I cavalieri dello Zodiaco

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I cavalieri dello Zodiaco
I cavalieri dello Zodiaco
Lo stylus phantasticus, proprio della musica
strumentale, è il più libero e meno vincolato metodo di
composizione. Non è sottoposto a niente, né alle parole, né
ai soggetti armonici; è creato per mostrare l'abilità
dell'esecutore e per rivelare le regole segrete dell'armonia,
l'ingegnosità delle conclusioni armoniche e la capacità di
improvvisare fughe.
Athanasius Kircher, Musurgia Universalis, Roma,
1650, tomo 1 p. 585
Per l'uomo del Seicento lo Zodiaco era qualcosa di ben diverso dai trafiletti che (più o meno)
distrattamente oggi si leggono in un angolino del giornale. Dentro alle figure dei segni allora si
tramandava un enorme sistema di saperi, antico almeno quanto lo scudo che Achille volle istoriato di
costellazioni (Iliade, libro XVIII, versi 478-607). La scienza dei suoni era parte essenziale di questo
sistema, anzitutto perché si può rappresentare tutta con i numeri, così come una relazione matematica
sa manifestarsi sotto forma di suono, di melodia, di accordo.
L'umanità poteva governare questa meravigliosa macchina del pensiero e ascoltarne il canto nella
piena consapevolezza del suo funzionamento, ma non poteva invece udire il suono prodotto dalla
perfetta consonanza fra le sfere celesti, quel suono che è puro concetto e si può solo ÿsapere che c'èŸ.
Nel 1619 viene pubblicato a Linz il trattato Harmonices Mundi di Keplero, che descrive le relazioni
fra i moti planetari attraverso intervalli melodici; percorrendo una strada tracciata fin dai pitagorici,
Keplero ribadisce che la musica, l'astronomia, la matematica, la geometria sono fatte della stessa
sostanza: il numero.
Tra gli autori proposti in questo programma, Heinrich Schütz e Samuel Bockshorn (che da noi
potrebbero essere il maestro Balestrieri e il cavalier Becchi) vollero farsi conoscere al mondo esponendo
l'accezione zodiacale del proprio cognome. Non si trattava di una semplice posa effimera, piuttosto del
più spontaneo gesto di chi - musicista pratico, speculativo e capace di erudite letture - era
letteralmente immerso nella dottrina dell'armonia delle sfere. Il Capricorno ebbe occasione di lavorare
a Vienna dove fu collega di Giovanni Valentini e Antonio Bertali; alla corte imperiale si parlava,
ballava, divertiva in italiano. Al Sagittario capitò di andare a studiare in Italia incontrando le
maggiori eminenze di allora, tra cui Giovanni Gabrieli e Monteverdi; ne raccolse il tesoro e divenne il
maggiore epigono dello stile italiano di primo Barocco oltre le Alpi. Al momento di ritornare in
patria si mise in valigia varie forme di monodia 'concertata' con gli strumenti, il genio della scrittura
policorale, il gusto della melodia italica, che continuò fedelmente e incessantemente ad esercitare
durante il suo magistero nelle città di Dresda, Kassel e Copenaghen. Additato come grande autorità
dai suoi contemporanei, Schütz fu amato e assai imitato; divenne pertanto il principale protagonista
dell'incontro che avvenne fra l'esperienza musicale nordeuropea e quella italiana.
Allora i più abili suonatori di strumenti a tastiera delle città anseatiche, particolarmente a Lubecca
o Amburgo, coltivavano l'arte della fantasia: una tecnica molto in auge durante il Rinascimento e che
ora poteva slanciarsi oltre i consueti limiti formali perché un nuovo pubblico, fatto perlopiù di
mercanti e viaggiatori, amava stare in compagnia ascoltando buona musica. Si trattava di alternare
l'improvvisazione virtuosa e sorprendente con abili ed ingegnose fughe assemblate al momento,
sfruttando al massimo le specificità tecniche dello strumento (ciò che ci permette di conoscere oggi le
prodezze di Scheidemann o di Buxtehude non consiste in raccolte di musica a stampa o manoscritti
autografi, ma soprattutto nelle annotazioni di qualche alunno devoto). I musici da camera, impiegati
in importanti istituzioni civiche o aristocratiche, applicavano questo stylus phantasticus all'interno
delle tradizionali forme di danza, "brevettando" quella sequenza ordinata e polivalente conosciuta con
i nomi di Suite o Partita; si praticava insomma un linguaggio di chiara ascendenza italiana, appreso
un po' da qualche suonatore lombardo emigrato nel cuore dell'Europa e un po' da qualche tedesco
che aveva studiato in Italia, oltre che sui libri che ci si prestava tra colleghi. Non sarà dunque stato
troppo a disagio Johann Rosenmüller quando, licenziato dalla Thomasschüle di Lipsia, trovò lavoro
nella Cappella di San Marco a Venezia per poi raggiungere lo staff di quel duca di Brunswick che
tanto amava le cose dell'Italia.
L'esperienza dello stylus phantasticus (termine
coniato da Athanasius Kircher, un dotto tedesco che
viveva a Roma, perlappunto) si innestava così con lo
stile italiano 'moderno' accogliendone con grandissimo
favore i capitali del suo lessico: gli affetti. Come la
letteratura, le arti visive, il teatro, la musica si
disponeva (e si dispone ancora, giacché ne siamo del
tutto pervasi) ad evocare con i propri mezzi espressivi
i movimenti dell'animo umano, secondo un codice di
significati che oggi non è del tutto agevole
comprendere, mentre ai tempi doveva certo essere di
universale accesso. Il suo compito era di "prendere
per mano" chi non aveva ricevuto un'istruzione alla
lettura e nello stesso tempo procurare un moto di
piacere alla gente d'intelletto attraverso l'uso di figurae
capaci di rinviare immediatamente a un'immagine,
un'idea, un senso, un'emozione.
Nella musica cantata, come quella di ispirazione devota che ascoltiamo oggi, l'esercizio di questi
stilemi retorici si rende manifesto attraverso la parola, dipingendone il senso con tinte appropriate. In
quella strumentale una selva di figurae porta l'ascoltatore direttamente al concetto interiore, senza
ricorrere al linguaggio verbale. Sgorgato e allevato in terra italiana, il linguaggio degli affetti sarà
teorizzato durante il Seicento da autori in prevalenza tedeschi.
Ecco come l'arte dei suoni è riuscita a portare
nell'animo di ogni piccolo essere umano il movimento delle
sfere celesti, a riprodurre nel cosmo il suono delle nostre
passioni. (S.D.)