VITA DA OSS - Scuola CASH di D´Addio Dario

Transcript

VITA DA OSS - Scuola CASH di D´Addio Dario
VITA DA O.S.S.
Se c’è una suoneria che non vorresti mai e poi mai dover sentire, è quella della sveglia alle cinque del mattino!
D’altra parte, qualche ora prima le hai dato la carica, hai regolato le lancette e lei, sempre ligia al dovere che le
compete, ti avverte che l’ora à giunta!
Qualche volta decidiamo di stare ancora cinque minuti e quando succede che si prende la sciagurata decisione, il
risultato è che alle sei e un quarto il silenzio della tua casa viene scosso da un altro suono: quello del telefono,
seguito dalla voce della tua collega che ti ricorda che forse hai qualcosa da fare dalle parti della struttura!
Come sempre in questi casi, ti ribalti giù dal letto e pensi: ”Porca miseria, lo sapevo, lo sapevo!”. Mai fidarsi dei
cinque minuti!
La mia suona esattamente alle 4.30, (ma devo precisare che il mio caso non fa testo), ormai da ventitré anni!:
Tutto è regolato al minuto: alle 4,50 in cucina per la colazione, e alle 5.10 bicicletta alla mano, eccetto se piove,
pedalo lentamente nel buio e nel silenzio di quel che resta della notte, con l’odore del pane che esce dal camino
del fornaio qui vicino e mi avvio verso una nuova giornata di lavoro.
Si arriva alla spicciolata, molti con le auto, altri in motorino, e qualcun altro in bici: tutti con la stessa espressione di
chi è lì, ma la testa è ancora sul cuscino!
Raggiunto il piano con l’ascensore, spalanchi la porta di entrata al reparto e vieni puntualmente raggiunto dagli
aromi tipici del mattino (il fornaio è lontano!), combinati con i lamenti di chi, alle cinque e trenta, era nella lista dei
clismi!
Questo è sempre il nostro buongiorno, e loro sono pronti per essere aiutati a vivere una nuova giornata insieme a
noi.
Certo, non è una professione semplice e loro ogni giorno mettono alla prova la nostra integrità psicologica e
fisica!Ci sono giorni, poi, dove davvero saresti tentato di scappare, giorni durante i quali, per varie ragioni sono
particolarmente agitati: ne basta uno che alzi il tono della voce appena poco più del normale, per tirarseli dietro di
tutti, e per chi fa il nostro mestiere, c’è ben poco spazio per la fantasia!
“Ogni testa è un piccolo mondo!”, si usa dire, e vale anche qui, per i nostri ospiti, anzi, forse vale in questi posti più
che in qualunque altro, perché qui, vuoi per la patologia di cui sono affetti, vuoi che, come si dice, più si invecchia
e più non si migliora, hai il tuo bel daffare a stare dietro di tutti, cercare di capire di ognuno la sua psicologia, a
conoscere cosa gli piace o cosa lo rende nervoso.
Devi imparare presto a essere un sacco di persone: dall’assistente al consolatore, dal diplomatico allo psicologo,
ogni volta una personalità diversa!
Durante gli anni di servizio, fino a ora, sono stato chiamato con molti nomi, più spesso che con il mio.
Alcuni di quelli che c’erano quando ho iniziato qui ci sono ancora, ad esempio la signora Alice. Lei voleva
diventare suora, ma per qualche ragione non ci è riuscita.
Negli anni in cui era ancora autosufficiente, faceva parte di una delegazione che durante la giornata aiutava le
ragazze del guardaroba, con piccoli lavori di sartoria.
Poi, pian piano, come detto, non è che col tempo si migliora, e anche per lei è venuto il momento della carrozzina
e poi del farsi imboccare.
Con ciò, è ancora una persona piena di risorse, un personaggio, direbbe qualcuno.
La signora Alice richiede un’assistenza completa, a partire dall’igiene del mattino. Il punto, con lei, è questo: fino a
un momento prima che qualche operatore le si avvicina, braccia e gambe si muovono in azioni da vera ginnasta,
ad esempio quando pratica yoga estremo, che consiste nel tenere alzato il cuscino che dovrebbe stare sotto la
testa, per tutto il tempo durante il quale non entra nessuno nella sua stanza, oppure essere in grado di sfilarsi le
talloniere e lanciarle in ogni angolo del letto, quando non le usa come paraorecchie.
Riesce persino a spogliarsi, dopo che l’hanno vestita, pronta per essere mobilizzata col sollevatore e calata in
carrozzina.
