373-383 Rassegna - DOronzo - Recenti Progressi in Medicina

Transcript

373-383 Rassegna - DOronzo - Recenti Progressi in Medicina
373
Rassegne
Recenti Prog Med 2012; 103: 373-383
La “bone health” nel paziente oncologico
Stella D’Oronzo, Antonella Tamma, Valeria Simone, Vito Longo, Franco Silvestris
Riassunto. Osteoporosi e osteomalacia sono complicanze
tardive ma frequenti nei pazienti oncologici sottoposti a
trattamenti anti-neoplastici. Questi ultimi infatti influiscono negativamente sulla “bone health”, il cui monitoraggio
mediante indagini strumentali e bioumorali è utile nel percorso oncologico dei pazienti per prevenire le sequele di
dette complicanze.
Bone health in the oncologic patient.
Parole chiave. Chemioterapia, danno ossero, densitometria ossea, fratture iatrogene, ormonoterapia, osteoporosi.
Key words. Bone health, bone loss, bone mineral density,
chemotherapy, endocrine therapies, skeleton defalut.
Introduzione
Gli agenti chemioterapici possono alterare il
turn-over osseo sia in maniera diretta, interferendo
sulla funzione di osteoblasti (OB) ed osteoclasti (OC),
sia in maniera indiretta, per le variazioni dell’omeostasi elettrolitica conseguenti alle alterazioni della
funzionalità renale. Tuttavia, il frequente utilizzo di
regimi polichemioterapici, unitamente a fattori di rischio intrinseci alla patologia neoplastica, quali cachessia, alterazioni metaboliche e immobilità, rendono difficoltosa la quantificazione dell’impatto sulla “bone health” del singolo agente citostatico1.
La presente rassegna riassume le principali tipologie di danno osseo iatrogeno da agenti antineoplastici, focalizzando l’attenzione sui meccanismi patogenetici sottesi e sui possibili trattamenti
comprendenti sia terapie farmacologiche che modificazioni dello stile di vita.
I progressi registrati in ambito oncologico negli ultimi decenni hanno significativamente migliorato l’aspettativa di vita dei pazienti neoplastici. Emblematico è in tal senso il caso delle pazienti con early breast cancer, in cui l’utilizzo della chemioterapia adiuvante e dei trattamenti ormonali ha prolungato le aspettative di vita, riducendo del 30-50% la mortalità cancro-correlata. Tuttavia, parallelamente al miglioramento
della sopravvivenza si è assistito anche alla comparsa di complicanze a lungo termine delle terapie citostatiche. Tra queste, le anomalie del turnover osseo ricoprono un ruolo di rilievo, potendo
esitare sia in osteomalacia, condizione patologica
caratterizzata dal difetto di mineralizzazione, sia
nell’osteoporosi, in cui la riduzione della densità
di massa ossea (BMD: bone mineral density) si
associa al deterioramento della microarchitettura scheletrica. Tali fenomeni sono frequentemente responsabili di dolore cronico e fratture iatrogene, con un significativo impatto negativo
sulla qualità di vita e sulla sopravvivenza dei pazienti.
Oltre alle pazienti con tumore mammario e ai
pazienti con carcinoma prostatico, in cui le terapie
ormonali inducono ipogonadismo, un altro gruppo
di pazienti fortemente a rischio di danno osseo iatrogeno è rappresentato dai pazienti onco-ematologici, in cui all’utilizzo di glucocorticoidi a dosaggi talora elevati si associa l’aumentata biodisponibilità di citochine tumorali promuoventi il catabolismo osseo.
Summary. Progressive bone loss, resulting in both osteoporosis and osteomalacia, is a frequent long-term complication in cancer patients undergoing common anti-tumor
treatment programs. Monitoring of bone health by both imaging techniques and biochemical markers measurement,
is useful in preventing the severe skeleton default.
Fisiologia del turn-over osseo
In condizioni fisiologiche, lo scheletro è sottoposto ad un continuo rinnovamento, attraverso
processi di riassorbimento e rimodellamento del
tessuto osseo, dovuti all’attività degli OC e degli
OB, rispettivamente.
Gli OC sono cellule multinucleate che derivano
dalla linea monocito-macrofagica a seguito di un
processo di maturazione regolato principalmente
dagli OB. Nella fase di attivazione, gli OC sviluppano un orletto a spazzola sulla membrana plasmatica e secernono protoni ed enzimi, tra cui proteasi e fosfatasi, che concorrono alla degradazione
della matrice ossea.
Sezione di Medicina Interna e Oncologia Clinica, Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana,
Università Aldo Moro, Bari.
Pervenuto il 7 maggio 2012.
374
Recenti Progressi in Medicina, 103 (10), ottobre 2012
Gli OB, invece, sono cellule di derivazione mesenchimale che partecipano alla formazione della matrice
ossea organica e alla mineralizzazione del tessuto osseo neoformato2.
Molteplici fattori, sia locali che sistemici, partecipano alla regolazione del
turn-over osseo. Tra i primi, un ruolo cruciale è
svolto da Receptor Activator of Nuclear Factor KBLigand (RANK-L), membro
della famiglia del recettore
del fattore di necrosi tumorale (TNF), che viene prodotto dagli OB. RANK-L
lega infatti RANK sulla superficie degli OC e ne promuove la differenziazione
ed attivazione. Tale interazione è modulata dall’osteoprotegerina (OPG),
Figura 1. Fisiologia del turn-over osseo.
proteina in grado di disatRANK-L, prodotto dagli OB, lega RANK sulla superficie degli OC e dei loro precursori, promuoventivare RANK-L, impedendone la differenziazione ed attivazione. OPG interagisce con RANK-L neutralizzandolo ed interfedone l’interazione con
rendo con la differenziazione ed attivazione dei pre-OC. Gli estrogeni inibiscono il rilascio di RANKRANK (figura 1). Altri fatL da parte degli OB, modulando il rapporto RANK-L/OPG a favore di quest’ultima che inibisce l’attivazione e la sopravvivenza degli OC. Gli androgeni agiscono indirettamente sul metabolismo ostori ad azione locale comseo fungendo da precursori degli estrogeni ed esercitano un’azione diretta, stimolando la prolifeprendono citochine ad aziorazione degli OB ed inibendone l’apoptosi. La vitamina D ed il PTH promuovono il riassorbimento
ne promuovente (es. IL-6,
osseo stimolando la differenziazione dei pre-OC in OC ed attivando questi ultimi attraverso un mecIL-1, IL-11) o inibente (es.
canismo indiretto che coinvolge gli OB (non raffigurato). La calcitonina ed il GH, invece, favoriscono l’apposizione di tessuto osseo.
