Le pergamene delle Clarisse

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Le pergamene delle Clarisse
5/2007
NOTIZIARIO DI STORIA E ATTUALITÀ SANTAGATESE n. 5 reg. trib. ps nr. 427 - Dir. Resp. G. Dall’Ara. Redazione Sant’Agata Feltria
Fax 0541/929744 - Grafica e fotocomposizione: il Ponte - Stampa: la Pieve poligrafica editoriale, V. Verucchio - email: [email protected]
Sommario
2
Qui S. Agata, provincia di Genova
3
La terra ha la forma di città
4
Piccoli santuari, grandi scoperte
5
Quando Maiano era due negozi
6
L’orologio? Era in piazza
7
Arie celebri in Teatro
8
Il “buono” di Torricella
9
Antonio Tani, chi era costui?
10
Una speciale Marina
11
L’Archivio? Del 1700
12
Anche l’Unesco qui fa la guardia
ROCCA
È UN’INIZIATIVA
Comitato Fiere
Ed Iniziative Promozionali
D
Le pergamene
delle Clarisse
omenica 16 settembre presso
la Foresteria delle Clarisse di
S. Agata si è tenuta una conferenza su uno dei patrimoni storici più
rilevanti tra quelli conservati nel nostro
paese: 142 pergamene antiche conservate nel convento. All’incontro erano presenti un centinaio di persone, addetti ai
lavori e non, interessati a conoscere meglio le nostre radici, e in particolare la
presenza francescana nel territorio di
S. Agata, una presenza che ha visto percorrere queste strade da San Francesco e
dalla sorella di S. Chiara, S. Agnese.
La serata è stata introdotta da una breve
testimonianza dell’Abbadessa Sr. Chiara
Elisabetta, sull’attualità della presenza
delle Clarisse a S. Agata, e da una breve relazione storica sulla presenza delle
Clarisse a S. Agata tenuta da Sr. Chiara
Giovanna, che ha percorso i vari passaggi del monastero, inizialmente fondato a S. Antimo, trasferito poi in località San Vincenzo, e successivamente in
centro a S. Agata. La relazione centrale è
stata di Federica Giovannini, alla quale
va il nostro sincero ringraziamento per
il lavoro fatto.
Lo studio scientifico effettuato ha permesso di fare il punto sullo stato di conservazione delle pergamene, di valutare
la loro importanza paleografica, e di verificare diverse ipotesi storiche sul passato della comunità, nonché di mettere
in luce i diversi rapporti che le Clarisse
avevano con realtà anche lontane (Roma
in primo luogo).
Al termine della relazione il dr. Zanchi-
ni, intervenuto a nome del Lyons Club
di Novafeltria ha confermato l’interesse
dell’Associazione per il recupero e la valorizzazione delle pergamene.
Dal punto di vista della storia locale il
lavoro della Giovannini rappresenta un
grosso passo in avanti, ma ha mostrato chiaramente che c’è ancora qualcosa
da fare per colmare alcune lacune e per
rispondere ad alcuni interrogativi. In
particolare non sono ancora state trovate due pergamene chiave dell’esistenza
delle quali parla tutta la tradizione storica santagatese.
La prima certificherebbe senza ombra
di dubbio la fondazione del primo convento santagatese a S. Antimo nell’anno
1218, appena 6 anni dopo la fondazione del convento di S. Chiara a San Damiano di Assisi. Il che farebbe del monastero di S. Agata/S. Antimo il secondo
monastero dell’ordine in assoluto.
La pergamena potrebbe essere finita in
altri archivi vicini, visto che circa 50
anni fa era stata fotografata da Giuseppina Maffei, che ha scritto un libro sull’argomento (pubblicato postumo nel
1991).
L’altra pergamena è citata dall’erudito
Zucchi Travagli e certificherebbe – per
così dire – la presenza diretta di S. Agnese nella fondazione del convento.
Il parere di chi scrive è che S. Francesco,
quando a San Leo ricevette in dono La
Verna, decise di recarvisi subito, e scelse
di passare per S. Agata.
segue a pag. 2
La Rocca
L
Ottobre/Novembre 2007
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
attualità
storia
S. Agata Feltria Comune onorario
della provincia di Genova
Una terra in forma di città
a giunta provinciale di Genova ha riconosciuto Sant’Agata Feltria come 71° comune della Provincia. La
procedura prevista dallo statuto della provincia prevede che l’appartenenza onoraria venga ufficializzata mediante
la consegna in forma solenne di una pergamena e di una targa
in ardesia con lo stemma in filigrana della Provincia di Genova. Nelle motivazioni si legge che tra S. Agata e Genova
vi sono legami storico-culturali sin dal XV secolo quando il
santagatese Ranieri De Maschi venne inviato a Genova presso
Pietro da Campofregoso, doge dal 1450 al 1458 e nel 1541, e
nominato Vicario generale del doge. Nel 1470 inoltre il Duca
di Urbino Federico da Montefeltro concesse in sposa la figlia
Gentile ad Agostino Fregoso, figlio del doge genovese Ludovico, assegnandole in dote la contea di Sant’Agata Feltria.
segue dalla prima
Qui, come è noto e documentato, si
fermò a pregare e fare penitenza, accendendo la scintilla che doveva poi
far sorgere, nel luogo dove si era fermato, il convento dei frati Minori e
la chiesa che sarà a lui dedicata (in
località Piani).
Poi, dopo la breve sosta, riprese il cammino, attraversò i boschi
in prossimità di Pereto e si fermò
a bere nella sorgente d’acqua che è
ancora legata al suo nome, e dalla
quale parte un sentiero che per proseguire verso La Verna passa – guarda caso – da S. Antimo.
Questo renderebbe comprensibili
alcuni riferimenti delle pergamene
studiate dalla dott.ssa Giovannini,
dalle quali ipotizzerei che S. Agnese
sia giunta da S. Antimo proprio perché anche in quel luogo San Francesco non era passato senza lasciare traccia, e anzi aveva stimolato in
qualche donna del posto il desiderio
di fare la sua stessa scelta di vita radicale. Anche per questo S. Agnese
aveva trovato il terreno pronto alla
fondazione di un convento.
Naturalmente queste sono ipotesi,
vedremo se dagli studi che le Clarisse hanno in animo di portare avanti
ci saranno delle conferme. G.D.
Da tale matrimonio nacque Ottaviano che arriverà a Genova
nel 1513 dove sarà eletto Doge. Resterà in carica fino al novembre 1515, diventando poi Vicario del re di Francia fino al
1522. Il periodo di governo dei Fregoso a Sant’Agata Feltria
durerà sino al 1660 e lascerà un buon ricordo nella memoria
dei santagatesi.
Accanto a queste ragioni, prettamente storiche, non vanno
dimenticate quelle più strettamente culturali che legano la
comunità santagatese con quella genovese. Infatti, un altro
capitolo importante è quello che si apre due secoli dopo con il
grande direttore d’orchestra Angelo Mariani, cui è intitolato
il locale teatro, che parte da Sant’Agata Feltria per dirigere il
Carlo Felice di Genova per diversi anni, dal 1854.