Ma il bello di tutta questa storia arriva sempre quando entriamo in scena noi. Come d’incanto, lei smette di avere
qualunque reazione e inizia a recitare la parte che l’ha resa famosa ai quattro angoli del reparto: la finta morta!
Ecco, immaginate di dover lavare un cadavere, freddo, immobile, il suo peso che raddoppia, proprio in funzione
del fatto che è, appunto, a “peso morto”!
La signora Caterina non ha grande simpatia tra le sue compagne di stanza e non, perché la sua lingua “è una
spada”, e non risparmia nessuno, compreso noi, naturalmente!
Dovreste vederla confrontarsi verbalmente con gli altri, con un vocabolario che per pudore vi risparmio. L’altro alza
la voce?.Lei la alza di più! L’altro le minaccia la pelle?. Lei risponde:”Fatti sotto se hai coraggio!”.
Noi alziamo gli occhi al cielo, poi interveniamo, e alla fine siamo sempre dei venduti, perché: ”Eh si, è sempre
colpa mia!” E pensare che comincia proprio lei!
Potrei dire che, in una normale settimana di lavoro è diplomatica per almeno 120 minuti pensare che quando la
alzi al mattino, è proprio diciamo così, leggera!
La sua compagna di stanza è la signora Elsa, e non potrei proprio non menzionarla.
Donna di carattere, inutile dire che l’ultima parola è sempre la sua, magari si potrebbe aggiungere che di solito
gliela lasciamo, ma mentirei spudoratamente…
Da parecchio tempo, ormai, mi ha identificato come “Gino”. Non so bene chi sia esattamente, a volte le hanno
chiesto chi fosse, ma ovviamente la risposta non è sempre quella. Solo una cosa è certa: considerato il piglio
critico e imperativo con il quale spesso si rivolge alla mia persona, questo Gino non deve avere avuto vita facile!
Se aggiungete a questo il fatto che lui non è più da anni, mentre lei è ancora salda al suo timone, si rafforza
maggiormente la tesi secondo la quale le donne campano di più! Secondo il suo parere, sono ormai un
incompetente cronico! Improvvisamente non sono più in grado di svolgere bene nulla, di più, ancora non riesce a
capire come mai non mi abbiano già mandato a casa, e si arrabbia ulteriormente quando ti ostini in alcune azioni
che lei rifiuta con decisione, tanto da arrivare alle minacce fisiche:! “Ti lancerei una scarpa!”.
Poi c’è Lui, sì, proprio scritto così, con l’elle maiuscola, e non c’è assolutamente bisogno che ne scriva il nome,
perché tutti sanno di chi si tratta, visto che la sua fama e le sue azioni lo precedono!
Quando poco prima delle sei di mattina, sali a dare il cambio alla collega della notte, prima di tutto, prima di tutti,
prima del mondo, la osservi con sguardo indagatore e le chiedi: ”Lui ha dormito?”. Se la risposta è sì, tutti
concordiamo che quel turno di notte appena passato è stato un turno di grande fortuna.
Se la risposta è no, la domanda successiva è: ”Quante volte?”
Se fossimo nella realtà temporale degli Indiani D’America, nella quale loro davano alle persone il nome che più le
definiva, nome tratto da una qualche esperienza che li aveva particolarmente segnati, da vittorie di guerra, da usi
o comportamenti personali, il suo sarebbe: ”Colui Che Suona Il Campanello Quindici Volte.”
Eppure, è la mascotte del reparto, inguaribile e indomabile Don Giovanni, di quelli che “Ma che ci fai tu alle
donne?”, e lui ti risponde: ”Io? Niente!”
E’ che te lo dice con la stessa espressione del gatto che ha appena mangiato il topo!
Lui che dovrebbe deambulare SOLO se accompagnato, spesso si fa un baffo delle regole, che nel suo caso,
spesso è tradotto: tutti i giorni!
Lui che dovrebbe stare seduto, invece cerca sempre una scusa per muoversi, per sfuggire quella che a volte Lui
chiama”La sua prigione”!
Ritengo interessante, la descrizione del suo letto, quello che noi il mattino rifacciamo e cambiamo come tutti i letti
normali, e che Lui, dopo, riesce sempre a trasformare nel talamo più complicato che mente umana possa
elaborare! Tanto che adesso che ci penso, rinuncio alla descrizione perché mi perderei.
