La rassegna di oggi

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La rassegna di oggi
RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 28 febbraio 2017
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Buste paga dei friulani più basse del Nord. Dirigenti “declassati” (M. Veneto, 2 articoli)
Viminale-Fincantieri, accordo sulla legalità (Piccolo)
Caso Gorizia, Telesca: «I controlli esistono e funzionano. La categoria è sana» (Piccolo)
Terza corsia dell’A4, finanziamenti a quota 720 milioni (Piccolo)
Alla Fantoni la pressa più lunga d’Europa (M. Veneto)
Colloredo, personale ai minimi storici. Il sindaco minaccia di lasciare (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 7)
Colautti non passa, la Fiom resta senza guida (Piccolo Trieste)
Le cuoche “disertano” le mense. Per i bimbi scatta la dieta forzata (Piccolo Trieste, 2 art.)
Cresce la paga di D'Agostino, ma l'uomo d'oro è Gurreri (Piccolo Trieste)
«Lavori socialmente utili per i migranti» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Detroit, molti lavoratori in strada (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Indennità ai vigili, Cgil-Cisl-Uil vanno dal prefetto (M. Veneto Udine)
Latisana, Bergamin verso la riapertura. C’è un acquirente (M. Veneto Udine)
Overtel, i sindacati chiedono i contratti di solidarietà (M. Veneto Pordenone)
Aviano: muro contro muro: «Sereni Orizzonti chiude» (M. Veneto Pordenone)
Oralplant assume solo in Svizzera (Gazzettino Pordenone)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Buste paga dei friulani più basse del Nord. Dirigenti “declassati” (M. Veneto)
di Elena Del Giudice - All’ultimo posto tra le regioni del Nord con una retribuzione annua media di
28 mila 691 euro, e quindi buona ultima anche tra quelle del Nordest. E’ il Friuli Venezia Giulia
secondo la rilevazione del Jp Salary Outlook 2017, l’analisi del mercato retributivo italiano, di Job
Pricing, azienda specializzata nella rilevazione delle retribuzioni (www.jobpricing.it) che fornisce
anche un servizio di valutazione e comparazione del proprio stipendio, nata «con l’intento di
rendere trasparente il mondo opaco delle retribuzioni, fornendo risposte ai lavoratori ed offrendo
strumenti semplici, gratuiti e facilmente comprensibili per misurare il valore del proprio lavoro». La
retribuzione in Italia «Dall’osservatorio Job Pricing emerge che un lavoratore dipendente in Italia
durante il 2016 ha percepito una Ral (Retribuzione annua lorda) media di 29 mila 309 euro». La
qual cosa pone il nostro Paese al 9° posto tra quelli della zona euro nella classifica per valore delle
retribuzioni medie. Al primo posto c’è il Lussemburgo, con 55 mila 553 euro, quindi l’Olanda
(49.235), la Germania (47.042), il Belgio (46.693), la Finlandia (43.536). l’Austria (43.484), la
Francia (37.792), l’Irlanda (34.847). Più in basso dell’Italia si trova la Spagna (26.259), la Grecia
(20.296), la Slovenia (18.109) e via via fino alla Slovacchia (10.616). Il cuneo fiscale italiano, poi,
fa sì che gli stipendi dei lavoratori dipendenti, considerati al netto della tassazione, ci portino agli
ultimi posti della classifica. Il trend Lo scorso anno le retribuzioni medie sono cresciute del 2,1%,
un bel salto se si considera che nel 2015 la variazione era stata solo del +0,1%. La tendenza positiva
è stata più forte per la categoria degli operai, dove le retribuzioni medie sono salite del 2,8%; meno
forte per gli impiegati, con una crescita media dello 0,9%, e per i quadri (1,1%), mentre la
variazione è stata negativa per i dirigenti (2,9%). Nei territori La rilevazione conferma l’esistenza di
una differenza retributiva territoriale: i lavoratori del Nord guadagnano di più rispetto ai lavoratori
del Centro-Italia e soprattutto del Sud. «La dinamica - spiegano da Job Pricing - è attribuibile a
diversi aspetti tra i quali la maggiore concentrazione al Nord di grandi aziende multinazionali
rispetto al Centro (con l’eccezione di Roma) e al Sud, con una maggiore attrattività per profili con
elevate competenze e figure di responsabilità e manageriali. Il costo della vita poi decresce
scendendo nella penisola e giustifica un differente livello retributivo offerto dalle aziende, maggiore
nelle regioni del Nord». In Friuli Venezia Giulia Il Fvg è al nono posto nella classifica delle regioni
con una retribuzione annua lorda di 28 mila 691 euro, più vicina a Marche e Toscana che alla
Lombardia. E anche il valore medio regionale risente del valore più elevato degli stipendi registrato
a Trieste, con le province manifatturiere piuttosto distanti. Nei livelli alti, ovvero quello dei
dirigenti, le differenze tra le regioni sono più modeste: Lombardia in vetta con oltre 104 mila euro,
segue il Veneto con 101 mila, quindi il Lazio con 100 mila 567 e il Fvg al 4° posto con 100 mila e
43 euro. Per i quadri il Fvg è al 12° posto con 51 mila 753 euro, contro i 55.406 della Lombardia, al
primo. Per gli impiegati siamo al 7° posto con 30 mila 679 euro, contro i 32.676 della Lombardia.
Infine per gli operai la Ral regionale è di 24 mila 755, 8° posto nazionale, di poco sopra la media
nazionale (24.608), contro i 26.520 della Val d’Aosta, al primo posto. All’interno del Fvg le
differenze sono marcate: se a Trieste le Ral superano i 30 mila euro, a Udine e Gorizia si fermano a
28 mila, mentre Pordenone è buona ultima con 27 mila 414 euro medi.
