Le pergamene delle Clarisse
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Le pergamene delle Clarisse
5/2007 NOTIZIARIO DI STORIA E ATTUALITÀ SANTAGATESE n. 5 reg. trib. ps nr. 427 - Dir. Resp. G. Dall’Ara. Redazione Sant’Agata Feltria Fax 0541/929744 - Grafica e fotocomposizione: il Ponte - Stampa: la Pieve poligrafica editoriale, V. Verucchio - email: [email protected] Sommario 2 Qui S. Agata, provincia di Genova 3 La terra ha la forma di città 4 Piccoli santuari, grandi scoperte 5 Quando Maiano era due negozi 6 L’orologio? Era in piazza 7 Arie celebri in Teatro 8 Il “buono” di Torricella 9 Antonio Tani, chi era costui? 10 Una speciale Marina 11 L’Archivio? Del 1700 12 Anche l’Unesco qui fa la guardia ROCCA È UN’INIZIATIVA Comitato Fiere Ed Iniziative Promozionali D Le pergamene delle Clarisse omenica 16 settembre presso la Foresteria delle Clarisse di S. Agata si è tenuta una conferenza su uno dei patrimoni storici più rilevanti tra quelli conservati nel nostro paese: 142 pergamene antiche conservate nel convento. All’incontro erano presenti un centinaio di persone, addetti ai lavori e non, interessati a conoscere meglio le nostre radici, e in particolare la presenza francescana nel territorio di S. Agata, una presenza che ha visto percorrere queste strade da San Francesco e dalla sorella di S. Chiara, S. Agnese. La serata è stata introdotta da una breve testimonianza dell’Abbadessa Sr. Chiara Elisabetta, sull’attualità della presenza delle Clarisse a S. Agata, e da una breve relazione storica sulla presenza delle Clarisse a S. Agata tenuta da Sr. Chiara Giovanna, che ha percorso i vari passaggi del monastero, inizialmente fondato a S. Antimo, trasferito poi in località San Vincenzo, e successivamente in centro a S. Agata. La relazione centrale è stata di Federica Giovannini, alla quale va il nostro sincero ringraziamento per il lavoro fatto. Lo studio scientifico effettuato ha permesso di fare il punto sullo stato di conservazione delle pergamene, di valutare la loro importanza paleografica, e di verificare diverse ipotesi storiche sul passato della comunità, nonché di mettere in luce i diversi rapporti che le Clarisse avevano con realtà anche lontane (Roma in primo luogo). Al termine della relazione il dr. Zanchi- ni, intervenuto a nome del Lyons Club di Novafeltria ha confermato l’interesse dell’Associazione per il recupero e la valorizzazione delle pergamene. Dal punto di vista della storia locale il lavoro della Giovannini rappresenta un grosso passo in avanti, ma ha mostrato chiaramente che c’è ancora qualcosa da fare per colmare alcune lacune e per rispondere ad alcuni interrogativi. In particolare non sono ancora state trovate due pergamene chiave dell’esistenza delle quali parla tutta la tradizione storica santagatese. La prima certificherebbe senza ombra di dubbio la fondazione del primo convento santagatese a S. Antimo nell’anno 1218, appena 6 anni dopo la fondazione del convento di S. Chiara a San Damiano di Assisi. Il che farebbe del monastero di S. Agata/S. Antimo il secondo monastero dell’ordine in assoluto. La pergamena potrebbe essere finita in altri archivi vicini, visto che circa 50 anni fa era stata fotografata da Giuseppina Maffei, che ha scritto un libro sull’argomento (pubblicato postumo nel 1991). L’altra pergamena è citata dall’erudito Zucchi Travagli e certificherebbe – per così dire – la presenza diretta di S. Agnese nella fondazione del convento. Il parere di chi scrive è che S. Francesco, quando a San Leo ricevette in dono La Verna, decise di recarvisi subito, e scelse di passare per S. Agata. segue a pag. 2 La Rocca L Ottobre/Novembre 2007 La Rocca Ottobre/Novembre 2007 attualità storia S. Agata Feltria Comune onorario della provincia di Genova Una terra in forma di città a giunta provinciale di Genova ha riconosciuto Sant’Agata Feltria come 71° comune della Provincia. La procedura prevista dallo statuto della provincia prevede che l’appartenenza onoraria venga ufficializzata mediante la consegna in forma solenne di una pergamena e di una targa in ardesia con lo stemma in filigrana della Provincia di Genova. Nelle motivazioni si legge che tra S. Agata e Genova vi sono legami storico-culturali sin dal XV secolo quando il santagatese Ranieri De Maschi venne inviato a Genova presso Pietro da Campofregoso, doge dal 1450 al 1458 e nel 1541, e nominato Vicario generale del doge. Nel 1470 inoltre il Duca di Urbino Federico da Montefeltro concesse in sposa la figlia Gentile ad Agostino Fregoso, figlio del doge genovese Ludovico, assegnandole in dote la contea di Sant’Agata Feltria. segue dalla prima Qui, come è noto e documentato, si fermò a pregare e fare penitenza, accendendo la scintilla che doveva poi far sorgere, nel luogo dove si era fermato, il convento dei frati Minori e la chiesa che sarà a lui dedicata (in località Piani). Poi, dopo la breve sosta, riprese il cammino, attraversò i boschi in prossimità di Pereto e si fermò a bere nella sorgente d’acqua che è ancora legata al suo nome, e dalla quale parte un sentiero che per proseguire verso La Verna passa – guarda caso – da S. Antimo. Questo renderebbe comprensibili alcuni riferimenti delle pergamene studiate dalla dott.ssa Giovannini, dalle quali ipotizzerei che S. Agnese sia giunta da S. Antimo proprio perché anche in quel luogo San Francesco non era passato senza lasciare traccia, e anzi aveva stimolato in qualche donna del posto il desiderio di fare la sua stessa scelta di vita radicale. Anche per questo S. Agnese aveva trovato il terreno pronto alla fondazione di un convento. Naturalmente queste sono ipotesi, vedremo se dagli studi che le Clarisse hanno in animo di portare avanti ci saranno delle conferme. G.D. Da tale matrimonio nacque Ottaviano che arriverà a Genova nel 1513 dove sarà eletto Doge. Resterà in carica fino al novembre 1515, diventando poi Vicario del re di Francia fino al 1522. Il periodo di governo dei Fregoso a Sant’Agata Feltria durerà sino al 1660 e lascerà un buon ricordo nella memoria dei santagatesi. Accanto a queste ragioni, prettamente storiche, non vanno dimenticate quelle più strettamente culturali che legano la comunità santagatese con quella genovese. Infatti, un altro capitolo importante è quello che si apre due secoli dopo con il grande direttore d’orchestra Angelo Mariani, cui è intitolato il locale