Pizzaconnection

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Pizzaconnection
Pizzaconnection
di Fabrizio Miliucci
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uelli come me c’hanno tutti qualcosa da nascondere, per
questo lavorano da Pizzaconnection. Una cosa che magari
nemmeno sanno bene cos’è, però la sentono eccome se
a pelle preferiscono un lavoro così, che fai quello che devi fare, ti pigli
i soldi della giornata e vai via, senza che spieghi chi sei, cacci i documenti e firmi un sacco di fogli. Io devo lavorare, ok, ma a te che te
ne frega chi sono e chi non sono? Che sei, una guardia? Questi sono
fatti miei e basta. A quelli come me chi sei è meglio se non glielo
chiedi proprio. Ecco il fatto qual è.
Io poi lo so troppo bene perché mi tocca stare nascosto, e allora da
Pizzaconnection oramai ci sto da parecchio. Ma all’inizio non volevo
abbassarmi a fare il fattorino. Portare la pizza a casa della gente mi
pareva umile. Ma poi piano piano, siccome non trovavo altro, allora
mi sono convinto. Sennò qua stavo fresco. Ma non ti credere che si
guadagna. Anzi. La paga è la cosa più brutta, quindici, venti banane.
Un po’ di benza alla macchina, al massimo le sigarette.
Che ci vuoi fare?
Certe volte però a fare questo lavoraccio ti senti uno stronzo. Quando sono tutti a casa e tu stai lì con quella cazzo di sacca in mano a
fare su e giù lungo la strada e non trovi il palazzo e non sai dove devi
citofonare e i cani ti abbaiano dietro e i ragazzini figli di troia ti pigliano pure per il culo. Certe volte uno si pente proprio di lavorare da
Pizzaconnection e dice: «Appena torno mando tutti a cagare cazzo
me ne frega a me?»
Però poi trovi il tipo e magari ti abbuschi una mancia, monti in macchina, parti e torni a mazzetta, con le ruote che fumano su ogni
rotonda e saltano sopra i dossi, capito come? E allora ti metti un po’
l’anima in pace e ti sfoghi. Ti diverti a fare qualche curva a cannone
e va sempre a finire che resti.
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Ma i primi tempi le macchine nemmeno ci stavano, ci stavano i motorini. Vecchi scarabei tutti sfondati col bauletto attaccato dietro che
tu aprivi e infilavi i cartoni uno per uno nelle staffette d’alluminio.
E dopo partivi. Gelo, grandine, neve, diluvio universale tu dovevi
partire lo stesso.
«Si fredda la pizza», diceva il Boss, «cercate di darvi una mossa».
Allora giravi per tutta la città con le gomme lisce e i freni spanati,
ma tu che ti credi? Che davvero non s’è addobbato mai nessuno con
quei cazzo di scarabei? O che pure dopo, con le macchine, è andato
sempre tutto tranquillo? Ma beato a te. Fobia l’ha tirata piccola la
capocciata quando s’è stampato su un albero a Vialepetrarca (già era
scemo prima, figurati adesso) oppure Mirketto, o quell’altro che c’ha
rimesso una gamba e cammina ancora tutto mongoloide. A tutti c’è
capitato il botto. Prima o dopo il botto capita per forza. L’unica è
sperare di non farsi tanto male quando succede. Perché comunque
va sempre a finire in culo a te. E quando sei sceso dalla macchina incidentata e chiami in pizzeria col telefonino, loro prima di chiederti
se stai bene dicono: «Ma hai fatto la consegna? La macchina come
sta?», e poi dopo, ma solo dopo, «e tu?»
E insomma i primi tempi sempre col motorino. Col giubbottone
allacciato fino alla gola che quando tornavi sgocciavi acqua in mezzo
ai clienti che si ingozzavano e il Boss mentre impastava alzava un po’
lo sguardo e faceva lo gnorri: «Che, piove?», chiedeva.
Ma dopo che hanno preso le macchine le cose sono migliorate un
pochetto. È stato proprio quando quello là ci ha rimesso la zampetta che il Boss deve essersi detto: qua mi levano tutto, e allora ci ha
attrezzato con qualche Uno bianca, e sul tettino gli ha pure fatto
montare le insegne abusive che si illuminano e c’hanno la scritta
Pizzaconnection e il numero di telefono per fare le ordinazioni.
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Una vergogna che non ti dico andare in giro con quella roba accroccata sopra la macchina. E infatti a me m’era pure passata la fantasia
e stavo anche per dirglielo, alla moglie del Boss: «Io con quella roba
sulla macchina non ci vado in giro». Ma poi Skema m’ha spiegato
che basta staccare la spina appena giri l’angolo. Certo, l’insegna sta
sempre là, ma al buio mentre sfrecci lungo la strada se rimane spenta
non la nota nessuno. E comunque almeno il freddo e la pioggia erano
risolti. La sera che sul piazzale sono comparse le macchine noi fattorini, dopo anni di acqua che ti correva lungo la schiena, scatarravamo
tutti felici.
