La pianificazione strategica partecipata in Italia

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La pianificazione strategica partecipata in Italia
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l Formez nel 2001 ha rilanciato e potenziato
l’attività editoriale con una nuova veste grafica e
con contenuti fortemente collegati alle attività di
formazione, assistenza e consulenza.
L
La produzione editoriale si articola in tre collane:
“Quaderni”, momenti di riflessione teorica e culturale su
temi di grande rilievo per la Pubblica Amministrazione e
per lo sviluppo locale; “Strumenti”, guide, manuali e
modulistica di supporto agli operatori pubblici e privati;
A
“Azioni di Sistema per la Pubblica Amministrazione” che
presentano i risultati dei progetti realizzati all’interno delle
Azioni di Sistema del Fondo Sociale Europeo per sostenere i
processi di riforma della P.A.
Nel 2005 sono state riattivate le collane “Materiali” e
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“Materiali Azioni di Sistema per la P.A.” che contengono
una documentazione didattica immediata e preziosa su
attività di formazione e assistenza dell’Istituto.
Esse rappresentano anche un momento di verifica e uno
strumento utile ad attivare rapporti di partenariato e di
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scambio tra le esperienze realizzate in vari contesti.
Pertanto possono essere la base per futuri approfondimenti
e sono comunque un prodotto finito di formazione
permanente per tutti gli utenti.
Questo volume presenta i risultati dell’indagine “La
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pianificazione strategica partecipata in Italia” condotta
nell’ambito della Linea Osservatorio del Progetto
Governance.
La ricerca ricostruisce i processi di urban local governance
attivati di recente da alcuni comuni italiani, che
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rappresentano casi emblematici della riconfigurazione del
ruolo dell’ente locale in materia di sviluppo locale, quale
soggetto promotore di reti allargate per la valorizzazione del
capitale sociale e l’individuazione condivisa e partecipata
di idee di sviluppo delle città e dei territori.
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Sono state approfondite 16 esperienze di “buone pratiche”,
mettendo in evidenza i possibili punti di forza e di
debolezza e tracciando infine delle utili linee guida, da
intendersi quali consigli pratici alle altre amministrazioni
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che intendono percorrere processi di innovazione analoghi.
Angelo Raffaele Dinardo
Vicepresidente Formez
Questo volume è stato redatto nell’ambito del Progetto Governance, Linea Osservatorio,
finanziato dal Dipartimento della Funzione Pubblica.
A cura di
Giuseppe Gioioso, Centro competenza Diffusione dell’innovazione e del benchmarking,
Formez
con la collaborazione di
Elisabetta D’Agostino
L’indagine è stata realizzata da
CRUTA (Centro Ricerche Urbane Territoriali e Ambientali) dell’Università di Ferrara
Responsabile scientifico: Paolo Ceccarelli
Coordinatore: Gastone Ave
Gruppo di lavoro: Gianfranco Franz, Luca Fondacci, Maria Matarazzo
Organizzazione editoriale
Paola Pezzuto, Federica Centurelli
INDICE
PREMESSA………………………………………………………………………………………………………..7
INTRODUZIONE………………………….………………………………………………………………….11
CAPITOLO 1
INQUADRAMENTO DEL FENOMENO DELLA
PIANIFICAZIONE STRATEGICA IN ITALIA E IN EUROPA…………..…….………19
1.2 Il quadro della pianificazione strategica in Italia, con riferimenti
alla pianificazione strategica in Europa.…………………………………………………………..19
1.2 Iniziative recenti di pianificazione strategica urbana…………………………………………28
CAPITOLO 2
ANALISI DEI PIÙ RILEVANTI CASI DI PIANIFICAZIONE
URBANA STRATEGICA IN ITALIA…………………………………………………………….….31
2.1 Introduzione……………………………………………………………………………………….…………31
2.2 Lo schema interpretativo dei casi…………………………………………………………………….42
2.3 Le ragioni fondamentali per l’avvio del piano strategico…….……………………….……..46
2.4 Le modalità di approvazione dei piani strategici……………………………………………….52
2.5 Attori e rispettivi ruoli……………………………………………………………………………………57
2.6 Metodologie e strumenti di supporto per l’analisi diagnostica……………………………71
2.7 Le fasi di definizione dell’agenda per la formazione del piano
e per la sua attuazione…………………………………………………………….……………………..81
2.8 I contenuti: assi strategici, obiettivi, azioni……………………………………………………...88
2.9 I “progetti bandiera”: le diverse soluzioni osservate………………………………………….92
2.10 Gli organismi istituiti per lo studio e per l’attuazione del piano strategico…………97
2.11 I prodotti del piano strategico…..…………………………………………………………………105
2.12 L’ambito territoriale di competenza del piano strategico………………………………..106
2.13 I principali soggetti pubblici e privati presenti nel processo di studio
e attuazione del piano strategico…………………………………………………………………..108
2.14 I principali soggetti pubblici e privati assenti nel processo di studio
e attuazione del piano strategico…………………………………………………………………..109
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2.15 L’attuazione del piano strategico: attori, forme istituzionali,
risorse umane e materiali, risorse finanziarie e comunicazione………………………..111
2.16 Posizionamento dell’esperienza nel modello di ciclo di vita
della pianificazione strategica: punti di forza e debolezza………………………………..113
2.17 Ruolo e impatti del processo sulla struttura organizzativa dell’ente………………….114
2.18 Peculiarità emerse dall’analisi dei casi…………………………………………………………..118
2.19 Valutazione dei risultati del processo di pianificazione…………………………………...124
CAPITOLO 3
LINEE GUIDA PER LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
IN TEMA DI PIANIFICAZIONE URBANA STRATEGICA……………………………139
3.1 Analisi………………………………………………………………………………………………………….……140
3.2 I fattori critici della pianificazione strategica…………………………………………………….…..149
3.3 Trasferibilità e sostenibilità delle esperienze…………………………………………….…………..153
3.4 Conclusioni……………………………………………………………………………………………….……….159
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………..…………………………………………181
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PREMESSA
La crescente complessità socio-economica, la crisi finanziaria del settore pubblico, il
ridisegno degli assetti istituzionali derivante dal processo di decentramento e
dall’affermazione del principio di sussidiarietà, la ricerca del consenso, la necessità di
competenze e skill sempre più diversificati e specialistici, in un ambiente esterno di
competizione globale ed in rapido mutamento, sono i fattori che stanno imponendo agli
enti locali una rapida reinterpretazione del proprio ruolo istituzionale.
L’obsolescenza ed inefficacia delle tradizionali logiche di gestione e di formulazione delle
politiche, rendono ineludibile l’apertura dei confini amministrativi verso l’esterno,
attraverso il coinvolgimento della pluralità degli attori della comunità locale e lo sviluppo di
network allargati, in cui l’ente locale, rinunciando in parte al proprio ruolo di autorità, di
government, si afferma come soggetto promotore e coordinatore dello sviluppo della
collettività locale.
Emerge quindi un nuovo scenario, che segna il passaggio dal modello burocratico
centralista ad un approccio di governance, in cui la tensione per la regolarità e formalità
amministrativa cede il passo alla ricerca di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa
e i rapporti gerarchici formali vengono gradualmente sostituiti da forme e modelli di
cooperazione
interistituzionale
pubblico-pubblico,
pubblico-privato
orientati
al
raggiungimento di outcome, piuttosto che al mero ossequio di procedure codificate.
Nell’ambito di tali approcci, definiti dalla letteratura internazionale di urban local
governance, i processi di pianificazione strategica partecipata rappresentano casi
emblematici di riconfigurazione dei ruoli e delle modalità di azione degli enti locali, in linea
con i principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza promossi
dall’UE nel suo Libro Bianco sulla Governance europea.
Essi rappresentano infatti originali approcci di governance locale per reagire ai
cambiamenti in atto ed anticipare, invece che limitarsi a registrare passivamente, i processi
in divenire, tramite la formulazione di un’“idea di città” e di un piano “della” città (e non
“per” la città) frutto delle sinergie e degli sforzi comuni degli attori locali, che catalizzano le
risorse in una vision del futuro chiara e condivisa, collegata a un’idea di sviluppo
partecipata e democratica.
Originali approcci in quanto in Italia non esiste alcuna prescrizione normativa che vincola
gli enti locali ad intraprendere alcun processo di pianificazione strategica, né alcunché è
indicato circa le relative modalità di coinvolgimento di soggetti terzi all’amministrazione
locale.
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Le esperienze di pianificazione strategica partecipata muovono da motivazioni endogene,
vale a dire dalla percezione sempre più forte degli amministratori locali ed in primis dei
sindaci che il modello di sviluppo accentrato e imposto dall’alto, e gli strumenti
obbligatoriamente previsti sono ormai obsoleti ed insufficienti per affrontare un sistema di
competizione globale in cui la scala ottimale non può più essere quella strettamente
cittadina e l’orizzonte di sviluppo è necessariamente di lungo periodo.
Il piano strategico, quindi, rappresenta ed ha rappresentato per le amministrazioni che lo
hanno intrapreso una scelta assolutamente volontaria.
Una scelta che, focalizzandosi sul framework normativo, sconta, come si evince anche dalla
lettura delle esperienze italiane, la settorialità, la “staticità” e la “scala amministrativa
ridotta” degli strumenti di pianificazione urbanistica esistenti. Ad esempio, il Piano
Regolatore che è lo strumento normativo comunale, che definisce i limiti dell’attività
edificatoria nel territorio del comune, in funzione delle esigenze della popolazione, pur
essendo un “momento strategico” destinato ad incidere per lungo tempo, si conclude con
l’approvazione dell’atto, non comportando la nascita di un processo costante e sistemico di
“pianificazione strategica condivisa” in cui i diversi attori del territorio si mobilitano per la
costruzione e la esecuzione di un piano complessivo della città.
Inoltre risente della mancata attuazione della legge 142/90, laddove prevedeva
l’istituzionalizzazione di un nuovo livello istituzionale, le Città Metropolitane, ritornate di
recente attualità con la riforma del Titolo V della Costituzione, che potrebbe costituire un
elemento fondamentale per la definizione di scenari futuri e di scelte strategiche su ambiti
dimensionali più coerenti con gli assetti gravitazionali delle grandi aree urbane e per una
più efficace competizione rispetto alle altre aree metropolitane internazionali.
La scelta della pianificazione è alimentata da spinte verso l’esterno previste da altri istituti
riguardanti politiche settoriali che hanno individuato nella cooperazione pubblico-pubblico
e pubblico-privato un elemento distintivo caratterizzante ed una leva strategica di successo.
È questo il caso degli strumenti di programmazione negoziata per lo sviluppo territoriale
(Intesa Istituzionale di programma Stato/Regioni, Patti territoriali e Contratti d’area,
Contratti di programma, Accordi di programma) o le politiche per lo sviluppo sostenibile
relative alla formulazione di un’Agenda 21 locale, o ancora, ad esempio, la programmazione
delle politiche di welfare relative alla formulazione dei Piani Sociali di Zona, o la
programmazione per l’utilizzo e la partecipazione a programmi comunitari, che hanno tutte
come elemento caratterizzante la creazione di una rete di soggetti eterogenei, istituzionali e
non, coinvolti a vario titolo ed ognuno con le proprie “risorse” nella formulazione e gestione
di politiche ed interventi pubblici.
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Tali istituti pur nella loro “settorialità” hanno sicuramente un grande pregio che è consistito
nell’attivazione di modalità ed istituti di concertazione e cooperazione (tavoli di
concertazione, forum, ecc.) che lentamente hanno contribuito all’affermazione di un’idea di
un possibile diverso ruolo esercitabile dagli enti locali, non più come soggetto unico
responsabile della formulazione e della gestione delle politiche ma come componente, e in
taluni casi attivatore e coordinatore, di reti relazionali e valorizzatore del capitale sociale
locale che costituiscono sicuramente elementi essenziali per l’avvio di un processo di
pianificazione strategica condivisa.
Capitale sociale che può essere definito come l’insieme di relazioni, improntate alla
reciprocità fiduciaria all’interno di reti di mutuo riconoscimento e guidate da norme di
comportamento. Relazioni che funzionano come canali informativi e di scambio,
permettono agli individui di organizzazioni e istituzioni diverse di collaborare eliminando o
riducendo i comportamenti opportunistici, favoriscono processi di continuo apprendimento
e innovazione.
Nelle esperienze degli enti locali italiani il piano strategico rappresenta un documento di
programmazione, un quadro di riferimento, un sistema di coerenze, uno strumento
innovativo per i bisogni della città che cambiano, che consente di:
•
affrontare le sfide poste ai sistemi locali per la modernizzazione delle città
•
formulare strategie condivise di sviluppo ed attuare le scelte secondo criteri di
sostenibilità
•
favorire il riposizionamento competitivo del sistema locale
•
promuovere interventi per una maggiore qualità urbana.
Il piano strategico è visto come lo strumento che, grazie alla sua natura relazionale,
flessibile, cooperativa, meglio interpreta la natura della città come milieu o come rete di
attori interagenti e auto coordinati.
Le iniziative di pianificazione strategica partecipata inoltre costituiscono dei casi
interessanti, in quanto legittimano e valorizzano, per dirla con Hirschmann, le “risorse
nascoste o latenti” del territorio, superando decenni di pianificazione e di politiche per lo
sviluppo eterodirette, eteroimposte, puntando al contrario su modelli endogeni e
autopoietici di sviluppo.
Tali recenti esperienze, essendo nella maggioranza dei casi tuttora in corso, non rendono
ancora possibile una valutazione definitiva dell’efficacia in termini di effettivi impatti sulla
realtà socio-economica di riferimento.
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Tuttavia, su queste esperienze è possibile avviare un processo di verifica sui possibili
benefici della concertazione partecipata come modalità di gestione delle politiche
pubbliche, attraverso la valorizzazione del capitale sociale locale.
Tale è proprio l’obiettivo del presente lavoro, quinto1, in ordine di tempo, tra le indagini sui
nuovi processi di governance in atto in Europa ed in Italia su tematiche innovative ed
esemplificative dei nuovi modelli di azione delle pubbliche amministrazioni, realizzate
nell’ambito della Linea Osservatorio del Progetto Governance, gestito dal Formez per conto
del Dipartimento della Funzione Pubblica.
La ricerca, condotta attraverso analisi documentali, visite sul campo e interviste a testimoni
privilegiati, inquadra, anche attraverso la comparazione con i migliori casi internazionali, i
processi di urban local governance, analizzando, tramite la metodologia dei case study, 16
delle più interessanti esperienze italiane di pianificazione strategica condivisa intraprese
recentemente da comuni italiani, che puntano ad una ambiziosa reinterpretazione dell’idea
di città e del modello di governo della stessa.
In particolare la ricerca approfondisce, sia in chiave metodologica che operativa, le diverse
fasi processuali e i diversi strumenti della pianificazione partecipata, evidenziando, per
ciascuno dei casi, le modalità di formazione dei network, le tipologie e i ruoli dei diversi
soggetti coinvolti, le fasi del processo di pianificazione, gli strumenti e gli istituti di
concertazione e di cooperazione previsti, gli assi strategici individuati, le risorse finanziarie
e le relative fonti, i principali conflitti emersi e le relative tecniche di risoluzione, gli
strumenti ed i soggetti di coordinamento.
Infine alla luce dell’analisi critica delle esperienze in atto, la ricerca propone delle “linee
guida”, che costituiscono utili consigli operativi e un ulteriore contributo al processo di
apprendimento degli operatori delle PA che intendono approcciare nuove modalità di
azione partecipata per la realizzazione di politiche di sviluppo locale.
Giuseppe Gioioso
1 I volumi realizzati nell’ambito della Linea Osservatorio del Progetto Governance sono:
- La public governance in Europa (a cura di V. de Magistris), Collana Quaderni Formez n. 30 (7 voll);
- Nuovi soggetti della governance esterna (a cura di V. de Magistris e G. Gioioso), Collana Quaderni Formez n. 31;
- Governance regionale e agenzie di sviluppo (a cura di V. de Magistris), Collana Materiali Formez;
- Nuovi profili di accountability nelle PA italiane: Teoria e strumenti (a cura di V. de Magistris e G. Gioioso), Collana
Quaderni Formez n. 40.
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INTRODUZIONE
Gli enti locali si rinnovano e diventano protagonisti dello sviluppo
Il difficile stato della finanza locale ha spinto gli enti locali italiani ad accentuare negli
ultimi anni il loro impegno verso il rinnovamento su due fronti, interno ed esterno. Nel
primo caso, la gestione interna degli enti è diventata un terreno sul quale attuare un
ripensamento globale del modo di operare della pubblica amministrazione, teso a
privilegiare i risultati tangibili per la cittadinanza rispetto all’osservanza di norme e
procedure interne a volte obsolete.
Gli enti locali hanno cercato di trarre dal mondo delle imprese i migliori modelli di gestione
delle risorse interne aziendali. Compito difficile, non tanto per le carenze di risorse da
spendere in formazione e innovazione, quanto per la necessità di adattare gli insegnamenti
derivanti dai migliori casi aziendali al settore pubblico. Si è dovuto tenere conto della
particolare natura dell’amministrazione locale che, a differenza dell’impresa privata, non ha
un obiettivo unico e facilmente misurabile da perseguire (il profitto aziendale), ma ha
l’obbligo di realizzare una finalità complessa (il bene comune) che è sempre un mix di
elementi quantitativi, quindi misurabili e rendicontabili, qualitativi o addirittura intangibili
(ad esempio la buona reputazione dell’amministrazione locale), ben più difficili da trattare
ma non meno importanti. Ciò comporta per l’ente locale l’obbligo istituzionale di svolgere
una pluralità di funzioni di controllo e di erogazione di servizi diretti alle famiglie e alle
imprese. Ultimamente a tali funzioni tradizionali si è aggiunto anche un compito nuovo,
quello di essere protagonisti dello sviluppo economico e sociale del territorio e di esserlo
attraverso procedure di governance che coinvolgono in modo diretto una pluralità di
soggetti pubblici e privati, istituzionali e non. Ciò significa, in altre parole, svolgere la
funzione di soggetti attivi, che colgono dalla società e dal mercato occasioni di intervento
che nessuna legge impone loro. Sono queste trasformazioni della società e questi nuovi
compiti degli enti locali che hanno progressivamente portato alla “pianificazione strategica”
e soprattutto a quella “partecipata”, come si vedrà in dettaglio più avanti.
Dall’inizio degli anni Novanta si registrano importanti cambiamenti istituzionali nel campo
delle autonomie locali, nel quadro della riforma introdotta dalla legge 142/90, ad esempio
l’elezione diretta dei sindaci (avvenuta per la prima volta con le amministrative del 1993), la
trasformazione delle aziende municipalizzate in società per azioni aperte al mercato,
l’introduzione di nuovi parametri per la copertura economica dei costi di erogazione di
determinati servizi. Vi sono state anche importanti novità di carattere gestionale all’interno
degli enti locali quali, ad esempio, l’introduzione della funzione del direttore generale (il
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city manager), chiamato a far conoscere nei comuni le moderne tecniche di city
management e a far funzionare la macchina amministrativa nella sua interezza per il
raggiungimento degli obiettivi strategici decisi dalle amministrazioni. La figura del direttore
generale ha dato buoni risultati laddove è stata solo il primo passo di una modifica del
modo di operare di tutta la squadra dei dipendenti, a partire dai dirigenti, verso, ad
esempio, l’utilizzo ordinario del metodo di lavoro per obiettivi e verso l’azione coordinata
tra assessorati per programmi integrati.
Si è introdotto il metodo del controllo interno di gestione e il bilancio sociale (ancora in
termini sporadici e superficiali per la verità), si è visto in diversi casi un cambiamento forte
e positivo nelle attività di comunicazione rivolte ai cittadini e alle imprese, reso evidente
dalla nascita di nuovi uffici mirati non a far rispettare nuovi regolamenti, ma a raccogliere
le critiche e le proposte della cittadinanza, a facilitare il lavoro delle imprese esistenti e
l’insediamento di nuove iniziative imprenditoriali. Oggi il grado di innovazione di una
amministrazione locale non dipende tanto dalla presenza o meno di tali iniziative (l’ufficio
relazioni con il pubblico, lo sportello unico, gli “incubatori” di impresa, le agenzie di
promozione e marketing del territorio, ecc.), quanto dalla qualità dei risultati prodotti con
le loro azioni quotidiane.
Sul fronte esterno, gli enti locali più innovativi si sono adoperati negli ultimi anni per
svolgere un ruolo che non si esaurisce nelle funzioni di regolamentazione e controllo ma che
si estende alla promozione economica e sociale dell’area. In questi casi, la scoperta della
necessità di svolgere iniziative di ascolto delle esigenze della comunità locale e di
comunicazione interna ed esterna hanno veicolato una immagine moderna di ente locale, la
cui azione appare nei casi migliori sempre più guidata dalla volontà di offrire i migliori
servizi pubblici possibili (entro i vincoli di bilancio, e a volte anche oltre tali vincoli con il
successo nell’attrazione di risorse pubbliche e private addizionali) e dalla capacità tecnica di
erogare tali servizi nei punti del territorio e con le modalità (frequenza, costo, ecc.) più
vicine alle preferenze della popolazione. La pianificazione strategica consente l’innovazione
del modo di operare degli enti locali nel senso appena indicato.
Dal governo alla governance
La via della pianificazione strategica non si può improvvisare, serve abitudine alla copianificazione con altri soggetti pubblici e con il mondo delle imprese. Le “barriere di
ingresso” alla predisposizione di un piano strategico urbano sono molto basse, quasi
inesistenti: quasi tutti i comuni italiani in forma singola o aggregata, se lo volessero,
potrebbero trovare le risorse per commissionare la preparazione di un “piano strategico” (o
quanto meno di un piano in cui si ripete molte volte l’aggettivo “strategico”) al consulente di
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turno. Ma quest’ultimo, indipendentemente dalle sue capacità e motivazioni, non può far
sviluppare la consuetudine a governare il territorio in forma innovativa, laddove tale
consuetudine non fosse già stata coltivata in precedenza attraverso i moderni strumenti di
gestione del governo locale (PEG, bilancio sociale, ecc.), oppure attraverso i molti strumenti
di pianificazione tradizionale (PRU, PRUSST, lo stesso PRG, ecc.), in cui è possibile inserire
una visione strategica e un rapporto franco con i soggetti privati e gli altri soggetti pubblici
dell’area.
Se, infatti, commissionare all’esterno un documento che sia intitolato “piano strategico” è
abbastanza facile anche per comuni di piccola dimensione, ben diverso e più impegnativo è
il compito di predisporre e attuare nel tempo un piano strategico urbano di tipo partecipato
e condiviso con i soggetti pubblici e privati più rappresentativi di un’area. In questo senso
l’indagine sembra dimostrare che la pianificazione strategica può dare risultati importanti
in tempi molto brevi (in rapporto all’entità delle trasformazioni urbane) solo se attuata da
enti locali che hanno già avviato la transizione dal government alla governance, cioè
dall’esercizio in forma diretta ed esclusiva delle funzioni di governo locale al metodo del
coordinamento e della pianificazione condivisa tra più soggetti pubblici e privati.
Il piano strategico non va inteso come un nuovo anello della catena di strumenti di
pianificazione pubblica del territorio. Si tratta di uno strumento nuovo che i comuni (cioè
gli enti che svolgono il ruolo principale nel processo di pianificazione strategica urbana)
dovrebbero pensare fin dall’inizio, cioè a partire dalla idea stessa di avviarne o meno la
preparazione, insieme agli altri soggetti, sia di tipo pubblico (in primo luogo la provincia e
la regione), sia di tipo privato e sociale (associazioni di categoria, ecc.), chiamati a
partecipare al processo di predisposizione del piano strategico urbano.
La pianificazione strategica per la competitività del sistema urbano
L’attuale difficoltà del sistema produttivo italiano a mantenere le posizioni acquisite in
passato sui mercati internazionali è anche dovuta ad una rete istituzionale e ad un sistema
territoriale inadeguati a confrontarsi con i migliori sistemi urbani esteri. Il successo
economico, ma anche la coesione sociale, hanno un rapporto stretto con l’assetto del
territorio, il patrimonio culturale e con le condizioni di vita delle famiglie e di
funzionamento delle imprese. Se in un’ottica di breve periodo vi possono essere imprese di
successo in territori in declino, nel medio periodo i destini di imprese e città seguono lo
stesso corso.
Uno dei contributi principali al miglioramento della competitività del nostro Paese viene
dal miglioramento della managerialità all’interno degli enti locali e nella gestione dei servizi
di interesse collettivo. Per gli enti locali il passaggio dal “governo” alla governance si ottiene
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gradualmente nel tempo. La redazione e attuazione di un vero piano strategico urbano
(inteso come piano integrato, di area vasta, di tipo misto pubblico e privato, di tipo
partecipato e condiviso) appare come una logica conseguenza di una serie antecedente di
programmi e progetti condivisi con altri soggetti pubblici e privati. La decisione di avviare
un piano strategico non può essere una scorciatoia rispetto alla regola che vede nella realtà
una crescita per tappe dell’ente locale e delle persone che vi lavorano, e una innovazione
graduale dei metodi di gestione interna dell’ente locale.
Non stupisce allora notare che molte delle 16 città oggetto dell’indagine si distinguono per
avere, in generale, caratteristiche di qualità (della vita, della capacità amministrativa locale,
ecc.) superiori alla media delle città italiane. Questo è il risultato di una serie di programmi
e di progetti in cui le amministrazioni locali hanno giocato ruoli attivi nella trasformazione
dell’ambiente fisico, sociale ed economico, insieme agli altri principali soggetti decisori. In
generale si può notare che le città dotate di un piano strategico urbano presentano un livello
di gestione manageriale della “macchina comunale” superiore ad altre.