teatro, che parte da Sant’Agata Feltria per dirigere il Carlo Felice di Genova per diversi anni, dal 1854. Liberamente tratto da: La Repubblica del 5 settembre 2007 Buone notizie per gli internauti Gli appassionati di cose santagatesi che amano viaggiare nel web vedono ampliarsi i loro orizzonti. Emanuela Liverani infatti ha aperto un sito web tutto dedicato a S. Agata (www.santagatafeltria.info.) con un’ampia sezione dedicata alle news. Sono ancora minorenni, ma già campioni italiani di danza folk Trentadue anni in due e sono già in mezzo al tetto d’Italia. Grazie ai loro passi di valzer e a quelle giravolte della mazurca, Marco Giovanetti di Sant’Agata Feltria e Lucia Neri di Novafeltria, si sono appena laureati campioni italiani di danza folk in classe A1, a Bologna. Lei 15 anni, studentessa. Lui 17 anni, saldatore. Danzano insieme da 10 stagioni. Per volteggiare si devono sciroppare un ora e mezzo di viaggio per ogni allenamento, due – tre volte a settimana: il tempo necessario per raggiungere Sant’Ermete e la scuola “Balla con noi” di Paolo Semproni e Debora Cicchetti. Il tricolore lo hanno vinto grazie ad un’ottima esecuzione di valzer, mazurka e polka. Un titolo davvero importante, perché Marco e Lucia sono approdati nella massima serie (classe A) solo da un anno. Il loro curriculum parla da solo: campionato regionale e italiano nelle classi inferiori (classeC,B e A2). “Di solito, quando si arriva in A1, si deve fare un po’ di gavetta – commenta orgoglioso il fratello di Marco- ma i due ragazzi si sono dimostrati subito vincenti”. Bravi i ballerini e brave le mamme (Rita Masini ed Emma Neri), che li accompagnano in ogni trasferta. m.c. Tratto da Il Resto del Carlino di sabato 14 luglio 2007 - “Bellaria e Valmarecchia” N on risulta che Sant’Agata Feltria Leo, non conobbe una vera e propria Tra le famiglie illustri, la più celebre è abbia mai sollecitato il ricono- espansione urbana extrameniale, e del ovviamente quella dei Fregoso, un cui scimento dello status di città, resto l’orlo della rupe costituiva di per ramo continua a risiedere a Sant’Agata né avrebbe potuto fondatamente farlo, sé sufficiente barriera. anche dopo la cessazione del marchesanon essendo sede episcopale. Ma a parte questo, e il titolo giuridico to. Non ha però luogo in consiglio, e Perché si possa parlare di forma urbis naturalmente, nulla manca a Sant’Aga- certo versa in condizioni economiche non basta tuttavia un solo elemento, ta per considerarsi per lo meno alla pari precarie, se l’illustrissimo signor Federiper quanto importante. Occorre un cle- con le città titolate del Montefeltro: San co si adatta, fino alla morte avvenuta nel ro organizzato nella sua componente se- Leo, appunto e, in successione, Penna- 1689, all’incarico di organista, e se nel colare affiancato da solide comunità re- billi e San Marino. 1690 l’illustrissimo signor Ottaviano golari maschili e femminili; occorre un Vediamo insieme una pur sommaria è accettato di malavoglia come sigurtà corpo consistente di notai e di dottori in esposizione delle condizioni reali di San- al fornaio, con cinque voti contrari su utroque; occorrono servizi efficienti di t’Agata in fatto di potenziale economico quattordici. sanità, di pubblica istruzione, di ordine e di strutture sociali, dopo i Fregoso. L’incarico pubblico di organista e maepubblico, di posta, di rifornimento idri- Fra gli undici patrimoni che a fine Set- stro di canto è giustamente consideraco; occorrono strutture ricettive, com- tecento superano a catasto i 1000 scu- to il fiore all’occhiello della tradizione merciali, artigianali capaci di supportare di di estimo in tutto il rettorato, nove culturale santagatese. Per non dire del straordinari concorsi in occasione di fie- appartengono a proprietari del paese; teatro, altro orgoglio del paese, e che re o di feste religiose; occorre soprattut- nel consiglio della vicinanza (cioè della è molto più antico di quanto finora si to, buon numero di famiglie signorili, comunità principale) degli anni 1778- sapesse: nel 1690 il consiglio generale dotate di larghi mezzi e di comode abi- 1782, si contano tre dottori in legge e destina il ricavato della vendita del tertazioni, viventi more nobilium; occorre tre capitani, tutti del grado di confalo- reno, all’adattamento del “solaro sopra infine un impianto urbanistico e un pa- niere naturalmente, mentre, degli altri il teatro per fare magazzini da grano”. trimonio urbanistico e privato, sacro e confalonieri, Francesco Cionini è no- Un obiettivo punto di forza di Sant’Agaprofano, all’altezza del rango. taio e rampollo di una delle più illustri ta Feltria, nel suo proporsi come centro Orbene, queste prerogative Sant’Agata famiglie del luogo, Francesco Casanovi di un territorio assai più vasto del pur le possiede tutte in grado sufficiente a è tenente e consanguineo dell’arciprete, vasto rettorato, è la sua organizzazione darle pieno titolo di considerarsi “terra Gianfilippo Fabbri ha l’estimo più alto commerciale. Le antiche fiere, concenin forma di città”. di tutto il rettorato e un figlio dottore trate nel capoluogo dalle primitive sedi Il numero degli abitanti, al quale noi in legge. monastiche di Santa Trinità e di Fonteoggi diamo tanta importanscarino, durano ormai tre za, non è affatto decisivo per giorni ciascuna; le tre ostequeste aree periferiche in età rie, i tre macelli, i due forni, moderna: San Leo è città a la spezieria, le altre numepieno titolo con i trecento rose bettole e botteghe, le abitanti della sua cerchia officine artigiane, ne sono murata, e del resto nessuna gli indispensabili supporti e città della legazione ragi principali beneficiari. Ma, giunge i diecimila abitanti. anche a prescindere dalle Semmai se c’è una cosa che fiere, il volume d’affari degli manca all’ex-capitale dei spacci, deve essere notevole. Fregoso, sono proprio le Il registro delle importaziomura, elemento visibile di ni di vino dal 1739, mostra distinzione fra cittadini e un quotidiano andirivieni di contadini, barriera psicolotrasportatori verucchiesi che gica oltrechè giuridica, linea scaricano, nel primo biennio, confinaria di diritti e doveri quasi 1200 some destinate in diversi e spesso opposti. massima parte agli osti. MolSant’Agata era naturalmen- Nel mese di settembre dopo trent’anni di assenza, i cugini del Belgio to elevato sembra, a