Tar Lazio 23 dicembre 2016, n. 12812

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Tar Lazio 23 dicembre 2016, n. 12812
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Pubblicato il 23/12/2016
N. 12812/2016 REG.PROV.COLL.
N. 06622/2016 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6622 del 2016, proposto da:
RTI - Televisive Italiane S.p.a. e Mediaset Premium S.p.a., in
persona del comune legale rappresentante p.t., rappresentate e difese
dagli avvocati prof. Antonio Catricala' C.F. CTRNTN52B07C352T,
Damiano Lipani C.F. LPNDMN61T10H501V, Carlo Edoardo
Cazzato C.F. CZZCLD81C14A662T, prof. Stefania Bariatti C.F.
BRTSFN56R68F205U,
prof.
RBRGMC59D04F839Z
e
Gian
Michele
Guido
Roberti
Bellitti
C.F.
C.F.
BLLGDU72R26H703T, con domicilio eletto presso lo studio del
primo in Roma, via Vittoria Colonna, 40;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in
persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difese per
legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia in
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Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Lega Professionisti Serie A, in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentata e difesa dagli avvocati Ruggero Stincardini C.F.
STNRGR56M23G478F,
Mario
Libertini
C.F.
LBRMRA42L24C351V,
Giulio
Napolitano
C.F.
Anglani
C.F.
NPLGLI69L12H501H,
NGLFNC76R25F152O
Francesco
e
Bruno
Ghirardi
C.F.
GHRBRN59L17B157P, con domicilio eletto presso l’avv. Mario
Libertini in Roma, via Boezio, 14;
Sky Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Siragusa C.F.
SRGMRA48A01G273D,
Marco
D'Ostuni
C.F.
DSTMRC73M14F839B,
Matteo
Beretta
C.F.
BRTMTT66H09A794O, Marco Zotta C.F. ZTTMRC79D22H501I e
Alessandro Bardanzellu C.F. BRDLSN81M12H501U, con domicilio
eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza di Spagna, 15;
Infront Italy Srl, Fox Networks Group Italy Srl, Discovery Italia Srl
e Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, non costituiti in
giudizio;
per l'annullamento, previa sospensione,
- del provvedimento dell'Autorità n. 25966 del 19 aprile 2016,
notificato a mezzo PEC in data 20 aprile 2016 e pubblicato sul
Bollettino dell'AGCM n.13/2016 del 26 aprile 2016, con cui
l'Autorità ha concluso il procedimento I790 - Vendita diritti
televisivi serie A 2015-2018, avviato il 13 maggio 2015;
- delle Linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di
quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate
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dall'Autorità in applicazione dell'art. 15, comma 1, della Legge
287/1990, approvate dall'AGCM in data 22 ottobre 2014,
limitatamente al punto 35;
di ogni altro atto connesso e coordinato, anteriore e conseguente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato – Antitrust, della Lega Professionisti
Serie A e della Sky Italia S.r.l., con la relativa documentazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 9 novembre 2016 il dott. Ivo
Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La vicenda, in sintesi, trae origini dalle modalità con le quali la Lega
Nazionale Professionisti Serie A (Lega), quale organizzatrice della
competizione, ha proceduto all’assegnazione dei diritti audiovisivi
relativi al campionato di calcio “serie A” per le stagioni 2015-18, ai
sensi del d.lgs. 9.1.2008, n. 9 (c.d. “Decreto Melandri”).
In sostanza, l’invito a presentare offerte elaborato dalla Lega –
passato al vaglio della stessa Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato (AGCM) - prevedeva la suddivisione in cinque
“pacchetti”, quali: 1) “pacchetto A”, concernente i diritti per le
piattaforme satellitare (DTH), Internet, TV Mobile (DTH), Telefonia
mobile e IPTV relativi a otto società sportive considerate di maggior
interesse, per un totale di 248 eventi (pari al 65% del totale); 2)
“pacchetto B”, concernente i diritti per le piattaforme digitale
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terrestre (DTT), Internet, TV Mobile (DTH), Telefonia mobile e
IPTV relativi ai medesimi eventi del pacchetto A; 3) “pacchetto C”,
concernente i diritti accessori (interviste, immagini da spogliatoi e
altri) per il pacchetto A o B; 4) “pacchetto D”, concernente
l’esclusiva per tutte le piattaforme per i rimanenti 132 eventi (pari al
35%) relativi a una squadra di “maggior seguito” e alle altre di
“minore seguito”; 5) “pacchetto E”, concernente tre incontri a scelta
tra quelli disputati di domenica alle ore 15.00, da trasmettere tramite
piattaforma Internet.
Risultavano quindi pervenute offerte da parte di Sky Italia s.r.l.
(Sky), RTI-Reti Televisive Italiane s.p.a. (RTI), Fox Networks Group
Italy S.r.l. (Fox) e Eurosport s.a.s. (Eurosport).
All’esito della loro presa di conoscenza, però, la Lega e il suo
“advisor” per la commercializzazione di tali diritti, Infront Italy s.r.l.
(Infront), ritenevano che le aggiudicazioni relative ai pacchetti A e
B, pur su offerte superiori alla base d’asta, presentassero due
problematiche, quali: la possibilità di aggiudicazione di tali due
maggiori “pacchetti” al medesimo operatore - Sky - che aveva
effettuato
le
offerte
più
alte,
in
relazione
alla
possibile
individuazione di una “posizione dominante” sotto il profilo della
normativa “antitrust”; la possibilità di considerare l’ammissibilità di
offerte condizionate, come quella effettuata da RTI (che aveva
presentato: un’offerta per il pacchetto A, condizionata alla
circostanza di non essere aggiudicataria di quello B, per il pacchetto
B, un’offerta incondizionata e una condizionata alla mancata
aggiudicazione di quello A, un’offerta per il pacchetto D,
condizionata all’aggiudicazione di quello A o quello B).
La Lega, quindi, riteneva di non procedere subito all’assegnazione e
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di richiedere un parere a un esperto “esterno”, professore
universitario, sulla fattispecie. In base a tale parere - che riteneva
illegittima l’assegnazione dei pacchetti A e B al medesimo operatore
e legittima la proposizione di offerte condizionate - e all’esito di
un’assemblea di Lega tenutasi nelle giornate dal 23 al 26 giugno
2014, si dava corso alla definitiva assegnazione, che vedeva il
pacchetto A per Sky, i pacchetti B e D per RTI. Risultava, inoltre,
che il pacchetto C non era assegnato, perché le offerte erano inferiori
al prezzo minimo indicato nell’invito a offrire, e che per il pacchetto
E non perveniva alcuna offerta.
Da segnalare che già il 25 giugno 2014 risultava depositata anche
all’AGCM una denuncia da parte di un’associazione di consumatori
con
la
segnalazione
di
ritenuti
illeciti
anticoncorrenziali
sull’assegnazione in corso, che risulterà comunque in seguito
archiviata dall’Autorità.
Il 27 giugno 2014 RTI chiedeva alla Lega l’autorizzazione per la
concessione in sub-licenza, in tutto o in parte, dei diritti relativi al
pacchetto D a Sky. Ne seguiva l’istanza della Lega, ai sensi dell’art.
19, comma 1, d.lgs. cit., all’AGCM e all’Autorità per le Garanzie
nelle Telecomunicazioni (AgCom) per ottenere la necessaria
autorizzazione
in
deroga
e
tali
Autorità,
dopo
articolata
interlocuzione con l’istante, concedevano la deroga richiesta in data
17 luglio 2014 e la Lega trasmetteva l’indicazione alle interessate,
specificando che la “sublicenza” si sarebbe dovuta conformare alle
modalità prospettate tra le parti e comunicate alle Autorità, senza
ulteriori pattuizioni rispetto a quelle previste per il pacchetto D
nell’invito a presentare offerte. In seguito ad ulteriori interlocuzioni
con le parti a chiarimento, queste regolavano il rapporto in questione
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conformemente
alle
prescrizioni
imposte
nei
provvedimenti
autorizzativi del luglio 2014, secondo specifica dichiarazione del 24
aprile 2015.
Sulla base di alcune notizie di stampa apparse nel febbraio 2015
aventi ad oggetto il contenuto di alcune conversazioni telefoniche di
un presidente di società calcistica di serie A, l’AGCM dava avvio
all’istruttoria di un procedimento volto a verificare la sussistenza di
una eventuale intesa restrittiva della concorrenza, in violazione
dell’art. 101 TFUE, tra RTI, Sky, Lega e Infront.
Dato corso alla complessa fase istruttoria, acquisito il parere
dell’AgCom (peraltro riscontrante elementi positivi dall’esito della
gara) e comunicata la CRI, era infine adottato il provvedimento
finale all’esito dell’adunanza del 19 aprile 2016.
