Cosa può raccontare una scarpetta

Transcript

Cosa può raccontare una scarpetta
E
R
A
T
N
O
C
C
A
R
’
O
U
P
A
S
.
.
.
CO
A
T
T
E
P
R
A
C
S
UNA
Un’auto percorre lentamente la strada sterrata che porta fuori dalla nostra scuola. Il
terreno è accidentato, altre vetture la precedono, l’andatura è lenta. Alla fine del
rettilineo l’auto si ferma, ne scende velocemente una donna che raccoglie una piccola
scarpa: è nascosta fra l’erba, si nota a malapena. La signora la sistema su un tronco
tagliato, bene in vista, così potrà essere notata da chi l’ha perduta. Dopo alcuni giorni
la scarpetta scompare: viene ritrovata poco lontano, rovesciata nel prato, quasi
invisibile, verde su verde.
Arriva così sulla cattedra della 1° E e suscita la nostra curiosità. Ce la passiamo di
mano in mano, la osserviamo, la annusiamo: è di un colore brillante, sa di terra
bagnata e racconta la sua storia… anzi, tante storie.
LA CULLA E I FRUTTI ROSSI
Gaia Zucchetto
C’era una volta, nella stagione d’autunno, una donna in macchina con il suo bimbo di tre anni
che stava giocando con la sua scarpetta; ad un certo punto il bimbo lanciò in alto, così in alto
la sua scarpetta che cadde fuori dal finestrino aperto.
La donna fermò la macchina per riprendere la scarpetta che era finita nel prato, ma il prato
era così grande che non la trovò più e partì senza la scarpetta del figlio.
Passò il tempo e la scarpetta era ancora nel prato, ma un giorno uno scoiattolo la vide: la
portò con sé fino a un albero cavo e vi mise i suoi piccoli a dormire per tutto l’inverno.
Quando arrivò la primavera, la scarpetta non serviva più e gli scoiattoli la gettarono per terra
vicino a un cespuglio di fragole, ciliegie, lamponi, uva spina, more e alberi di mele e arance,
dove stava lavorando uno gnomo un po’ assonnato (anche gli gnomi dormono per tutto
l’inverno e si nutrono di frutti di bosco e mele e arance).
Questo gnomo aveva un aspetto buffo: i suoi vestiti erano arancioni e blu e il cappello rosso;
era amico degli umani e degli animali del bosco.
Quando vide la scarpetta pensò di portarla con onestà alla sua compagna (l’altra scarpetta
uguale), ma la strada era così lontana che lo gnomo si riposò e mise la scarpetta sul ceppo di
un albero.
Quando si svegliò sapeva dove portare la scarpetta: a scuola. Sì, perché i professori sanno
tutto.
In quel momento arrivò la signora Daniela. Lo gnomo pensò che lei era proprio una prof. e si
nascose, lasciando la scarpetta sul ceppo.
La prof. prese la scarpetta e la portò alle Marvelli, per raccontare agli alunni la sua storia e
come era arrivata lì.
UN PICCOLO GNOMO SBADATO
Andrea Gueli, Nicolò Pierucci e Gaetano Valentino
Nel profondo e intenso cespuglio a forma di fontana, vive una strana civiltà di piccoli gnomi,
che amano suonare il basso elettrico. Intorno a loro vedono sempre verde, verde e ancora
verde: anche le macchine rosse ai loro occhi sono verdi.
Tra la popolazione vive un piccolo gnomo di nome Xtrto: è il più basso del villaggio, ha un
buffo cappellino a punta, una piuma blu in testa, gli occhi verdi, il naso a patata rosso, denti
verdi, doppio mento e corporatura bassa. Indossa un vestito triangolare verde, blu nei
bottoncini, e delle scarpe verdi dell'ADIDAS. E' molto sbadato, non si ricorda mai niente,
passeggia sempre nella strada vicino al suo villaggio. Un giorno, non guardando per terra,
inciampa su un sassolino e perde la scarpa destra. Una signora in auto, mentre è in fila per
uscire dalla strada, vede la scarpetta e l'appoggia su un tronco tagliato. Lo gnomo vede il suo
gesto e pensa: "E' la mia scarpa!" Il giorno dopo si dirige verso il tronco ma, quando sta per
riprenderla, uno scoiattolo glielo impedisce, buttandogliela nell'esteso prato verde. Dopo aver
cercato e scrutato tra quegli infiniti fili d'erba, trova la scarpetta, però l'albero magico implora
Xtrto di posarla su di esso, dicendo che lì sarebbe stata benissimo. Purtroppo, pochi giorni
dopo, la professoressa Daniela Donati prende la scarpa pensando che non sia di nessuno.