IL-4, IL-13, IL-18) il riassorbimento osseo, oltre a
prostaglandine e fattori di
crescita, quali transforming growth factor (TGF)-β, fibroblast growth
PTH, è la calcitonina, che sembra svolgere un
factor (FGF) e plateled-derived growth factor
ruolo significativo principalmente nello sviluppo
(PDGF). Tra questi ultimi sono anche da annovescheletrico2,3.
rare il paratormone (PTH) e la 1,25-diidrossi viAltri fattori sistemici sono coinvolti nella retamina D. Entrambi funzionano da principali regolazione del turn-over osseo. Tra questi, l’ormogolatori della concentrazione sierica di calcio. Il
ne della crescita (GH: growth hormone) agisce
PTH incrementa i livelli circolanti di questo camediante la produzione del fattore di crescita intione stimolando la differenziazione dei precursulino-simile (IGF: insuline-like growth factor),
sori degli OC (pre-OC) in OC maturi ed attivannecessario per la replicazione degli OB ma anche
do questi ultimi attraverso un meccanismo indinella sintesi di collagene e matrice ossea. Inoltre,
retto che coinvolge la popolazione osteoblastica.
una funzione di rilievo è svolta dagli steroidi sesLa vitamina D, prodotto dell’azione delle radiasuali. Questi ultimi, infatti, inibiscono il rilascio
zioni solari sul 7-deidrocolesterolo, viene poi condi RANK-L da parte degli OB, modulando il rapvertita nella forma biologicamente attiva, 1,25porto RANK-L/OPG a favore di quest’ultima. Il
diidrossi vitamina D, mediante due reazioni sucdeficit di estrogeni, come si osserva in epoca postcessive di idrossilazione a livello epatico e renamenopausale, favorisce l’attività osteoclastica inile. La forma attiva stimola l’assorbimento intebendone l’apoptosi, oltre ad un effetto soppressistinale di calcio e fosfato e, come il PTH, provo sulla formazione, proliferazione e funzione
muove il riassorbimento osseo attraverso un mecosteoblastica, la cui apoptosi viene, al contrario,
canismo indiretto che coinvolge gli OB. Inoltre,
potenziata. Il testosterone, oltre ad agire indiretla 1,25-diidrossi vitamina D regola l’espressione
tamente in qualità di precursore degli estrogeni
di geni codificanti per proteine della matrice osmediante il processo di aromatizzazione, può
sea, quali l’osteocalcina, l’osteopontina e la fosfaesercitare un’azione diretta stimolando la prolifetasi alcalina, intervenendo su specifiche regioni
razione degli OB ed inibendone l’apoptosi ma, neldel DNA presenti nel promotore di tali geni. Un
lo stesso tempo, rallentando anche l’apoptosi
terzo ormone, con funzione opposta a quella del
osteoclastica2,4,5.
S. D’Oronzo et al.: La “bone health” nel paziente oncologico
Terapie ormonali
SOPPRESSIONE ESTROGENICA
BMD, come osservato nell’Intergroup Exemestane
Study (IES), che ha analizzato pazienti in trattamento da 2 o 3 anni con tamoxifene e successivamente randomizzate a continuare la terapia con
tamoxifene o ad assumere exemestane. La diminuzione di BMD in quest’ultimo gruppo era visibile già a sei mesi dalla randomizzazione, con una
diminuzione significativa della BMD entro il primo anno al rachide lombare ed alla testa del femore rispettivamente del 2,7% e 1,4% (tabella 1)12.
Uno studio nipponico condotto su donne in postmenopausa in trattamento con tamoxifene, anastrozolo o exemestane ha dimostrato che dopo due
anni di trattamento la BMD era maggiormente
conservata nelle pazienti del braccio tamoxifene,
che peraltro mostravano minori fluttuazioni degli
indici osteo-riassorbitivi13.
Un ulteriore studio ha confrontato gli effetti dei
tre inibitori dell’aromatasi in relazione al metabolismo su osso, profilo lipidico e funzione surrenalica. Sono state infatti arruolate 90 donne in menopausa con mineralometria nella norma, successivamente randomizzate a ricevere anastrozolo, letrozolo o exemestano per 24 settimane e, sebbene
tutti i farmaci comportassero variazioni notevoli
dei marker di turnover osseo, non è stata osservata alcuna differenza significativa dal punto di vista
clinico14.
Il tamoxifene è un antagonista parziale degli
estrogeni che si lega in maniera competitiva al loro recettore, sia nelle cellule mammarie normali
che in quelle tumorali. È interessante notare come
questo farmaco possa determinare effetti diversi
sul tessuto osseo a seconda della condizione ormonale di partenza delle pazienti. Infatti, se nelle
donne in pre-menopausa l’assunzione del tamoxifene si associa a riduzione della BMD, nelle pazienti in post-menopausa la parziale attività agonistica nei confronti del recettore degli estrogeni si
traduce in un effetto protettivo sull’osso6.
Vehemanen et al.7 hanno documentato che pazienti in menopausa precoce post-chemioterapia
adiuvante per carcinoma della mammella e successivamente trattate con tamoxifene presentavano, dopo 3 anni di terapia antiestrogenica, riduzione della BMD lombare del 6,8% rispetto al 9,5%
delle pazienti sottoposte soltanto alla chemioterapia. Ulteriori studi clinici hanno documentato come gli inibitori delle aromatasi aumentino il rischio di frattura rispetto al tamoxifene ed al placebo nelle donne in menopausa: lo studio Arimidex, Tamoxifen, Alone or in Combination (ATAC)
ha analizzato gli effetti di
tamoxifene vs anastrozolo
dopo 5 anni di terapia in Tabella 1. Incidenza di fratture in pazienti con carcinoma mammario in trattamento con inibipazienti in post-menopau- tori dell’aromatasi e con modulatori del recettore degli estrogeni negli studi BIG 1.98, IES, ATAC.
sa. La diminuzione della
Studi clinici
Pazienti
Follow-up
Inibitori
Modulatore
BMD nelle pazienti in trat(media-mesi)
dell’aromatasi
recettore per gli
tamento con anastrozolo a
estrogeni
livello lombare e dell’anca
4895
60,3
Letrozolo
9,3% Tamoxifene
6,5%
era rispettivamente –6,08% BIG 1.98
e –7,24%. Nel gruppo trat- IES
4274
58
Exemestane
7% Tamoxifene
5%
tato con tamoxifene il valo9366
68
Anastrozolo
11% Tamoxifene
7,7%
re di BMD a 5 anni era au- ATAC
mentato del 2,77% a livello
lombare e dello 0,74% a livello dell’anca. Tali dati erano clinicamente correSOPPRESSIONE ANDROGENICA
lati ad un’aumentata incidenza di fratture nelle
pazienti in trattamento con anastrozolo8. Tuttavia,
Terapie di deprivazione androgenica (ADT),
l’estensione dello studio a 7 anni di follow-up ha
quali la castrazione chirurgica, gli anti-androgeni o
dimostrato un recupero di massa ossea lombare in
agonisti del GnRH, sono in grado di ridurre i livelqueste stesse pazienti, contrariamente alla lieve
li sierici di testosterone ed estrogeni rispettivariduzione della stessa osservata nelle pazienti tratmente del 95% e 80%. Greeenspan et al.15 hanno
tate con tamoxifene, con un’incidenza di fratture
esaminato 152 pazienti in trattamento con ADT,
sovrapponibile tra i due gruppi9. Lo studio BIG
confrontandoli con un gruppo di pazienti sani, evi1.98 ha confermato il ruolo osteopenizzante degli
denziando nei primi dodici mesi di trattamento una
inibitori aromatasici rispetto al tamoxifene, attrariduzione della massa ossea complessiva dall’1,5%
verso il calcolo del rischio di frattura nelle donne in
al 4%, con un significativo aumento dei valori emamenopausa in trattamento con letrozolo: le frattutici dei marker bioumorali di metabolismo osseo.
re incidevano al 9,3% nel gruppo letrozolo rispetto
Il confronto della BMD di pazienti in terapia
al 6,5% del gruppo tamoxifene10. In studi condotti
con ADT a 2, 4, 6 e 10 anni con adulti sani di pari
su modelli murini, l’utilizzo dell’exemestane, inietà, ha mostrato valori significativamente inferiobitore steroideo irreversibile dell’aromatasi, ha
ri nel gruppo in trattamento (BMD media 0,802
comportato un’attenuazione della perdita di BMD
g/cm2) rispetto ai controlli (BMD media 0,935
successiva ad ovariectomia, in relazione alla sua
g/cm2). In particolare, la riduzione della densità osstruttura simile all’androstenedione.11 Tuttavia,
sea diventava nel tempo più significativa nei panell’uomo, questo farmaco comporta perdita di
zienti sottoposti alla castrazione chirurgica16.
