IL COLLEGIO DI MILANO composto dai signori

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IL COLLEGIO DI MILANO composto dai signori
Decisione N. 3741 del 12 novembre 2012
IL COLLEGIO DI MILANO
composto dai signori:
- Prof. Avv. Antonio Gambaro
Presidente
- Avv. Valerio Sangiovanni
Membro designato dalla Banca d'Italia
- Prof.ssa Avv. Diana V. Cerini
Membro designato dalla Banca d'Italia
(Estensore)
- Prof. Vittorio Santoro
Membro designato dal
Bancario Finanziario
- Prof. Avv. Andrea Tina
Membro designato dal C.N.C.U.
Conciliatore
nella seduta del 16 ottobre 2012, dopo aver esaminato:
x il ricorso e la documentazione allegata;
x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;
x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica.
FATTO
La controversia attiene alla gestione di un conto corrente a seguito di decesso di uno dei
cointestatari. Il ricorso è presentato, dunque, dalla vedova del defunto unitamente ai due
figli, tutti cointestatari del conto.
Più precisamente, risulta che in data 23 gennaio 2008, la ricorrente ha richiesto
all’intermediario resistente, assieme agli odierni cofirmatari del ricorso ed al marito,
l’apertura di un conto corrente cointestato tra gli stessi.
Venuto a mancate il marito della ricorrente in data 27 febbraio 2011, il 1° marzo 2011,
l’INPS aveva comunque accreditato la pensione del de cuius sul conto de quo; il
successivo 3 marzo 2011 la banca ha riaccreditato la pensione all’INPS. Secondo i
ricorrenti, ciò sarebbe avvenuto “bloccando poi il conto [...] per tutto l’importo esistente,
senza alcun preavviso ai cointestatari e senza aver ancora ricevuto dagli stessi
comunicazione e atto di morte”. La conoscenza dell’avvenuto blocco sarebbe, infatti,
avvenuta in occasione del tentativo di pagare alcuni acquisti col bancomat.
A fronte di tali fatti, gli odierni ricorrenti hanno presentato in un primo tempo ricorso e, non
ritenendosi soddisfatti delle risposte date dalla banca, si sono rivolti all’attuale Collegio
dell’ABF chiedendo di valutare “la sussistenza del diritto al risarcimento di danni morali e
materiali” derivanti dal comportamento della banca.
Quest’ultima, a sua volta, chiede in via pregiudiziale di riconoscere e dichiarare
l’inammissibilità del ricorso per carenza dell’interesse ad agire in capo ai ricorrenti; nel
merito, in caso di non accoglimento della domanda in via pregiudiziale, chiede di
dichiarare intervenuta la compensazione per le somme eventualmente da restituire ad
INPS e, conseguentemente, di respingere le richieste dei ricorrenti.
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Decisione N. 3741 del 12 novembre 2012
DIRITTO
Va, innanzitutto, osservato che la domanda formulata in via pregiudiziale dalla banca in
relazione ad un’eventuale carenza dell’interesse ad agire in capo ai ricorrenti, non può
essere accolta.
Non v’è dubbio che anche i procedimenti dinnanzi all’Arbitro Bancario Finanziario debbano
essere supportati dall’interesse attuale all’azione così come individuato dall’art.100 c.p.c.
che rappresenta per la questione la norma generale di riferimento tanto nei procedimenti
arbitrali quanto nella mediazione, come previsto dall’art. 128-bis del D.lgs. 1° settembre
1993, n. 385, e dei relativi provvedimenti di attuazione (cfr. decisione n. 52/10 del Collegio
di Milano); ma appare altresì indubbio che, nel caso sottoposto ad esame, tale interesse
ad agire sussista pienamente. Gli attuali ricorrenti, difatti, non soltanto erano cointestatari
del conto corrente aperto presso l’intermediario resistente, ma risultano anche essere gli
eredi di uno dei cointestatari; sicché, poiché la materia del contendere attiene ad una
richiesta di risarcimento dei danni morali e materiali patiti in conseguenza dell’operato
della banca, e prescindendo per il momento dalla fondatezza di tali richieste, non v’è
dubbio che iure hereditatis ovvero iure proprio, essi hanno interesse a veder riconosciuta
la legittimità, o l’illegittimità, del comportamento della banca.