In esso, dopo ampia illustrazione dello svolgimento della fase di
avvio, della descrizione delle parti e delle risultanze istruttorie,
dell’indicazione del mercato rilevante, degli elementi acquisiti, della
descrizione dei fatti e delle argomentazioni delle parti, l’Autorità
deliberava che le condotte prese in esame erano state finalizzate alla
spartizione dei diritti audiovisivi per il triennio 2015-18, alterando il
confronto concorrenziale in sede di partecipazione alla gara,
evitando il dispiegarsi di dinamiche concorrenziali fra gli operatori
attivi sul mercato e ostacolando l’ingresso di potenziali nuovi
operatori, con conseguente violazione dell’art. 101 TFUE. Era
quindi disposta inibitoria per il futuro a porre in essere analoghi
comportamenti ed erano applicate le relative sanzioni pecuniarie, il
cui calcolo pure era ampiamente illustrato nella motivazione,
consistenti in euro 1.944.070,17 per la Lega, euro 9.049.646,64 per
Infront, euro 51.419.247,25 per RTI ed euro 4.000.000,00 per Sky,
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unico soggetto di cui era riconosciuto un ruolo marginale e
sostanzialmente difensivo, di cui era pure apprezzato l’apporto
collaborativo in fase istruttoria.
Riassumendo le tesi dell’AGCM, fondate essenzialmente su
risultanze istruttorie di cui ai verbali delle assemblee di Lega che
avevano contraddistinto il periodo dell’assegnazione dei diritti in
questione, su alcuni documenti acquisiti, tra cui il testo di “e-mail”
tra parti del procedimento e tra queste e terzi, nonché sulle audizioni
svolte dagli Uffici con esponenti delle singole società calcistiche, si
rileva quanto segue.
In primo luogo l’AGCM ricordava che il c.d. “Decreto Melandri”
era stato introdotto in Italia al fine di imporre all’organizzatore della
competizione apposita procedura competitiva idonea a garantire ai
partecipanti condizioni di assoluta equità, trasparenza e non
discriminazione, secondo quanto chiarito in sostanza nel relativo art.
9, comma 4, secondo il quale era previsto il divieto a chiunque di
acquisire in esclusiva tutti i pacchetti relativi alle dirette, fermi
restando i divieti previsti in materia di formazione di posizioni
dominanti, dando luogo così non a un mero presidio della regolarità
formale della gara ma alla salvaguardia di esigenze sostanziali di
concorrenza, sia statica che dinamica, reale ed effettiva.
Richiamando il succedersi degli eventi, a partire dalla presentazione
da parte della Lega delle Linee Guida da lei predisposte, l’Autorità
ricordava che, in seguito all’apertura delle buste, il contenuto delle
relative offerte era noto a tutti i partecipanti. Da esse, si riscontrava
che: per il pacchetto A, Sky aveva effettuato l’offerta più alta (con, a
seguire, l’offerta di RTI e quella di Fox appartenente comunque al
“gruppo Sky”); per il pacchetto B, risultava che la migliore offerta
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(in capo a RTI) era condizionata dal fatto che nessun soggetto si
fosse aggiudicato il pacchetto precedente (con, a seguire, le offerte
di Sky, Fox e RTI “non condizionata” di importo molto minore
rispetto a quella condizionata); per il pacchetto D, risultava la
miglior offerta sempre in capo a RTI (con, a seguire, quelle di Fox,
Sky ed Eurosport).
Ne era seguito quello definito come un “acceso contrasto” tra RTI,
Sky e Lega/Infront, ove la prima sosteneva l’illegittimità
dell’eventuale aggiudicazione di entrambi i pacchetti A e B a Sky e
prospettava soluzioni che la vedevano assegnataria del pacchetto D
e, in alternativa, di quelli A o B mentre Sky difendeva la propria
posizione ritenendo legittima l’aspirazione all’aggiudicazione di
entrambi i pacchetti A e B, con formalizzazione di tale posizione
mediante l’invio a Lega e RTI di un atto di “intimazione diffida” in
tal senso.
Sussistendo i su ricordati dubbi prospettati, tanto da richiedere uno
specifico parere ad un esperto “esterno”, la Lega dava inizio
all’assemblea “decisoria” in data 23 giugno 2014 in cui – sosteneva
l’AGCM - si iniziava a delineare concretamente una soluzione
definita “spartitoria” che non teneva in considerazione le regole
previste nelle stesse Linee Guida e nel “bando” perché prescindente
dalla graduatoria delle offerte valide ricevute. In particolare, erano
richiamate alcune e-mail “interne” a RTI in cui si faceva espresso
riferimento alla possibilità di un accordo con Sky quale scenario
“alternativo” ad un’ipotesi di contenzioso, con eventuale estensione
della trattativa anche ad alcuni diritti per la competizione calcistica
europea denominata “Champions League”.
Tali trattative continuavano con il coinvolgimento di Infront, il cui
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rappresentante contattava telefonicamente l’amministratore delegato
di Sky per indicare come la Lega aveva ritenuto di definire le
assegnazioni (nel senso poi concretamente realizzatosi), e delle
stesse imprese coinvolte, che iniziavano una formale stesura di una
scrittura privata che anticipava il ricordato esito finale, con rinuncia
da parte di Sky al contenzioso prospettato.
Ne seguiva, quindi, l’ultima giornata di assemblea del 26 giugno
2014
ove
si
dava
luogo
al
ricordato
esito
definitivo
dell’aggiudicazione e la successiva comunicazione del 30 giugno
2014, con la quale la Lega inviava alle autorità competenti la
richiesta di autorizzazione in deroga al divieto di sub-licenza
previsto dall’art. 11, comma 6, d.lgs. cit.
L’AGCM specificava anche che era emersa in seguito una difformità
tra il contenuto della sub-licenza effettivamente sottoscritta tra RTI e
Sky e quanto a suo tempo comunicato alle autorità, laddove risultava
la sottoscrizione di un documento in cui le emittenti in questione
sollevavano la Lega da eventuali difformità rispetto al contenuto
delle autorizzazioni rilasciate da AGCM e AgCom, secondo ulteriori
contatti tra le parti svoltesi a partire dalla data del 30 giugno 2014.
Sulla base di tale ricostruzione, quindi, l’AGCM riteneva l’esistenza
di comportamenti tesi ad alterare il normale dispiegarsi dei
meccanismi competitivi in quanto, a fronte di un iniziale confronto
competitivo tra Sky e RTI, manifestatosi anche attraverso campagne
mediatiche e iniziative extragiudiziali, le parti avevano dato luogo ad
un’alterazione dell’esito della procedura competitiva in questione,
dando luogo ad un’intesa restrittiva della concorrenza avente ad
oggetto l’illecita ripartizione dei diritti audiovisivi relativi.
Specificava l’AGCM che l’intesa non aveva riguardato la fase
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dell’individuazione e presentazione delle offerte economiche ma
aveva interessato la fase antecedente all’aggiudicazione dei diritti
posti “a gara”, attraverso l’alterazione dell’esito naturale della stessa,
con sostituzione di una soluzione concordata in luogo dell’esito
naturale del confronto competitivo previsto dalla norma. Ciò aveva
distorto il funzionamento dei meccanismi competitivi che devono
governare l’assegnazione dei diritti di trasmissione audiovisivi,
ostacolando sia la concorrenza di nuovi operatori nell’immediato sia
la concorrenza “sul merito” e il possibile ingresso di nuovi operatori
anche per il futuro e rafforzando il consolidamento delle rispettive
posizioni di mercato delle emittenti interessate.
L’AGCM chiariva che tale “intesa” era stata promossa da Lega e
Infront, aveva recato vantaggio principalmente a RTI e che la stessa
Sky era stata sostanzialmente indotta ad aderire anche per la
condotta delle altre parti, con la conseguenza che tale condotta fosse
riconducibile comunque a tutte quelle coinvolte nella fase istruttoria.
A tale proposito, l’Autorità specificava che, anche in virtù della
giurisprudenza
della
Corte
di
Giustizia
UE
in
merito
all’interpretazione dell’(allora) art. 81, par. 1, Trattato CE - secondo
la quale la sua applicazione non riguarda solo le imprese attive nel
mercato interessato dalle restrizioni della concorrenza, a valle o a
monte del medesimo, ma tutti i soggetti che falsano la concorrenza
nel mercato comune indipendentemente da quello in cui sono attivi la Lega aveva di fatto vanificato gli obiettivi stabiliti dal “Decreto
Melandri”, compromettendo l’integrità dell’assegnazione mediante
procedure competitive, eque e non discriminatorie. Ciò perché la
Lega ben poteva e doveva agire diversamente, rispettando quanto
previsto dalle sue stesse Linee Guida e aggiudicando i pacchetti A e
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B al miglior offerente (Sky), per poi passare ad una nuova fase della
procedura in relazione al pacchetto D che non aveva ricevuto offerte
valide sopra la base d’asta. Non risultavano infatti, in base alle Linee
Guida e al “bando” nonché all’art. 9, comma 4, d.lgs. cit., divieti di
assegnazione dei pacchetti A e B ad un unico operatore. Se pure la
Lega avesse ritenuto tale possibilità preclusa, avrebbe comunque
dovuto annullare l’intera procedura e indirne una nuova con
l’inserimento esplicito di tale divieto, invece di aggiudicare la
procedura in violazione delle regole della “lex specialis” e
prevedendo nella stessa delibera di assegnazione già il consenso alla
“sub-licenza”, non richiesta né richiedibile in quella fase della
procedura.