375
376
Recenti Progressi in Medicina, 103 (10), ottobre 2012
In accordo con questi dati, Smith et al.17 hanno
infine riportato aumentata incidenza di fratture da
fragilità ossea in pazienti in trattamento con
GnRH agonisti, rispetto a pazienti con carcinoma
prostatico non sottoposti a terapia ormonale.
Agenti alchilanti
DERIVATI DEL PLATINO
Gli agenti chemioterapici derivati del platino
influenzano negativamente il turn-over osseo come conseguenza indiretta della propria tossicità
renale. Infatti, il danno iatrogeno sul tubulo prossimale può comportare riduzione della sintesi del
metabolita attivo della vitamina D ed ipomagnesemia, che a sua volta determina un’inibizione funzionale della 25(OH)D3-1-α-idrossilasi. Il danno tubulare prossimale e le suddette alterazioni metaboliche concorrono ad una riduzione dei livelli di
calcemia. Inoltre, l’aumentata concentrazione extracellullare di magnesio inibisce la proliferazione
e migrazione degli OB indotta dal PDGF. A questo
riguardo, Warner et al. hanno riportato riduzione
del contenuto minerale osseo nei bambini affetti da
leucemia linfoblastica acuta, trattati con 6-mercaptopurina e cisplatino18-20.
IFOSFAMIDE
L’ifosfamide è un agente alchilante utilizzato
nel trattamento di svariate neoplasie, tra cui sarcomi ossei e dei tessuti molli. Il danno scheletrico
indotto da questo chemioterapico è essenzialmente conseguenza della sua nefrotossicità, sia glomerulare che tubulare. In particolare, una severa evoluzione del danno tubulare prossimale indotto da
ifosfamide è rappresentata dalla sindrome di Fanconi, caratterizzata da aminoaciduria, glicosuria,
eccessiva escrezione urinaria di numerosi elettroliti, tra cui calcio e fosfato. L’ipofosfatemia che ne
deriva, se non adeguatamente trattata, può determinare rachitismo nei bambini ed osteomalacia negli adulti23.
La nefrotossicità dell’ifosfamide è stata attribuita all’azione dei suoi metaboliti 4-idrossil-ifosfamide, acroleina e cloroacetaldeide. Quest’ultima inibisce l’attivazione del complesso I della catena respiratoria mitocondriale, determinando un
deficit intracellulare di ATP e glutatione, con conseguenti danno ossidativo e morte cellulare24.
La comprensione del suddetto meccanismo è derivata da studi in vitro ed in vivo su modelli murini che, oltre ad identificare il principale bersaglio
della cloroacetaldeide, hanno testato l’azione protettiva di molecole capaci di modulare i processi di
fosforilazione ossidativa, quali l’agmatina ed il resveratrolo25,26.
CICLOFOSFAMIDE
La ciclofosfamide (CYP) è un chemioterapico alchilante inducente ipogonadismo nelle pazienti
trattate, ma anche capace di comportare significative anomalie dei processi di rimodellamento del
tessuto osseo. La CYP induce insufficienza ovarica
primitiva, testimoniata dall’incremento dei livelli
sierici delle gonadotropine ipofisarie, e detta tossicità è riconducibile al suo metabolita fosforamide
mostarda, responsabile dell’inibizione funzionale
sulle cellule della granulosa21. Parallelamente, la
CYP influenza negativamente i processi di apposizione e riassorbimento del tessuto osseo, inibendo
sia la divisione cellulare dei pre-OB, sia l’osteoclastogenesi1.
In un recente studio condotto su un modello murino, è stato possibile evidenziare una marcata riduzione della densità di massa ossea e della fosfatasi alcalina sierica in topi trattati con CYP per 6 settimane, rispetto al gruppo controllo non trattato. Un
terzo gruppo di topi trattato prima della somministrazione di CYP con una singola dose di PTH presentava una densità di massa ossea e livelli sierici di
fosfatasi alcalina superiori rispetto ai topi trattati
con CYP, evidenziando il ruolo protettivo del PTH
nei confronti del danno osseo indotto da tale chemioterapico22.
Sebbene gli effetti tossici dell’ifosfamide sulla
funzionalità renale e sul metabolismo osseo siano
ben noti nella popolazione pediatrica, non altrettanto numerosi sono i dati relativi agli effetti tossici di
questo chemioterapico sul metabolismo osseo negli
adulti. Sia pure in maniera aneddotica, alcuni pazienti adulti, trattati con differenti dosi cumulative
di ifosfamide, hanno sviluppato osteomalacia secondaria alla sindrome di Fanconi, talvolta anche a distanza di mesi o anni dall’interruzione della terapia.
In questo contesto, la dose cumulativa di ifosfamide
superiore a 60 g/m2, il trattamento concomitante con
cisplatino, la nefrectomia unilaterale e la giovane età
sembrano costituire i principali fattori di rischio per
lo sviluppo della tubulopatia iatrogena23,24,27.
Doxorubicina
Studi su modelli murini hanno dimostrato che
la doxorubicina limita significativamente la funzione osteoblastica, inibendo sia la sintesi proteica
sia la deposizione di matrice osteoide28,29. Tale chemioterapico può inoltre interferire con il processo
di ossificazione endocondrale. Leeuwen et al.30
hanno analizzato sezioni tibiali di topi di quattro
settimane sottoposti ad infusioni periodiche di doxorubicina e sacrificati alla tredicesima settimana:
la piastra di accrescimento cartilagineo appariva
significativamente assottigliata (151,25 µm vs
188,20 µm dei controlli) e mostrava alterata distribuzione e riduzione numerica dei condrociti.
S. D’Oronzo et al.: La “bone health” nel paziente oncologico
Glucocorticoidi
Il trattamento di lunga durata con glucorticoidi (GC) rappresenta una delle cause principali di
osteoporosi secondaria, riscontrabile tanto in pazienti neoplastici, quanto in soggetti affetti da patologie infiammatorie croniche, che necessitano di
un utilizzo duraturo di tali farmaci.
In ambito oncologico, i GC non solo sono comunemente utilizzati nel trattamento di numerose
neoplasie, soprattutto ematologiche, ma sono anche adoperati nel contesto delle terapie antalgiche
ed antiemetiche di cui i pazienti neoplastici frequentemente necessitano31.
I meccanismi coinvolti nella patogenesi dell’osteoporosi indotta da GC sono molteplici e comprendono effetti diretti ed indiretti sul metabolismo osseo. Tra i primi si annovera la capacità dei
GC di interferire con l’attività degli OB, di cui favoriscono l’apoptosi mediante la caspasi 3 ed inducono la differenziazione dei loro precursori midollari in senso adipocitario. Per contro, l’apoptosi degli OC è inibita in corso di terapia con GC, sebbene l’aumentata sopravvivenza di queste cellule
spesso correli con una concomitante compromissione della loro funzione. L’azione indiretta dei GC
sul metabolismo osseo si esplica, invece, mediante
inibizione dell’assorbimento intestinale del calcio
ed incremento della sua escrezione renale. Questo
meccanismo, responsabile della negativizzazione
del bilancio di tale catione, determina l’instaurarsi di un quadro di iperparatiroidismo secondario,
correlato ad un incremento del riassorbimento osseo da parte degli OC. Infine, i GC possono sopprimere la secrezione di GH e di steroidi sessuali31,32.