Liberamente tratto da: La Repubblica del 5 settembre 2007
Buone notizie per gli internauti
Gli appassionati di cose santagatesi che amano viaggiare nel web vedono ampliarsi
i loro orizzonti. Emanuela Liverani infatti ha aperto un sito web tutto dedicato a S.
Agata (www.santagatafeltria.info.) con un’ampia sezione dedicata alle news.
Sono ancora minorenni,
ma già campioni italiani
di danza folk
Trentadue anni in due e sono già in mezzo al
tetto d’Italia. Grazie ai loro passi di valzer e
a quelle giravolte della mazurca, Marco Giovanetti di Sant’Agata Feltria e Lucia Neri di
Novafeltria, si sono appena laureati campioni
italiani di danza folk in classe A1, a Bologna.
Lei 15 anni, studentessa. Lui 17 anni, saldatore.
Danzano insieme da 10 stagioni. Per volteggiare si devono sciroppare un ora e mezzo di
viaggio per ogni allenamento, due – tre volte
a settimana: il tempo necessario per raggiungere Sant’Ermete e la scuola “Balla con noi” di
Paolo Semproni e Debora Cicchetti.
Il tricolore lo hanno vinto grazie ad un’ottima esecuzione di valzer, mazurka e polka.
Un titolo davvero importante, perché Marco e Lucia sono approdati nella massima
serie (classe A) solo da un anno. Il loro curriculum parla da solo: campionato regionale
e italiano nelle classi inferiori (classeC,B e A2). “Di solito, quando si arriva in A1, si
deve fare un po’ di gavetta – commenta orgoglioso il fratello di Marco- ma i due ragazzi si sono dimostrati subito vincenti”. Bravi i ballerini e brave le mamme (Rita Masini
ed Emma Neri), che li accompagnano in ogni trasferta. m.c.
Tratto da Il Resto del Carlino
di sabato 14 luglio 2007 - “Bellaria e Valmarecchia”
N
on risulta che Sant’Agata Feltria Leo, non conobbe una vera e propria Tra le famiglie illustri, la più celebre è
abbia mai sollecitato il ricono- espansione urbana extrameniale, e del ovviamente quella dei Fregoso, un cui
scimento dello status di città, resto l’orlo della rupe costituiva di per ramo continua a risiedere a Sant’Agata
né avrebbe potuto fondatamente farlo, sé sufficiente barriera.
anche dopo la cessazione del marchesanon essendo sede episcopale.
Ma a parte questo, e il titolo giuridico to. Non ha però luogo in consiglio, e
Perché si possa parlare di forma urbis naturalmente, nulla manca a Sant’Aga- certo versa in condizioni economiche
non basta tuttavia un solo elemento, ta per considerarsi per lo meno alla pari precarie, se l’illustrissimo signor Federiper quanto importante. Occorre un cle- con le città titolate del Montefeltro: San co si adatta, fino alla morte avvenuta nel
ro organizzato nella sua componente se- Leo, appunto e, in successione, Penna- 1689, all’incarico di organista, e se nel
colare affiancato da solide comunità re- billi e San Marino.
1690 l’illustrissimo signor Ottaviano
golari maschili e femminili; occorre un Vediamo insieme una pur sommaria è accettato di malavoglia come sigurtà
corpo consistente di notai e di dottori in esposizione delle condizioni reali di San- al fornaio, con cinque voti contrari su
utroque; occorrono servizi efficienti di t’Agata in fatto di potenziale economico quattordici.
sanità, di pubblica istruzione, di ordine e di strutture sociali, dopo i Fregoso.
L’incarico pubblico di organista e maepubblico, di posta, di rifornimento idri- Fra gli undici patrimoni che a fine Set- stro di canto è giustamente consideraco; occorrono strutture ricettive, com- tecento superano a catasto i 1000 scu- to il fiore all’occhiello della tradizione
merciali, artigianali capaci di supportare di di estimo in tutto il rettorato, nove culturale santagatese. Per non dire del
straordinari concorsi in occasione di fie- appartengono a proprietari del paese; teatro, altro orgoglio del paese, e che
re o di feste religiose; occorre soprattut- nel consiglio della vicinanza (cioè della è molto più antico di quanto finora si
to, buon numero di famiglie signorili, comunità principale) degli anni 1778- sapesse: nel 1690 il consiglio generale
dotate di larghi mezzi e di comode abi- 1782, si contano tre dottori in legge e destina il ricavato della vendita del tertazioni, viventi more nobilium; occorre tre capitani, tutti del grado di confalo- reno, all’adattamento del “solaro sopra
infine un impianto urbanistico e un pa- niere naturalmente, mentre, degli altri il teatro per fare magazzini da grano”.
trimonio urbanistico e privato, sacro e confalonieri, Francesco Cionini è no- Un obiettivo punto di forza di Sant’Agaprofano, all’altezza del rango.
taio e rampollo di una delle più illustri ta Feltria, nel suo proporsi come centro
Orbene, queste prerogative Sant’Agata famiglie del luogo, Francesco Casanovi di un territorio assai più vasto del pur
le possiede tutte in grado sufficiente a è tenente e consanguineo dell’arciprete, vasto rettorato, è la sua organizzazione
darle pieno titolo di considerarsi “terra Gianfilippo Fabbri ha l’estimo più alto commerciale. Le antiche fiere, concenin forma di città”.
di tutto il rettorato e un figlio dottore trate nel capoluogo dalle primitive sedi
Il numero degli abitanti, al quale noi in legge.
monastiche di Santa Trinità e di Fonteoggi diamo tanta importanscarino, durano ormai tre
za, non è affatto decisivo per
giorni ciascuna; le tre ostequeste aree periferiche in età
rie, i tre macelli, i due forni,
moderna: San Leo è città a
la spezieria, le altre numepieno titolo con i trecento
rose bettole e botteghe, le
abitanti della sua cerchia
officine artigiane, ne sono
murata, e del resto nessuna
gli indispensabili supporti e
città della legazione ragi principali beneficiari. Ma,
giunge i diecimila abitanti.
anche a prescindere dalle
Semmai se c’è una cosa che
fiere, il volume d’affari degli
manca all’ex-capitale dei
spacci, deve essere notevole.
Fregoso, sono proprio le
Il registro delle importaziomura, elemento visibile di
ni di vino dal 1739, mostra
distinzione fra cittadini e
un quotidiano andirivieni di
contadini, barriera psicolotrasportatori verucchiesi che
gica oltrechè giuridica, linea
scaricano, nel primo biennio,
confinaria di diritti e doveri
quasi 1200 some destinate in
diversi e spesso opposti.
massima parte agli osti. MolSant’Agata era naturalmen- Nel mese di settembre dopo trent’anni di assenza, i cugini del Belgio to elevato sembra, a giudicate dotata di una cinta di (Arnaldo, Piero, Lidia e Marie Thèrese, con le rispettive famiglie), re dagli obblighi assunti dai
mura attorno al castello, ma hanno deciso, all’insaputa di tutti i parenti, di trascorrere un breve macellai negli appalti, anche
non di una cinta esterna che ma bel periodo di tre giorni nel loro paese d’origine, S. Agata Fel- il consumo di carne.
racchiudesse anche gli am- tria, nell’albergo Gaggiola. I Bossari del Belgio nell’impossibilità di
Liberamente tratto da
pliamenti tardo-medioevali incontrare tutti i parenti, causa il breve periodo trascorso a S. Agata,
Il Rettorato di Sant’Agata
o della prima età moderna, approfittano del ns. giornale “Rocca” per salutare le famiglie Bossari
dopo i Fregoso di
come si diedero San Marino e Paci, con la promessa di tornare al più presto e con più calma.