giudicate dotata di una cinta di (Arnaldo, Piero, Lidia e Marie Thèrese, con le rispettive famiglie), re dagli obblighi assunti dai mura attorno al castello, ma hanno deciso, all’insaputa di tutti i parenti, di trascorrere un breve macellai negli appalti, anche non di una cinta esterna che ma bel periodo di tre giorni nel loro paese d’origine, S. Agata Fel- il consumo di carne. racchiudesse anche gli am- tria, nell’albergo Gaggiola. I Bossari del Belgio nell’impossibilità di Liberamente tratto da pliamenti tardo-medioevali incontrare tutti i parenti, causa il breve periodo trascorso a S. Agata, Il Rettorato di Sant’Agata o della prima età moderna, approfittano del ns. giornale “Rocca” per salutare le famiglie Bossari dopo i Fregoso di come si diedero San Marino e Paci, con la promessa di tornare al più presto e con più calma. Girolamo Allegretti e Pennabilli. Quanto a San Studi Montefeltrana, 1993 Una bellissima sorpresa per i cugini Bossari La Rocca Ottobre/Novembre 2007 La Rocca Ottobre/Novembre 2007 SOTTOSCRITTORI lettere Piccoli santuari, una scoperta che incanta Q SOTTOSCRIZIONI ualche tempo fa il quotidiano l’Avvenire ha ricevuto una lettera che diceva “Caro direttore, mi sento di segnalarle che sì i grandi santuari attirano folle, ma anche i piccoli santuari svolgono un ruolo importante. (…) Sono convinto che farete cosa gradita a tantissime persone, se riserverete su Avvenire un breve spazio, dove segnalare la presenza e l’ubicazione dei piccoli santuari presenti nella nostra bellissima e amata Italia”. La lettera è firmta padre Eugenio Biscontin. Il Direttore del quotidiano ha risposto così alla lettera “Raccolgo molto volentieri il suo invito, caro padre Biscontin: (…) Senza pretese enciclopediche, cercheremo di rilanciare le vostre segnalazioni. I santuari rappresentano spesso una felice scoperta per quanti li incrociano lungo i loro tragitti turistici e visitandoli finiscono catturati dall’atmosfera spirituale che in essi si respira. (…)”. Così abbiamo scritto queste righe all’Avvenire “Caro direttore, riprendo il suggerimento del lettore padre Eugenio Biscontin, pubblicato nella rubrica “Il direttore risponde” del 2 settembre 2007, e che a lei, è tanto piaciuto. Le propongo di iniziare a dedicare un breve spazio ai tanti Santuari Mariani d’Italia, cominciando da un piccolo paese: Sant’Agata Feltria. A Sant’Agata sono aperti e fruibili ben cinque piccoli Santuari, tutti dedicati alla Madre di Dio, dove si conservano e i venerano immagini della Madonna, considerate miracolose. Può sembrare ovvio ma è opportuno sottolineare che non solo i santagatesi sono legati a queste immagini di Maria, con tutto il significato religioso che esse racchiudono, ma numerosi sono i gruppi di giovani e di famiglie che vengono da lontano per cercare il raccoglimento e il silenzio. Questi, infatti, sono luoghi dove gli uomini possono riscoprire la propria dimensione spirituale, spesso facilmente appiattita dai tempi del lavoro, dal chiasso della TV, dalle ricerche affannose di tutti i giorni. Qui, come in altri luoghi mariani si venera Maria che aiuta ogni uomo a trovare, per le vie del Signore, quella Pace e quel Bene che sono proprio i termini del saluto quotidiano dei francescani, ad indicare ad ogni uomo ciò che più conta. Enzo Liverani Albini Moreno, Secchiano Boschi Gerardo, Sant’Agata Feltria Bossari Cristiana, Sant’Agata Feltria Caminati Erika, Sant’Agata Feltria Faeti Emilio, Sesto S. Giovanni Giovanetti Otello, Sant’Agata Feltria Greci Tarcisio, Paterno Dugnano Guidi Daniele, Sant’Agata Feltria Guidi Elide, Grassina Guidi Marco, Novafeltria Guidi Romano, Sant’Agata Feltria Guidi Rosanna, Firenze Liverani Fernando, Bologna Liverani Giorgio, Sant’Agata Feltria Manzi Federico, Sant’Agata Feltria Marani Paola, Sant’Agata Feltria Mariani Eva, Novafeltria Mariani Sincero, Sant’Agata Feltria Il giornale del tuo paese Grazie ai volontari che hanno provveduto a scrivere e distribuire il giornale, grazie al lavoro di redazione di Enzo Liverani, alle fotografie di Marco Zanchini, a Paola Boldrini, a Mario Nalin, ad Alessia Dellamea, e ad Arrigo Bonci che coordina la distribuzione, e grazie ai lettori e sostenitori, numerosi come sempre. Se il giornale vi piace ditelo ai vostri amici, e chiedete loro di sottoscrivere, per ricevere regolarmente la Rocca! Se volete aiutarci a fare più bello questo giornale, inviateci articoli, fotografie, ricordi, lettere e commenti. 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Agata, dove si possono ordinare anche i vecchi numeri del giornale. Masini Daniele, Sant’Agata Feltria Masini Giancarlo, Rimini Mastini Anna Marina, Casteldelci Migliarini Rosella, Sant’Agata Feltria Migliori Ornella, Zola Predona Molari Lodovico, Novafeltria Narducci Marisa, Limbiate Narducci Quinto, Rimini Paci Maria, Genova Rinaldi Piero, Bologna Ronchi Marisa, Sant’Agata Feltria Sabatine Manzi Janice, Cramberry - U.S.A. Sacchini Pier Luigi, Rimini Sartini Guerrino, Sant’Agata Feltria Urbini Luigi, Livry Gargan (F) Urbini Mario, Montreuille (F) Valli Giuseppina, Genova Vicini Giovanni, Sant’Agata Feltria Zolini Giuseppe, Rimini Gabriele Guidi, Rimini M.Joelle Cangini, S. Agata Chiara Masini, Milano Rossana Zanchini, Rimini Zanotti Renzo, Agata Rinaldi Nofri Maria, Bologna Paolo Marani, S. Agata Giancarlo Sonetti, Rimini Bruno Sorbini, Pesaro Rosa Anna Cecchi, Rimini Domenico Montecchi, Rimini Vallino Rinaldi, S. Agata Annamaria Mastini, Casteldelci Comitato per la Salvaguardia di Petrella Guidi, Petrella Guidi Aldo Giorgetti, S. Agata G Quando a Maiano c’erano due negozi entile Direttore, queste poche riflessioni – forse anche poco pertinenti – mi ha stimolato l’articolo in prima pagina de La Rocca n. 5 del 2006, dal titolo “Se sei nato dopo il 1978, questo articolo non è per te…”, che – mutuato dalla stampa tedesca – ho riletto da poco. Sono nato nel 1964 e ho apprezzato particolarmente l’articolo, che reputo particolarmente appropriato per il periodico “… di storia e attualità santagatese”. Ancora oggi ricordo infatti con nostalgia il mese di agosto, atteso da me bambino e pre-adolescente, perché mi portava a Ca’ di Vico, un minuscolo gruppuscolo di case vicino a Maiano, quasi nessuna abitata stabilmente. Sono vivi nella mia mente gli amici, la solidarietà e la comunione tra le persone, per me – nato e vissuto in terra