Numerosi studi caso-controllo hanno dimostrato una netta correlazione tra l’assunzione duratura
di GC e rischio di fratture, quale frequente manifestazione clinica dell’osteoporosi iatrogena, ricorrendo in una percentuale di pazienti che oscilla tra
il 30 e il 50%. Le sedi maggiormente interessate sono i distretti scheletrici a maggiore densità di tessuto spongioso, quali il rachide lombare ed il femore, in cui si assiste al progressivo impoverimento
della trabecolatura. Inoltre, in questa forma di
osteoporosi iatrogena, la compromissione della
BMD sembra avere un andamento bifasico, con
un’evoluzione rapida nel primo anno di terapia, ma
rallentata nelle epoche successive. Possono essere
considerati fattori predisponenti l’età avanzata, un
indice di massa corporea (BMI: Body Mass Index)
inferiore a 24, oltre ad etilismo, abitudine tabagica
e familiarità per osteoporosi e fratture costali33.
Inibitori tirosin-chinasici
Negli ultimi anni, con il progredire delle conoscenze nell’ambito della biologia molecolare, si è
assistito allo sviluppo sempre crescente della cosiddetta “target therapy”. Tra i farmaci a bersaglio
molecolare, gli inibitori tirosin-chinasici hanno ottenuto un’ampia diffusione. Diversamente dai da-
ti presenti in letteratura sugli effetti dei chemioterapici convenzionali, quelli relativi all’azione degli inibitori tirosin-chinasici sul turn-over osseo sono scarsi e lacunosi1.
Imatinib mesilato (Glivec, Novartis) è un inibitore di molteplici tirosin-chinasi correlate a processi
patologici, tra cui BCR-ABL, c-KIT ed i recettori α e
β del PDGF, coinvolti in disordini mieloproliferativi,
nei GIST e nel dermatofibrosarcoma protuberans.
Questo farmaco a bersaglio molecolare causa spesso
ipofosfatemia, come probabile conseguenza di iperparatiroidismo secondario. A tale condizione concorrerebbero sia l’aumentata apposizione di tessuto osseo, sia un ridotto assorbimento intestinale di calcio,
responsabili dei bassi livelli di calcemia riscontrati
in questi pazienti. Tuttavia, il riscontro di livelli ridotti di osteocalcina e di NTX anche in pazienti con
normofosfatemia ha suggerito l’esistenza di meccanismi alternativi di modulazione del turn-over osseo
da parte del suddetto farmaco34,35.
Una recente analisi condotta su modelli murini
sani randomizzati in tre gruppi in base alla somministrazione di placebo o imatinib, quest’ultimo
al dosaggio di 100 mg/kg/die o 40 mg/kg/die, ha evidenziato un volume osseo trabecolare (TBV: Trabecular Bone Volume) inferiore del 6-20% nei topi
trattati con l’inibitore tirosin-chinasico, rispetto al
controllo. Nello stesso gruppo di animali, i livelli
sierici di osteocalcina erano inferiori del 31-38%,
mentre quelli di CTX leggermente più elevati nel
gruppo trattato con imatinib ad alte dosi36.
Fitter et al.37 hanno eseguito un’analisi istomorfometrica prospettica, prima e dopo trattamento per 2-4 anni con imatinib, su frustoli di tessuto osseo prelevati a livello della cresta iliaca da
pazienti affetti da leucemia mieloide cronica.
L’analisi ha consentito di rilevare un TBV incrementato nel 76% dei pazienti. Il meccanismo alla
base di questo fenomeno è apparentemente correlato alla capacità di imatinib di interferire negativamente con la differenziazione ed attività degli
OC, favorendo quelle degli OB. Il blocco della pathway del PDGF, potente inibitore della differenziazione degli OB, spiegherebbe almeno in parte
tali fenomeni. Ulteriori studi sono tuttavia necessari al fine di individuare il reale impatto di questa
classe di farmaci sul tessuto osseo.
Trapianto di midollo osseo
Il progresso delle tecniche trapiantologiche ha
consentito di incrementare progressivamente il numero di pazienti lungo-sopravviventi, assistendo
tuttavia alla parallela ricorrenza di complicanze
tardive.
La patogenesi del danno osseo nei pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo è multifattoriale ed in parte indefinita. La chemioterapia ad
alte dosi e l’irradiazione corporea totale agiscono
sia direttamente, inducendo arresto della proliferazione degli OB, sia indirettamente favorendo
l’insorgenza di ipogonadismo iatrogeno.
377
378
Recenti Progressi in Medicina, 103 (10), ottobre 2012
Nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico,
un ruolo importante è inoltre svolto dalla terapia
immunosoppressiva utilizzata per ridurre l’incidenza della Graft Versus Host Disease (GVHD). A
questo riguardo, oltre ai glucocorticoidi vanno considerati altri immunosoppressori, tra cui gli inibitori della calcineurina, ciclosporina e tacrolimus.
In modelli murini, tali farmaci inducono severa
compromissione della massa ossea, come conseguenza dell’accelerato turn-over osseo e della ridotta replicazione osteoblastica, mentre la ciclosporina è capace di inibire la conversione della vitamina D nella sua forma attiva2.
Si calcola che una percentuale di pazienti compresa tra il 24 ed il 50% presenti una riduzione della massa ossea entro 12 mesi dal trapianto allogenico di midollo osseo, con una tendenza più tardiva alla regressione di tale fenomeno nel femore rispetto agli altri segmenti ossei. Sono in corso trial
clinici atti a valutare l’efficacia dei bisfosfonati e
dell’integrazione di calcio e vitamina D, per la prevenzione dell’osteoporosi nei pazienti sottoposti a
trapianto di midollo osseo allogenico4,38.
è essenzialmente caratterizzato da alterazioni
strutturali con sviluppo asimmetrico dei singoli somi vertebrali e conseguente scoliosi.
Nell’osso maturo il compartimento osteoblastico
viene maggiormente coinvolto dal danno attinico,
con conseguente netta riduzione dell’apposizione ossea. Gli effetti variano in base alla dose assorbita ed
al tipo di frazionamento. Gli OB vanno incontro ad
apoptosi o ad alterazioni irreversibili del ciclo cellulare, tali da alterare la capacità di deposizione di matrice. In genere, l’osteopenia compare circa un anno
dopo la radioterapia. I dodici mesi di latenza tra il
termine della terapia e gli effetti della stessa sono
giustificabili dal metabolismo osseo più lento nell’adulto. Successivamente a questo periodo di atrofia
ossea, è osservabile deposizione di nuova matrice ossea a distanza di alcuni anni. Radiograficamente potrà essere osservato un osso a chiazze, costituito da
un’alternanza di aree rarefatte ed addensate, con un
quadro simil-pagetoide39,40. Infine, l’irradiazione cranica può determinare un danno osseo di tipo indiretto mediato nell’infanzia prevalentemente da una
riduzione dei livelli di GH, mentre nell’adulto è preponderante l’osteoporosi conseguente ad ipogonadismo secondario post-attinico21,41,42.
Radioterapia
Le alterazioni dell’apparato scheletrico conseguenti al trattamento radioterapico includono il
danno a carico dei condrociti, le disregolazioni dell’accrescimento osseo e la necrosi degli OB, con il
conseguente sbilanciamento dell’equilibrio osseo in
senso pro-riassorbitivo. I danni così provocati prendono storicamente il nome di osteite da radiazioni,
anche conosciuta come osteoradionecrosi. Il rischio
di sviluppare tale complicanza deriva dall’associazione di più fattori di rischio, tra cui la dose superiore ai 3000 cGy, una sottostante osteoporosi,
l’ampiezza del campo irradiato ed il sito corporeo
irradiato. Infatti, il cranio, la pelvi e le coste subiscono differenti effetti a lungo termine.