Donne penalizzate e ai giovani compensi tagliati anche del 60%
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Viminale-Fincantieri, accordo sulla legalità (Piccolo)
Prevenire e ridurre i rischi di infiltrazioni e interferenze della criminalità organizzata in appalti e
subappalti, una cabina di regia al Viminale, un continuo scambio di informazioni su soggetti a
rischio, la possibilità di recedere da un appalto nel caso emerga che l'impresa aggiudicatrice abbia
legami con le mafie: sono i punti centrali del “Protocollo quadro nazionale di legalità” firmato
ierimattina al Viminale dal ministro dell'Interno Marco Minniti e dal presidente di Fincantieri
Giampiero Massolo. L'intesa, ha sottolineato il titolale del Viminale, rappresenta una «cooperazione
di alto livello» tra pubblico e privato. Ma, soprattutto è un «segnale molto importante per la vita
economica del nostro paese, che può fare scuola nelle relazioni industriali». Il ministero, infatti,
mette sul tavolo tutte le informazioni e le banche dati a sua disposizione, mentre Fincantieri avrà a
disposizione «un elemento di rafforzamento, poiché affronta con trasparenza e determinazione le
questioni della competitività e della sicurezza». «Il protocollo è un esempio di modello di sicurezza
partecipata, dove pubblico e privato lavorano fianco a fianco. Un passo in avanti nella prevenzione
delle derive criminali che minacciano i settori redditizi dell'economia e dell'industria. Finora - ha
spiegato Massolo - abbiamo cercato di ovviare ai problemi con accordi settoriali e locali, che hanno
funzionato fin dove hanno potuto. Quel che ci mancava era una cornice nazionale, una cabina di
regia per monitorare nel quotidiano quel che accade sul territorio». Per arrivare a quello che
nell'accordo viene chiamato "partenariato strutturale", ci sono voluti cinque anni di lavoro. Il
risultato è una «cooperazione rafforzata su scala nazionale - si legge - al fine di prevenire e ridurre i
rischi di infiltrazioni e interferenze della criminalità organizzata nonché quei fenomeni di
criminalità comune che rivelino, per loro natura o per le modalità esecutive, possibilità di
collegamenti con la criminali organizzata o con forme di illegalità diffusa contigue alla criminalità
organizzata». Il protocollo si applica a tutte quelle attività ritenute "sensibili" come, ad esempio, il
trasporto di materiali in discarica e lo smaltimento rifiuti per conto terzi; l'estrazione, la fornitura e
il trasporto di terra e materiali inerti; la guardiania nei cantieri, la fornitura di ferro lavorato; il
confezionamento, la fornitura e il trasporto di calcestruzzo e bitume. Due i livelli dell'accordo: uno
centrale, che prevede appunto la costituzione di una cabina di regia al Viminale in cui siederanno
rappresentanti del ministero e dell'azienda, e uno territoriale, tra Fincantieri e le prefetture.
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Caso Gorizia, Telesca: «I controlli esistono e funzionano. La categoria è sana» (Piccolo)
di Diego d’Amelio - «Misure e controlli esistono già e funzionano bene, altrimenti a Gorizia non
sarebbe emerso alcun caso di assenteismo. Non c'è dunque alcun bisogno di rafforzare le verifiche o
intervenire sul sistema di timbratura delle presenze durante le ore di lavoro». L'assessore regionale
alla Salute, Maria Sandra Telesca, ribadisce la «costernazione» davanti al provvedimento di
sospensione ordinato dal Gip nei confronti di due medici dell'ospedale isontino indagati per truffa
aggravata ai danni dello Stato e falsa attestazione di servizio, a causa dell'assenza ingiustificata dal
posto di lavoro. L'assessore non ritiene comunque necessario alzare ulteriormente la guardia, perché
«il sistema funziona e stiamo parlando di un'eccezione, per quanto grave». Anche un sistema
solitamente corretto come quello del Friuli Venezia Giulia ha le sue pecore nere? Se fatti illeciti si
verificano è fondamentale che vengano individuati e perseguiti. Ma la sanità funziona. Questi
episodi non possono gettare discredito su un’intera categoria di operatori che si comportano sempre
con totale correttezza. La Regione ha dato qualche indicazione all'Azienda isontina per rafforzare il
contrasto dei disonesti? Non ce n'è bisogno. L'Azienda farà le sue valutazioni in merito al rispetto
delle norme. Tutte le Aziende regionali che hanno casi di illecito o sospetti di qualche genere non
esitano a farli emergere nella massima trasparenza. Regione e Azienda isontina hanno inoltre
offerto massima collaborazione agli inquirenti, avendo sempre piena fiducia nei confronti di
magistratura e Guardia di finanza. La questione creerà grattacapi rispetto all'attuazione a Gorizia del
progetto di odontoiatria sociale che è uno dei cavalli di battaglia della giunta regionale in fatto di
sanità? La prima cosa che mi preme dire è che non ci saranno interruzioni di sorta nel servizio.
Senza dubbio l'episodio rappresenta un grave problema, ma l'Azienda isontina si è prontamente
organizzata ed è stata subito stretta una convenzione con l'Azienda sanitaria triestina, che invierà
personale per non lasciare scoperto l'organico di Gorizia, dove prossimamente la dirigenza sanitaria
deciderà se e come prevedere delle assunzioni sostitutive. Teniamo molto all'odontoiatria sociale,
che è un caso di sanità virtuosa e vicina ai cittadini: Gorizia è stata peraltro seconda a partire, dopo
la storica esperienza maturata da anni a Trieste.
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Terza corsia dell’A4, finanziamenti a quota 720 milioni (Piccolo)
di Diego D’Amelio - Il finanziamento da 600 milioni ad Autovie Venete per la realizzazione della
terza corsia dell'A4 potrebbe presto toccare i 720 milioni. La notizia è arrivata ieri, durante la firma
dei contratti di finanziamento proposti alla concessionaria regionale da Banca europea per gli
investimenti e Cassa depositi e prestiti. Poco prima della stipula, il vicepresidente di Bei, Dario
Scannapieco, ha dichiarato che «altri 120 milioni potranno essere messi a disposizione quando
l'assetto proprietario sarà definito», ovvero quando la nuova società interamente pubblica di
Autovie sarà costituita e otterrà il rinnovo della concessione autostradale fino al 2038, grazie alla
newco formata tra Regione (50,1%), Anas (43,9%) e Veneto (6%). La linea di credito aggiuntiva è
insomma già prevista e richiede soltanto di essere autorizzata quando si aprirà il nuovo scenario.
