, soprattutto, nell’omogeneità
dei suoi contenuti. Questo naturalmente non significa che vogliamo adagiarci sugli allori
ed accontentarci di quanto realizzato finora. Il notiziario, come lo stesso Sunas, trova la sua forza nell’impegno e nella
partecipazione di ognuno di noi Proprio per quest’ultimo motivo, oltre a rilanciarvi come consueto la richiesta di inviare
alla redazione i vostri articoli ed i vostri lavori secondo le indicazioni della penultima di copertina, in questo numero
vorrei invitarvi esplicitamente ad un ideale prosieguo all’approfondimento che avete appena letto di Maria Alessandra
Giribaldi. Nell’articolo infatti si legge che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è “una figura molto importante, che dobbiamo imparare a conoscere e ad “utilizzare” nel modo migliore”. Ebbene vi chiediamo di scriverci e di inviarci via e-mail (all’indirizzo [email protected]) i vostri report sull’argomento: conoscete il Servizio di Prevenzione e Protezione della Vostra Azienda od Ente di Lavoro? Vi siete mai rivolti ad esso? Se sì per quali motivi e con quali
risultati?... Se i vostri interventi raggiungeranno una consistenza adeguata per avere una rappresentatività della situazione
attuale, torneremo sull’argomento offrendo i risultati delle esperienze raccolte e si valuterà eventualmente la promozione di specifici interventi sindacali.
Prima pagina
Buona proseguimento e buon lavoro.
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