L’irradiazione dei tessuti induce reazioni immediate e ritardate che favoriscono la morte cellulare,
l’arresto della mitosi, le alterazioni dei meccanismi
di riparazione del DNA ed il possibile sviluppo di
neoplasie, ovvero effetti diversi a seconda che venga interessato il tessuto osseo in crescita o quello
adulto. Nel primo caso, le radiazioni assorbite interagiscono negativamente sulla condrogenesi. Infatti, i condroblasti sono le cellule più radiosensibili in quanto presentano arresto dei processi mitotici e suscettibilità all’apoptosi a partire da dosi di
esposizione di 300 cGy e già dopo 2-4 giorni di esposizione. L’epifisiolisi è una delle conseguenze più comuni dell’irradiazione pelvica nell’infanzia, si manifesta in genere entro 8 anni dall’esposizione ed è
secondaria al danno vascolare radioindotto, alle alterazioni funzionali dei condrociti ed alla conseguente instabilità delle strutture ossee e ligamentose. Questa condizione di osteoradionecrosi colpisce maggiormente i bambini sottoposti a trattamento radioterapico entro il quarto anno di vita. A
livello dello scheletro assile, il danno macroscopico
Complicanze a distanza nel paziente pediatrico
I bambini sopravvissuti a patologie neoplastiche sono particolarmente suscettibili al rischio di
sviluppare, anche a distanza di tempo, importanti
sequele riconducibili non solo alla neoplasia da cui
sono stati affetti, ma anche all’azione dei chemioterapici o di altri trattamenti praticati. L’alterazione del metabolismo osseo è una di queste complicanze ed interferisce con il raggiungimento del
picco di massa ossea, determinando un maggior rischio di precoce osteopenia, ovvero osteoporosi.
METHOTREXATE
Il methotrexate (MTX) è un antimetabolita frequentemente utilizzato in pediatria, in particolare
nella leucemia linfoblastica acuta (LLA) e nell’osteosarcoma. Nel corso di studi condotti su modelli murini, analisi istomorfometriche associate al
dosaggio di marcatori bioumorali del metabolismo
osseo, quali l’idrossiprolina urinaria, la fostatasi alcalina e l’osteocalcina sieriche, hanno dimostrato
che il MTX è in grado di determinare uno squilibrio
tra apposizione e riassorbimento del tessuto osseo,
a favore di quest’ultimo21.
Gli studi condotti su modelli animali hanno anche consentito di migliorare la comprensione dei
meccanismi che sono alla base di tale complicanza.
Infatti, alte dosi (100-1000 mg/m2) di MTX inibiscono reversibilmente l’enzima diidrofolato-reduttasi
(DHFR) ed interferiscono con la sintesi di DNA e
con la proliferazione cellulare, determinando così un
depauperamento della popolazione di cellule staminali mesenchimali e, di conseguenza, della loro maturazione ad OB.
S. D’Oronzo et al.: La “bone health” nel paziente oncologico
Inoltre, il MTX, riducendo la sintesi proteica e la
proliferazione dei condrociti, impoverisce la cartilagine di accrescimento, mentre stimola la formazione degli OC, aggravando ulteriormente la perdita di
tessuto osseo43. In particolare, da uno studio condotto su bambini affetti da LLA, è emerso che la terapia
con MTX a dosi superiori a 50.000 mg/m2 si associa
ad una BMD ridotta rispetto al gruppo controllo e
non recuperata dopo sospensione del trattamento44.
Tuttavia, altri studi clinici, condotti su pazienti sopravvissuti alla medesima neoplasia, non hanno
confermato questo dato43.
GLUCOCORTICOIDI
I meccanismi attraverso cui tali farmaci inducono alterazioni del metabolismo osseo nei pazienti pediatrici non sono dissimili da quelli già descritti per gli adulti. In particolare, però, nell’ambito dell’oncologia pediatrica sono stati eseguiti
studi finalizzati alla definizione dei fattori di rischio per l’insorgenza di osteonecrosi (ON) soprattutto a carico della testa del femore, complicanza
correlata alla comparsa di dolore intenso, limitazione funzionale e distruzione dell’articolazione coxo-femorale. Un recente studio prospettico condotto su 694 pazienti pediatrici affetti da LLA ha registrato un’incidenza di ON sintomatica, nel corso
del trattamento o entro un anno dalla sua sospensione, pari al 6,1%. Inoltre, la sintomatologia, talora interessante più articolazioni, è persistita per
circa 5 anni in oltre la metà dei pazienti. Infine, il
rischio di ON è risultato circa 2 volte maggiore nelle femmine, probabilmente a causa della più precoce saldatura delle cartilagini di accrescimento,
rispetto ai soggetti di sesso maschile45.
Nel corso di un’altra recente analisi prospettica
eseguita su 364 pazienti affetti da LLA, circa il
18% dei bambini ha presentato ON sintomatica,
mentre oltre la metà dei pazienti ha sviluppato
una forma asintomatica di tale complicanza; il range di età correlato alla sua maggiore incidenza è
compreso tra 10 e 20 anni, verosimilmente come
conseguenza delle alterazioni dell’assetto ormonale durante l’età adolescenziale46.
TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO
Il rischio di compromissione del metabolismo osseo nei pazienti pediatrici sottoposti a trapianto di
cellule staminali emopoietiche non è stato ancora
ben definito. Nel complesso, valutazioni della BMD
eseguita mediante dual energy x-ray absorptiometry (DXA) hanno dimostrato la presenza di alterazioni seppur lievi anche dopo 10 anni dall’avvenuto trapianto. Si ritiene, tuttavia, che la DXA non sia
adeguata a rapportare la BMD alle dimensioni dei
segmenti scheletrici in età pediatrica per la rapida
variazione del turn-over osseo. Gli agenti alchilanti e gli anti-metaboliti alle dosi utilizzate nelle procedure trapiantologiche possono determinare ipogonadismo iatrogeno, interferendo con lo sviluppo
osseo dei pazienti pediatrici. Inoltre, la nefrotossi-
cità indotta dagli agenti alchilanti comporta deregolazione del metabolismo del calcio e della vitamina D, con conseguente riduzione della BMD. Infine, allo scopo di prevenire le complicanze acute e
croniche del trapianto, i bambini sottoposti a tale
procedura vanno incontro a modificazioni del proprio stile di vita, tra cui la ridotta esposizione alla
luce solare e la tendenza alla sedentarietà, con ulteriori e comprensibili effetti negativi sul proprio
accrescimento scheletrico4,47.
Prevenzione e trattamento
del danno osseo iatrogeno in oncologia
DIAGNOSI
La “bone health” nel paziente oncologico può essere valutata mediante lo studio diretto del contenuto minerale scheletrico in combinazione con il dosaggio di specifici marker bioumorali di catabolismo e anabolismo osseo. Il paziente a rischio di “bone loss” dovrebbe essere sottoposto periodicamente
ad analisi dell’omeostasi calcica sia mediante il dosaggio della calcemia corretta, dei fosfati, del PTH
e della vitamina D, sia mediante il monitoraggio
della funzionalità renale, al fine di individuare e
trattare le condizioni preesistenti e predisponenti
all’insorgenza delle fratture iatrogene.
La densitometria ossea è in grado di misurare il
contenuto minerale osseo e calcolare il rischio di
frattura. La tecnica, basata sulla DXA, si caratterizza per facilità di esecuzione e ripetibilità senza
rischi, scarsa invasività e ridotta emissione di raggi X rispetto alla TC. Selezionata una specifica regione corporea, la DXA estrapola due parametri: il
contenuto minerale osseo (BMC: Bone Mineral Content) espresso in g/cm di segmento osseo e la BMD,
espressa in g/cm² di superficie ossea, con la simultanea ricostruzione di immagini bidimensionali. In
accordo con le più recenti linee-guida48, le anche e le
vertebre lombari sono le regioni esaminate, in quanto meglio rappresentative delle condizioni generali
di “bone health”. Tuttavia, la valutazione densitometrica a livello lombare può divenire meno accurata dopo i 65 anni per la presenza di manifestazioni artrosiche, calcificazioni extra-scheletriche o fratture vertebrali, per cui la valutazione a livello femorale è più accurata. I valori così ottenuti sono
confrontati con quelli attesi in una popolazione di
soggetti adulti sani dello stesso sesso, quale riferimento del picco di massa ossea, e ne viene quindi
calcolata la deviazione standard (T-SCORE). La tabella 2 illustra i range diagnostici secondo l’OMS48.