Fatto sta che anche da Pizzaconnection abbiamo iniziato a intripparci nel traffico vero. All’inizio stavamo sempre a tirare con Zecco e
Manina. Invece quando vedevamo un posto di blocco ci facevamo i
segni coi fari e col clacson. E questo ce lo aveva detto proprio il Boss
di farlo. Qua c’è l’ordine di non farsi beccare sennò sono cazzi. Per chi
lo pizzicano ma soprattutto per lui, il Boss. I finanzieri gli imboccano
in pizzeria e cominciano ad attaccare storielle finché lui non li porta
nel retrobottega. Quando poi escono, quelli c’hanno il sorrisetto e
pare che è tutto a posto, ma a quello la faccia scura gli resta un mese,
e non si può dire né a né o che scapoccia come una iena: «È colpa tua
è!», gli fa a quello che s’è fatto pigliare, «ma io non ti pago!» Poi si
sputa sui palmi delle mani e rinizia a impastare. Quindi occhi aperti
e in caso darsi, capito come?
Una sera però m’hanno beccato anche a me porco zio. Quella volta
non ci stavo a pensare e invece i balordi s’erano messi a fare le poste
davanti al Palabowling. Paletta e via. Bevuto. Non ti dico le madonne dentro la Uno. C’avevo pure un mezzo ciccotto in bocca che
per farlo sparire mi sono bruciato anche un dito e giù a ringhiare
altre madonne. Comunque paletta e via. Pronti. «Buonasera marescià
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come andiamo?», ma intanto tra me e me facevo, se mi identificano
stavolta sono fottuto. Quello c’aveva una faccia incazzata e scartabellava coi documenti della macchina, io tossicchiavo per farmi vedere
tranquillo. Poi ho provato il tutto per tutto, prima che i documenti
me li chiedeva anche a me: «Certo che vi lasciano sotto ’sto freddo
senza manco niente da mangiare», era proprio ora di cena, alla guardia gli sono brillati gli occhi per un nanosecondo, «che la favorite una
pizzetta marescià? Lei coi colleghi suoi?»
Ora, quello poteva dirmi di no, che era in servizio, chiedermi i documenti miei, fare un controllo e portarmi dritto in centrale. Oppure poteva dire di sì e l’avevo sfangata. E invece non diceva niente.
Mi guardava e basta. Fisso. «Qua dietro c’ho un sacco di roba, pure
crocchette, pure i supplì!» Ma quello niente, e allora scendi tu di tua
iniziativa, apri il cofano dietro e comincia a tirare fuori la roba con la
strizza che a ogni mossa quello diceva: «Ma che vai faciendo guagliò?
Rientra int’a machina, muòviti». E invece niente, quello non ha fatto
una piega e pareva pure scocciato. Dopo un po’ anche i colleghi suoi
m’hanno iniziato a guardare straniti ma io andavo avanti borbottando cazzate sul freddo. Gli ho apparecchiato il cofano della gazzella,
pizze peronipiccole patatefritte, e li ho messi a mangiare, un saluto educato e me ne sono venuto via senza mancia. Sono tornato in
pizzeria, ho spiegato tutto al Boss e mi sono buttato in un angolo a
sbraciarmi gli ultimi tiri della torcia mentre smaltivo, e a quelli che
arrivavano gli dicevo dove stavano i balordi e di fare il giro largo.
Quello non s’è incazzato più di tanto per le pizze perse, e anzi: «Bravo», mi ha detto, «hai fatto bene così». Ma a me me ne fregava assai
di lui e di Pizzaconnection, io c’avevo avuto paura che il mazzo me
lo facevano a me perché in giro è pieno di infami che si credono che
sono ’sta ceppa di cazzo.
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Comunque sia, quella volta mi sono davvero cagato in mano, te lo
giuro, volevo finirla là, vaffanculo te e le pizze a domicilio: «Io me ne
vado via, emigro proprio, non hai capito», e infatti con Jerry Lee ce lo
dicevamo sempre di andarcene in Olanda a sfondarci di bombe (perché comunque, quello che ti serve, fumo bamba maria, qua basta che
fai un fischio, capito?) e ogni sera facevamo il piano di come si poteva
fare pel viaggio, poi però lui ha trovato da fare il fruttarolo ai mercati
generali e io sono rimasto un’altra volta qua. Da Pizzaconnection.
Però la moglie del Boss dopo quella volta del Palabowling s’è inventata una cosa per stare più tranquilla. Ci dà uno scontrino fiscale a
inizio serata e quello devi cacciare fuori se i finanzieri ti danno rogne.