Mentre la prof. Donati si dirige verso la classe 1°E, l'albero piange disperato e lo gnomo si
compra delle scarpe nuove.
Alla fine lo gnomo e l'albero diventano amici e ogni giorno, dopo mezzogiorno, vanno a
visitare ogni classe dell'istituto comprensivo “A.Marvelli” per cercare la scarpetta perduta.
LA MIA GIORNATA INCUBO
Matilde Sarti
In un giorno piovoso è iniziata la mia giornata-incubo.
Sono andato all’asilo con la mamma, mio fratello grande,
che fa le medie, e la mia gemellina Giorgia.
Mamma si è raccomandata di non picchiare nessuno
e di non lanciare cibo contro la maestra
(ma è impossibile), poi mi ha dato un bacino
e mi ha salutato.
All’asilo, dopo due ore di pura noia, la maestra Laura
(capelli biondi, occhi azzurri, bella da morire)
mi ha dato in mano una fantastica foto di una
piscina e mi ha detto: ”Se farai il bravo, ti prometto che organizzerò una gita qui! “
Non credevo a queste parole.
Non ero mai stato in gita, perché nessuna maestra si era fidata di me.
“Fantastico!” ho detto io, abbracciando con forza la maestra Laura.
Contentissimo, ho continuato a pensare alla piscina (e alla maestra Laura in costume) fino alla fine
della mattinata.
Durante tutto quel tempo non ho combinato neanche una marachella, niente di niente, sono stato un
angelo proprio come la mia gemellina Giorgia, che per premio mi ha regalato le sue scarpette
preferite esclamando: ”Bravo gemellino, sono orgogliosa di te! Ti regalo le mie scarpette
portafortuna!”
Quelle scarpette erano bellissime, giallo flou, con sotto stampata la forma di un piede.
Mi calzavano perfettamente.
Quando è arrivata la mamma, la maestra Laura mi ha fatto i complimenti per la mattinata da “angelo”
e le ha detto della gita in piscina, ma la mamma ha urlato: ”No, la piscina gli farà prendere la
polmonite!”.
Paonazzo dalla rabbia, sono corso in macchina, ho chiuso lo sportello: vicino alla mia gemellina ho
iniziato a piangere e le mie lacrime hanno bagnato Giorgia in un modo inimmaginabile.
La mamma, i suoi occhialetti rossi quadrati e il suo cespuglio biondo sono saliti in macchina nel posto
dell’autista.
Mentre l’auto percorreva lentamente la strada sterrata, mi sono accorto che in tutta la mia vita
nessuno si sarebbe fidato più di me e, mentre questo pensiero percorreva la mia mente, dal più
profondo del mio istinto é arrivata un'azione che non ho potuto controllare: ho preso in mano la mia
scarpa flou e l’ho scaraventata fuori dal finestrino.
Giorgia mi ha guardato e mi ha sussurrato: ”Psh! Se non ti piaceva la scarpetta, potevi anche
ridarmela.”
Abbiamo continuato la strada fino a casa, ma quando la mamma ha aperto la portiera per farmi
scendere é diventata rossa come un peperone.
Accidenti, si era accorta che mancava la scarpa destra!
“Oh, adesso ti sistemo io, brutto marmocchio dei miei stivali, insopportabile bambino ripugnante!” ha
urlato lei.
Il processo di rossore é aumentato, mentre i suoi occhi verdi mi fissavano.
Io, cauto, ho sussurrato: ”Ero arrabbiato e l’ho lanciata fuori dal finestrino.”
Ovviamente non é mancata la punizione: a letto senza cena e broccoli a colazione.
Accidentaccio! Se avessi fatto il cattivo non sarebbe successo niente, perché Giorgia non mi avrebbe
regalato le scarpe.