Girolamo Allegretti
e Pennabilli. Quanto a San
Studi Montefeltrana, 1993
Una bellissima sorpresa
per i cugini Bossari
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
SOTTOSCRITTORI
lettere
Piccoli santuari,
una scoperta che incanta
Q
SOTTOSCRIZIONI
ualche tempo fa il quotidiano l’Avvenire ha ricevuto una
lettera che diceva “Caro direttore, mi sento di segnalarle
che sì i grandi santuari attirano folle, ma anche i piccoli
santuari svolgono un ruolo importante. (…) Sono convinto che farete cosa gradita a tantissime persone, se riserverete su Avvenire un
breve spazio, dove segnalare la presenza e l’ubicazione dei piccoli
santuari presenti nella nostra bellissima e amata Italia”. La lettera è
firmta padre Eugenio Biscontin. Il Direttore del quotidiano ha risposto così alla lettera “Raccolgo molto volentieri il suo invito, caro
padre Biscontin: (…) Senza pretese enciclopediche, cercheremo di
rilanciare le vostre segnalazioni. I santuari rappresentano spesso una
felice scoperta per quanti li incrociano lungo i loro tragitti turistici
e visitandoli finiscono catturati dall’atmosfera spirituale che in essi
si respira. (…)”.
Così abbiamo scritto queste righe all’Avvenire “Caro direttore, riprendo il suggerimento del lettore padre Eugenio Biscontin, pubblicato nella rubrica “Il direttore risponde” del 2 settembre 2007,
e che a lei, è tanto piaciuto. Le propongo di iniziare a dedicare un
breve spazio ai tanti Santuari Mariani d’Italia, cominciando da un
piccolo paese: Sant’Agata Feltria.
A Sant’Agata sono aperti e fruibili ben cinque piccoli Santuari, tutti
dedicati alla Madre di Dio, dove si conservano e i venerano immagini della Madonna, considerate miracolose.
Può sembrare ovvio ma è opportuno sottolineare che non solo i santagatesi sono legati a queste immagini di Maria, con tutto il significato religioso che esse racchiudono, ma numerosi sono i gruppi di
giovani e di famiglie che vengono da lontano per cercare il raccoglimento e il silenzio. Questi, infatti, sono luoghi dove gli uomini possono riscoprire la propria dimensione spirituale, spesso facilmente
appiattita dai tempi del lavoro, dal chiasso della TV, dalle ricerche
affannose di tutti i giorni.
Qui, come in altri luoghi mariani si venera Maria che aiuta ogni
uomo a trovare, per le vie del Signore, quella Pace e quel Bene che
sono proprio i termini del saluto quotidiano dei francescani, ad indicare ad ogni uomo ciò che più conta.
Enzo Liverani
Albini Moreno, Secchiano
Boschi Gerardo, Sant’Agata Feltria
Bossari Cristiana, Sant’Agata Feltria
Caminati Erika, Sant’Agata Feltria
Faeti Emilio, Sesto S. Giovanni
Giovanetti Otello, Sant’Agata Feltria
Greci Tarcisio, Paterno Dugnano
Guidi Daniele, Sant’Agata Feltria
Guidi Elide, Grassina
Guidi Marco, Novafeltria
Guidi Romano, Sant’Agata Feltria
Guidi Rosanna, Firenze
Liverani Fernando, Bologna
Liverani Giorgio, Sant’Agata Feltria
Manzi Federico, Sant’Agata Feltria
Marani Paola, Sant’Agata Feltria
Mariani Eva, Novafeltria
Mariani Sincero, Sant’Agata Feltria
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Grazie ai volontari che hanno provveduto a scrivere e distribuire il giornale, grazie al lavoro di redazione di Enzo
Liverani, alle fotografie di Marco Zanchini, a Paola Boldrini, a Mario Nalin, ad Alessia Dellamea, e ad Arrigo Bonci
che coordina la distribuzione, e grazie ai lettori e sostenitori, numerosi come sempre. Se il giornale vi piace ditelo
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Masini Daniele, Sant’Agata Feltria
Masini Giancarlo, Rimini
Mastini Anna Marina, Casteldelci
Migliarini Rosella, Sant’Agata Feltria
Migliori Ornella, Zola Predona
Molari Lodovico, Novafeltria
Narducci Marisa, Limbiate
Narducci Quinto, Rimini
Paci Maria, Genova
Rinaldi Piero, Bologna
Ronchi Marisa, Sant’Agata Feltria
Sabatine Manzi Janice, Cramberry
- U.S.A.
Sacchini Pier Luigi, Rimini
Sartini Guerrino, Sant’Agata Feltria
Urbini Luigi, Livry Gargan (F)
Urbini Mario, Montreuille (F)
Valli Giuseppina, Genova
Vicini Giovanni, Sant’Agata Feltria
Zolini Giuseppe, Rimini
Gabriele Guidi, Rimini
M.Joelle Cangini, S. Agata
Chiara Masini, Milano
Rossana Zanchini, Rimini
Zanotti Renzo, Agata
Rinaldi Nofri Maria, Bologna
Paolo Marani, S. Agata
Giancarlo Sonetti, Rimini
Bruno Sorbini, Pesaro
Rosa Anna Cecchi, Rimini
Domenico Montecchi, Rimini
Vallino Rinaldi, S. Agata
Annamaria Mastini, Casteldelci
Comitato per la Salvaguardia di Petrella
Guidi, Petrella Guidi
Aldo Giorgetti, S. Agata
G
Quando a Maiano
c’erano due negozi
entile Direttore,
queste poche riflessioni – forse
anche poco pertinenti – mi ha
stimolato l’articolo in prima pagina de
La Rocca n. 5 del 2006, dal titolo “Se sei
nato dopo il 1978, questo articolo non è
per te…”, che – mutuato dalla stampa
tedesca – ho riletto da poco.
Sono nato nel 1964 e ho apprezzato particolarmente l’articolo, che reputo particolarmente appropriato per il periodico
“… di storia e attualità santagatese”.
Ancora oggi ricordo infatti con nostalgia
il mese di agosto, atteso da me bambino
e pre-adolescente, perché mi portava a
Ca’ di Vico, un minuscolo gruppuscolo
di case vicino a Maiano, quasi nessuna
abitata stabilmente.
Sono vivi nella mia mente gli amici, la
solidarietà e la comunione tra le persone, per me – nato e vissuto in terra di Liguria da mamma romagnola (tanto più
tale oggi, dopo il referendum) e papà
ligure – valori inusuali, perché d’altri
tempi. La mia generazione ha fatto in
tempo a vedere l’aratura con i buoi.