di Liguria da mamma romagnola (tanto più tale oggi, dopo il referendum) e papà ligure – valori inusuali, perché d’altri tempi. La mia generazione ha fatto in tempo a vedere l’aratura con i buoi. Ricordo i racconti dei vecchi, che trasudavano fatica, il duro lavoro nei campi e la trebbiatura, le prime nebbie per me, nato al mare, pressoché sconosciute. La nonna Elena (una donna buona, devota e umile, la Lena) e il nonno Serafino che – dopo la scomparsa della nonna – era venuto a vivere alternativamente da noi e dagli zii. Da giovane, dopo la terza, aveva preso la licenza della quinta elementare alle scuole serali. Eppure mi perdevo nei suoi racconti e mi infervoravo nelle lunghe discussioni su ogni argomento: la sua vita passata, il servizio militare in Artiglieria (coi cavalli), le due guerre, la politica, la sua passione civile… Era un uomo moderno, mio nonno. Moderno, intelligente e, a suo modo, dotato di una cultura e di una vivacità mentale sorprendenti. Ricordo che ancora nei primissimi anni settanta, a Ca’ di Vico, si beveva l’acqua della “cannella”, raccolta in un orcio di terracotta dipinta che custodisco nella mia casa come una reliquia. I giochi costruiti da noi bimbi e le gare col “birroccio”: eravamo tanti bambini, allora, in agosto, in quelle piccole case, prima comprate col sudore del lavoro nella “buga” di Perticara (alternato con quello nei campi) e poi abbandonate con la chiusura della miniera si zolfo. Le ginocchia e i gomiti perennemente graffiati e nascosti alla mamma per non buscarle. È vero: oggi non è più così. Non so se lo spartiacque sia o meno il 1978, ma non è più così. La nostra generazione è quella che è, anche perché ha conosciuto questi valori, cui mal si attagliano il pessimo spettacolo del presente, le sterili recriminazione, le inutili burocrazie, le azioni legali temerarie. “Melius esse quam videri”, dunque, in una società, invece, tutta protesa all’apparire. Tuttavia dobbiamo coltivare la fiducia anche nei giovani d’oggi, cui ci corre l’obbligo di trasferire i nostri valori di genitori, nonni, zii, di adulti al fine di tesaurizzare la nostra esperienza. Nonostante io cerchi di tornare alle mie radici, dove non sono nato, ma dove ho un pezzo di cuore, almeno una volta l’anno, fatico a spiegare a mia moglie e a mia figlia Elena, quello che per me rappresentano questi luoghi e gli echi della gente di allora. Le strade bianche - oggi per lo più asfaltate - che hanno segnato i primi scambi, gli echi di venditori ambulanti che oggi sono limitati alla vendita del solo pane “porta a porta”. Allora nelle frazioni c’era il fruttaiolo, il pollaiolo (l’uvadegn = venditore di uova, credo), “quel ad Sersina” (che gestiva un vero e proprio emporio su un vecchio furgone rosso cassonato): il loro arrivo era un evento, perché a Sant’Agata si andava raramente e a piedi, anche se a Maiano, ricordo, c’erano allora, almeno due negozi di alimentari, che fungevano anche da bar. Quelle stesse strade hanno portano greggi transumanti e accompagnato emigranti dal passo incerto e alcuni ne hanno visto tornare. Hanno posto nell’animo della comunità la stessa intraprendenza e la stessa cautela, speranze e paure, varcando quelle dolci colline che qui dove vivo si trasformano in aspri monti e scogli diradanti verso il mare. Ancora oggi, quando arrivo stanco dal lavoro e preoccupato dai ritmi di una vita che mi assomiglia sempre meno, chiudo gli occhi, e penso a quel paese idealizzato, mio senza esserlo mai stato, a quell’antico stile di vita ed ai miei nonni vecchietti. Il ricordo è come una carezza. Alessandro Croce Giuseppe e Myriam Campestri Al matrimonio di Giuseppe e Myriam Campestri,erano presenti Don Marella, Sergio Bolelli con la figlia, Nino e Giuliana Vicini La Rocca Ottobre/Novembre 2007 dall’ARCHIVIO FOTOCRONACA Notizie d’annata M ARECCHIA, fiume di Rimini, il cui nome antico fu quello di “Arimnum”, derivato secondo Pausania da “Arimno”, re degli Etruschi od Umbri, e secondo altri dall’Etrusco “Arimus”, che vorrebbe dir “scimmia”. Non si sa neppure se ricevesse o desse il nome alla città di “Arimnum” (Rimini) e quando cambiasse il nome in quello di “Maricula”, da cui l’attuale “Marecchia”. Certo che i due nomi di “Arimnum” e “Maricula” sono ambedue abbastanza antichi al pari di quelli del vicino”Isaurus – Folia” (l’attuale “Foglia”) e dell’ “Aesis – Flumixinum”, l’attuale “Esino”. Il Marecchia scende dal Poggio dei Tre Vescovi col nome di “Fosso delle Sode” e dal Poggio delle Castagnole col nome di “Fosso Val di Bujo” in provincia d’Arezzo e corre per breve tratto a greco, poi volgesi a tramontana e greco tramontana; si allarga sui ghiaieti, volgendosi nuovamente a greco alle falde di San Leo e, uscito al piano tra Verucchio e Scorticata, sembra volersi inoltrare direttamente al mare, mentre invece si volge con ampia curva verso Rimini, che lambisce a maestro, indi passa sotto il celebre ponte d’Augusto sull’Emilia, e si getta nell’Adriatico dopo breve tratto diretto a tramontana, formando alla foce il “porto di Rimini”. Il corso totale del fiume è di circa 80 chilometri, metà in provincia di Pesaro Urbino e l’altra metà in parte nella provincia d’Arezzo ed in buona parte, in quella di Forlì: l’alveo, che fra Scorticata e Verucchio giunge perfino alla larghezza di 600 metri, si restringe, entrando in pianura, e si riduce a 57 metri al ponte d’Augusto ed alla foce. È arginato per breve tratto, 5 chilometri circa, superiormente al ponte d’Augusto a difesa specialmente della via Emilia (nota 1: fu in questo tratto, che verso il “mille” ruppe per andare direttamente al mare verso la Viserba. L’attuale parrocchia di “San Martino in Riparotta” porta ancora il nome di detta “Rotta”, che sembra venisse riparata dopo poco tempo). Anticamente sfociava in mare più all’oriente, e cioè presso al luogo della stazione ferroviaria di Rimini, dove si sono trovati avanzi d’un antico “molo romano”: fu solo verso il 1400 che Carlo Malatesta lo deviò nel canale attuale, che serve da porto e che va prolungandosi verso mare di giorno in giorno. Il bacino idrografico della Marecchia è di 472 chilometri quadrati, dei quali 436 in montagna, e la portata massima delle sue piene di 420 m.c. al secondo (nota 1: l’ingegnere MONTANARI trova invece il valore di 754 metri cubi! …), mentre la minima delle secche è di soli m.c. 0,70. Tratto