Sì perché mi sono scordato di dirti che il conto da Pizzaconnection
te lo fanno su un foglio normale così la cassa rimane a riposo. Quindi
uno scontrino a sera e via per la città, possibilmente evitando le guardie. Ma a dirtela tutta di questo fatto dello scontrino non è che a me
me ne era mai fregato qualcosa, e neanche ai clienti, ma lei quando
gli ho raccontato di come m’ero dovuto tirare via dalla trappola ha
pensato subito agli scontrini, perché quando qua imbocca la finanza
è sempre per quello. Se permetti però poi non glielo sono andato più
a dire che per me il problema era un altro, che c’ho da stare attento
ai fatti miei, che io dentro non ci posso tornare, sennò poi quella era
capace di attaccare a fare domande, e con me le domande le devi
accannare, non hai capito, te l’ho detto anche prima.
Però adesso che ci ripenso uno che m’ha attaccato pippe per ’sto benedetto scontrino fiscale una volta l’ho pure trovato. Era un vecchio
delle Incise, voleva a tutti i costi farsi prendere a zampate. Quella volta arrivo bello spedito, inchiodo la macchina a Piazzadante, imbocco
il portone e citofono, salgo, ricitofono e mi apre ’sta faccia da cazzo.
Quella sera ero allegro proprio, non mi ricordo nemmeno perché, ma
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ero allegro e felice e salendo avevo fatto le scale a due a due. Insomma
quando quello mi apre io saluto per bene perché l’educazione a scuola
me l’hanno imparata anche a me e pure il rispetto dei capelli bianchi,
poi gli passo la roba: «Diciotto e cinquanta», e gli allungo il foglietto
del conto, tranquillo e contento. Quello però ha cacciato gli occhiali dal taschino della vestaglia: «Per due margherite mi sembra un po’
troppo!», ha guardato il foglietto e ha sbroccato, «E questo che cos’è?!
Questo scontrino non è valido! Lo sa che con questo ruba i soldi anche
a me?», così, dal nulla. Era impazzito. Io non gli avevo mica rubato un
cazzo a quel vecchio scemo, te lo giuro, io non me l’aspettavo proprio
e ci sono rimasto pure di merda, ma come? Io vengo tutto contento e
tu mi sbotti i peggio insulti? «Sì vabbé me li dai ’sti soldi?», gli faccio
a quel punto già un po’ incazzato, ma quello invece di capire s’è messo
a strillare più forte: «Io non le debbo dare proprio niente! Anzi adesso
chiamo la polizia e stiamo a vedere! Io vi denuncio! A lei e al suo principale!» Ed è stato lì che non c’ho visto più, quando quel deficiente ha
iniziato a dire denuncio di qua denuncio di là. Ehù! Ma io ti scasso
di botte! A chi cazzo vuoi denunciare tu? Tu ti fai i cazzi tuoi e muto
perché se mi pigliano i cinque minuti ti lego e ti do fuoco con tutta la
casa vecchio bastardo, ti faccio a pezzi e ti ficco nel bauletto della pizza,
ma ’sto coglione! E gli ho detto proprio così infatti: «A chi denunci tu?
Tu ti fai i cazzi tuoi sennò io ti spacco», e m’è partita pure una pizza,
ma nel senso della manata ’sta volta. E ’sti grandissimi cazzi dei capelli
bianchi! Potevi starti più attento alle parole che usavi! Denunci a chi?
Comunque è andata a finire che m’ha pagato e s’è rinfilato in casa con
la coda fra le gambe, il vecchio. Ma siccome a me non m’era per niente
sbollito lo scazzo, e siccome mi sentivo pure allegro e contento come
quando ero arrivato, allora mi sono tirato fuori il cazzo e gli ho pisciato
sul tappeto, sulla porta e sul campanello. E vaffanculo. Sono uscito che
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ridevo. Ho acceso il motore della Uno, ho mollato di colpo la frizione e
ho affondato con l’acceleratore così gli ho lasciato sotto casa metà delle
gomme, per quanto ero felice e contento. Quella volta ho sbroccato di
brutto, ma non ti credere, con i clienti capita sempre. Gliene ho fatte
poche io a quelli delle palazzine ricche di q4 e q5, ne ho fiondata poca
di posta nei bidoni della mondezza quando poco poco mi rispondevano male. Bollette, pacchi, cartoline, tutto. Tutto nell’umido.