Scannapieco ha inoltre informato di aver «discusso con la presidente Debora Serracchiani di nuovi
possibili impegni di Bei sul territorio, dal sistema delle piccole e medie imprese a opere di
rinnovamento urbano che riguardano il porto di Trieste e l'area vicina». Interventi non a fondo
perduto, ma in forma di prestito, sebbene «con tassi di interesse molto vantaggiosi», ha sottolineato
il rappresentante della banca. Nel caso della terza corsia, i finanziamenti andranno restituiti da
Autovie entro la fine del 2029 e la sostenibilità dell'operazione è già inclusa dal piano economico e
finanziario che Autovie si è vista approvare dal Cipe ad agosto. Le risorse serviranno a proseguire i
lavori sui tratti Alvisopoli-Gonars (terzo lotto), Gonars-Nodo di Palmanova (primo sublotto del
quarto lotto), Alvisopoli-Portogruaro (primo stralcio del secondo lotto), nodo di Palmanova-Casello
di Palmanova (secondo sublotto del quarto lotto). Una parte servirà poi per la costruzione del nuovo
casello del Lisert e per una serie di interventi per la realizzazione di cavalcavia e barriere
fonoassorbenti, nonché per le procedure di esproprio. I 600 milioni comprendono i 300 già messi a
disposizione da Cdp (con due diverse linee di credito da 150 milioni ciascuna), cui si aggiungono i
300 stanziati dalla Bei sulla base del piano Juncker per le infrastrutture europee. La presidente
Debora Serracchiani ha sottolineato che «oggi si riconosce che quest'opera è un asse strategico
fondamentale per l'Europa centro-orientale e per il corridoio Adriatico-Baltico. Per questo è stata
finanziata dal governo italiano e dal piano Juncker, di cui rappresenta la prima opera per cui si è
passati ai fatti». Serracchiani ha aggiunto che «la procedura di creazione della newco di Autovie
Venete sta andando avanti per ottenere la nuova concessione» . La sua costruzione ha richiesto al
momento poco meno di un miliardo: ai 600 milioni si sommano infatti i 168 di risorse proprie
impegnate da Autovie e i 153 garantiti dal governo a fondo perduto. Il presidente Maurizio
Castagna ha evidenziato che il prestito Bei-Cdp «permetterà di chiudere il tratto PortogruaroPalmanova, che è il più critico: sarà finito nel 2021. L'impegno di Bei e Cdp testimonia la bontà di
un'iniziativa di respiro europeo». Antonella Baldino, chief business officer di Cdp, ha manifestato
infine soddisfazione perché «il finanziamento è il primo della piattaforma Bei-Cdp per sostenere
interventi infrastrutturali strategici».
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Alla Fantoni la pressa più lunga d’Europa (M. Veneto)
Giornata storica quella di ieri nella zona industriale di Osoppo, negli stabilimenti Fantoni, dove è
stata posata la parte finale della torre del Plaxil 8, l’impianto di produzione denominato Mdf che
conterrà la pressa continua più lunga d’Europa (65,6 metri). Una gru alta 85 metri della portata di
800 tonnellate ha posato infatti 215 tonnellate di struttura metallica per l’edificio progettato
dall’architetto Pietro Valle che raggiunge così la considerevole altezza di 48 metri complessivi. Un
edificio estremamente imponente - 300 metri di lunghezza per contenere appunto la maxi pressa più
lunga d’Europa - che spicca all’interno del campus progettato alla fine degli anni Sessanta
dall’architetto Gino Valle e la cui progettazione architettonica prosegue con lo studio gestito dal
figlio Pietro. Come è noto, quello del nuovo impianto di produzione di pannelli in fibra di legno è
un investimento di circa 80 milioni di euro che permetterà alla Fantoni di rafforzare la propria
posizione di avanguardia nella produzione di pannelli in Mdf, materiale di fibra a media intensità,
derivato dal legno. L’impianto infatti, che andrà a sostituire i Plaxil 4 e 5, permetterà di utilizzare
tecnologie produttive molto innovative aprendo nuove frontiere nella produzione dell’Mdf. Le
principali aziende coinvolte in questa fase della realizzazione sono state: Simeon per le carpenterie,
Zanon per i montaggi, Carpin e Vernazza per i sollevamenti. La fine dei lavori nel grande edificio è
prevista per maggio, tra pochi mesi. Il Gruppo Fantoni (azienda fondata nel 1882) è leader nella
realizzazione di mobili per ufficio, pareti divisorie ed attrezzate, pannelli Mdf e truciolari,
pavimenti melamminici e pannelli fonoassorbenti. Tutte le fasi del processo produttivo vengono
svolte dal network di società che compongono il Gruppo e che operano sinergicamente per lo
sviluppo del prodotto: dalla produzione dei materiali e dei semilavorati, alla progettazione di sistemi
d’arredo ufficio innovativi ed ispirati ai più attuali principi del benessere e del design. Costituito da
sette società - Fantoni, Interrail, La Con, Lesonit (Slovenia), Novolegno, Patt, Spik Iverica (Serbia)
- il Gruppo Fantoni produce autonomamente resine, impregna la carta per la nobilitazione dei propri
pannelli e, grazie alle centrali idroelettriche e agli impianti di cogenerazione, contribuisce
notevolmente al proprio fabbisogno energetico.
Colloredo, personale ai minimi storici. Il sindaco minaccia di lasciare (M. Veneto)
di Luciana Idelfonso - A fianco dei sindaci che hanno lanciato il guanto di sfida alla Regione per i
tagli al personale c’è anche il primo cittadino di Colloredo di Monte Albano Luca Ovan pronto a
partecipare alla “rivoluzione pacifica” e democratica avviata da alcuni colleghi sindaci a partire da
quello di Lestizza Geremia Gomboso e se necessario a valutare le dimissioni. «La situazione - ha
commentato Ovan- non è più sostenibile e mi domando se la Regione conosca lo stato in cui
versano i Comuni. Possibile che a nessuno sia venuto in mente un piano di assegnazione del
personale, per esempio provinciale, a supporto degli enti locali invece di finire tutti in Regione?
Credo sia doverosa una presa di posizione che potrebbe arrivare anche alle dimissioni dei sindaci e
non per problemi politici o per contrasti con le opposizioni ma per carenza di personale». Per Ovan
i continui tagli non permettono di offrire i servizi necessari ai cittadini: «Ho quattro impiegati, di
cui uno part time, un operaio e un vigile urbano. Per continuare ad andare avanti sfrutto, con scarso
successo, la mobilità che non fa altro che complicare le relazioni tra le varie amministrazioni che si
contendono il personale. Queste leggi ci stanno portando al collasso: il bilancio armonizzato, le
procedure di mobilità, la leggi nazionali e regionali che limitano le possibilità di spesa hanno
portato sempre più burocrazia e complicazioni e sempre meno personale. Proprio per questo mi
unisco all’appello lanciato dal sindaco di Lestizza e ritengo sia indispensabile la convocazione
immediata di un incontro pubblico con la Regione».
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CRONACHE LOCALI
Colautti non passa, la Fiom resta senza guida (Piccolo Trieste)
Non sono passate la candidatura e la proposta programmatica di Sasha Colautti per pilotare la Fiom
triestina. E il segretario, dopo un anno e mezzo alla guida della categoria, ha deciso di non
ricandidarsi, preferendo tornarsene al lavoro in Wärtsilä. «Sono a disposizione per gestire il
passaggio di consegne con il mio successore, ma ritengo non revocabile la mia intenzione di correre
nuovamente per la segreteria. Una questione di doverosa coerenza» Venerdì scorso l’assemblea
generale dei metalmeccanici cigiellini non ha tributato a Colautti il quorum necessario: Colautti l’ha
sbagliato di poco, perchè ha raccolto 21 voti e gliene servivano 23, cioè la maggioranza assoluta
rispetto ai 45 aventi diritto. Vuoi i 9 assenti, vuoi i 10 voti contrari, vuoi i 5 astenuti, l’obiettivo di
ri-ottenere l’investitura, dopo le dimissioni presentate alla fine dell’anno, non è stato centrato.