da La Romagna, Geografia e storia per l’Ing. Emilio Rosetti a cura di Franco Vicini Orologio Pubblico Comunale 28-4-1869 Istanza del balivo (funzionario nominato dal comune, n.d.r.) Caroli Timoteo per una gratificazione come moderatore (addetto, n.d.r.) dell’Orologio Pubblico per il 1868. Gli si accordano 15 lire. 24-11-1869 Nel Bilancio di previsione per il 1870 la Giunta propone un fondo La Rocca Ottobre/Novembre 2007 di 100 lire da corrispondersi al moderatore del medesimo. Viene annotato come sia stato restaurato, ed infatti, nella Giunta del 3-12-1869, risulta come tale restauro sia stato eseguito dal fabbro Vicini Severino. Per eseguire il collaudo viene incaricato il meccanico Ghinelli Giovanni di Santarcangelo. Il restauro, però, non sembra ben riuscito e, probabilmente, s’è aperto un contenzioso tra il Vicini ed il Comune. Questo si deduce dal verbale di Giunta del 20-5-1870, dove si annota: “Per transare con il fabbro ferraio Vicini Severino circa il restauro dell’Orologio, senza l’intervento di terze persone, che comporterebbe spese e perdita di tempo, si stabilisce: 1) Che debba sistemare le leve dei martelli della batteria, per modo che questi battano più forte; 2) Che debba aggiungere alla macchina un sistema di carrucole e corde, perché la montatura (carica, n.d.r.) dell’Orologio duri 24 ore; 3) Che debba rifare a nuovo il mezzo per suonare le adunanze Municipali, in modo che, con diverso sistema, questo viene fatto più forte. Successivamente ne viene nominato moderatore lo stesso Vicini Severino. Caro direttore, nello scorso agosto, durante le ferie, ho visitato una mostra di carte geografiche storiche allestita a Mondovì alta. Tra le altre carte ho fotografato questa che ti mando nel dettaglio che arriva fino a S. Donato ma purtroppo non comprende S.Agata. La carta è di Sr Gorge L. Le Rouge stampata nel 1745. Un caro saluto Tonino Marani Un’immagine del Teatro Angelo Mariani di S. Agata Feltria il giorno 18 agosto 2007: “Sulle ali del belcanto” Arie celebri d’Opera. Concerto tenuto dagli artisti del Centro Studi Lirici di New York; organizzato dal Comitato per la salvaguardia dei beni storici e culturali, e con il patrocinio del Comune di S. Agata Feltria. Il 7-5-1870 Vicini Severino, restauratore dell’Orologio di piazza, essendosi dichiarato non soddisfatto del collaudo del suo lavoro, eseguito dall’orologiaio Marchini (?) Nicola, che ne stabilì il compenso a lire 200, mentre il Vicini richiedeva lire 300, ha fatto collaudare il lavoro per suo conto dal meccanico Agostino Ferri di Penna Billi, il quale presenta il suo restauro, facendone ammontare l’importo relativo a lire 300. 23-8-1871 Restauro della Torre dell’Orologio. (F. V.) Disegno di Fioretta Faeti n.b. Dal lontano 1962 l’orologio comunale è bloccato alle ore 12,30. Cosa si attende per farlo ripartire? Forse l’arrivo di un nuovo Severino Vicini? (NdR) Alcuni momenti della serata di presentazione delle pergamene delle Clarisse (foto Emanuela Liverani e Marco Zanchini) Il matrimonio di Sergio Bolelli con Emma Vicini, celebrato da Don Marella e don Vittorio Mancini La Rocca Q Ottobre/Novembre 2007 La Rocca Ottobre/Novembre 2007 PERSONAGGI SAVIGNANO DI RIGO Il “buono” di Torricella Antonio Tani uando si svolsero questi fatti, Torricella faceva parte del Rettorato di Sant’Agata Feltria. Qui, nel Seicento, nacque padre Francesco, al secolo Pietro Valentini, un frate francescano che si distinse per la vita generosa e per i numerosi eventi miracolosi a lui attribuiti. Di questo frate venne scritta alla fine Seicento (qualche anno dopo la sua morte), una breve biografia per mano di tal Alessandro da Tomba, una importante figura delle gerarchie ecclesiastiche marchigiane. Nacque a Torricella, precisamente a Cà Massaro, nell’anno 1607, e qui, fin da bambino, si capì che c’era qualcosa di diverso rispetto agli altri. E sorvoliamo pure sulla sua abitudine di dormire sopra i tavolacci e fra le coperte grezze (che visti i tempi e le umili condizioni famigliari, doveva essere più una necessità che una virtù) ma non sui suoi comportamenti sociali. Fin da bambino, molto tempo prima di diventare un religioso, aveva votato la propria castità all’immagine della Madonna conservata in una piccola cella vicino a casa, voto che rinnovò alla decisione di prendere i voti davanti alla Madonna di Loreto. La vocazione arrivò verso i vent’anni. E l’abito lo ricevette nel convento delle Grazie di San Severino, dove entrò nell’ordine dei Riformati di San Francesco prendendo lo stesso nome del santo di Assisi. Subito, quel ragazzo che veniva da Torricella, si fece notare per una cosa: la sua incredibile, e talvolta disarmante bontà. Dai racconti che ci sono arrivati, si capisce che la propria mente non era portata per alcuna malizia, tanto da poter fare pensare all’ingenuità. E nell’estremo insegnamento di San Francesco, condusse tutta la propria vita impegnato nell’umiltà, nella povertà, nella contemplazione e nel perdono. A questo proposito si lega un fatto altamente significativo della sua esistenza. Un tale di cui non sappiamo il nome, un giorno uccise Francesca, la sorella del frate. Inutile dire che Francesco lo perdonò. Una cosa normale, che in tanti fanno. Ma il nostro frate non si limitò solamente a ciò ed anzi si fece suo avvocato difensore presso il tribunale civile riuscendo a liberarlo dalle pene inflitte per il delitto. Negli anni, la fama di Francesco crebbe a dismisura, tanto che il cardinale Cibo, allora Vescovo di Jesi, lo chiamò nel convento di quella città per averlo vicino. In questo convento, per difendere la sua salute, gli si proibì gran parte delle mortificazioni con cui martoriava il corpo e attraverso le quali Francesco aspirava a purificare l’anima. L’idea che i credenti si fecero di lui, della sua visibile santità, della sua onestà intellettuale, portò a chiamarlo semplicemente “il buono” e in molti furono a raccomandarsi alle sue preghiere. Iniziavano a circolare voci su certi miracoli compiuti. Come quando a Libiano, mentre era a tavola col parroco di San Bartolomeo, lo si vide entrare in estasi e sollevarsi di un palmo da terra. O quando guarì la contessa Staccoli di Urbino facendole bere l’acqua che aveva con sé, ritenuta miracolosa. E allo stesso modo, a lui furono attribuite un paio di inspirate guarigioni a Maiolo, sempre grazie alle sue preghiere