Inoltre la stessa Lega sembrava successivamente consapevole delle
possibili criticità riguardanti tale sub-licenza, come evidenziato nel
verbale della seduta della “commissione tecnica diritti audiovisivi”
del 20 febbraio 2015, cui risultava partecipare anche Infront, tanto
da portare alla sottoscrizione della clausola sopra ricordata con cui
RTI e Sky “sollevavano” la Lega dalle conseguenze sulle eventuali
difformità rispetto al contenuto delle autorizzazioni rilasciate dalle
autorità di settore.
Per quanto concerneva Infront, l’AGCM sottolineava gli stretti
rapporti contrattuali intercorrenti con la Lega, che evidenziavano
come Infront avesse un interesse immediato e diretto circa il
raggiungimento di determinati ricavi da parte della Lega stessa e
avesse attivamente suggerito la condotta da adottare, sia nell’ambito
delle riunioni assembleari del 26 giugno 2014, svolgendo un ruolo di
mediazione nelle discussioni fra le squadre di calcio, sia all’esterno,
contattando direttamente rappresentanti dei “broadcaster” interessati
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e delle singole squadre di calcio e dando luogo ad un effettivo ruolo
di “leadership” dell’intesa.
Il ruolo di RTI era evidenziato in relazione all’interesse nel sostenere
una soluzione di aggiudicazione diversa dall’esito delle offerte
formulate il 5 giugno 2014, che avrebbe visto l’assegnazione dei
pacchetti A e B a Sky, come rilevato dalla documentazione acquisita
in corso di istruttoria consistente in comunicazioni e-mail.
Il ruolo di Sky era riconosciuto nei limiti della contestualizzazione
degli eventi, laddove ad un primo atteggiamento “competitivo” era
seguito un mutamento della condotta che apriva alla possibilità di
accordo, come anche in questo caso rilevato da una e-mail interna a
RTI del 24 giugno 2014 ove si faceva riferimento ad una proposta di
accordo
di
Sky.
Quest’ultima,
pur
dando
luogo
ad
un
comportamento ispirato dalle condotte poste in essere dalle altre
parti del procedimento, non aveva ivi tenuto un atteggiamento
meramente “passivo” ma si era attivata concretamente nel ricercare
la soluzione alternativa alla naturale aggiudicazione, come poi
manifestatasi.
In conclusione, l’AGCM riteneva che le parti avessero quindi dato
luogo ad un’intesa restrittiva “per oggetto”, per la quale non era
necessaria la prova dell’intento soggettivo, era irrilevante che
l’accordo non fosse nell’interesse commerciale di alcuni dei
partecipanti, si perseguivano anche altri scopi illeciti, non era
necessario dimostrare un effetto diretto sui prezzi agli utenti finali,
secondo le conclusioni sul punto da parte della Corte di Giustizia
che venivano richiamate.
Si era dato luogo – per l’Autorità - alla ripartizione di “imput”
strategici fra i due operatori attivi a livello nazionale nel mercato
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della “pay tv”, con evidente effetto di preclusione in danno dei
concorrenti presenti e potenziali e conseguente restrizione della
concorrenza, indipendentemente dall’accertamento degli effetti,
tenuto conto anche che la condotta si andava a collocare in un
mercato caratterizzato da un assetto oligopolistico altamente
concentrato, ove le parti detengono sostanzialmente la totalità del
mercato in quanto l’acquisizione di contenuti c.d. “premium”
costituisce una delle principali barriere all’entrata in esso.
L’AGCM indicava, comunque, che alcuni effetti si erano oltremodo
palesati, in quanto l’intesa aveva di fatto escluso la possibilità per un
operatore terzo (Eurosport) di partecipare a reali procedure
competitive anche solo per l’assegnazione di un sottoinsieme dei
pacchetti, per i quali aveva comunque mostrato interesse concreto
con la presentazione di un’offerta o anche solo per la possibilità di
partecipare ad una nuova edizione della gara.
Risultavano anche la distorsione della concorrenza dinamica in un
orizzonte temporale di medio-lungo termine, per la negativa
incisione sulla credibilità delle future gare e sulle aspettative
d’ingresso di eventuali nuovi “player” nonché la cristallizzazione
delle posizioni di mercato determinate nel triennio precedente, ove le
stesse RTI e Sky erano risultate assegnatarie di diritti audiovisivi
coincidenti.
Replicando puntualmente alle argomentazioni delle parti, ivi
comprese le eccezioni procedurali, l’AGCM concludeva ribadendo
le considerazioni sopra evidenziate e ritenendo che il parere di senso
sostanzialmente contrario reso dall’AgCom si era soffermato
esclusivamente sugli effetti benefici per i consumatori in relazione
alla “sub-licenza” di cui al pacchetto D, effetti benefici che ci
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sarebbero stati, secondo l’AGCM, anche con la naturale modalità di
aggiudicazione sopra propugnata.
Nel provvedimento finale erano quindi illustrate anche le modalità
con le quali erano state determinate in concreto le sanzioni nei
confronti di ciascun soggetto coinvolto.
In esse erano state considerate, sul “valore base” delle vendite: la
percentuale del 15% e la c.d. “entry fee” del 20%, per Lega, Infront
e RTI, le aggravanti del 15% per Lega e Infront, l’attenuante del
30% per RTI, l’incremento della sanzione per “proporzionalità e
deterrenza” del 50% per Infront. Per Sky era invece applicato l’art.
34 delle Linee Guida AGCM che consentiva di derogare dalle stesse,
con sanzione finale limitata a euro 4.000.000,00.
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato,
RTI
e
Mediaset
Premium
s.p.a.
(Mediaset)
chiedevano
l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento in questione.
Esponendo in sintesi le oltre 120 pagine del gravame – in merito al
quale il Collegio non può che richiamare, a monito, il contenuto
dell’art. 3, comma 2, c.p.a. – si rileva che le ricorrenti lamentavano
quanto segue.
“I. Violazione, falsa applicazione dell’art. 101 TFUE e del Decreto
Melandri. Eccesso di potere per assoluto travisamento dei
presupposti di fatto e di diritto e per contraddittorietà manifesta in
ordine al punto decisivo della vicenda. Grave difetto di istruttoria e
di motivazione.”.
Le ricorrenti evidenziavano che la prospettazione riconducibile al
provvedimento impugnato era del tutto erronea in relazione ai tre
profili
evidenziati,
quali:
a)
l’illegittimità
dell’eventuale
aggiudicazione dei pacchetti A e B al medesimo operatore; b) le
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fonti da cui discendeva tale illegittimità; c) il ventaglio delle
soluzioni possibili una volta preso atto della predetta.
In relazione al profilo sub a), era sottolineato che l’AGCM non
aveva dato luogo ad alcun approfondimento sulla tesi giuridica cui
alle argomentazioni contenute nel parere del consulente “esterno”
alla Lega, tenendo conto che la stessa Autorità, nel pronunciarsi
sulle Linee Guida propostele, aveva richiamato la circostanza per la
quale, al fine di preferire una assegnazione “per piattaforma” in
luogo di una “per prodotto”, la presenza di più soggetti detentori dei
diritti sui medesimi eventi avrebbe generato una maggiore
competizione nel mercato, con evidenti benefici per i consumatori.
Inoltre, osservavano le ricorrenti, la situazione di sostanziale
prevalenza sul mercato che si sarebbe prodotta non poteva essere
ragionevolmente bilanciata dall’assegnazione del pacchetto D ad
altro operatore, essendo quest’ultimo molto meno appetibile dei
primi due.
A ciò doveva aggiungersi che l’Allegato 6 dell’Invito contemplava
unicamente l’ipotesi in cui l’assegnatario del pacchetto A fosse
diverso dall’assegnatario del pacchetto B, potendo unitamente a uno
di questi aggiudicarsi solo il pacchetto D.
