Sono fottuto. Mi chiamo Marco, ma tutti mi chiamano

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Sono fottuto. Mi chiamo Marco, ma tutti mi chiamano
Sono fottuto.
Mi chiamo Marco, ma tutti mi chiamano “Lint” da quando ho quindici anni.
E sono fottuto.
Ho trent’anni. Non ho un lavoro. Non ho una ragazza. Non ho amici. Non vedo
la mia famiglia da mesi.
E sono davvero fottuto.
Guardo le dita delle mie mani. E penso.
Che sono davvero strafottuto.
Finisco la birra ed esco dal pub, non prima di averne presa un’altra in bottiglia,
spendendo gli ultimi euro che ho in tasca. Arrivo al parcheggio e mi rendo
conto che devo pisciare. Di rientrare in quel cesso di locale non ne ho mica
voglia. Sono le tre passate, non vedo nessuno e sono abbastanza sbronzo da
tirarmelo fuori e farla sulle ruote di una vecchia Ford. È in quel momento che lo
vedo.
Un gatto arancione.
Sale sul cofano della Ford e si accuccia.
“Amico mio… non sembri molto in forma eh?”
Il gatto mi sta parlando. Come cazzo è possibile che un gatto parli? Cosa vuole
da me poi? Forse ho bevuto troppo? Rimango in silenzio e lo fisso, cercando di
capire se è un’allucinazione o cosa, mentre me lo rimetto nelle mutande.
“Permettimi… io sono Garfield. Sicuramente mi conosci già… sono abbastanza
famoso.”
“Ga… Garfield?”
Balbetto. In effetti, a guardarlo bene, quel gatto assomiglia a Garfield. E,
allucinazione o no, mi sta parlando. Acidi non ne ho presi. Ho solo bevuto
qualche birra. C’è poco da fare: ho appena incontrato un gatto parlante.
“Sì. Proprio io. Garfield. Ho inavvertitamente ascoltato i tuoi discorsi, nel
cortile, nel retro del pub.”
“Co… cosa hai sentito?”
“Beh.. c’è questo tipo, il Boss lo chiamavi se ho ben capito… uno strozzino,
giusto? Sembra che gli devi bei soldi, soldi che non hai. Diecimila euro, giusto?
Te li sei giocati e persi ai cavalli, puntata sicura pensavi, giusto? Domattina ti
verrà a cercare a casa tua e se non gli darai i diecimila ti taglierà un dito per
ogni mille euro che mancano. Giusto?”
“Giusto…”
E per fortuna che ‘sto stronzo ha ascoltato tutto inavvertitamente. La
telecronaca spicciata del discorso col Boss mi ha fatto. Apro la bottiglia di birra
con l’accendino. Sto discutendo con un gatto parlante che dice di essere
Garfield nel parcheggio di un pub della periferia di Roma alle tre di notte. Tra
poche ore uno strozzino mi verrà a cercare e mi taglierà via tutte le dita delle
mani. Finire di sbronzarmi è l’ultimo dei miei problemi. Mentre bevo il gattone
continua.
“Benissimo… tu hai bisogno di un posto dove fuggire. Io ho bisogno di un
passaggio. Potremmo unire le nostre forze, che ne dici? Tu mi porti dove ti dico
io, io ti offro ospitalità in un luogo discreto e sicuro dove potrai far perdere le
tue tracce per un po’. Mi sembra vantaggioso per entrambi.”
“E dov’è che dovresti andare?”
“Qui vicino… ad Anagni. Una settantina di km da Roma. C’è una villetta in
campagna, isolata. È di un mio amico.”
“Cazzo ci devi andare a fare lì?”
Gli dico incuriosito mentre mi riattacco alla bottiglia, per finirla.
“Oh beh… a scoparmi Hello Kitty!”
La birra mi va di traverso, la sputo e inizio a tossire. Non credo di aver capito e
me lo faccio ripetere tre volte. Ha conosciuto Kello Kitty e se la vuole trombare
in santa pace in un posto tranquillo. Praticamente Garfield mi dice che si
tratterebbe di questo: lo carico in auto, passiamo a prendere la gatta e ce ne
andiamo ad Anagni.