La competitività e la capacità di attrazione dei comuni, e quindi del “sistema paese”,
possono essere migliorate con l’impiego degli strumenti più efficaci di pianificazione e
gestione manageriale degli enti locali, tra i quali un posto di rilievo va attribuito al piano
strategico urbano. In assenza di tali strumenti, o meglio in assenza di una moderna cultura
del governo locale in cui è logico e coerente ricorrere a strumenti di gestione manageriale
della città, prevale un comportamento “burocratico” degli enti locali che si manifesta con
una serie di condotte passive tra le quali:
•
azioni di gestione manageriale solo e se esiste una norma che lo impone;
•
mancanza di coordinamento fra livelli amministrativi orizzontali e verticali per
quanto riguarda le iniziative di sviluppo locale;
•
assenza di iniziative nel senso della partecipazione e condivisione delle esperienze di
conoscenza.
L’oggetto dell’indagine
Il piano strategico urbano è divenuto uno strumento sempre più utilizzato in Italia dagli
enti locali. Dal primo caso italiano (Torino ha avviato il piano strategico “Torino
Internazionale” nel maggio 1998 e lo ha approvato nel febbraio del 2000), il numero
complessivo delle città che si sono dotate di un tale strumento è ancora piccolo (una ventina
scarsa a fine del 2004), ma sembra crescere di anno in anno e interessare non solo città
capoluogo di regione, ma anche capoluoghi di provincia di ogni dimensione e città minori.
In anni in cui gli enti locali faticano a svolgere tutte le crescenti funzioni a loro demandate
dallo Stato, spesso senza un corrispondente trasferimento di risorse adeguate, diverse città
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hanno deciso di avviare la preparazione di un piano strategico urbano che nessuna legge
imponeva loro. Perché? Forse si è già creata una nuova moda istituzionale? L’ipotesi più
probabile è che gli enti locali si siano rivolti alla pianificazione strategica perché con gli altri
strumenti e metodi a loro disposizione non potevano esercitare le funzioni di governance
pro-attiva che i tempi attuali richiedono.
Resta la domanda se, o in che misura, i risultati che le città si attendevano dalla
pianificazione strategica sono stati raggiunti, almeno a giudicare dai casi in cui i piani sono
stati approvati e sono in attuazione da qualche anno.
Dall’esperienza fin qui condotta, per quanto limitata nel tempo, ci si può chiedere quali
siano le tecniche di gestione più interessanti per i piani strategici. Per le città che intendono
avviare in futuro un piano strategico urbano, quali sono i vantaggi della pianificazione
strategica e quali gli eventuali errori da evitare?
Queste sono alcune delle domande a cui si è cercato di dare delle risposte fondate su una
solida base documentale. Il volume presenta i risultati di un’ampia indagine del fenomeno
della pianificazione strategica urbana in Italia. Oggetto dello studio sul campo sono stati i
piani strategici preparati da 16 città italiane tra il 1998 e il 2005: oltre a quello di Roma,
l’indagine ha incluso i piani strategici di sei capoluoghi regionali (Firenze, Genova, Perugia,
Torino, Trento, Venezia), di sette capoluoghi di provincia (Cuneo, La Spezia, Pesaro,
Piacenza, Varese, Vercelli, Verona) e di due comuni (Copparo - Ferrara, Sesto S. Giovanni Milano). Tutte queste città hanno promosso la preparazione di un piano strategico, nella
maggioranza dei casi lo hanno approvato e si trovano ora nella fase di attuazione.
Il panorama che emerge dall’indagine è di una straordinaria vitalità: l’Italia profonda delle
amministrazioni locali è ben viva e non ha alcuna intenzione di deporre le armi per
ritornare a svolgere una gestione ordinaria dell’esistente, in cui anche compiti semplici e
obbligatori sembrano, inevitabilmente, assorbire tutte le risorse finanziarie e umane
disponibili.
Se c’è un insegnamento generale che dai casi esaminati si può trarre è che quando gli enti
locali si pongono obiettivi “alti”, quali ad esempio quello di giocare un ruolo attivo e di
primo piano nella promozione dello sviluppo socio-economico della propria area, il
processo di pianificazione di tipo partecipato e condiviso, anche se attivato tra mille
difficoltà, crea energie nuove che non possono che fare bene anche alla gestione della cosa
pubblica ordinaria.
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L’articolazione dell’indagine
L’indagine è stata condotta nel corso del 2004 e del 2005 ed ha riguardato i 16 piani
strategici urbani dei centri urbani già menzionati. I ricercatori che hanno svolto l’indagine
hanno utilizzato quattro categorie di fonti:
-
i documenti originali prodotti dagli enti locali, in primo luogo i testi dei piani
strategici (a volte documentando l’evoluzione delle varie versioni), ma anche le
delibere dei consigli comunali che hanno costellato il percorso di avvio,
preparazione, conclusione e gestione dei singoli piani, i materiali di analisi e
comunicazione prodotti nel corso del processo di pianificazione dai principali
soggetti pubblici e privati coinvolti, ed ogni altro testo originale e di pubblico
dominio che fosse rilevante;
-
le informazioni raccolte sul campo attraverso approfondite interviste personali o a
piccoli gruppi dei principali protagonisti, sia pubblici sia privati, che hanno
partecipato in prima persona alla preparazione tecnica dei piani e alle varie fasi
decisionali che hanno caratterizzato l’iter di ognuno dei 16 piani strategici urbani
oggetto dell’indagine;
-
le informazioni mirate su aspetti specifici dei piani analizzati (ad esempio, dati sul
personale coinvolto nella preparazione e gestione del piano, dati sul costo dello
studio e sui costi della gestione del piano, organigrammi del personale, schemi dei
flussi informativi, ecc.) fornite dai principali referenti intervistati tramite schede
informative;
-
selezioni della stampa locale e della letteratura specializzata.
La raccolta della documentazione sopra indicata da parte di un apposito gruppo di lavoro
del CRUTA dell’Università di Ferrara è stata discussa in più fasi con i ricercatori del
Formez. In qualche caso è stato possibile coinvolgere nelle elaborazioni intermedie alcuni
degli esperti che hanno svolto il ruolo di consulenti per i piani strategici delle varie città,
così come amministratori e funzionari (pubblici e privati) che avevano fornito le
informazioni di base, attuando così ulteriori approfondimenti con i diretti interessati.
Già in sede di raccolta delle informazioni l’indagine è stata svolta in funzione del prodotto
finale che è articolato in 3 capitoli, più un CD contenente le analisi dettagliate e la
documentazione di base di ognuno dei 16 piani strategici oggetto dell’indagine.
Questa la struttura del lavoro.
Il primo capitolo presenta in breve il quadro della pianificazione strategica in Italia, con
cenni alla pianificazione strategica in Europa, documentando il passaggio da una fase
storica in cui l’ente locale focalizza la sua azione di pianificazione sugli interventi di tipo
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edilizio-territoriale alla fase attuale in cui l’ente locale moderno privilegia la funzione di
coordinamento, l’intervento indiretto e la definizione delle politiche di settore.
Il secondo capitolo è dedicato alla esposizione in sintesi dell’analisi dei 16 piani strategici
urbani sopra menzionati, da considerarsi allo stato attuale come i più rilevanti casi di
pianificazione urbana strategica in Italia. Il testo presenta una lettura trasversale delle
analisi dettagliate contenute nel CD e lì articolate caso per caso, con l’obiettivo di mettere in
luce se e in quale misura il piano strategico è stato inteso come uno strumento di nuova
governance locale da parte dei soggetti che lo hanno promosso. Inoltre è stata predisposta
una griglia interpretativa della pianificazione strategica attuata o in via di attuazione nei 16
casi considerati, evidenziando i passaggi critici del processo di formazione e gestione del
piano strategico.
Il terzo capitolo presenta le linee guida per le amministrazioni pubbliche in tema di
pianificazione urbana strategica, con considerazioni di tipo propositivo sulla base di un
esame approfondito che ha riguardato tre elementi:
a)
il “processo” di formazione dei 16 piani strategici prima indicati;
b) il “prodotto” di ogni singolo piano, ovvero i documenti ufficiali che esprimono le
analisi, le proposte finali e gli impegni (il “patto per lo sviluppo” laddove presente e
dichiarazioni similari) di ognuno dei 16 piani strategici esaminati;
c)
le esperienze di gestione relative alla attuazione dei piani laddove presenti, intese
come esperienze di gestione sia dei piani nel loro complesso, che delle singole
componenti (azioni, obiettivi, linee strategiche) dei piani stessi.
Il capitolo presenta in modo analitico quelli che possono essere ritenuti i principali errori e i
principali elementi di successo riscontrati nei casi esaminati. L’analisi si sofferma sulla
possibilità di integrare all’interno della normale funzionalità dell’ente locale i migliori
risultati prodotti dal processo di predisposizione del piano strategico. Si definiscono quindi
delle linee guida per la identificazione di “migliori pratiche” in tema di pianificazione
strategica urbana.
Al volume è allegato un CD, che raccoglie l’analisi e le informazioni di riferimento per
l’intera indagine. Per ognuno dei casi esaminati è stata realizzata una presentazione
dettagliata del piano strategico e sono stati inseriti i principali documenti originali diffusi
dagli enti locali per illustrare i rispettivi piani strategici.
Evoluzione della pianificazione strategica urbana
A fronte di un piccolo gruppo di enti locali che fino ad oggi hanno volontariamente avviato
la preparazione di un piano strategico urbano, vi è probabilmente una folta schiera di enti
17
(comuni e non solo) in cui amministratori e dirigenti stanno valutando se l’opzione della
pianificazione strategica potrebbe fare al caso loro. L’indagine è stata condotta con
l’obiettivo di essere uno strumento a servizio dei molti enti locali che ancora non
dispongono di un piano strategico.
Tuttavia, l’indagine potrebbe essere un’occasione di riflessione anche per le stesse 16 città
capofila dei processi di pianificazione strategica qui analizzati. Emerge dallo studio sul
campo che non esiste una unica metodologia per la preparazione di un piano strategico.
Questo è probabilmente un bene, non solo perché consente di produrre piani non omologati
tra loro, ma anche perché amplia il numero di enti locali che possono accedere alla
pianificazione strategica, vista la diversità dei problemi da affrontare e la disparità di
risorse e di esperienze delle diverse città.
Ciò che emerge come un dato costante dall’indagine è la mancanza di una adeguata
maturazione di metodi e tecniche di gestione dei piani strategici. Per questo anche le
esperienze di più vecchia data non sembra abbiano fino ad ora prodotto delle indicazioni
sufficientemente univoche da essere adottate da quegli enti locali che intendessero avviare
la preparazione di un piano strategico nei prossimi mesi. Produrre un documento
partecipato e condiviso può essere molto difficile, soprattutto se lo si intende come
espressione non solo delle forze interne dell’ente locale, ma anche di una vasta
rappresentanza di soggetti pubblici e privati che sono chiamati dal processo di
pianificazione strategica a “compromettersi pubblicamente” per lo sviluppo dell’area.
Attuare nel tempo il piano strategico è molto più difficile, perché richiede uno sforzo umile
e continuo di autentico servizio pubblico a cui sono chiamati tutti coloro che hanno a cuore
il futuro della loro comunità e non solo il raggiungimento di obiettivi particolari o
addirittura personali. Sapere misurare e comunicare verso l’interno e verso l’esterno
dell’ente locale lo stato di attuazione del piano strategico urbano è un compito ugualmente
importante, che merita attenzione e risorse.
Molti enti locali italiani possono trovare nello strumento del piano strategico partecipato,
un mezzo tecnico adatto per attivare uno sviluppo coerente con la loro storia urbanistica e
con l’insieme delle pregresse attività di pianificazione locale. Per altri enti locali, le
esperienze di pianificazione strategica urbana analizzate dalla presente indagine potranno
rappresentare, allo stesso tempo, una opportunità da utilizzare in futuro e uno stimolo per
iniziare o continuare a innovare la pianificazione e la gestione locale con strumenti più
consolidati. Per tutti ci auguriamo che l’indagine sappia indicare le migliori pratiche da
emulare e adattare alla propria realtà locale, così come gli errori da evitare per la
preparazione e gestione del piano strategico urbano.
18
CAPITOLO 1
INQUADRAMENTO DEL FENOMENO DELLA PIANIFICAZIONE
STRATEGICA IN ITALIA E IN EUROPA∗
Gli enti locali svolgono per ragioni istituzionali un insieme crescente di funzioni che hanno
attinenza con la programmazione e la pianificazione. La pianificazione strategica delle città
appare come il tassello più recente di un disegno complesso, in cui la scena principale è
stata finora occupata dalla pianificazione delle trasformazioni fisiche del territorio. Nel
corso del secolo passato gli enti locali italiani hanno sviluppato esperienze importanti in
questo campo. Negli ultimi due decenni hanno in particolare dimostrato di saper utilizzare,
a volte nel migliore dei modi, anche strumenti complessi (ad esempio: piani integrati
d’area, programmi di riqualificazione urbana, piani di riqualificazione e sviluppo
sostenibile, ecc.). Nello stesso tempo sono cresciute le materie nelle quali l’ente locale ha
assunto un ruolo programmatorio (ambiente, sviluppo sociale), quasi sempre in
connessione con altri soggetti pubblici e spesso anche con soggetti privati.
In questo capitolo si delinea rapidamente il percorso evolutivo del ruolo dell’ente locale in
materia territoriale: dall’essere il principale soggetto titolare di poteri e doveri di
pianificazione fisica del territorio (spesso intesi solo in senso vincolativo), a soggetto
principale della pianificazione strategica di scala urbana. In questo passaggio, in pieno
svolgimento, l’ente locale si trasforma da semplice ordinatore e controllore dello sviluppo
locale a soggetto propulsore della rivitalizzazione urbana, dello sviluppo economico e
sociale della città.
1.1
Il quadro della pianificazione strategica in Italia, con riferimenti alla
pianificazione strategica in Europa
In linea di principio, pianificare significa avviare un processo di individuazione di obiettivi
rispetto ai quali si determinano delle scelte per realizzarli. Intesa in questo senso, l’azione
della pianificazione si configura come una prassi perseguibile ad ogni scala e livello della
vita umana. All’interno del processo di pianificazione è possibile distinguere diverse fasi,
riconducibili a due momenti decisivi:
∗
Di Paolo Ceccarelli e Gastone Ave. Ha collaborato Gianfranco Franz.
19
-
definizione di determinati obiettivi generali; analisi ed elaborazione delle
informazioni rilevanti; conferma degli obiettivi e loro riarticolazione sulla base delle
analisi condotte;
-
individuazione delle politiche e degli strumenti; valutazione delle risorse disponibili;
realizzazione degli obiettivi.
1.1.1. La pianificazione nella città contemporanea
Nella città contemporanea le risorse fondiarie e finanziarie non sono più concentrate in
poche mani ma progressivamente distribuite tra un numero crescente di soggetti
(proprietari fondiari, immobiliaristi, costruttori), ognuno portatore di interessi personali o
di gruppo e in possesso degli strumenti per determinare trasformazioni urbane capaci di
produrre profitto. Contemporaneamente a questo processo di redistribuzione delle risorse
si svolge un analogo (anche se più lento) processo di redistribuzione delle prerogative
politiche e delle leve decisionali.
Il piano urbanistico è stato introdotto per affrontare, in modo coordinato e coerente, le
questioni e i problemi introdotti dallo sviluppo industriale, dalla trasformazione della
società da agraria in urbana, dal processo sempre più forte di crescita della città. È uno
strumento complesso, costruito in più fasi e organizzato secondo più fasi attuative, che
ordina un sistema e una sequenza di decisioni attraverso una serie di norme e di regole
(prescrizioni e vincoli).
Nel corso dei primi decenni del Novecento, nelle società con sistemi politici ed economici
più evoluti (Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti) si assiste ad uno sviluppo della disciplina e
delle pratiche di pianificazione: si passa dal piano urbano o urbanistico alla pianificazione
regionale
o
territoriale.
Questo
passaggio
evolutivo
introduce
nell’azione
della
pianificazione (soprattutto per quanto riguarda la fase della conoscenza e della costruzione
del quadro analitico) crescenti elementi di complessità.
In Italia, dal 1861 agli anni Quaranta del secolo scorso, la pianificazione urbanistica, intesa
sia come tecnica che come azione di governo, si evolve lentamente, seguendo gli indirizzi
europei più avanzati. Anche in Italia si passa progressivamente da interventi circoscritti a
specifiche aree al Piano Regolatore Comunale, comprendente tutto il territorio comunale; la
legge urbanistica nazionale, n. 1150 del 1942, istituzionalizza questo processo.
Il piano che da essa deriva non organizza più la città per elementi e soluzioni spaziali
definite (i grandi edifici pubblici, le nuove trame viarie, il parco pubblico, i nuovi quartieri
disegnati al dettaglio, con esedre, rotonde, ecc.), bensì per aree e per settori funzionali,
indicando uso del suolo, indici e, a volte, tipologie edilizie. In questa fase della
pianificazione la città non è più separata dal territorio agricolo; ma questo è ridotto a
20
risorsa per l’ampliamento della città stessa. La zonizzazione per funzioni diventa lo
strumento tecnico per governare l’uso del suolo e le trasformazioni urbane, regolando
anche il plusvalore fondiario creato dall’attività di pianificazione.
Negli ultimi decenni si afferma anche il principio della pianificazione “a cascata”. Già la
legge n. 1150/42 prevedeva un articolato sistema di pianificazione multilivello, capace da un
lato di coordinare l’attività di governo e i diversi settori di intervento dell’azione pubblica
(infrastrutture, servizi e attrezzature di interesse pubblico, tutela e trasformazione del
territorio) alla scala territoriale, o di “area vasta”; dall’altro, con la definizione del Piano
Attuativo, di collegare la fase di realizzazione delle previsioni urbanistiche dal Piano
Regolatore Generale Comunale (PRGC) fino all’intervento edilizio. Rispetto ad altri Paesi
europei, l’Italia presenta in questa fase ritardi nella disciplina urbanistica e nelle pratiche di
governo della città e del territorio, principalmente dovuti alla mancata riforma del regime
dei suoli.
Le profonde trasformazioni sociali avvenute tra gli anni Sessanta e Settanta, del secolo
scorso, i processi di crescita vissuti dalle maggiori città e l’acuirsi di conflitti sociali e urbani
dovuti alla carenza delle principali politiche redistributive, portano la pianificazione
territoriale ed urbanistica e le politiche sociali di settore (la casa, i servizi, ecc.) ad assumere
un ruolo rilevante nell’agenda politica nazionale e locale. Tra il 1962 e il 1972, vengono
approvate leggi di fondamentale importanza sull’edilizia economica e popolare, gli
standard urbanistici, la politica abitativa e gli oneri connessi al permesso di edificare (per
esempio: la L. n. 167 del 1962; la L. n. 765 del 1967; il D.M. n. 1444 del 1968; la L. n. 865 del
1971). Ancora una volta l’ostacolo con cui si confrontano la disciplina e le diverse pratiche
locali è costituito dal regime dei suoli e dalle difficoltà incontrate per sottomettere la
proprietà privata, da un lato, e la speculazione edilizia, dall’altro, agli obiettivi di interesse
generale, tra cui quello di un’abitazione adeguata (rispondente cioè agli “standard”
urbanistici ed edilizi nel frattempo codificati dalle leggi nazionali e dai regolamenti
comunali) per i meno abbienti.
In quegli anni vengono anche sperimentate forme innovative di pianificazione territoriale
che, per la prima volta, fanno leva sull’associazione volontaria di più comuni per affrontare i
problemi dello sviluppo metropolitano. Esempi di questo sono: il Piano Intercomunale di
Bologna, e soprattutto, il Piano Intercomunale di Milano.
Negli anni Sessanta emerge anche l’importanza di un approccio interdisciplinare
(economia, sociologia, geografia, urbanistica, ecc.) nella pianificazione della città e del
territorio. L’urbanistica assume il ruolo (ancora oggi mantenuto ed anzi ampliato) di
disciplina di coordinamento di punti di vista, approcci metodologici, modelli di analisi e di
interpretazione molteplici e settoriali.
21
Alla fine degli anni Settanta in Italia sembra che la pianificazione territoriale, la
pianificazione urbanistica e le politiche urbane possano finalmente contare su una
“intenzionalità pubblica” adeguata alle esigenze più innovative di governo del territorio:
con la L. n. 10 del 1977 si introduce l’istituto della concessione onerosa in luogo della licenza
edilizia ma, soprattutto, si introduce il concetto della titolarità dello Stato del diritto di
edificazione; con la legge sull’equo canone si tenta di sottoporre ad un “controllo sociale” il
mercato dell’affitto; con la L. n. 457 del 1978, si istituisce il Piano Decennale per la Casa e si
introduce, sul modello delle esperienze antesignane (Assisi, Bologna, Vicenza, Ferrara,
ecc.), lo strumento del Piano di Recupero, diffondendo così i risultati del recupero dei centri
storici in Italia.
Gli esiti di quella stagione sono ambivalenti e contraddittori. Il Piano Casa rappresenta il
maggiore sforzo in tema di edilizia popolare compiuto dallo Stato italiano; contribuisce a
finanziare e agevolare l’acquisto dell’abitazione, facendo oggi dell’Italia uno dei Paesi con la
più elevata percentuale di abitazioni in proprietà. La legge sull’equo canone, che cerca di
introdurre un elemento di equità rispetto al trentennale problema della casa, è anche causa
di un sostanziale irrigidimento del mercato italiano degli affitti. L’abolizione del principio
della titolarità dello Stato in materia di diritto di edificazione, con una sentenza della Corte
Costituzionale del 1980, e il cambiamento negli obiettivi politici rispetto alla pianificazione
portano, nel giro di pochi anni, alla perdita di peso della pianificazione urbanistica e alla
sconfitta di un governo “riformista” della città.
Inizia così una nuova stagione politica ed economica che vede nel piano regolatore un
fattore di impedimento e rallentamento della libera iniziativa. Da un punto di vista
culturale e disciplinare il modello dell’urbanistica riformista e della pianificazione
comprensiva viene accusato di perseguire finalità politiche e sociali (redistribuzione e
compensazione sociale) estranee allo strumento tecnico del piano, trascurando invece
alcuni aspetti tradizionali e centrali della disciplina urbanistica come, per esempio, i temi
della forma e del disegno della città e il progetto urbano. In sostanza, il piano regolatore
perde l’insieme dei significati simbolici e sociali di cui era stato caricato a partire dagli inizi
degli anni Sessanta; non ha più il ruolo di organizzatore e attuatore di disegni ideologici e
politici alternativi; viene ricondotto a strumento per il governo della trasformazione fisica
della città, senza espliciti obiettivi di trasformazione sociale ed economica.
Nel corso degli anni Ottanta, contemporaneamente all’affermarsi dell’istituto legislativo del
condono edilizio (inteso inizialmente come strumento straordinario e poi divenuto
ordinario, a causa delle molteplici reiterazioni successive), si afferma il confronto
disciplinare che contrappone il progetto urbano al piano. Il tema della forma della città e
del suo disegno e il problema del recupero delle aree dismesse facevano ritenere che
22
strumenti più flessibili, snelli ed attenti alla morfologia architettonica e urbana avrebbero
consentito di affrontare meglio le nuove problematiche urbane.
Lo scontro disciplinare, ma anche politico, fra il piano e il progetto si sarebbe risolto solo
nei primi anni Novanta. Ci si era resi conto che i grandi progetti urbani, in assenza di
apparati legislativi aggiornati e di strumenti di programmazione innovativi, non risultavano
capaci di risolvere il recupero delle grandi aree dismesse. Contemporaneamente la crisi
ambientale, i livelli crescenti di congestione delle infrastrutture e delle città, l’inquinamento
dell’aria e dell’acqua, il consumo delle risorse e, fra queste, del suolo, insieme
all’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile e alla promozione delle prime pratiche
di sostenibilità e di partecipazione, avevano riportato il tema della pianificazione
territoriale al centro dell’agenda politica, a livello locale, regionale e nazionale.
Per un verso si assiste ad una profonda ridefinizione delle autonomie locali (legge n.
142/1990; nuovo ruolo delle province; elezione diretta del sindaco), mentre la disciplina e le
pratiche della pianificazione, dopo un decennio di crisi e arretramento, ripensano gran
parte degli strumenti per il governo del territorio, ponendo particolare attenzione
all’efficacia, all’attuazione, alla programmazione economico-finanziaria.
Nelle nuove leggi urbanistiche regionali, il piano urbanistico viene scisso in due strumenti o
livelli: uno a carattere strutturale e di lunga durata e uno a carattere operativo per le
trasformazioni edilizie. Fra gli strumenti della pianificazione entrano, per la prima volta, la
valutazione
di
sostenibilità
e
la
programmazione
economico-finanziaria
delle
trasformazioni previste (già comparsa in forma embrionale nei Piani di Recupero della
legge n. 457 del 1978). Il problema del recupero delle aree dismesse e il tema della
riqualificazione della città e dei quartieri della periferia inizia ad essere affrontato con una
serie di nuovi strumenti, definiti programmi complessi o integrati, finalizzati ad intervenire
sulla città consolidata integrando settori diversi della pubblica amministrazione, livelli
diversi di questa (Stato, regione, province e comuni), soggetti pubblici e soggetti privati,
problemi fisici e funzionali con problemi di integrazione sociale.
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, in questo contesto politico-culturale,
iniziano a diffondersi anche le prime pratiche di pianificazione strategica, promosse e
realizzate in modo assolutamente volontario, non essendo tali processi legislativamente
prescritti.
