Basi molecolari e applicazioni cliniche della

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Basi molecolari e applicazioni cliniche della
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RASSEGNE
Basi molecolari e applicazioni cliniche della determinazione dell’antigene 3 del
carcinoma prostatico (PCA3)
Maurizio Ferrari1,2,3, Ivana Spiga3
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano
2IRCCS San Raffaele, Unità di Genomica per la Diagnosi delle Patologie Umane, Centro di Genomica Traslazionale e
Bioinformatica, Milano
3Diagnostica e Ricerca San Raffaele SpA, Milano
1
ABSTRACT
Molecular bases and clinical applications of prostate cancer antigen 3 (PCA3) determination. Prostate cancer
is one of the leading causes of death in men. Although the prostate-specific antigen (PSA) test has significantly
improved the detection of prostate cancer, its low specificity results in a high number of false positive and
subsequently in unnecessary prostate biopsies. The PCA3, discovered in 1999, is a non-coding RNA that is
overexpressed in prostate cancer. Quantitative analysis of PCA3 mRNA in urine was found to be a good predictor of
the outcome of prostate biopsies. The test, based on transcription-mediated amplification (TMA) on urine collected
after a digital rectal examination, has high specificity and is particularly useful in patients with a previous negative
biopsy. Recently, some studies have suggested that PCA3 may also have a prognostic value and could be utilized in
the initial decision for biopsy.
INTRODUZIONE
Ogni anno in Europa vengono diagnosticati 345.900
casi di cancro della prostata (CP) e circa 87.400 muoiono
per questa ragione (1). Negli ultimi 25 anni
l’identificazione precoce del CP si è basata sulla
determinazione nel siero dell’antigene prostatico
specifico (PSA) e sull’esame digitale rettale (DRE).
L’impiego del PSA per l’individuazione del CP ha
mostrato un’alta sensibilità, ma nello stesso tempo una
bassa specificità, con il risultato di sottoporre un alto
numero di pazienti a biopsie, che poi sono risultate
negative. In particolare, nei pazienti con valori di PSA
compresi fra 3 e 10 μg/L la biopsia è risultata negativa in
una percentuale variabile tra il 60% e il 75% (2). Inoltre,
le concentrazioni sieriche di PSA aumentano anche in
presenza di ipertrofia prostatica benigna (BPH) e in
presenza di prostatite.
Nonostante la biopsia prostatica sia ancora
considerata il “gold standard” per la diagnosi di CP, vi
sono numerose limitazioni a questo approccio, che è
inoltre associato a una discreta morbidità. Per tale
ragione, sarebbe molto importante avere marcatori più
specifici per evitare biopsie inutili e una diagnosi più
accurata. Inoltre, vi è necessità di avere marcatori,
singoli o associati, che permettano di identificare i casi
aggressivi, che danno metastasi, da quelli più indolenti.
Numerosi marcatori sono stati proposti negli ultimi
anni e tra questi l’antigene 3 del CP (PCA3), un “noncoding” RNA che è espresso in modo specifico e ad alti
livelli nella prostata, è uno di quelli che è stato studiato
più a fondo per le sue possibili applicazioni cliniche (3).
BASI MOLECOLARI DEL PCA3
Il gene PCA3 è uno dei geni con maggior specificità
per il CP; inizialmente denominato “differential display
code 3” (DD3), è stato identificato nel 1999 da
Bussemakers et al. (4) utilizzando la tecnica denominata
“differential display analysis” per confrontare i profili di
espressione di mRNA estratti da tessuto tumorale e da
tessuto adiacente non neoplastico di campioni di tessuto
prostatico derivanti da pazienti sottoposti a
prostatectomia radicale. Mediante tale analisi gli Autori
hanno evidenziato un’espressione aumentata del gene
DD3 nel tessuto prostatico tumorale rispetto al tessuto
sano adiacente in 53 dei 56 pazienti analizzati.