e alla sua intercessione e altre a Pesaro. Lo stemma dei Capramozza (v. articolo apparso sul n. 3 della Rocca) Fu quest’ultima città, la sua ultima tappa. Qui la sua malferma salute peggiorò e, come aveva previsto, spirò santamente. Era il 1683. Prima di morire, padre Francesco aveva chiaramente disposto che l’abito usato per la tumulazione doveva essere quello di sempre, povero e rattoppato, molto più vicino ad uno straccio che ad un saio. Durante la vestizione del cadavere, si notò la presenza (mai vista prima da nessuno, neppure dall’infermiere che lo aveva assistito negli ultimi tempi) di una grossa piaga al piede destro, che pur essendo purulenta, non emanava alcun fetore. I frati ebbero un gran da fare per tenere lontana la folla dal corpo: ognuno cercava di baciargli le mani e i piedi, tentando nel frattempo di prendersi una reliquia, di tagliargli una ciocca di capelli, un’unghia o un pezzo d’abito. Tanto che i confratelli dovettero rivestirlo due volte e chiuderlo infine nella sacrestia per calmare la folla invasata. Terminati i funerali, venne sepolto nel coro della chiesa di San Giovanni Battista a Pesaro. Anche dopo la morte non mancarono eventi miracolosi Una suora pesarese, tal Francesca Verna, raccontò che al semplice tocco della mano del cadavere, scomparve il grande male che le affliggeva il braccio. Giovanni Francesco Fagiani invece, figlio di un medico, stava morendo di febbre, quando la madre gli fece baciare un brandello dell’abito del frate, riportandolo in salute. Sempre un brandello di quell’abito strofinato questa volta sulla gola, rimise in forze Maddalena, una donna di servizio di Mercato Saraceno, tanto ammalata da non riuscire neppure a bere. E stringendosi con il cordone di Francesco, un certo Bernardino Ferrenti guarì da fastidiosissime coliche renali. Questo almeno, è quello che dice la cultura popolare. Liberamente tratto da un articolo di Marco Sassi D i Antonio Tani intendo illustrare la figura, il prestigio, le opere, che fanno di lui un personaggio di spicco, vissuto a cavallo dei secoli XIX e XX e contemporaneo di Decio Raggi. Antonio Tani era nato a Savignano di Rigo l’8 dicembre 1888, da Tani Tito e Giangrandi Rosa; fu battezzato a Perticara da don Antonio Serafini, cresimato a Sant’Agata Feltria dal Vescovo di Montefeltro Alfonso Maria Andreoli; frequentò le scuole elementari nel paese natio, e, manifestatasi la vocazione ecclesiastica, fu ammesso nel seminario di Pennabilli, dove compì con lode il corso ginnasiale e quello di filosofia. Nel 1909 fu ammesso al Pontificio Seminario Pio IX di Roma, dove si distinse per le qualità di mente e di opere e per il risultato lusinghiero negli studi. A Roma presso l’Università Pontificia di S. Apollinare conseguì, a pieni voti, tre lauree: filosofia, teologia e diritto canonico e civile. Fu ordinato sacerdote a Pennabilli dal Vescovo Raffaele Santi il 25 luglio 1914 e celebrò la sua prima messa nel paese natio. Ancora studente in legge a Roma venne nominato, su concorso, nel 1916, arcidiacono e canonico teologo della Cattedrale Feretrana. Nel 1918, terminata l’università, rientrò a Pennabilli dove fu nominato vice direttore, economo ed insegnante del seminario diocesano, nel quale insegnò lettere per 14 anni. Durante questo periodo, nonostante l’impegno che lo teneva occupato intensamente, non trascurava le iniziative promosse in Diocesi, come la Federazione del Clero, l’opera delle Vocazioni Ecclesiastiche, l’Azione Cattolica, di cui era assistente diocesano della gioventù maschile. A tutto ciò, aggiungeva le opere del suo ministero e contemporaneamente dava alla stampa apprezzate pubblicazioni: «Pennabilli e la Vergine delle Grazie” nel 1915, “San Francesco nel Montefeltro” nel 1926 con prefazione di Tommaso Nediano, “A Lourdes” diario di un pellegrinaggio nel 1928. Esercitava inoltre l’apostolato della predicazione, ottenendo efficaci risultati. Le molteplici occupazioni, l’umana carica che in tutte v’imprimeva, il profondo spirito pastorale ed i meriti che ne aveva tratti non potevano rimanere nascosti ai superiori, per cui il 23 maggio 1928 fu nominato Prelato Domestico di S. Santità; nel gennaio 1932 Vicario Generale di Raffaele Santi, Vescovo di Montefeltro, ed il 1° Maggio 1932 Papa Pio XI nominava Mons. Antonio Tani Arcivescovo di Urbino essendosi resa vacante la sede, per rinuncia di S. E. Mons. Giacomo Ghio, fin dall’ottobre 1931. Il 3 giugno 1932, festa del S. Cuore, fu consacrato nella cappella del Pontificio Seminario Maggiore al Laterano, presenti il Card. Serafini, i vescovi Palica e Santi, gli urbinati con a capo il podestà, gli antichi professori, eminenti personalità della Curia Romana, i suoi compagni. Alla consacrazione fece seguito un’udienza particolare di S. Santità Pio XI che rivolse paterne parole di soddisfazione e di augurio, ed impartì l’apostolica benedizione. “Così Mons. Tani si accinse alla sua missione d’amore e di pace, che esercitò con vero coraggio anche quando vennero i momenti duri”. Il 14 agosto 1932 egli fece il suo ingresso ufficiale in Urbino, attraverso la Porta Valbona, sulla quale si leggeva questa epigrafe: «Urbinati! Dalla terra che diede a voi gloria d’armi e di duci, il nuovo pastore, angelo di pace, viene a voi benedicendovi». Nella sua missione pastorale era circondato dal popolo, che ascoltava volentieri le sue omelie, belle, pratiche e chiare, e dalla Conferenza Episcopale Marchigiana, di cui era presidente. Il suo amore per la diffusione e l’espan- SUl prossimo numero della Rocca Una lettera di Don Ciacci sull’immagine del piede di Maria sione della vita ecclesiale, lo esprimeva attraverso l’Azione Cattolica, tanto raccomandata dai Sommi Pontefici. A questo proposito ebbe a scrivere: «Un parroco non può tenersi tranquillo in coscienza, se non fa nulla in questo campo. L’Azione Cattolica richiede sacrifici di forze, di tempo e di denaro, ma dà frutti consistenti e trasforma la parrocchia». Egli promuoveva ritiri spirituali, settimane di studio, convegni per giovani cattolici, giornate missionarie del Vangelo. Nell’ottobre 1940, celebrò solennemente il 19° Sinodo Diocesano. Ebbe a visitare quattro volte la diocesi e durante la visita pastorale, era meticoloso per quanto attiene l’Eucaristia. Ogni prima domenica del mese, dopo la Messa, partecipava in cappa alla Processione Eucaristica nell’interno