Le nuove forme di pianificazione (a due livelli: integrata e complessa; strategica) sono
promosse e attuate con finalità diverse e, a volte, anche contemporaneamente da uno stesso
ente locale (il caso di Torino, con un nuovo PRG, a cui segue di poco il piano strategico, al
quale contemporaneamente si affiancano diversi programmi complessi e integrati, come
PRU, PRUSST, Contratti di Quartiere, Piani di Azione Sociale, ecc.). Da una parte, infatti, in
23
numerosi comuni i PRG sono rapidamente invecchiati, risultano esauriti o sono rimasti
sulla carta, come gran parte dei piani per progetti; dall’altra il rilievo assunto dal problema
del recupero delle aree dismesse e i nuovi programmi integrati promossi dal governo
centrale (PReU e PRU), sul modello delle politiche urbane promosse per mezzo di bandi
selettivi dalla CEE prima e dall’Unione europea poi, richiedono un nuovo protagonismo
istituzionale e un nuovo impegno a livello locale. Infine, la crisi della politica e dei partiti
tradizionali, nei primi anni Novanta, gioca un ruolo non secondario nell’individuare le
forme di pianificazione strategica come nuova arena di confronto fra amministrazioni e
società civile.
1.1.2. I modelli di riferimento internazionali
In Italia la dimensione strategica della pianificazione viene sostanzialmente scoperta nel
corso degli anni Novanta, scaricando il piano urbanistico (specialmente il piano degli anni
Sessanta e Settanta) dal compito di prefigurare, condensandoli, tutti i possibili modelli di
sviluppo. L’esperienza italiana, quasi per allinearsi ai modelli più avanzati, assume la
pianificazione a due livelli come sperimentazione di un nuovo strumento tecnico, culturale
ed amministrativo che si era evoluto altrove, seguendo la trasformazione delle città in aree
urbane sempre più estese, di scala metropolitana, e accompagnando tali trasformazioni con
modifiche delle forme di governo urbano. Negli stessi anni, anche il piano strategico viene
per analogia assunto come uno strumento utile a promuovere e a sostenere avanzamenti
tecnici, culturali, economici e politici a cui è implicitamente affidata la difficile fase di
transizione da società industriale a società della conoscenza.
Lo sviluppo di processi di interdipendenza fra sfera pubblica e sfera privata, e
conseguentemente fra sfera politica e sfera economica, si ripercuotono direttamente sugli
assetti di governo della metropoli moderna, che non può più essere considerata nella sua
singolarità, ma va vista nelle sue complessive interdipendenze.
Diversamente che in Italia, Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi conducono le prime
esperienze di strategic planning proprio nel periodo di maggiore crescita produttiva e
demografica degli anni Sessanta. Nelle legislazioni urbanistiche di quei Paesi viene
introdotto, in quegli anni, al fianco del tradizionale piano per la regolamentazione degli usi
del suolo, il piano di struttura, con finalità di indirizzo socio-economico e di inquadramento
territoriale di area vasta. Si trattava delle prime esperienze di pianificazione a doppio livello
e di forme di pianificazione strategica ante litteram, mirate principalmente a definire gli
ambiti entro cui individuare aree urbanizzabili e aree di salvaguardia agricola e paesistica e
i sistemi delle reti secondo una modellistica di tipo sistemico capace di garantire coerenza
territoriale di lungo periodo.
24
Dagli Stati Uniti proviene invece un diverso e nuovo modello di piano strategico, definito
per accompagnare il passaggio dei sistemi urbani da industriali a post-industriali. Il
contesto di mutamento globale impone rapidità e fattività, efficienza ed efficacia, in un
quadro di relazioni che si è profondamente modificato e nel quale assumono ruolo centrale
la concertazione e il partenariato pubblico privato. La deregulation istituzionale, promossa
e realizzata negli anni Ottanta negli USA, coinvolge anche il settore urbanistico all’interno
del quale tramonta la pianificazione strutturale-sistemica (o razionale-comprensiva) e inizia
ad affermarsi la pianificazione secondo criteri aziendali, in cui prevalgono i concetti di
efficienza, efficacia, competitività e marketing.
Nel corso degli anni Novanta, nei contesti che in precedenza avevano sviluppato esperienze
di pianificazione strategica o comunque innovativa, l’attenzione delle politiche urbane si
sposta rapidamente sui temi e sui principi di sostenibilità e/o compatibilità, di equità e di
concertazione, continuando tuttavia a promuovere interventi per la riqualificazione degli
spazi urbani e la rigenerazione dei quartieri sensibili delle città. Su queste fondamenta
nascono e si sviluppano i piani strategici di terza generazione di cui esempi significativi
sono il Piano Millénaire 3 di Lione, in Francia; il Piano di Leeds, in Inghilterra e il Piano di
Portland, Oregon negli USA.
Il maggiore elemento di innovazione apportato da queste pratiche di pianificazione
strategica risiede nella configurazione partecipata e condivisa della visione metropolitana.
Si pone maggiore attenzione alla concertazione all’interno della quale vengono incluse le
istanze provenienti dalla cittadinanza e dai cosiddetti “attori” della società civile, fino ad
allora assenti dai tavoli negoziali dei piani strategici. L’argomentazione inclusiva è la nuova
pratica attraverso la quale definire e condividere la visione, favorendo processi di
apprendimento interattivo e di diffusione della conoscenza.
Il processo di pianificazione strategica appena descritto, definito anche di tipo reticolare per
la sua capacità di mettere in connessione, attraverso la partecipazione e la condivisione, si
dimostra particolarmente efficace nel porre in rilievo determinati aspetti e nel valorizzare
determinate condizioni:
-
l’individuazione delle criticità e delle opportunità;
-
la destinazione delle risorse verso obiettivi prioritari;
-
il raggiungimento degli obiettivi prefissati;
-
la condivisione di una visione;
-
la partecipazione del pubblico e del privato alla costruzione del futuro;
-
la costituzione di una stagione di piani partecipati e condivisi di ampio respiro.
25
L’attrazione di capitali esterni o l’invito rivolto ad imprenditori esteri ad investire nella
propria città è una delle primarie motivazioni che spingono una città o un insieme di città
ad avviare processi di pianificazione – in particolare, recentemente, di pianificazione
strategica – ma attrarre investimenti è uno degli obiettivi da raggiungere, non la condizione
senza la quale non si può dare avvio al processo di pianificazione.
1.1.3. I caratteri essenziali della pianificazione strategica più recente
Attualmente, sia nei casi internazionali che nei principali casi italiani, la pianificazione
strategica è finalizzata all’individuazione di obiettivi di ampio respiro e di lunga durata, da
perseguire e realizzare ricorrendo a pratiche di gestione e di governo sempre più integrate,
per limitare l’attuazione di strumenti e politiche settoriali e per affrontare in modo più
efficace problemi come la mobilità e il trasporto, il consumo ambientale, la riqualificazione
urbana, le politiche sociali, le politiche occupazionali o per la riconversione produttiva.
In Italia, un ruolo particolare, assunto in alcuni casi di pianificazione strategica, è quello di
rilanciare su base volontaria, in assenza di efficaci strumenti tradizionali, il tema della
pianificazione d’area vasta e delle aree metropolitane, ponendo l’accento sui problemi di
diffusione e dispersione urbana, di crisi ambientale e di crisi delle infrastrutture di
trasporto a tutti i livelli.
In generale, sia che si tratti di contesti metropolitani (o di dispersione urbana), sia che si
tratti di contesti di centri minori connessi a rete, il minimo comune denominatore di
numerose esperienze, non solo italiane, è individuare nuove regole di comportamento, di
auto-governo e di auto-regolamentazione rispetto a fenomeni e processi che non possono
essere più governati autonomamente, ricomponendo, insieme al territorio, anche la
frammentazione amministrativa e la settorializzazione del governo pubblico.
Condivisione, partecipazione, costruzione della visione e pratica delle forme allargate e
“para-istituzionali” di governo assumono un ruolo decisivo proprio in corrispondenza di
processi, più o meno decisi, di decentralizzazione o di riconfigurazione istituzionale in
senso federalista. Tali processi e riconfigurazioni hanno spesso prodotto nuove
conflittualità e notevoli incertezze nel confronto fra istanze locali e generali, non solo in
Italia ma anche in Paesi di consolidata tradizione centralista come la Francia, evidenziando,
in materia di governo del territorio e dell’ambiente, ma anche nelle politiche
infrastrutturali, tutti i limiti dei processi forzati di decentramento.
Come nel caso della pianificazione strutturale o a due livelli (considerata la prima
generazione di pianificazione strategica), anche relativamente alla pianificazione strategica
l’Italia, a parte casi di eccellenza e buone pratiche isolate, sconta una tardiva maturazione
dei processi (Glasgow e Barcellona, ad esempio, hanno già elaborato e attuato diversi piani
26
strategici), che si traduce, operativamente, in una maggiore difficoltà nel produrre scenari
strategici condivisi e quindi modelli innovativi di amministrazione e in una minore
efficienza nell’attuazione di politiche e programmi complessi, integrati; in particolar modo
di quelli che affrontano il problema della mobilità e le pratiche di sostenibilità.
Se ciò è vero, occorre però ricordare che proprio nel corso degli anni Novanta e in materia
di innovazione amministrativa e delle pratiche di pianificazione urbanistica e territoriale,
gestione urbana, promozione di sviluppo locale, si sono registrate le maggiori innovazioni
amministrative e la più diffusa applicazione di nuovi strumenti di governo urbano e del
territorio, ivi compresi:
-
i programmi comunitari (Obiettivo 2, Urban, Leader II e Leader +, Interreg, ecc.);
-
le pratiche come il controllo di gestione, il bilancio sociale, l’Agenda 21 locale, i
bilanci ambientali e la contabilità ambientale pubblica;
-
i Rapporti sullo stato dell’ambiente;
-
le metodologie di valutazione di impatto ambientale prima e la valutazione
ambientale strategica poi;
-
le tecniche di analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats);
-
le procedure di accounting responsabile (per esempio, il metodo CLEAR, ovvero City
and Local Environmental Accounting and Reporting);
le esperienze di associazionismo comunale volontario e di perequazione urbanistica e
-
territoriale.
Proprio sulla base di questi risultati, è possibile affermare che le esperienze condotte a
livello locale, anche se a macchia di leopardo e con notevoli differenze fra regioni, fra Nord
e Sud, fra città grandi e medie, hanno tentato di affrontare strategicità, sostenibilità,
competitività (ma anche cooperazione) con spirito di innovazione e di sperimentazione
maggiore rispetto alle strutture centrali e ai diversi governi nazionali succedutisi alla guida
del Paese.
In questo processo di innovazione e di modernizzazione, tanto delle forme e delle strutture
che degli strumenti di governo, rientrano anche le esperienze di pianificazione strategica.
Generalmente, malgrado peculiari differenze e maggiori o minori livelli di innovazione, i
piani strategici promossi da città e territori italiani risultano essere documenti elaborati
interattivamente da diversi soggetti capaci di prefigurare linee di sviluppo e percorsi per
realizzarle. Strumenti la cui costruzione e formulazione può sinteticamente essere
schematizzata in sei punti:
1.
costituzione dell’organizzazione e della struttura per la costruzione del piano;
2. condivisione di un progetto di città di medio-lungo periodo;
27
3. avvio dell’analisi diagnostica di tipo multidisciplinare e multisettoriale;
4. formulazione di strategie e obiettivi partecipati e condivisi;
5. partecipazione pubblico/privato per la definizione e realizzazione delle azioni;
6. attuazione e monitoraggio delle azioni.
In conclusione, il percorso di rinnovamento dell’amministrazione pubblica locale e
dell’insieme degli strumenti di governo a sua disposizione attuato nel corso degli ultimi
anni ha costituito forse il maggiore costrutto del processo di decentramento di poteri, diritti
e doveri di governo intrapreso dall’Italia nello stesso arco temporale e la pianificazione
strategica, laddove applicata, è divenuta parte integrante di questa fase di rinnovamento,
segnando anche nuove ed interessanti forme di protagonismo istituzionale.
1.2
Iniziative recenti di pianificazione strategica urbana
Il quadro della pianificazione strategica urbana è in piena evoluzione. Questo rapporto
presenta l’indagine svolta sulle principali 16 città italiane che si sono dotate di un piano
strategico, o che hanno iniziative in corso. Occorre però segnalare un continuo fiorire di
iniziative promosse in particolar modo dai comuni, a riprova che gli enti locali, pur nella
attuale situazione di crisi finanziaria o forse proprio per effetto di essa, non cessano di
sperimentare nuove strade per assicurare alle comunità locali modalità di governance
sempre più efficaci. In questa sezione dello studio si segnalano alcune recenti iniziative in
materia di pianificazione strategica che sono state avviate dagli enti locali e che, per ragioni
di tempo, non sono state incluse nell’indagine.
Piano strategico Gorizia 2010: idee per crescere in Europa
Nel febbraio 2004 l’amministrazione comunale di Gorizia ha annunciato l’avvio del
processo di pianificazione strategica, strettamente collegato all’appuntamento del maggio
2004 quando sarebbero venuti a cadere i confini sloveni e – assieme a questi – quelli di una
parte rilevante dei Paesi dell’Europa dell’Est.
La caduta delle barriere doganali, la cui gestione è stata per Gorizia una fonte importante di
traffici e ricchezze, ha posto il problema di reinventare parte dell’economia cittadina, di
ridefinire e ridare alla città un suo assetto produttivo, una sua strategia di attrazione di
nuove risorse e di valorizzazione di quelle esistenti. La sfida più importante che il Comune
di Gorizia ha saputo lanciare e portare avanti nell’ambito del processo di pianificazione
strategica è stata di progettare il futuro di Gorizia, promuovendo quello di tutta la sua
provincia.
28
Piano strategico della rete locale della Bassa Reggiana
A partire dal primo semestre del 2003 gli 8 comuni della Bassa Reggiana (Brescello,
Boretto, Gualtieri, Guastalla, Luzzara, Novellara, Poviglio, Reggiolo), la Provincia di Reggio
Emilia e la Camera di Commercio di Reggio Emilia, hanno assunto il ruolo di promotori e
coordinatori di un processo di pianificazione strategica che coinvolge anche l’Università di
Modena e Reggio Emilia. L'attività di ricerca e di conoscenza delle caratteristiche territoriali
è stata avviata nel mese di giugno 2003. L'obiettivo principale del processo è quello di
costruire in modo condiviso il futuro della rete locale e delle comunità. Il piano è calibrato
su di un orizzonte temporale di venti anni.
Piano strategico di Jesi
L'amministrazione comunale di Jesi ha deciso di intraprendere un processo di ridefinizione
delle politiche urbanistiche e urbane nella città, affidando tale compito a tre nuovi
strumenti: il piano strategico, la variante generale del piano regolatore e l'Agenda 21 locale.
Il piano strategico, in particolare, ha come finalità la costruzione di un documento che
individui i problemi, le opportunità, gli obiettivi e gli scenari di sviluppo del territorio di
Jesi. Il lavoro svolto fino ad ora può essere diviso in 4 fasi temporali:
1.
settembre-dicembre 2003, dedicata all’ascolto diffuso degli interlocutori locali,
secondo tempi e modi diversamente articolati;
2.
febbraio 2004, che ha avuto come attività centrale l’organizzazione e la realizzazione
dei focus group;
3.
marzo 2004, redazione dell’Agenda strategica;
4.
giugno 2004, redazione del piano strategico;
Piano strategico di Pergine
Il Comune di Pergine Valsugana, terzo comune del Trentino, nel maggio 2002 ha elaborato
il documento “Verso il Piano strategico di Pergine”. La decisione è derivata dalla necessità
di valorizzare le risorse esistenti e creare le condizioni necessarie al perseguimento del più
generale sviluppo sostenibile. Dal sito www.comune.pergine.tn.it è possibile scaricare
l’elenco dei progetti da avviare e l’elenco dei progetti in cantiere.
Piano strategico per il territorio di Assisi
Il Comune di Assisi ha predisposto il “Piano strategico per la Crescita e lo Sviluppo
dell’Intero Territorio”, un piano che tende ad attrarre capitali di privati e che ha l’obiettivo
strategico di proseguire nella valorizzazione dei beni storico-artistici, culturali, museali e
archeologici, al fine di promuovere forme di turismo di maggiore qualità e creare le
29
condizioni anche per rilanciare il commercio. L’iniziativa sembra piuttosto limitata dal
punto di vista del coinvolgimento delle forze economiche e sociali e di altre istituzioni
pubbliche. Dalle fonti ufficiali (www.comune.assisi.pg.it) per il momento non sono noti altri
sviluppi.
Piano strategico di Barletta
Il “Piano Strategico Territoriale della città di Barletta” è stato presentato il 5 ottobre 2004,
nel corso di una assemblea pubblica.
La città di Barletta è la prima, nella Provincia di Bari, e una delle prime del Sud Italia, ad
intraprendere questo importante percorso innovativo di democrazia partecipata. La
pianificazione strategica di Barletta si svilupperà secondo i seguenti assi tematici: società e
cultura locale; economia e attività produttive; welfare; ambiente e assetto urbanistico;
strumenti di governo e risorse. In questo primo anno, il piano sarà un diario che
raccoglierà pagine di ascolto e modalità di coinvolgimento dell’intera comunità cittadina, in
forma associata e non.
Piano strategico di Bolzano
Il 22 settembre 2004 la Giunta comunale di Bolzano ha incontrato la città per presentare il
piano strategico “Idee 2015 Pensare la Città” cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo. Il
piano è costruito attorno a quattro grandi aree tematiche: sociale (famiglia, giovani, donne,
tempo libero, casa, ecc.), cultura turismo e spettacolo (valorizzazione delle risorse locali in
un quadro di cittadinanza europea), sviluppo economico ed occupazionale (infrastrutture,
innovazione tecnologica, insediamenti), territorio e ambiente (spazi e tempi della città,
mobilità). Lo scopo è quello di rafforzare i trend positivi esistenti cercando soluzioni per
attenuare o invertire le tendenze negative.
Piano strategico di Prato
Il sindaco insieme all'Assessore allo Sviluppo economico e all'Assessore all'Urbanistica, nel
luglio 2004 ha presentato alle categorie economiche e sociali, ai sindacati e alla Camera di
Commercio, lo schema del “Piano strategico della città di Prato” che prevede l’impegno
dell'amministrazione comunale e l'intera città per definire il futuro di Prato.
La testa di direzione politico-istituzionale (il Laboratorio per il piano), è composta dal
sindaco e dal suo vice, dagli Assessori all'Urbanistica e Sviluppo economico, i presidenti
delle associazioni economiche, i segretari delle organizzazioni sindacali confederali; a fianco
i gruppi di lavoro tematici e i gruppi di esperti nella veste di consulenti, fra cui sicuramente
un demografo, economisti, urbanisti, sociologi, antropologi, esperti di logistica.
30
CAPITOLO 2
ANALISI DEI PIÙ RILEVANTI CASI DI PIANIFICAZIONE URBANA
STRATEGICA IN ITALIA∗
2.1
Introduzione
2.1.1. Il focus dell’indagine: le città italiane attive nella pianificazione
strategica
La rilevazione sul campo ha riguardato 16 città italiane che nel gennaio 2004 risultavano
impegnate a preparare o attuare un piano urbano strategico. A seguito dell’indagine sul
terreno, iniziata nei primi mesi del 2004, i dati raccolti sono stati completati con
approfondimenti mirati nei mesi successivi e l’indagine è stata conclusa nella seconda metà
del 2005.
Le città esaminate sono: Copparo (FE), Cuneo, Firenze, Genova, La Spezia, Perugia, Pesaro,
Piacenza, Roma, Sesto S. Giovanni (MI), Torino, Trento, Varese, Venezia, Vercelli, Verona.
Come si vede, si tratta di città dalla dimensione molto diversa: da Roma, la capitale del
Paese nonché più grande comune italiano con oltre 3 milioni di abitanti, a Torino, comune
la cui popolazione supera le 900 mila persone ed è, con Milano e Napoli, tra le 4 maggiori
città italiane, fino a piccoli capoluoghi di provincia come Vercelli (comune con una
popolazione di poco superiore ai 45 mila abitanti), e alle cittadine di Sesto San Giovanni e
Copparo, due dinamici comuni di provincia molto diversi tra loro (più grande e
storicamente industriale il primo, più piccolo e storicamente agricolo il secondo). Inoltre
Sesto San Giovanni è parte integrante dell’area metropolitana di Milano, mentre Copparo è
il maggiore comune della Provincia di Ferrara.
La lista delle 16 città è il risultato dell’osservazione sul campo e dello sforzo di includere
nell’indagine tutte le città per le quali si era venuti a conoscenza dell’esistenza di un piano
strategico urbano, già approvato o in corso di elaborazione. Da un primo elenco di 10
comuni, si è arrivati alla attuale lista di 16 città che hanno giocato il ruolo di capofila di
altrettanti piani strategici. Pertanto non si è seguito alcun criterio particolare per escludere
o includere qualche determinato caso.
Il fenomeno della pianificazione strategica è ancora così limitato in Italia che si è voluto
cercare di offrire al lettore un quadro completo, cioè un’analisi fondata non su una
∗
Di Gastone Ave e Paolo Ceccarelli. Ha collaborato Luca Fondacci.
31
osservazione di un campione di casi ancorché significativi, ma sull’analisi di tutte le città
impegnate sul tema della pianificazione strategica urbana. Nella tabella seguente si
presenta il quadro generale delle città oggetto dell’indagine. Emerge che:
•
dal punto di vista territoriale, la grande maggioranza (12 su 16) delle città è
localizzata nel Nord; vi sono alcuni importanti casi nel Centro Italia (4 città su 16),
mentre alla data della rilevazione non vi erano città nel Sud e nelle Isole (unica
eccezione Barletta, in cui il piano strategico era appena stato avviato);
•
il fenomeno della pianificazione strategica urbana non si è manifestato solo nelle
città maggiori. Vi è un buon numero di casi (7 su 16) di pianificazione strategica
urbana riguardante comuni o gruppi di comuni che superano, nel loro insieme, i 200
mila abitanti; ma si deve osservare che è stato rilevato un analogo numero di piani
strategici in comuni o gruppi di comuni che hanno una popolazione inferiore ai 200
mila abitanti e superiore ai 50 mila abitanti. Vi sono anche piani strategici promossi
da municipalità singole (Vercelli) o associate (Copparo e comuni associati) che
registrano, in ambedue i casi rilevati, una popolazione inferiore ai 50 mila abitanti.
Tabella 2.1.1
Una comparazione delle città coinvolte nella pianificazione strategica in Italia
Città
Torino
La Spezia
Verona
Genova
Vercelli
Venezia
Trento
Sesto San
Giovanni (MI)
Roma
Perugia
Firenze
Piacenza
Pesaro
Varese
Copparo (FE) e
comuni associati
Cuneo
Ripartizione
geografica
Nord Centro Sud e
Isole
●
●
●
●
●
●
●
●
Popolazione del comune o dei comuni
interessati dal piano
da 50.001 a
da 100.001 a
oltre
fino a
100.000 ab.
200.000 ab.
200.001
50.000
ab.
ab.
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
●
Fonte: elaborazione su dati dei comuni
32
2.1.2. L’oggetto dell’indagine
Oggetto dell’indagine è stato sia il processo di pianificazione strategica, sia il prodotto a cui
le città esaminate sono pervenute.
In una prima fase è stata condotta un’analisi approfondita di ogni singola esperienza il cui
risultato è la scheda di presentazione, disponibile per ognuno dei piani esaminati nel CD
allegato. Nello stesso CD sono anche raccolti i principali documenti originali che sono stati
prodotti dalle singole città esaminate. Questo sforzo documentario è finalizzato a
permettere al lettore un accesso diretto ai documenti originali, in modo che possa
comparare le analisi contenute nella presente indagine con le fonti primarie, dato che il
materiale prodotto dalle singole città ha avuto in genere una circolazione limitata.
Per ogni singola esperienza l’analisi ha evidenziato una serie di elementi fondanti del piano
tra cui:
1.
le fasi;
2. i soggetti;
3. l’ambito territoriale;
4. le ragioni del piano;
5. attori e ruoli;
6. modalità di realizzazione;
7. obiettivi;
8. punti di forza e debolezza;
9. criticità e opportunità;
10. originalità e peculiarità;
11. risultati.
Si è cercato, in particolare, di mettere in luce il processo di pianificazione seguito, il
prodotto a cui gli enti locali sono pervenuti, così come i principali insegnamenti ed errori
che una lettura a posteriori consente di mettere in luce.
In una seconda fase, si è svolta una analisi trasversale tra i casi esaminati soffermandosi su
alcuni punti di interesse generale, tra cui:
-
le motivazioni che hanno dato l’avvio al piano;
-
la distinzione tra piani approvati, non approvati o in corso di approvazione;
-
gli attori e i rispettivi ruoli;
-
le metodologie per l’analisi diagnostica e per la definizione dei contenuti;
-
i metodi di partecipazione e l’articolazione delle fasi temporali per la formazione del
piano e per la sua attuazione;
-
i contenuti generali (linee strategiche, obiettivi e azioni);
33
-
i contenuti specifici (visione, progetti di bandiera);
-
l’organizzazione della fase di preparazione e della fase di attuazione;
-
i prodotti documentali (documenti, testo finale sottoscritto, ecc.);
-
l’ambito territoriale di competenza;
-
i soggetti pubblici e privati sottoscrittori;
-
gli eventuali soggetti importanti esclusi;
-
l’implementazione: attori, forme istituzionali, risorse umane e materiali, risorse
finanziarie e comunicazione.