Eppure sembrava che per Colautti le cose si fossero messe bene: infatti il responsabile nazionale
organizzativo Enzo Masini, che ha coordinato i lavori assembleari, aveva monitorato nella giornata
di giovedì gli umori dei “grandi elettori” e aveva riscontrato un’ampia (per quanto non unanime)
adesione alle posizioni espresse dal segretario triestino. Tant’è che, nonostante Colautti militi
all’opposizione del leader Maurizio Landini, i cosiddetti “centri regolatori” delle candidature,
ovvero Cgil Fvg e Fiom nazionale, alla fine non avevano ostato alla ri-presentazione del segretario
dimissionario. Ma, dopo il lungo dibattito della mattinata, la segretezza delle urne ha riservato
un’amara sorpresa non solo a Colautti, ma allo stesso Masini che evidentemente riteneva che l’esito
avesse dovuto essere un altro. Adesso, come avrebbe detto Gino Bartali, «l’è tutto da rifare». La
strategia di Colautti non ha sfondato: il segretario si era dimesso, all’indomani del buon risultato
ottenuto a Trieste dai “no” (46,11%) nel referendum sul contratto delle “tute blu”, per ri-ottenere la
guida della Fiom con una più forte legittimazione. Ne aveva parlato con lo stesso Landini, che, a
onta delle differenze politiche, alla fine non gli aveva tagliato la strada, pur consigliandolo di aprire
la segreteria all’opposizione. Colautti metteva sul tavolo i buoni risultati conseguiti durante il 2016,
che avevano portato l’organizzazione a 1100 iscritti con un aumento del 17% rispetto alla
precedente gestione. Ma l’uscente doveva fare i conti con l’irriducibile opposizione arroccata
soprattutto nella Ferriera, che proprio sullo stabilimento siderurgico ha una posizione differente da
quella di Colautti. Insomma, è stallo al vertice della Fiom triestina. Perchè, se è vero che a Colautti
è mancata la pienezza del consenso, è altrettanto vero che candidature alternative non ne sono state
presentate. Roma e Trieste decideranno come proseguire per sbloccare l’impasse. magr
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Le cuoche “disertano” le mense. Per i bimbi scatta la dieta forzata (Piccolo Trieste)
di Laura Tonero - Niente pasta al ragù e polpette. E nemmeno tortellini panna e prosciutto seguiti da
cosce di pollo con patate al forno. Giovedì, al loro rientro in classe dopo la pausa di Carnevale, i
bambini iscritti ai nidi, alle materne e alle elementari di Trieste, non riceveranno all’ora di pranzo il
classico pasto completo. Al massimo, sui loro vassoi, troveranno degli spaghetti al burro o dei
panini. È il risultato del blocco dell’attività delle mense scolastiche legato allo sciopero proclamato
dai sindacati. Per 48 ore (giovedì e venerdì prossimi) le 154 addette alle mense scolastiche
dipendenti della Dussmann - la società che è aggiudicata il maxi appalto comunale per la
ristorazione -, si terranno infatti alla larga dai fornelli e incroceranno le braccia per denunciare una
situazione definita insostenibile. «Abbiamo tenuto duro per mesi - è il loro sfogo - ma ora passiamo
al contrattacco: è arrivata la resa dei conti e diciamo basta». Sotto accusa il peggioramento delle
condizioni di lavoro e il drastico taglio delle retribuzioni, come conseguenza della pesante della
riduzione delle ore di lavoro. Un quadro, analizzato anche la settimana scorsa nel corso di
un’affollata assemblea sindacale, che verrà illustrato pubblicamente anche con un picchetto nel
salotto buono della città. «Dussmann non ha manifestato alcuna volontà ad accogliere le nostre
richieste e ha presentato alternative insufficienti rispetto all’attuale situazione - spiega Andrea Blau
della Fisascat Cisl -. L’azienda resta ferma sulle sue posizioni, per cui si è deciso di scioperare». La
richiesta dei sindacati consiste nel consolidamento delle poche ore supplementari concesse in questi
mesi alle dipendenti e nell’ulteriore allungamento dei turni di lavoro. Due condizioni necessarie,
spiegano, per consentire alle addette alle mense di svolgere il proprio lavoro in modo decoroso,
senza orari frenetici e con uno stipendio dignitoso. Dussmann, da parte sua, si è detta disponibile ad
aggiungere al massimo 21 ore extra al giorno da spalmare sulle sette strutture più complesse,
ipotizzando eventuali allungamenti dei turni di lavoro solo in caso di altri servizi aggiuntivi
assegnati dal Comune. Troppo poco, insomma, per i sindacati. «Si sta calpestando la dignità di
queste persone, è stato creato un problema sociale che va risolto quanto prima, - sottolinea Blau -.
Auspico che il Comune non ricorra a servizi aggiuntivi per riparare ai tagli di Dussmann: creerebbe
un precedente pericoloso». Le organizzazioni sindacali, come si ricorderà, avevano contestato fin
dal principio quell'appalto da 21 milioni di euro per 42 plessi scolastici, definendo «non sostenibili»
i tagli lineari avviati dall'azienda sulla maggior parte di dipendenti. Rispetto alla precedente
gestione targata Cir Food, secondo i dati forniti dai sindacati, il monte ore totale settimanale delle
lavoratrici è stato ridotto in media del 25%. E meno ore, ovviamente, significano meno soldi in
busta paga a fine mese. Alcune lavoratrici, riferiscono i sindacati, si sono viste ridurre lo stipendio
da 1.200 a 400 euro. Anche se la paga scende, però, le addette alle mense sono chiamate ad
assicurare lo stesso servizio di un tempo. Come? Facendo i salti mortali, prima di tutto. Ma anche
ricorrendo a “giochetti” ampiamente contestati dalle sigle sindacali. Per esempio a fronte della
riduzione dell’orario giornaliero molte dipendenti si sono viste introdurre una lunghissima pausa
pranzo. Risultato? Alla fine l’arco di impegno resta praticamente lo stesso. Va detto poi che le
cuoche interessate dai tagli in busta paga meno drastici, si ritrovano poi con delle aiuto cuoche ad
orario ridotto rispetto al precedente appalto. Condizione che impone appunto alle coordinatrici di
ingegnarsi in mille modi, e con inevitabile stress, per riuscire a garantire il servizio. «L'azienda deve
provvedere ad un'iniezione di ore nell'appalto - sostiene Matteo Zorn di Uil Tucs - se poi ci saranno
dei servizi aggiuntivi saranno benvenuti. La situazione è di una gravità inaudita - aggiunge - questa
persone sono state catapultate in un sistema perverso che peggiora la loro situazione ogni qual volta
c'è un cambio d'appalto. Ci aspettiamo solidarietà dai genitori e dal Comune - avverte Zorn -. Le
lavoratrici non ce la fanno più, molte di loro non hanno nemmeno diritto al bonus da 80 euro
istituito dal governo Renzi perché hanno un reddito inferiore a 8mila euro, ma hanno un forte senso
del dovere e spesso restano al lavoro di più pur di garantire un buon servizio». Domani mattina i
sindacati incontreranno i dirigenti del Comune.
