Gian_la montagna e la Valle Orco
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Gian_la montagna e la Valle Orco
I.I.S. ”25 aprile” Cuorgnè - Concorso “Stella Polaris” Anno scolastico 2010-2011 Alunna Michela BETTASSA Docente prof. Maria GUGLIELMO Classe I H/cat Gian, la montagna e la Valle Orco. Tanti anni fa, in una piccola borgata del Canavese tra le sperdute montagne della Valle Orco, abitava una povera famiglia composta da Gian, un ragazzino di quasi sette anni, la mamma, il papà e la piccola Maria, la sua sorellina. Insieme a loro c’erano anche Tota, il cagnolino, le caprette, le mucche, che ogni giorno portavano al pascolo, e la piccola e in separabile scoiattolina Bianchina. Quasi tutti gli uomini della Valle Orco e Soana d’inverno, più o meno nel mese di novembre, subito dopo i Santi, partivano per le città della pianura per fare gli spazzacamini, portando con sé i figli maschi. Il papà di Gian era anche lui uno spazzacamino, faceva questo lavoro per guadagnare qualche soldino e tirare avanti con la vita, sfamando tutta la famiglia. Era un lavoro molto duro e pericoloso; infatti, il papà non voleva che suo figlio andasse con lui. Però Gian era molto utile, perché era un ragazzo piccolo e magro e nella canna fumaria passava molto meglio di lui. Una mattina di novembre, appena dopo i Santi, la mamma di Gian preparò così per suo marito e suo figlio il “fagotto”, perché era arrivato il momento di partire. Il ragazzino era molto entusiasta di andare verso luoghi mai visti, prese così il suo fagotto e l’inseparabile Bianchina e tutti insieme si avviarono per il lungo viaggio. Dopo due giorni di cammino, Gian e suo papà arrivarono finalmente in una città; per il piccolo era tutto bellissimo e nuovo: il treno che passava, alcune auto di quei tempi, gli alti palazzi lo fecero rimanere a bocca aperta. Lì incontrarono altri spazzacamini con i propri figli. Erano tutti amici del papà e insieme andarono a ripararsi e a riposare in una vecchia stalla dove accesero un bel falò per preparare la cena. I ragazzi giocavano fra di loro mentre i loro papà scambiavano quattro parole e si raccontavano le novità. La mattina seguente di buon’ora, tutti si alzarono per iniziare una nuova giornata di lavoro. Gian, con la sua giacca di fustagno senza tasche per evitare di impigliarsi nelle sporgenze, si avviò con suo papà verso una grande abitazione con un alto camino. Solo 1 all’idea di infilarsi giù per quel buco nero che pareva senza fine, a Gian mancava quasi il respiro ed era un po’ spaventato. Il papà si infilò giù per primo in quel buco nero per far coraggio al figlio. Il ragazzino era assistito da Bianchina la quale lo incoraggiava molto. Circa due ore dopo, il camino era pulito. Dopo una dura giornata di lavoro i due lavoratori si incontrarono nuovamente con gli altri spazzacamini e andarono a cercare una nuova stalla che potesse ospitarli per la notte. I ragazzini ogni sera partivano alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti o di qualche soldino. La gente di quella città era anch’essa molto povera, ma le mamme, vedendo gruppetti di ragazzi molto piccoli, si intenerivano e davano loro sempre qualcosa: un piccolo pezzo di pane, un po’ di frutta, qualche avanzo, magari, del pranzo o della cena oppure, a volte, anche solo una buona parola o una tenera carezza. Passarono settimane e anche mesi, ma ogni giorno non era mai uguale agli altri, si viveva un’avventura diversa ogni giorno. Il lavoro di spazzacamino per il piccolo Gian era molto duro e faticoso perché in fin dei conti lui non aveva ancora sette anni, era molto piccolo, ma tutto sommato era contento, perché il suo papà non lo trattava male, come facevano altri papà con i figli; era pur sempre il suo papà che non mancava di coccolarlo e di rincuorarlo ogni volta che si rattristava a causa della stanchezza o per la lontananza della mamma, della sua sorellina Maria e della sua bella casetta lassù tra i monti. Arrivò felicemente il Natale e, come sempre, i ricchi proprietari ospitavano a cena gli spazzacamini, dando loro un pasto caldo, un piatto di minestra e un pezzo di pane, senza chiedere niente perché, in fin dei conti, erano “portatori di fortuna” gli spazzacamini! Il lavoro ogni giorno era sempre uguale, ci si alzava il mattino all’alba e ci si fermava la sera ogni volta in posti diversi. In una fredda serata, tutto sembrava come le altre volte, ma una notizia sconvolse Gian e gli altri ragazzi, rendendoli felicissimi: si tornava a casa! Quella sera il piccolo Gian non riuscì a dormire per la gioia. Arrivò così, il giorno del ritorno. Gian, Bianchina e il papà s’ incamminarono con il fagotto in spalla verso casa. Gian non sentiva più la fatica, non voleva mangiare, camminava quasi di corsa sempre più veloce per arrivare al più presto a casa dalla mamma, dalla sorellina e rivedere le sue montagne. Giunto quasi a casa, Gian sentiva già l’abbaiare di Tota, il belare delle caprette e le campane delle mucche al pascolo. Mancavano pochissimi metri per arrivare e poter riabbracciare tutta la famiglia, era contentissimo. Finalmente ritornò tra i suoi monti, all’aria pura del Canavese. 2