L'analisi, mediante “reverse transcription-polymerase
chain reaction” (RT-PCR), di diversi tessuti sia sani che
tumorali ha rilevato la presenza del mRNA di PCA3 solo
nel tessuto prostatico (sano o neoplastico), indicando
che il mRNA di PCA3 è specifico della prostata. Tale
specificità, ristretta all’esone 4 (5), e la sua aumentata
espressione in caso di tumore, in media di circa 60 volte
Corrispondenza a: Maurizio Ferrari, Università Vita-Salute San Raffaele, via Olgettina 60, 20132 Milano. Tel. 0226432303,
Fax 0226434351, E-mail [email protected]
Ricevuto: 17.07.2011
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biochimica clinica, 2011, vol. 35, n. 5
Revisionato: 21.07.2011
Accettato: 22.08.2011
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rispetto al tessuto sano, lo rendono un candidato
eccellente per essere utilizzato come marcatore
molecolare per la diagnosi di CP.
La costruzione di una libreria di cDNA ottenuti da
mRNA estratti da campioni di adenocarcinoma prostatico
umano ha permesso di isolare il cDNA di PCA3 (4), che
è stato a sua volta utilizzato per isolare e mappare sul
cromosoma 19q21-22 il gene PCA3 di circa 25 Kb di
lunghezza. Studi finalizzati alla definizione della struttura
del gene PCA3 e al suo cammino evolutivo hanno
permesso di localizzarlo nell’introne 6 del gene BMCC1
(detto anche PRUNE2) con orientamento opposto (6),
coinvolto nella proliferazione, nell’apoptosi, nella
trasformazione cellulare e nella formazione di metastasi.
Numerosi
studi
hanno
contribuito
alla
caratterizzazione del gene PCA3 (4, 7, 8). Inizialmente,
Bussemakers et al. (4) identificarono 4 esoni (Figura
1A), un sito di inizio della trascrizione nell’esone 1 e tre
differenti siti alternativi di poliadenilazione nell’esone 4.
L’esone 2, a causa di uno “splicing” alternativo, è
presente solo nel 5% dei cloni di cDNA analizzati. La
presenza di numerosi codoni di “stop” in tutte e tre le
cornici di lettura ha fatto supporre agli Autori che il gene
PCA3 codifichi per un “non-coding RNA” (ncRNA). Più
recentemente, Clarke et al. (7) hanno identificato altri 2
esoni sottoposti a “splicing” alternativo e ampliato in
direzione 5’ l’esone 1 che passa così da 120bp a 1270bp
(Figura 1B). Esperimenti di 5’ “rapid amplification of
cDNA ends” (RACE) hanno permesso di identificare la
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presenza di ulteriori 4 siti di inizio della trascrizione
localizzati 1150bp, 699bp, 640bp e 136bp (isoforme 1-4)
a monte del sito precedentemente descritto (isoforma 5).
Mediante esperimenti di 3’ RACE sono stati identificati 4
nuovi siti di poliadenilazione (7 in totale) nell’esone 4
(Figura 1C). Dai quattro ulteriori siti di inizio della
trascrizione partono quattro “open reading frames”
(ORFs) parzialmente sovrapposti con inizio della
traduzione dall’unico “ATG” nell’esone 1 (Figura 1C,
freccia verticale verso l’alto). Le quattro ORFs terminano
in uno degli esoni sottoposti a “splicing” alternativo (2a o
2b o 2c) o nell’esone 3, e sono costituiti rispettivamente
da 71, 82, 76 e 73 residui amminoacidici. La reale
esistenza e l’eventuale funzione dei peptidi putativi
codificati da queste 4 ORFs non sono ancora stati
studiati; l’analisi comparativa delle sequenze proteiche
con proteine note non ha evidenziato omologie o
indicazioni relative alla loro funzione.
