depliants De Chirico

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depliants De Chirico
De Chirico e il museo
La mostra De Chirico e il Museo, presentata alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea a trent’anni dalla scomparsa del maestro, mette a fuoco il complesso rapporto tra de Chirico
e l’arte del passato. Il percorso espositivo si configura come una sorta di museo immaginario, che
comprende circa 100 fra dipinti e disegni, con una sola grande scultura, provenienti dalle raccolte della Galleria nazionale d’arte moderna e della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.
L’allestimento si articola in sei sezioni tematiche: I d’après dai grandi maestri, La grande pittura, Da Rubens, Opere su carta, Neometafisica e Mitologia e Archeologia.
Inoltre è presentato per la prima volta a Roma un singolare dipinto di notevoli dimensioni,
Capriccio veneziano, (1951, Roma, Collezione privata), ispirato alla sontuosa pittura del
Veronese.
Negli spazi adiacenti la mostra sono esposte le opere degli artisti che de Chirico, nel suo feroce
articolo del 1919 sulla Galleria nazionale d’arte moderna, aveva incluso fra i buoni (pochi) e fra
i cattivi (molti).
De Chirico e la Galleria nazionale
Questa sezione vuole illustrare il giudizio, durissimo, espresso da de Chirico sulla collezione della
Galleria nazionale di arte moderna e più in generale sulla pittura italiana contemporanea. In un
articolo del 1919 l’artista criticò infatti aspramente e con grande sarcasmo molte delle opere esposte, lodando solo poche eccezioni. La vena polemica di de Chirico non si esaurisce tuttavia in questa occasione; nelle sue “Memorie” l’artista attacca violentemente la Soprintendente Palma
Bucarelli e le sue scelte espositive.
Tra i “buoni” pittori de Chirico inserisce Giovanni Fattori (“ha tutta quella pesantezza e quella
austerità che caratterizza gli artisti di buona razza”), Gaetano Previati (“Solo alcuni disegni e una
pittura di Previati fanno macchia in mezzo a tanto sozzume.”) e Armando Spadini (“questo Renoir
dell’Italia, oggi poco più che trentenne, è già in pieno possesso di tutti i suoi mezzi d’espressione”). Tra i molti “cattivi” pittori Aristide Sartorio (“Siamo in pieno d’Annunzio; estetica da Andrea
Sperelli; pittura da cameriere del caffè Aragno”), Giacomo Balla (“ci presenta un consorzio di geni
d’ambo i sessi, in camicia, accigliati e spettinati, come se fossero saltati giù dal letto per un allarme notturno.”) e Giovanni Boldini (“Un ritratto di Giuseppe Verdi, fatto da Boldini, cambia tutto il
simpatico calore, tutta la finezza prettamente italiana, la dolce malinconia e la patetica imbecillità
del vecchio maestro in un senso freddo, viscido e ripugnante che si proverebbe al cospetto di un
qualche osceno e complicato oggetto di caucciù, destinato a spassi innominabili.”).
Alcune delle opere commentate da de Chirico in occasione della sua visita alla Galleria nel
1919 sono esposte nelle sale del museo:
Stampa Arti Grafiche S. Marcello - Roma
Servizio Comunicazione Culturale: Matilde Amaturo, Fabiana Verolini, Paola Guarnera,
Giulia Franchi.
e-mail: [email protected]
Mostra a cura di Mario Ursino,
I testi delle sezioni 1 e 6 sono a cura di Anna Grazia Benatti.
Legenda:
1915. Fino al 1918 svolge il servizio militare a Ferrara. A questo periodo risalgono gli
“Interni metafisici” e la seconda serie dei manichini. Qui conosce Filippo de Pisis e
Carlo Carrà, che tanto resterà affascinato dalla sua pittura metafisica.
1918. Espone per la prima volta in Italia, nella collettiva “Mostra d’arte independente” presso la Galleria dell’Epoca a Roma.
1919. Vive a Roma, qui alla Galleria Borghese di fronte ad un’opera di Tiziano ha “la rivelazione della grande pittura”. Cominciano le tenaci ricerche nella tecnica pittorica,
che proseguirà per tutto il resto della vita. Lavora come critico d’arte e saggista per
riviste come Valori plastici, edita dall’amico e mercante Mario Broglio.