È tutto talmente assurdo che mi sembra un ottimo piano. E non voglio neanche
sapere perché Garfield ed Hello Kitty vivono a Roma. L’unico problema è che
ho la macchina in riserva. E non ho un euro. Il mio nuovo amico mi dice di non
preoccuparmi e mi invita a seguirlo. Mi dice di scavare sotto un albero lì vicino.
C’è un barattolo con dentro un fascio di banconote, 500 euro.
“La mia riserva segreta!”
Mi fa ridendo. Prendo i soldi e sorrido anch’io. Lo carico in auto e andiamo a far
benzina. Poi passo da casa, un appartamento lercio e malmesso che divido con
un paio di studenti di lettere e due tipe della mia età che non ho mai capito
cosa facciano per vivere. Facile che succhino cazzi. Prendo le mie cose e lascio
un biglietto sul tavolo:
“Per il Boss”
Ci scrivo sopra.
“Suga, coglione!”
Ci scrivo dentro.
Tanto qui non ci tornerò più. Tra due giorni dovrei anche pagarci l’affitto per
questa topaia. Si fottano tutti. Carico le mie cose in auto e rubo la lettiera della
gatta di una delle mie coinquiline, che a Garfield magari può far comodo. E
anche un paio di scatole di cibo per gatti… vai a capire cosa mangia.
Mi rimetto alla guida e il micione mi dice che la lettiera avrei potuto anche
pulirla. E che quelle scatolette di merda posso anche mangiarle io, per quanto
lo riguarda. Dobbiamo andar a prendere l’autostrada a Roma sud, che subito
dopo l’uscita c’è un autogrill. Hello Kitty ci aspetta lì. Gli chiedo come si sono
conosciuti. In una chatline, mi dice.
Uno di quei siti di dating dove alcuni vanno per rimediare una trombata, altri
per vedere se trovano l’amore della loro vita e tutto. Beh, lui ci ha trovato Hello
Kitty, a quanto pare. Non gli sto neanche a chiedere come fanno i gatti come
loro a usare un pc, e dove, e come, e quando… che non sono sicuro di voler
sapere le risposte. L’unica cosa che so è che Garfield mi ha dato 500 euro in
contanti, e che mi sta portando in un posto sicuro.
Ci fermiamo all’autogrill, e da dietro un albero spunta davvero Hello Kitty.
Proprio lei, da non crederci. Non sono neanche troppo stupito. Sempre odiata
quella gatta. Sempre. Provo comunque a fare lo sciolto, a fare il simpatico.
“Hei Kitty… come butta? Che si dice?”
Niente. Non mi si fila di pezzo. Neanche mi guarda, la stronza.
“Garfield… oddio… come sei bello! E dolce!”
Miagola in modo schifosamente sdolcinato appena entra in macchina. Poi
inizia a ridere alle battute del gattone. E poi, cazzo… iniziano a trombare. Così…
come se io non ci fossi. Nell’oretta che ci mettiamo per arrivare ad Anagni non
fanno altro che trombare. In ogni posizione. Faccio la mia bella fatica per farmi
rispondere da Garfield quando mi servono le indicazioni per le uscite e la
strada.
Tutto sommato la cosa non mi disturba. Se non lo avessi incontrato forse mi
starei impiccando, o mi sarei andato a buttare nel Tevere. Per non farmi
amputare le dita dal Boss l’unica era mettermi a fare il barbone sotto un ponte,
o a Termini. Che poi magari qualcuno dei suoi mi avrebbe riconosciuto lo
stesso.
Arriviamo alla villetta che inizia ad albeggiare. Scendo dall’auto e prendo le mie
cose. Garfield mi dice di suonare.
“Ma come… non è vuota ‘sta casa?”
Gli faccio mentre noto una luce accesa al primo piano. Mi tranquillizza. Mi
ripete di suonare. Mi fido e suono. Praticamente ci abita dentro un suo amico.