I punti sopra indicati sono stati scelti e sviluppati nell’analisi con l’intento di fare emergere
se e in che misura il piano strategico è considerato seriamente come uno strumento di
governance locale dai primi enti locali italiani che lo stanno studiando o lo stanno già
attuando. Una delle ipotesi da verificare muoveva dal presupposto che il piano strategico
fosse stato considerato fin dall’inizio da tutte le città esaminate come uno strumento di
buona governance locale. Però occorreva verificare sul campo, al di là delle dichiarazioni
iniziali, spesso più opera dei consulenti esterni che degli amministratori locali, se il piano
strategico aveva permeato in misura stabile la pratica amministrativa locale non tanto nelle
forme quanto nella metodologia e nei contenuti.
Un secondo intento dell’analisi era quello di mettere in luce i vantaggi che le città incluse
nell’indagine hanno ottenuto grazie alla pianificazione strategica, anche per consentire
l’emulazione delle migliori pratiche osservate, diffondendo anche presso gli altri enti locali
italiani l’informazione sugli errori più frequenti commessi.
L’ipotesi verificata in partenza ha riguardato il ruolo attivatore dell’ente locale che è stato
dimostrato ampiamente dall’indagine. In tutti i casi esaminati, pur con differenze e
particolarità locali, l’ente locale ha sempre giocato il ruolo principale nell’avvio
dell’esperienza della pianificazione strategica locale che, è bene ricordarlo, resta una
iniziativa di tipo volontario che si svolge solo con il consenso degli interessati, non gode né
di finanziamenti ad hoc né di procedure sperimentate. Eppure i vantaggi attesi dal piano
strategico devono essere apparsi alle città esaminate così rilevanti da superare il costo
globale richiesto e le difficoltà di avviare un procedimento basato sull’adesione volontaria
dei soggetti. O forse la spiegazione è più semplice: la scelta di sperimentare il piano
strategico probabilmente doveva apparire come una delle poche praticabili, visto il
passaggio ormai maturato da un governo di tipo comando/controllo a una governance
diffusa, in cui le decisioni più importanti possono essere assunte solo in un contesto di
cooperazione tra più soggetti (pubblici e privati) e su basi territoriali generalmente più
ampie di quelle di un singolo comune.
34
Tabella 2.1.2
Quadro comparativo per data di avvio dei piani strategici urbani in Italia, 19982004
Anno di inizio del
piano strategico
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004*
Numero di piani
strategici urbani
iniziati
2
4
4
1
2
3
0
Città capofila nella preparazione del
piano
Roma, Torino
Genova, La Spezia, Sesto S. Giovanni, Varese
Firenze, Piacenza, Trento, Venezia
Pesaro
Copparo (FE), Perugia
Cuneo, Vercelli, Verona
*al luglio 2004. Successivamente a tale data si è registrato l’annuncio dell’avvio di altri piani
strategici, ad esempio quelli dei Comuni di Barletta, Bolzano, Prato e delle Province di Milano e
Treviso.
Nella tabella precedente si può notare che la maggior parte (13 casi su 16) dei piani
strategici è stata avviata negli anni 1999, 2000, 2002 e 2003. Per quanto il numero dei casi
a disposizione sia ancora modesto in valore assoluto, ad una prima lettura sembra che le
amministrazioni comunali abbiano una tendenza ad avviare lo studio di un piano strategico
urbano nei primi anni del mandato amministrativo, in particolare nel secondo e nel terzo
anno del mandato che dal punto di vista del governo dell’ente locale sono gli anni più
operativi, cioè meno influenzati da diatribe interne successive o antecedenti le tornate
elettorali. Gli anni segnati da elezioni amministrative (2001 e 2004) hanno visto l’avvio di
un solo piano strategico (nel Comune di Pesaro) tra i 16 presi in considerazione
dall’indagine. Dalla tabella sopra riportata si può, quindi, dedurre che il piano strategico
venga inteso come lo strumento di programmazione intersettoriale e di lungo periodo in cui
le amministrazioni locali collocano in termini operativi il proprio programma di mandato,
evidentemente presentato come funzionale alla realizzazione di una parte più o meno ampia
di quanto previsto dal piano strategico stesso.
2.1.3. Le ragioni che hanno spinto allo studio dei piani strategici
Dall’esame dei 16 casi oggetto dell’indagine emergono diverse motivazioni che hanno spinto
gli enti locali a preparare un piano strategico urbano. Le motivazioni prevalenti possono
essere raggruppare in:
•
ragioni economiche;
•
ragioni urbanistiche;
•
ragioni sociali;
•
ragioni ambientali;
•
ragioni istituzionali.
35
Tali categorie di motivazioni non sono di carattere esclusivo. Se in alcuni casi una sola di
esse è stata sufficiente a fare prendere la decisione di avviare il piano strategico, in altri casi,
tipicamente quelli delle città più complesse, le motivazioni si ritrovano in più di una delle
categorie menzionate, se non in tutte.
Le ragioni di tipo economico si articolano nelle seguenti posizioni:
-
Reagire ad una situazione stagnante.
La prima motivazione è connessa alla percezione di un’economia locale stagnante, causata
dalla crisi dei precedenti modelli di sviluppo di tipo industriale (ad esempio: Torino, Area
Nord Milano, Varese), agricolo (es. Vercelli, Copparo), portuale (es. Genova, Venezia, La
Spezia), o dalla presenza di settori terziari poco dinamici come quello della pubblica
amministrazione (es. Trento). In questo caso le amministrazioni locali hanno ritenuto che il
piano strategico potesse favorire lo sviluppo di modelli economici diversi, in grado di
rivitalizzare e rilanciare le vecchie funzioni economiche (industria leggera avanzata, invece
di quella pesante, R&D, servizi alle imprese), o seguire strade completamente nuove
(valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale per il turismo, rafforzamento di
funzioni formative di livello universitario).
-
Massimizzare le opportunità.
Una città o un territorio, investiti da un rapido processo di trasformazione, ritengono che
gli strumenti di pianificazione urbanistica, i comportamenti collettivi e i modelli
imprenditoriali propri della situazione locale non siano adatti a trarre il maggior profitto
possibile dalle opportunità che si sono aperte o si stanno aprendo. Il piano strategico serve
a fare il punto della situazione in cui ci si trova, a stabilire nuovi traguardi e ad assegnare a
ciascuna componente sociale ed economica un ruolo adeguato e positivo. Questo
atteggiamento è in genere caratteristico di città medie e piccole (come ad esempio Piacenza,
Cuneo, Pesaro) che stanno vivendo una fase di profonda trasformazione e si rendono conto
della necessità di disporre di atteggiamenti mentali e strumenti adeguati a fronteggiarla.
-
Puntare ad un ruolo più importante.
Una terza motivazione è simile alla precedente ma riguarda città e territori in sviluppo che
vedono nell’attuale congiuntura la possibilità di svolgere in futuro un ruolo più importante.
In questo caso la strategia non consiste solo nel darsi strumenti più adeguati per non
perdere una serie di occasioni, ma nel creare strumenti nuovi, per operazioni di più ampio
respiro a livello nazionale e internazionale. È la strategia di città che puntano a costituire
reti integrate tra loro in modo da disporre di un più forte potere di attrazione e
contrattazione, oppure di città che puntano ad essere importanti centri di terziario
avanzato, di ricerca, e così via. Le città che adottano strategie di questo tipo non sono
necessariamente grandi città; spesso si trovano anche centri urbani di media dimensione
36
che perseguono con molta determinazione politiche di eccellenza. Ricadono in questa
tipologia i casi di Venezia, Genova e Verona, ma anche le città di Pesaro, Varese e Vercelli.
-
Contenere conseguenze non desiderate dello sviluppo.
Una quarta ragione per realizzare un piano strategico è quella addotta da città di successo
che temono che questo tipo di sviluppo possa non continuare indefinitamente, o che
paventano le conseguenze negative di un successo centrato soprattutto su una funzione
prevalente, ad esempio il turismo. In questo caso il piano strategico è pensato come
strumento per contenere la domanda e per qualificare e diversificare sia l’offerta che la
domanda. Queste motivazioni sono state chiaramente enunciate nell’avvio del piano
strategico di Venezia e di Firenze.
Le ragioni urbanistiche emerse dall’analisi dei 16 casi sono di due ordini:
•
interazione positiva tra pianificazione urbanistica e pianificazione strategica;
•
risvolti territoriali di politiche generali di rilancio urbano.
Il primo gruppo di motivazioni riguarda l’attuazione di programmi e progetti di
trasformazione urbana previsti dagli strumenti urbanistici e che non possono essere
realizzati in assenza di un forte consenso cittadino e di una consistente mobilitazione di
risorse finanziarie. Il piano strategico, inserendo queste opere tra le proprie azioni, appare
lo strumento più idoneo per conseguire tali risultati. Questo tipo di motivazione è presente
in quasi tutti i casi esaminati, ed è particolarmente evidente nella profonda trasformazione
urbanistica (prevista o già in atto) delle città di Torino (XX Giochi Olimpici Invernali,
Torino 2006), Trento (riqualificazione dell’area dismessa ex-Michelin), Piacenza
(riqualificazione delle aree centrali) e Venezia (riqualificazione di alcune aree della zona di
Marghera antistanti la laguna e di altre aree strategiche della città).
Al contrario, ci sono città che stanno già attuando con successo politiche di rinnovo e
trasformazione urbana, che ritengono necessarie le iniziative per valorizzarle (attrarre
nuove funzioni, richiamare nuove quote di popolazione, ospitare grandi eventi) e che
vedono nel piano strategico il veicolo più efficace per creare un nuovo clima cittadino, per
dare una nuova immagine della città. Sembra questo il caso di Firenze, che con il piano
strategico si è riproposta la creazione di un consenso sufficiente ad affrontare una serie di
obiettivi di scala metropolitana, quali ad esempio il progetto del parco metropolitano, da
tempo in agenda. In sostanza l’intreccio tra pianificazione strategica e pianificazione
urbanistica (sia che si tratti di piani strutturali che di piani di dettaglio o di “progetti
urbani”) appare nei casi esaminati piuttosto forte, esistendo una complementarietà tra
queste due linee di politiche.
37
Vi sono però anche motivazioni che non riguardano in prima istanza gli strumenti
urbanistici, ma si riferiscono a condizioni geografiche da migliorare, a situazioni socioeconomiche da affrontare a livello territoriale attraverso la successiva adozione di misure di
pianificazione territoriale ed urbana. Se ne possono citare alcune ricorrenti:
-
Superare l’isolamento geografico.
Una motivazione addotta da alcune città per giustificare l’avvio di un piano strategico è la
necessità di superare il proprio isolamento. Si tratta della percezione di un isolamento
geografico di tipo tradizionale, che ha origini antiche, o di un isolamento infrastrutturale
che nasce dalle attuali politiche dei trasporti a livello nazionale o internazionale
(infrastrutture di importanza europea, infrastrutture di interesse nazionale come l’Alta
Velocità, mutamenti dei mercati di importazione ed esportazione con relative conseguenze
sulla rete e le modalità di trasporto, ecc.). Il piano strategico è visto come un’occasione per
consentire a queste città di svolgere un ruolo nuovo nelle reti dei trasporti e dei sistemi
geografici in formazione e di ottenere maggiore visibilità, per attrarre funzioni che
altrimenti andrebbero a localizzarsi altrove. Nella costruzione del piano possono emergere
proposte specifiche di interventi infrastrutturali integrativi o aggiuntivi, di localizzazione di
attrattori di funzioni, e così via. Il tema dell’isolamento di tipo infrastrutturale è, ad
esempio, una delle motivazioni che hanno portato Perugia e i 6 comuni contermini ad
avviare il loro piano strategico, nel quale sono previsti numerosi obiettivi e progetti
puntuali per migliorare l’accessibilità da e per l’esterno dell’area, oltre che l’accessibilità
interna.
-
Valorizzare la propria identità in sistemi urbani di grande scala.
Un’altra motivazione, rintracciabile nei piani strategici dei centri dinamici di dimensione
minore e assimilabile alla precedente, è quella di far parte di sistemi metropolitani in cui il
polo maggiore tende ad utilizzare esclusivamente a proprio vantaggio le capacità propulsive
di ciascuna componente. In questo caso le componenti periferiche dell’area metropolitana
cercano di affermare la propria identità ed autonomia valorizzando le proprie specificità
economiche, culturali, ambientali e storiche. Questa è una motivazione che, tra le altre, ha
contribuito a fare aderire diversi piccoli comuni ai piani strategici promossi da capoluoghi
regionali quali Torino e Perugia.
-
Superare i limiti di una dimensione troppo ridotta.
È una motivazione alla base della pianificazione strategica di sistemi urbani minori che
appartengono a un territorio omogeneo con potenzialità di sviluppo. Nessuno dei centri
urbani che lo compongono ha dimensione sufficiente per poter attrarre certe funzioni
superiori, gestire particolari servizi, sviluppare determinate attività avanzate; questo è
invece in parte possibile se si forma un sistema integrato di più ampia scala e di maggior
38
peso demografico. Il piano strategico è visto come un’opportunità per superare questi limiti
di partenza. Si tratta della motivazione che ha fatto aderire al piano strategico promosso da
Sesto San Giovanni e Copparo i comuni minori delle rispettive aree di influenza.
-
La valorizzazione di risorse ambientali e di beni culturali.
L’esistenza di un particolare ambiente naturale o di beni culturali di notevole interesse
inadeguatamente fruiti diventa occasione per elaborare una strategia di tutela e di
valorizzazione delle risorse naturali, architettoniche, urbanistiche che integra azioni di
natura urbanistica ad azioni economiche di promozione e di supporto al turismo. Anche in
questo caso il piano strategico appare l’occasione più idonea per avviare un discorso del
tutto nuovo. Ad esempio, nel caso di Perugia il piano strategico è stato lo strumento per
sviluppare un preesistente dibattito sulla fruizione dei beni storici e artistici presenti su
tutta l’area urbana e non solo all’interno del territorio comunale. La grande mostra sul
Perugino del 2004 è stata così concepita, all’interno del piano strategico di Perugia, come
un progetto di valorizzazione dei beni artistici direttamente ascrivibili al Perugino e alla sua
Scuola, localizzati in diversi piccoli comuni del circondario, molti dei quali aderenti al piano
strategico promosso dalla città capoluogo della Regione Umbria. L’impostazione aperta e
innovativa data fin dal concepimento della mostra avrebbe comunque portato a una
manifestazione articolata su un territorio più ampio di quello del solo capoluogo regionale.
Ma il piano strategico ha fornito a una tale preesistente volontà il quadro ideale per
manifestarsi in pieno.
Le motivazioni di natura sociale per l’avvio di un piano strategico si possono riferire ai
seguenti elementi: 1. mobilitazione contro una crisi locale; 2. necessità di maggiore
solidarietà e coesione; 3. empowerment attraverso la partecipazione; 4. diffusione dei livelli
di responsabilità tra i soggetti coinvolti.
1. Mobilitazione contro una crisi locale.
È ricorrente tra le ragioni che portano a fare un piano la necessità di mobilitare una società
locale che può avere notevoli potenzialità ma che si trova in una fase di crisi e di incertezza
conseguenti alla stagnazione economica o a processi di trasformazione economica in atto, o
una società locale che stenta a definire una sua nuova identità. Spesso il piano strategico
serve, ad esempio, a dare prospettive più ampie ad una classe imprenditoriale che appare
poco innovativa e competitiva. Per molti aspetti il piano strategico è utilizzato come veicolo
per diffondere nuove idee e come incentivo per elaborare azioni mirate di trasformazione.
Esempio di questa concezione del piano strategico è il ruolo molto importante che viene
dato alle azioni per migliorare il livello educativo della popolazione, attraverso programmi
39
di istruzione formale, culturali, di accessibilità e diffusione di tecnologie avanzate di
comunicazione.
2. Necessità di maggiore solidarietà e coesione.
Un altro obiettivo che appare importante è raggiungere una maggiore solidarietà e coesione
della comunità locale nella sua interezza attorno a questioni ritenute particolarmente
importanti. In questo senso vari piani strategici attribuiscono notevole importanza ad
azioni e progetti nel campo dell’istruzione, della sicurezza, della sanità, dell’assistenza alle
componenti più deboli della comunità.
3. Empowerment attraverso la partecipazione.
Due altre motivazioni fondamentali sono, da un lato, stimolare, promuovere e valorizzare le
capacità esistenti e, dall’altro, responsabilizzare le varie componenti della società locale
nella sua realizzazione. Esse si esprimono attraverso un’applicazione attenta e corretta delle
procedure per costruire un piano strategico.
La fase di “ascolto” iniziale non è soltanto un modo indispensabile per ottenere le
informazioni necessarie per diagnosticare una situazione e raccogliere suggerimenti e
proposte specifiche per affrontarla e risolverla. È anche un modo per far acquisire maggior
consapevolezza dei problemi esistenti da parte delle varie componenti della comunità locale
a cui si è richiesto di esprimere le proprie idee e di discutere quelle altrui. L’ascolto diventa,
quindi, anche punto essenziale del processo di coinvolgimento dell’intera comunità nella
costruzione del suo futuro: attiva, infatti, il processo di partecipazione alla costruzione del
piano strategico, che è senza dubbio un importante fattore di mobilitazione ed integrazione
sociale. Se il piano tiene effettivamente conto delle diverse istanze sociali attraverso il
coinvolgimento di tutte le componenti di una comunità, è probabile che a loro volta esse
promuovano iniziative per attuarlo, in quanto mezzo di pianificazione che rappresenta
anche le loro istanze.
La partecipazione è inoltre elemento strutturale della governance e senza governance non è
possibile formulare una strategia per la comunità nel suo insieme. Quindi un piano
strategico può, tra le sue finalità, avere quella dell’empowerment della comunità locale, e in
particolare dei suoi gruppi tradizionalmente meno forti e meno centrali nel processo
decisionale, rispetto a scelte strategiche per il futuro.
4. Diffusione dei livelli di responsabilità tra i soggetti coinvolti.
Altrettanto importante è la responsabilizzazione dei vari soggetti nella costruzione e
realizzazione della strategia. Chi partecipa alla costruzione del piano strategico è anche
chiamato ad esplicitare il tipo di apporto che il gruppo di interesse rappresentato può
fornire e ad assumere precise responsabilità per assicurare che ciò avvenga entro precisi
termini di tempo. L’assunzione di responsabilità precise rispetto al raggiungimento di
40
determinati obiettivi generali attraverso azioni specifiche implica anche che si arrivi a scelte
condivise. La condivisione è quindi conseguenza diretta della partecipazione e della
responsabilizzazione.
Ovviamente non tutti i piani si propongono in modo chiaro ed esplicito un percorso di
questo tipo; tuttavia il meccanismo stesso della partecipazione-condivisione mette in moto
un processo di portata più ampia. Obiettivi che si trovano spesso nei piani strategici, come
accrescere la solidarietà, migliorare l’integrazione, facilitare l’accesso ai momenti
decisionali, sono strettamente conseguenti all’effettiva messa in atto delle procedure
previste da una corretta pianificazione strategica.
Per quanto riguarda l’ambiente, l’avvio dei piani strategici è spesso giustificato dall’esigenza
di trovare soluzioni condivise a questioni ambientali urbane, di sperimentare modelli di
sviluppo sostenibile che segnino una svolta migliorativa rispetto al passato o di tutelare e
valorizzare dei beni ambientali particolari presenti in loco.
Tra queste, una delle motivazioni ricorrenti nei piani strategici è la più corretta gestione
dell’ambiente nel suo insieme e la soluzione di alcuni specifici problemi ambientali. La
sostenibilità è spesso indicata come un paradigma di riferimento, purtroppo non sempre le
azioni scelte come portanti producono tuttavia un miglioramento effettivo della situazione
ambientale.
Ovviamente ci sono piani che fanno invece della tutela dell’ambiente e della realizzazione di
un modello di sviluppo urbano sostenibile un elemento centrale della loro strategia. Questo
avviene spesso nel caso di città con un passato industriale, magari legato a produzioni
altamente inquinanti, che immaginano un futuro molto diverso, oppure nei casi in cui lo
sviluppo in atto (per esempio turistico) crea rischi per l’ambiente che è la ragion stessa del
successo di quello sviluppo.
Da ultimo, si è già fatto riferimento all’importanza della variabile ambientale sia rispetto
alle motivazioni economiche che rispetto a quelle urbanistiche, in alcuni piani strategici è
però presente anche la tutela della componente ambientale in sé, come risorsa strategica da
difendere ed elemento importante della “qualità urbana” (un fattore di attrazione che
spesso ha un peso molto rilevante).
Le ragioni istituzionali, anche se fortemente presenti nella formulazione dei piani strategici,
spesso non sono direttamente esplicitate: sono più genericamente espresse come necessità
di maggiore efficienza e trasparenza, di più diffusa partecipazione alle decisioni, di verifica
dei risultati effettivamente ottenuti. In quest’ottica due motivazioni sembrano essere
particolarmente importanti:
41
1. La necessità di promuovere una nuova governance locale.
Una serie di fattori concomitanti hanno nel corso degli ultimi anni reso sempre più
necessario il ricorso a forme di governo partecipato, a comportamenti basati sulla
sussidiarietà dei vari soggetti istituzionali, alla condivisione delle scelte con assunzione di
responsabilità di tutti gli attori coinvolti. L’elaborazione di un piano strategico legittima, in
un’ottica più ampia e di medio periodo, i processi di governance rendendo manifesto, sia
nelle procedure per la sua costruzione che nei risultati man mano raggiunti, l’opportunità di
procedere ad una forma partecipata e condivisa di governo del territorio e dei processi
sociali ed economici che hanno luogo in esso. In sostanza il piano strategico rappresenta
per certi aspetti un’occasione di esercitazione, un laboratorio in cui attuare in concreto
pratiche di cui tutti riconoscono in linea di principio l’importanza ma che di fatto vengono
poco realizzate. Appare evidente che da questa esperienza derivano anche indicazioni
precise per l’innovazione istituzionale delle procedure e delle pratiche.
2. Realizzare maggiore efficienza e trasparenza.
Le procedure di attuazione di un piano strategico implicano la definizione precisa dei
progetti, tempi di realizzazione ben definiti e l’esistenza di un sistema di controlli dei
risultati raggiunti e della loro corrispondenza agli obiettivi dati e agli impegni presi da
ciascun soggetto. Il processo attuativo delle azioni di un piano strategico risulta di
conseguenza molto più trasparente e tendente all’efficienza di un processo amministrativo
tradizionale. Diviene così un modello di riferimento per l’attività ordinaria dei soggetti
pubblici e privati che lo hanno promosso, e ne consegue un beneficio complessivo per il
sistema.
2.2
Lo schema interpretativo dei casi
2.2.1. Il contesto istituzionale e lo stato di preparazione dei singoli piani
I 16 piani strategici urbani esaminati possono essere raggruppati in categorie omogenee a
seconda di numerosi parametri tra i quali i due principali, ai fini dell’indagine, sembrano
essere i seguenti: 1) il rango del comune capofila; 2) lo stato di preparazione e attuazione
del piano strategico. Il primo criterio è utile per non perdere di vista la grande diversità di
scala che esiste tra le città che hanno fino ad ora promosso un piano strategico: si va dalle
più grandi aree metropolitane italiane a piccoli comuni. Il secondo criterio serve per
mantenere alta l’attenzione sul fatto che il piano strategico è solo uno strumento di
pianificazione e che solo la sua attuazione può dare luogo ai miglioramenti attesi dalle
singole azioni previste dal piano.
Per semplicità, sotto il profilo del rango istituzionale possiamo ripartire i comuni capofila
dei processi di pianificazione strategica locale nel modo seguente:
42
•
città capoluogo di regione: Torino, Firenze, Genova, Perugia, Roma, Trento,
Venezia;
•
città capoluogo di provincia: Cuneo, La Spezia, Pesaro, Piacenza, Varese, Vercelli,
Verona;
•
altri comuni: Copparo (Ferrara); Sesto San Giovanni (Milano).
Sotto il profilo dell’iter di preparazione e approvazione dei rispettivi piani strategici la
situazione è, allo stato attuale, la seguente:
•
città che dispongono di un piano strategico urbano approvato e in via di attuazione o
di un piano strategico privo di una approvazione formale ma già presentato al
pubblico nella versione finale: Copparo (Ferrara), Firenze, Genova, La Spezia,
Perugia, Pesaro, Piacenza, Sesto San Giovanni (Milano), Torino, Trento, Verona,
Venezia;
•
città che hanno in corso la preparazione di un piano strategico: Cuneo, Varese;
•
città che hanno interrotto gli studi per un piano strategico: Roma, Vercelli.
Dal punto di vista dell’ente locale è importante rilevare che in tutti i casi esaminati il ruolo
di iniziatore e protagonista del processo di pianificazione strategica è stato svolto dal
comune maggiore dell’area. In 14 casi su 16 il sindaco del comune maggiore svolge la
funzione di punto di riferimento della struttura, formale o informale, messa in atto per la
preparazione e gestione del piano. Ciò avviene anche in presenza di altre istituzioni
pubbliche di livello sovraordinato, quali provincia e regione. In questi casi, i rispettivi
presidenti agiscono congiuntamente con il sindaco del comune maggiore in un organismo
variamente denominato (ad esempio Forum dello Sviluppo, Comitato interistituzionale,
tavolo di concertazione, ecc.)2. Solo in due casi (Associazione dei Comuni del Copparese e
Nord Milano) si è utilizzato fin dall’inizio un organismo di gestione congiunta del piano,
l’assemblea dei sindaci nel caso del Copparese (organismo preesistente alla decisione di
avviare lo studio del piano) e la “cabina di regia” nel caso dell’area del Nord Milano. Ciò si
spiega per la relativa omogeneità tra i comuni che hanno dato il via al piano, ma anche in
questi casi i comuni maggiori e il loro sindaco hanno svolto un ruolo trainante. Lo schema
interpretativo utilizzato ha comunque cercato di mettere in luce la funzione effettiva di
2 Pur non rientrando nei 16 casi oggetto dell’indagine, si deve segnalare che tra la fine del 2004 e la prima metà del 2005
si registra l’avvio della preparazione dei piani strategici delle Province di Milano e di Treviso, su iniziativa principale dei
rispettivi enti provinciali. Nel caso di Milano il ruolo di iniziatore del processo da parte dell’ente provinciale si spiega in
quanto il nuovo presidente è la stessa persona che nel ruolo di Sindaco di Sesto San Giovanni ha promosso il piano
strategico del Nord Milano. Nel caso di Treviso sembra che la spinta iniziale sia venuta da parte dell’ente provinciale
piuttosto che dal comune maggiore perché è nel vasto territorio del trevigiano, piuttosto che nel capoluogo, che si
originano i problemi di competitività economica che il piano intende affrontare.