Tra le federe e i cinque strati di coperte, inframmezzati dagli asciugamani, trasformati nell’occasione in
poggiapiedi, escludendo il surplus di cuscini, cuscinetti, poggiatesta, schienale regolabile, airbag, porta bottiglietta,
porta telecomando spuntino di mezzanotte!
Se pensate che le nostre notti siano tranquille, vi consiglio di non puntare cifre troppo alte!
Sicuramente, doversi curare delle persone che stanno attraversando l’ultimo miglio della loro esistenza, e quindi,
accompagnarle in questo cammino, non è cosa semplice.
Ci vuole uno spirito di positività, in una realtà che di positivo non ha niente: una vita intera di lavoro, di famiglie, di
sacrifici, finisce così, in un letto che non è quello di casa tua, a dividere uno spazio con un altro come te, o forse
che sta anche peggio, se quello che sta peggio non sei tu, in un reparto dove ci sono altri nella tua condizione, o
comunque, ognuno nella sua, che sono lì ad attendere, anche quelli che per varie ragioni non ne sono più
consapevoli, che arrivi quel giorno.
Ogni mattina entriamo nella loro stanza dandogli il buongiorno, e pronunciandolo con tono, come dire, positivo,
chiedendo come hanno passato la notte, notizie sul tempo che fa dietro la tapparella appena alzata, per iniziare
con la loro igiene, la vestizione, e quanto serve alla loro persona, alla loro dignità.
Prepararli alla colazione, preludio a tutta la giornata che hanno davanti, dalla palestra, all’incontro nel salone con
l’animatrice e le altre operatrici, ai parenti e ai conoscenti che vengono in visita, al giorno della parrucchiera, al
bagno settimanale, alle feste di compleanno o comandate, a ogni momento, quando possibile, in cui sedersi
accanto a loro e ascoltarli, per sentire la voce di una solitudine che c’è, che arriva precisa e puntuale quando
sempre più entriamo nell’età cosiddetta”Terza”, ovvero quando il mondo di cui hai fatto parte, comincia a metterti
in disparte, perché hai già dato, come cittadino, come lavoratore, e bisogna fare posto agli altri.
E’ ora che tu e tutto quello che è stato il tuo tempo cominciate a trovarvi un posto in soffitta, il mondo continua a
correre, ad andare avanti, e si dimentica che ci sei, cosa sei stato, e cosa hai fatto.
Tutto quello che parla del tuo nome e del tuo cognome, si ritrova in quella valigia di tanti anni fa, che avevi usato
per andare a trovare lavoro in un altro paese, ci sono dentro i tuoi vestiti, nemmeno tutti, nemmeno quelli che
portavi di solito, perché una qualche malattia non ti ha lasciato proprio com’eri trenta anni prima, e la tuta è più
comoda, da mettere e da togliere. Non ci sta proprio niente delle cose che potrebbero parlare di te, i libri che hai
letto, i viaggi che hai fatto, i sogni che hai perso.
Che ironia, proprio vero che l’esperienza non serve a niente e a nessuno. Quante persone, durante una vita
lavorata nel nostro settore, passano di qui, per le nostre strutture, i loro corridoi, le loro stanze, i loro saloni e i
luoghi dove si svolgono le varie attività quotidiane.
Un mare di facce, di storie e vissuti diversi, un mare di caratteri, di personalità, ma soprattutto i protagonisti di un
tempo che poco a poco se ne va, insieme a coloro che quel tempo lo hanno vissuto, lo hanno fatto, con le loro
storie personali, tante e diverse, ma tutte accomunate dalle stesse fatiche, dagli stessi sacrifici, dagli stessi
drammi, dalla stessa povertà e miseria, ma anche dalla stessa disperata volontà di vivere e di costruire il futuro,
non solo il loro, ma anche quello di un intero Paese.
E per quelli che non possono parlare, parlano i loro familiari, a raccontare chi erano, cosa hanno fatto, come
hanno vissuto, prima che una malattia li costringesse per sempre in un letto, portandoseli via poco alla volta,
deformando i loro corpi, trasformando le loro facce in autentiche maschere di quel dolore, di quella sofferenza,
spesso silenziosa, perché la malattia gli ha compromesso anche le corde vocali, e non gli permette di gridare
niente, né il male, né la rabbia.
Tutto è soffocato dentro, ma i corpi e le facce parlano lo stesso.