Passando dunque all’esame del merito della controversia, non si può non osservare come
le richieste formulate dai ricorrenti si limitino alla valutazione della sussistenza di un diritto
al risarcimento del danno materiale e morale, il quale non viene peraltro né in alcun modo
quantificato, né relazionato rispetto alla titolarità di tale diritto.
Il Collegio, in ossequio ai numerosi precedenti che invitano alla salvezza della domanda
pur priva di più precisi postulati tecnico-giuridici, ma comunque idonea ad identificare la
volontà delle parti, valuterà le richieste tanto in relazione alla posizione dei ricorrenti iure
hereditatis quanto iure proprio.
Orbene, in tale direzione, un primo e possibile elemento di danno è da rinvenirsi
nell’operazione di storno e conseguente versamento ad INPS della mensilità di pensione
già accreditata sul conto corrente in data 1 marzo 2011. Tale operazione non solo non è
avvenuta nella medesima giornata (1 marzo accredito/3 marzo storno), ma sarebbe
avvenuta senza autorizzazione alcuna dei correntisti. La banca, con proprie
controdeduzioni, non contesta tale fatto, poiché ha chiarito che il giorno 2 marzo 2011
perveniva “il flusso telematico che l’INPS (di seguito [...] indicato altresì con i termini ‘Ente’
o ‘Istituto’) invia quotidianamente agli intermediari per richiedere il riaccredito di singole
rate di pensione indebitamente corrisposte, per le quali l’Ente stesso abbia rilevato la
cessazione del diritto [(cfr. documento sub 1 allegato alle controdeduzioni)]. Detto flusso
[...] indicava specificamente la rata di marzo dell’importo di 1.027,00 € della pensione
beneficiata dal [de cuius], da riaccreditare all’Ente per decesso di quest’ultimo, avvenuto in
data 27 febbraio 2011. Il giorno successivo la banca provvedeva al conseguente
riaccredito procedendo altresì, stante la notitia mortis così acquisita, ad apporre un blocco
cautelativo sul conto corrente [...] cointestato [...], al fine di monitorare la quota di
spettanza del de cuius caduta in successione”.
A fronte di ciò, la banca resistente giustifica il proprio comportamento ritenendo la somma
comunque dovuta ad INPS, stante il decesso del titolare del diritto; in ogni caso, essa
rileva altresì l’esistenza di una presunta autorizzazione, che sarebbe stata conferita per
iscritto da parte dello stesso de cuius anni prima, cioè al momento della disposizione
permanente di accredito, che confermerebbe il potere della banca di stornare le operazioni
dovute ad errori o a pagamenti non dovuti laddove provenga dichiarazione in tal senso da
parte di INPS. Infatti, tale prassi di ottenere la suddetta autorizzazione sarebbe
conseguenza della convenzione, esistente con INPS, relativa alla gestione dei rapporti
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pensionistici su conto corrente. Tuttavia, la banca non offre prova alcuna che tale
autorizzazione sussista, limitandosi ad indicare che, presuntivamente, essa dovrebbe
essere stata sottoscritta poiché ciò corrisponde ad una prassi da tempo in uso presso la
banca. Tale difesa non può essere accolta in quanto la stessa non muove da presunzioni,
come indica la banca, ma, ad evidenza, opera in modo del tutto tautologico.
Semmai, appare maggiormente condivisibile l’ulteriore rilievo della banca in base al quale
l’avvenuto riaccredito ad INPS della pensione “non dovuta” troverebbe la propria
giustificazione nelle regole del mandato. Ad evidenza, lo stesso accredito iniziale del 1°
marzo sarebbe stato effettuato non solo sine causa (valutazione che non pertiene
certamente alla banca), ma sarebbe stato eseguito senza poteri del mandatario: in altri
termini, poiché nell’effettuare le operazioni di accredito al singolo cliente la banca opera
quale mandataria del cliente stesso, tale incarico sarebbe comunque venuto meno in
conseguenza del tragico evento della morte del mandatario.