1920. Dopo un soggiorno a Milano si stabilisce a Firenze, ove stringe amicizia con Giorgio
Castelfranco, storico dell’arte, e in seguito suo grande mecenate.
1921. Alla fine dell’anno, ha inizio la corrispondenza con André Breton
1922. Ritorna a Roma, ove resterà fino al novembre 1925. Dopo il periodo “classico” collegato a Firenze, qui ha inizio il periodo “romantico”.
1924. Nel novembre si reca a Parigi. E’ presente alla fondazione della rivista La revolution
surrealiste di André Breton.
1925. A Roma, durante le prove per La morte di Niobe di Savinio, conosce Raissa
Gurievitch-Krol, un’attrice della Compagnia degli undici di L. Pirandello, che diventa
la sua compagna. Nel maggio espone presso la Galerie di Léonce Rosenberg a
Parigi, mostra che segna la rottura con i surrealisti. Nel novembre si trasferisce definitivamente a Parigi, dove rimarrà fino al dicembre 1931. I quadri raffiguranti i nuovi
temi (gli Archeologi, i Cavalli e i Gladiatori) si trovano presso i principali galleristi del
tempo: Paul Guillaume e Léonce Rosenberg.
1928. A Milano esce l’opuscolo di de Chirico, “Piccolo trattato di tecnica pittorica”.
1929. A fine dicembre viene pubblicato a Parigi il suo famoso romanzo Hebdomeros.
1930. Vengono pubblicate le litografie illustrative dei Calligramme di Apollinaire. Alla fine
dell’anno conosce Isabella Pakzwer, che diverrà la sua compagna.
1931. A causa del grave crollo subito anche dal mercato artistico la coppia si trasferisce in
Italia, vivendo tra Firenze e Milano.
1933. Messa in scena de I Puritani a Firenze, con costumi e scenografie dell’artista. Deluso
dal pubblico e dalla critica italiana, ritorna alla fine dell’anno a Parigi. Qui pubblica
nel 1934 la suite di dieci litografie, Mythologies, accompagnate dai versi di Jean
Cocteau.
1936. Fino al dicembre 1937 vive a New York, dove espone presso la galleria di Julien Levy.
Lavora come illustratore per riviste come Vogue.
1938. Ritornato dall’America, collabora con le due principali gallerie milanesi, la Galleria
Milione e la Galleria Barbaroux. Alla fine dell’anno scappa a Parigi in seguito alle
persecuzioni razziali (Isabella era di origini ebraiche). Ha inizio, nell’inverno, il cosiddetto “periodo barocco” che domina la sua produzione fino alla metà degli anni ‘60.
1939. Alla fine dell’anno ritorna in Italia, a causa dello scoppio della guerra, stabilendosi a
Milano. Intensifica la sua polemica contro l’arte moderna attraverso numerosi scritti.
1942. Alla Biennale di Venezia ha una sala personale con 32 quadri barocchi, talvolta firmati “G. de Chirico – Pictor optimus”. In autunno si trasferisce a Firenze. In seguito
all’occupazione tedesca del 1943 la coppia deve nascondersi dapprima in Toscana,
poi a Roma.
1944. Si stabilisce definitivamente a Roma.
1945. Prima edizione delle Memorie della mia vita. Nello stesso anno esce anche la raccolta di scritti Commedia dell’arte moderna.
1946. L’8 luglio sposa la compagna Isabella. Nell’estate scopre che a Parigi, alla Galerie
Allard, si era tenuta una mostra di quadri in gran parte falsi, ma a lui attribuiti. Da
quel momento in poi, il problema dei falsi lo affannerà per il resto della vita.
1947. Compra un grande appartamento in Piazza di Spagna dove vivrà con la moglie fino
alla morte. Negli anni ‘40 e ‘50 disegna le scenografie e i costumi per diverse produzioni teatrali a Milano, Firenze e Roma.