Per identificare gli elementi del promotore
responsabili dell’espressione di PCA3 nelle cellule di CP,
Verhaegh et al. (8) hanno isolato e caratterizzato il
promotore di PCA3. Studi funzionali utilizzando costrutti
tronchi hanno permesso di identificare la presenza di un
possibile sito di regolazione negativa (“silencer”), che
inibisce l’espressione di PCA3. I dati suggeriscono che
un complesso repressore prostata-specifico regoli in
modo molto stretto la trascrizione di PCA3. Tale
complesso può legare e inibire il complesso di inizio
della trascrizione o complessi di attivatori prostata-
Figura 1
Struttura del gene PCA3. (A) Struttura parziale del gene come originalmente descritto da Bussemakers et al. (4) con 4 esoni; (B)
struttura completa del gene PCA3. Le zone grigie identificano le regioni più recentemente identificate [Clarke RA et al. (7)]; (C) sono
indicati i 5 siti di inizio della trascrizione, siti 1-4 identificati da Clarke RA et al. (7), sito 5 identificato da Bussemakers et al. (4), i 7
siti di poliadenilazione*, i 4 peptidi putativi derivanti dalle 4 “open reading frames” causate dagli “splicing” alternativi dei tre esoni 2
con l’esone 3 [modificato da Clarke RA et al. (7)].
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specifici. Per attivare la trascrizione in vivo, causando la
trasformazione, sono necessari specifici meccanismi per
annullare la repressione, come ad esempio la
mutazione, specifici inibitori del complesso repressore o
altro. Tale argomento necessita tuttavia di
approfondimenti ulteriori.
La localizzazione del mRNA di PCA3 è controversa.
Schalken et al. (9) hanno suggerito una localizzazione
nucleare, ma non hanno mostrato dati comprovanti la
loro ipotesi. Popa et al. (10), mediante esperimenti di
ibridazione in situ effettuati su preparati istologici di
biopsie di CP, hanno dimostrato la presenza del mRNA
di PCA3 nel citoplasma delle cellule tumorali e l’assenza
nelle cellule dello stroma. La funzione è ancora
estremamente dibattuta. Clarke et al. (7) speculano su
un possibile ruolo nell’apertura della cromatina per
facilitare la trascrizione. In alternativa, essendo un
trascritto intronico antisenso, il PCA3 potrebbe indurre il
taglio e una “down” regolazione del mRNA di BMCC1
oppure una modulazione/inibizione dello “splicing” di
BMCC1. Ulteriori studi relativi alle funzioni cellulari dei
ncRNA porteranno sicuramente a una migliore
comprensione dei processi di regolazione genica.
L’ESAME DI LABORATORIO
Lo sviluppo del test
L’osservazione che il gene PCA3 presenta una
espressione molto aumentata nel tessuto del CP spinse
i ricercatori a esplorare la possibilità di utilizzarlo come
marcatore per predire in modo non invasivo l’esito di una
eventuale biopsia. Nel 2002 de Kok et al. svilupparono
una metodica utilizzando RT-PCR per quantificare il
mRNA PCA3 in campioni di tessuto di CP (11). Hessel et
al. (12), utilizzando la tecnica di “time-resolved
fluorescence” (TRF) RT-PCR, dimostrarono per la prima
volta la possibilità di tradurre la specificità del PCA3 a
livello tissutale in uno specifico esame diagnostico. Essi
utilizzarono l’esame su sedimenti di urine raccolte dopo
DRE in quanto è stato ipotizzato che la sollecitazione
della prostata causi il rilascio di cellule prostatiche
(normali e tumorali, se presenti) nell’uretra.
Successivamente l’esame venne modificato in
quanto, sebbene il mRNA PCA3 sia espresso ad alti
livelli nelle cellule di CP, è presente a bassi livelli anche
in cellule sane. Era quindi necessario normalizzare la
quantità di mRNA PCA3 con la quantità di RNA estratto
dalle cellule raccolte con le urine dopo DRE. Il gene
KLK3 codificante per il PSA è anch’esso espresso in
modo specifico nel tessuto prostatico, ma in egual
misura o quasi nelle cellule sane e nelle cellule tumorali
(circa 1,5 volte superiore nelle cellule sane rispetto a
quelle tumorali). Il mRNA PSA è stato quindi utilizzato
per normalizzare i livelli di mRNA PCA3. Nel test
vengono quindi quantificati il mRNA PCA3 e il mRNA
PSA; quest’ultimo è utilizzato come gene interno con cui
normalizzare i livelli di mRNA PCA3 (13).