IN FUGA DA BABBO NATALE
Matteo Tommasi e Andrea Giulianelli
Un folletto maligno sta esplorando l’Italia: viene dalla
Lapponia, cerca lavoro come guardia del corpo. È stato
licenziato da Babbo Natale: non poteva credere di essere
stato scoperto mentre mangiava i biscotti di Babbo
Natale, che sarebbero serviti come regalo per sua moglie
Mamma Natale. Questo folletto, dalla rabbia di essere
stato colto sul fatto, diventa verde: è basso, con
un’espressione malvagia, ha denti gialli e affilati come
rasoi. E’ di corporatura robusta, ma le sue gambe sono
magre. Porta un paio di scarpette verdi, per la precisione
di marca Adidas: sono imbottite di cotone soffice e
morbido per resistere al freddo, ma al caldo dell’Italia
non gli servono.
Sono “Made in Indonesia”, di taglia 19; a noi può sembrare
un numero molto piccolo, ma per i folletti è un vero record!
Mentre navigava nel mar di Norvegia aveva perso il suo
cappello di peli di renna: anche se era veramente dispiaciuto
di avere smarrito il suo bellissimo copricapo, non poteva
fermarsi altrimenti sarebbe affondato. Dopo molti giorni
passati a viaggiare a cavallo della sua renna Rudolf,
anch’essa rubata a Babbo Natale, arriva a Rimini, dove trova
rifugio nella casa di un ragazzo. Finalmente ha una nuova
abitazione ed anche il lavoro dei suoi sogni: viene assunto
come “guardia del corpo” di un criceto.
La mattina il ragazzo va a scuola e il folletto si nasconde nel
suo zaino. Quando si affaccia, vede un grande parco e pensa
che sia un bel posto dove trasferirsi. Mentre cammina
distratto, vicino alla scuola media “Marvelli”, inciampa in un
sassolino e cade battendo la testa contro un tronco.
Nell’impatto perde la scarpa. Al suo risveglio vede una
signora che si sta avvicinando. Scappa, lasciando la
scarpetta per terra. La signora la raccoglie e l’appoggia sul
tronco.
Alcuni giorni dopo, una professoressa vede la scarpetta per
terra, la prende e la porta nella classe I E, dove Matteo
Tommasi e Andrea Giulianelli scrivono il testo più strano del
millennio.
NELLA PANCIA DI UN PESCE
Francesca Amati e Allegra De Amicis
C’era una volta, in un paese lontano lontano, un folletto. Il suo nome era Albert: era alto circa un metro,
magro, con mani grandi e piedi minuscoli, le sopracciglia folte, gli occhi color del cielo, il naso piccolo e
regolare e la bocca anch’essa piccola con labbra rosee e carnose; era il capo del suo bel villaggio. Questo
piccolo paese, che si chiamava “FANTASY”, era circondato da una grande cancellata di ferro, verniciata con i
colori dell’arcobaleno; all’interno di essa si trovavano miriadi di alberi. Il loro tronco era formato da una ruvida
corteccia, sopra la quale era inciso il nome di ogni pianta: Ulla la Betulla, Giovannino il Pino, Paggio il Faggio…
I rami parevano tante lunghe braccia, che sembravano voler avvolgere tutto il villaggio. Albert era un folletto
vivace come una scimmia, infatti tutti i giorni si lanciava in spericolate acrobazie tra gli alberi, ma un dì,
mentre era appeso ad una liana, fece un passo falso e improvvisamente gli cadde una scarpetta. Disperato,
corse immediatamente dal suo migliore amico e gli domandò se l'avesse vista; l’amico gli chiese come fosse
fatta e lui rispose che la calzatura era di pelle, di color verde acido e sul lato destro c’era un buffo disegno
bianco.
Fu così che iniziò una lunga e complicata avventura per la povera scarpetta.
Era autunno, la stagione delle piogge: piovve per giorni e si formarono piccoli corsi d’acqua. Il vento spinse la
“poveretta” lontano dal villaggio, facendola navigare fino al mare tempestoso.
Qui fu ingoiata prima da un piccolo pesce, questo a sua volta fu mangiato da uno più grosso, un tonno, e
quest’ultimo rimase intrappolato nella rete di un peschereccio.
Fu così che giunse ai mercati generali del pesce, sempre all’interno della pancia del predatore: fu smistato,
collocato in una cassetta con altri pesci e tanto ghiaccio e questa caricata su un camion frigorifero.
Incominciò un lunghissimo viaggio su strade piene di buche e curve.