Uno scrittore mezzo sciroccato, un sociopatico che passa le notti a fumare erba
e a scrivere storie deliranti.
Bango Skank, dice di chiamarsi.
Faccio un saluto di circostanza e mi butto sul letto di quella che sarà la mia
stanza. Sono distrutto. Mi addormento con i miagolii di Garfield e Kitty. Hanno
ripreso a trombare. Di brutto, proprio. Ne hanno di energie ‘sti gatti.
Mi sveglio. Non è un bel risveglio però. Anzi è tipo il peggior risveglio che uno si
possa immaginare. Di quelli che non augureresti neanche al tuo peggior
nemico. Non sono mica nel letto dove mi ero addormentato, no. Sono in
cucina. Legato a una sedia con delle cinghie. Le mani ferme, bloccate sul tavolo.
Ho uno straccio in bocca, tra i denti. Neanche a parlare riesco.
Davanti a me c’è Bango Skank che sta armeggiando con una padella sui fornelli.
Ci mette dentro olio, cipolla, aglio, una carota a pezzettini, un sedano e delle
spezie. Poi prende un paio di peperoncini.
“Garfield, che dici, ci andiamo pesante col piccante?”
“Preciso, socio.”
Gli risponde il gatto, che è accovacciato sul frigorifero e mi guarda sornione.
“Mmm… mmm…”
Inizio a mugolare, per attirare l’attenzione dello scrittore. Bango Skank alza il
fuoco al massimo e mentre il soffritto inizia a sfrigolare prende una mannaia e
mi si avvicina.
“Ah… mio giovane amico. Ti starai senz’altro chiedendo cosa sta succedendo.
Lo immagino… lo immagino…”
Mi inizia a tagliare tutte e dieci le dita delle mani. Una a una. Le taglia e le getta
nella padella, mentre le mie urla sono soffocate dallo straccio.
“…niente di particolare. Vedi, questa è una ricetta che trovi in un mio racconto.
Wrong'em boyo, si chiama. In onore dei Clash! Ti piacciono i Clash? Sì?
Garfiled?”
Il gatto fa un cenno col capo e salta su un mobile lì accanto, dove c’è uno
stereo. Spinge un tasto e la musica riempie l’aria.
“Ah… Straight to hell! Grandissimo pezzo! Dal titolo oltremodo azzeccato tra
l’altro! Comunque, dicevo: tutti pensano che noi scrittori abbiamo una certa
fantasia… che viaggiamo con la fantasia oltre la realtà… non so se capisci cosa
voglio dire…”
Mi disinfetta i moncherini e me li cicatrizza. Sto impazzendo per il dolore.
“…tutte stronzate mon amì. Tutte stronzate. Noi scrittori non facciamo che
descrivere la realtà. Tutto qui. Semplice no?”
Mi benda alla buona i moncherini e stappa una bottiglia di rosso. Versa un
bicchiere di vino sulle mie dita che sfrigolano in padella.
“Per sfumare, e insaporire!”
Poi ci aggiunge un barattolo di lenticchie.
“Oh… e stai pure tranquillo… non vogliamo farti mica niente di male io e
Garfield qui… più tardi ti libereremo! Oh sì!””
Dice concludendo con una risata che mi fa accapponare la pelle. Poi apre il
forno. Tira fuori una teglia e la mette a tavola. Cazzo. C’è Hello Kitty in quella
fottuta teglia. Cucinata a puntino, con le patate anche. E una piccola mela in
bocca.
Lui e Garfield si mettono a tavola. Bango sporziona la gatta, tira via la padella
dal fuoco, versa al gattone un po’ di vino in una ciotola, un pezzo di Kitty in
un’altra, un paio delle mie dita soffritte con le lenticchie in un’altra ancora. Poi
prende il suo bicchiere di vino e brinda sbattendolo piano contro la ciotola di
Garfield.
“Al nostro amico, legato qui… comunque si chiami!”
“E a Hello Kitty! Rimorchiale in rete, scopale a morte, falle a pezzi e mangiale!
Questa è vita, socio!”
Gli risponde Garfield.
Quel fottuto gatto.