Nel 2004 fu sviluppata una metodica che sfrutta la
tecnologia “nucleic acid sequence-based amplification”
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(NASBA) e la “real time fluorescence detection” (RTFD)
(14, 15). Il mRNA PCA3 è stato coamplificato con il
mRNA PSA in campioni di RNA estratto da sedimenti di
urine post-DRE. Questi studi hanno confermato l’utilità
della quantificazione del PCA3 come in precedenza
mostrato mediante tecnica TRF RT-PCR.
Sebbene le metodiche sopra descritte siano
potenzialmente utili nella quantificazione del PCA3, le
procedure di raccolta delle urine e, in particolar modo, di
estrazione del RNA le rendono utilizzabili solo da
laboratori altamente specializzati. Il PCA3 quindi non
può essere utilizzato come un esame clinico per essere
affiancato al dosaggio del PSA nel calcolo del rischio di
CP. Groskopf et al. (16), in collaborazione con Gene
Probe, hanno messo a punto una procedura
semiautomatizzata, che è poi quella utilizzata nel kit di
dosaggio del PCA3 attualmente disponibile in
commercio,
basata
su
“transcription-mediated
amplification” (TMA), precedentemente utilizzata per la
quantificazione di RNA virali.
La raccolta del campione
Groskopf et al. (16) hanno modificato la procedura di
raccolta delle urine al fine di eliminare il passaggio di
centrifugazione delle urine e di estrazione del RNA. Le
urine entro 4 ore dalla raccolta dopo DRE (3 massaggi
alla prostata per lobo) vengono diluite vol:vol con un
tampone stabilizzante contenente un detergente [“urine
transport medium” (UTM)], che ha lo scopo di lisare le
cellule e di stabilizzare il mRNA. Gli Autori hanno testato
la stabilità dei mRNA di PCA3 e di PSA, estratti dalle
urine così trattate, e hanno trovato che i mRNA sono
stabili per 5 giorni alla temperatura di 30 °C e per 14
giorni alla temperatura di 4 °C. Tale procedura permette
quindi di trasportare le urine dal luogo di raccolta al
laboratorio per essere sottoposte all’analisi (16).
Il test è concepito per la quantificazione del mRNA di
PCA3 e PSA nella prima minzione di urina dopo DRE.
Questa viene immediatamente trasferita in provette di
trasporto opportunamente identificate contenenti UTM.
La procedura di DRE è richiesta al fine di aumentare la
quota di prelievi informativi, che passa da 80% in
campioni raccolti senza DRE a >95% in campioni raccolti
dopo DRE. L’effetto del DRE agisce solo su questo dato,
mentre non ha effetto sull’attendibilità del risultato come
documentato da Sokoll et al. (17).
Il metodo
La procedura prevede 4 fasi:
1. “target capture”, che consiste nella purificazione dei
mRNA bersaglio mediante ibridazione con oligonucleotidi specifici legati a particelle magnetiche;
2. TMA, che consiste in una fase di amplificazione delle
sequenze di mRNA preceduta da trascrizione inversa. Viene amplificata una zona di 75 paia di basi (bp)
che copre il sito di giunzione tra gli esoni 3 e 4. Non
vengono amplificati i mRNA non sottoposti a “splicing”;
3. “hybridization protection assay”, che consiste nella
ibridazione con sonde specifiche marcate con estere
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di acridina;
4. lettura della fluorescenza emessa e quantificazione
in RLU (“relative light units”) con luminometro.
Ogni campione viene testato in duplicato e in ogni
seduta analitica vengono processati anche 5 calibratori e
2 controlli a concentrazione nota forniti dal produttore. I
calibratori vengono testati in triplicato per la costruzione
di una curva di calibrazione che verrà utilizzata dal
“software” per la trasformazione dei dati da RLU in
copie/mL di mRNA. I dati relativi alla curva di
calibrazione e ai controlli vengono anche utilizzati dal
“software” per controllare alcuni parametri che, se non
soddisfatti, invalidano la seduta analitica e richiedono la
ripetizione dell’analisi.
Il metodo mostra una buona riproducibilità per la
quantificazione dei mRNA di PCA3 e di PSA. I CV nella
serie e tra le serie per PCA3 e PSA mRNA sono
rispettivamente <13% e <12% (16).