Tabella 2. Classificazione della “bone health” secondo il T-SCORE.
T-SCORE
Diagnosi
Tra +2,5 e -1 DS
Densità ossea nella norma
Tra -1 e -2,5 DS
Osteopenia
< -2,5 DS
Osteoporosi
379
380
Recenti Progressi in Medicina, 103 (10), ottobre 2012
I marker bioumorali più sensibili nella valutazione del turn-over osseo sono il telopeptide carbossi-terminale del collagene di tipo I (CTX) per
l’attività riassorbitiva, ed il propeptide N-terminale del procollagene di tipo I (PINP), per l’apposizione ossea. Entrambi sono dosabili nelle urine e
nel siero. Il CTX presenta oscillazioni fisiologiche
della sua concentrazione sierica, con un picco mattutino ed un nadir nel pomeriggio, mentre la sua
concentrazione decresce dopo assunzione di cibo,
motivo per il quale è raccomandato il suo dosaggio
a digiuno (figura 2)49,50.
Gli studi EPIDOS e OFLEY hanno dimostrato
aumentata incidenza di fratture nelle donne con livelli oltre i limiti del CTX sierico o urinario, indipendentemente dai valori di BMD51,52.
L’utilizzo della DEXA e di questi marker bioumorali può inoltre risultare predittivo di risposta
alla terapia anti-riassorbitiva. Ad esempio, l’utilizzo di denosumab, anticorpo monoclonale antiRANKL, si associa ad un progressivo aumento della BMD e a diminuzioni significative dei marker
relativi al catabolismo osseo53.
Figura 2. Meccanismi di rilascio dei prodotti di sintesi e degradazione del collagene di tipo I.
Durante la biosintesi del collagene, specifiche peptidasi rimuovono
i pro-peptidi del pro-collagene tipo I (PINP: N-terminale; PICP: C-terminale) i cui livelli sierici ed urinari correlano, pertanto, con l’entità
dell’apposizione di tessuto osseo neoformato. I telopeptidi del collagene di tipo I (NTX: N-terminale; CTX: C-terminale) rappresentano
invece i prodotti di degradazione di tale proteina; i loro livelli sierici
ed urinari correlano quindi con l’entità del riassorbimento osseo.
Correzione degli stili di vita
La prevenzione e la terapia della Cancer Treatment Induced Bone Loss (CTIBL) si avvalgono non
solo di presidî farmacologici, ma anche della correzione degli stili di vita, potenzialmente predisponenti allo sviluppo di una condizione osteopenica o francamente osteoporotica. La cessazione
dell’abitudine tabagica e la limitazione dell’assunzione di alcolici e caffeina rientrano tra le raccomandazioni suggerite ai pazienti neoplastici, unitamente a quella relativa all’implementazione dell’attività fisica nei pazienti con vita sedentaria.
Nello specifico, si ritiene che i pazienti adulti debbano svolgere quotidianamente almeno 30 minuti
di attività fisica moderata, finalizzata all’incremento della forza e della resistenza muscolari, oltre che al miglioramento dell’equilibrio, allo scopo
di limitare il più possibile il rischio di cadute accidentali.
A tali indicazioni si aggiungono quelle relative alla supplementazione dell’introito alimentare
di calcio e vitamina D, che secondo la National
Osteoporosis Foundation, includono l’integrazione giornaliera di 1200 mg di calcio e 800-1000 UI
di vitamina D nei pazienti di età superiore ai 50
anni. Secondo la NCCN Bone Health in Cancer
Care Task Force, questi dosaggi dovrebbero essere applicati anche a pazienti più giovani se facenti
parti delle categorie maggiormente a rischio di
CTIBL49,54.
Trattamento farmacologico
Le linee-guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) sul carcinoma della mammella raccomandano la valutazione densitometrica nelle donne in menopausa precoce a seguito di
trattamento chemioterapico o a causa della assunzione di GnRH, entro i primi sei mesi dalla comparsa di amenorrea. Inoltre, valutazioni periodiche della densitometria ossea sono raccomandate
anche nelle donne in menopausa in trattamento
con inibitori dell’aromatasi. La terapia con bifosfonati (BPs) o denosumab deve essere intrapresa in
presenza di frattura da fragilità, indipendentemente dal valore della BMD, ovvero nelle pazienti
con BMD < -2 ed in quelle con BMD compresa tra
-1 e -2 in presenza di ulteriore fattore di rischio per
eventi scheletrici (età >60 anni, pregresse fratture
da fragilità, ridotto BMI, familiarità per fratture
osteoporotiche, tabagismo). Questa terapia è consigliata alle pazienti di età superiore ai 75 anni,
ma anche a donne di età compresa tra i 60 e i 75
anni con BMD inferiore a 0, in presenza di un fattore di rischio aggiuntivo.
Anche per i pazienti affetti da carcinoma della
prostata in terapia anti-androgenica è raccomandato il monitoraggio della densità ossea ed è indicata la terapia con denosumab o eventualmente
con BPs in caso di riduzione della BMD o in presenza di altri fattori di rischio55.
Lo studio ARIBON ha dimostrato che pazienti
in trattamento ormonale per carcinoma della
mammella con anastrozolo 1 mg/die e ibadronato
150 mg settimanali subiscono un incremento della
BMD a livello lombare del 3% rispetto al valore basale entro due anni dall’inizio del trattamento56.
Simile efficacia è stata comprovata anche nel trattamento con risedronato nello studio SABRE, che
ha monitorato donne in trattamento con anastrozolo ad elevato rischio di frattura57.
S. D’Oronzo et al.: La “bone health” nel paziente oncologico
Lo studio Z-FAST ha arruolato 602 donne in
menopausa in trattamento con letrozolo, randomizzate ad intraprendere assunzioni semestrali di
acido zoledronico (ZA) 4 mg ev, rispettivamente in
contemporanea all’inizio della terapia ormonale o
successivamente alla comparsa della osteopenia,
con evidenza di un vantaggio significativo nel primo gruppo58.
Gnant et al.59 hanno confrontato in uno studio
di fase III pazienti in menopausa precoce in trattamento con tamoxifene, goserelin e ZA, pazienti
in terapia con anastrozolo, goserelin e ZA, e pazienti in esclusiva terapia ormonale, monitorandone la densità ossea ogni 6 mesi per 3 anni. Sebbene le donne in trattamento con analogo del GnRH
in associazione ad anastrozolo e ZA avessero presentato una riduzione maggiore della BMD della
colonna lombare rispetto a quelle in trattamento
con tamoxifene, entrambi questi gruppi mostravano valori densitometrici migliorati rispetto ai controlli.
Infine, Miller et al.60 hanno riportato significativa riduzione dei biomarker di metabolismo
osseo e l’aumento graduale di BMD in donne in
menopausa trattate continuativamente per sei
anni con denosumab, mentre altri studi ne hanno confermato l’efficacia in uomini sottoposti a
deprivazione androgenica per carcinoma della
prostata: dopo 36 mesi di trattamento semestrale con denosumab veniva osservato aumento della BMD in tutti i segmenti ossei analizzati rispetto al placebo. Il miglioramento era evidente
sia nei pazienti anziani con i più elevati valori
sierici di marker di riassorbimento osseo, sia nei
pazienti con pregressa frattura vertebrale o BMD
ai limiti inferiori della norma al momento dell’arruolamento. L’incidenza di fratture vertebrali scendeva infatti del 62% nei pazienti in trattamento con denosumab61.