43
lancio e sostentamento del processo di pianificazione, al di là delle gerarchie tra gli enti
pubblici coinvolti.
Un altro aspetto che l’analisi ha cercato di rilevare è la funzione dei soggetti imprenditoriali
privati e degli esponenti della società civile tra i gruppi che hanno promosso la formazione
del piano strategico. La presenza dei principali rappresentanti collettivi degli interessi
economici locali (ad esempio Unione Industriale, Camera di Commercio, ecc.) è una
costante di quasi tutti i piani oggetto dell’indagine. Per quanto riguarda la società civile, la
ricerca ha tentato di rilevarne nei piani esaminati il grado di coinvolgimento e l’eventuale
esclusione di alcune sue componenti. Si può anticipare che i risultati dell’indagine sul
terreno hanno confermato quanto il piano strategico sia un potente mezzo per attuare il
coinvolgimento attivo, cioè in sede di formazione delle decisioni, dei più rilevanti soggetti
(pubblici, privati, del Terzo Settore) decisionali di un’area urbana. In quasi tutti i casi, ad
esempio, si registra la partecipazione della locale università e dei principali centri di studio
e ricerca, sia pubblici sia privati, attraverso la collaborazione istituzionale di dipartimenti,
di singoli docenti e ricercatori e, in qualche caso, con la sottoscrizione del documento finale
del piano da parte del Rettore.
2.2.2. Il processo di preparazione, approvazione e gestione dei piani
Gli enti locali che si sono dotati di un piano strategico, o che ne hanno avviato lo studio,
hanno seguito un percorso che al di là delle differenze metodologiche e dei contenuti
specifici di ogni singolo piano, ha in comune una serie di elementi che le amministrazioni
locali, che intendessero rafforzare la governance locale attraverso il ricorso alla
pianificazione strategica, dovrebbero tener presente. Dall’indagine emerge l’interesse ad
una lettura trasversale che metta in luce le affinità e le differenze riscontrabili tra i casi reali
oggi disponibili.
Il principale punto di confronto è costituito dalle motivazioni che sono alla base della
decisione di avviare la preparazione di un piano strategico. Il punto è rilevante perché gli
enti locali non sono tenuti da alcuna legge nazionale o regionale a predisporre un piano
strategico, tranne due eccezioni (Trento e Venezia)3.
3 Infatti, il Comune di Trento, nel contesto della Provincia autonoma di Trento, ha indicato formalmente l’obbligo (non
la possibilità) di predisporre un piano strategico come strumento di programmazione del proprio sviluppo economico,
così lanciando un segnale forte in favore dell’adozione della pianificazione strategica da parte dei Comuni del Trentino,
segnale che sembra essere stato recepito da parte di altri importanti comuni della regione, che hanno annunciato nel
2004 l’intenzione di procedere allo studio di propri piani strategici. Per quanto riguarda Venezia, il comune ha indicato
un impegno analogo a quello di Trento (ma meno perentorio, forse per la diversità dei rispettivi poteri istituzionali) e ha
costituito l’Assessorato alla Pianificazione strategica, attualmente guidato dal precedente Assessore all’Urbanistica.
Resta inteso che l’eventuale costituzione di un assessorato dedicato espressamente alla pianificazione strategica, come
nel caso di Venezia, o l’indicazione del piano strategico come strumento obbligatorio, come nel caso di Trento, sono
scelte che dipendono dalle condizioni organizzative e politiche all’interno di ogni ente locale.
44
L’analisi delle motivazione addotte dai singoli enti locali è particolarmente complessa data
la natura in divenire del piano strategico, per cui alle ragioni iniziali che hanno portato alla
prima delibera del Consiglio comunale, tipicamente se ne aggiungono altre man mano che il
processo si evolve. Nell’analisi si è cercato di distinguere tra le ragioni enunciate nella fase
di avvio dello studio del piano (che potremmo anche definire come le ragioni
fondamentali), e le ragioni richiamate nella fase di conclusione e sottoscrizione del piano
(laddove questa fase è stata raggiunta), generalmente più articolate e spesso coincidenti con
le linee strategiche individuate nel corso dei lavori di preparazione del piano.
Nel capitolo successivo questo punto è sviluppato con un certo dettaglio, con lo scopo di
evidenziare sia le motivazioni comuni sia le motivazioni specifiche di ognuno dei 16 casi
oggetto dell’indagine. In particolare, per ciascuno dei 16 piani strategici esaminati sono
state messe in luce le motivazioni fondamentali per la decisione iniziale, ripartendole nel
modo seguente:
•
ragioni economiche;
•
ragioni urbanistiche;
•
ragioni sociali;
•
ragioni ambientali;
•
ragioni istituzionali.
I processi di formazione e gestione dei piani strategici sono stati confrontati secondo i punti
di interesse generale precedentemente elencati (cfr. 2.1.2.).
Sembra poi opportuno un confronto sulle iniziative incluse nei diversi piani strategici
esaminati in merito all’uso di tecnologie informatiche per rafforzare la funzione di
governance da parte degli enti locali.
Un ultimo elemento di confronto tra i 16 casi esaminati è costituito dalle risorse, in
particolare quelle economiche, richieste per la predisposizione e per l’attuazione del piano
strategico. Si tratta di un punto delicato, da affrontare tenendo presente la situazione
finanziaria degli enti locali, che da alcuni anni è sempre più difficile, ma anche senza
dimenticare che se la pianificazione ha dei costi, per un ente locale il non fare pianificazione
generalmente produce nel tempo un costo sociale ed economico ben superiore per le
famiglie e per le imprese del luogo. Nella analisi trasversale dei 16 casi si è anche cercato di
mettere in rilievo l’apporto concreto (in risorse finanziarie e servizi) del settore privato al
processo di formazione e gestione dei piani.
45
2.3
Le ragioni fondamentali per l’avvio del piano strategico
Nei 16 casi oggetto dell’indagine si possono riscontrare degli elementi comuni e degli
elementi specifici tra le motivazioni che hanno spinto gli enti locali ad avviare un processo
volontario di preparazione di un piano strategico.
2.3.1. Elementi comuni
Il primo degli elementi comuni è la consapevolezza che la situazione locale era giunta a un
“punto di crisi” da richiedere un’azione non convenzionale quale quella rappresentata da un
piano strategico. Per “punto di crisi” si intende un insieme di segnali indicanti che l’area
non stava attraversando un rallentamento nello sviluppo in questo o quel settore economico
o in una zona particolare del suo territorio, ma che la crisi riguardava la comunità in
generale e le sue stesse prospettive di sviluppo di lungo periodo. L’avvio di un piano
strategico non coincide con il sorgere di questo stato di crisi ma con la percezione della sua
esistenza. Iniziative preliminari e collaterali possono aver contribuito ad aumentare la
percezione di una crisi che, in alcuni casi, era presente in loco da tempo.
Tra gli altri elementi comuni che hanno fatto avviare il piano vi sono:
-
la sensazione del declino economico;
-
la diminuzione costante della popolazione, in particolare l’esodo dei giovani più
qualificati e il generale invecchiamento della popolazione;
-
la necessità di definire un uso nuovo per vaste proprietà dismesse (terreni ed edifici
di origine industriale, militare, demaniale) in presenza di una scarsa domanda di
spazi produttivi da parte delle nuove aziende o in una fase caratterizzata, da un lato,
da una espansione dei fatturati delle aziende esistenti e, dall’altro, da una minore
necessità di spazi produttivi da parte delle stesse aziende;
-
il rischio di indebolimento marcato di settori economici tradizionalmente associati
alla città o il rischio di trasferimento di aziende molto note e simboliche, o di enti
importanti, o di eventi simbolo;
-
la necessità di coordinare l’azione tra i vari enti pubblici e i principali soggetti privati
del luogo al fine di attivare delle politiche di marketing territoriale e di attirare
investimenti esterni di origine privata o pubblica (regionale, nazionale e dell’Unione
europea);
-
la percezione di essere in un territorio svantaggiato dal punto di vista dell’accessibilità fisica con i grandi assi di collegamento nazionali e internazionali;
-
la percezione di isolamento e scarsa comunicazione tra le iniziative pubbliche e
private promosse dai soggetti dell’area.
46
2.3.2. Elementi specifici
Accanto alle motivazioni comuni sopra elencate, presenti in varia misura in tutti i casi
esaminati, sono state rilevate anche motivazioni specifiche.
Tra le città capoluogo di regione, Torino e Genova hanno avviato il rispettivo piano
strategico per definire un quadro di sviluppo locale basato sull’evoluzione della tradizionale
economia industriale costituita dalla filiera dell’industria dell’auto nel caso di Torino e dalla
filiera dell’industria portuale a Genova.
Per Torino il piano strategico (il primo fatto in Italia) è stato inteso fin dalle prime battute
come uno strumento di pianificazione multisettoriale e di area vasta, l’unico in grado di
coinvolgere sia i soggetti pubblici, sia quelli privati, tanto nella definizione degli obiettivi
che nella ricerca delle risorse finanziarie. Il piano di Torino è sorto come un patto tra i
soggetti pubblici (l’amministrazione comunale e gli altri enti locali) e i principali soggetti
privati dell’area per definire in una modalità efficiente e condivisa gli impegni di ciascuno
per il processo di rinnovamento dell’area. Già dai primi anni Ottanta si era manifestata
nella città l’esigenza di basare lo sviluppo urbano futuro dell’area metropolitana anche su
pilastri diversi da quell’unico pilone (la grande industria metalmeccanica e l’industria in
generale) sul quale si era appoggiata la crescita per oltre un secolo. Ma è solo a metà degli
anni Novanta che diventa patrimonio condiviso dei principali attori pubblici e privati la
consapevolezza che il futuro della città metropolitana non poteva essere più affidato ad un
singolo settore economico. In tal senso, è stata presa la decisione di predisporre il piano
strategico quale strumento di diversificazione della base economica della città. In questo
quadro si spiega la decisione, presa all’inizio del 1998, cioè contestualmente ai primi
colloqui informali sul futuro piano strategico, di candidare la città quale sede dei XX Giochi
Olimpici Invernali. La vittoria della candidatura, avvenuta nel giugno 1999, ha imposto la
necessità di predisporre, attraverso il piano strategico, un quadro intersettoriale di coerenze
(principalmente di natura urbanistica) nel quale inserire l’evento speciale di Torino 2006.
Anche nel caso di Genova sono apparsi evidenti negli anni Ottanta i limiti di uno sviluppo
fondato sull’economia industriale di settori maturi, quali la siderurgia e le attività portuali
tradizionali. Il rinnovamento della città iniziato nella prima metà degli anni Novanta si è
indirizzato verso una diversificazione della base economica locale. In questo quadro di
generale cambiamento spinto principalmente dall’azione pubblica locale, il piano strategico
(denominato Piano della città di Genova), è stato visto dall’amministrazione comunale
come lo strumento migliore per collegare tra loro i diversi progetti e programmi di sviluppo.
Il piano è stato predisposto soprattutto per dare ai principali attori pubblici e privati della
città un quadro di coerenza generale entro il quale collocare le diverse iniziative volte a
47
creare nella città una struttura economica molto più articolata (turismo, porto, nuova e
vecchia industria, entrambe con molta più tecnologia) di quella tradizionale.
Nel caso di Firenze e Venezia le motivazioni specifiche per iniziare la preparazione del
piano strategico sono tra loro simili solo in apparenza. A Firenze la motivazione principale
è stata la volontà di trovare risposte efficaci alle criticità a cui il centro urbano e la sua area
metropolitana erano sottoposti da tempo. Si trattava di trovare una soluzione alternativa
alla crescita del turismo di massa e di bassa qualità, con le sue ricadute negative sulla
vivibilità urbana per i residenti e sulla visibilità della città come centro di cultura,
formazione e produzione di qualità. In questo senso, il piano strategico è stato considerato
lo strumento migliore per coniugare in una visione unitaria, da un lato, le prospettive di
sviluppo economico dell’area e, dall’altro lato, il miglioramento delle condizioni di vita per i
residenti. La preparazione del piano è stata decisa per consentire la definizione di una
prospettiva di area metropolitana ai numerosi ed importanti interventi di riqualificazione
edilizia e ambientale previsti.
La necessità di affrontare le problematiche legate al turismo di massa è la motivazione di
fondo anche nel caso di Venezia. Oltre a questa, vi sono ragioni specifiche che
accomunano la decisione di avviare il piano di Venezia più ai casi di Torino e Genova che al
caso di Firenze. Infatti il piano è stato motivato in modo particolare dalla necessità di
trovare un nuovo futuro per la vasta zona industriale di Marghera, in parte dismessa da
tempo. Con il piano strategico si è voluto mettere a punto uno strumento adatto a
soddisfare la necessità dell’amministrazione comunale di rafforzare la coesione tra le
diverse polarità del sistema urbanistico veneziano (antico centro storico, area industriale e
terra ferma di Mestre), influenzate da realtà economiche esterne a Venezia particolarmente
dinamiche quali Padova e Treviso.
Nel caso di Perugia il piano ha preso spunto nel corso dall’elaborazione del nuovo piano
regolatore della città che ha evidenziato la necessità di un programma istituzionale
complesso (regolazione, coordinamento e stimolo allo sviluppo) su un’area ben più ampia
di quella inclusa nei confini amministrativi comunali. La decisione di avviare il piano
strategico è stata motivata specificamente dalla volontà dell’ente locale di raggiungere tre
finalità: A) rafforzare il ruolo di capoluogo regionale di Perugia nei confronti della Regione
Umbria; B) assicurare una maggiore competitività all’area perugina sul piano nazionale,
coinvolgendo anche alcuni comuni limitrofi (Bastia, Corciano, Deruta, Marsciano,
Torgiano, Umbertide), che hanno lavorato in parallelo per costruire per l’intera area urbana
afferente a Perugia un’immagine di qualità di un territorio omogeneo che conserva intatto
gran parte del suo patrimonio paesaggistico e ambientale; C) costruire un quadro
omogeneo e sistematico nel quale inserire altri strumenti di pianificazione (quali ad
48
esempio: PRG, PRUSST, Piano Sociale di Zona, Piano del Commercio del Centro storico,
Progetto integrato del Centro storico, Agenda 21), che Perugia e i comuni limitrofi avevano
approvato o avevano allo studio.
Nel caso del piano strategico di Roma le motivazioni specifiche che hanno portato alla
decisione di avviare lo studio del piano strategico, peraltro mai completato, vanno ricercate
nella volontà dell’ente locale di costruire una strategia per l'innovazione a scala territoriale,
accompagnata da un’azione di marketing territoriale, volta all’attrazione selettiva delle
imprese, d’intesa e in sinergia con gli uffici del piano regolatore. In particolare l’oggetto
della strategia di innovazione pone in risalto le grandi imprese e le istituzioni
internazionali. Un’altra motivazione specifica nel caso di Roma è stata la prospettiva della
costituzione della “città metropolitana” che poteva portare a distinguere tra le competenze
gestionali, svolte direttamente dai comuni all’interno della programmazione di livello
metropolitano, e quelle autorizzative e regolative affidate ad una Autorità dei beni culturali,
ambientali e archeologici, che avrebbe unificato le competenze delle Sovrintendenze, con
una integrazione dei poteri di intervento.
Nel caso di Cuneo (Cuneo 2020: Piano strategico di Cuneo e del suo territorio),
l’amministrazione comunale è pervenuta alla decisone di avviare lo studio del piano
strategico perché voleva assumere un ruolo attivo nello sviluppo economico e sociale della
città e del territorio di sua influenza. Per questa ragione lo studio del piano strategico è
stato indirizzato su una scala sovra comunale, tale da comprendere i comuni limitrofi e le
vallate circostanti. Questa impostazione è stata facilitata dal contesto nel quale è sorto il
piano strategico. Infatti lo studio del piano è stato avviato mentre era in atto un generale
rinnovamento di molti strumenti di pianificazione locale. Ad esempio il progetto
preliminare del nuovo PRG di Cuneo è del gennaio 2002 mentre il progetto preliminare del
piano territoriale della Provincia di Cuneo è del settembre 2003.
Per il Comune di La Spezia la ragione principale per avviare il piano strategico va ricercata
nella volontà dell’ente locale di usare la pianificazione per partecipare in maniera pro-attiva
ai processi di riorganizzazione del settore della Difesa nell’area portuale, cercando di
mantenere la presenza della base navale, rafforzando e riqualificando il ruolo industriale
dell’Arsenale e delle realtà collegate. Il settore della difesa costituisce da sempre per la città
di La Spezia un punto di riferimento: è una vocazione storica, una sedimentazione culturale
dell’area, un complesso di tecnologie e competenze, un rilevante polo occupazionale, un
vasto insediamento territoriale e un consistente patrimonio di risorse urbane.
Per quanto riguarda Pesaro, lo scenario in cui si è deciso l’avvio del piano è quello di una
città capoluogo di un importante distretto produttivo, che vuole farsi carico delle
trasformazioni che riguardano territori più estesi e che intende connotarsi come nodo di
49
reti locali, nazionali ed internazionali. In tale scenario, la decisione di preparare un piano
strategico è stata presa per rafforzare le esternalità positive che incidono sui fattori di
sviluppo del sistema delle imprese locali. Inoltre al piano è stato attribuito il compito di
favorire l’attrazione sul territorio pesarese di nuove imprese, sia di tipo tradizionale sia di
tipo innovativo. Infine, dal punto di vista urbanistico Pesaro intende utilizzare il piano
strategico per dare una risposta ai problemi posti dalla crescita demografica tipica di alcune
aree periferiche del capoluogo (Montecchio, Villa Ceccolini, Villa Fastiggi) e dei comuni
limitrofi, e ai problemi sollevati dalle industrie insediate lungo la Montelabbatese, che
chiedono nuove aree per potersi espandere.
Nel caso di Piacenza, la decisione di avviare la preparazione del piano strategico è stata
presa congiuntamente da comune e provincia perché entrambi ritenevano insufficiente lo
sviluppo imprenditoriale del sistema locale piacentino, caratterizzato da bassa competitività
e innovazione. Inoltre i due enti locali intendevano disporre di uno strumento di
pianificazione integrata qual è il piano strategico per contrastare il calo demografico
naturale e l’invecchiamento della popolazione residente.
Il Comune di Varese ha intrapreso il processo di pianificazione strategica per rafforzare il
ruolo di Varese come “cuore dell’area varesina”. In particolare l’ente locale intendeva
sostenere le due vocazioni economiche dell’area: da un lato, nella fascia settentrionale, la
vocazione turistica e commerciale che deriva dalla sua localizzazione a ridosso della
frontiera svizzera e, dall’altro lato, nella parte centro-meridionale, la rete di piccole e medie
imprese specializzate in diversi settori dell’industria leggera.
Il piano di Vercelli, come quello di Cuneo, nasce come “project work” degli allievi del
Master in Sviluppo Locale dell’Università del Piemonte Orientale. Gli studi svolti per il
piano strategico hanno evidenziato una carenza di nuova imprenditorialità locale, da cui
deriva il rischio di attrazione indiscriminata d’investimenti esteri che sfruttano il territorio
senza radicamento. La motivazione economica del piano consiste nella volontà dell’ente
locale di contrastare tale pericolo mediante la definizione di un quadro di coerenze
economiche e sociali che possa aiutare a indirizzare gli investimenti locali e quelli
provenienti dall’esterno dell’area.
Per Verona, la scelta di dare avvio a un processo di pianificazione strategica ha come
motivazione di fondo la volontà dell’amministrazione comunale di valorizzare i settori di
eccellenza della città attraverso uno strumento che miri al rafforzamento sia delle relazioni
interne tra i soggetti decisori della città, sia delle comunicazioni esterne e delle reti di
relazioni su scala territoriale ampia. Dal punto di vista economico, una spinta alla
definizione di linee di azione strategica condivise è venuta dalla consapevolezza del ruolo
geografico che Verona ha sempre avuto: punto di cerniera tra regioni diverse e importante
50
nodo di traffico verso il Nord Europa. Questa vocazione tradizionale è oggi accentuata dalle
politiche infrastrutturali europee, ma al tempo stesso è contrastata dalla formazione di
nuovi poli di attrazione aperti ai nuovi mercati dell’Europa allargata e dell’Estremo Oriente
(ad esempio il sistema metropolitano Padova-Venezia-Treviso).
A differenza di altri casi, a Trento l’idea di avviare un piano strategico non sorge come
risposta a una situazione di crisi industriale o di declino demografico o di emergenza
ambientale, quanto dalla presa di coscienza della conclusione di un ciclo storico, quello di
una città dipendente da un modello di sviluppo centrato sulla spesa pubblica. Il piano
strategico è stato visto inizialmente come uno strumento adatto a fare comprendere, prima
all’interno poi all’esterno del territorio in questione, le potenzialità economiche inespresse
dell’area, ad esempio quelle esistenti sul versante dell’attività turistico-convegnistica e
fieristica di nicchia. Come nel caso del rapporto tra Perugia e l’Umbria, anche nel caso della
città di Trento è stata affidata al piano strategico la funzione di rafforzare le funzioni della
città in relazione al suo ruolo di capoluogo regionale del Trentino.
Nei due casi di piani strategici promossi da comuni non capoluogo di provincia si ritrovano
in parte alcune delle motivazioni già esposte nei casi precedenti, in particolare la necessità
per l’ente locale di farsi promotore di nuovo sviluppo economico e sociale. Si notano però
anche motivazioni specifiche e particolari. Per Sesto San Giovanni (Milano) la
motivazione che ha gradualmente indirizzato l’ente locale verso la pianificazione strategica
è stata la massiccia presenza di industrie dismesse in un contesto localizzativo periferico di
una grande area metropolitana.
Ciò che caratterizza l’area urbana del “Nord Milano” è l’azione pro-attiva messa in atto dagli
enti locali per governare una transizione economica e sociale tanto difficile quanto
preannunciata nei decenni scorsi da molti segnali di cedimento dell’industria pesante sulla
quale si era basata storicamente la crescita economica dell’area. Il ricorso alla pianificazione
strategica è stato motivato dalla ricerca di una via d’uscita da una crisi industriale che aveva
dimensioni tali da minare seriamente lo stesso futuro della comunità locale. Con l’avvio del
piano strategico le quattro amministrazioni comunali direttamente coinvolte hanno
volontariamente attribuito al loro ruolo istituzionale la funzione di “imprenditori dello
sviluppo locale”, ed hanno avviato una intensa attività di cooperazione interistituzionale e
di concertazione.
Il caso di Copparo (Ferrara) è particolare in quanto si tratta di un piano strategico
promosso da una associazione di sei comuni per i quali la motivazione specifica per l’avvio
del piano strategico è stata duplice. Da un lato vi era la necessità di adottare un approccio
integrato e sovracomunale per garantire nel tempo l’erogazione di servizi pubblici di qualità
in un quadro di finanza locale sempre più penalizzante, in particolare per i comuni più
51
piccoli. Dall’altro lato, la spinta verso il piano strategico è stata la volontà di contrastare il
declino della popolazione che ha colpito nei decenni scorsi tutta l’area dell’Associazione dei
Comuni del Copparese. Infine, vi era l’idea di rafforzare i legami interistituzionali tra i
comuni partecipanti fino alla loro eventuale ricomposizione in comune unico come quello
che li raggruppava fino al 1909.
Quelle fin qui esposte sono le motivazioni specifiche più importanti delle città esaminate. Vi
sono altre motivazioni aggiuntive rispetto a quelle sopra indicate che possono essere
spiegate nei dettagli solo facendo riferimento allo sviluppo urbanistico, sociale ed
economico di ogni luogo, ma che nella sostanza sono la declinazione locale di ragioni
ricorrenti. Dato che ogni piano strategico è in buona misura una storia a sé, è importante
disporre di un esame attento del complesso delle ragioni che lo hanno fatto sorgere. Questo
compito è stato svolto dall’indagine ed è presentato nel CD che include i risultati dell’analisi
sul terreno di ognuno dei 16 piani strategici su cui si è focalizzata la ricerca.
2.4
Le modalità di approvazione dei piani strategici
Il piano strategico urbano è un atto volontario dell’ente locale. Si è visto, nel paragrafo
precedente, che le motivazioni che hanno giustificato l’avvio del piano strategico hanno
avuto dei tratti in comune e diversi elementi specifici ad ognuno dei singoli casi esaminati.
In un contesto di pianificazione integrata volontaria, di tipo misto (pubblico e privato) e
spesso di area vasta, anche la fase della “approvazione del piano” presenta caratteristiche
variegate sulle quali è necessario soffermarsi.