«Paga crollata da 1.200 a 400 euro»
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Cresce la paga di D'Agostino, ma l'uomo d'oro è Gurreri (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana - Mentre latita ancora l’annuncio della composizione della nuova governance
dell’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico orientale di cui faranno parte Trieste e Monfalcone,
il ministero, secondo l’anticipazione fatta dal sito specializzato The Meditelegraph, ha emanato il
decreto sulle indennità previste per i presidenti: 170mila euro lordi all’anno (circa 7mila euro netti
al mese) a cui si aggiunge una quota variabile di ulteriori 60mila euro lordi ottenibile tramite il
raggiungimento di determinati obiettivi. È quanto dovrebbe arrivare in tasca a Zeno D’Agostino.
Nei suoi decreti di nomina a commissario dell’Authority triestina, si legge che gli era riconosciuto
un trattamento economico pari all’80% di quanto previsto per i presidenti delle Autorità portuali e
nel suo curriculum vitae datato 21 gennaio 2016 si specifica che il compenso previsto su base annua
è di 150.896,73 euro al lordo delle trattenute di legge. D’Agostino non riceve alcun compenso per il
ruolo di presidente di Trieste terminal passeggeri, né per quello di componente del consiglio di
amministrazione dell’Azienda speciale per il porto di Monfalcone per cui percepisce un gettone di
presenza di 30 euro a seduta. La sua nomina a presidente porta la data dell’8 novembre 2016 e ora il
progresso anche economico della sua posizione è evidente anche se non clamoroso tanto da
insediare il ruolo di autentico uomo d’oro del porto qual è oggi Antonio Gurrieri, responsabile della
Direzione amministrativa (Contabilità finanziaria, contabilità generale e analitica, tesoreria,
recupero crediti, economato, adempimenti fiscali) che nel 2015, come si legge sul sito web
dell’Authority, ha raggranellato la bellezza di 214.153 euro, sempre lordi si intende. La situazione è
infatti tale che è già stato segnalato che in non poche Adsp segretari generali e dirigenti a fine
carriera guadagneranno più dei presidenti. Quanto a stipendi, i pezzi grossi della Torre del Lloyd
non sembrano passarsela affatto male, dati i tempi di crisi generale. Il 10 aprile 2015 il Comitato
portuale con una propria delibera ha nominato segretario generale dell’Authority Mario Sommariva
stabilendo il suo trattamento economico in 175.500 euro lordi, riducendo così del 10% lo stipendio
di 195.000 euro annui che nel 2010 venivano percepiti da Martino Conticelli segretario all’epoca
della presidenza di Claudio Boniciolli. Marina Monassi, la presidente successiva non aveva mai
nominato un segretario generale di ruolo affidando gli incarichi corrispondenti a Walter Sinigaglia,
facente funzioni, che nello schema delle retribuzioni per l'anno 2013 risultava però nettamente in
testa ai dirigenti con un trattamento di ben 215.000 euro. Nello schema delle retribuzioni lo stesso
Sommariva risulta aver percepito nel 2015, 127.646 euro, ma la sua nomina come detto è appena di
aprile di quell’anno. Non ha rivali dunque in fatto di soldi, Antonio Gurrieri, di origini siciliane, 57
anni, lauree in giurisprudenza (Bologna) e in somatopsichica (Bruxelles) che è anche
amministratore delegato della società Alpe Adria. Nel 2015 ai suoi 196.000 euro di trattamento
economico individuale si sono aggiunti 7.426 di premio fisso conglobato, 9.800 di raggiungimento
obiettivi, 291 di incentivo progettazione e 636 di festivo non goduto. Dal punto di vista economico
si è preso la rivincita per le mancate nomine a presidente e a segretario generale per le quali pure
era stato candidato. Lo segue in classifica Eric Marcone, responsabile della Direzione tecnica
(Pianificazione, manutenzioni, grandi opere, ambiente, programmazione) con 167.005 euro. Su
livelli pressoché uguali gli altri cinque dirigenti della Torre del Lloyd: Fabio Rizzi responsabile
della Direzione attività portuali (Autorizzazioni, security, safety, permessi di transito) ha percepito
149.109 euro, Fabio Crosilla (stessi incarichi), 147.925 euro, Francesca Trampus, responsabile della
Direzione amministrativa demanio (atti pluriennali, licenze, ordinanze, catasto) 145.983 euro e
Roberto Magris responsabile della Direzione servizi (servizi di interesse generale, controllo società,
gare e contratti, patrimonio) 145.683 euro. Quanto ai portafogli personali il porto sembra almeno
una spanna sopra il municipio che logicamente ha un numero superiore di dirigenti. Nello stesso
anno, il 2015, solo l’ex segretario generale Filomena Falabella teneva testa alla Torre del Lloyd con
178.874 euro. Al secondo posto con 138.553 euro Mauro Silla a capo dei Servizi e politiche sociali,
somma inferiore a quella di qualsiasi dirigente del porto.