In relazione al profilo sub b), le ricorrenti evidenziavano che lo
stesso Invito prevedeva che non era consentito ad un singolo
operatore acquisire in esclusiva tutti i pacchetti di trasmissione su
tutte le piattaforme, quali erano A, B ed E, essendo il pacchetto D
“per prodotto” e a completamento dell’offerta principale relativa ai
primi due pacchetti.
Censurabile era poi la conclusione di cui al provvedimento
impugnato in relazione a quanto previsto dall’art. 9, comma 4, d.lgs.
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n. 9/2008 e alla rilevanza considerabile solo “ex post” delle
questioni relative alla concorrenza, dato che la norma introduce un
divieto di esclusiva assoluta che riguarda – “ex ante” - proprio lo
svolgimento degli esiti della procedura competitiva di assegnazione
dei diritti, affiancandosi alle norme già esistenti in tema di
“posizione dominante”.
In relazione al profilo sub c), collegato alla ritenuta necessità di
bandire una nuova gara, le ricorrenti evidenziavano che nelle stesse
Linee Guida era indicato che l’assegnazione alle offerte migliori sul
piano economico non costituiva l’unico esito naturale della
procedura ma era destinata a recedere ogni qualvolta non fosse
risultata compatibile con le stesse “Linee” e con l’Invito.
In realtà, la soluzione naturale era proprio quella dello scorrimento
della graduatoria del secondo pacchetto B, per cui l’esito effettivo
della gara non poteva essere considerato frutto di un accordo
spartitorio illecito ma rispettava l’interpretazione corretta delle
regole della procedura, mediante l’aggiudicazione del pacchetto A
alla migliore offerta (Sky), del pacchetto B alla prima migliore
offerta selezionabile e del pacchetto D alla migliore offerta, con
accordo di sub-licenza successivamente approvato dalla stessa
Autorità nonché dall’AgCom, con una soluzione che rispettava i
principi di “trasparenza”, “non discriminazione” ed “efficienza”.
“II. Violazione, falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 101
del TFUE, con specifico riguardo alla qualificazione della
fattispecie come “intesa restrittiva per oggetto”. Eccesso di potere
per manifesta contraddittorietà rispetto alle valutazioni di opposto
tenore formulate dall’Autorità, sia all’atto di approvare la
sub-licenza per il pacchetto D, sia all’atto di archiviare la
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segnalazione Codacons”.
In relazione all’individuazione della fattispecie di intesa restrittiva
“per oggetto”, le ricorrenti evidenziavano che per giurisprudenza
costante della Corte UE, era necessario tenere conto del contesto
economico ove l’accordo trovava applicazione e verificare se vi era
la rivelazione di un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza,
mediante un’interpretazione “in chiave restrittiva”.
Nel caso di specie, inoltre, non si era tenuto conto che la formale
delibera assembleare che aveva dato luogo all’assegnazione
contestata, sotto il profilo del diritto “antitrust”, era attinente ad un
rapporto “verticale”, intervenendo fra soggetti che operano su
mercati distinti e, persino, in conflitto di interesse tra di loro.
Inoltre la stessa AGCM aveva più volte valutato favorevolmente le
sub-licenze conferite per l’assegnazione dei diritti calcistici
audiovisivi,
proprio
al
fine
di
incrementare
il
confronto
concorrenziale.
La giurisprudenza della Corte UE aveva poi escluso la qualificabilità
come “per oggetto” di intese con complessa funzione in grado di
realizzare anche effetti positivi sulla concorrenza, con conseguente
non illiceità “in sé” di negoziazioni e accordi fra concorrenti ad
oggetto “allocativo” se “pro-concorrenziale”, come accaduto nel
caso di specie.
In quest’ultimo, infatti, doveva evidenziarsi che sussisteva una
posizione di stabile dominanza di un operatore e che l’assegnazione
all’unico altro concorrente credibile sarebbe stata comunque
necessaria per mantenere una reale concorrenza sul mercato, senza
per tale ragione ritenere che si era dato luogo a un mero cartello di
spartizione, peraltro in una situazione di forte squilibrio già esistente
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nel mercato delle c.d. “pay tv”.
Inoltre, l’attività di RTI-Mediaset era stata volta a preservare la
titolarità dei diritti per i quali aveva presentato la sua offerta e,
conseguentemente, le proprie “chanches” competitive, facendo
ricorso ad un tentativo di composizione di una situazione che si
prospettava assai litigiosa e, comunque, procurando dei benefici al
mercato.
A tutto quanto prospettato, doveva aggiungersi che la stessa AGCM
aveva concesso la richiesta autorizzazione per la sub-licenza riferita
al pacchetto D, svolgendo un’analisi di merito concorrenziale, di
tipo effettuale, sull’assetto allocativo conseguito in esito alla
procedura in esame, in coerenza con l’assetto delineato a dar luogo
ad un’effettiva concorrenza “per piattaforma” sul mercato italiano
della
“pay
tv”.
L’Autorità,
inoltre,
aveva
anche
disposto
l’archiviazione di un esposto da parte di una società di consumatori
avente ad oggetto i medesimi fatti poi ritenuti alla base del
procedimento sanzionatorio avviato e concluso con il provvedimento
in questa sede impugnato.
“III. Violazione, falsa applicazione, sotto altro profilo dell’art. 101
TFUE. Grave difetto di istruttoria e di motivazione in ordine agli
effetti prodotti dall’asserita intesa”.
Nel caso di specie non era stato dimostrato che si era in ipotesi di
intesa restrittiva “per oggetto”, per cui l’Autorità avrebbe dovuto
provare che l’illecito considerato aveva avuto significativi effetti
restrittivi sulla concorrenza, attuali o potenziali.
In realtà, la soluzione allocativa contestata aveva ovviato ad un
complesso contenzioso, di durata e risultato incerti, con effetti
negativi che coinvolgevano tutte le parti interessate e che avrebbero
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posto irrimediabili conseguenze nefaste sullo specifico mercato.
Quanto richiamato sul punto dall’AGCM non poteva essere ritenuto
condivisibile, in quanto l’effetto “escludente” nei confronti di
Eurosport non coglieva nel segno, dato che quest’ultimo operatore
non poteva essere considerato un concorrente potenziale di RTI e
Sky - operando sul distinto mercato del “wholesale supply of TV
Channels” e non su quello “ratail” della “pay tv” - e aveva
comunque presentato un’offerta relativa al solo pacchetto D
abbondantemente inferiore di circa il 50% rispetto al livello di base
d’asta, fermo restando che esso non è un operatore di televisione a
pagamento e non dispone di una propria piattaforma distributiva né
di una propria base di abbonati, operando piuttosto come partner
commerciale di RTI e Sky e non come loro concorrente, secondo
dichiarazioni della stessa Eurosport riportate da organi di stampa.
Le ricorrenti ricordavano, inoltre, che la riedizione della gara poteva
essere una delle possibili soluzioni per la Lega ma non la soluzione
obbligata, che non era in alcun modo certo che Eurosport avrebbe
partecipato, che quest’ultima non aveva mai presentato alcuna
rimostranza all’AGCM sull’esito della procedura.
A tutto quanto esposto, le ricorrenti affiancavano il richiamo alla
posizione assunta dall’AgCom nel corso del procedimento, tutta
orientata
a
individuare
l’effettivo
rispetto
del
profilo
del
“pluralismo” e la tutela dell’utenza in seguito alla fattispecie che si
era conformata.
“IV. In via subordinata: violazione, falsa applicazione, dell’art. 101,
paragrafo 3, TFUE in ordine alla sussistenza dei requisiti di
esenzione”.
Secondo le ricorrenti, nel caso di specie sussistevano tutti i
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presupposti per dar luogo all’”esenzione” ai sensi dell’art. 101, par.
3, TFUE, riscontrandosi il miglioramento delle condizioni di offerta
del bene o servizio di cui si trattava, un sostanziale beneficio per i
consumatori, l’assenza di restrizioni non indispensabili ai fini del
raggiungimento dei risultati in questione, la non eliminazione
assoluta della concorrenza in una parte sostanziale del mercato
comune.
Risultava, infatti, il miglioramento delle condizioni di offerta perché
l’esito allocativo in questione e la successiva sub-licenza avevano
fatto conseguire introiti elevati alla Lega; i consumatori avevano
beneficiato della disponibilità su entrambe le piattaforme di tutti gli
incontri di calcio; la soluzione definita dalla Lega aveva evitato un
contenzioso con tempi ed esiti incerti; era stata impedita
l’eliminazione
dal
mercato
dell’unico
credibile
concorrente
dell’operatore che era fino a quel momento “incumbent”.
“V. Sempre in via subordinata: violazione, falsa applicazione del
d.p.r 30 aprile 1998, n. 217, nonché degli artt. 3, 24, 97 e 11 Cost,
degli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, dell’art. 6 della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo, dell’art. 10, comma 5, della legge n. 287/1990;
violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa;
irragionevolezza”.