della Cattedrale. Nel 1940, in occasione del 25° di sacerdozio, volle organizzare il 2° Congresso Eucaristico Diocesano, che divenne Congresso Eucaristico Regionale. Fu un trionfo. Infatti, nella giornata di chiusura, festa della SS. Trinità, le funzioni assunsero proporzioni grandiose. Il solenne Pontificale era presieduto da S. E. Mons. Luigi Drago, Vescovo di Tarquinia e Civitavecchia, presidente nazionale dei Congressi Eucaristici; la Schola Cantorum del Pontificio Seminario Regionale di Fano, eseguì la “Missa prima Pontificalis” del Perosi; erano presenti in Duomo venti fra Arcivescovi e Vescovi, le autorità in uniforme e la Cattedrale che contiene diecimila persone non riusciva a soddisfare neppure i congressisti, e molti di essi dovettero seguire le funzioni fuori, sulla scalinata e lungo la strada. Nel pomeriggio si svolse la processione e dall’altare eretto nella Piazza del Rinascimento, davanti ad un mare di teste, dopo l’adorazione dell’Ostia Santa e la lettura, da parte di S. E. Mons. Ferri, della formula di consacrazione delle Marche al Sacro Cuore, Mons. Tani impartì la solenne benedizione, manifestando al popolo la sua immensa gioia. A. Varotti (prima parte, continua) La Rocca Ottobre/Novembre 2007 La Rocca Ottobre/Novembre 2007 un articolo del 1967 storia Da Marina di Pisa a S. Agata Feltria B en preparato spiritualmente e logisticamente organizzato, il nostro pellegrinaggio, diretto dall’Assistente Mons. Cappelli e formato da un gruppo di 24 ex allieve dell’Associazione, 18 Suore Figlie di Nazaret, e 10 bambine dell’Istituto, è partito da Pisa, la mattina di sabato 26 Agosto (ore 7,30) con un pulmann da turismo, alla volta di Sant’Agata Feltria, per partecipare alle solenni cerimonie indette da quella Civica Amministrazione e dall’Insigne Arcipretura della Collegiata, in onore di P. Agostino da Montefeltro, che in Sant’Agata ebbe i natali il 1 marzo 1839, e celebrarvi insieme il XX di fondazione dell’Associazione. Dopo varie soste lungo l’autostrada per rinfrancare lo spirito e rinfrescare il corpo, si è finalmente giunti a Sant’Agata Feltria, festosamente accolti dal Rev.mo Arciprete Mons. Vittorio Mancini, dall’On. Sindaco Sig. Polidori, e da alcuni membri del Comitato, tra cui il Sig. Cav. Ospici. Da parte di tutti abbiamo ricevuto una cordiale ospitalità, un ottimo trattamento, fatti segno delle più cortesi attenzioni. Una volta sistemati, abbiamo fatto un giro in paese, e dai vari striscioni affissi per le vie e nelle piazze, plaudenti al nostro arrivo, abbiamo compreso con quale spirito le Autorità e la Popolazione ci hanno ricevuto nel nome del P. Agostino che qui ci aveva condotti. sono stati fatti dall’Associazione Ex Allieve e dalle Suore Figlie di Nazareth. Il ritorno La mattina del 28 agosto, ringraziate le autorità, gli Istituti e l’Albergo Perlini che ci hanno tanto amabilmente ospitato e trattato, ricordando ancora la viva adesione del Rev.mo Arciprete don Vittorio Mancini, che tanto ha fatto per noi, con animo commosso, abbiamo preso la via del ritorno per Pisa e Marina di Pisa. Un documento del 1739 appena ricevuto Eminentissimo e Rev.mo Principe Giovanni Sartini da Sant’Agata Feltria, Legazione d’Urbino servo ed oratore dell’Eminenza Vostra con tutto l’ossequio, Le rappresenta trovarsi inquisito nella Curia Generale dell’Eminenza Vostra, perché fin dalli 3 Giugno 1729 avendo avuto rissa con un tal Serafino Serafini del castello della Petrella Legazione di Romagna, in occasione che l’oratore faceva il macello in detto Castello, a motivo che andava dicendo male dell’oratore, vantandosi anco di volerlo uccidere, come tentò con schioppo alla mano la sera antecedente, di modo che avendo l’oratore bastone, con quello diede due o tre bastonate al Serafini, fu che colpitolo accidentalmente in testa, restò da quello ferito, per cui poi se ne morì, ed avendo il povero oratore ottenuto da’ Parenti dell’ucciso la Pace, supplica la somma clemenza dell’Eminenza Vostra, volerlo graziare della pena incorsa per tal delitto. Grazie Criminali fatte dall’Em.mo Alberoni, dignissimo Legato di questa provincia di Romagna, il quale prese il Possesso di Rimini il dì n. 8 Febbraio 1735. 12 Marzo 1739, (La grazia fu concessa da Ravenna, Capitale della Legazione di Romagna il 7 Dicembre 1738) Tratto da Archivio di Stato di Ravenna Legazione di Romagna N. 71 Tomo XI – Parte 2a grazie a Bruno Baroncelli Torre di Val Certajo Domenica, 27 Agosto 1967 Alle ore 10,30 “Ricevimento in Comune” delle Rappresentanze di Pisa e Marina di Pisa, il Sindaco con la Giunta al completo, Autorità e personalità del Paese, il Comitato delle Onoranze e, festeggiatissimo, l’apostolo della carità P. Olinto Marella, di Bologna. All’indirizzo del Sindaco - che al termine del suo discorso, ha offerto alla Associazione ex Allieve una medaglia d’oro a ricordo - ha risposto con fervido ringraziamento Mons. Cappelli. Molto applauditi i due indirizzi di saluto. È seguito un rinfresco servito a tutti i presenti da gentili signorine del Paese. L La Commemorazione Ufficiale Nel teatro A. Mariani alle ore 17,30, P. Idelfonso Buratti, con la solita competenza biografica, ha approfondito lo studio, la conoscenza, i grandi meriti religiosi e sociali del Padre Agostino che è rifulso di vera luce agli occhi, all’animo di tutti. A chiusura della manifestazione, sempre nel teatro Comunale, l’Ex allieva Sig.ra Elvira Arancini Becherini, a nome di tutto il Gruppo ha letto un indirizzo di ringraziamento per la riuscitissima celebrazione e un saluto a tutta la popolazione santagatese. Il Concerto della “Banda di Imola” sulla Piazza Garibaldi, è stato un superbo trattenimento musicale che si è protratto dalle ore 22 alle ore 24. La Banda ha eseguito magistralmente brani scelti di opere liriche di Verdi, Puccini, Mascagni, Giordano. Al Comune, alla Parrocchia ed alla Scuola Media è stato donato un grande ritratto in cornice di P. Agostino, e all’insigne Collegiata una ricca casula bianca con accessori. Tali doni Il solenne Pontificale di S. E. Mons. Biancheri, Vescovo di Rimini, ha richiamato nell’Insigne Collegiata, tutta la popolazione di Sant’Agata Feltria. Al Vangelo, il saluto del Vescovo il suo augurio e la benedizione pastorale, e dopo lettura del telegramma recante la benedizione apostolica del S. Padre, ha preso la parola il celebre Oratore francescano