«Il Paradiso? È un parco in cui godere della compagnia degli amici

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«Il Paradiso? È un parco in cui godere della compagnia degli amici
[L’INTERVISTA/LUCIANO DE CRESCENZO]
DI MARINO PARODI
Luciano De Crescenzo
nello studio della
sua casa di Roma
UN UOMO FELICE. O QUASI
«Il Paradiso? È un parco in cui godere della compagnia
G
ran signore, acuto osservatore, brillante conversatore ma al tempo stesso essenziale, sicuro di sé quanto basta per
non prendersi troppo sul serio, sornione (benché su quest’ultimo punto non sia affatto d’accordo). Questa è l’impressione che ti fa Luciano De Crescenzo, personaggio affascinante e
unico nel suo genere. Sino all’età di 50 anni
era ancora un illustre sconosciuto, un ingegnere napoletano dirigente della Ibm. Poi pubbli-
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cò un libro, Così parlò Bellavista, che fu subito un best seller internazionale.
Va da sé che l’ingegnere cambia vita: abbandona l’azienda e si dedica a tempo pieno alla
scrittura, diventando ben presto pure sceneggiatore, regista e persino attore. Insomma, un
grande sogno che improvvisamente salta
fuori dal cassetto, con tutta la popolarità
che ne consegue. Tutto questo pare però non
aver minimamente intaccato quella umiltà che
prima vista. Incontriamo De Crescenzo nel
suo appartamento romano, nel cuore di un antico palazzo a due passi dal Colosseo. Ci riceve nello studio, adornato di una galleria di ritratti, foto e cimeli vari, per lo più risalenti alla
sua carriera cinematografica, messa insieme
con grande gusto.
Ingegner De Crescenzo, come si sente i
questa fase della sua vita? Sta per raggiungere un traguardo significativo...
«Molto bene, grazie. Ho avuto molte soddisfazioni nella vita e la salute non manca».
Vedendola così in forma non possiamo
fare a meno di chiederle se ha qualche consiglio da regalare ai nostri lettori sul modo
in cui vivere al meglio “l’età d’oro”.
«Mi sembra particolarmente importante
coltivare i propri interessi e le proprie passioni, nonché le amicizie».
C’è stata anche qualche ombra nella sua
vita, qualche sofferenza?
«Sì. Il dispiacere principale della mia vita è
stato la separazione da mia moglie Gilda. È
stato un grande amore: ci sposammo nel 1961
e lei mi lasciò nel 1965. Tuttavia non abbiamo
mai smesso di volerci bene: pensa che di recente abbiamo fatto una crociera insieme, in
cabine separate, ed è stato bellissimo. Ogni sera contemplavamo il tramonto, mano nella
mano. Non abbiamo mai cessato di trascorrere il Natale insieme, oltre che con nostra figlia
Paola e il nostro nipotino».
Tuttavia par di capire che ci sono stati anche altri amori nella sua vita...
«Sì, se c’è qualcosa di cui sono davvero orgoglioso è il fatto di volere ancora bene ai tre
grandi amori della mia vita, ossia Giuliana
(una ragazza di cui mi innamorai quando ero
“
”
Se c’è una cosa
di cui sono davvero
orgoglioso è il fatto
di volere ancora bene
ai grandi amori
della mia vita
degli amici. E di mia madre, religiosa in modo speciale»
si direbbe proprio connaturata all’uomo De
Crescenzo. È in ottima forma e pare assai
più giovane degli 80 anni che sta per compiere nel mese di agosto. Al primo libro ne
sono seguiti altri 25, tutti coronati da successo. L’ultimo, di recente pubblicazione (come
tutti gli altri presso Mondadori), ha un titolo
che è tutto un programma: Il pressappoco, sottotitolo: Elogio del quasi. Un libro gradevole e
più profondo di quanto potrebbe sembrare a
in terza liceo, mentre lei era in prima), appunto Gilda e Isabella Rossellini. Se proprio devo
farle un complimento direi che è intelligente.
Oggi Isabella vive a New York e ci telefoniamo a turno: una volta tocca a lei e una a me».
Lei ha avuto una vita interessante, ricca
di incontri e di gratificazioni. Quale delle
tante esperienze l’ha più appassionata?
«Sicuramente l’esperienza di insegnante
non ufficiale, la quale, pensa, risale all’epoca
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“
”
Io non vedo grandi
cambiamenti. Il modo
di pensare, soffrire,
gioire e amare
è rimasto lo stesso,
l’uomo è lo stesso
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della mia terza Liceo
classico. Devi sapere
che all’epoca la guerra
era appena finita, regnava un grande caos a tutti i livelli, sicché la classe
precedente della nostra
sessione, la seconda, si
era ritrovata sprovvista
dell’insegnante di matematica e fisica. Fu il mio
professore a chiedermi
di far le sue veci, con
quei ragazzi che avevano appena un anno meno di me. Non ti puoi
immaginare, guaglione,
quanto l’esperienza si
sia rivelata creativa, formativa, divertente, significativa».
Più della scrittura,
della regia, della sceneggiatura?
«Senza nulla togliere
a queste altre esperienze, che pure tanto mi
hanno e spero abbiano
dato qualcosa pure agli
altri, direi proprio di sì.
Quanto alla mia attività
di scrittore o addirittura, come spesso mi chiamano, di “filosofo”, è
giusto riconoscere che in, realtà, non sono stato altro che un divulgatore. In sostanza, non
ho fatto altro che copiare idee altrui, traducendole in termini più semplici rispetto ai testi originali per renderle accessibili a tutti».