1948. Viene nominato membro della Royal Society of Britsh artists e tiene nell’anno successivo una grande mostra personale con cento quadri nelle sale londinesi dell’istituzione.
1950. Organizza con altri pittori la prima delle cosiddette “Anti-Biennali” a Venezia.
1952. Muore a Roma, il 5 maggio, il fratello Savinio. Da allora de Chirico indosserà sempre una cravatta nera in segno di lutto.
1962. Pubblica a Milano la seconda edizione, riveduta, delle Memorie della mia vita. Illustra
grandi opere letterarie come I Promessi Sposi (1965), L’Iliade (1968) e Auf der
Galerie (1969) di Franz Kafka.
1968. Inizia la sua ultima produzione, la cosiddetta Neo-Metafisica.
1971. Esce il primo volume del Catalogo generale – Giorgio de Chirico curato da Claudio
Bruni Sakraischik in collaborazione con l’artista.
1974. De Chirico viene nominato membro della Accademie des Beaux-Arts di Parigi.
1978. Il 20 novembre de Chirico muore a Roma. La sua tomba si trova nella Cappella della
Pietà della Chiesa S. Francesco a Ripa Grande a Trastevere. La pietra tombale reca
la seguente epigrafe: Giorgio de Chirico/Pictor optimus! A 1888 – 1978.
“Cattivi” pittori
Giuseppe Sciuti (Sala 5), Antonio Mancini e Francesco Paolo Michetti (Sala 9), Giacomo Favretto,
Silvio Rotta, Ettore Tito (Sala 11), Giacomo Grosso e Vittorio Colcos (Sala 12), Giulio Aristide
Sartorio, Sigismondo Meyer, Edoardo Gioia, Arturo Noci, Camillo Innocenti, Scipione Vannutelli,
Ignacio Zuloaga, Heinrich von Zugel (Sala 16 e soppalco est) e Giulio Bargellini (Sala 18), Franz
von Stuck (Sala 19).
“Buoni” pittori
Francesco Hayez (Sala 1), Filippo Agricola (Sala 2), Nino Costa (Sala 3), Massimo d’Azeglio,
Gaetano Forte, Giovanni Carnovali (Sala 4 e 5), Filippo Palizzi (Sala 7) e Giovanni Fattori (Sala 8)
1. I d’après dai grandi maestri
3. Da Rubens
De Chirico inizia a guardare ai grandi maestri della pittura in opposizione alle
Avanguardie e ritiene che il nuovo possa essere espresso con un’icona antica.
Inoltre, com’è noto, nel 1919 in una visita al Museo di Villa Borghese davanti a un quadro
del Tiziano afferma: “…fu... una mattina davanti a un quadro del Tiziano che ebbi la rivelazione della grande pittura: vidi nella sala apparire lingue di fuoco, mentre fuori, per gli
spazi del cielo tutto chiaro sulla città, rimbombò un clangore solenne, come di armi percosse in segno di saluto e con il formidabile urrà degli spiriti giusti echeggiò un suono di trombe annuncianti una resurrezione. Capii che qualcosa di enorme avveniva in me. Fino allora in Italia, in Francia, in Germania avevo guardato i quadri dei Maestri e li avevo visti
così come li vedono tutti: li avevo visti come immagini dipinte...”. Con una descrizione
dagli accenti lirici e quasi mistici, de Chirico dichiara la necessità di un ritorno agli antichi
maestri, inteso come “ritorno al mestiere”, pratica che permette di penetrare il segreto potere evocativo delle immagini dipinte. La copia è la vera grammatica della pittura e consiste
nell’esperienza del Museo e, cioè, nell’”imitazione”.
All’arte antica si affianca quella di Carpaccio, Perugino, Raffaello, Dürer, Michelangelo,
Tiziano, Lotto e di molti altri. Siamo nel periodo cosiddetto Metafisico e de Chirico ritrova
nell’arte rinascimentale alcuni valori che erano propri della sua concezione: “rappresentazione di un ordine statico contrapposto al dinamismo futurista”, “limpidezza del colore”,
“precisione del volume”, il cui massimo esempio è nell’arte di Raffaello.