Ricordo i racconti dei vecchi, che trasudavano fatica, il duro lavoro nei campi
e la trebbiatura, le prime nebbie per me,
nato al mare, pressoché sconosciute. La
nonna Elena (una donna buona, devota
e umile, la Lena) e il nonno Serafino che
– dopo la scomparsa della nonna – era
venuto a vivere alternativamente da noi
e dagli zii.
Da giovane, dopo la terza, aveva preso
la licenza della quinta elementare alle
scuole serali. Eppure mi perdevo nei
suoi racconti e mi infervoravo nelle
lunghe discussioni su ogni argomento:
la sua vita passata, il servizio militare in
Artiglieria (coi cavalli), le due guerre, la
politica, la sua passione civile…
Era un uomo moderno, mio nonno.
Moderno, intelligente e, a suo modo,
dotato di una cultura e di una vivacità mentale sorprendenti. Ricordo che
ancora nei primissimi anni settanta, a
Ca’ di Vico, si beveva l’acqua della “cannella”, raccolta in un orcio di terracotta
dipinta che custodisco nella mia casa
come una reliquia.
I giochi costruiti da noi bimbi e le gare
col “birroccio”: eravamo tanti bambini,
allora, in agosto, in quelle piccole case,
prima comprate col sudore del lavoro
nella “buga” di Perticara (alternato con
quello nei campi) e poi abbandonate
con la chiusura della miniera si zolfo.
Le ginocchia e i gomiti perennemente
graffiati e nascosti alla mamma per non
buscarle.
È vero: oggi non è più così. Non so se
lo spartiacque sia o meno il 1978, ma
non è più così. La nostra generazione è
quella che è, anche perché ha conosciuto questi valori, cui mal si attagliano il
pessimo spettacolo del presente, le sterili recriminazione, le inutili burocrazie,
le azioni legali temerarie. “Melius esse
quam videri”, dunque, in una società,
invece, tutta protesa all’apparire.
Tuttavia dobbiamo coltivare la fiducia
anche nei giovani d’oggi, cui ci corre
l’obbligo di trasferire i nostri valori di
genitori, nonni, zii, di adulti al fine di
tesaurizzare la nostra esperienza.
Nonostante io cerchi di tornare alle mie
radici, dove non sono nato, ma dove ho
un pezzo di cuore, almeno una volta
l’anno, fatico a spiegare a mia moglie e a
mia figlia Elena, quello che per me rappresentano questi luoghi e gli echi della
gente di allora.
Le strade bianche - oggi per lo più asfaltate - che hanno segnato i primi scambi,
gli echi di venditori ambulanti che oggi
sono limitati alla vendita del solo pane
“porta a porta”. Allora nelle frazioni
c’era il fruttaiolo, il pollaiolo (l’uvadegn = venditore di uova, credo), “quel ad
Sersina” (che gestiva un vero e proprio
emporio su un vecchio furgone rosso
cassonato): il loro arrivo era un evento,
perché a Sant’Agata si andava raramente
e a piedi, anche se a Maiano, ricordo,
c’erano allora, almeno due negozi di alimentari, che fungevano anche da bar.
Quelle stesse strade hanno portano
greggi transumanti e accompagnato
emigranti dal passo incerto e alcuni ne
hanno visto tornare.
Hanno posto nell’animo della comunità
la stessa intraprendenza e la stessa cautela, speranze e paure, varcando quelle
dolci colline che qui dove vivo si trasformano in aspri monti e scogli diradanti
verso il mare.
Ancora oggi, quando arrivo stanco dal
lavoro e preoccupato dai ritmi di una
vita che mi assomiglia sempre meno,
chiudo gli occhi, e penso a quel paese
idealizzato, mio senza esserlo mai stato, a quell’antico stile di vita ed ai miei
nonni vecchietti.
Il ricordo è come una carezza.
Alessandro Croce
Giuseppe e Myriam Campestri
Al matrimonio di Giuseppe
e Myriam Campestri,erano
presenti Don Marella, Sergio Bolelli con la figlia, Nino
e Giuliana Vicini
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
dall’ARCHIVIO
FOTOCRONACA
Notizie d’annata
M
ARECCHIA, fiume di Rimini, il cui nome antico fu
quello di “Arimnum”, derivato secondo Pausania da “Arimno”, re
degli Etruschi od Umbri, e secondo altri
dall’Etrusco “Arimus”, che vorrebbe dir
“scimmia”. Non si sa neppure se ricevesse o desse il nome alla città di “Arimnum” (Rimini) e quando cambiasse il
nome in quello di “Maricula”, da cui
l’attuale “Marecchia”.
Certo che i due nomi di “Arimnum” e
“Maricula” sono ambedue abbastanza
antichi al pari di quelli del vicino”Isaurus
– Folia” (l’attuale “Foglia”) e dell’ “Aesis
– Flumixinum”, l’attuale “Esino”.
Il Marecchia scende dal Poggio dei
Tre Vescovi col nome di “Fosso delle
Sode” e dal Poggio delle Castagnole col
nome di “Fosso Val di Bujo” in provincia d’Arezzo e corre per breve tratto a
greco, poi volgesi a tramontana e greco
tramontana; si allarga sui ghiaieti, volgendosi nuovamente a greco alle falde
di San Leo e, uscito al piano tra Verucchio e Scorticata, sembra volersi inoltrare direttamente al mare, mentre invece
si volge con ampia curva verso Rimini,
che lambisce a maestro, indi passa sotto
il celebre ponte d’Augusto sull’Emilia, e
si getta nell’Adriatico dopo breve tratto diretto a tramontana, formando alla
foce il “porto di Rimini”.
Il corso totale del fiume è di circa 80
chilometri, metà in provincia di Pesaro Urbino e l’altra metà in parte nella
provincia d’Arezzo ed in buona parte, in
quella di Forlì: l’alveo, che fra Scorticata
e Verucchio giunge perfino alla larghezza di 600 metri, si restringe, entrando in
pianura, e si riduce a 57 metri al ponte
d’Augusto ed alla foce. È arginato per
breve tratto, 5 chilometri circa, superiormente al ponte d’Augusto a difesa
specialmente della via Emilia (nota 1: fu
in questo tratto, che verso il “mille” ruppe per andare direttamente al mare verso
la Viserba. L’attuale parrocchia di “San
Martino in Riparotta” porta ancora il
nome di detta “Rotta”, che sembra venisse
riparata dopo poco tempo).
Anticamente sfociava in mare più all’oriente, e cioè presso al luogo della stazione ferroviaria di Rimini, dove si sono
trovati avanzi d’un antico “molo romano”: fu solo verso il 1400 che Carlo Malatesta lo deviò nel canale attuale, che
serve da porto e che va prolungandosi
verso mare di giorno in giorno.
Il bacino idrografico della Marecchia
è di 472 chilometri quadrati, dei quali
436 in montagna, e la portata massima
delle sue piene di 420 m.c. al secondo
(nota 1: l’ingegnere MONTANARI trova
invece il valore di 754 metri cubi! …),
mentre la minima delle secche è di soli
m.c. 0,70.
Tratto da La Romagna, Geografia e
storia per l’Ing. Emilio Rosetti
a cura di Franco Vicini
Orologio Pubblico
Comunale
28-4-1869 Istanza del balivo (funzionario nominato dal comune, n.d.r.) Caroli
Timoteo per una gratificazione come
moderatore (addetto, n.d.r.) dell’Orologio Pubblico per il 1868. Gli si accordano 15 lire.