Noi diventiamo il diario vivente di vite difficili, povere, di tante confidenze, spesso dolorose. Quel dolore, spesso, di
figli che hanno abdicato alla vita prima di loro, per una malattia o un incidente, e bene sappiamo cosa vuol dire per
gli occhi e il cuore di un padre e di una madre, salutare per sempre un figlio, e tu essere condannato a vivere,
ancora e di più.
Molti sono morti soli, ma proprio soli, perché al massimo avevano un nipote.
Vi è mai capitato di vedere un carro funebre partire, seguito da una macchina soltanto? È successo due volte fino
ad ora, me lo ricordo bene.
Fui proprio alla finestra quando il carro partì e dietro di lui c’era solamente la macchina della nipote. Riuscite a
immaginare una scena così? Dire che è triste, è dire poco.
Siamo, quanti, sei/sette miliardi sulla terra? Pensate a come siamo soli!
La signora Bruna è un tipico caso di Alzheimer, infatti ogni giorno ti chiede sempre le stesse cose. Non abbiamo
mai tenuto il conto di quante volte ti fa domande e penso che dire una cinquantina non sia poi così esagerato!
Non è semplice dover rispondere in continuazione a tutta una serie di domande che ti vengono poste come una
mitragliata a cinque secondi di distanza una dall’altra!
Ma la cosa triste è questo tono così pieno di ansi, di incertezza, come essere alla fermata del bus e, non
vedendolo arrivare cominciare a chiedersi: ”Arriverà o e’ già passato?” e sperare che proprio in quel momento si
materializzi all’orizzonte!
L’altra nostra particolarità è che siamo come le spugne: noi veniamo influenzati inconsciamente da certi tratti
caratteriali e comportamentali dei nostri ospiti.
E lo vediamo quando facciamo cose che non dovremmo fare, come ad esempio immergere il pettine nel bicchiere
che contiene l’acqua per lavarsi i denti, oppure cercare di avvitare il tappo del tubetto di dentifricio sul pettine e
chiedersi pure perché non si avvita, o telefonare col telecomando della tv, digitando più volte il numero e non
sapersi spiegare perché non si sente nemmeno il “tut tut” della linea telefonica!
La nuova arrivata, la signora Rada, pensava che fossi Greco! Quando le ho detto che ero Italiano, ha trovato la
cosa particolarmente divertente! Ma c’è di più, pensava che il mio nome fosse qualcosa del tipo: Moeko. Quando
le ho detto che il mio nome è Luigi, ha trovato la cosa particolarmente divertente!
No, non è un lavoro semplice il nostro, ma tutto quello che facciamo ha sempre un primo e solo obiettivo: farli
ancora sentire qualcuno, che hanno ancora un posto nel mondo, anche se quel mondo diventa la loro stanza e il
resto della Struttura.
Poi arriva finalmente la sera, dopo cena inizia la migrazione, ognuno va o viene portato verso la sua camera, è il
momento dell’allettamento e se qualcuno pensa: ”Sarà il momento più tranquillo, ormai stanchi e spossati da una
giornata sempre molto iperattiva….
Vi rispondo così: secondo me sono caduti in una pentola di Red Bull!
Il momento dell’allettamento serale, al contrario, li ricarica! Il reparto viene percorso e scosso dalle urla di una, alle
quali rispondono gli insulti dell’altra, che viene attraversata dalla televisione col volume modello cinema dalla
stanza di un’altra ancora, provocando così l’ira funesta dell’ospite accanto, il quale non può dormire, e vorrebbe
poter camminare perché così farebbe fuori tutti!.
Poi abbiamo Lui, quasi pronto per entrare nel suo talamo tecnologico, dove, appena posate le stanche membra,
inizierà a tempestarci di richieste, tante e a volte assurde.
Noi lo sistemiamo, ma la sistemazione è sempre molto provvisoria, anticipazione delle prossime chiamate via
campanello che seguiranno nelle ore successive.
Quando sembra che possa prendere sonno, lo saluti, gli auguri la buonanotte ed esci dalla stanza. Sono le 20.30.
Chiudi gli ultimi sacchi, sistemi i carrelli, raccogli le ultime cose, rimetti tutto secondo un ordine prestabilito. Da
sessanta secondi sessanta, improvvisamente, magicamente, miracolosamente tutto tace, sembra proprio che ci
sarà un po’ di tregua, ma proprio in quel preciso momento, nel silenzio più totale, un campanello suona. Alzi lo
sguardo per vedere chi è, ma lo sai già: è Lui (e sono le 20.35)! Buonanotte….
Gianluigi Rossetti