Conclusioni
Il danno osseo iatrogeno nel paziente oncologico è un’evenienza tutt’altro che infrequente. Ai fisiologici meccanismi che portano alla riduzione
della BMD, considerata l’età generalmente avanzata di questi pazienti, si affiancano quelli provocati dalle terapie ormonali e dai chemioterapici.
L’utilizzo di regimi polichemioterapici e/o della
target therapy e la frequente associazione con altri trattamenti osteopenizzanti, tra cui l’ormonoterapia e la radioterapia, ostacolano una quantificazione definita della “bone loss” indotta dal singolo agente anti-neoplastico. Inoltre, un’analisi
ben ponderata della problematica dovrebbe farsi
carico di considerare anche gli effetti sul tessuto
scheletrico legati direttamente alla presenza della patologia neoplastica. Pertanto sono necessari
studi atti a definire la “bone loss” connessa alla
neoplasia e all’età del paziente, ovvero all’effetto
negativo sul turn-over osseo dovuto alla terapia
anti-neoplastica.
Considerando le forti ricadute sulla qualità di
vita, emerge la necessità di associare ai routinari
esami di stadiazione del paziente oncologico, valutazioni periodiche e dettagliate della “bone health”,
mediante studio sia metabolico, sia densitometrico
dell’osso attraverso varie indagini: la raccolta
anamnestica per l’eventuale riscontro di fattori di
rischio per osteoporosi, l’analisi dell’omeostasi calcica, il dosaggio di vitamina D e PTH, lo studio dei
marker di riassorbimento e rimodellamento osseo
e la misura della BMD. Tali valutazioni possono
consentire l’attuazione di misure preventive, essendo ormai evidente come l’inizio del trattamento a danno osseo già inveterato comporti beneficî
nettamente inferiori.
Ringraziamenti
Il lavoro è sovvenzionato dall’Associazione Italiana per la
Ricerca Contro il Cancro (AIRC 2011, IG 11647) e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), PRIN
2009 (WZHMWJ).
Bibliografia
1. Stava CJ, Jimenez C, Hu MI, Vassilopoulou-Sellin
R. Skeletal sequelae of cancer and cancer treatment.
J Cancer Surviv 2009; 3: 75-88.
2. Weilbaecher KN. Mechanisms of osteoporosis after
hematopoietic cell transplantation. Biol Blood Marrow Transplant 2000; 6: 165-74.
3. Raisz LG. Physiology and pathophysiology of bone
remodeling. Clin Chem 1999; 45: 1353-8.
4. McClune BL, Polgreen LE, Burmeister LA, et al.
Screening prevention and management of osteoporosis and bone loss in adult and pediatric
hematopoietic cell transplant recipients. Bone Marrow Transplant 2011; 46: 1-9.
5. Higano CS. Androgen-deprivation-therapy-induced
fractures in men with non metastatic prostate cancer: what do we really know? Nat Clin Pract Urol
2008; 5: 24-34.
6. Love RR, Mazess RB, Barden HS, et al. Effects of tamoxifen on bone mineral density in postmenopausal
women with breast cancer. N Engl J Med 1992; 326:
852-6.
7. Vehmanen L, Elomaa I, Blomqvist C, Saarto T. Tamoxifen treatment after adjuvant chemotherapy has
opposite effects on bone mineral density in premenopausal patients depending on menstrual status. J Clin Oncol 2006; 24: 675-80.
8. Eastell R, Adams JE, Coleman RE, et al. Effect of
anastrozole on bone mineral density: 5-years results from the anastrozole, tamoxifen, alone or in
combination trial 18233230. J Clin Oncol 2008; 26:
1051-7.
9. Eastell R, Adams J, Clack G, et al. Long-term effects
of anastrozole on bone mineral density: 7-year results from the ATAC trial. Ann Oncol 2011; 22: 85762.
10. Rabaglio M, Sun Z, Price KN, et al. Bone fractures
among postmenopausal patients with endocrine-responsive early breast cancer treated with 5 years of
letrozole or tamoxifen in the BIG 1-98 trial. Ann Oncol 2009; 20: 1489-98.
381
382
Recenti Progressi in Medicina, 103 (10), ottobre 2012
11. Goss PE, Qi S, Cheung AM, Hu H, Mendes
M, Pritzker KP. Effects of the steroidal aromatase
inhibitor exemestane and the nonsteroidal aromatase inhibitor letrozole on bone and lipid metabolism in ovariectomized rats. Clin Cancer Res 2004;
10: 5717-23.
12. Coleman RE, Banks LM, Girgis SI, et al. Skeletal effects of exemestane on bone-mineral density bone biomarkers and fracture incidence in postmenopausal
women with early breast cancer participating in the
intergroup exemestane study (IES): a randomised
controlled study. Lancet Oncol 2007; 8: 119-27.
13. Aihara T, Suemasu K, Takei H, et al. Effects of exemestane, anastrozole and tamoxifen on bone mineral density and bone turnover markers in postmenopausal early breast cancer patients: results of
N-SAS BC 04, the TEAM Japan substudy. Oncology 2010; 79: 376-81.
14. McCloskey EV, Hannon RA, Lakner G, et al. Effects
of third generation aromatase inhibitors on bone
health and other safety parameters: results of an open
randomised multi-centre study of letrozole exemestane and anastrozole in healthy postmenopausal
women. Eur J Cancer 2007; 43: 2523-31.
15. Greenspan SL, Coates P, Sereika SM, Nelson JB,
Trump DL, Resnick NM. Bone loss after initiation of
androgen deprivation therapy in patients with
prostate cancer. J Clin Endocrinol Metab 2005; 90:
6410-7.
16. Kiratli BJ, Srinivas S, Perkash I, Terris MK. Progressive decrease in bone density over 10 years of
androgen deprivation therapy in patients with
prostate cancer. Urology 2001; 57: 127-32.
17. Smith MR, Boyce SP, Moyneur E, Duh MS, Raut
MK, Brandman J. Risk of clinical fractures after gonadotropin-releasing hormone agonist therapy for
prostate cancer. J Urol 2006; 175: 136-9.
18. Swaminathan R. Magnesium metabolism and its
disorders. Clin Biochem Rev 2003; 24: 47-66.
19. Abed E, Moreau R. Importance of melastin-like transient receptor potential 7 and magnesium in the
stimulation of osteoblast proliferation and migration
by platelet-derived growth factor. Am J Physiol Cell
Physiol 2009; 297: C360-8.
20. Atkinson SA, Fraher L, Gundberg CM, Andrew M,
Pai M, Barr RD. Mineral homeostasis and bone
mass in children treated for acute lymphoblastic
leukemia. J Pediatr 1989; 114: 793-800.
21. Pfeilschifter J, Diel IJ. Osteoporosis due to cancer
treatment: pathogenesis and management. J Clin
Oncol 2000; 18: 1570-93.
22. Ponnapakkam T, Katikaneni R, Nichols T, et al. Prevention of chemotherapy-induced osteoporosis by cyclophosphamide with a long-acting form of parathyroid hormone. J Endocrinol Invest 2011; 34: e392-7.
23. Church DN, Hassan AB, Harper SJ, Wakeley CJ,
Price CG. Osteomalacia as a late metabolic complication of ifosfamide chemotherapy in young adults:
illustrative cases and review of the literature. Sarcoma 2007: 91586.
24. Kim Y, Yoon JY, Hwang JE, et al. Reversible proximal renal tubular dysfunction after one-time ifosfamide exposure. Cancer Res Treat 2010; 42: 244-6.
25. Nissim I, Horyn O, Daikhin Y, et al. Ifosfamide-induced nephrotoxicity: mechanism and prevention.
Cancer Res 2006; 66: 7824-31.