24-11-1869 Nel Bilancio di previsione
per il 1870 la Giunta propone un fondo
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
di 100 lire da corrispondersi al moderatore del medesimo. Viene annotato
come sia stato restaurato, ed infatti, nella Giunta del 3-12-1869, risulta come
tale restauro sia stato eseguito dal fabbro
Vicini Severino. Per eseguire il collaudo
viene incaricato il meccanico Ghinelli
Giovanni di Santarcangelo.
Il restauro, però, non sembra ben riuscito e, probabilmente, s’è aperto un
contenzioso tra il Vicini ed il Comune.
Questo si deduce dal verbale di Giunta del 20-5-1870, dove si annota: “Per
transare con il fabbro ferraio Vicini Severino circa il restauro dell’Orologio,
senza l’intervento di terze persone, che
comporterebbe spese e perdita di tempo, si stabilisce:
1) Che debba sistemare le leve dei martelli della batteria, per modo che questi
battano più forte;
2) Che debba aggiungere alla macchina
un sistema di carrucole e corde, perché
la montatura (carica, n.d.r.) dell’Orologio duri 24 ore;
3) Che debba rifare a nuovo il mezzo
per suonare le adunanze Municipali, in
modo che, con diverso sistema, questo
viene fatto più forte.
Successivamente ne viene nominato
moderatore lo stesso Vicini Severino.
Caro direttore,
nello scorso agosto, durante le ferie, ho visitato una mostra
di carte geografiche storiche allestita a Mondovì alta. Tra le
altre carte ho fotografato questa che ti mando nel dettaglio
che arriva fino a S. Donato ma purtroppo non comprende
S.Agata. La carta è di Sr Gorge L. Le Rouge stampata nel
1745.
Un caro saluto Tonino Marani
Un’immagine del Teatro Angelo Mariani
di S. Agata Feltria il giorno 18 agosto 2007:
“Sulle ali del belcanto” Arie celebri d’Opera.
Concerto tenuto dagli artisti del
Centro Studi Lirici di New York;
organizzato dal Comitato per la salvaguardia
dei beni storici e culturali,
e con il patrocinio del Comune di S. Agata Feltria.
Il 7-5-1870 Vicini Severino, restauratore dell’Orologio di piazza, essendosi
dichiarato non soddisfatto del collaudo
del suo lavoro, eseguito dall’orologiaio
Marchini (?) Nicola, che ne stabilì il
compenso a lire 200, mentre il Vicini
richiedeva lire 300, ha fatto collaudare
il lavoro per suo conto dal meccanico
Agostino Ferri di Penna Billi, il quale
presenta il suo restauro, facendone ammontare l’importo relativo a lire 300.
23-8-1871 Restauro della Torre dell’Orologio.
(F. V.)
Disegno di Fioretta Faeti
n.b. Dal lontano 1962 l’orologio comunale è bloccato alle ore 12,30. Cosa si attende per farlo ripartire? Forse l’arrivo di un
nuovo Severino Vicini? (NdR)
Alcuni momenti della serata di presentazione
delle pergamene delle Clarisse
(foto Emanuela Liverani e Marco Zanchini)
Il matrimonio di Sergio Bolelli con Emma Vicini,
celebrato da Don Marella e don Vittorio Mancini
La Rocca
Q
Ottobre/Novembre 2007
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
PERSONAGGI
SAVIGNANO DI RIGO
Il “buono” di Torricella
Antonio Tani
uando si svolsero questi fatti,
Torricella faceva parte del Rettorato di Sant’Agata Feltria.
Qui, nel Seicento, nacque padre Francesco, al secolo Pietro Valentini, un frate
francescano che si distinse per la vita generosa e per i numerosi eventi miracolosi a lui attribuiti.
Di questo frate venne scritta alla fine
Seicento (qualche anno dopo la sua
morte), una breve biografia per mano
di tal Alessandro da Tomba, una importante figura delle gerarchie ecclesiastiche
marchigiane.
Nacque a Torricella, precisamente a Cà
Massaro, nell’anno 1607, e qui, fin da
bambino, si capì che c’era qualcosa di
diverso rispetto agli altri.
E sorvoliamo pure sulla sua abitudine di
dormire sopra i tavolacci e fra le coperte
grezze (che visti i tempi e le umili condizioni famigliari, doveva essere più una
necessità che una virtù) ma non sui suoi
comportamenti sociali. Fin da bambino, molto tempo prima di diventare un
religioso, aveva votato la propria castità
all’immagine della Madonna conservata
in una piccola cella vicino a casa, voto
che rinnovò alla decisione di prendere i
voti davanti alla Madonna di Loreto.
La vocazione arrivò verso i vent’anni.
E l’abito lo ricevette nel convento delle
Grazie di San Severino, dove entrò nell’ordine dei Riformati di San Francesco
prendendo lo stesso nome del santo di
Assisi.
Subito, quel ragazzo che veniva da Torricella, si fece notare per una cosa: la sua
incredibile, e talvolta disarmante bontà.
Dai racconti che ci sono arrivati, si capisce che la propria mente non era portata
per alcuna malizia, tanto da poter fare
pensare all’ingenuità. E nell’estremo insegnamento di San Francesco, condusse
tutta la propria vita impegnato nell’umiltà, nella povertà, nella contemplazione e
nel perdono.
A questo proposito si lega un fatto altamente significativo della sua esistenza.
Un tale di cui non sappiamo il nome,
un giorno uccise Francesca, la sorella del
frate. Inutile dire che Francesco lo perdonò. Una cosa normale, che in tanti
fanno. Ma il nostro frate non si limitò
solamente a ciò ed anzi si fece suo avvocato difensore presso il tribunale civile
riuscendo a liberarlo dalle pene inflitte
per il delitto.
Negli anni, la fama di Francesco crebbe
a dismisura, tanto che il cardinale Cibo,
allora Vescovo di Jesi, lo chiamò nel convento di quella città per averlo vicino.
In questo convento, per difendere la sua
salute, gli si proibì gran parte delle mortificazioni con cui martoriava il corpo e
attraverso le quali Francesco aspirava a
purificare l’anima. L’idea che i credenti
si fecero di lui, della sua visibile santità, della sua onestà intellettuale, portò a
chiamarlo semplicemente “il buono” e
in molti furono a raccomandarsi alle sue
preghiere.
Iniziavano a circolare voci su certi miracoli compiuti. Come quando a Libiano,
mentre era a tavola col parroco di San
Bartolomeo, lo si vide entrare in estasi e
sollevarsi di un palmo da terra. O quando guarì la contessa Staccoli di Urbino
facendole bere l’acqua che aveva con sé,
ritenuta miracolosa. E allo stesso modo,
a lui furono attribuite un paio di inspirate guarigioni a Maiolo, sempre grazie
alle sue preghiere e alla sua intercessione
e altre a Pesaro.
Lo stemma dei Capramozza
(v. articolo apparso sul n. 3 della Rocca)
Fu quest’ultima città, la sua ultima tappa. Qui la sua malferma salute peggiorò
e, come aveva previsto, spirò santamente. Era il 1683.