Finalmente il camion giunse a destinazione, nella fabbrica di inscatolamento del tonno: qui il rumore dei nastri
trasportatori, dell’acqua e delle seghe elettriche era assordante. La scarpetta ebbe una terribile paura, pensava
di essere “spacciata”. Un operaio, addetto al sezionamento, rimase sbigottito nel trovarla dentro al pesce e
l’appoggiò sul tavolo, dove rimase tutta la notte. Al mattino un cagnolino, bianco come il latte, l’annusò e
quel che sentì gli piacque: sapeva di tonno misto all’erba, quindi la prese tenendola ben stretta nella sua
bocca. L’animale era abituato a girare per la città da solo e si ritrovò alla scuola media “A.MARVELLI”. Qui
lasciò cadere la scarpetta per correre dietro ad un gatto: questa rotolò fino ad arrivare vicino ad un tronco
tagliato, che si trovava al centro di un cespuglio, i cui lunghi rami, ripiegati verso il basso, sembravano i getti
d’acqua di una fontana. La scarpetta fu trovata da una signora che lesse sulla suola il nome “ALBERT”: in quel
momento le tornò in mente il viaggio che aveva fatto quando era piccola nel paese “FANTASY”. Prese quindi la
calzatura, la portò vicino a quella cancellata e a quel bosco che tanto avevano inspirato i suoi sogni da
bambina.
LA BABBUCCIA CUCCIA
Emma Sicali
Era un giorno come gli altri ed Elisa era
uscita da scuola.
Ad andarla a prendere era sua madre
con il fratellino Francesco. Lui aveva
due anni, portava i capelli corti,
scuri come il tronco di un albero;
il suo ciuffo stanziava davanti gli occhi e
la mamma era costretta a tirarglielo
su in continuazione.
Per la sua età Francesco era alto, pesava quindici kg e di scarpe portava il 19; quel giorno ai piedi portava le
sue babbucce preferite, di un colore verde brillante. Gliele aveva regalate il nonno e lui ci teneva molto. In
macchina Francesco cominciava ad avere fame, ma la mamma era attenta a guidare e la sorella chattava,
perciò non lo ascoltavano. Così, tutto arrabbiato, lanciò la sua babbuccia dal finestrino, colpendo un tronco
tagliato. La scarpa era caduta tra l’erba bagnata, quindi si era tutta inumidita. Due scoiattoli, che avevano
assistito alla scena dal ramo di un albero, decisero di andare a scrutare quell’oggetto. Scendendo con fretta,
uno dei due si impigliò: “Ahia, un ramo nell’occhio! Non vedo più niente!”. I due scoiattoli cominciarono ad
odorare la scarpetta e il più curioso ci si infilò dentro. Era così calda e comoda che ci si addormentò.
Nel frattempo, in macchina, la mamma si accorse dell’accaduto e cercò di tornare indietro, ma Francesco
aveva così tanta fame che non glielo permise e la costrinse a correre a casa.
Andarono a cercare la babbuccia soltanto il giorno dopo: la cercarono a lungo, ma non riuscirono a trovarla e,
rassegnati, tornarono a casa. Che fine aveva fatto la scarpa? Dov'erano gli scoiattoli ? Che cosa ne avevano
fatto della babbuccia? Le risposte alle tre domande erano sopra le loro teste… infatti bastava alzare gli occhi e
vedere la scarpa verde brillante nella tana di quei due scoiattoli buffi e curiosi, che se ne stavano
tranquillamente accoccolati nella loro babbuccia- letto.
ALLA RICERCA DELLA SCARPETTA SCOMPARSA
Emanuele Frisoni e Nicola Metalli
C’era una volta, nella boscaglia vicino alla scuola “Alberto Marvelli”, un omino alto 15 cm di nome Elfi.
Elfi indossava sempre indumenti verdi per mimetizzarsi: un minuscolo cappello a punta con ricamato un
piccolo quadrifoglio, un maglioncino di lana a rombi, un paio di pantaloncini decisamente troppo lunghi per
lui e due scarpette, anch’esse di taglia superiore alle necessità.
Una sera, mentre tornava felice dalla miniera dove aveva trovato molti minerali, Elfi sbadatamente inciampò
sui suoi pantaloni e sfortunatamente perse la scarpa destra.
Arrivato a casa, dopo aver riposto i minerali, si accorse di non avere più la scarpa.