P. Antonio Lisandrini, che con la sua ispirata orazione ha letteralmente avvinto e commosso l’animo di tutti i presenti, ed ha reso presente e attuale l’alto insegnamento e la caritativa opera dell’umile e grande figlio di San Francesco che oggi si onorava: P. Agostino da Montefeltro. Alla Casa natale Nel pomeriggio, alle ore 16,30, tutto il Paese in corteo, colle Autorità in testa, il nostro gruppo recante una corona d’alloro, ha sfilato fino dinanzi alla casa natale del Padre, dove la Prof. Maffei Giuseppina ha letto un discorso in memoria di P. Agostino. segue nella pagina a fianco 10 a precisa ubicazione del territorio ove si spostarono gli abitanti dell’antico castello di Capramozza e la sua identificazione con l’attuale rudere di torre e con le macerie sepolte di Val Certajo, viene qui proposta per la prima volta. L’originaria fortificazione di Capramozza, infatti, sorgeva su un poggio a ovest di Pozzale. Di questo remoto insediamento medioevale resta solo un rialzo del terreno, con attorno l’impronta delle mura e ai suoi piedi un casamento colonico chiamato «La Torre» il nuovo insediamento di Val Certajo si trovava su un ripiano in fondo alla piccola vallata del torrente Avezzane. È individuabile in basso, a sinistra, lungo la strada che sale da Molino Giovanetti (Molino Sant’Antimo) a Pereto. Il campo posto a lato, porta ancora il nome di S. Giovanni, patrono di Capramozza. Appena oltre il fosso si intravedono le ultime case disabitate di Caioletto. Le poche notizie storiche ci vengono tramandate dallo Zucchi Travagli: «Capramozza, che oggi è una parte di Caiolet- to, fu signoria de’ Capramozzi…». Il 24 agosto 1224, Prete Bellone del fu Rinaldo di Giovanni di Rigo da Capramozza, unitamente alla moglie Aldegarda del fu Ridolfo Piegolini da Pietra Tiffa (Pratiffi), vendette a Ugo di Capramozza i beni della famiglia situati nel plebato di S. Pietro in Messa (Pennabilli) «e nominativamente in castro Capramozze… cum parte nostra Turre et cum Patronatus Ecclesiarum Sanctorum Anthimi et Joanni». Patrono del castello era dunque S. Giovanni, dato che S. Antimo era la chiesa delle monache situata più a valle, alla confluenza con il Senatello, ove ancora la località conserva il nome. Nel 1261 il castello di Capramozza era ancora in piedi e così pure nel 1281. Ma già nel 1318 risultava distrutto e il territorio incorporato a Caioletto. Lo stesso Zucchi Travagli testimonia che ancora ai suoi tempi (1740 ca.) esisteva una torre sul luogo ove era stato il castello. La più recente torre di Val Certajo, è ubi11 cata in uno spiazzo aperto verso mezzogiorno e chiusa sugli altri lati da dorsali e contrafforti, coperti da vegetazione cedua. Lo stesso fabbricato è avviluppato da una chioma d’edera centenaria, che si abbarbica su per le mura e ricopre il tetto ormai del tutto crollato. Nella sua struttura attuale, si notano vari adattamenti per adibirla ad abitazione rurale. Nella parte inferiore, è stata aperta una piccola porta per l’accesso al vano trasformato in ricovero per il bestiame. Al primo e al secondo piano, sulla verticale della porta, si aprono finestrelle quadrangolari con stipiti e mensole formate da blocchi di pietra arenaria, che propongono una datazione intorno al XV secolo. Scheda d’identità: Torre di Val Certajo, m. 484 s.l.m. – Comune di S. Agata Feltria – Pianta quadrata – lati: 4,40 – 5,00 – sviluppo: parallelepipedo – altezza: m. 16. Tratto da Le torri del Montefeltro e della Massa Trabaria di Francesco Vittorio Lombardi, Bruno Ghigi Editore - 1981 La Rocca Ottobre/Novembre 2007 news Un circuito tutelato dall’Unesco “ Le rocche e le fortezze militari di Francesco di Giorgio Martini in un circuito culturale afferente a Urbino e tutelato dall’Unesco, sul modello dei castelli francesi della Loira”. È la suggestiva proposta lanciata dal presidente della Provincia Palmiro Ucchielli, dopo il protocollo d’intesa sottoscritto nei giorni scorsi da Comune di Urbino, Provincia, Arcidiocesi di Urbino, Urbania e Sant’Angelo in Vado, Università e Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici delle Marche, per la stesura del “Piano di Gestione” del centro storico di Urbino, iscritto dal 1998 nella lista dei siti “patrimonio dell’umanità” dell’Unesco. Il documento, che sarà redatto dall’amministrazione comunale della città ducale, d’intesa con gli enti firmatari dell’accordo, definirà le future strategie per la conservazione e la valorizzazione dell’area tutelata, estendendo le politiche di sviluppo socio-economico anche al territorio di riferimento del sito, in linea con l’impianto normativo definito dalla legge 77/2006 e con le indicazioni dettate negli ultimi anni dal ministero per i Beni e le Attività Culturali. “Con il Piano di gestione e in accordo con il Comune di Urbino – spiega Ucchielli – ci proponiamo di avviare dalla città ducale, che rimarrà il principale polo catalizzatore, un “unicum” di beni monumentali e culturali di primo ordine nel contesto internazionale che si snoderà sui percorsi delle rocche militari di Francesco di Giorgio Martini. Sarà un sistema integrato che vedrà la collaborazione dei Comuni che presentano segni di continuità culturale e storica con il contesto e la tradizione urbinate”. Coinvolte nel futuro circuito, dunque, le costruzioni militari edificate e ristrutturate dal celebre architetto senese che operò a lungo nei luoghi del Ducato di Urbino alla fine del XV secolo: la rocca ubaldinesca di Sassocorvaro, la fortezza di Cagli, la rocca roveresca di Mondavio, il fortilizio di Sant’Agata Feltria, la rocca di Frontone, la fortezza di San Leo, la rocca malatestiana di Fossombrone e la fortezza malatestiana di Montecerignone. “Il modello a cui guardiamo - conclude Ucchielli - è la rete dei castelli della Loira, da Sully-sur-Loire a Chalonnes-surLoire. Grazie alla sinergia tra i Comuni coinvolti sarà possibile promuovere la valorizzazione del territorio provinciale e regionale, insieme all’offerta turistica, innescando una spirale virtuosa e produttiva per l’intera area interessata dal progetto”. La squadra santagatese del 1958 Famiglia Diana In alto da sinistra: Domenico, Alvaro, Ausilia, Maria, Adalgisa Seconda fila: Duilio, Luigi Diana, Paci Santina (che tiene in braccio la piccola Anna), In basso: Benito, Gianna Foto del 1938 eseguita a Villa S. Rocco Di proprietà di Diana Adalgisa 12