Dall’analisi della documentazione originale su cui è basata la presente indagine emerge la
possibilità di effettuare distinzioni e similitudini tra i piani strategici in base al fatto di
essere stati o meno approvati dagli enti locali e dagli altri soggetti che li hanno promossi. La
maggior parte dei piani analizzati risulta avere ricevuto una qualche forma di approvazione,
per cui è stato possibile indicare, nei casi in cui si è arrivati a questa fase, anche le diverse
modalità con le quali i piani strategici oggetto dell’indagine sono stati approvati.
La panoramica sullo stato di avanzamento del processo di pianificazione strategica nelle 16
città considerate, ci mostra che le città che hanno portato a termine il processo di
costruzione del piano sono 13 su 16.
52
Tabella 2.4.1
Quadro del processo di pianificazione strategica in 16 città italiane e stato di
approvazione dei rispettivi piani
Principale soggetto
promotore
Titolo piano
Associazione dei Comuni del
Copparese, Copparo (FE)
Comune di Cuneo
Piano strategico 1909
-2009
Cuneo 2020
Comune di Firenze
Piano
strategico
dell’area
metropolitana fiorentina
Piano della Città di
Genova
Verso una nuova
città
Dicembre 2000
Piano in costruzione
Dicembre 2002
Maggio 1999
Gennaio 2002
Settembre 1999
Perugia Europa 2003
-2013
2015 Pesaro futuro
con vista
Piano strategico per
Piacenza
Piano strategico di
Roma
Piano strategico per
lo sviluppo del Nord
Milano
Torino
Internazionale
Trento città delle
opportunità
Varese Europea
Dicembre 2002
Ottobre 2001 e
processo riavviato
nel Novembre 2003
Aprile 2004
Luglio 2001
Luglio 2002
Ottobre 2000
Gennaio 2002
Marzo 1998
Piano interrotto
Febbraio 1999
Marzo 2001
Maggio 1998
Febbraio 2000
Luglio 2000
Ottobre 2003
Autunno 1999
Gennaio 2003 e
processo riavviato
Dicembre 2003 e
Ottobre 2004
Piano interrotto
Febbraio 2004
Comune di Genova
Comune di La Spezia
Comune di Perugia
Comune di Pesaro
Comune di Piacenza
Comune di Roma
Agenzia
Sviluppo
Nord
Milano, Sesto San Giovanni
(MI)
Comune di Torino
Comune di Trento
Comune di Varese
Comune di Venezia
Comune di Vercelli
Comune di Verona
Venezia
città
metropolitana
Vercelli 2020
Verona:
futuro
prossimo
Inizio processo
Novembre 2002
Settembre 2003
Maggio 2000
Luglio 2003
Marzo 2003
Data di
approvazione del
prodotto “piano
strategico”
Marzo 2004
Fonte: documenti di piano forniti dagli enti locali, ottobre 2004
Si tratta di 6 città capoluogo di regione (Firenze, Genova, Perugia, Torino, Trento, Venezia),
di 5 città capoluogo di provincia (La Spezia, Pesaro, Piacenza, Varese, Verona) e di 2
comuni, Copparo e Sesto San Giovanni.
Le città di Cuneo e Vercelli, anch’esse capoluoghi di provincia, hanno avviato il processo di
costruzione del piano strategico rispettivamente nel settembre 2003 e nel luglio 2003. La
documentazione raccolta nel corso dell’indagine e i rilievi sul campo hanno indicato che i
piani erano in una fase di preparazione quando si sono verificate le elezioni amministrative
53
del giugno 2004 che hanno probabilmente rallentato (a Cuneo) o interrotto (a Vercelli) il
processo avviato in precedenza. Nel caso di Vercelli, in cui il comune è attualmente guidato
da una maggioranza diversa da quella in vigore fino al giugno 2004, si è osservato che la
documentazione inerente il processo di preparazione del piano strategico non è più
presente nel sito ufficiale del comune. Ciò sembrerebbe indicare che la nuova
amministrazione intende dare un segno di discontinuità che potrà risultare nell’abbandono
del percorso già svolto o eventualmente nell’impostazione di un nuovo tipo di piano
strategico.
Il processo di costruzione del piano strategico di Roma, come esposto nella scheda di analisi
dettagliata inclusa nell’allegato CD, è stato avviato nel marzo 1998 e si è interrotto per una
ragione abbastanza simile a quanto è successo recentemente nei casi di Cuneo e Vercelli. A
Roma l’interruzione si è verificata nel 2001, poco dopo l’anticipata conclusione del mandato
politico-amministrativo dell’allora Sindaco Rutelli, dopodiché i nuovi Amministratori non
hanno più ripreso il processo di pianificazione strategica.
Da questa panoramica emerge che in uno dei 16 casi oggetto dell’indagine (Cuneo) il
processo di preparazione del piano strategico risulta ancora in corso. In altri 2 casi (Roma e
Vercelli), la preparazione del piano è stata avviata ma di fatto si è poi interrotta. Di
conseguenza, le restanti distinzioni inerenti le modalità di approvazione si devono applicare
in 13 dei 16 casi esaminati, cioè alle seguenti città: Copparo, Firenze, Genova, La Spezia,
Perugia, Pesaro, Piacenza, Sesto San Giovanni, Torino, Trento, Varese, Venezia, Verona.
L’elemento che accomuna le 13 città in questione è di tipo qualitativo: tutte, sebbene con
tempi e modalità diverse, hanno predisposto un piano strategico. Ciò che le distingue è la
metodologia utilizzata per giungere al termine del percorso di pianificazione strategica.
Infatti, in tutte le 13 città esiste un piano strategico, ma non in tutti i casi si può parlare di
una formale approvazione del piano stesso.
Dall’esame della documentazione originale dei 13 piani strategici è possibile distinguere 3
modalità di approvazione degli stessi:
1.
casi in cui il piano è stato approvato dal Consiglio comunale del comune maggiore
che lo ha promosso (e in alcuni casi anche dai Consigli dei comuni minori che hanno
aderito al processo) e sottoscritto dai soggetti partecipanti al processo di
pianificazione;
2.
casi in cui il piano è stato approvato dal Consiglio comunale del comune maggiore,
senza una sottoscrizione formale da parte dei soggetti privati partecipanti al
processo;
3.
casi in cui il piano è stato sottoscritto dai soggetti promotori senza una approvazione
formale da parte dei Consigli comunali interessati.
54
Dall’esame dei 13 casi in cui si è pervenuti al termine della preparazione di un piano
strategico, emerge che in 8 città si sono riscontrate le prime due modalità di approvazione:
il piano strategico è stato approvato in modo formale da parte degli enti locali, cioè con una
votazione da parte dei Consigli comunali interessati. In dettaglio la situazione osservata è la
seguente:
•
città in cui il piano è stato approvato dall’ente locale e sottoscritto da tutti i soggetti
coinvolti nella sua preparazione:
•
-
Torino, febbraio 2000;
-
Firenze, dicembre 2002;
-
Trento, ottobre 2003;
-
Perugia, aprile 2004;
-
Venezia, ottobre 2004;
-
Piacenza, gennaio 2002.
città in cui il piano è stato approvato dall’ente locale, con una approvazione
informale da parte degli altri soggetti coinvolti nella sua preparazione:
-
Pesaro: il piano è approvato dal Consiglio comunale nel luglio 2001, ma senza
alcuna sottoscrizione formale da parte degli altri soggetti partecipanti al
processo;
-
Copparo: il piano è approvato in seduta congiunta dei Consigli comunali di tutti
i comuni partecipanti nel marzo 2004. Il piano è approvato in modo informale
dai soggetti privati nel corso di alcune riunioni generali del Forum del piano.
In alcuni casi, l’approvazione formale di un piano strategico ha richiesto spesso un impegno
prolungato nel tempo da parte del soggetto pubblico promotore, come nel caso esemplare
del piano strategico del Comune di Venezia, in cui il processo di approvazione del piano ha
impegnato l’amministrazione comunale per quasi due anni.
La terza modalità di approvazione consiste in una sottoscrizione da parte dei soggetti
partecipanti al processo di pianificazione, senza una precedente o contestuale approvazione
esplicita (votazione) da parte dei Consigli comunali interessati. Con la sottoscrizione,
comunque, i soggetti pubblici e privati coinvolti nel processo hanno manifestato in forma
pubblica l’approvazione del piano strategico ed hanno indicato questo strumento come
idoneo a rappresentare gli indirizzi di sviluppo per il loro futuro.
Le città che hanno approvato il piano con il metodo della sottoscrizione sopra ricordata
sono state le seguenti:
•
Verona, in cui il piano è stato sottoscritto dal comune nel febbraio 2004;
55
•
Nord Milano, sottoscritto dai sindaci dei comuni partecipanti (Sesto San Giovanni,
Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Bresso) nel marzo 2001.
In questi casi la sottoscrizione del documento è avvenuta a seguito di una o più
presentazioni in Consiglio comunale svolte nel corso del processo di preparazione del piano
stesso. Nel dibattito che ne è scaturito è stata ritenuta superflua una votazione, in quanto il
piano strategico era inteso come una specificazione del programma di mandato già a suo
tempo approvato. In questi casi il sindaco ha ricevuto un mandato politico a sottoscrivere il
piano strategico, per gli impegni di competenza dell’ente locale, nel corso dello stesso
processo di preparazione del piano e non in una singola seduta del Consiglio comunale.
L’approvazione dei piani di La Spezia e Varese deve essere considerata a parte, per la
complessità dei rispettivi casi. In ambedue le città si è effettivamente giunti alla
presentazione pubblica e alla sottoscrizione di un documento finale (intitolato
rispettivamente Visioni del futuro. Linee strategiche e progetti per la città e Piano
strategico rapporto intermedio), ma subito dopo si è riaperto un nuovo iter processuale
necessario a giungere ad un prodotto definitivo che di fatto non sembra ancora completato.
Per quanto riguarda La Spezia, il documento Visioni del futuro. Linee strategiche e progetti
per la città, è stato presentato alla città nell’ottobre del 2001, senza che avvenisse una
formale chiusura del piano. Infatti, nel novembre del 2003 con l’entrata in scena della
Provincia di La Spezia, è nuovamente iniziata la riflessione e l’approfondimento tecnico,
con una serie di iniziative volte ad allargare la partecipazione sulle tematiche già
individuate nel documento dell’ottobre 2001. Da notare che il Comune di La Spezia, per
quanto di sua competenza, ha dato attuazione ad alcune delle azioni individuate già a
partire dal 2001.
Nel caso di Varese, il documento Piano strategico rapporto intermedio del gennaio 2003 è
approvato dall’associazione “Varese Europea” con il concorso di tutte le componenti della
stessa associazione. Si deve tuttavia aggiungere che “Varese Europea” ha di nuovo ripreso a
studiare e coinvolgere gli attori dell’area per il conseguimento di obiettivi di medio e lungo
periodo, per la redazione di una pubblicazione con l’esposizione dell’attività svolta e
l’attivazione di un processo di cooperazione fra i principali attori locali. In sostanza, sono
ripresi i lavori per portare a termine il piano strategico. Tale ripresa di attività sembra
essere stata motivata dalla necessità di allargare la rappresentatività di “Varese Europea”, il
soggetto promotore del piano, nel quale fin dall’inizio erano assenti importanti soggetti di
rappresentanza collettiva delle forze economiche e sociali del territorio varesino.
Da ultimo, per quel che riguarda il caso di Genova, dall’analisi della documentazione
emerge che il processo è iniziato con una sorta di “Forum dello Sviluppo” attraverso cui è
56
stato possibile attivare contatti con i principali soggetti pubblici e privati del territorio di
riferimento e avviare un processo di partecipazione e di condivisione di metodi e obiettivi. Il
processo, per le ragioni esposte, ha poi seguito un suo percorso particolare e probabilmente
in luogo di approvazione o sottoscrizione si potrebbe parlare di “presa d’atto” o “adozione
informale”.
Nel corso del processo di preparazione del piano, l’attenzione del Comune di Genova e degli
altri soggetti coinvolti si è rivolta prevalentemente verso la preparazione del summit del G8
nel 2001, e verso il ruolo di Genova “Capitale della cultura europea 2004”. Si consideri che
solo il G8 è stato in grado di attrarre finanziamenti (in massima parte pubblici) coerenti con
le finalità del piano per circa 200 milioni di euro.
2.5
Attori e rispettivi ruoli
Dall’analisi dei 16 casi di piani strategici emerge in modo netto che il ruolo di principale
soggetto promotore è stato svolto dall’ente locale.
Ad esempio, nel caso delle città capoluogo di regione (Roma, Torino, Firenze, Genova,
Perugia, Trento, Venezia), il ruolo di avvio del piano è stato svolto dal comune maggiore,
che ha sempre coinvolto nel dibattito i comuni confinanti (ad eccezione del caso di Roma,
data la grande estensione territoriale di questa municipalità), sino a giungere, come nei casi
di Torino, Firenze, Perugia, al punto da rendere diversi enti locali parte attiva del piano,
come dimostra l’approvazione formale e la sottoscrizione del piano anche da parte dei
Consigli comunali dei comuni confinanti con il comune maggiore.
Altri ruoli chiave sono stati svolti dall’ente provinciale e, in pochi casi, dall’ente regionale.
Ugualmente importante è stato il coinvolgimento delle Camere di Commercio e delle
principali associazioni di rappresentanza delle imprese industriali.
In generale gli attori che hanno promosso il processo di pianificazione sono suddivisibili
nelle seguenti tre categorie: soggetti pubblici; soggetti privati; soggetti del Terzo Settore.
Vediamo ora caso per caso quali sono stati i principali attori e i rispettivi ruoli, per poi
trarre delle considerazioni generali dalle osservazioni sul campo.
Roma
a) gli attori
Il Comune di Roma, con i suoi vari organi e qualche altra istituzione pubblica. Interessante
il riferimento alla società comunale “Risorse per Roma” che funge in qualche modo da
agenzia.
b) i ruoli
Nella fase iniziale, salvo la costituzione di un Comitato di consulenza, si utilizzano le
strutture esistenti del Comune di Roma.
57
Torino
a) gli attori
Il piano di Torino è stato promosso dal Forum dello Sviluppo, un organismo che raccoglieva
i rappresentanti delle principali istituzioni pubbliche e private dell’area. Il Forum ha
preparato il piano presentandolo come un’occasione di pianificazione integrata per tutta
l'area metropolitana torinese (cioè un territorio più grande di quello comunale), d'intesa tra
pubblico e privato e con gli altri soggetti pubblici interessati. L'intesa è stata ricercata fin
dall'inizio sulle finalità, il metodo e anche i modi per attuare e finanziare la preparazione
del piano.
b) i ruoli
Per conto del “Forum dello Sviluppo” il comune ha dato l'incarico di gestione operativa del
progetto a “Turismo Torino”, l’agenzia per la promozione del turismo, e a ITP, l'agenzia per
la promozione degli investimenti a Torino e in Piemonte.
Sul terreno dei contenuti, sono stati formati 2 organismi:
-
un Comitato Scientifico internazionale4;
-
un Comitato di Coordinamento5.
A servizio dei 2 gruppi è stata costituita una segreteria operativa.
La fase di partecipazione è stata organizzata in Gruppi di lavoro (9 Gruppi nella prima fase
e 6 nella seconda) presieduti da altrettante personalità cittadine.
Firenze
a) gli attori
Il piano strategico di Firenze è stato promosso dal Comune di Firenze attraverso lo
strumento di un Comitato Promotore che ha svolto funzioni di Forum dello Sviluppo in
rappresentanza dei principali interessi pubblici e privati dell’area. Il piano è stato inteso
come piano per l’area metropolitana fiorentina, comprendente 9 comuni in tutto. L’intesa
tra i soggetti pubblici e privati ha caratterizzato fin dall’inizio il processo di pianificazione
nel senso della partecipazione e condivisione.
Il Comitato Promotore del piano ha affidato i compiti operativi ad un Comitato Scientifico.
b) i ruoli
La definizione del piano strategico di Firenze è iniziata nel dicembre del 2000 con la
costituzione da parte del Sindaco Leonardo Domenici di un Comitato Promotore di cui
fanno parte il Comune di Firenze, l’Associazione degli Industriali, la Camera di Commercio,
la Confcommercio, la Confesercenti, CNA, Cgil, Cisl, Uil e l’Università di Firenze.
La composizione del Comitato Scientifico è riportata nella presentazione del piano strategico di Torino nel CD allegato.
La composizione del Comitato di Coordinamento è riportata nella presentazione del piano strategico di Torino nel CD
allegato.
4
5
58
Le strutture di preparazione del piano sono state le seguenti:
-
Ufficio del piano, composto da 6 persone;
-
Segreteria organizzativa dei gruppi di lavoro;
-
Comitato Promotore, presieduto dal Sindaco del Comune di Firenze, di cui fanno
parte 9 rappresentanti di Associazione degli Industriali, Camera di Commercio,
Confcommercio, Confesercenti, CNA, Cgil, Cisl, Uil, Università di Firenze;
-
Comitato Scientifico6;
-
Comitato di Coordinamento7.
Nella fase di partecipazione sono stati organizzati 18 Gruppi di progetto presieduti da
altrettanti personaggi di rilievo per la città.
Le strutture di attuazione del piano sono le seguenti:
-
Ufficio del piano strategico dell’Area Fiorentina, composto da 9 persone;
-
“Firenze 2010. Associazione per il piano strategico dell’Area Metropolitana
Fiorentina”, presieduta dal Sindaco di Firenze Leonardo Domenici. I soci sono 26
soggetti
rappresentanti
i
principali
interessi
pubblici
e
privati
dell’area
metropolitana fiorentina.
Genova
a) gli attori
Oltre al comune, gli attori formalmente coinvolti nel piano sono: le organizzazioni di
categoria, i sindacati, l’università, oltre a organismi rappresentativi del volontariato, del
Terzo Settore e di associazioni culturali. Non sono coinvolti nel piano i comuni contermini
dato il riferimento strettamente comunale. La particolare natura della città di Genova e le
caratteristiche della sua base economica e sociale portano tuttavia a sviluppare programmi
e progetti di natura non strettamente localistica, che spesso coinvolgono attori esterni.
Questo vale, ad esempio, per alcuni progetti di natura europea.
b) i ruoli
Il ruolo propulsivo più importante è svolto dal sindaco, che coinvolge ovviamente i vari
assessorati comunali e in particolare quello all’Urbanistica. Come si è precedentemente
osservato, non è che gli altri attori pubblici e privati non svolgano un ruolo importante, ma
le loro azioni sono riconducibili più al G8 e soprattutto a “Genova 2004”, il programma di
rinnovamento messo in atto in occasione della nomina a “Capitale Europea della Cultura”,
che al piano strategico vero e proprio.
La composizione del Comitato Scientifico è riportata nella presentazione del piano di Firenze nel CD allegato.
Il Comitato di Coordinamento, derivato dal Comitato Promotore, era presieduto dal Sindaco del Comune di Firenze
Leonardo Domenici, e complessivamente era composto di 23 membri in rappresentanza del pubblico e del privato.
6
7
59
Venezia
a) gli attori
Il principale attore coinvolto in questo processo di pianificazione strategica è senz’altro il
Comune di Venezia. Infatti, il responsabile del piano strategico è Roberto d’Agostino,
Assessore alla Pianificazione strategica del Comune di Venezia.
b) i ruoli
L’Ufficio del piano è costituito da personale in organico al Comune di Venezia e da
collaboratori esterni (8 persone in tutto, inclusi l’assessore e il responsabile del gruppo di
lavoro) ed è supportato da una sezione appositamente costituita del Consorzio per la ricerca
e la formazione (Coses), una struttura partecipata per il 50% dallo stesso Comune di
Venezia e per il 50% dalla Provincia di Venezia (6 persone in tutto, compreso il direttore del
Coses). L’Ufficio era inizialmente alle dirette dipendenze della Direzione Generale del
Comune di Venezia e poi è passato sotto la Direzione centrale sviluppo del territorio e
mobilità, pianificazione d’area.
Il Gruppo di lavoro dell’Ufficio del piano è composto da dipendenti in organico del Comune
di Venezia, dipendenti a contratto e un ricercatore per il progetto Interact; il Coses, che
costituisce parte integrante dell’Ufficio del piano, ha messo a disposizione il suo personale.
L’Ufficio del piano ha usufruito, secondo necessità e in ragione di accordi informali, di
contributi scientifici provenienti dalla disponibilità di partecipazione di istituti di ricerca
dell’area veneziana, quali: Fondazione E. Mattei, Fondazione Venezia 2000, Fondazione
Nord-Est, Università di Venezia, in particolare del Dipartimento di pianificazione dello
IUAV per l’interesse dei docenti, e per la partecipazione al Progetto Europeo Interact cui
partecipa anche il Comune di Venezia.
Questa struttura organizzata in Comitato Tecnico Scientifico ha avuto il compito di avviare
e gestire il processo attuativo del piano, di elaborare la diagnosi del territorio, e di
promuovere lo sviluppo degli accordi tematici e settoriali.
Perugia
a) gli attori
Il piano strategico Perugia Europa 2003-2013, Piano strategico Perugia, Bastia, Corciano,
Deruta, Marsciano, Torgiano, Umbertide è stato promosso dal Comune di Perugia d'intesa
con gli altri comuni aderenti e con gli altri soggetti pubblici e privati interessati. Il
promotore di questo processo è stato l’Assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata
Giovanni Moriconi che, a partire dalle fasi preliminari fino all’avvio formale del processo,
ha utilizzato la partecipazione e la condivisione come prioritari metodi di lavoro,
trattandosi di un piano che è stato ideato fin dai primi passi insieme ai 6 comuni limitrofi.
60
Il Consiglio comunale ha deliberato di dare avvio al processo di formazione del piano
strategico nel novembre del 2002. Gli organismi del piano previsti sono:
Forum dello Sviluppo, composto dai principali rappresentanti degli interessi
pubblici e privati del territorio e presieduto dal Sindaco di Perugia che ha il
primario compito di commissionare il piano strategico (32 membri).
Comitato interistituzionale permanente, coordinato dal Sindaco di Perugia e
composto dai rappresentanti della Provincia di Perugia, della Regione Umbria e dai
sindaci dei comuni aderenti al Forum dello Sviluppo. Esso ha il compito di
preparare i lavori e curare le relazioni con i membri del Forum.
Direttore del piano, nella persona del Direttore generale del Comune di Perugia,
responsabile del procedimento del progetto di preparazione del piano affiancato da
un vice-direttore del piano, nella persona del vice segretario comunale del Comune
di Perugia.
Coordinatore istituzionale, nella persona dell’Assessore all’Urbanistica del Comune
di Perugia, con funzioni di raccordo fra il Forum e i presidenti dei Gruppi di lavoro.
Comitato Tecnico Scientifico, coordinato da un esperto di pianificazione strategica,
e composto da altri 6 esperti in varie discipline8. Il Comitato Tecnico Scientifico ha
promosso la costituzione di una Commissione diagnostica9 per le prime analisi
dell’area.
Gruppi di lavoro, costituiti dai rappresentanti delle principali forze pubbliche e
private dell’area oggetto del piano. I Gruppi di lavoro sono stati 7 e hanno lavorato
alla elaborazione dell’analisi diagnostica e alla definizione delle linee direttrici del
piano.
Segreteria del piano, costituita da 4 persone tutte del Comune di Perugia.
b) i ruoli
Da un punto di vista formale il Comune di Perugia, quale ente promotore del piano, è
senz’altro la guida principale di Perugia Europa 2003-2013.
Un ruolo importante lo ha rivestito anche il Sindaco di Perugia Renato Locchi, non solo per
il suo ruolo istituzionale ma anche per la sua autorevolezza nella comunità locale. Ciò ha
garantito un buon livello di partecipazione da parte dei soggetti importanti dell’area e una
continuità al lavoro complessivo. Il sindaco coordina il Comitato interistituzionale
permanente, composto dai rappresentanti della Provincia di Perugia, della Regione Umbria
La composizione del Comitato Tecnico Scientifico è riportata nella presentazione del piano di Perugia nel CD. Nel corso
dei lavori il Comitato è stato integrato da esponenti tecnici di: Regione Umbria, Provincia di Perugia, Cciaa Perugia,
Ance Umbria in rappresentanza dell’Associazione Industriali.
9 La Commissione è costituita dal coordinatore del piano, dai 2 responsabili delle analisi economiche e sociologiche,
dagli assistenti e dalla segreteria del piano.
8
61
e dai sindaci dei comuni aderenti al piano strategico. Inoltre il sindaco presiede il Forum
dello Sviluppo che è costituito da 32 soggetti pubblici e privati tra i più importanti del
territorio.
Un piano strategico si può definire di tipo partecipato e condiviso se il ruolo dei privati è
parte integrante sia del processo che del prodotto. Tale ruolo risulta essere indispensabile
nella fase propositiva, vale a dire nel corso della predisposizione delle azioni per la
realizzazione degli obiettivi indicati nelle linee strategiche. Il Comune di Perugia ha
costruito, fin dagli anni Cinquanta, una solida esperienza nel campo della partecipazione
pubblico-privato che spazia dalla gestione dei servizi di nettezza urbana, mobilità (da
ultima, la costituita Minimetrò SpA) ed energia, fino al settore delle reti informatiche,
digitali e wireless. Per l’esperienza acquisita è risultato abbastanza agevole applicare la
metodologia della partecipazione e della condivisione anche allo studio del piano strategico.