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«Lavori socialmente utili per i migranti» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - «Bisogna fare in modo che i richiedenti-asilo vengano impiegati in qualche
maniera. Come? Occupandoli con dei corsi, come peraltro già abbiamo fatto. Oppure ricorrendo ai
lavori socialmente utili. Insomma, bisogna trovare occasioni per reimpiegarli in maniera concreta e
fattiva: così, ci saranno meno occasioni, per loro, di raggiungere le zone fluviali». Il viceprefetto
vicario Antonino Guletta torna a lanciare l’appello. E lo indirizza a tutti i Comuni isontini
“ospitanti” richiedenti-asilo, compresa Gorizia. Capita, infatti, che i migranti passino l’intera
giornata a passeggiare, a telefonare, a fare nulla, quando invece potrebbero trasformarsi in una
risorsa per le comunità. Non più tardi di qualche giorno fa, l’assessore regionale Gianni Torrenti (in
occasione dell’incontro dedicato ai controlli della Forestale) annunciò la disponibilità della Regione
a «sostenere con i fondi necessari anche il Comune di Gorizia, oltre al Comune di Gradisca
d’Isonzo, per progetti che prevedano l’impiego volontario dei richiedenti protezione internazionale
in attività socialmente utili». Un annuncio che va nell’esatta direzione dei desiderata della
Prefettura. «Attraverso il “tavolo accoglienza” sensibilizziamo i Comuni - la sottolineatura di
Gulletta - per lanciare protocolli d’intesa con l’obiettivo di impiegare gli stranieri in attività
socialmente utili». L’andamento degli arrivi «Com’è la situazione odierna? Diciamo che stiamo...
respirando - annota Gulletta -. Dopo il trasferimento di cento richiedenti-asilo in Lombardia e in
Piemonte, oggi siamo a quota 880 in tutta la provincia. Prima dell’arrivo delle corriere, il dato era di
950 unità. Significa che nel frattempo sono arrivate altre trenta persone. I flussi non si sono mai
fermati: in questi giorni, i richiedenti-asilo arrivano al ritmo di 3, 4 persone al giorno. Insomma, non
ci sono numeri mostruosi ma il rubinetto continua a funzionare. Comunque, non posso che ribadire
il “grazie” al Ministero degli Interni per la sensibilità dimostrata nei confronti della nostra città». La
“geografia” dei flussi I nuovi arrivi sono, in questa fase, soprattutto di afghani: arrivano da altri
Paesi europei dove si stanno rinforzando i cosiddetti “rimpatri forzati”. In Germania, ad esempio,
sono stati organizzati voli charter sulla rotta Francoforte-Kabul. Con lo spauracchio di altre
iniziative di questo tipo, molti richiedenti-asilo stanno lasciando il suolo tedesco e, attraverso
l’Austria, stanno raggiungendo il Friuli-Venezia Giulia. E le mete preferite continuano ad essere
Udine e Gorizia. Non a caso, nei giorni scorsi, il sindaco Romoli aveva invocato anche l’intervento
dei parlamentari isontini e della Regione per arginare il fenomeno.
Detroit, molti lavoratori in strada (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Sono trascorsi due anni, ormai, da quando cessava la sua produzione lo stabilimento di Ronchi dei
Legionari della Detroit Refrigeration. Qualche mese dopo, concluse le operazioni di
smantellamento, il grande edificio di via Redipuglia veniva chiuso. Finiva un'epoca che aveva
contraddistinto l'attività dello stabilimento che, con la sua produzione, si era fatti largo in tutto il
mondo. E per la larga parte dei dipendenti finiti in mezzo ad una strada, ben 124, sono anche finiti
gli ammortizzatori sociali. La minima parte di questi, forse il 10%, sino ad oggi hanno avuto la
possibilità di essere reintegrati nel mondo del lavoro con contratti a tempo indeterminato. Per il
resto si sono dovuti accontentare di contratti spot o di lavorare con i vaucher. Discorso diverso,
invece, per i lavoratori che hanno più di cinquant'anni. Per loro un posto di lavoro è rimasto, spesso,
una chimera. Nessuna prospettiva, poi, nemmeno per la vendita dell'area. Le poche, manifestazioni
di interesse sono rimaste lettera morta e così lo stabilimento degrada a vista d'occhio.
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Indennità ai vigili, Cgil-Cisl-Uil vanno dal prefetto (M. Veneto Udine)
di Giacomina Pellizzari - Indennità di responsabilità ai vigili: la parola passa al prefetto. Cgil, Cisl e
Uil proclamano lo stato di agitazione e chiedono al rappresentante del Governo di indire il tavolo di
conciliazione. L’obiettivo è sbrogliare una matassa piuttosto complicata. Una matassa che poteva
essere riavvolta prima del passaggio degli agenti della polizia municipale nell’Unione territoriale
intercomunale (Uti) Friuli centrale, ma che nessuno si è preso la briga di fare nonostante tutti
sapessero che quell’indennità conteggiata in busta paga dal 1999, quando il Comune armò i vigili,
andava inserita nel pacchetto delle indennità specifiche di responsabilità soggette a contrattazione.
Non a caso le organizzazioni sindacali sottoscrissero il pre accordo con la clausola che entro il 31
dicembre 2016 avrebbe dovuto essere discusso l’accordo integrativo. Il condizionale è d’obbligo
perchè la data è stata disattesa e l’Uti ha sospeso il pagamento dell’indennità ai vigili. Ora che 75 ex
dipendenti del Comune hanno ricevuto, senza preavviso, la busta paga decurtata di circa 80 euro
netti, il problema è diventato urgente. Cgil e Cisl sostengono di aver sollecitato più volte l’incontro
senza ottenere alcun riscontro, lo stesso fa il presidente dell’Uti e sindaco di Udine, Furio Honsell,
assicurando di aver sempre fatto presente che il vero nodo da sciogliere era quello delle indennità. Il
sindaco minimizza: «Una proposta era stata fatta, ma è stata rimandata. L’ultima modifica di legge
prevede la costituzione di un tavolo unico di concertazione che copre i dipendenti di tutti i comuni
dell’Uti e dell’Uti stessa. Si tratta di armonizzare le indennità». La lettera La questione è un po’ più
complessa rispetto a come vine descritta anche perché l’armonizzazione delle indennità deve tener
conto di due principi: l’indennità di responsabilità non può essere assegnata in modo continuativo e
riconosciuta a tutti. Chiariti i tecnicismi torniamo alla lettera con la quale il direttore dell’Uti,
Giuseppe Manto, ha comunicato ai dipendenti comunali che «l’ufficio di presidenza ha disposto di
sospendere l’erogazione dei compensi per specifiche responsabilità riconosciuti al personale ora
dipendente dell’Uti, nelle more della definizione dei nuovi criteri per il riconoscimento di dette
indennità, che saranno oggetto di contrattazione unica sull’intero territorio dell’Unione e valevoli
pertanto per tutto il personale dipendente». La decisione è stata assunta nonostante lo scorso ottobre
le organizzazioni sindacali avessero chiarito che in assenza di contratto decentrato, quello che
avrebbe dovuto vedere la luce entro il 2016, «fino alla sottoscrizione del decentrato Uti si
applicheranno i Ccdi del Comune di provenienza di ciascun dipendente». Le organizzazioni
sindacali Alla domanda «ma perché a fine dicembre le organizzazioni sindacali, di fronte alla
mancata contrattazione, non hanno alzato la voce?», i referenti territoriali della Funzione pubblica,
Giovanni Di Matola (Cisl), e Roberto Boezio (Cgil), assicurano di averlo fatto. «La lettera per
indire lo stato di agitazione era pronta, ma chi se ne doveva occupare per errore non l’ha fatto»,
afferma Di Matola guardandosi bene dal fare nomi e cognomi. «Prima di firmare l’accordo di
ottobre - aggiunge -, la Cisl si è turata il naso e ha chiesto di avere una data certa che era quella del
31 dicembre 2016. A inizio febbraio abbiamo di nuovo sollecitato l’attivazione del tavolo negoziale
chiedendo di destinare eventuali risparmi di spesa alle indennità dei lavoratori». Quell’impegno è
stato disatteso e la Cisl denuncia apertamente «la mancanza di un interlocutore». Attraverso un
volantino in distribuzione in queste ore, Di Matola vuole sapere perché la scadenza del 31 dicembre
2016 è venuta meno. «In questa situazione - rincara Boezio - siamo arrivati perché si è voluto
arrivati». Boezio critica il modo con cui il Comune di Udine e l’Uti hanno intrattenuto le relazioni
sindacali. «L’abbiamo denunciato più volte - sottolinea - le relazioni sindacali non si possono fare
attraverso i media». Detto questo la Cgil ammette di non aver fatto alcuna forzatura o
«manifestazione che dimostrasse la forza del sindacato», lo fa sottolineando che oggi questo fatto
mette nelle condizioni «di ottenere un tavolo di concertazione per recuperare la situazione». Il
tavolo di conciliazione Oggi il problema è convocare in tempi rapidi il tavolo e verificare se l’Uti ha
istituito il fondo necessario a pagare le indennità. «Faremo di tutto perché la situazione si
normalizzi subito», ripete Boezio annunciando lo stato di agitazione così come ha deciso
l’assemblea e la richiesta del tavolo di conciliazione indirizzata al prefetto, Vittorio Zappalorto. «Il
problema è economico», afferma Boezio nel precisare che ogni Comune ha un fondo a disposizione.