Prima di morire, padre Francesco aveva
chiaramente disposto che l’abito usato
per la tumulazione doveva essere quello
di sempre, povero e rattoppato, molto
più vicino ad uno straccio che ad un
saio.
Durante la vestizione del cadavere, si
notò la presenza (mai vista prima da
nessuno, neppure dall’infermiere che
lo aveva assistito negli ultimi tempi) di
una grossa piaga al piede destro, che pur
essendo purulenta, non emanava alcun
fetore.
I frati ebbero un gran da fare per tenere
lontana la folla dal corpo: ognuno cercava di baciargli le mani e i piedi, tentando
nel frattempo di prendersi una reliquia,
di tagliargli una ciocca di capelli, un’unghia o un pezzo d’abito. Tanto che i
confratelli dovettero rivestirlo due volte
e chiuderlo infine nella sacrestia per calmare la folla invasata.
Terminati i funerali, venne sepolto nel
coro della chiesa di San Giovanni Battista a Pesaro.
Anche dopo la morte non mancarono
eventi miracolosi
Una suora pesarese, tal Francesca Verna, raccontò che al semplice tocco della
mano del cadavere, scomparve il grande
male che le affliggeva il braccio.
Giovanni Francesco Fagiani invece, figlio di un medico, stava morendo di
febbre, quando la madre gli fece baciare
un brandello dell’abito del frate, riportandolo in salute. Sempre un brandello
di quell’abito strofinato questa volta sulla gola, rimise in forze Maddalena, una
donna di servizio di Mercato Saraceno,
tanto ammalata da non riuscire neppure
a bere. E stringendosi con il cordone di
Francesco, un certo Bernardino Ferrenti
guarì da fastidiosissime coliche renali.
Questo almeno, è quello che dice la cultura popolare.
Liberamente tratto da un articolo di
Marco Sassi
D
i Antonio Tani intendo illustrare la figura, il prestigio,
le opere, che fanno di lui un
personaggio di spicco, vissuto a cavallo
dei secoli XIX e XX e contemporaneo di
Decio Raggi.
Antonio Tani era nato a Savignano di
Rigo l’8 dicembre 1888, da Tani Tito e
Giangrandi Rosa; fu battezzato a Perticara da don Antonio Serafini, cresimato a Sant’Agata Feltria dal Vescovo di
Montefeltro Alfonso Maria Andreoli;
frequentò le scuole elementari nel paese
natio, e, manifestatasi la vocazione ecclesiastica, fu ammesso nel seminario di
Pennabilli, dove compì con lode il corso
ginnasiale e quello di filosofia. Nel 1909
fu ammesso al Pontificio Seminario Pio
IX di Roma, dove si distinse per le qualità di mente e di opere e per il risultato
lusinghiero negli studi.
A Roma presso l’Università Pontificia
di S. Apollinare conseguì, a pieni voti,
tre lauree: filosofia, teologia e diritto canonico e civile. Fu ordinato sacerdote
a Pennabilli dal Vescovo Raffaele Santi
il 25 luglio 1914 e celebrò la sua prima
messa nel paese natio.
Ancora studente in legge a Roma venne
nominato, su concorso, nel 1916, arcidiacono e canonico teologo della Cattedrale Feretrana. Nel 1918, terminata
l’università, rientrò a Pennabilli dove
fu nominato vice direttore, economo
ed insegnante del seminario diocesano,
nel quale insegnò lettere per 14 anni.
Durante questo periodo, nonostante
l’impegno che lo teneva occupato intensamente, non trascurava le iniziative
promosse in Diocesi, come la Federazione del Clero, l’opera delle Vocazioni
Ecclesiastiche, l’Azione Cattolica, di cui
era assistente diocesano della gioventù
maschile.
A tutto ciò, aggiungeva le opere del suo
ministero e contemporaneamente dava
alla stampa apprezzate pubblicazioni:
«Pennabilli e la Vergine delle Grazie” nel
1915, “San Francesco nel Montefeltro”
nel 1926 con prefazione di Tommaso
Nediano, “A Lourdes” diario di un pellegrinaggio nel 1928. Esercitava inoltre
l’apostolato della predicazione, ottenendo efficaci risultati.
Le molteplici occupazioni, l’umana carica che in tutte v’imprimeva, il profondo
spirito pastorale ed i meriti che ne aveva
tratti non potevano rimanere nascosti ai
superiori, per cui il 23 maggio 1928 fu
nominato Prelato Domestico di S. Santità; nel gennaio 1932 Vicario Generale
di Raffaele Santi, Vescovo di Montefeltro, ed il 1° Maggio 1932 Papa Pio XI
nominava Mons. Antonio Tani Arcivescovo di Urbino essendosi resa vacante la
sede, per rinuncia di S. E. Mons. Giacomo Ghio, fin dall’ottobre 1931.
Il 3 giugno 1932, festa del S. Cuore, fu
consacrato nella cappella del Pontificio
Seminario Maggiore al Laterano, presenti il Card. Serafini, i vescovi Palica e
Santi, gli urbinati con a capo il podestà,
gli antichi professori, eminenti personalità della Curia Romana, i suoi compagni. Alla consacrazione fece seguito
un’udienza particolare di S. Santità Pio
XI che rivolse paterne parole di soddisfazione e di augurio, ed impartì l’apostolica benedizione.
“Così Mons. Tani si accinse alla sua missione d’amore e di pace, che esercitò con
vero coraggio anche quando vennero i
momenti duri”.
Il 14 agosto 1932 egli fece il suo ingresso ufficiale in Urbino, attraverso la Porta
Valbona, sulla quale si leggeva questa
epigrafe: «Urbinati! Dalla terra che diede a voi gloria d’armi e di duci, il nuovo
pastore, angelo di pace, viene a voi benedicendovi».
Nella sua missione pastorale era circondato dal popolo, che ascoltava volentieri
le sue omelie, belle, pratiche e chiare, e
dalla Conferenza Episcopale Marchigiana, di cui era presidente.
Il suo amore per la diffusione e l’espan-
SUl prossimo numero
della Rocca
Una lettera di Don Ciacci
sull’immagine
del piede di Maria
sione della vita ecclesiale, lo esprimeva attraverso l’Azione Cattolica, tanto raccomandata dai Sommi Pontefici. A questo
proposito ebbe a scrivere: «Un parroco
non può tenersi tranquillo in coscienza,
se non fa nulla in questo campo.
L’Azione Cattolica richiede sacrifici di
forze, di tempo e di denaro, ma dà frutti
consistenti e trasforma la parrocchia».
Egli promuoveva ritiri spirituali, settimane di studio, convegni per giovani
cattolici, giornate missionarie del Vangelo. Nell’ottobre 1940, celebrò solennemente il 19° Sinodo Diocesano. Ebbe
a visitare quattro volte la diocesi e durante la visita pastorale, era meticoloso per
quanto attiene l’Eucaristia. Ogni prima
domenica del mese, dopo la Messa, partecipava in cappa alla Processione Eucaristica nell’interno della Cattedrale.
Nel 1940, in occasione del 25° di sacerdozio, volle organizzare il 2° Congresso Eucaristico Diocesano, che divenne
Congresso Eucaristico Regionale.