Un’importante caratteristica di questa procedura è
l’elevata percentuale di campioni informativi (>98%), più
elevata di quella riscontrata con le metodiche
precedentemente utilizzate (80-95%) (16).
L’espressione dei risultati
Nell’esame vengono quantificati mRNA PCA3 e
mRNA PSA. Il risultato dell’analisi è il rapporto tra questi
due dati: (copie/mL di mRNA di PCA3/copie/mL di
mRNA di PSA) x 1000, definito “PCA3 score”. Un
aumento del “PCA3 score” corrisponde a un aumento
della probabilità di riscontrare positività nella biopsia
prostatica. Biopsie eseguite in pazienti con “PCA3
score” <5 hanno una probabilità del 6% di essere
positive, mentre la probabilità in pazienti con “PCA3
score” >100 sale fino al 57%. Utilizzando un valore
soglia di 35 la sensibilità e la specificità dell’esame sono
48% e 79%, rispettivamente (18).
APPLICAZIONI CLINICHE DEL PCA3
Il PCA3, da quando nel 1999 è stato descritto per la
prima volta, ha suscitato notevole interesse e numerosi
studi si sono susseguiti per definire le possibili
applicazioni cliniche (19, 20). In particolare, VlaeminckGuillem et al. (21) hanno valutato 11 studi clinici,
mettendo in evidenza i principali risultati ottenuti con il
PCA3 in pazienti con CP. Lo studio ha esaminato 6 studi
multicentrici e 5 studi singoli per un totale di 2737
pazienti e sono stati inclusi soggetti che dovevano
sottoporsi a biopsia prostatica in quanto avevano
concentrazioni di PSA >2,5-3,0 μg/L, una DRE positiva
e altri fattori di rischio, come una storia familiare positiva
(13-17, 22-26). Il confronto è stato fatto tra due
popolazioni: pazienti con biopsia positiva per CP in
confronto a quelli con biopsia negativa (sani, prostatiti
acute e croniche e BPH). Il rapporto tra PCA3 mRNA e
PSA mRNA è stato utilizzato per valutare specificità,
sensibilità e valore predittivo positivo (PPV) e negativo
(NPV) del test. Inoltre, si sono applicate le curve ROC
per definire la soglia ottimale del rapporto PCA3/PSA e
la prestazione diagnostica dell’esame usando l’area
sottesa alla curva (“area under curve”, AUC). Su 2048
pazienti l’AUC del PCA3 variava da 0,66 a 0,87 ed era
sempre superiore, quando disponibile, a quella di PSA
o free PSA (13, 22). La sensibilità variava da 54% a
82% (quindi inferiore a quella del PSA), mentre la
specificità migliore di quella di PSA, variava da 66% a
89%. PPV (48%-75%) e NPV (74%-90%) erano migliori
di quelli del PSA. Un altro dato importante è che i falsi
negativi variavano dal 10% al 26%.
Oltre agli studi sopra citati è anche da segnalare il
“Reduction by dutasteride of prostate cancer events
(REDUCE) trial” in cui si è valutata l’efficacia del
farmaco nella chemioprevenzione del CP (27). Sono
stati analizzati 1072 campioni di pazienti che avevano
assunto placebo e il “PCA3 score” ha mostrato buona
correlazione con pazienti con biopsia positiva.
Utilizzo come marcatore prognostico
Oltre al fatto di poter predire la presenza o l’assenza
di tumore, vi sono evidenze che PCA3 possa correlare
anche con alcuni fattori legati all’aggressività del
tumore, quale le dimensioni, il “Gleason score” (che
definisce il grado di malignità), l’estensione
extracapsulare (ECE), e quindi avere anche un
significato prognostico. L’ipotesi è quella che tumori più
grandi e invasivi liberino un maggior numero di cellule
dopo DRE. Due lavori hanno dimostrato che il “PCA3
score” correla in modo statisticamente significativo con
il volume della neoplasia (28, 29). Inoltre, Nakanishi et
al. hanno trovato correlazione con il “Gleason score”
(28), mentre Whitman et al. non hanno rilevato una
associazione con il “Gleason score”, ma evidenziato
che PCA3 può essere un marcatore indipendente di
ECE (29). Un altro lavoro non ha mostrato le stesse
correlazioni, ma è stato eseguito su sedimento urinario
invece che su urine intere come i precedenti e quindi
non può essere fatta una comparazione diretta dei dati
(30).