Resta, in ogni caso, fermo il fatto che essendo fuori di dubbio che banca debba operare
nello svolgimento degli incarichi ricevuti con la diligenza professionale (sul punto cfr. ex
multis, Collegio di Milano, 29 febbraio 2012, n. 607: “[...] occorre richiamare la disposizione
dell’art. 1856, primo comma, Cod. civ., secondo cui la banca risponde dell’esecuzione
degli incarichi che le siano stati conferiti dal correntista o da altro cliente secondo le regole
in tema di mandato. Ne consegue – per quanto qui rileva – che la banca è obbligata a
tenere, nell’esecuzione degli incarichi di pagamento commessi dai clienti o di accredito
disposti da altri soggetti, il comportamento configurato negli artt. 1710 Cod. civ. e seguenti.
Preme sottolineare, peraltro, che, a fronte dell’utilizzazione di procedure sempre più
automatizzate e standardizzate, la banca deve osservare una diligenza di grado elevato,
ovvero una diligenza professionale. Tale interpretazione, condivisa dalla dottrina e dalla
giurisprudenza dominanti, conduce, dunque, a ritenere che il comportamento diligente
della banca consista nel predisporre un’organizzazione intesa ad assicurare lo
svolgimento degli incarichi di pagamento o di accredito in modo conforme alla specifica
qualificazione professionale del banchiere. [...]”), è altresì altrettanto certo che, dovendo
conformare il proprio operato ai doveri di massima trasparenza nei confronti della clientela,
presidiati altresì da specifiche norme che impediscono di realizzare operazioni su conto
corrente senza autorizzazione, la banca stessa avrebbe quantomeno dovuto avvertire i
correntisti cointestatari dell’imminente storno. Tali conclusioni, peraltro, non consentono di
valutare in senso favorevole ai ricorrenti la domanda: infatti, da un lato non è stata
formulata richiesta di riaccredito, la quale peraltro porterebbe comunque ad un
ingiustificato arricchimento dei ricorrenti; d’altro canto, e per gli stessi motivi per cui
l’accredito sarebbe in ogni caso sine titulo, non v’è spazio per la richiesta di risarcimento
danni: e ciò tanto con riferimento al danno materiale (poiché la somma non era in ogni
caso dovuta e non sussiste dunque pregiudizio materiale alcuno né in iure proprio dei
ricorrenti né iure hereditatis), né con riferimento al danno morale, non potendo ritenersi
violati diritti assoluti della persona o di tale importanza da offrire fondamento per il ristoro
del danno morale, così come riconosciuto da ampia giurisprudenza (si vedano Cass., 11
febbraio 1985, n. 1130, in Resp. civ. e prev., 1985, 210 e la fondamentale sentenza della
Corte Costituzionale, 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, 2053. L’orientamento
seguito dalle predette pronunce è stato, poi, sostenuto dalla Corte Costituzionale che,
limitando la portata innovativa della precedente decisione 26 luglio 1979, n. 88, affermò
perentoriamente che nella nozione di danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ.
fossero compresi solamente i danni morali soggettivi, e non anche i danni alla salute:
“l’esame della legislazione nonché della giurisprudenza e della dottrina induce a ritenere
che nella nozione di danno non patrimoniale vadano compresi soltanto i danni morali
subiettivi”. Per un ulteriore approfondimento sul tema si veda in particolare P.G. Monateri,
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La responsabilità civile, Utet, 2006, p. 250 ss. laddove si riassume la storia recente del
danno non patrimoniale tra attacchi e resistenze).