Trento
a) gli attori
Il piano strategico di Trento è stato promosso dal Comune di Trento d’intesa con la
Provincia Autonoma di Trento e i soggetti rappresentativi di interessi pubblici. Hanno
espresso formale consenso per la preparazione del Piano strategico della città di Trento
2001-2010, aderendo al Contratto di Partenariato del 13 dicembre 2000, i principali
soggetti rappresentativi di interessi pubblici e privati diffusi nella città di Trento e nel suo
territorio di riferimento.
b) i ruoli
Sinteticamente, si possono così ripartire i soggetti che hanno partecipato e condiviso il
percorso del piano strategico della Città di Trento:
•
attivatore del processo: Comune di Trento;
•
firmatari del Patto per lo Sviluppo: istituzioni trentine (stakeholder della città);
•
agevolatori del processo e fornitori della metodologia di analisi: équipe
dell’Università di Trento;
•
fornitori dei contenuti dell’analisi e delle ipotesi di città: gruppi di lavoro formati da
diversi attori della città che hanno accettato il primo coinvolgimento;
•
sistemazione del lavoro dei gruppi al fine della validazione delle ipotesi di lavoro e
prima individuazione delle linee strategiche: équipe di lavoro mista tra Comune di
Trento ed università;
•
validazione delle linee strategiche: Comune di Trento e gruppi di lavoro;
•
raccolta e gestione dei contributi afferenti alle linee strategiche individuate in una
logica di cooperazione allo sviluppo del piano strategico: un referente forte del
62
Comune di Trento o della società civile, in qualità di manager politico del piano
strategico; questa figura si avvale dell’équipe dell’università in ottica metodologica e
si pone come agevolatore del processo di sistemazione dei progetti nella fase di
implementazione del piano.
L’interlocutore scientifico, cui è stata affidata l’impostazione metodologica e l’accompagnamento del processo di piano, è la Facoltà di Economia dell’Università di Trento nei
suoi 2 referenti: Enrico Zaninotto e Dario Cavenago. Sono state, altresì, designate 3 borse di
studio sul tema della pianificazione strategica.
Il Gruppo di indirizzo è costituito da Clara Campestrini (Dirigente Servizio Sviluppo
economico, Comune di Trento), Marilena Zandonai (Responsabile Ufficio marketing
urbano), Giorgio Antoniacomi (Dirigente coordinamento piano strategico).
I Tavoli di lavoro sui temi del territorio, cultura e servizi, della fase di diagnosi, attraverso i
quali è avvenuto il confronto e la regolazione negoziale degli interessi, sono stati
rispettivamente presieduti da autorevoli esponenti della società civile, affiancati da 3
esperti dell’Università di Trento. I Presidenti hanno svolto un importante ruolo in qualità di
facilitatori dei gruppi di discussione.
Il coordinamento degli incontri nel corso della fase progettuale, al fine di costruire il
consenso di enti, istituzioni, organizzazioni, aziende, associazioni, cittadini, è stato affidato
a Giovanna Collauto.
Al fine di garantire uno sviluppo integrato che vede coinvolti sia il settore economico, sia
quello urbanistico che quello sociale, è stata creata la struttura “Progetto coordinamento
delle politiche per il piano strategico di Trento” nell’ambito del Servizio Sviluppo
Economico. Lo scopo di questa struttura era quello di fare superare ai diversi strumenti di
pianificazione (urbanistico, sociale, culturale), la loro settorialità e di fare trovare all’ente
locale la coerenza di un disegno d’insieme delle politiche di intervento.
Cuneo
a) gli attori
Il primo fra gli attori che hanno contribuito all’avvio del processo di pianificazione
strategica del Comune di Cuneo è la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che ha
accolto la richiesta del Comune di Cuneo di sostenere la sua adesione al Master in Sviluppo
Locale finanziando, sia nel 2003 che nel 2004, 2 borse di studio e consentendo di avviare la
stretta cooperazione fra gli organizzatori del Master e l’amministrazione comunale. Il
secondo degli attori è evidentemente il Comune di Cuneo, specificamente il Servizio
63
Ambiente e Mobilità (3 soggetti), che assieme a 2 allievi del corso Master assicurano la
prima, necessaria struttura organizzativa al processo di pianificazione strategica.
Il terzo degli attori da considerare è l’università, in particolare l’Università degli Studi del
Piemonte Orientale, con i professori Paolo Perulli e Bruno Cattero, e l’Università di Torino,
con Luigi Bobbio e Angelo Picchierri.
b) i ruoli
Per quanto riguarda il caso di Cuneo, è al momento difficile stabilire con una certa esattezza
quali siano i ruoli all’interno del piano strategico Cuneo 2020.
A circa un anno dall’avvio del percorso di pianificazione, non è stato formalmente
organizzato un Forum dello Sviluppo anche se sono stati mobilitati i rappresentanti dei
principali interessi pubblici e privati dell’area. Non appare costituito formalmente un
Comitato Scientifico e la Segreteria organizzativa sembra ancora piuttosto limitata rispetto
alle molteplici attività organizzative che un piano strategico richiede. Il ciclo di 3 seminari
dell’aprile 2004 è stato molto utile per definire i riferimenti istituzionali e i problemi che il
piano dovrà affrontare.
Varese
a) gli attori
I più importanti attori coinvolti sono il Comune di Varese e l’Associazione “Varese Europea”
fondata nel maggio del 2002, senza con ciò tuttavia dimenticare il fatto che l’ipotesi di
realizzazione di una pianificazione strategica era inizialmente avanzata dalle associazioni
ambientaliste della città e poi fatta propria dall’amministrazione comunale di Varese, come
viene fatto notare nella “Cronologia principali avvenimenti dal mese di maggio 1999 al mese
di maggio 2002” (fonte: Comune di Varese, Direzione Generale, Ufficio piano strategico).
Quest’ultimo è un aspetto che troppe volte viene tralasciato; eppure trattandosi di un
processo di pianificazione partecipato, l’interesse della comunità ai propri destini dovrebbe
essere considerato elemento portante di tutto il percorso.
Ad ogni modo è dal Comune di Varese che viene avviato il processo di pianificazione
strategica, il cui primo atto si può far risalire al maggio del 1999 allorquando venne
organizzato il convegno “Un laboratorio per Varese. Cultura, ambiente, paesaggio: un piano
strategico per Varese ed il suo territorio. Rilevanza Socio Economica”, in cui intervengono,
tra l’altro, Francisco Santacana, manager del piano strategico di Barcellona e Ignacio
Vidarte, direttore del Guggenheim Museum di Bilbao.
b) i ruoli
Una volta fondata, l’Associazione “Varese Europea” ha incominciato a svolgere un ruolo
importante. Essa raccoglie ora circa 80 membri e in 2 anni di vita è riuscita a costruire il
64
clima necessario per poter avviare consapevolmente un processo di sviluppo partecipato e
condiviso. In questo senso, essa costituisce l’aspetto più importante del processo di rilancio
territoriale dell’area di Varese.
In tutto ciò è bene non dimenticare il ruolo di coordinamento e propulsione svolto dal
Comune di Varese anche sotto il profilo finanziario con un contributo iniziale consistente
(50 mila euro) a favore delle attività dell’Associazione “Varese Europea”. Il comune ha
inoltre garantito i servizi di collegamento, funzionalità e segreteria operativa. Lo statuto
dell’Associazione prevede quote d’iscrizione annuali che variano da 50 euro per associazioni
culturali, enti morali, ecc., fino a 2.500 euro per i comuni con oltre 10.000 abitanti.
La Spezia
a) gli attori
Per l’elaborazione del piano, l’amministrazione comunale spezzina ha utilizzato le proprie
strutture interne, avvalendosi del coordinamento scientifico del Prof. Roberto Camagni,
esperto nel settore dell’Economia Urbana e docente presso il Politecnico di Milano.
b) i ruoli
Il Comune di La Spezia ha istituito e guidato direttamente:
1.
il Segretariato di piano, con funzioni organizzative degli eventi che accompagnano il
processo (riunioni, attività di comunicazione, manifestazioni, ecc.);
2.
la Direzione Generale del piano, con un ruolo di regia e controllo sull’intero percorso
di pianificazione, la cui struttura è così articolata:
-
coordinatore del piano: Pierluigi Fusoni del Comune di La Spezia;
-
responsabili delle Commissioni di lavoro;
-
principali dirigenti dell’amministrazione comunale.
L’attività dei diversi organi della Direzione Generale è stata supportata, durante l’intero
percorso, da esperti di settore e di modelli di pianificazione strategica.
Dalla Provincia e dal Comune di La Spezia provengono i soggetti che si sono occupati di
seguire i rapporti istituzionali e le comunicazioni esterne.
Pesaro
a) gli attori
Il piano strategico Pesaro 2015. Pesaro futuro con vista è stato avviato nel febbraio 2001 su
iniziativa del Comune di Pesaro, che nel luglio del 2001 approva il Protocollo d’intesa per la
preparazione del piano strategico della città. Con l’approvazione del Protocollo si è dato
avvio al coinvolgimento degli attori sociali nel processo di individuazione delle strategie per
il futuro della città e del territorio in una proiezione temporale che arriva al 2015.
65
b) i ruoli
L’implementazione e la regia del piano sono stati curati dal Comune di Pesaro senza la
costituzione di uno specifico Comitato Tecnico Scientifico, ma attraverso il supporto di
consulenti esterni10.
L’analisi diagnostica è stata condotta dapprima dai Gruppi di lavoro con la collaborazione
dei consulenti esterni che hanno operato specificamente sui punti di loro maggiore
interesse, e successivamente integrata con la documentazione di contorno fornita
dall’Urban Center.
Dai Tavoli di lavoro sono emersi i punti di forza e di debolezza della realtà locale.
Il processo di costruzione del piano, nei suoi caratteri generali, fa riferimento:
•
alla volontà di connotare la vocazione della città e del territorio in termini di qualità
e innovazione;
•
alla volontà di agire sulle peculiarità storiche e culturali, sui caratteri urbani più
specifici, sulla identità della città per costruire la visione futura.
Vercelli
a) gli attori
Il principale promotore di questo piano strategico è il Comune di Vercelli. Il processo di
pianificazione strategica viene condotto con il supporto tecnico-scientifico e il monitoraggio
del Master in Sviluppo Locale dell’Università del Piemonte Orientale, su incarico del
Comune di Vercelli. La supervisione scientifica è di Paolo Perulli, Direttore del Master in
Sviluppo Locale dell'Università del Piemonte Orientale, che si è avvalso di 2 collaboratori.
b) i ruoli
Il Comune di Vercelli che ha prima finanziato il Master in Sviluppo Locale promosso dalla
Università del Piemonte Orientale, e poi ha avviato il processo di pianificazione strategica
facendo affidamento sulle esperienze riportate dagli allievi del corso di Master e affidandosi
alla Università del Piemonte Orientale, che dal 2004 sta portando avanti il processo di
pianificazione strategica anche a Cuneo. Il ruolo propulsore è dunque del Comune di
Vercelli e in particolare del Sindaco Gabriele Bagnasco.
Verona
a) gli attori
Il piano strategico è stato promosso dal Comune di Verona e lanciato il 14 marzo 2003 con
una presentazione ufficiale del sindaco alla città.
10 Il Comune ha affidato la direzione scientifica del piano a Paolo Perulli e Maurizio Catino, docenti dell’Università del
Piemonte Orientale.
66
Successivamente sono stati identificati 70 stakeholder che sono stati intervistati o hanno
presentato contributi scritti in merito ai principali problemi e alle maggiori possibilità che
la città avrà nel prossimo futuro. I risultati di questa fase di ascolto sono stati raccolti nel
“Documento di Visione”, presentato il 19 giugno 2003 e sono stati sottoposti ad una
successiva analisi Delphi diretta, che ha permesso di identificare 4 aree di policy. Da esse, il
3 luglio 2003, sono stati derivati 4 Tavoli, ciascuno coordinato da un esponente della
società civile, di riconosciuta autorevolezza e con competenza in materia. I Tavoli hanno
complessivamente coinvolto circa 200 attori, rappresentanti di enti pubblici e di interesse
pubblico, associazioni di categoria, istituzioni di governo locale, forze sociali, associazioni,
fondazioni, servizi pubblici, istituzioni per la formazione e culturali.
Contemporaneamente sono state avviate 2 iniziative trasversali che erano state indicate
come importanti nella fase di ascolto. La prima è stata il “Laboratorio per le politiche
giovanili”, che ha coinvolto, oltre al Comune di Verona, rappresentanti di istituzioni
ecclesiali, università, associazionismo culturale e del tempo libero, circoscrizioni, comuni
dell’area metropolitana, organizzazioni per la cooperazione e il volontariato, istituzioni
scolastiche e per la formazione professionale, organizzazioni sindacali, servizi socio-sanitari
dell’ULSS 20 di Verona.
La seconda iniziativa è consistita in una “riflessione sulle Reti di Città”, condotta da un
gruppo di studiosi. Il lavoro svolto complessivamente ha permesso di stendere un
protocollo d’intesa per la preparazione del piano strategico, sottoscritto il 4 settembre 2003
da 26 soggetti promotori del piano, oltre al Comune di Verona. I soggetti aggregati
comprendono le principali istituzioni pubbliche dell’area di Verona e i principali soggetti
economici, sociali e culturali di tipo pubblico e privato11.
Nell’autunno 2003 c’è stato un incontro con i sindaci dei comuni contermini; si sono
aggregati 4 comuni limitrofi e nel febbraio 2004 si è arrivati alla firma di un protocollo
d’intesa per l’istituzione della Consulta dei Sindaci dei comuni dell’area metropolitana, che
comprende 27 comuni. Nel gennaio 2004 si è tenuta la Conferenza di piano strategico in cui
il Documento/Programma è stato presentato alla cittadinanza.
Il soggetto proponente il piano era il Comune di Verona, che, come si è detto, ha aggregato
un gruppo di 26 attori istituzionali e alcuni comuni che gravitano più direttamente su
Verona. Non ci sono state forme di partecipazione diretta da parte dei cittadini, o di
particolari componenti della società civile ritenuti importanti come, ad esempio, i giovani.
L’elenco dei soggetti che hanno aderito al piano strategico di Verona è il seguente: Amministrazione Provinciale di
Verona, Aeroporto Valerio Catullo, Apindustria Verona, Associazione Artigiani Riuniti Verona, Associazione Industriali
Verona, Azienda Ospedaliera Verona, Camera di Commercio Industria e Artigianato di Verona, Confcommercio Verona,
Confcooperativa, Confederazione Italiana Agricoltori-Verona, Confederazione Nazionale Artigianato-Verona,
Confesercenti Verona, Consorzio Studi Universitari Verona, Consorzio ZAI, Diocesi di Verona, Ente-Autonomo Fiere di
Verona, Federazione Provinciale Coltivatori Diretti, Fondazione Arena, Fondazione Cariverona, Lega Cooperative, ULSS
20, Unione Provinciale Artigiani Verona, Università degli Studi di Verona, CGIL Verona, CISL Verona, UIL Verona.
11
67
Non è stato costituito formalmente un Forum dello Sviluppo, né si ritiene opportuno
costituirlo, ritenendolo un fattore di rallentamento del processo.
Si sta lavorando per la costituzione di un’associazione dei principali attori; sarà demandato
ad essa il compito di definire modalità e caratteristiche dell’impegno dei vari attori
nell’attuazione del piano strategico.
b) i ruoli
L’impostazione data al piano strategico di Verona implica 3 tipi di ruoli:
1.
il ruolo del Sindaco di Verona che è promotore e gestore dell’intera operazione;
2.
il ruolo dei soggetti coinvolti nel processo di consultazione e definizione delle linee
di azione;
3.
il ruolo dei sottoscrittori del protocollo di intenti, inclusi i comuni contermini
attraverso una Consulta dei Sindaci.
Il ruolo svolto dal Comune di Verona appare determinante in quanto è promosso da esso
non solo il progetto di costruire il piano strategico ma anche l’impostazione e gestione di
tutto il periodo d’ascolto, con l’assistenza di una società di consulenza specializzata.
Di fatto è solo al termine di questa fase conoscitiva, avvenuta attraverso contatti diretti con
un gruppo selezionato di stakeholder ed una successiva analisi Delphi diretta, che vengono
investiti in modo formale, sulla base di un documento in cui sono indicati i principi
dell’operazione, i suoi obiettivi generali e le modalità per conseguirli, i principali attori
pubblici e privati di Verona e della Provincia.
Lo stesso Documento/Programma Verona 2020 elaborato per la Conferenza di piano
strategico del gennaio 2004 è presentato in prima persona dal Comune di Verona alla città
e ai suoi diversi attori, senza essere sottoscritto da essi nelle sue varie articolazioni.
Il momento di maggior coinvolgimento dei vari attori e portatori di interessi avviene nel
corso dell’attività dei 4 Tavoli: Ambiente e territorio, Economia, Cultura, Welfare e
attraverso un questionario che riprende l’insieme delle diverse tematiche ed è
somministrato a tutti i 200 attori collettivi coinvolti. Dai tavoli emergono gli assi, le azioni e
le linee del piano strategico ed alcune indicazioni di “progetti bandiera” e di idee progettuali
(un centinaio circa). Il livello di definizione è relativamente generale e l’approfondimento in
termini operativi, di tempi, risorse necessarie, ecc. è demandato a fasi successive.
Il ruolo dei firmatari del protocollo d’intesa – di fatto i principali attori della vita culturale,
sociale ed economica cittadina – è prevalentemente di appoggio in termini generali di un
progetto ritenuto opportuno e di rilevante interesse e di impegno per la sua attuazione
attraverso le forme di intervento che risulteranno nel corso del tempo opportune. Il
protocollo d’Intesa è essenzialmente un documento d’intenti e di condivisione di metodo;
68
non entra nel dettaglio delle specifiche strategie da attuare. Lo stesso vale per la
consultazione con i comuni contermini.
Piacenza
a) gli attori
Il piano Patto per Piacenza è stato sottoscritto il 12 gennaio 2002 tra Regione EmiliaRomagna, Provincia di Piacenza, Comune di Piacenza, Camera di Commercio, Industria,
Agricoltura e Artigianato di Piacenza (Cciaa), i comuni della Provincia di Piacenza, gli enti,
le associazioni e le organizzazioni rappresentati in seno al Comitato Strategico, con
l’approvazione delle linee strategiche e dei progetti prioritari, nonché con l’impegno a
istituire un sistema di monitoraggio e valutazione del piano stesso.
Risorse interne utilizzate:
-
Presidente Provincia;
-
Giunta (8 persone);
-
Dirigenti (10 persone);
-
Funzionari (6 persone).
Risorse esterne utilizzate:
-
Comitato Strategico (31 persone);
-
Comitato Scientifico (6 persone);
-
Comitato di Coordinamento (6 persone);
-
Consulenti e collaborazioni esterne (15 persone).
b) i ruoli
LLaa SSt tr ruut tt tuur raa OOr rggaanni izzzzaat ti ivvaa ddeel l PPaat tt too ppeer r PPi iaacceennzzaa
EEnnt it i PPr roommoot ot or ri i
( (CCoommuunnee ee PPr roovvi ni ncci ai a) )
SSeeggr reet et er ri ai a
t et eccnni ci coo
oor rggaanni zi zz zaat it vi vaa
CCoommi ti at at ot o
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( (FFoor ruumm) )
CCoommi ti at at ot o t et eccnni ci coo
s scci ei ennt it fi fi ci coo
GGr ruuppppi i ddi i LLaavvoor roo
Fonte: Linee guida per l’attività dei gruppi di lavoro, giugno 2001, pag. 4
69
Come si nota dallo schema sopra riportato il Comitato Strategico coincide con il Forum
dello Sviluppo; esso ha ricoperto un ruolo centrale in tutta la fase del processo di
pianificazione strategica.
Copparo
a) gli attori
Il Piano strategico 1909-2009 sei campanili ventisei piazze un’utopia realizzabile è stato
promosso dall’Associazione dei Comuni del Copparese. I sindaci dell’Associazione dei 6
Comuni del Copparese hanno avviato il processo cercando un confronto interistituzionale.
Si è formato un Forum dello Sviluppo, insediatosi il 20 giugno 2003. Il ruolo di
coordinatore istituzionale del piano strategico è stato svolto da Davide Tumiati, Sindaco di
Copparo.
Per l’impostazione metodologica e per la conduzione delle analisi è stato istituito un
Comitato Tecnico Scientifico coordinato da un urbanista e costituito da un totale di 10
esperti in varie discipline12. La direzione del piano è stata affidata a un Comitato composto
da esponenti tecnici dei Comuni dell’Associazione e presieduto dal direttore generale del
Comune di Copparo. Sono stati costituiti 8 Gruppi di lavoro, con rappresentanti dei comuni
e degli altri soggetti pubblici e privati coinvolti, che hanno svolto il compito
dell’elaborazione dell’indagine diagnostica e della definizione delle azioni puntuali del
piano.
b) i ruoli
Tutti gli attori pubblici e privati coinvolti, hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo
importante per il Copparese.
L’Associazione dei Comuni del Copparese dal 1999 lavora sinergicamente. Da questa
sinergia si è costruito il clima necessario per poter passare, 3 anni dopo, al processo di
pianificazione strategica. In questo senso, il piano strategico costituisce l’aspetto più
importante del processo di rilancio territoriale del Copparese. Infatti, con il piano
strategico, l’Associazione dei Comuni ha spostato l’attenzione delle amministrazioni locali
dall’aspetto meramente gestionale a quello progettuale.
Sesto San Giovanni
a) gli attori
Il Piano strategico per lo sviluppo del Nord Milano è stato promosso dall’Agenzia di
Sviluppo Nord Milano che ha ricoperto un ruolo di supervisione e coordinamento tecnico,
12 La composizione dettagliata del Comitato è inclusa nella presentazione del piano strategico di Copparo, nel CD
allegato.
70
su mandato dei sindaci dei 4 comuni dell’area, che del processo hanno avuto una funzione
di regia e di indirizzo.
Si è deciso di non costituire un Comitato Scientifico del piano, ma di affidarne
l’impostazione metodologica e la direzione scientifica ad esperti pubblici e privati13.
Hanno contribuito direttamente in varie fasi alla costruzione e stesura del piano strategico
non solo gli amministratori e i tecnici dei comuni e della provincia, ma anche i componenti
del Forum per lo Sviluppo del Nord Milano, il Centro Studi del Piano Intercomunale
Milanese (PIM), i dirigenti e i tecnici di moltissimi enti, i rappresentanti di associazioni,
soggetti sociali ed economici del Nord Milano.
b) i ruoli
La crisi industriale, non ha solo fortemente colpito la grande industria siderurgica locale e,
di conseguenza, tutto il sistema economico del Nord Milano, che in poco meno di 70 anni si
è ritrovato proiettato direttamente nel cuore dell’Europa e nel mondo intero, ma ha anche
determinato un vuoto di rappresentanza territoriale. Questo vuoto ha significato
polverizzazione della struttura economica territoriale e impossibilità di crescita per
coalizioni con coerenti progetti di sviluppo.
L’Agenzia per lo Sviluppo del Nord Milano, in questo senso, è stata lo strumento con cui
ritemprare le coscienze pubbliche e soprattutto private del territorio; è dall’iniziativa
imprenditoriale del soggetto pubblico, infatti, che è stato possibile attrarre grandi risorse
con cui mobilitare i soggetti privati.
Tutti gli attori pubblici e privati coinvolti hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo
importante per il Nord Milano. Esistono tuttavia degli “attori storici”, come il Comune di
Sesto San Giovanni, la Provincia di Milano, la Falck, che dal 1993 hanno lavorato
sinergicamente per costruire il clima necessario da cui 6 anni dopo è iniziato il piano
strategico che, in questo senso, costituisce l’aspetto più eclatante di un processo di rilancio
territoriale che affonda le sue prime radici già alla metà degli anni Settanta.
2.6
Metodologie e strumenti di supporto per l’analisi diagnostica
L’indagine ha permesso di osservare la presenza di elementi costanti e di elementi specifici
nell’impostazione metodologica seguita per la redazione dei piani strategici. Gli elementi
costanti nelle metodologie osservate sono indicati nei punti che seguono.
1.
In alcuni casi esiste una distinzione chiara, sia dal punto di vista metodologico che
temporale, tra le fasi di analisi e le fasi di proposta. Sembrerebbe che a una
Nella preparazione del piano sono stati coinvolti docenti del Politecnico di Milano e del Centro Documentazione e
Ricerche per la Lombardia. L’elenco degli esperti è presente nella presentazione del piano di Nord Milano nel CD
allegato.
13
71
maggiore chiarezza metodologica circa la distinzione tra le fasi di analisi e le fasi di
proposta sia corrisposta, nella preparazione dei piani, una maggiore efficacia
dell’azione di pianificazione e una maggiore efficienza dimostrata da tempi e risorse
minori rispetto ai risultati.
2.
In altri casi la separazione tra le fasi di analisi e le fasi di proposta è meno netta.
All’interno del processo di preparazione di uno stesso piano strategico si riscontra
un primo ciclo di analisi e proposte a cui sono seguite altre analisi e altre proposte,
con un percorso circolare che ha allungato i tempi di preparazione del piano.
3.
Vi è un coinvolgimento costante di soggetti esperti esterni all’ente locale, spesso
facenti parte della locale università o di altre università con le quali gli enti locali
hanno dei contatti. Un elemento quasi sempre presente è un buon grado di
coinvolgimento dei principali soggetti collettivi privati e pubblici (Unione
Industriale, Camera di Commercio, Associazioni di categoria e del volontariato, ecc.)
attraverso i rispettivi organi decisionali, quantomeno come fonti privilegiate di
informazioni attraverso il coinvolgimento dei rispettivi uffici studi e ricerche.
4.
Si riscontra un utilizzo costante di saperi diffusi, non considerando sufficienti né le
informazioni disponibili presso l’ente che promuove il piano, né quelle disponibili
presso gli altri enti pubblici coinvolti nel processo.