Subito pensò dove avrebbe potuto cercarla .
Inizialmente decise di cercare in miniera, ma trovò solo vecchi attrezzi.
Poi andò nel bar “QUERCIA NERA” e chiese, dopo un succo al mirtillo, se qualcuno avesse visto la scarpa
mancante.
Non avendo ottenuto risultati, chiese alla banca “SEMPRE VERDE”, ma non ricevette alcun indizio .
Elfi, preso dalla disperazione, corse al commissariato “MANETTE VERDI”, dove denunciò la scomparsa della
scarpa.
Improvvisamente si ricordò di quando era inciampato vicino al “TRONCO CHE PIÙ TAGLIATO NON SI PUÒ” e
corse subito a vedere.
Sfortunatamente non la trovò e, quasi in lacrime, notò lo scoiattolo Bolly che aveva uno sguardo da furbo.
Bolly scese dall’albero, dove si trovava la sua casa, e iniziò a consolare Elfi, sempre con quello sguardo
malizioso che lo insospettì.
Bolly gli chiese cosa fosse successo ed Elfi gli raccontò la scomparsa.
Dopo il racconto Bolly lo invitò a casa sua per consolarlo, offrendogli una tazza di tè alla ghianda; Elfi subito
iniziò a guardarsi intorno alla ricerca della scarpa e vide una cosa verde.
Riconobbe la sua scarpa, ma Bolly lo fermò dicendogli che gli avrebbe preparato un’altra tazza di tè.
Elfi, appena Bolly andò a prendere la bustina in cucina, scattò verso la scarpa, la afferrò e scappò via tutto
contento.
Elfi, contorcendosi per le risate e gli urli di gioia, si immaginò
la faccia di Bolly e, in preda alla felicità, tornò a casa tutto
contento, giurando su se stesso di non perderla più.
LA SECONDA CASETTA
Giulia Vitale e Vittoria Pesaresi
L’autunno rendeva difficile la vita di Titus, il protagonista di questa storia. Il tronco forato in cui viveva
diventava sempre più umidiccio a causa della pioggia insistente di ottobre. Il povero folletto non
amava bagnarsi in continuazione ogni volta che iniziava un temporale (per di più il tronco non era
riparato): doveva trovare una casa più asciutta! Quasi tutti i giorni si ripeteva: “Oggi parto, qualunque
cosa accada!” Ma purtroppo la pioggia torrenziale impediva un viaggio tranquillo e così Titus
rimaneva bloccato nel bosco per l’ennesima volta. Un giorno di novembre il folletto si svegliò di
buonora per cercare dei funghi teneri da mangiare a colazione. Titus improvvisamente si accorse che
il cielo era limpido e il sole splendeva: era il giorno giusto per partire. Eccitato ed euforico il piccolo
gnomo preparò la valigia, portando con sé le provviste sufficienti per il viaggio e i suoi beni personali.
Camminando di buon passo, tra il bosco incantato dai colori caldi dell’autunno, verso metà strada
sentì un rombo di tuono seguito dallo scrosciare della pioggia. Vagando perdutamente senza meta
Titus si perse del tutto, arrivando in un luogo a lui sconosciuto: la foresta era svanita,i cespugli di
more non c’erano più, in compenso vide case su case e strade a non finire. Il povero Titus, spaventato
e confuso, cercò un riparo dal temporale che lo devastava.
In fretta si rifugiò nella casa più vicina che trovò… che casa non era! Titus non notò l’insegna luminosa
di “Negozio scarpe”, ma se ne rese conto solo dopo aver visto l’innumerevole sfilza di calzature di
ogni genere all’interno del negozio: zeppe, sneakers, ballerine e ciabatte estive accerchiavano lo
gnomo, che per non farsi notare si nascose furtivamente nello scaffale delle babbucce dei bambini. Si
sentì il movimento di un tacco sul pavimento, che fece sobbalzare Titus ancora di più: doveva
nascondersi più in fretta possibile per evitare di essere scoperto. Una signora vestita di tutto punto,
che doveva essere la commessa del negozio, si diresse proprio verso il nascondiglio del folletto.
[continua...]