Fu un trionfo. Infatti, nella giornata di
chiusura, festa della SS. Trinità, le funzioni assunsero proporzioni grandiose. Il
solenne Pontificale era presieduto da S.
E. Mons. Luigi Drago, Vescovo di Tarquinia e Civitavecchia, presidente nazionale dei Congressi Eucaristici; la Schola
Cantorum del Pontificio Seminario Regionale di Fano, eseguì la “Missa prima
Pontificalis” del Perosi; erano presenti in
Duomo venti fra Arcivescovi e Vescovi,
le autorità in uniforme e la Cattedrale
che contiene diecimila persone non riusciva a soddisfare neppure i congressisti, e molti di essi dovettero seguire le
funzioni fuori, sulla scalinata e lungo la
strada.
Nel pomeriggio si svolse la processione e
dall’altare eretto nella Piazza del Rinascimento, davanti ad un mare di teste, dopo
l’adorazione dell’Ostia Santa e la lettura, da parte di S. E. Mons. Ferri, della
formula di consacrazione delle Marche
al Sacro Cuore, Mons. Tani impartì la
solenne benedizione, manifestando al
popolo la sua immensa gioia.
A. Varotti
(prima parte, continua)
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
un articolo del 1967
storia
Da Marina di Pisa a S. Agata Feltria
B
en preparato spiritualmente e logisticamente organizzato, il nostro pellegrinaggio, diretto dall’Assistente
Mons. Cappelli e formato da un gruppo di 24 ex allieve dell’Associazione, 18 Suore Figlie di Nazaret, e 10 bambine
dell’Istituto, è partito da Pisa, la mattina di sabato 26 Agosto
(ore 7,30) con un pulmann da turismo, alla volta di Sant’Agata Feltria, per partecipare alle solenni cerimonie indette
da quella Civica Amministrazione e dall’Insigne Arcipretura
della Collegiata, in onore di P. Agostino da Montefeltro, che
in Sant’Agata ebbe i natali il 1 marzo 1839, e celebrarvi insieme il XX di fondazione dell’Associazione.
Dopo varie soste lungo l’autostrada per rinfrancare lo spirito e rinfrescare il corpo, si è finalmente giunti a Sant’Agata Feltria, festosamente accolti dal Rev.mo Arciprete Mons.
Vittorio Mancini, dall’On. Sindaco Sig. Polidori, e da alcuni
membri del Comitato, tra cui il Sig. Cav. Ospici.
Da parte di tutti abbiamo ricevuto una cordiale ospitalità, un
ottimo trattamento, fatti segno delle più cortesi attenzioni.
Una volta sistemati, abbiamo fatto un giro in paese, e dai vari
striscioni affissi per le vie e nelle piazze, plaudenti al nostro
arrivo, abbiamo compreso con quale spirito le Autorità e la
Popolazione ci hanno ricevuto nel nome del P. Agostino che
qui ci aveva condotti.
sono stati fatti dall’Associazione Ex Allieve e dalle Suore Figlie di Nazareth.
Il ritorno
La mattina del 28 agosto, ringraziate le
autorità, gli Istituti e l’Albergo Perlini
che ci hanno tanto amabilmente ospitato e trattato, ricordando ancora la
viva adesione del Rev.mo Arciprete don
Vittorio Mancini, che tanto ha fatto
per noi, con animo commosso, abbiamo preso la via del ritorno per Pisa e
Marina di Pisa.
Un documento del 1739
appena ricevuto
Eminentissimo e Rev.mo Principe
Giovanni Sartini da Sant’Agata Feltria,
Legazione d’Urbino servo ed oratore dell’Eminenza Vostra con tutto l’ossequio,
Le rappresenta trovarsi inquisito nella
Curia Generale dell’Eminenza Vostra,
perché fin dalli 3 Giugno 1729 avendo
avuto rissa con un tal Serafino Serafini
del castello della Petrella Legazione di
Romagna, in occasione che l’oratore faceva il macello in detto Castello, a motivo che andava dicendo male dell’oratore, vantandosi anco di volerlo uccidere,
come tentò con schioppo alla mano la
sera antecedente, di modo che avendo
l’oratore bastone, con quello diede due o
tre bastonate al Serafini, fu che colpitolo
accidentalmente in testa, restò da quello
ferito, per cui poi se ne morì, ed avendo il povero oratore ottenuto da’ Parenti dell’ucciso la Pace, supplica la somma
clemenza dell’Eminenza Vostra, volerlo
graziare della pena incorsa per tal delitto.
Grazie Criminali fatte dall’Em.mo Alberoni, dignissimo Legato di questa
provincia di Romagna, il quale prese il
Possesso di Rimini il dì n. 8 Febbraio
1735.
12 Marzo 1739,
(La grazia fu concessa da Ravenna, Capitale della Legazione di Romagna il 7
Dicembre 1738)
Tratto da Archivio di Stato di Ravenna
Legazione di Romagna N. 71
Tomo XI – Parte 2a
grazie a Bruno Baroncelli
Torre di Val Certajo
Domenica, 27 Agosto 1967
Alle ore 10,30 “Ricevimento in Comune” delle Rappresentanze di Pisa e Marina di Pisa, il Sindaco con la Giunta al
completo, Autorità e personalità del Paese, il Comitato delle
Onoranze e, festeggiatissimo, l’apostolo della carità P. Olinto
Marella, di Bologna. All’indirizzo del Sindaco - che al termine del suo discorso, ha offerto alla Associazione ex Allieve
una medaglia d’oro a ricordo - ha risposto con fervido ringraziamento Mons. Cappelli. Molto applauditi i due indirizzi
di saluto. È seguito un rinfresco servito a tutti i presenti da
gentili signorine del Paese.
L
La Commemorazione Ufficiale
Nel teatro A. Mariani alle ore 17,30, P. Idelfonso Buratti, con
la solita competenza biografica, ha approfondito lo studio, la
conoscenza, i grandi meriti religiosi e sociali del Padre Agostino che è rifulso di vera luce agli occhi, all’animo di tutti.
A chiusura della manifestazione, sempre nel teatro Comunale, l’Ex allieva Sig.ra Elvira Arancini Becherini, a nome di
tutto il Gruppo ha letto un indirizzo di ringraziamento per la
riuscitissima celebrazione e un saluto a tutta la popolazione
santagatese.
Il Concerto della “Banda di Imola” sulla Piazza Garibaldi, è
stato un superbo trattenimento musicale che si è protratto
dalle ore 22 alle ore 24. La Banda ha eseguito magistralmente brani scelti di opere liriche di Verdi, Puccini, Mascagni,
Giordano.
Al Comune, alla Parrocchia ed alla Scuola Media è stato donato un grande ritratto in cornice di P. Agostino, e all’insigne
Collegiata una ricca casula bianca con accessori. Tali doni
Il solenne Pontificale di S. E. Mons. Biancheri, Vescovo di
Rimini, ha richiamato nell’Insigne Collegiata, tutta la popolazione di Sant’Agata Feltria.