Quanto alla rilevata e riconosciuta situazione di indisponibilità del conto corrente dal 3 all’8
marzo 2011, a seguito del decesso di uno dei cointestatari, non v’è dubbio che vi sia stato,
in base ai fatti esposti, un comportamento non corretto da parte della banca che, seppur
per realizzare la “protezione” della provvista di competenza dell’eredità, ha di fatto
esercitato un blocco totale sul conto. Non si vede, infatti, quale differenza possa sussistere
tra un mero blocco, da ritenersi illegittimo, ed il c.d. “blocco cautelativo” ossia “di
monitoraggio”, così come definito dall’intermediario e di cui lo stesso riferisce aver
realizzato al fine di non depauperare l’importo di pertinenza dell’eredità e di poter
adempiere alle normative fiscali di riferimento: è pacifico, infatti, che quest’ultima
situazione corrisponda a tutti gli effetti ad una impossibilità per i correntisti di utilizzare il
conto corrente così come avrebbero avuto diritto a fare, quantomeno per le somme loro
spettanti in quanto non riconducibili pro-quota al de cuius. Ciò appare in contrasto con le
norme, tanto di legge quanto pattizie, che disciplinano la materia, come ampiamente
confermato da precedenti decisioni dell’ABF stesso (cfr., ex multis, Collegio di Milano, 2
febbraio 2010, n. 16: “[...] non essendo stata prodotta copia del contratto, [...] ne consegue
che al rapporto di conto corrente in questione non possono che applicarsi le norme comuni
dettate dalle vigenti disposizioni in materia. Orbene, se, com’è noto, nel caso del conto
corrente bancario intestato a più soggetti, ‘i rapporti interni tra correntisti, anche aventi
facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati […] dal comma 2 dell’art.
1298 c.c., in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non
risulti diversamente […]’, i rapporti tra i cointestatari e la banca sono disciplinati dall’art.
1854 cod. civ. (in tal senso, Cass., 19/2/2009 n. 4066). Nel caso di cointestazione del
conto corrente ‘a firma disgiunta’ l’evento morte di uno dei contitolari non porta allo
scioglimento del rapporto ed il cointestatario superstite, così come gli eredi del
cointestatario defunto, potranno utilizzare separatamente il conto. In tale ipotesi, infatti,
ricorre un fenomeno di successione nel contratto tale per cui, se è prevista la facoltà di
firme disgiunte, il cointestatario superstite può continuare ad utilizzare il conto, così come
gli eredi del cointestatario deceduto acquistano il medesimo diritto (che, tuttavia, va
esercitato congiuntamente). Salvo patto contrario, dunque, si deve riconoscere una piena
continuità, pure successivamente alla morte di uno dei cointestatari, dell’efficacia del patto
di firma disgiunta e quindi della potestà di compiere operazioni disgiuntamente anche oltre
le rispettive quote. [...]”).
D’altro canto, il Collegio non può non osservare che, pur nell’illegittimità del
comportamento della banca, la richiesta dei ricorrenti attiene ad un risarcimento dei danni
materiali e morali conseguenti al “blocco” di cui si è data menzione appare priva di
fondamento. Ciò in quanto, primo luogo il tempo particolarmente ristretto durante il quale
si è protratto il blocco (cinque giorni, di cui tre lavorativi) non consente di individuare un
danno materiale il quale, peraltro, non è stato in alcun modo provato dai ricorrenti. Ne
deriva che, fermo restando il potere del Collegio di effettuare, laddove ne ricorrano i
presupposti, una valutazione in via equitativa del danno, occorre quantomeno che il
ricorrente offra un principio di prova di tale danno ex art. 2697 c.c., principio di prova che,
nel caso di specie, non si può inferire né dalla descrizione dei fatti né dalla esiguità
temporale dell’indisponibilità del conto corrente; per quanto già più sopra osservato, non
sussiste altresì fondamento per il ristoro del danno morale.
Per tali motivi, le domande formulate in ricorso non possono trovare accoglimento,
sebbene appaia indubbio che, nel relazionarsi alla clientela, la banca debba attivarsi per
evitare di ingenerare qualsivoglia disagio, specialmente in situazioni, come quella
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descritta, nelle quali occorrerebbe, al contrario, una particolare attenzione nell’esecuzione
degli impegni e degli incarichi derivanti dalla tenuta di conto corrente.
P.Q.M.
Il Collegio non accoglie il ricorso.
Il Collegio delibera, altresì, di rivolgere all’intermediario, ai sensi di cui in
motivazione, indicazioni utili a favorire le relazioni con la clientela.
IL PRESIDENTE
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