Titus, accucciato dentro una scarpetta verde, seguì il discorso della commessa e dei suoi clienti:
”Allora, piccolo, è proprio questa la scarpetta che vuoi?”. Si intravedevano un passeggino contenente
un bimbo eccitato e la sua mamma che lo accarezzava lentamente. La signora afferrò dallo scaffale la
babbuccia di Titus, che nel frattempo era diventato paonazzo e piuttosto preoccupato! “La ringrazio
di cuore, mio figlio sarà contento del nuovo acquisto!” esclamò la signora con soddisfazione. La
responsabile del negozio afferrò il paio di scarpette infilandolo in un sacchetto di plastica. “Ehi, non
vedo niente!” strillò il folletto allarmato, ma nessuno poteva sentirlo da dentro la scatola. La famiglia
si diresse all’uscita con il sacchetto in mano, mentre Titus si chiedeva cosa stesse succedendo. Dopo
circa dieci minuti di tragitto, la madre e il bambino arrivarono a destinazione; si trovavano davanti a
una villa signorile, con i muri bianchi e le finestre ornate con tendine di pizzo. Titus non vedeva dal
sacchetto in cui era deposto, ma sentiva i movimenti e i dialoghi delle persone: ”Bene, tesoro, tu vai
pure a giocare, mentre io preparo la tavola per cena.” La madre del bimbo estrasse dalla scatola le
babbucce di suo figlio, perciò anche Titus: la casa era enorme, con le stesse tinte dell’esterno; i mobili
avevano un color latte leggermente sbiadito, come le pareti e il resto dell’arredamento. Titus
esplorava quel nuovo posto dalle dimensioni del tutto sproporzionate con ammirazione e stupore. Il
bambino doveva avere poco meno di quattro anni: dal suo visino paffuto, accompagnato da due
occhi blu notte, si poteva intuire che fosse un tipo vivace. “Oh, finalmente una casa asciutta e senza
temporali!” Una volta preparata la cena, Titus seguì di soppiatto il bimbo senza dare troppo
nell’occhio, infilandosi poi in una delle tasche della sua salopette. Il folletto si fregò le mani pensando
all’ottima cenetta che lo stava aspettando, magari a base di ghiande o di funghi. Il bambino, un po’
maldestro, rovesciò la pietanza sui suoi pantaloncini, Titus ne approfittò per sentirne il sapore, ma
non gli piacque neanche un po’. Bleah! Era passato di zucca, dolce e nauseabondo come
omogeneizzato per piccini! Dopo cena il bambino venne accompagnato dalla mamma in camera sua
per mettersi il pigiama e fare la nanna; Titus scivolò tra le lenzuola del lettino, sperando di dormire
sonni tranquilli. Poco dopo il piccolo cominciò a strillare con vagiti e lamenti che fecero sobbalzare lo
gnomo già abbastanza irritato: il ragazzino non voleva cessare di piangere, tanto che Titus pensò
bene di uscire da quella situazione. Fece le valigie raccattando le sue cose, giurando di non tornare
mai più! Nonostante tutte le comodità che poteva offrire quella casa, il folletto preferiva di gran lunga
la sua: più silenziosa e proporzionata alle sue dimensioni… e soprattutto non avrebbe più dovuto
assaggiare quella pappetta schifosa che sapeva di zucca. Strableah! Lo gnomo pensò lo stesso di
portare con sé una babbuccia del bimbo come ricordo della sua avventura in città (magari come
seconda casetta).
Proprio come Titus, anche tutti gli altri folletti preferiscono vivere nella foresta in solitudine e silenzio:
perciò non arrabbiatevi se non li vedete mai a casa vostra !!!!
L'UNIONE FA LA FORZA
Stefano Vici e Luca Panzetta
PERSONAGGI
Brutus, il terribile capo degli gnomi: barba lunga nera e capelli lunghi marroni
Jonny, capo dei folletti: barba arancione con cappello blu.
Gruppo arcieri, spadaccini e cannonieri con pigne.
HABITAT
Alberi
OGGETTO CONTESO
Scarpetta verde e magica di 19cm
C’era una volta una stradina alberata: lì vivevano gnomi e folletti che abitavano sugli alberi.
Il capo degli gnomi era Brutus il terribile: aveva una barba lunga nera e capelli lunghi marroni.
Il capo dei folletti si chiamava Jonny: una barba arancione e i capelli blu erano i suoi tratti
distintivi.
Un giorno Brutus il terribile e Jonny si accorsero che su un tronco tagliato c’era una scarpetta
verde.
