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Sulla carta
Il mondo infinito e affascinante delle rappresentazioni geografiche in un libro di
Simon Garfield
/ 09.01.2017
di Stefano Vassere
«In breve quello che davvero lo emozionava nelle mappe era, per Joseph Conrad, qualcosa di molto
semplice: le “regioni sconosciute”. Ossia, non le certezze mostrate con precisione, ma il loro
contrario: il mistero e la possibilità di fare scoperte che rendono affascinante il nostro viaggio in
questo mondo».
È cinquecento pagine di passione, questo Sulle mappe. Il mondo come lo disegniamo di Simon
Garfield, dedicato a storia, geografia e cultura delle mappe e delle rappresentazioni geografiche. Le
prime riproduzioni del mondo, la cartografia estetizzante e immaginifica del Medioevo, le forzature
graficamente ineccepibili delle metropolitane del mondo, gli atlanti, la tecnica per costruire i
mappamondi, le follie dei moderni navigatori automatici, le guide turistiche, le mappe inventate dei
giochi di società, stradari, mappe del tesoro. Un mondo, insomma, perché occuparsi di geografia
significa banalmente tentare di rappresentare la Terra e tutta la sua umanità.
Ci sono cartine, oggi, che scelgono vie alternative alla pura dimensione delle terre: mappe
economiche, ad esempio, che tracciano le dimensioni dei paesi in base alla ricchezza o al prodotto
interno lordo e quindi l’Europa pare gigantesca e tondeggiante nella sua opulenza, mentre l’Africa è
piccola piccola. O anche c’è la mappa tracciata dai soli collegamenti amicali di Facebook dove
biancheggia il nord del mondo e sono pallidissimi l’appena percepibile Africa e parte notevole del
Sudamerica. In fondo, non siamo molto lontani dalla medievale Mappa di Hereford, una vera e
propria opera d’arte e quindi di finzione con peraltro una stupefacente quanto assurda sincronia: «ci
sono la Torre di Babele, l’arca di Noè che approda sulla terraferma, il vello d’oro, il Labirinto di
Creta abitato dal Minotauro», ci sono animali che sparano escrementi, strane creature a metà tra
l’uomo e l’animale, scritte in varie lingue, una rivoluzione disorientante dei punti cardinali, errori
toponomastici, una sorta di fantastica follia, insomma, molto lontano dalla realtà.
Certo è che, piegati ormai tutti noi dal non spazio delle moderne carte-navigatore elettroniche, non
possiamo che concepire questo libro come uno sterminato omaggio alla cartografia tradizionale e
soprattutto all’unicità degli esemplari. I creatori di carte-stradario inglesi usano inserire ogni tanto
dei nomi di via inesistenti, per dare un tocco di autenticità e smascherare malintenzionati plagi; le
cartine delle vie di una città sono composte come i dizionari: si parte sempre dal lavoro di qualcun
altro (altrimenti come si farebbe, via!). Ma poi ci sono anche il mappamondo di Churchill, che, come
succede con certe carte dei mezzi pubblici (a Milano non è difficile accorgersene, in metropolitana),
tradisce l’interesse dell’utente perché scritte e disegni sono consumati in corrispondenza di regioni
strategiche, la Francia del Nord, New York, il mare di Barents a nord della Norvegia.
Anche la Mappa di Hereford porta segni di dita, sul vetro, spesso sul luogo di provenienza dei turisti
che vanno a vederla, nella cattedrale della cittadina inglese. Ora, nessuna map di nessun navigatore
elettronico pareggerà mai questa antica e così spontanea esperienza; sono i poderosi colpi di coda
(ma magari non solo quelli) della carta sull’elettronico; niente di elettronico paga come lo
struggimento dovuto a certi ritrovamenti, anni dopo, di cartine piegate e sgualcite di antichi viaggi,
biglietti d’entrata a qualche rassegna di talune triennali, ticket di parcheggi o mezzi pubblici.
«Il contatto fisico è molto importante. Sebbene non sia incoraggiato, nessuno riprende i visitatori se
fanno ciò che viene istintivo fare, ovvero compiere il gesto primitivo di toccare il vetro con il dito per
navigare sulla superficie della mappa. Il punto più sporco è attorno a Hereford stessa».
Bibliografia
Simon Garfield, Sulle mappe. Il mondo come lo disegniamo, Milano, Ponte alle Grazie, 2016.