A proposito, com’è avvenuta, circa
trent’anni fa, la grande svolta della sua vita?
«In maniera tutto sommato semplice: da
molti anni lavoravo come ingegnere presso
l’Ibm e il mio stipendio non mi permetteva di
vivere alla grande, anche perché allora come
oggi coltivavo la grande e costosa passione della barca. Allora scrissi Così parlo Bellavista e
venne il successo. Mi licenziai dall’Ibm, felice
non solo di trasformare in professione la passione di sempre, ma anche di guadagnare molto di più rispetto a prima».
Che cosa ha significato per lei questo salto di qualità?
Amare il “pressappoco” significa mantenere una
visione aperta sulla vita, l’amore, la religione, l’arte
«A parte il cambiamento del tenore di vita
e del modo di organizzare la mia giornata,
penso di essere rimasto lo stesso, sul piano interiore ed essenziale».
Per quanto riguarda invece i cambiamenti sociali e culturali cui ha finora assistito,
preferisce il mondo com’era quando lei aveva 20, 30 o 40 anni, o quello di oggi?
«Sai che ti dico, guaglione? Io tutto questo
grande cambiamento non lo vedo. A me pare
proprio che il modo di pensare, soffrire, gioire e amare, sia fondamentalmente rimasto lo
stesso, in quanto l’uomo è rimasto lo stesso».
Se lo dice lei... Comunque, tornando ai
suoi libri, lei ne ha appena pubblicato un altro, Il pressappoco, nel quale spiega, per
così dire, la sua singolare filosofia. Vuole
riassumerci di che cosa si tratta?
«Volentieri. Il “pressappoco” è una filosofia di vita, un modo di essere, un punto di vi-
sta sul mondo. Amare il “pressappoco” significa mantenere una visione aperta, elastica e
flessibile della vita, a proposito di tutto ciò
che è più importante: amore, religione, arte,
scienza. Significa avere la saggezza e l’umiltà
di sapersi mettere nei panni degli altri, saper
cambiare opinione quando merita, preferire
la primavera all’estate, il caso al destino, l’ironia alla comicità. Sai chi sono i nemici più terribili del “pressappoco”? I politici, i religiosi, gli innamorati e i tifosi del calcio».
Che c’entrano i religiosi, scusi?
«Se oggi il mondo corre qualche pericolo
è soltanto per colpa dei religiosi. Non a caso, gli islamici sono i primi a essere sospettati di terrorismo. Nella storia del nostro passato, la maggior parte dei morti ammazzati è
da addebitare a una
qualche religione. Noi
italiani all’epoca delle
crociate bollavamo come infedeli loro, gli
orientali, i quali, per
non essere da meno, ci
ripagavano con la stessa
moneta, con il risultato
di ammazzarci a vicenda in nome di Dio».
Un momento, ingegnere. Il suo discorso è
esatto sul piano storico, ma mi permetto di
farle notare due punti
essenziali. È facile accusare le religioni di essere causa di tanti mali.
Tuttavia questi sono
stati sempre derivati da
letture distorte e strumentali del messaggio
spirituale e religioso.
Inoltre non va dimenticato che dalle religioni
e dalle varie forme di spiritualità sono scaturite pure in buona misura, nel corso dei
secoli e dei millenni, la letteratura, le arti e
quella filosofia di cui lei si è rivelato un così grande studioso.
«Su questo siamo perfettamente d’accordo, guaglione. Come vedi, è ancora una volta una questione di “pressappoco”, se vogliamo: c’è sempre l’altra faccia della medaglia».
Veniamo a una questione cruciale: la
sua posizione religiosa personale.
«Ne parlo molto volentieri, guaglione. Mi
definisco un ateo per grazia di Dio».
È in buona compagnia: se non ricordo
male, il grande scrittore argentino Jorge
Louis Borges la pensava allo stesso modo.
Ma vuole spiegarsi meglio?
«Certo. Io non mi sento un credente, poiché un credente è uno che si affida a Dio,
mentre io sono ancora uno “sperante”. Mi
auguro di cuore, cioè, che vi siano un Dio e
una vita dopo la morte. Ti dirò anzi che proprio questo è il mio desiderio più autentico
e profondo, l’esigenza che ormai, arrivato alla mia età, più mi sta a cuore, non solo per il
bene mio ma per quello di tutti. Trovo che
soltanto un aldilà possa
dare un senso anche a
questa vita, dando risposta all’esigenza di
continuità e di amore
che mi sembrano così
connaturate alla nostra
anima, al nostro modo
di essere. Sai come mi
immagino l’aldilà, come mi piacerebbe che
fosse? Proprio come
un Paradiso, nel senso
pieno della parola e coerentemente con l’origine sanscrita del termine, ossia un immenso
giardino, un parco nel
quale si può godere delle bellezze della natura,
sereni e gioiosi, gustando il piacere della conversazione».
Chi le piacerebbe incontrare in questo Paradiso?
«Innanzitutto mia madre, che era così religiosa da meritare un posto speciale. Poi tanti
amici, primo tra tutti Federico Fellini, quindi
i filosofi dell’antichità».
Possiamo dire che, se questa speranza
circa l’aldilà si trasformasse in certezza, da
soddisfatto che è potrebbe diventare un
uomo felice?
왎
«Sicuramente sì».
“
”
Non mi sento
un credente.
Un credente è uno
che si affida a Dio,
mentre io sono ancora
solo uno “sperante”
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