Pensavano che fosse magica e chi la toccasse per primo sarebbe stato il più forte, quindi
decisero di darsi battaglia; si divisero in vari gruppi: gli arcieri erano davanti, gli spadaccini a
lato e i cannoni a pigne dietro. Dopo due giorni di battaglia la scarpetta cadde per terra: era
molto pesante e lunga. Jonny chiese a Brutus se si potevano alleare per riportarla al suo
posto e Brutus disse di sì!
Con tutte le loro forze ce la fecero: la scarpetta divenne un simbolo di unità, rappresentando
il motto “l’unione fa la forza”.
Dopo tanti giorni Jonny e i suoi si accorsero che gli uccelli avevano fatto il nido dentro di essa
e questo sembrò loro un segno significativo.
Gli gnomi e i folletti fecero pace e non continuarono a odiarsi.
UN REGALO PER NATALINO
Sara Lombardini, Alessia Orioli e Michelle Rossi
Era la vigilia di Natale e stava per nascere un nuovo bambino. Babbo Natale incaricò il
suo folletto Billy di andare a comprare un vestitino rosso, un cappellino bianco e delle
scarpette verde chiaro per il nuovo nato. Percorrendo la strada, Billy inciampò, ma non si
accorse che aveva perso una babbuccia. Tornò da Babbo Natale e, mentre gli stava
dando i regali, notò che gli mancava una pantofolina. Andò a cercarla, ma non la trovò;
dopo un po' di giorni scoprì che uno scoiattolo l'aveva presa per portarla nella sua tana.
Il folletto, a quel punto, si incamminò verso il rifugio dello scoiattolo e, bussando, entrò.
Rimase di stucco nel vedere l'animale abbellire la sua tana con la scarpetta. Il folletto gli
riferì che, se la scarpetta non fosse stata riportata al suo proprietario, sarebbe andato in
galera.
Lo scoiattolo allora, impaurito,
la riportò a Babbo Natale che
non si arrabbiò, ma lo ringraziò
di averla ritrovata.
La scarpetta fu finalmente restituita
a Billy che la consegnò al nuovo nato: Natalino!
UN VERO COMBINAGUAI
Matteo Benagli, Filippo Corcelli e Michele Vannoni
C'era una volta un ragazzo di nome Enrico Pasquale Praticò.
Un giorno andò all'asilo “Melograno”, vicino alla scuola media “Marvelli” e rubò
un’auto, con all’interno un bambino di nome Francesco.
Enrico guidò la macchina nella strada esterna alla scuola. Il bimbo, con i piedi fuori
dal finestrino, gridava e si dimenava per la paura: per sbaglio una delle sue due
scarpette verdi volò dal finestrino, cadendo al bordo della strada. La scarpetta
venne poi ritrovata da una professoressa dell’istituto” Marvelli”.
Enrico, che aveva rubato la macchina con il bambino perché la madre del piccolo,
non l'aveva ricompensato per il suo servizio di baby-sitter, sterzò fino a uscire dal
cancello della scuola.
Il ragazzo, con Francesco che continuava a gridare, si indirizzò verso la città, fino
ad arrivare a casa propria.
La mamma del bambino, però, non era preoccupata, perché Francesco era un vero
combina guai e avrebbe messo in riga anche il rapitore. Infatti intrappolò Enrico
molto astutamente, lo fece arrestare e tornò a casa, zoppicando sull’unica
scarpetta verde rimasta.
VENERDI' 17
Lodovici Martina
E’ una normalissima giornata (venerdì 17), sono le 13 e la signora Valentini va a
prendere i suoi figli all’asilo nido. Sono due gemellini: Andrea è vestito con
tuta viola e scarpette blu, Nicola ha una tuta verde abbinata alle scarpette.
Stanno percorrendo la solita via per uscire dall’asilo, quando Andrea piange
perché ha il pannolino pieno. La signora accosta al bordo della strada in modo
che il traffico scorra. Fa uscire i bimbi e cambia Andrea sul tronco di un albero
tagliato. Dopo venti minuti ha finito: carica Andrea in macchina, ma per
stanchezza e distrazione si scorda di Nicola.
A casa si accorge di aver dimenticato il figlio sul sasso su cui l’aveva
appoggiato, torna sulla strada ma trova solo la scarpetta destra. Chiama la
polizia e gli investigatori, chiedendo loro, disperata, di cercarlo.