Il provvedimento finale era stato reso a valle di un procedimento che
non aveva garantito alle ricorrenti l’insieme di tutte le minime
garanzie considerate ineludibili dall’ordinamento giuridico vigente.
Risulta, infatti, che la paternità del provvedimento finale era
dichiaratamente ascritta agli Uffici, che ne avevano proposto bozza
al Collegio decidente, con conseguenze sull’assenza di “terzietà” del
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giudicante.
Inoltre, le parti si erano potute difendere soltanto in riferimento a
un’ipotesi accusatoria completamente diversa rispetto a quella poi
confluita
nel
provvedimento
finale,
in
riferimento
alla
comunicazione di avvio del procedimento e alla CRI, soprattutto in
relazione al ruolo riconosciuto a Sky, la quale aveva visto irrogata
nei suoi confronti una sanzione pecuniaria inferiore di circa il
1.275% rispetto a RTI, pur essendo l’operatore ”incumbent” del
mercato.
Il provvedimento finale non teneva poi conto delle garanzie di
legalità, anche in riferimento alla partecipazione procedimentale,
prevista dalle norme richiamata in rubrica e, inoltre, le ricorrenti
lamentavano di non aver avuto la possibilità di accedere ad alcuni
documenti fondamentali, come evidenziato anche in sede di
audizione finale.
“VI. Sempre in via subordinata: violazione e falsa applicazione
dell’art. 1 della legge n. 689/1981, degli artt. 15 e 31 della legge n.
287/1990, degli artt. 1, 3 e 7 e ss. della legge n. 241/1990 e dell’art.
7 della CEDU. Eccesso di potere sotto il profilo dell’ingiustizia e
dell’illogicità manifesta, del travisamento e dello sviamento. Errata
applicazione delle Linee Guida. Eccesso di potere sotto il profilo
della gravità, proporzionalità, ragionevolezza e congruità nella
determinazione della sanzione. Manifesta iniquità, ingiustizia e
sproporzione sotto molteplici aspetti.”
Da ultimo, le ricorrenti contestavano l’entità della sanzione come
irrogata, sia in relazione alla specifica modalità di calcolo sia in
relazione agli elementi sostanziali considerati.
L’illecito era stato erroneamente ritenuto “molto grave” ma non vi
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era alcuna evidenza della segretezza dell’accordo né era stato
considerato il (più volte richiamato) beneficio sostanziale per i
consumatori.
Erroneamente era stata applicata anche la cd. “entry fee” e la
sanzione nei confronti di RTI era comunque di evidente
sproporzionalità.
Si costituiva in giudizio l’AGCM, esponendo le tesi orientate a
rilevare l’infondatezza del ricorso in memoria presentata in
prossimità della camera di consiglio per la trattazione dell’istanza
cautelare.
Si costituivano in giudizio anche Lega e Sky.
Alla camera di consiglio del 6 luglio 2016, su istanza di parte, la
trattazione del gravame era rinviata alla fase di merito.
In prossimità della pubblica udienza del 9 novembre 2016, le
ricorrenti depositavano memorie (anche di replica) ad ulteriore
illustrazione delle proprie tesi difensive, mentre l’AGCM depositava
una memoria “unica” relativa anche ai contenziosi instaurati dalle
altre parti sanzionate e in decisione alla medesima udienza. Memorie
erano depositate anche dalle altre parti costituite.
Alla data sopra indicata, quindi, dopo ampia discussione orale, la
causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Al fine di un inquadramento generale della fattispecie, il Collegio,
preliminarmente, rileva che la cornice normativa in cui la vicenda
deve essere collocata è essenzialmente quella di cui al d.lgs.
9.1.2008, n. 9 (c.d. “decreto Melandri”).
Il “decreto” in questione – in attuazione della “legge-delega”
19.1.2007, n. 106 – specifica al relativo art. 1 che esso pone
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“…disposizioni volte a garantire la trasparenza e l'efficienza del
mercato dei diritti audiovisivi degli eventi sportivi di campionati,
coppe e tornei professionistici a squadre e delle correlate
manifestazioni sportive, organizzati a livello nazionale, ed a
disciplinare la ripartizione delle risorse economiche e finanziarie
assicurate dalla commercializzazione in forma centralizzata di tali
diritti, in modo da garantire l'equilibrio competitivo fra i soggetti
partecipanti alle competizioni e da destinare una quota di tale
risorse a fini di mutualità”.
Sin dalle prime battute, quindi, il legislatore delegato evidenzia di
essere attento - sì - alla trasparenza ma anche alla “efficienza” del
mercato dei diritti audiovisivi in questione. Ciò appare coerente con
quanto già sottolineato dal legislatore delegante all’art. 1, comma 3,
lett. h), della l. n. 106/07 cit., ove era prevista una durata non
superiore ai tre anni dei contratti aventi ad oggetto lo sfruttamento
dei prodotti audiovisivi relativi agli eventi sportivi, “…allo scopo di
garantire l'ingresso nel mercato di nuovi operatori e di evitare la
creazione di posizioni dominanti”.
In sostanza, le intenzioni del legislatore erano quelle di favorire la
trasparenza nelle assegnazioni dei diritti al fine di rendere efficiente
il mercato relativo, allargare le opportunità di ingresso nello stesso
ed evitare la conferma/creazione di posizioni dominanti.
Sotto
tale
profilo
trova
quindi
ampia
giustificazione
il
coinvolgimento dell’AGCM, chiamata anche ai sensi dell’art. 6,
comma 6, del decreto legislativo in questione a verificare, per quanto
di competenza, la conformità delle Linee Guida ai principi e alle
disposizioni ivi dettate, unitamente all’AgCom per quanto di
competenza di quell’Autorità.
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Tali Linee Guida sono indicate dal legislatore quali disposizioni
necessarie “…per la commercializzazione dei diritti audiovisivi
recanti regole in materia di offerta e di assegnazione dei diritti
audiovisivi medesimi, criteri in materia di formazione dei relativi
pacchetti e le ulteriori regole previste dal presente decreto in modo
da garantire ai partecipanti alle procedure competitive di cui
all'articolo 7 condizioni di assoluta equità, trasparenza e non
discriminazione”.
Il “decreto Melandri”, quindi, pone un accento sulla necessità di
garantire “in primis” gli stessi partecipanti, anche attraverso
l’attenzione verso possibili formazioni di posizioni dominanti –
ritiene il Collegio non necessariamente nella forma specifica
dell’”abuso” di cui all’art. 102 TFUE – sulle quali è chiamata a
vigilare la stessa AGCM avvalendosi degli ampi poteri di cui al
richiamato art. 20 d.lgs. cit.
L’Autorità in questione, poi, unitamente all’AgCom e proprio al fine
“…di garantire la concorrenza nel mercato dei diritti audiovisivi”,
provvede sulle richieste dell'organizzatore della competizione volte a
consentire limitate deroghe ai divieti di cui all'articolo 11, comma 6,
secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 1, del decreto.
Tale premessa è stata illustrata dal Collegio per evidenziare che – in
tesi – l’intervento di “vigilanza” e di conseguente applicazione dei
poteri sanzionatori da parte dell’AGCM in relazione alle procedure
di cui al “decreto Melandri” è consentito, ed anzi auspicato, dallo
stesso legislatore ma – in ipotesi – tale intervento deve essere
finalizzato a verificare se, in concreto, vi siano state situazioni
patologiche volte a evitare essenzialmente e principalmente la
creazione di posizioni dominanti, secondo la preoccupazione
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esplicita del legislatore delegante.
Certo, aggiunge il Collegio, il richiamo di ordine generale di cui al
ricordato art. 20 non impedisce all’AGCM di verificare la
sussistenza di altre forme patologiche “anticoncorrenziali”, come le
“intese”, ma ciò pur sempre in un’ottica contestualizzata al mercato
di riferimento e ai soggetti in esso coinvolti, siano essi
l’organizzatore
della
competizione,
gli
operatori
della
comunicazione e l’utente inteso quale consumatore finale, secondo
le relative definizioni di cui all’art. 2 d.lgs. cit.
Risulta, infatti, che l’AGCM sia stata direttamente coinvolta dalla
Lega, dapprima ai sensi dell’art. 6, comma 6, d.lgs. cit. al fine di
verificare la conformità delle Linee Guida ai principi dettati dal
decreto stesso e, successivamente, dopo l’assegnazione dei pacchetti
e la conclusione della relativa procedura, al fine di concedere
l’autorizzazione “in deroga” per la sub-licenza sul pacchetto D da
RTI a Sky. In entrambi i casi, pur manifestando generiche
perplessità, non risulta che l’Autorità abbia riscontrato alcuna
violazione dei principi di cui al “decreto Melandri”, alla l. n. 287/90
o al TFUE tale da intervenire nei termini di legge o comunque in un
lasso di tempo logico e proporzionato.