In questa sezione sono presenti alcune copie realizzate in questi anni: Lucrezia, 1921, da
Dürer e La Gravida, 1923, da Raffaello, in cui l’artista si sforza di eguagliare il modello,
di confrontarsi con esso e di carpire i segreti della tecnica; nella Copia dal Tondo Doni di
Michelangelo, 1978, invece, ritorna su un soggetto già perfettamente copiato nel 1919.
Negli anni successivi, alla copia intesa come replica esatta dell’originale, di cui sono presenti numerosi esempi (Dama col manicotto da Vigée Le Brun, 1935; Marina da Courbet,
1946; Bacco da Guido Reni, 1957), si affianca sempre più spesso il “d’après”, vera e propria citazione occulta o scoperta dal modello; si tratta infatti di un frammento che si presta
facilmente ad essere metamorfosato, in un intrigante dialogo con l’originale (Cavallo caduto da Delacroix, 1941; Testa di giovane donna da Fragonard, 1944; Testa d’uomo da
Tiziano, 1945; Fanciulla addormentata da Watteau, 1947; Testa di vegliardo da
Fragonard, 1964, Ritratto di gentiluomo da Frans Hals, 1968). Questo genere particolare
di copia diventerà una costante e una caratteristica dell’intera produzione del maestro. Per
questo motivo egli sceglierà di definirsi “pictor classicus”.
Dopo gli anni Trenta il maestro prediletto da de Chirico è Rubens. La scelta non è legata solo
alla qualità della materia pittorica, quanto alla potenza del segno e al grande impatto visivo delle sue immagini. L’enorme talento creativo dell’artista fiammingo s’inserisce inoltre prepotentemente nel solco della tradizione, intesa come mestiere. Rubens è il maestro per eccellenza.
Dal maestro fiammingo de Chirico deriva l’uso di un’emulsione ad olio usata nella realizzazione di bozzetti e studi per i dipinti successivi. Questi bozzetti erano interamente dettagliati e compiuti, secondo la tradizione pittorica del XV e XVI secolo, la quale riteneva che l’invenzione di una composizione precede l’atto del dipingere. Dipingere era considerato niente più che la copia accurata del disegno, con l’aiuto del colore.
I bozzetti di Rubens diventano per de Chirico modello di studio e d’ispirazione, come per
esempio quelli da cui trae le opere Ninfa e Tritone, Naiadi e Tritoni e scene mitologiche, realizzati tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Molti gli elementi che i due artisti avevano in comune: Rubens come de Chirico copiava spesso disegni e bozzetti di altri maestri, oltre alle loro opere compiute; de Chirico come Rubens
aveva una memoria visiva stupefacente e, inoltre, entrambi consultarono copie realizzate da
loro stessi o riprese da riproduzioni, ritoccandole in maniera più o meno estesa, in modo che
da questo raggruppato universo di forme, pose ed espressioni fossero capaci di dar corpo
ai soggetti più diversi.
Il cosiddetto ‘periodo barocco’ rappresenta quindi il culmine della pittura dechirichiana, la
meta faticosamente raggiunta. La ricerca che lo ha portato al barocco non ha affatto sminuito la sua qualità, come troppo a lungo parte della critica ha creduto, ma l’ha perfezionata,
specialmente dopo l’incontro con Renoir, Delacroix e Rubens, tutti grandi artigiani, prima
ancora che artisti. In tal modo, de Chirico non si allontana dal discorso dell’artista-imprenditore di se stesso da sempre esistito, sia nella bottega rinascimentale come in quella fiamminga seicentesca.