L’asilo che prima trasmetteva molta felicità e calma , diventa un luogo pieno di
tristezza, lacrime e malinconia.
LA SCARPETTA MISTICA
Luca Panzetta
In un posto sperduto c’erano due popoli vicini ma sempre in contrasto, che decisero di darsi
battaglia per stabilire chi aveva il diritto di regnare.
Il re del popolo desertico, Aduk, schierò le sue truppe migliori ed il generale più fidato,
Rudulk. Il re del popolo antartico, Atrus, fece lo stesso col generale Lock.
La battaglia per il comando durò molti anni.
Un giorno il re Aduk, mentre guardava le sue pergamene, ne scorse una che era incastrata fra
due libri. La sfilò e la srotolò: vi si narrava che esisteva una scarpetta dal potere mistico sul
monte Erol.
Il sovrano pensò che la potesse usare per vincere la guerra: prese con se Rudulk, i migliori
soldati che aveva e gli uccelli giganti chiamati urnaceri.
Volò con essi per molti giorni, cercando di evitare i giganteschi rami degli alberi presenti sul
sentiero che portava in cima al monte Erol.
Una notte, mentre i desertici dormivano nel loro accampamento, sentirono un fruscio, si
svegliarono e presero le armi. Trovarono un cespuglio che si muoveva velocemente: ne uscì
uno scarabeutus molto pericoloso. Aduk non perse tempo, salì sull’urnacero e si scagliò sullo
scarabeutus.
Anche Rudulk salì sull’urnacero e fece lo stesso. L’urnacero di Aduk sferrò due artigliate sulla
testa dello scarabeutus, facendolo agitare, Rudulk scagliò dall’urnacero una lancia che colpì lo
scarabeutus sulla testa e lo uccise.
Dopo pochi giorni arrivarono sulla cima del monte Erol.
Davanti a loro c’era un tempio molto antico con i rampicanti che pendevano.
Entrarono nel tempio: c’era un corridoio che finiva con un tronco tagliato e sopra al tronco
c’era la scarpetta mistica.
La presero e la caricarono sull’urnacero di Aduk.
Tornati al villaggio, tra lo stupore di tutti, posarono la scarpetta in mezzo alla piazza: questa
sprigionò il suo potere e fece diventare alleati i due popoli che prima erano in contrasto,
dando vita al regno di Er.
IMMAGINO CHE...
Megan Ghelardini
Qualche giorno fa è stata ritrovata una
scarpetta fra l’erba. Era stata appoggiata
su un tronco tagliato, bene in vista,
per essere notata, ma poi era caduta nel prato.
A noi della classe fa venire curiosità e
cominciamo a porci tante domande:
a me vengono in mente mille pensieri.
Mi chiedo: ”Sarà di un bambino che hanno abbandonato? Oppure di un bimbo che
ha lanciato la scarpetta dal finestrino della macchina perché non la voleva nei
piedini?” Nella mia testa penso che sia giusta la risposta alla seconda domanda.
Immagino che, in un giorno nuvoloso, una mamma porti il suo piccolo all’asilo e
lui, non volendo andarci, incominci a fare i capricci in macchina. Scalciando sul
sedile, toglie le scarpette e ne lancia una fuori dal finestrino. All’arrivo all’asilo, la
mamma si accorge che è scomparsa la scarpa destra, comincia a cercarla e, non
trovandola, si dispera: il bambino, invece, inizia a ridere e le rivela che ha gettato la
scarpa dal finestrino.
La madre, allora, scrive un biglietto attaccandolo alla porta dell’asilo :”Chi trova
una scarpetta di colore verde n° 19, che assomiglia a una scarpa da tennis, può
portarla qui.”
La scarpetta viene recuperata e consegnata alla madre che, felice, ringrazia tutti
offrendo biscotti di colore giallo.
La nostra immaginazione è arrivata
fin qui.
Cosa accadrà ora?
Sapremo come sono andate
realmente le cose?
Se qualcuno conosce la vera storia
della “nostra” scarpetta,
può venire a raccontarcela: noi
saremo felici di ascoltarla e, in
cambio, restituiremo la piccola
calzatura verde.
La nostra classe è al secondo piano,
proprio di fronte all'ascensore.