Fermo restando quanto ora illustrato, il Collegio rileva che le
censure della ricorrente di cui ai primi quattro motivi di ricorso - che
si ritiene di esaminare complessivamente - sono condivisibili sotto
un profilo sostanziale che riguarda il provvedimento impugnato in
ordine
all’individuazione
stessa
di
una
condotta
“anticoncorrenziale”, tramite un’intesa restrittiva della concorrenza
“per oggetto” ritenuta particolarmente grave.
Tale intesa si sarebbe sostanziata nella ripartizione tra i due operatori
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principali del mercato delle “pay tv” dei diritti audiovisivi relativi al
campionato di calcio di Serie A, stravolgendo il corretto svolgimento
delle procedure competitive contemplate dal “decreto Melandri”,
mediante la sostituzione di una soluzione concordata all’esito del
confronto competitivo previsto dalla legge, recando in tal modo
pregiudizio al dispiegarsi di dinamiche concorrenziali fra gli
operatori attivi sul mercato e ostacolando l’ingresso di potenziali
nuovi operatori. Inoltre, risultava che nella versione finale del
contratto di sub-licenza vi erano difformità con quanto a suo tempo
comunicato all’Autorità, dato che, a fronte della condivisione di 22
partite del pacchetto D relative a una squadra di “prima fascia”,
sussisteva una clausola che obbligava RTI a non trasmettere 22
(altri) eventi di una squadra del pacchetto B.
L’intesa era stata considerata restrittiva “per oggetto” – per cui non
era necessaria la prova dell’intento soggettivo, era irrilevante che
l’accordo non fosse nell’interesse commerciale di alcuni dei
partecipanti e che tramite esso si perseguivano anche altri scopi
leciti, non era necessario dimostrare un effetto diretto sui prezzi agli
utenti finali – e quindi per la sua stessa natura dannosa per il buon
funzionamento del gioco della concorrenza, essendo caratterizzata
da un accordo spartitorio fra i due operatori attivi a livello nazionale
e detentori della sostanziale totalità del mercato mediante
l’acquisizione di contenuti “premium”, orientato alla ripartizione del
mercato di riferimento della “pay tv”, in seguito all’alterazione del
risultato della procedura competitiva prevista da una normativa
speciale, con conseguente cristallizzazione delle posizioni di
mercato determinate nel triennio precedente.
Ebbene, il Collegio rileva che l’articolata tesi dell’AGCM si fonda
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su due premesse maggiori: l’aggiudicazione “naturale” e non
contestabile della procedura competitiva era quella che vedeva i
pacchetti A e B in favore di un singolo operatore, con esclusione
della possibilità di offerte “condizionate”; le parti coinvolte
dovevano astenersi comunque da qualunque confronto su una
diversa soluzione allocativa, pur in presenza di una situazione di
incertezza interpretativa che si era formata dopo l’apertura delle
buste contenenti le offerte.
Irrilevanti erano considerate le seguenti circostanze: la indiscussa
presentazione di offerte competitive solo da parte dei due suddetti
operatori, che la possibilità di indire una nuova gara era una mera
“facoltà” per la Lega, che non risultava dimostrato come l’assetto
conclusivo fosse stato penalizzante per i consumatori.
Sulla base di tali considerazioni, il Collegio rileva che nella vicenda
in questione si può individuare – usando un gergo “colloquiale” – un
“prima” e un “dopo”. In una fase iniziale, infatti, non si riscontrava
alcun profilo “anticoncorrenziale”: le Linee Guida erano state
approvate dalla stessa AGCM - sia pure con una certa perplessità - la
quale evidentemente non riscontrava problematiche in ordine al
ventaglio di aggiudicazioni possibili; le offerte presentate erano
altamente competitive per quel che riguardava i due operatori
principali del mercato, che, anzi, si erano confrontati più
apertamente proprio sulle rispettive piattaforme “tradizionali” e
avevano – ciascuno per il proprio interesse – insistito a tutelare le
contrastanti posizioni all’esito dell’apertura delle buste e conosciute
le rispettive posizioni, anche mediante atti di “diffida” e
“controdiffida”, prospettando evidentemente un lungo contenzioso
dagli esiti incerti.
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In tale fase è quindi esclusa ogni volontà, palese o occulta, di
pervenire ad accordi spartitori di qualunque tipo.
Il Collegio non può astenersi dall’osservare che se vi fosse stata la
volontà di spartirsi il mercato – peraltro definito “oligopolistico”
dalla stessa AGCM e occupato dai due operatori principali senza che
si manifestassero segnali di effettiva concorrenzialità da parte di
operatori terzi (come confermato dalla circostanza per la quale alla
procedura in questione avevano partecipato solo altri due gruppi
imprenditoriali di cui, uno, “Fox”, riconducibile alla stessa Sky e
l’altro, “Eurosport” che aveva effettuato un’offerta inferiore al
minimo e per il, solo meno appetibile, pacchetto D) – sarebbe stato
più facile per i due operatori formulare offerte solo per le rispettive
piattaforme già occupate, non comportando l’invito ad offrire un
obbligo di formulare offerte su tutti i pacchetti, anche senza
pervenire a posizioni concordate sul punto, peraltro ovviamente
vietate in una fase anteriore alla gara.
L’intesa anticoncorrenziale si materializza, invece, secondo la
ricostruzione dell’AGCM, coinvolgendo non solo i due operatori ma
anche Lega e Infront: le quattro parti decidono di stravolgere l’esito
“naturale della gara” e, ciascuna per un proprio interesse,
pervengono
a
definire
l’accordo
spartitorio
stigmatizzato
dall’Autorità, di cui è parte integrante quello di sub-licenza, peraltro
modificato dopo l’autorizzazione concessa ex art. 11, comma 6,
d.lgs. n. 9/2008.
Tale ricostruzione al Collegio non appare convincente sotto diversi
profili relativi alla disciplina sostanziale “antitrust”.
In primo luogo si osserva che, a fondamento di una fattispecie di
“intesa” anticoncorrenziale, prima ancora di ogni approfondimento
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sulle rispettive posizioni soggettive, non può che individuarsi un
interesse comune – non obbligatoriamente coincidente sotto un
profilo economico – tra tutte le parti partecipanti. Solo un interesse
comune in termini di vantaggio acquisibile all’esito dell’intesa stessa
può infatti giustificare il potere sanzionatorio dell’AGCM che,
nell’ambito della sua potestà individua una “pena” pecuniaria che si
pone come “contrappeso” al vantaggio in questione, così da rendere
“non conveniente” il ricorso a tale forma di condizionamento del
mercato.
Solo successivamente, se acquisita la certezza del vantaggio
“soggettivo” in questione, ci si può soffermare sui risvolti
“oggettivi”, individuando una forma di intesa “per oggetto” o “per
effetto”, in relazione stessa alla struttura della fattispecie.
Il Collegio ritiene che non può prescindersi da tale aspetto
“cronologico”, dovendo l’Autorità preposta verificare sempre in via
pregiudiziale quale vantaggio, anche solo ipotetico, avrebbero
assunto tutte le parti dal dar luogo alla specifica condotta inquadrata
come intesa “anticoncorrenziale” e solo dopo, una volta prospettato
con un determinato margine di certezza che tale vantaggio è
configurabile, verificare se esso lo sia in forma per c.d. “astratta”
(intesa “per oggetto) e terminare l’analisi ovvero continuarla per
individuarne la forma per c.d. “concreta” (intesa “per effetto”).
Inoltre, anche nell’ipotesi di intesa restrittiva “per oggetto”, la
giurisprudenza ha precisato che “…al fine di valutare se un accordo
tra imprese presenti un grado di dannosità sufficiente per essere
considerato come una ‘restrizione della concorrenza per oggetto’ ai
sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore
delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere,
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nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca”
(Corte di Giustizia UE, Sez. II, Toshiba, in C-373/14 P nonché ING
Pensii, in C-172/14 ivi richiamata).
Da ciò ne deriva che comunque l’Autorità è sempre chiamata ad
un’attività di valutazione del contesto economico e giuridico del
mercato di riferimento e degli obiettivi fondanti la condotta
sanzionata, nel senso che un’intesa “per oggetto” può qualificarsi
tale solo se vi è mercato sufficientemente definito che risulti
“bloccato” dall’intesa come congegnata e se gli obiettivi
riconducibili al momento della sua posizione in essere siano “de
plano” considerabili anticoncorrenziali.