Udine l’ha già previsto a bilancio, ma in base al numero di persone trasferite all’Uti (palazzo
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D’Aronco ne ha cedute 270) deve trasferire una quota all’Uti. «Fino a quando non si completa
quell’operazione come si fa a liquidare risorse in quota al bilancio dell’Uti?». La domanda di
Boezio è lecita anche perché al tavolo di conciliazione dovranno essere sciolti anche altri nodi. Non
ultimi quelli dell’organizzazione dei turni e del riconoscimento dei festivi. Detto che nell’Uti Friuli
centrale quattro comuni su sei non hanno la polizia locale armata e che per svolgere determinati
servizi è preferibile avere l’arma, Boezio si chiede: «Abbiamo le risorse per armare tutti i vigili
dell’Uti. In quanto tempo si completerà questa operazione?». Pure queste sono domande lecite visto
che gli agenti lavorano in squadra e quindi può capitare che due vigili si trovino a svolgere lo stesso
servizio uno armato, l’altro no. Senza contare che a Udine i turni sono articolati su sette giorni e
quindi gli agenti che garantiscono la sicurezza allo stadio, a differenza dei colleghi degli altri
comuni, non hanno diritto al festivo. «Se, per ipotesi, decidiamo di strutturare i turni sulle 24 ore a
Udine manca la copertura», prosegue Boezio convinto che, a prescindere dalle modifiche di legge,
«c’era tutto il tempo per organizzarsi, se ne parla dal 2015».
Latisana, Bergamin verso la riapertura. C’è un acquirente (M. Veneto Udine)
di Paola Mauro - Altri quattro mesi di sospensione della licenza commerciale per riuscire a definire
«la trattativa in corso con una ditta interessata a rilevare il complesso». E poi l'ex punto vendita di
Bergamin di Latisana potrebbe riaprire, anche con un nuovo aspetto urbanistico. Il piano terra
potrebbe infatti diventare un parcheggio al coperto al servizio dei rimantenti 3.000 metri quadrati di
superficie di vendita, per un complesso posto all'ingresso di Latisana e classificato come esercizio
di vendita al dettaglio di grande struttura. In un edificio di grande pregio architettonico: come tutte
le sedi Bergamin anche questo porta la firma dell'architetto Gino Valle. Se non a una vendita
l'attuale proprietà, il gruppo Sme, sta valutando anche l'ipotesi di procedere con un contratto affitto
– ha spiegato ieri Plinio Trevisan, consulente del gruppo di Cessalto – l'importante sarebbe arrivare
a una definizione del futuro dell'edificio entro il 30 giugno, quando scadrà la nuova proroga
concessa dal Comune di Latisana: «speriamo che in questi mesi si arrivi a una definizione, ma le
difficoltà del momento non aiutano – ha aggiunto il consulente del gruppo Sme – qualche contatto è
in atto ma non è facile trovare imprenditori disposti a investire». La decisione di chiudere il punto
vendita di Latisana, concentrando tutta l'attività nella sede di Summaga di Portogruaro, risale
all'estate del 2015: due spazi commerciali a una quindicina di chilometri uno dall'altro, lavorando
sullo stesso bacino di utenza, erano arrivati al punto di farsi concorrenza da soli. L'edificio di
Latisana dispone di un'area di parcheggio di proprietà, un ventina di posti auto all'inizio di via
Sabbionera che per l'attività di un negozio di arredamento erano sufficienti ma che per una nuova
attività commerciale potrebbero essere pochi, ma l'ipotesi di aprire il piano terra dell'edificio e
trasformarlo in un parcheggio al coperto potrebbe rappresentare il via libera alla trattativa in corso.
La decisione della Giunta comunale di concedere una proroga è legata anche a quanto scritto dalla
proprietà in una nota protocollata a fine anno, dove si parla di «una trattativa in corso con un'altra
ditta interessata a rilevare il complesso». Una delle richiesta avanzate dal Comune di Latisana alla
proprietà – conferma il consulente del gruppo Sme – è quella di riuscire a concludere una trattativa
mantenendo la destinazione commerciale dell'edificio.
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Overtel, i sindacati chiedono i contratti di solidarietà (M. Veneto Pordenone)
di Giulia Sacchi - Da una parte la richiesta a Overtel di presentare un piano di rilancio aziendale,
dall’altra quella di gestire gli esuberi coi contratti di solidarietà: a formularle i sindacati
nell’incontro di ieri a Bologna per discutere della crisi che sta attraversando la società che gestisce il
call center di Bofrost. L’azienda ha dichiarato 70 eccedenze a livello nazionale, di cui 30 tra i 115
dipendenti del sito di San Vito al Tagliamento. Ma sulla solidarietà c’è chiusura da parte
dell’impresa, che preferisce la cassa integrazione. Peccato, però, che per quest’ultima siano previsti
24 mesi, per l’ammortizzatore su cui spingono le forze sociali invece 36. «Su questa partita non
molliamo: un anno in più di ammortizzatore non è poco – chiarisce Daniela Duz (Filcams Cgil) –.