Egli ha messo in primo piano il filo conduttore che unisce le opere antiche a quelle moderne, ha indagato il mistero della pittura e ha potuto svelare apertamente come i capolavori
artistici siano tali indipendentemente dai soggetti poiché nulla nasce dal nulla: l’opera dei
maestri antichi da secoli si dibatte sulle stesse forme legate più o meno agli stessi soggetti,
è il talento, l’abilità e il mestiere di chi vi si avvicina a trasformare e a creare un capolavoro, il quale, infine, non è altro che un’immagine antica sotto una veste nuova: “Ricordatevi
quello che vi ho più volte detto, che cioè non il soggetto ma solo la qualità conta in arte. Il
valore di un artista non consiste in quello che fa, ma unicamente in come lo fa”. (G. de
Chirico, 1944)
2. La grande pittura
4. Opere su carta
Se negli anni Venti de Chirico riaffermava la supremazia della copia per il recupero della
classicità, ritrovata nell’arte dei grandi maestri del Rinascimento, verso gli anni Trenta la
sua tecnica pittorica evolve verso la pittura ad olio e ‘la maniera di Renoir,’ nell’esaltazione dei gialli e dei rossi. Nel 1934 a Parigi, de Chirico studiava ancora i vecchi trattati di
tecnica della pittura, giungendo a rivalutare altri maestri, apparentemente lontani da quelli del Rinascimento, come Rubens, Courbet, Renoir, ecc., ma in realtà a loro legati per qualità, intuizione e talento. Egli rintraccia così quella che definisce la ‘qualità della materia
pittorica’, prerogativa della pittura antica.
La materia fisica della pittura consiste di un colore denso, forte e brillante, che sposta il suo
interesse dalla pittura a tempera quattrocentesca verso l’olio fiammingo, sperimentando e
realizzando quello che egli chiama olio emplastico: una composizione formata da diversi
elementi emulsionanti mischiati tra loro, in cui il colore è solo pigmento colorante. Il colore
acquista matericità e si concreta in un tracciato pittorico serpeggiante, coltivato con lo studio di Tiziano, Tintoretto, Rubens, Rembrandt, Delacroix, Ingres, Renoir, Courbet, Watteau
e Fragonard, che in questa tecnica furono veri maestri. Dagli anni Trenta la pennellata di
de Chirico diventa una pennellata ‘serpentinata’, ondulata, sicura e veloce che si allontana spesso e volentieri da quella dell’originale, ma di essa coglie la libertà, la spontaneità
e la sicurezza del gesto, con un risultato sempre personale.
Vecchie e nuove suggestioni si alternano tra loro in numerosi d’après, strumento necessario
per accostarsi ai modelli, ma che nello stesso tempo permette la libertà di rielaborarli sino
a stravolgerli, come per esempio nelle suggestioni da Ingres: Ritratto di Isa in rosa e nero,
1935; La bella italiana, 1948; o nei d’après da Renoir: Nudo di donna sulla spiaggia (il
riposo di Alcamena), 1932-33; Diana addormentata nel bosco, 1933 e Le amiche, 1940.
I d’après non sono solo esercizi ma opere compiute che si distinguono dalle copie degli
anni Venti anche per il fatto che, pur continuando a frequentare i musei e le grandi collezioni mondiali, il maestro preferisce lavorare nel suo studio, copiando da riproduzioni.
I maestri antichi già copiati emergono quasi in filigrana: Natura morta con conca di rame,
1943 da Chardin; Autoritratto nudo in piedi, 1945, da Dürer; Le tre Grazie, 1955 da
Böcklin Natura morta con corazze, 1953, sotto la suggestione di Delacroix e Castore con
cavallo bianco, 1954, elaborati dallo studio di stampe seicentesche.
Inoltre, la serie degli autoritratti in costume (che il maestro aveva chiesto in prestito al Teatro
dell’Opera di Roma) evidenzia l’interesse per il teatro, chiaramente influenzato dalla ritrattistica di Rembrandt, Hals e van Dyck; mentre l’opera Capriccio veneziano alla maniera di
Veronese, 1951, qui presente per la prima volta, dal vistoso effetto scenografico, si rapporta all’attività di de Chirico per il teatro lirico, da lui seguito sempre con molto interesse a
Roma, Firenze e a Milano.
Nel celebre saggio pubblicato su “Valori Plastici” de Chirico sottolinea la necessità di un
“ritorno al mestiere”, alla tradizione del disegno e al valore dell’imitazione degli antichi,
come pratiche che permettono di penetrare il segreto della pittura.