Ebbene, nel caso di specie l’AGCM ha invece direttamente ritenuto
la configurazione di un’intesa “per oggetto” ritenendola prevalente
su ogni previa considerazione dei ricordati profili, soffermandosi in
maniera poco convincente sul comune vantaggio che avrebbe spinto
“a monte” le parti (essenzialmente a ridosso della giornata del 26
giugno 2014) a promuovere la condotta poi sanzionata quale “intesa
anticoncorrenziale” e sulle ripercussioni di questa sul mercato in
quanto tale.
Nel provvedimento impugnato si fa riferimento ad un comune
coinvolgimento della Lega con Infront, che sarebbe intervenuta
direttamente a perorare la soluzione poi applicata facendo da
organizzatrice e mediatrice con Sky e RTI, ma tale conclusione
suscita comunque perplessità alla luce delle risultanze istruttorie.
Non si rinviene, infatti, una uniformità di posizioni che unisca
Infront, Lega, RTI e Sky in una trama comune che abbia visto il
consenso, sia pure implicito, alle rispettive iniziative.
Basta esaminare – in questo – già solo la posizione dell’”advisor”, di
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cui non si riscontra alcun interesse conforme a quello della Lega e,
di conseguenza, a quello dei due operatori commerciali. L’AGCM,
infatti, ha preso a riferimento l’interesse “economico e diretto” di
Infront circa l’esito dell’assegnazione dei diritti di cui al relativo
contratto, che prevedeva la clausola “Obbligazione di risultato” (v.
nota n. 143 del p.i., pag. 25) con la quale questa si obbligava a far sì
che le fosse corrisposto un ricavato totale determinato o, in caso di
mancato raggiungimento di tale esito, a corrispondere essa la
differenza.
In ciò, però, è individuabile ad opinione del Collegio un mero
interesse economico legato all’adempimento dell’obbligazione
contrattuale più che un interesse ad una specifica distribuzione di
risorse tra operatori determinati, considerato che il contratto in
questione era stato sottoscritto ben prima della data di presentazione
delle offerte e dell’apertura delle buste, per cui esso era “neutro”
rispetto all’identificazione dei partecipanti alla procedura che ben
poteva – in ipotesi – vedere molti più operatori concorrere rispetto a
quelli effettivamente poi offerenti.
Ne emerge un quadro che pone Infront come estranea ad influenze
decisive sul volere della Lega, cui è rimandata ogni determinazione,
e come soggetto che pone una problematica di ordine giuridico non
pretestuosa ma da più fonti, anche di una certa autorevolezza,
evidenziata (parere del consulente esterno, dichiarazioni in
assemblea di esponenti di squadre di calcio).
Inoltre, si ravvisa una certa coerenza nella posizione di Infront, la
quale – per stessa ammissione dell’AGCM – aveva in diverse
occasioni sostenuto la tesi dell’impossibilità di assegnare i pacchetti
A e B alla sola Sky e ciò per ragioni plausibili laddove, in una mail
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(richiamata nel p.i. e) inviata a un presidente di una squadra di calcio
di serie A, si evidenziava che “Come segnalato dalle stesse autorità,
l’acquisizione di entrambi i pacchetti A e B produrrebbe
inevitabilmente il formarsi di una posizione dominante nel
mercato…Sky ha da sempre, come riconosciuto dall’AGCM e
dall’AgCom una posizione dominante”. Aggiunge Infront nella
“mail” in questione che “In ogni caso questa è l’indicazione
dell’advisor fermo restando che decide solo ed esclusivamente
l’assemblea che è sovrana cui potrai rivolgere le tue osservazioni”.
Dal contesto del provvedimento impugnato, non si vede, quindi,
come Infront possa essere accumunata a RTI e Sky nelle operazioni
relative all’aggiudicazione.
Inoltre, il resto degli elementi “esogeni” richiamati dall’AGCM non
coinvolge direttamente Infront ma riguarda scambi di “mail” tra gli
operatori economici o tra questi e soggetti esterni a Infront, senza
individuare in quest’ultima una precisa volontà di favorire la
specifica condotta per propri interessi legati alla “spartizione” di
mercato.
A ciò si aggiunga che l’ulteriore elemento esogeno sui cui si fonda
l’AGCM, consistente nella circostanza per la quale il rappresentante
di Infront avrebbe telefonato nella mattina del 26 giugno 2014
all’amministratore delegato di Sky per comunicare l’esito della
vicenda relativa all’assegnazione (pacchetto A a Sky, pacchetti B e
D a RTI con disponibilità di quest’ultima a “sub-licenziare” il
secondo a Sky ma pur sempre “…ai sensi del Decreto Melandri”,
quindi subordinandola all’autorizzazione di AGCM/AgCom), non
prova alcuna diretta influenza dell’”advisor” sulla decisione, dato
che le testuali parole riportate nel provvedimento impugnato
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facevano chiaro riferimento a quanto operato “dalla Lega”, senza
assumersi alcun merito o vantaggio specifico.
Anche la successiva telefonata richiamata, ove Infront prospetta a
Sky la condizione di procedere alla rinuncia al contenzioso affinché
la Lega esprima il consenso ad avviare il procedimento di richiesta
di sub-licenza, non appare idonea a concretizzare una partecipazione
decisiva di Infront a stravolgere l’esito della procedura di
assegnazione ma testimonia, semmai, la sua opera di mero raccordo,
quale “advisor”, con operatori coinvolti in una complessa situazione
di “stallo”, fondata peraltro non su pretestuosi elementi ma su
ragioni giuridiche di sostanza.
Che “a posteriori” l’AGCM affermi in merito che in realtà
l’assegnazione dei due pacchetti a Sky non avrebbe integrato alcuna
formazione di posizione dominante non è argomento idoneo a
condizionare il giudizio sulla condotta delle parti, che – come detto deve essere esaminata esclusivamente nella contestualizzazione
degli eventi che, all’epoca, vedeva molti dubbi di fattibilità
nell’assegnazione dei pacchetti più appetibili ad un unico operatore
di mercato o anche una prevedibile incertezza sugli esiti di una
nuova gara, una volta conosciuti gli importi offerti da RTI e Sky
nonché da Eurosport (inferiore al minimo e per il solo pacchetto D,
meno appettibile e naturalmente collegato e dipendente dalla
gestione dei pacchetti A e B), con non impossibile evenienza che
anche il pacchetto D (ma non quello E) potesse essere ottenuto da
Sky, con evidenti ulteriori perplessità riguardo al rispetto dell’art. 9,
comma 4, del “decreto Melandri”, che la stessa AGCM nel
procedere all’approvazione della Linee Guida, pur potendo, non
aveva contribuito a prospettare e risolvere “ex ante”.
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In definitiva, le tesi dell’AGCM (di cui a pagg. 79-80 del p.i.) secondo cui Infront: a) aveva un interesse immediato e diretto circa
il raggiungimento di determinati ricavi da parte della Lega; b) aveva
svolto un ruolo di mediazione nelle discussioni fra le squadre e con
Sky;
c)
aveva
rappresentato
una
forza
di
promozione,
organizzazione, propulsione e coordinamento nell’intesa – non
appaiono convincenti ai fini dell’irrogazione di una sanzione
“antitrust” per le seguenti ragioni.
In relazione al punto sub a), il Collegio richiama quanto sopra
anticipato, nel senso che la modalità di pattuizione del compenso
riguarda il rapporto contrattuale Lega/Infront e non certo lo specifico
risultato derivante dall’assegnazione come effettuata, per cui non è
chiarito nel provvedimento impugnato come il compenso in
questione abbia costituito la “molla di propulsione” dell’intesa come
sanzionata; inoltre, la pattuizione riguardava la Lega e il suo
“advisor” e non vi sono elementi da cui l’AGCM abbia rilevato una
pattuizione o anche una forma di accordo tra Infront e Sky/RTI per
addivenire alla soluzione finale censurata dall’Autorità ovvero dai
quali dedurre che Infront aveva un interesse alla permanenza della
precedente divisione dei diritti e ad impedire l’ingresso di nuovi
operatori con eventuale incremento dei proventi della Lega stessa.
In relazione al punto sub b), non emerge un ruolo di mediazione
decisiva nei confronti dei partecipanti all’”intesa”, soprattutto di RTI
(di cui sono acquisite solo “mail interne” prive di efficacia
probatoria decisiva), fermo restando che risulta espressamente come
il rappresentante stesso di Infront affermi in una comunicazione che
l’assemblea di Lega è sovrana nella decisione e fermo restando che
la possibilità di formare “interfaccia” con alcuni esponenti di
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squadre di calcio in un momento – da contestualizzare – di estrema
incertezza sulla modalità di assegnazione finale appare consona al
ruolo di “advisor” proprio di Infront, dal cui atteggiamento non
emerge alcuna forma di imposizione o pressione sconveniente nei
confronti di Sky, RTI, Lega o anche altri esponenti di squadre di
calcio.