Molto recentemente, Ploussard et al. (31), studiando
pazienti a basso rischio che hanno eseguito il PCA3
prima di una prostatectomia radicale, hanno dimostrato
una forte correlazione tra “PCA3 score” e volume del
tumore; inoltre, l’esame era anche utile, insieme ad altri
fattori, per individuare quali pazienti sottoporre a una
sorveglianza attiva. Infine anche Vlaeminck-Guillem et
al. (32), confrontando i dati di “PCA3 score” e fattori
istopatologici, inclusi il volume del tumore e il numero di
foci tumorali, hanno trovato una correlazione
significativa con il volume del tumore, ma non con il
“Gleason score” o la stadiazione. Al contrario, hanno
trovato una correlazione con l’invasione basale o
apicale e con la bilateralità e multifocalità.
Utilizzo come marcatore per indirizzare la
prima biopsia prostatica
Oltre all’indicazione di eseguire l’esame in pazienti
con aumento di PSA e negativi alla prima biopsia per
evitare la ripetizione multipla della stessa, sono
biochimica clinica, 2011, vol. 35, n. 5
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recentemente stati pubblicati lavori sul possibile utilizzo
del “PCA3 score” anche in prima battuta per decidere se
effettuare o no la biopsia della prostata. Roobol et al.
(33) hanno studiato 721 pazienti, tutti sottoposti a
biopsia, del “European randomised study of screening
for prostate cancer” e hanno confrontato il valore di PSA
e PCA3 nel predire la presenza di tumore. Come
atteso, PSA si è rilevato un modesto esame diagnostico
di neoplasia, ma per la prima volta gli Autori hanno
segnalato che il “PCA3 score” potrebbe essere usato
anche in fase diagnostica iniziale. Molto recentemente,
de la Taille et al. (34) hanno studiato 516 pazienti da uno
studio multicentrico europeo con valori di PSA compresi
tra 2,5 e 10 μg/L. La biopsia prostatica è risultata positiva
nel 40% dei pazienti e il “PCA3 score” è risultato
significativamente più alto in quelli positivi rispetto ai
negativi (media, 69,6 vs. 31,0). Inoltre, il “PCA3 score” è
risultato indipendente da età, PSA totale e volume
prostatico. Il “PCA3 score” (cut-off, 35) ha mostrato una
sensibilità del 64% e una specificità del 76%. L’analisi
ROC ha mostrato un’AUC significativamente più alta per
PCA3 in confronto a PSA totale e free PSA. Infine, il
PCA3 è risultato significativamente più alto in pazienti
con “Gleason score” ≥7.
Utilizzo di PCA3 in associazione con altri fattori
Finora i vari marcatori utilizzati singolarmente per la
predizione di biopsia prostatica positiva hanno mostrato
limiti significativi. Uno studio che ha valutato PCA3 in
combinazione con PSA sierico, volume prostatico e DRE
ha mostrato un’accuratezza diagnostica con un AUC di
0,75 in confronto a 0,69 per PCA3 e 0,55 per PSA sierico,
se utilizzati singolarmente (26). Ankerst et al. (35) hanno
utilizzato il “Prostate cancer prevention trial (PCPT) risk
calculator” in cui si valutano sei fattori: PSA sierico, DRE,
storia di CP in familiari di primo grado, dati delle biopsie,
età e razza negra. Aggiungendo il PCA3 nel calcolo del
rischio si è avuto un netto miglioramento dell’accuratezza
diagnostica.