Che fai ridi? E ridi ridi che intanto io sono sei anni che sto a Pizzaconnection. Alla fine ci sono cresciuto dentro ’sto posto. Quando
sono arrivato ero un pischello. Un botto di tempo. Una boato. Sul
motorino e sulla Uno bianca. A fare su e giù tutte le sere per Viaisonzo, Viadellerose, Viapantanodinferno, e piano piano è diventato un
impiccio che non se ne esce, mangiare merda sputare sangue. Tutto
’sto tempo seduto sulle sedie di plastica insieme con gli altri, Danilo
il Bove Pennabianca, ad aspettare la consegna, a parlare, a fumare, a
guardare il pelato di fronte che mena i figli una sera sì e l’altra pure
e noi a dirci: «Adesso andiamo lì e lo spacchiamo di botte!» Ma non
ci siamo mai andati perché pure quello è una guardia. Ci siamo pure
fatti le peggio risate però. Quelle sere che non si combina un cazzo
e quando è ora di pagare il Boss ti fa storie perché la moglie lo pressa, ma noi lo guardiamo storto e allora si sta zitto e abbozza, sennò
davvero davvero lo ammucchiamo pure a lui con tutto il bancone e la
moglie. Quelle sere lì magari ci scappa uno spino o una schicchera,
capito come? E dal frigo spariscono tipo tre quattromila peronipiccole e allora sì che ci tagliamo e quando salta fuori una consegna
litighiamo per un’ora e mezza con le pizze che rimangono a freddarsi
e la moglie del Boss che ci rompe le palle e noi giù a pigliarla pel culo.
Oppure stiamo tutti zitti a guardare fisso la finestra del pelato con
lui che si vede Paperissima Sprint, ognuno coi pensieri suoi nella
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testa. L’unico che parlava sempre era Goffredino che era il più rompicoglioni di tutti e non sputava un secondo. Una volta era tutto il
pomeriggio che mi faceva: «Ti devo fa’ vede’ una cosa», finché a mezza serata non s’è tirato giù pantaloni e mutande, s’è coperto il cazzo
con una mano e con l’altra ha tirato fuori una palla enorme, tutta
bianca e senza un pelo. «Toccala», diceva pure quel coglione, «è molliccia». Poi tempo dopo Gianmarco era tutto strano ma io non lo
sapevo che era successo, allora l’ho salutato e lui m’è sbottato a piangere sopra una spalla, come a un fratello, e in mezzo ai singhiozzi
m’ha chiesto: «Ma come si fa a mori’ a diciott’anni?»
Quella volta là ci ha pensato Fobia a dire qualcosa perché io c’ero
rimasto troppo male, e non mi usciva più una parola e non sapevo
che fare. Allora ha attaccato lui con un lungo discorso, uno dei suoi
tutto impicciato che non si capisce niente per via della erre moscia e
degli spuntoni sul labbro. Ma quella volta, nel buio del retrobottega,
quello che diceva lo abbiamo capito tutti. Guardava per terra e ogni
tanto si accarezzava la cresta, faceva frullare il teschio del portachiavi,
si incantava un momento e poi continuava. Ascoltavamo tutti in silenzio ma appena c’è stata una consegna io mi sono alzato e mi sono
dato pure se non era il turno mio. Sono montato in macchina e ciao.
Dopo un po’ mi sentivo già meglio. Sì perché girare per la città a un
certo punto diventa un fatto automatico, le mani e i piedi ballano
intorno alle leve e allora tu non pensi più a niente, non c’è bisogno
nemmeno che la guardi, la strada, così guardi tutto il resto, i cartelloni pubblicitari coi culi delle modelle, i barboni che ficcano la testa
nei cassonetti, quelli che girano col Mercedes, le ville degli zingari
con gli Audi tt parcheggiati davanti.
Comunque sia va sempre a finire che ti perdi, fai i giri più assurdi,
ti scordi dove stai andando, te ne freghi e ti incastri sulle rotonde.
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Io una volta ne ho fatta una per sedici volte di fila. Alla fine mi
veniva da vomitare ma ero contento lo stesso. Per quanto la prendi
alla larga però è inutile, a un certo punto tocca che vai dal cliente.
Così quella volta che Fobia stava ancora a parlare nel retrobottega di
Pizzaconnection sono partito come una freccia, ho parcheggiato la
macchina sotto ai palazzoni della mediana, ho chiuso con la sicura
(che quelli che abitano lì stanno avvelenati peggio di noi) e mi sono
accollato le pizze. Scala h. Citofono. Portone. Al piano m’ha aperto
la porta una biondina tutta tirata, con le labbra rosse. Ho iniziato
a passarle la roba e lei mi ha fatto un sorriso. E a me è quel sorriso
che m’ha illuminato.
Poco dopo ero in ascensore. Davanti lo specchio mi sono accorto che
c’avevo un graffio lungo tutta la guancia come un filo di sangue e
anche in bocca, sopra la lingua. A vedermi così m’è venuto da ridere.
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