La via dei conventi - Associazione Apertamente

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La via dei conventi - Associazione Apertamente
La via dei conventi
Non un libro sul turismo religioso ma un approfondimento storico sul movimento ustascia in
Croazia, prima e durante la Seconda guerra mondiale e sui suoi influssi e riflussi nella
Jugoslavia titina. Una ricostruzione fatta sulla base di documenti doplomatici e d'archivio di
numerosi Paesi.
L'ustascismo, nelle intenzioni di Paveli e dei suoi, avrebbe dovuto restituire alla Croazia
quell'antica grandezza che avrebbe avuto - a suo avviso - nel leggendario regno fondato nel
decimo secolo sul lato occidentale dei Balcani. Curiosamente la stessa Croazia produsse,
nell’Ottocento, due ideologie completamente diverse. La prima, quella illirista, tendeva allo
jugoslavismo (ne era leader il vescovo zagabrese Josip Strossmayer), ciò all’unione – in
chiave antiasburgica ed antiottomana - degli Slavi meridionali, cattolici ed ortodossi che fossero.
L’altra invece, mescolando nazionalismo, clericalismo e razzismo, puntava non solo ad una
grande Croazia statualmente autonoma (e quindi di fatto irriducibilmente antiserba) ma anche
etnicamente pura.
Protezione italiana
Pavelić parte ovviamente da quest’ultimo pensiero e lo organizza con il terrorismo negli
anni Trenta con l’obiettivo di smantellare la prima Jugoslavia, cioè il Regno dei Serbi, dei
Croati e degli Sloveni (SHS) in cui la Croazia era “prigioniera”. Non solo il re Alessandro
venne ucciso a Marsiglia nel 1934 da mano ustascia, ma per tutti gli anni seguenti proseguì
l’opera di destabilizzazione del Regno jugoslavo. Opera francamente facilitata da un lato
dall’oggettiva fragilità e rissosità del giovane Stato, dall’altro da chi, come l’Italia
fascista, aveva mire egemoniche sul vicino Regno.
Non meraviglia dunque che Pavelić ed i suoi ustascia vengano generosamente accolti e
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protetti in Italia in attesa del momento propizio. Momento che arriverà presto con
l’invasione italotedesca della Jugoslavia, la sua frantumazione e la nascita, nell’aprile
1941, dello Stato indipendente croato (NDH) guidato dal poglavnik (duce, capo) Pavelić.
Uno Stato che si presentava non solo filofascista ed ultracattolico, ma anche violentemente
razzista. Obiettivo: spazzar via i serbi, gli ebrei ed i rom; i massacri e la pulizia etnica ebbero la
scientificità massima nel famigerato campo di Jasenovac, un vero e proprio lager (con tanto di
forno crematorio) guidato anche da un frate, detto efficacemente frà Satana.
Dopoguerra
Con la sconfitta tedesca e la vittoria partigiana, gli ustascia in fuga dimostrarono una grande
abilità nel nascondersi approfittando di una rete vasta di appoggi e di coperture fornite
soprattutto da influenti sacerdoti e frati croati nonché da chi vedeva negli ustascia una forza
anticomunista comunque utile nel momento in cui il mondo si spaccava nella guerra fredda.
Dopo l’Austria e l’Italia fu l’Argentina peronista la meta “naturale” di tanti
dignitari ustascia, Pavelić compreso.
Il poglavnik morì nel 1959, quando ormai la Jugoslavia, avendo rotto con l’URSS, era
ritenuta geostrategicamente “utile” all’Occidente. L’ustascismo si era ormai
ridotto alle azioni terroristiche, che ebbero il picco in quella “Primavera croata” del
1970-71 che fece esplodere ampie rivendicazioni nazionalistiche poi represse dallo stesso Tito.
Il libro finisce qui. Ma sappiamo che, come vampiri, gli ustascia (insieme con i cetnici serbi)
riapparvero lugubremente negli anni delle violente convulsioni che smembrarono la Jugoslavia
federale. Lo stesso presidente Franjo Tuđman ed il suo partito HDZ ebbero il sostegno di una
robusta diaspora anticomunista dalla tinta decisamente filoustascia. E bisognerà aspettare nel
2002 il centrosinistra di Ivica Račan (ex Lega dei comunisti) perché si cominci a pensare di
vietare in Croazia il proliferare della simbologia ustascia, cui si erano aggiunte le foto di Ante
Gotovina. Ma, come un fiume carsico, non è detto che l’ustascismo non possa trovare
nuovo consensi dalla destra radical-populista, magari rifiutando quell’Europa che tra due
anni dovrebbe accogliere la Croazia.
Perché quel che è certo – ed il lavoro di Adriano e Cingolani ben lo dimostra – è che
l’ustascismo si innerva incontestabilmente sulla storia croata, o perlomeno di una certa
Croazia, e quindi anche sulle dinamiche sempre piuttosto aggrovigliate dei Balcani.
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