26. Sehirli O, Sakarcan A, Velioǧlu-Oǧünç A, et al.
Resveratrol improves ifosfamide-induced Fanconi
syndrome in rats. Toxicol Appl Pharmacol 2007; 222:
33-41.
27. Duck L, Devogelaer JP, Persu A, et al. Osteomalacia
due to chemotherapy-induced fanconi syndrome in
an adult patient. Gynecol Oncol 2005; 98: 329-31.
28. Friedlaender GE, Tross RB, Doganis AC, Kirkwood
JM, Baron R. Effects of chemotherapeutic agents on
bone. Short-term methotrexate and doxorubicin
(adriamycin) treatment in a rat model. J Bone Joint
Surg Am 1984; 66: 602-7.
29. Young DM, Fioravanti JL, Olson HM, Prieur DJ.
Chemical and morphologic alterations of rabbit bone
induced by adriamycin. Calcif Tissue Res 1975; 18:
47-63.
30. Van Leeuwen BL, Hartel RM, Jansen HW, Kamps
WA, Hoekstra HJ. The effect of chemotherapy on the
morphology of the growth plate and metaphysis of the
growing skeleton. Eur J Surg Oncol 2003; 29: 49-58.
31. Aksnes LH, Bruland ØS. Some musculo-skeletal sequelae in cancer survivors. Acta Oncol 2007; 46: 490-6.
32. Den Uyl D, Bultink IEM, Lems WF. Advances in glucocorticoid-induced osteoporosis. Curr Rheumatol
Rep 2011; 13: 233-40.
33. Weinstein RS. Glucocorticoid-induced bone disease.
N Engl J Med 2011; 365: 62-70.
34. Berman E, Nicolaides M, Maki RG, et al. Altered
bone and mineral metabolism in patients receiving
imatinib mesylate. N Engl J Med 2006; 354: 200613.
35. Grey A, O’Sullivan S, Reid IR, Browett P. Imatinib
mesylate increased bone formation and secondary
hyperparathyroidism. N Engl J Med 2006; 355:
2494-5.
36. O’Sullivan S, Naot D, Callon KE, et al. Imatinib mesylate does not increase bone volume in vivo. Calcif
Tissue Int 2011; 88: 16-22.
37. Fitter S, Dewar AL, Kostakis P, et al. Long-term
imatinib therapy promotes bone formation in CML
patients. Blood 2008; 111: 2538-47.
38. Hautmann AH, Elad S, Lawitschka A, et al. Metabolic bone diseases in patients after allogeneic
hematopoietic stem cell transplantation: report from
the consensus conference on clinical practice in
chronic graft-versus-host disease. Transpl Int 2011;
24: 867-79.
39. Bluemke DA, Fishman EK, Scott WW. Skeletal complications of radiation therapy. RadioGraphics 1994;
14: 111-21.
40. Williams HJ, Davies AM. The effect of X-rays on
bone: a pictorial review. Eur Radiol 2006; 16: 619-33.
41. Vassilopoulou-Sellin R, Brosnan P, Delpassand A, Zietz H, Klein MJ, Jaffe N. Osteopenia in young adult
survivors of childhood cancer. Med Pediatr Oncol 1999; 32: 272-8.
42. Adler RA. Cancer treatment-induced bone loss. Curr
Opin Endocrinol Diabetes Obes 2007; 14: 442-5.
43. Fan C, Georgiou KR, King TJ, Xian CJ. Methotrexate toxicity in growing long bones of young rats: a
model for studying cancer chemotherapy-induced
bone growth defects in children. J Biomed Biotechnol 2011; 2011: 903097. Epub 2011 Mar 17.
44. Mandel K, Atkinson S, Barr RD, Pencharz P. Skeletal morbidity in childhood acute lymphoblastic
leukemia. J Clin Oncol 2004; 22: 1215-21.
45. Winkel ML, Pieters R, Hop WC, et al. Prospective
study on incidence risk factors and long-term outcome of osteonecrosis in pediatric acute lymphoblastic leukemia. J Clin Oncol 2011; 29: 4143-50.
46. Kawedia JD, Kaste SC, Pei D. Pharmacokinetic
pharmacodynamic and pharmacogenetic determinants of osteonecrosis in children with acute lymphoblastic leukemia. Blood 2011; 117: 2340-7.
S. D’Oronzo et al.: La “bone health” nel paziente oncologico
47. Wasilewski-Masker K, Kaste SC, Hudson Melissa M,
Esiashvili N, Mattano LA, Meacham LR. Bone mineral density deficits in survivors of childhood cancer:
long-term follow-up guidelines and review of the literature. Pediatrics 2008; 121: e705-13.
48. Adami S, Bertoldo F, Brandi ML, et al. Guidelines
for the diagnosis prevention and treatment of osteoporosis. Reumatismo 2009; 61: 260-84.
49. Gralow JR, Biermann JS, Farooki A, et al. NCCN
task force report: bone health in cancer care. J Natl
Compr Canc Netw 2009; 7: S1-32.
50. Lee J, Vasikaran S. Current recommendations for
laboratory testing and use of bone turnover markers
in management of osteoporosis. Ann Lab Med 2012;
32: 105-12.
51. Garnero P, Hausherr E, Chapuy MC, et al. Markers
of bone resorption predict hip fracture in elderly
women: the EPIDOS prospective study. J Bone Miner Res 1996; 11: 1531-8.
52. Garnero P, Sornay-Rendu E, Claustrat B, Delmas
PD. Biochemical markers of bone turnover endogenous hormones and the risk of fractures in postmenopausal women: the OFELY study. J Bone Miner Res 2000; 15: 1526-36.
53. McClung MR, Lewiecki EM, Cohen SB, et al. Denosumab in postmenopausal women with low bone
mineral density. N Engl J Med 2006; 354: 821-31.
54. Guise TA. Bone loss and fracture risk associated
with cancer therapy. Oncologist 2006; 11: 1121-31.
55. Linee guida AIOM 2011. Trattamento delle metastasi ossee.
Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Franco Silvestris
Università Aldo Moro
Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana
Sezione di Medicina Interna e Oncologia Clinica
Piazza Giulio Cesare, 11
70124 Bari
E-mail: [email protected]
56. Lester JE, Dodwell D, Purohit OP, et al. Prevention
of anastrozole-induced bone loss with monthly oral
ibandronate during adjuvant aromatase inhibitor
therapy for breast cancer. Clin Cancer Res 2008; 14:
6336-42.
57. Van Poznak C, Hannon RA, Mackey JR, et al. Prevention of aromatase inhibitor-induced bone loss using risedronate: the SABRE trial. J Clin Oncol 2010;
28: 967-75.
58. Brufsky AM, Harker WG, Beck JT, et al. Final 5year results of Z-FAST trial: adjuvant zoledronic
acid maintains bone mass in postmenopausal breast
cancer patients receiving letrozole. Cancer 2012;
118: 1192-201.
59. Gnant MFX, Mlineritsch B, Luschin-Ebengreuth G,
et al. Zoledronic acid prevents cancer treatment-induced bone loss in premenopausal women receiving
adjuvant endocrine therapy for hormone-responsive
breast cancer: a report from the Austrian breast and
colorectal cancer study group. J Clin Oncol 2007; 25:
820-8.
60. Miller PD, Wagman RB, Peacock M, et al. Effect of
denosumab on bone mineral density and biochemical
markers of bone turnover: six-year results of a phase
2 clinical trial. J Clin Endocrinol Metab 2011; 96:
394-402.
61. Smith MR, Egerdie B, Hernández Toriz N, et al.
Denosumab in men receiving androgen-deprivation
therapy for prostate cancer. N Engl J Med 2009; 361:
745-55.
383