La solidarietà dà la possibilità a tutti di lavorare, a meno ore. Abbiamo ribadito all’azienda che
dovrà essere pure aperta la mobilità volontaria. Non si accettano forme coatte di uscita dal sito». I
sindacati hanno chiesto anche di gestire ferie e permessi. Quindi i chiarimenti sullo spostamento di
pacchetti clienti. «Un anno fa sono stati spostati 9 mila clienti dal sito sanvitese – fa sapere Duz –.
Da qui la richiesta di lumi all’azienda». Saltato l’accordo sperimentale, che nasceva da una richiesta
aziendale, per spezzare in due parti il part-time e fare cominciare a lavorare un quarto d’ora prima le
maestranze. «Un’intesa che nasceva da una deroga al contratto nazionale – precisa Duz – e che da
gennaio ha fatto partire una sperimentazione del nuovo orario che non ha dato i risultati attesi. Visto
il fallimento, si tornerà all’orario normale». «Nel summit del 13 marzo Overtel presenterà una
proposta elaborata sulla base delle richieste sindacali – conclude Duz –. E’ necessario che la società
depositi un piano con chiare strategie anche per il futuro, al di là della riduzione dei costi che pare
essere la priorità dell’impresa». Per i dipendenti è pure importante migliorare il clima di lavoro nel
call center. «Le forme di controllo, soprattutto sulle unità ritenute meno performanti, si sono
inasprite – spiegano Barbara Bortolussi, Sabrina Battistella e Tatiana Sommermann (Rsu Filcams) –
. L’azienda deve intervenire per evitare situazioni di tensione».
Aviano: muro contro muro: «Sereni Orizzonti chiude» (M. Veneto Pordenone)
di Sigfrido Cescut - Bagarre in consiglio comunale sulla vicenda di Sereni Orizzonti. È stato muro
contro muro tra maggioranza e opposizione sulla mozione che intendeva sollecitare
l’amministrazione di centrosinistra a riaffidare il servizio nella struttura di accoglienza per anziani
di Prà de Plana ala società. La discussione della mozione i consiglio è andata avanti per ore, fino
alla voto del documento. Danilo Signore, di Forza Italia, ripercorrendo tutto l’iter dei cinque anni di
Sereni Orizzonti ha chiesto perché solo ora Aas5, Ambito e Comune danno un giudizio negativo
sulla collocazione e sulla gestione. E il capogruppo Paolo Tassan Zanin ha posto una domanda
all’assemblea: serve questo servizio, si deve fare un altro bando? Il consiglio comunale, affrontando
la discussione del documento dell’opposizione è anche entrato nel merito del servizio offerto da
Sereni Orizzonti. Gli esponenti della maggioranza hanno espresso un parere che esclude di
proseguire l’esperienza della struttura di accoglienza per anziani. Pertanto, la sperimentazione
messa in atto dalla giunta Del Cont Bernard, nel 2011 – aggiuntiva e integrativa al servizio della
casa di riposo comunale – «può considerarsi finita sotto tutti i punti di vista», dice la giunta. «Il
Comune non può fare quello che vuole per accontentare Sereni Orizzonti – ha ribadito il
vicesindaco Sandrino Della Puppa –. Secondo quanto stabilito dal codice degli appalti è proibita
una proroga del contratto. Il Comune ha applicato solo dilazioni tecniche, – prima di cinque e poi di
tre mesi, fino alla fine di marzo, per consentire la chiusura di Sereni Orizzonti e il trasferimento
degli anziani». Entrando nel merito di quest’ultimo aspetto, Alfonso Colombatti, assessore
all’assistenza e ai servizi sociali, ha affermato: «Anche gli anziani ancora ospitati possono trovare
posto in altre strutture, compresa la casa di riposo di Aviano». Venendo al servizio garantito da
Sereni Orizzonti, per Colombatti, «non esistono più i presupposti per continuare la
sperimentazione». Il giudizio viene sottolineato da una valutazione del servizio stesso, sul quale
l’amministrazione comunale rileva molte ombre». Colombatti ha letto alcuni passaggi di una lettera
di denuncia inviata dalla figlia di un ospite.
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Oralplant assume solo in Svizzera (Gazzettino Pordenone)
Marco Agrusti - Cordenons? No grazie, si assume solo in Svizzera. Dell'azienda Oralplant si era già
parlato due anni fa, così come della delocalizzazione parziale che aveva scelto il suo fondatore, il
presidente e amministratore delegato Sergio Moro. La ditta specializzata nell'innovazione
tecnologica in campo odontoiatrico, con sede in via Amman, aveva infatti scelto il Ticino (la
Svizzera italofona) e Mendrisio per spostare direzione e marchio. E oggi il quadro si è aggravato
ulteriormente. A raccontarlo è proprio Moro, che inizia con una promessa e un aneddoto: «Non
lascerò Cordenons - mette le mani avanti - ma solo perché sono folpo e parlo in folpo. Qui ci sono
le mie radici e la mia identità, ecco perché non me ne vado del tutto. Ma siamo bravi a restare, ho
detto tutto». Poi l'aneddoto: «Di recente l'azienda è entrata in contatto con possibili clienti
provenienti dalla Russia e dalla Turchia, ma entrambi hanno rifiutato l'Italia e Cordenons. Volevano
dialogare solo con il marchio svizzero e la componente ticinese dell'azienda. Ecco come e dove
siamo finiti». Un quadro che fotografa l'appeal di un'Italia in caduta e la differenza tra una divisione
aziendale che trova posto nella zona industriale che si dirama da via Chiavornicco e un'altra gemella - con sede in Svizzera. E qui si arriva al cuore dell'annuncio, che non lascia spazio a
ulteriori e complesse interpretazioni: «Assumere a Cordenons? Sarebbe come sposarsi e metterci
poi sette anni per divorziare. Non conviene più e noto anche molte carenze nei giovani del posto.
Non c'è la corsa al lavoro che tanti descrivono. Volevamo ampliare il capannone cordenonese, ma
non c'è stata la possibilità a causa di una burocrazia troppo lenta e complessa. Ora se possiamo
assumiamo nella divisione svizzera dell'azienda. Anzi, a Cordenons i numeri potranno diminuire,
perché spesso quelli bravi se ne vanno dove conviene di più». Un'ultima nota di colore che però dà
il senso del contesto: la Oralplant ha cambiato il suo marchio e affiancata al nome c'è la croce greca
che domina la bandiera della Confederazione svizzera.
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