I disegni esposti in questa sezione sono soprattutto studi, schizzi veloci, abbozzi, più spesso
appunti o riflessioni sulla maniera di quegli artisti che costituirono per de Chirico un punto
di riferimento importante. Questa produzione è un’occasione per comprendere meglio il procedimento di lavoro attuato dall’artista e le sue idee sull’arte.
Spesso i titoli richiamano l’antico o i maestri del passato, come nel caso di Cristo alla maniera del Verrocchio, 1945 ca., Testa di Cavaliere da Rembrandt, 1960 e Cavallo spaventato
da Delacroix, 1952. In altri casi, il riferimento è meno esplicito: Il ritratto di Isa, 1938, si
riferisce a La donna scapigliata, 1490, di Leonardo da Vinci.
Solo alcuni di questi disegni sono studi preparatori di altre opere finite, è il caso di Studio
per Ruggero libera Angelica, 1945 ca., realizzato per il dipinto Ruggero libera Angelica,
1946-50.
Particolarmente interessante è la serie dei dodici disegni per Siepe a nord ovest di Massimo
Bontempelli, farsa in prosa e musica, scritta nel 1919 e rappresentata per la prima volta a
Roma nel 1923 al Teatro degli Indipendenti. Datati 1922, i disegni illustrano la messa in
scena di marionette, attori e burattini, il cui realismo magico ben si riflette in queste immagini dai chiari riferimenti böckliniani, mescolati ad altre disparate suggestioni: l’antico,
Courbet, ecc.
A partire dagli anni Trenta, e sempre più nell’opera successiva dell’artista, il rapporto con il
museo e soprattutto l’interesse verso il metodo di lavoro accademico diventa sempre più
determinante ma negli anni a seguire il disegno non sarà più ripresa dal vero, bensì studio
da riproduzioni fotografiche per cogliere il segno, spesso veloce e ispirato, dei maestri
ammirati, in cui egli stesso si riconosce.
5. Neometafisica
Tra gli anni Sessanta e Settanta Giorgio de Chirico, accanto alla produzione ‘barocca’ e
classicheggiante, torna ai temi della metafisica. Questa produzione è detta “Neometafisica”:
si tratta di un’autoironica ricapitolazione dei temi passati che però tornano ad essere originali per i nuovi ed inediti accostamenti dei soggetti. La pratica della ripetizione si trasforma
in lui in una sempre ricorrente affermazione della libertà di volgersi indietro. Molte opere
nascono anche dalle numerose richieste dei collezionisti, e il maestro, inserendosi nella tradizione del mestiere sempre ribadita, ripete temi e soggetti già rappresentati. Ritornano i gla-
diatori, protagonisti di molte pagine di Ebdomero, romanzo fantastico e simbolico pubblicato nel 1929, come per esempio, Quattro gladiatori nella stanza con vista sul Colosseo,
1965, il cui disorientamento nasce proprio dal fatto che essi si trovano in una stanza con
vista sul Colosseo anziché nell’anfiteatro stesso, oppure nel blocco serrato dei Gladiatori
dopo il combattimento, 1968.
Le numerose repliche e variazioni dei dipinti metafisici, rappresentano inoltre, un’evoluzione
del tema della copia legato alla teoria dell’eterno ritorno derivata da Nietzsche, intorno alla
quale ruota tutta la concezione artistica del maestro. Ecco allora dipinti come Il pittore di
cavalli, 1974, originale trasposizione di un’opera di Raffaello, ampiamente copiata negli
anni Venti oppure Il ritorno al castello, 1969, in cui s’intravede un vago ricordo böckliniano.
L’esperienza teatrale si mescola allo studio appassionato del barocco fondendosi in quel felice connubio riscontrabile tra il palcoscenico e il ricciolo-cornice che inquadra una nuova
scena metafisica, come per esempio Interno metafisico con mano di David, 1968 o ancora
La mano di Giove e le nove muse, 1975, in cui la gigantesca mano divina simile ad una
macchina teatrale meraviglia e diverte lo spettatore.
6. Mitologia e Archeologia
Il mondo antico rappresenta una costante nella vita e nell’intera produzione di Giorgio de
Chirico.
Il termine ‘mito’ in de Chirico mantiene l’originario significato: parola che spiega verità
profonde altrimenti intelligibili, ma che nella sua arte si esprime attraverso l’immagine.