Al Vangelo, il saluto del Vescovo il suo augurio e la benedizione pastorale, e dopo lettura del telegramma recante la benedizione apostolica del S. Padre, ha preso la parola il celebre Oratore francescano P. Antonio Lisandrini, che con la sua ispirata
orazione ha letteralmente avvinto e commosso l’animo di tutti
i presenti, ed ha reso presente e attuale l’alto insegnamento e
la caritativa opera dell’umile e grande figlio di San Francesco
che oggi si onorava: P. Agostino da Montefeltro.
Alla Casa natale
Nel pomeriggio, alle ore 16,30, tutto il Paese in corteo, colle
Autorità in testa, il nostro gruppo recante una corona d’alloro, ha sfilato fino dinanzi alla casa natale del Padre, dove la
Prof. Maffei Giuseppina ha letto un discorso in memoria di
P. Agostino.
segue nella pagina a fianco
10
a precisa ubicazione del territorio ove si spostarono gli abitanti
dell’antico castello di Capramozza e la sua identificazione con l’attuale
rudere di torre e con le macerie sepolte
di Val Certajo, viene qui proposta per
la prima volta. L’originaria fortificazione di Capramozza, infatti, sorgeva su
un poggio a ovest di Pozzale. Di questo
remoto insediamento medioevale resta
solo un rialzo del terreno, con attorno
l’impronta delle mura e ai suoi piedi un
casamento colonico chiamato «La Torre» il nuovo insediamento di Val Certajo
si trovava su un ripiano in fondo alla
piccola vallata del torrente Avezzane. È
individuabile in basso, a sinistra, lungo
la strada che sale da Molino Giovanetti
(Molino Sant’Antimo) a Pereto. Il campo posto a lato, porta ancora il nome
di S. Giovanni, patrono di Capramozza.
Appena oltre il fosso si intravedono le
ultime case disabitate di Caioletto.
Le poche notizie storiche ci vengono
tramandate dallo Zucchi Travagli: «Capramozza, che oggi è una parte di Caiolet-
to, fu signoria de’ Capramozzi…». Il 24
agosto 1224, Prete Bellone del fu Rinaldo di Giovanni di Rigo da Capramozza,
unitamente alla moglie Aldegarda del fu
Ridolfo Piegolini da Pietra Tiffa (Pratiffi), vendette a Ugo di Capramozza i
beni della famiglia situati nel plebato
di S. Pietro in Messa (Pennabilli) «e nominativamente in castro Capramozze…
cum parte nostra Turre et cum Patronatus
Ecclesiarum Sanctorum Anthimi et Joanni».
Patrono del castello era dunque S. Giovanni, dato che S. Antimo era la chiesa
delle monache situata più a valle, alla
confluenza con il Senatello, ove ancora
la località conserva il nome. Nel 1261
il castello di Capramozza era ancora in
piedi e così pure nel 1281. Ma già nel
1318 risultava distrutto e il territorio
incorporato a Caioletto.
Lo stesso Zucchi Travagli testimonia
che ancora ai suoi tempi (1740 ca.) esisteva una torre sul luogo ove era stato il
castello.
La più recente torre di Val Certajo, è ubi11
cata in uno spiazzo aperto verso mezzogiorno e chiusa sugli altri lati da dorsali
e contrafforti, coperti da vegetazione cedua. Lo stesso fabbricato è avviluppato
da una chioma d’edera centenaria, che
si abbarbica su per le mura e ricopre il
tetto ormai del tutto crollato.
Nella sua struttura attuale, si notano
vari adattamenti per adibirla ad abitazione rurale. Nella parte inferiore, è
stata aperta una piccola porta per l’accesso al vano trasformato in ricovero
per il bestiame. Al primo e al secondo
piano, sulla verticale della porta, si aprono finestrelle quadrangolari con stipiti
e mensole formate da blocchi di pietra
arenaria, che propongono una datazione intorno al XV secolo.
Scheda d’identità: Torre di Val Certajo,
m. 484 s.l.m. – Comune di S. Agata Feltria – Pianta quadrata – lati: 4,40 – 5,00
– sviluppo: parallelepipedo – altezza: m.
16.
Tratto da Le torri del Montefeltro e della
Massa Trabaria di Francesco Vittorio
Lombardi, Bruno Ghigi Editore - 1981
La Rocca
Ottobre/Novembre 2007
news
Un circuito tutelato dall’Unesco
“
Le rocche e le fortezze militari di Francesco di Giorgio
Martini in un circuito culturale afferente a Urbino e tutelato dall’Unesco, sul modello dei castelli francesi della
Loira”.
È la suggestiva proposta lanciata dal presidente della Provincia Palmiro Ucchielli, dopo il protocollo d’intesa sottoscritto
nei giorni scorsi da Comune di Urbino, Provincia, Arcidiocesi
di Urbino, Urbania e Sant’Angelo in Vado, Università e Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici delle Marche, per la stesura del “Piano di Gestione” del centro storico
di Urbino, iscritto dal 1998 nella lista dei siti “patrimonio
dell’umanità” dell’Unesco.
Il documento, che sarà redatto dall’amministrazione comunale della città ducale, d’intesa con gli enti firmatari dell’accordo, definirà le future strategie per la conservazione e la
valorizzazione dell’area tutelata, estendendo le politiche di
sviluppo socio-economico anche al territorio di riferimento
del sito, in linea con l’impianto normativo definito dalla legge 77/2006 e con le indicazioni dettate negli ultimi anni dal
ministero per i Beni e le Attività Culturali.
“Con il Piano di gestione e in accordo con il Comune di Urbino – spiega Ucchielli – ci proponiamo di avviare dalla città
ducale, che rimarrà il principale polo catalizzatore, un “unicum” di beni monumentali e culturali di primo ordine nel
contesto internazionale che si snoderà sui percorsi delle rocche militari di Francesco di Giorgio Martini. Sarà un sistema
integrato che vedrà la collaborazione dei Comuni che presentano segni di continuità culturale e storica con il contesto e la
tradizione urbinate”.
Coinvolte nel futuro circuito, dunque, le costruzioni militari
edificate e ristrutturate dal celebre architetto senese che operò a
lungo nei luoghi del Ducato di Urbino alla fine del XV secolo:
la rocca ubaldinesca di Sassocorvaro, la fortezza di Cagli, la rocca roveresca di Mondavio, il fortilizio di Sant’Agata Feltria, la
rocca di Frontone, la fortezza di San Leo, la rocca malatestiana
di Fossombrone e la fortezza malatestiana di Montecerignone.
“Il modello a cui guardiamo - conclude Ucchielli - è la rete
dei castelli della Loira, da Sully-sur-Loire a Chalonnes-surLoire. Grazie alla sinergia tra i Comuni coinvolti sarà possibile promuovere la valorizzazione del territorio provinciale e
regionale, insieme all’offerta turistica, innescando una spirale
virtuosa e produttiva per l’intera area interessata dal progetto”.
La squadra santagatese del 1958
Famiglia Diana
In alto da sinistra:
Domenico, Alvaro, Ausilia, Maria,
Adalgisa
Seconda fila:
Duilio, Luigi Diana, Paci Santina (che
tiene in braccio la piccola Anna),
In basso: Benito, Gianna
Foto del 1938 eseguita a Villa S. Rocco
Di proprietà di Diana Adalgisa
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