In relazione al punto sub c), non si riscontrano elementi da cui
dedurre che Infront abbia svolto un ruolo di “decision maker” e di
promozione/propulsione e coordinamento dell’intesa, dato che essa
si è limitata a prospettare alle parti le soluzioni possibili, esprimendo
la sua opinione di consulente, senza imporre alcuna decisione in
merito e senza dare luogo a una forma di concorso “atipico”
nell’illecito quale “collante” dell’intesa, non riscontrandosi alcun
profilo di interesse in tal senso.
Ne consegue che, non riscontrandosi alcun accordo Lega/Infront,
non può rinvenirsi alcuna comunanza di intenti tra i quattro soggetti
sanzionati.
Da ultimo, per completezza di esame della complessa fattispecie
posta alla sua attenzione, il Collegio ritiene anche di soffermarsi
sulla questione “nodale” di essa, relativa alla sussistenza o meno di
un illecito “antitrust”.
Come sopra evidenziato, l’AGCM ha ritenuto che la condotta delle
parti concretizzasse una forma di “intesa per oggetto” in quanto
rivolta alla ripartizione del mercato, individuato in quello dei diritti
televisivi relativi agli eventi calcistici la cui organizzazione è
riconducibile alla Lega.
Ai fini della individuazione di tale forma di illecito, la stessa
giurisprudenza riportata dall’AGCM, sia nel provvedimento
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impugnato sia nelle sue difese, ritiene necessaria un’interpretazione
“rigorosa”, nel senso che il rilevato coordinamento deve dare luogo
per la sua stessa natura a un grado di dannosità per il buon
funzionamento del normale confronto concorrenziale tale da non
individuare come necessaria alcuna ulteriore indagine sugli effetti
concreti da esso derivanti (Corte CE, C-172/14 cit.).
Deve trattarsi, come sostanzialmente rilevato dalle ricorrenti ma
anche dalle altre parti coinvolte nel procedimento, di una forma di
accordo, sia pure “atipica” e quindi non strettamente legata al c.d.
“big ridding” quale programmazione anticipata di risultati di una
gara, priva – aggiunge il Collegio – di qualsiasi giustificazione
economica diversa, in un contesto di mercato comunque ben definito
che vede un certo numero di “competitors” e con caratteristiche
idonee a contribuire al dispiegarsi naturale di forme di concorrenza
“orizzontale”.
L’intesa “per oggetto”, quindi, deve consistere in una fattispecie
rivolta ad impedire l’ordinario confronto concorrenziale “a monte”
del mercato, tale da impedire l’ingresso o il permanere in esso di
altri operatori anche mediante una semplice allocazione di risorse
idonea a condizionare il futuro funzionamento dello stesso.
Nel caso di specie, però, tali caratteristiche non si riescono ad
individuare.
Non è verosimilmente contestabile che il mercato dei diritti
televisivi della “pay tv”, in vigore ormai da molti anni, sia
contraddistinto da una penetrazione pressoché totalitaria di due soli
operatori (Sky e RTI/Mediaset per il 96,80%), come indicato nello
stesso provvedimento impugnato. Né si rinvengono elementi – e
comunque l’AGCM non li richiama se non in via ipotetica e futura –
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da cui dedurre che tale mercato sia in espansione “soggettiva”, nel
senso dell’esistenza di una ragionevole previsione di ingresso di altri
operatori, dotati di forza economica comparabile a quella dei due
sopra richiamati. La circostanza è confermata in misura ancora più
netta, per quanto riguarda il mercato dei diritti calcistici dei
campionati di calcio professionistici, dall’andamento della procedura
in esame, ove solo due operatori (sempre i medesimi, Sky/Fox e
RTI) hanno formulato offerte superiori al minimo prefissato.
Il terzo operatore (Eurosport) che era entrato in competizione, infatti,
oltre ad aver effettuato un’offerta inferiore al minimo per il solo
pacchetto D – come osservato nel corso del giudizio e non confutato
dalle difese dell’Autorità – svolge in realtà attività di “content
provider” e non di intermediario di diritti televisivi o di impresa
televisiva, quale operatore “wholesale” attivo in un mercato diverso
rispetto a quello “retail” della “pay tv” e con rapporti di
“partnership” commerciale proprio con Sky e RTI/Mediaset, a cui
fornisce canali sia prima che dopo l’espletamento della procedura in
questione.
Né emerge che Eurosport potesse trarre alcun sicuro vantaggio,
anche in un’ottica concorrenziale “pura”, da un’eventuale riedizione
della gara, una volta conosciute le sue potenzialità di offerta di gran
lunga inferiori a quelle degli altri due unici “competitors”.
Nel provvedimento impugnato manca, quindi, l’illustrazione di
elementi di ragionevole previsione sui quali fondare la convinzione
che - in assenza dell’assetto poi concretamente formatosi a seguito
dell’attribuzione distinta di A e B con sub-licenza per D ai sensi di
legge e con la riedizione della gara – Eurosport (o anche ulteriori
operatori) avrebbe(ro) avuto concrete possibilità di entrare nel
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mercato in questione per competere con efficacia.
Ne consegue che la soluzione orientata all’attribuzione dei due
pacchetti principali ad uno solo dei due operatori (peraltro quello
“incumbent”, presente da più anni sul mercato, con formazione di
consistenti utili), come propugnata, a posteriori, dall’AGCM, non
sembrava certo idonea a consentire una svolta “pro-concorrenziale”,
pur in disparte ogni considerazione sulla posizione “dominante” o
meno che tale operatore avrebbe (ri)acquistato.
E’ mancata, in sostanza, un’accurata analisi del mercato rilevante
come concretamente strutturato che è comunque necessaria anche
nell’ipotesi di intesa anticoncorrenziale “per oggetto”.
Per tale ragione, l’allocazione delle risorse in questione, anche se
collegata ad un accordo per la sub-licenza, ha assunto una funzione
“pro-concorrenziale” nella peculiarità del mercato di riferimento,
consentendo il confronto concorrenziale tra i due unici operatori
esistenti, con conseguenze tangibili anche sul piano dei vantaggi per
i consumatori, che non hanno infatti visto un aumento dei prezzi per
i rispettivi “abbonamenti”, come dimostrato da tabelle allegate nei
contributi procedimentali delle parti. Che vi sia stato un andamento
generale in ascesa dei prezzi di abbonamento alla “pay tv” negli
ultimi anni, come illustrato in altra tabella dall’AGCM, non è
argomento valido a confutare la conclusione ora riportata, in quanto
tale andamento dei prezzi riguarda comunque l’intera piattaforma
offerta e non i soli diritti audiovisivi calcistici e ben può essere
legato all’incremento dei contenuti offerti e alla loro conformazione
a una tecnologia migliorativa in continua evoluzione.
Alla luce di quanto illustrato, in definitiva, il Collegio rileva che
l’assetto preso in considerazione dall’AGCM:
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a) non può definirsi quale “accordo spartitorio”, dato che le parti
hanno consentito il perpetuarsi di una concorrenza che altrimenti
non ci sarebbe stata;
b) non può rientrare nella fattispecie dell’intesa anticoncorrenziale
“per oggetto”, in quanto non è stata dimostrata una sua dannosità
presuntiva per ripartizione di mercato, dato che non era accertata “a
priori” la rispettiva quota di tale mercato e la clientela dei
consumatori rimaneva pienamente contendibile;
c) la “causa” contrattuale alla base della sub-licenza per il pacchetto
D richiesta dalla Lega e autorizzata dall’AGCM era pienamente
lecita, in quanto orientata ad evitare contenziosi futuri, “stallo” del
mercato e ulteriori inconvenienti per i consumatori, mantenendo la
concorrenza effettiva in assenza di nuovi operatori concretamente
interessati all’ingresso nel mercato specifico;
d) la soluzione alternativa propugnata a posteriori dall’AGCM non
dava
certezze
in
ordine
ad
un
sicuro
incremento
della
concorrenzialità in termini più estesi di quelli poi verificatisi, con
altrettanti sicuri benefici per la Lega e i consumatori;
e) l’assetto definitivo appare anche rispettoso della normativa di cui
all’art. 1, comma 3, lett. h), l. n. 106/2007 e all’art. 1 d.lgs. n.
9/2008.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve essere accolto,
con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e
assorbimento degli ulteriori motivi volti a contestare rilievi
procedurali e, in via subordinata, la misura della sanzione.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per intero,
attesa l’estrema complessità e la novità della fattispecie.
P.Q.M.
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Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato per
quanto riguarda la sanzione irrogata nei confronti delle ricorrenti.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 novembre 2016
con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
Lucia Maria Brancatelli, Referendario
L'ESTENSORE
Ivo Correale
IL PRESIDENTE
Carmine Volpe
IL SEGRETARIO
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