Sono stati anche segnalati altri biomarcatori che
potrebbero essere utili per migliorare l’accuratezza
diagnostica e in particolare geni di fusione tra la regione
5’ non tradotta del gene TMPRSS2 con fattori di
trascrizione della famiglia ETS, quali ERG, ETV1 e ETV4
(36, 37). Hessels et al. hanno dimostrato che il test per
misurare il gene di fusione TMPRSS2-ERG è fattibile su
urine e che l’associazione con il PCA3 migliora la
sensibilità senza compromettere la specificità (38). Tali
dati sono stati anche recentemente confermati da Salami
et al. (39). Laxman et al. (40) hanno dimostrato che
anche SPINK1, GOLPH2 e TMPRSS2-ERG, come
PCA3, sono marcatori indipendenti di CP; l’analisi
multipla degli stessi ha mostrato, in confronto con PCA3
da solo, un miglioramento del valore AUC da 0,66 a 0,76.
“PCA3 score” in pazienti con “high grade
prostatic intraepithelial neoplasia” (HGPIN)
Recentemente, Morote et al. (41) hanno valutato i
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livelli di “PCA3 score” in soggetti con CP e con HGPIN
per verificare se l’esame differenziava i due gruppi di
pazienti. PCA3 è espresso anche in HGPIN e alcuni dati
sembrano indicare che il “PCA3 score” aumenti in
soggetti con HGPIN (23). Gli Autori hanno studiato,
mediante RT-PCR, 243 soggetti di cui 64 con IHGPIN
isolata, 83 con CP e 97 con patologie benigne. Il “PCA3
score” è risultato significativamente più alto nei pazienti
con CP rispetto agli altri gruppi, mentre i valori nei
soggetti HGPIN erano solo lievemente superiori a quelli
con patologia benigna. E’ stata suggerita una minor
efficacia di “PCA3 score” nel gruppo di pazienti con
HGPIN. Infatti, la specificità del “PCA3 score”
diminuisce dal 79% al 67% a una sensibilità del 90%.
Seppur questi dati non siano stati ottenuti con la
metodica maggiormente in uso, essi tuttavia
suggeriscono che la presenza di HGPIN può essere
un'altra variabile nello stabilire un programma di
biopsia.
CONCLUSIONI
PCA3 è un gene specifico della prostata,
probabilmente un “non-coding” RNA. E’ stato dimostrato
che è misurabile nell’urina e tre differenti metodi sono
stati utilizzati per la sua determinazione (RT-PCR,
NASBA e TMA con rivelazione in chemiluminescenza).
L’ultimo è disponibile commercialmente (Progensa
PCA3, Gen-Probe Inc.).
Per quanto riguarda le possibili applicazioni cliniche,
ormai vi sono dati consistenti che l’indicazione primaria è
in pazienti con aumento del PSA sierico e una
precedente biopsia prostatica negativa. PCA3 può
essere utilizzato nella stratificazione del rischio di
sviluppare CP; in altre parole, se la biopsia è negativa e
il “PCA3 score” è basso è indicato un atteggiamento più
conservativo. Inoltre, vi sono dati preliminari, da
confermare su casistiche più ampie, che suggeriscono
che il “PCA3 score” possa dare indicazioni per
differenziare tumori aggressivi da quelli a crescita lenta,
in quanto, in alcuni studi il PCA3 correla con il volume
della neoplasia, il “Gleason score” e l’ECE. Dati recenti
sottolineano la potenziale utilità di “PCA3 score” anche
prima della prima biopsia. Se questi dati venissero
confermati estenderebbero l’indicazione all’esame a un
numero molto più ampio di pazienti, riducendo
probabilmente il numero di biopsie prostatiche. Altre
potenziali applicazioni, che necessitano di ulteriori studi,
sono la possibilità di individuare pazienti con recidiva
locale dopo prostatectomia radicale o radioterapia o il
possibile monitoraggio in pazienti che ricevono terapia
farmacologica che influenza le concentrazioni di PSA
sierico (ad es., 5α-reduttasi). Da valutare infine la
possibile utilità di affiancare a PCA3 anche altri
marcatori molecolari, come per esempio il gene di
fusione TMPRSS2-ERG, che sembra migliorare la
sensibilità senza compromettere la specificità, o altri
marcatori sierici recentemente segnalati come il
(-2)proPSA (42).
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