Il rapporto con la Grecia, sua terra natale, lo studio della classicità o degli artisti che a loro
volta furono affascinati dall’antico, le letture sull’argomento e l’interesse per filosofi quali
Nietzsche e Schopenhauer, hanno reso l’antico l’elemento portante dell’intera opera dechirichiana.
Tutte le opere esposte in questa sezione appartengono alla rivisitazione del maestro il cui
tema conduttore è il mondo classico, pertanto i soggetti sono figure mitologiche o figure che
hanno un forte rimando all’antichità.
Ricorrono spesso temi cari come quello del centauro: Centauro ed amorino, 1958, traduzione neometafisica della celebre statua del Louvre; oppure il tema degli Archeologi-Pensatori,
manichini-statue seduti in poltrona con il grembo carico di frammenti di colonne, paesaggi,
tavole, reperti, ecc., non distanti dai Trofei, veri e propri ‘accrochage’ di oggetti antichi. Ma
gli Archeologi anziché ricostruire il nostro passato assomigliano piuttosto ad oracoli che formulano nuovi enigmi.
Non mancano successive riprese di opere metafisiche come Le muse inquietanti, in cui la statua antica/manichino s’inserisce in una prospettiva pseudorinascimentale che crea un’atmosfera straniante.
Non sempre, però, de Chirico guarda direttamente alla fonte antica. Infatti, molte sue composizioni nascono dall’impressione delle opere di artisti che, come lui, hanno guardato a
quello stesso passato, come nel caso di Pianto d’amore (Ettore e Andromaca), 1974, ricalcato sul celebre gruppo scultoreo di Antonio Canova. Altre volte, invece, al soggetto classico si mescolano suggestioni diverse: Testa di Minerva con pesche e uva, 1947, memore delle
nature morte di Jean-Siméon Chardin.
Biografia
1888. Joseph Maria Albertus Georgius de Chirico nasce il 10 luglio a Volos, capitale della
Tessaglia. Il 25 agosto 1891 nasce ad Atene il fratello Andrea (che dal 1914 prenderà lo pseudonimo di Alberto Savinio).
1900. Giorgio inizia a studiare pittura al Politecnico di Atene, sotto la guida di Costantino
Volonakis e Georges Jakobidis.
1905. Nel maggio muore il padre ad Atene.
1906. Nell’ottobre la madre Gemma si mette in viaggio con i figli per raggiungere Monaco
di Baviera, passando attraverso Venezia e Milano. Lì Giorgio continua gli studi
all’Accademia Reale di Belle Arti, prima con Gabriel von Hackl e poi con Carl von
Marr. Visita i musei e le gallerie, approfondendo lo studio delle opere simboliste di
Arnold Böcklin e Max Klinger.
1908. In autunno dipinge le prime opere di ispirazione böckliniana.
1909. Si trasferisce a Milano, dove già dal 1907 vivevano la madre e il fratello. Insieme i
due fratelli studiano molto, condividendo l’interesse per il pensiero e l’opera di
Nietzsche e Schopenhauer. Nell’ottobre intraprende un viaggio a Roma e a Firenze,
ove in Piazza Santa Croce vive la famosa esperienza della “révélation”, dalla quale
deriva il primo quadro metafisico: L’enigma di un pomeriggio d’autunno. Lavora con
Alberto per comporre “la musica la più profonda mai scritta”.
1910. Nel gennaio la famiglia si trasferisce a Firenze.
1911. Giorgio si reca a Parigi, dove lo raggiungeranno in seguito anche il fratello e la
madre.
1912. Espone per la prima volta al Salon d’Autonne; la critica comincia ad accorgersi delle
sue opere. Sviluppa la famosa serie delle “Piazze d’Italia”.
1913. Conosce Guillaume Apollinaire, con il quale condivide una profonda amicizia. Alla
fine dell’anno ottiene il primo contratto con il gallerista Paul Guillaume, al quale
resterà legato fino alla morte prematura del gallerista (1934). Espone al Salon des
Indépendants e al Salon d’Automne.

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