In tutti i casi esaminati il punto di partenza del processo di pianificazione è costituito dalla
redazione di uno o più documenti sullo stato di fatto dell’area e sulle opportunità da
cogliere per il futuro. La documentazione prodotta per l’analisi è spesso articolata in punti
di forza, debolezza, opportunità e pericoli.
Gli elementi specifici riguardano in particolare le modalità tecniche che hanno
caratterizzato la redazione dell’indagine diagnostica, ovvero la redazione dello studio sullo
stato di fatto dell’area in questione e sulle sue prospettive di sviluppo in assenza di
interventi o con la prospettiva di interventi.
Come è indicato dallo schema sopra esposto, gli enti locali hanno seguito tre modalità per la
redazione dell’analisi sullo stato di partenza dell’area:
•
redazione autonoma da parte del consulente, coadiuvato o meno da un Comitato
Scientifico ma in genere sempre supportato da una segreteria tecnica costituita per
l’occasione presso il comune maggiore tra quelli che hanno promosso il piano. Si
tratta della soluzione più efficiente in termini di tempo, ma anche quella meno
adatta a far condividere tra i soggetti interessati lo “stato di salute” di un’area;
•
redazione di diversi documenti sullo stato dell’area da parte dei gruppi di lavoro
attivati per il piano strategico o di gruppi tecnici già in essere (Agenda 21, Bilancio
72
sociale, ecc.), con il coordinamento del consulente, della segreteria del piano. In
questi casi il consulente e l’eventuale Comitato Scientifico hanno svolto un lavoro di
sintesi e omogeneizzazione a posteriori. Il metodo ha il pregio di un ottimo
coinvolgimento dei soggetti più vicini all’ente locale che promuove il piano, mentre
ha lo svantaggio di una discontinuità nella elaborazione dei documenti di analisi (sia
dal punto di vista dei contenuti sia da quello dello stile e della grafica dei testi) e una
possibile esclusione di centri di ricerche dalla partecipazione ai gruppi di lavoro del
piano;
•
redazione di specifiche sintesi di ricerche settoriali già esistenti da parte dei
principali centri studi dell’area, sia di tipo pubblico che privato, con il
coordinamento e la sintesi da parte del consulente e del Comitato Scientifico. Questo
metodo offre sia un’efficace partecipazione dei soggetti principali di un’area,
attraverso i rispettivi centri studi e ricerche, sia una analisi adeguata dal punto di
vista dei contenuti e dell’esposizione finale. Lo svantaggio principale consiste nella
scarsa applicabilità del metodo, in quanto può dare buoni risultati solo nelle città
medio grandi dove in genere esistono, a monte del piano strategico, diversi studi
sullo stato di salute di un’area e numerosi documenti di proposta sui cambiamenti
settoriali o generali da attuare.
L’indagine ha permesso di analizzare la quasi totalità dei piani strategici in corso di
preparazione o di attuazione in Italia. Questo ampio panorama consente di affermare che la
corretta conduzione di una indagine diagnostica è la prima chiave di successo di un
processo di pianificazione strategica applicato al territorio. Ciò dipende:
•
dalle risorse impiegate (più le risorse umane che quelle materiali);
•
dal rigore scientifico e dai metodi professionali impiegati, che possono essere
garantiti in modo più efficace dalla presenza di un Comitato Scientifico composto
anche da poche persone ma in grado di agire in modo indipendente dai soggetti
istituzionali che costituiscono la committenza del piano strategico e dai soggetti
operativi che hanno il compito di attuare la preparazione del piano (e che sono
spesso dipendenti in una forma o nell’altra dalla committenza istituzionale del
piano);
•
dalla redazione dal basso dell’indagine, cioè dal coinvolgimento nella indagine
diagnostica dei saperi tecnici e sociali già presenti nella comunità locale e diffusi in
diverse fonti (centri di ricerca pubblici e privati, associazioni di categoria, ecc.);
•
dal tempo impiegato, che deve essere breve e definito a priori con scadenze
condivise da parte dei soggetti partecipanti;
73
•
dalla connessione più o meno logica tra la fase di analisi diagnostica e la fase di
elaborazione delle proposte. Quest’ultimo punto è di particolare importanza perché
se viene meno tale legame viene meno anche la ragione stessa del piano.
Nei piani analizzati la costruzione della indagine diagnostica, oltre alle differenze sopra
riportate, si differenzia da un caso all’altro anche per i seguenti elementi di processo:
•
unitarietà temporale della indagine diagnostica (grande maggioranza dei casi) o
produzione della stessa analisi diagnostica per fasi ricorrenti nel corso del processo
di piano;
•
produzione della analisi diagnostica come prodotto autonomo, inteso come
documento o documenti separati (maggioranza dei casi) o direttamente come parte
del documento di piano;
•
uso ristretto quantitativamente o ad ampio raggio del metodo delle interviste
personali a esponenti pubblici e privati della comunità locale. Nel primo caso (poche
interviste) il vantaggio è l’obbligo di svolgere una selezione a monte del piano
interviste, con un risparmio di tempi e di costi, a fronte di uno svantaggio costituito
dalla necessità di un maggiore uso di fonti documentali. Nel secondo caso vantaggio
e svantaggi sono invertiti rispetto al primo caso.
In sintesi, il processo del piano strategico (si veda la Figura 2.6.1) è stato in genere
articolato in 3 componenti:
1)
redazione partecipata e condivisa di una analisi diagnostica secondo il modello
SWOT;
2)
stesura di varie bozze del piano strategico fino alla versione definitiva;
3) sottoscrizione da parte dei principali soggetti pubblici e privati dell’area di un
documento che sancisce l’adesione alla visione proposta dal piano e l’impegno a
realizzare quanto previsto, ognuno per la propria parte.
74
Figura 2.6.1
Sequenza tipica delle 3 componenti principali del processo di pianificazione
strategica di una città italiana, e prodotti del processo
Analisi diagnostica
Piano strategico di
area urbana
Patto dello
sviluppo
- Visione dell’area in
ottica
decennale
o
superiore
- Griglia delle opzioni di
sviluppo:
linee
strategiche; obiettivi; azioni
(materiali e immateriali)
- Richiamo a visione,
strategie, obiettivi e
azioni del piano
- Sottoscrizione da
parte dei soggetti
pubblici e privati
“Verso il piano”
“Il piano”
“Il Patto”
Uno o più documenti
sullo stato di fatto
dell’area, con le opzioni possibili
Uno o più documenti
(anche multimediali):
sintesi dello stato di
fatto e presentazione
delle scelte
Un
breve
documento, generalmente sottoscritto in una
manifestazione pubblica
- Stato di fatto dell’area
- Prospettive di sviluppo con e senza
piano strategico
Gruppi di lavoro
Condivisione diagnostica e formulazione linee strategiche articolate in obiettivi e azioni
Sembra possibile che tale sequenza, riconoscibile anche in diversi piani strategici prodotti
all’estero (Barcellona, Bilbao, ecc.), rappresenti l’adattamento alle problematiche urbane di
un modello di pianificazione strategica messo a punto in campo aziendale (l’Harvard Policy
Model). In tale modello vi sono, al variare delle problematiche affrontate, degli elementi
costanti tra i quali:
1.
in una prima fase, la identificazione e l’analisi del periodo o della situazione
problematica per l’azienda in questione;
2.
in una seconda fase la identificazione delle alternative possibili con i rispettivi costi e
vantaggi (compresi i costi della mancata attuazione di ogni particolare scelta
identificata), con le procedure da seguire passo dopo passo, con l’attribuzione ai
diversi componenti aziendali delle nuove mansioni richieste e con i tempi di ogni
singola fase.
75
Di fatto, ciò che del modello può essere di interesse diretto per gli enti locali che stanno
valutando le potenzialità della pianificazione strategica per il loro territorio è che in quasi
tutte le città italiane, in cui è stato preparato un piano strategico, l’analisi diagnostica è
stata svolta in una fase iniziale, che ha avuto un inizio e un termine precisi. Ciò significa
che, in generale, sembrerebbe sconsigliabile l’avvio di una indagine sullo stato di fatto di
un’area urbana senza avere ben chiaro quali siano le finalità di pianificazione da
raggiungere e quali limiti temporali e di budget lo studio debba rispettare, per non correre il
rischio di svolgere delle attività di indagine fini a sé stesse.
In generale, il prodotto fisico chiamato “piano strategico” (cioè al di là del processo di
costruzione di relazioni tra soggetti di ambiti differenti, che può essere anche considerato
come il prodotto principale) è un testo che presenta, anche con l’ausilio di grafici, di carte e
di schemi:
-
quali azioni (cioè progetti di tipo edilizio-territoriale o progetti di tipo non
materiale) si ritiene importante attuare nell’arco di un decennio;
-
come queste azioni servono a raggiungere determinati obiettivi;
-
come questi obiettivi si articolano in linee strategiche;
-
e come, infine, le linee strategiche servono a rendere concreta la “visione” del piano.
Il testo contiene in linea di massima le seguenti componenti:
-
Linee strategiche (circa 5-10)
-
Obiettivi (circa 10-20)
-
Azioni (circa 50-80).
L’articolazione del piano si è stabilizzata in un formato che prevede, per ogni linea
strategica individuata, una serie di elementi come indicato nel seguente schema:
Linea strategica n.1
Obiettivo n.1
Esempio di tema: Integrare l’area
Azione n.2
della città XYZ nella rete nazionale
e internazionale dei trasporti
Azione n.1
Obiettivo n.2
Azione n.3
Obiettivo n.3
Azione n.4
Azione n.5
76
Nella parte che segue, si riportano, a titolo di prima indicazione (rimandando per
approfondimenti alle presentazioni di ogni singolo piano strategico contenute nel CD),
alcune caratteristiche riguardanti la connessione tra l’indagine diagnostica e le altre
componenti del piano strategico nelle città capoluogo di regione. Ci si sofferma anche sul
caso del piano strategico dell’Associazione dei Comuni del Copparese per mettere in
evidenza che anche in piani strategici di soggetti territoriali di piccola dimensione l’analisi
diagnostica può produrre delle scelte concrete già nel corso di elaborazione del piano.
Torino
Metodologie e strumenti di supporto
In parallelo alla stesura definitiva del documento “Il Piano”, si avvia la messa a punto di
altri strumenti di comunicazione tra cui un video di circa 15 minuti, un inserto speciale del
notiziario del Comune di Torino “Informa città”, il sito internet del piano, una mostra
pubblica.
La nomina ottenuta a Seul nel giugno del 1999 come sede delle Olimpiadi invernali 2006
non può essere presentata come un frutto del piano strategico, che in quel periodo era già
definito in bozza ma non ancora approvato. È indubbio, tuttavia, che la preparazione del
piano abbia costituito una ottima palestra per allenare i vari soggetti pubblici e privati della
città a lavorare insieme, a fare squadra su obiettivi comuni.
Firenze
Metodologie e strumenti di supporto
Nell’ambito della fase di discussione interna agli organi deliberativi delle varie componenti
del Comitato del piano, anche il Consiglio comunale di Firenze tramite le sue Commissioni
Consiliari, ha discusso e approvato il lavoro svolto nelle diverse fasi. Inoltre, le proposte del
piano sono state discusse e approvate dagli altri Consigli dei Comuni dell’area fiorentina e
dai rispettivi consigli di quartiere.
Il Comune di Firenze ha sempre condotto campagne di informazione per diffondere il
progetto e coinvolgere la cittadinanza con incontri, dibattiti, trasmissioni radio e interventi
televisivi dei rappresentanti dell’Ufficio del piano. Da questo punto di vista esso ha saputo
coniugare i mezzi stampa con i mezzi televisivi e radiofonici: il Comune di Firenze (ente
promotore) attraverso i suoi Assessorati si è fatto carico anche dell’opera di comunicazione
e divulgazione attraverso iniziative su internet (ad es. il sito www.comune.fi.it/progettarefirenze),
una rubrica radiofonica su Radio Lady (radio locale), la partecipazione a trasmissioni
televisive.
77
Tuttavia, lo strumento di supporto più importante è stata la Mostra-convegno
internazionale svoltasi dal 12 al 29 febbraio 2003 “Le Città cuore d’Europa. Nuove
esperienze di pianificazione strategica e di edilizia sociale per la rigenerazione urbana”,
che ha visto il coinvolgimento di referenti internazionali e nazionali della pianificazione
strategica, referenti del mondo universitario, sindaci e giornalisti italiani, per la quale il
comune ha stanziato circa 300 mila euro.
Genova
Metodologie e strumenti di supporto
L’esperienza genovese non si caratterizza per l’uso di particolari metodologie innovative e
l’uso di strumenti applicabili ad altri casi.
Gli apporti più significativi in termini metodologici sono il riferimento al “piano integrato
degli interventi”, che permette di identificare le interrelazioni tra una varietà di iniziative
pubbliche e private di diversa natura, dimensione e tempi di attuazione, e tra lo stretto
legame con la pianificazione urbanistica comunale e l’uso di eventi esterni come parte della
strategia di piano. Un approccio del genere implica un efficiente funzionamento della
macchina amministrativa e tecnica comunale.
Per quanto riguarda invece l’uso di strumenti di promozione dell’immagine di Genova, e
anche della messa in risalto dei suoi problemi e della volontà di risolverli, essi sono stati in
larga parte superati dalla copertura mediatica data a livello nazionale ed internazionale
dagli avvenimenti connessi al G8.
Si calcola che nel 2001 siano apparsi su questo evento (e su Genova) almeno 20.000 articoli
di quotidiani e riviste specializzate di tutto il mondo, oltre a moltissimi servizi televisivi e
radiofonici. Il solo sito sul G8 del Comune di Genova è stato mediamente visitato 150.000
volte al giorno, con punte di 300.000 nel mese di luglio. I tentativi di comunicazione fatti a
livello locale attraverso la televisione ed altri media appaiono invece (e vengono anche
considerati) poco rilevanti ed efficaci.
Perugia
Metodologie e strumenti di supporto
Il Comune di Perugia ha approvato nel giugno del 2002 il nuovo Piano Regolatore Generale
che ridisegna la città in un’ottica compiutamente europea. Tra i suoi principi generali vi è il
riuso delle aree dismesse che si pone come principio guida per la salvaguardia del territorio
e per la definizione dei limiti all’espansione urbana. Nella definizione di questo principio
l’analisi diagnostica, estesa al territorio di Perugia e di 6 comuni limitrofi, ha avuto un ruolo
fondamentale perché ha messo in evidenza la necessità, sentita sia dai soggetti pubblici sia
78
dai principali soggetti privati, di dare un impulso alla tutela degli spazi non ancora edificati
e della campagna in generale.
Tale principio è stato fin da subito concretamente applicato in importanti opere di
riorganizzazione architettonica, urbanistica e viaria di essenziali aree della città, tra cui
vanno senz’altro menzionate, il recupero di ampie parti del Centro storico, il Minimetrò, la
creazione del polo unico ospedaliero “Silvestrini” a Sud di Perugia, che inciderà
direttamente e in profondità nella zona Nord-Est del suo centro storico.
L’impostazione di fondo del PRG è stata alla base della elaborazione del piano strategico di
Perugia, che indica tra i suoi obiettivi la tutela e il recupero urbano-ambientale di ampio
raggio, attraverso l’adeguamento dello sviluppo economico e urbanistico al principio di
fondo della tutela del suolo.
Venezia
Metodologie e strumenti di supporto
Nel corso del processo di pianificazione sono stati utilizzati in maniera massiccia i
tradizionali strumenti di comunicazione:
-
6 seminari tematici plenari;
-
oltre 25 confronti tematici con soggetti interni all’amministrazione comunale;
-
12 seminari di discussione con responsabili di centri studi;
-
6 confronti tematici con portatori di interessi economici e di categorie;
-
oltre 50 confronti con portatori di interessi settoriali.
Inoltre, il 14 gennaio 2004, l’Ufficio del piano ha presentato ai promotori privilegiati del
piano il Progetto commissioni, i cui componenti, rappresentanti del sistema città, stanno
lavorando su 8 linee strategiche che richiamano in modo diretto le linee strategiche e le
condizioni strutturali individuate dal piano, anche per individuare le politiche di bandiera,
nel senso di azioni promotrici di processo di sviluppo e di nuove professionalità.
Copparo (Ferrara)
Metodologie e strumenti di supporto
La metodologia seguita dai 6 Comuni comprende due elementi di particolare importanza:
1)
redazione collegiale di un “Documento quadro”;
2) redazione di una analisi diagnostica del territorio oggetto del piano da parte dei
principali soggetti pubblici e privati coinvolti, in una fase temporale controllata e
ristretta, con una partecipazione libera ma selettiva rispetto agli interessi
rappresentati.
79
Il primo elemento è costituito dalla discussione preliminare tra tutti gli interessati di un
“Documento quadro”, in tempi antecedenti l’avvio ufficiale dei lavori di preparazione del
piano. Lo stesso “Documento quadro” è stato il risultato di numerosi incontri sul tema della
pianificazione strategica avvenuti nel periodo febbraio 2002-gennaio 2003, su iniziativa
dell’Associazione dei Comuni di Copparo, Berra, Jolanda di Savoia, Tresigallo, Formignana,
Ro, a cui hanno partecipato diversi amministratori, dirigenti e funzionari dei comuni
interessati.
Dall’insieme di questi incontri è emerso, tra l’altro, che sulla scorta di numerosi esempi
europei, il modo migliore per affrontare la complessità del compito è quello di rifarsi ad una
metodologia di pianificazione partecipata e condivisa, fin dalla sua idea iniziale, tra tutti i
soggetti rilevanti dell’area.
Il secondo elemento di particolare importanza è costituito dalla metodologia seguita per la
messa a punto dell’analisi diagnostica. Il lavoro svolto per la preparazione del “Documento
quadro” ha permesso di rilevare la presenza di una fitta rete di soggetti pubblici e privati
che erano in grado di svolgere in prima persona l’analisi dei punti di forza e di debolezza dei
comuni interessati e anche di tradurre tale analisi in un documento scritto. Il Comitato
Scientifico ha svolto quindi un ruolo di consulenza e coordinamento, mentre la redazione
della indagine diagnostica è stata il frutto di un lavoro di base tanto collettivo quanto
complesso e raro.
A fronte di una redazione a tratti discontinua dal punto di vista letterario, si è acquisito il
grande vantaggio di un coinvolgimento diretto e profondo di molti dei principali soggetti
pubblici e privati dei 6 comuni. Questo elemento è una importante garanzia per le fasi
successive del piano, in particolare per la costituzione di un soggetto attuatore ben radicato
nella realtà locale e con la forza sufficiente per realizzare quanto il piano prevede.
Tuttavia, è da segnalare che questo tipo di metodologia è probabilmente più fruttuosa in
quei luoghi in cui esiste una pregressa e consolidata esperienza di partecipazione e
convergenza istituzionale. Allorquando, invece, si fa direttamente capo al piano strategico
per costruire le basi per una partecipazione e convergenza territoriale, conviene valutare
con attenzione quali azioni richiede il contesto per la sua applicazione.
Già nel corso della elaborazione dell’indagine diagnostica si è cercato di fare emergere
l’identità territoriale del luogo, come punto di partenza per dare valore al capitale
intangibile (competenze, creatività, mentalità), al capitale strutturale (innovazione
tecnologica, ricerca, organizzazione aziendale) e al capitale relazionale (reputazione
affidabilità, immagine, marketing).
Tra gli strumenti di supporto agli otto Gruppi di lavoro, a partire dal maggio 2003 sono
stati avviati alcuni laboratori di sperimentazione della progettualità territoriale:
80
-
“La fabbrica creativa”: costruire un legame tra fabbrica e territorio attraverso la
creatività artistica;
-
sottoscrizione su tutto il territorio per l’acquisto di una Risonanza Magnetica
Articolare per l’Ospedale del territorio;
-
convegno “Ambiente ed Energia: soluzioni locali per problemi globali”;
-
settimana dedicata ad “Anglat”, in occasione dell’anno europeo delle persone con
disabilità.
Nell’ambito del laboratorio di sperimentazione “La fabbrica creativa”, è stato avviato il
laboratorio delle arti applicate “Le vasaie del Po” per il quale sono state realizzate alcune
opere esposte presso il Comune di Jolanda di Savoia.
2.7
Le fasi di definizione dell’agenda per la formazione del piano e per la
sua attuazione
Osservando i documenti originali e di prima mano raccolti sul campo, la definizione
dell’agenda per la formazione dei piani strategici delle 16 città esaminate è riconducibile ad
uno schema tipo riassumibile nelle seguenti 6 fasi:
1.
Organizzazione per il processo di pianificazione.
2.
Atto di inizio dell’iter processuale.
3.
Analisi territoriale.
4.
Partecipazione alla definizione delle azioni.
5.
Atto di conclusione dell’iter processuale.
6.
Organizzazione per l’attuazione del piano.
In riferimento alle città che hanno portato a termine il processo (Copparo, Firenze, Genova,
La Spezia, Nord Milano, Perugia, Pesaro, Piacenza, Torino, Trento, Varese, Venezia,
Verona) bisogna osservare che La Spezia, Varese e Venezia hanno terminato una prima
grande fase di lavoro all’interno della quale possiamo riscontrare le 6 fasi sopra indicate,
ma hanno poi ripreso i lavori di definizione del prodotto. Nello specifico, ciascuna delle 6
fasi indicate è stata gestita in ragione delle necessità, strumenti, professionalità e obiettivi
presenti nei territori di riferimento, ma è comunque possibile, dall’analisi dei documenti,
restituire un quadro riassuntivo utilizzando il precedente schema.
1. Organizzazione per il processo di pianificazione.
Nei casi analizzati, l’organizzazione è quasi sempre costituita da una struttura interna del
comune promotore e da una struttura esterna di esperti, nella maggior parte dei casi di
81
docenti universitari, a cui il comune si appoggia. Sostanzialmente si tratta di un Ufficio del
piano strategico, un Comitato Tecnico Scientifico e una Segreteria tecnica.
2. Atto di inizio dell’iter processuale.
In 9 casi (Copparo, Firenze, Genova, La Spezia, Perugia, Piacenza, Sesto San Giovanni,
Torino, Trento) l’atto d’inizio è consistito in un Forum dello Sviluppo a cui hanno
partecipato i principali soggetti pubblici e privati operanti nell’ambito del territorio di
riferimento a cui i promotori hanno illustrato il processo di pianificazione strategica e
chiesto loro di partecipare.
In altre 6 città (Cuneo, Pesaro, Roma, Varese, Vercelli, Venezia) si è invece seguito un
percorso di graduale avvicinamento alla fase iniziale vera e propria costituita dalla indagine
diagnostica, attraverso una serie di incontri pubblici per diffondere la metodologia della
pianificazione strategica e coinvolgere i soggetti rappresentativi nel processo di
pianificazione. Le metodologie utilizzate sono diverse, ma, in generale, si è trattato di
seminari, convegni, workshop, conferenze.
A Verona si è dato il via al percorso attraverso un incontro di presentazione del processo di
pianificazione con la città e le istituzioni.
3. Analisi territoriale.
I metodi di analisi territoriale hanno utilizzato, nella maggior parte dei casi, l’analisi swot,
acronimo di strenght (forza), weakness (debolezza), opportunities (opportunità), threates
(minacce), attraverso cui è possibile analizzare i punti di forza, i punti di debolezza, le
opportunità e le criticità presenti nel territorio, modulando l’indagine dalla microscala fino
alla macroscala.
4. Partecipazione alla definizione delle azioni.
Nei casi in cui si è giunti a questa fase (tutti tranne Cuneo, Vercelli e Roma), il
coinvolgimento degli attori nella definizione delle azioni è avvenuto attraverso gruppi di
lavoro tematici diversamente denominati: nel caso di La Spezia erano i “fori di discussione”,
per il Nord Milano erano “tavoli di coprogettazione”, a Trento è stata usata la terminologia
“tavoli di approfondimento tematico”. All’interno dei gruppi di lavoro tematici si sono
costruite le azioni del piano individuando il titolo, i soggetti di riferimento, i finanziamenti,
i tempi e le opportunità di realizzazione, gli strumenti ed i costi di comunicazione.
82
5. Atto di conclusione dell’iter processuale.
Le città che sono giunte a questa fase, come già indicato in precedenza, si possono
distinguere in:
1.
Casi di città che hanno avuto il piano strategico approvato dal Consiglio comunale e
sottoscritto dai soggetti partecipanti al processo di pianificazione. Rientrano in
questa casistica: Torino - febbraio 2000, Firenze - dicembre 2002, Trento - ottobre
2003, Perugia - aprile 2004, Piacenza - gennaio 2002, Copparo - marzo 2004.
2.
Casi di città in cui il piano è stato approvato dal Consiglio comunale, senza alcuna
sottoscrizione da parte dei soggetti partecipanti al processo. Si tratta di un solo caso:
Pesaro - luglio 2001.
3.
Casi di città che hanno avuto il piano sottoscritto dai partecipanti al processo di
pianificazione, senza una votazione formale da parte del Consiglio comunale. Si
tratta di:
-
città capoluogo di provincia: Verona, sottoscritto dal Comune di Verona e da
soggetti rappresentanti interessi pubblici ovvero generali, nel febbraio 2004;
-
comuni: Sesto San Giovanni, sottoscritto dai sindaci dei comuni partecipanti nel
marzo 2001.
In questo gruppo i casi di La Spezia, Varese e Venezia debbono essere considerati a parte
perché hanno riavviato il proprio processo di pianificazione.
6. Organizzazione per l’attuazione del piano.
Per quanto riguarda la forma organizzativa strutturata per dare attuazione al piano è
possibile distinguere in due grandi famiglie:
•
le associazioni (le città che hanno costituto o prevedono di costruire un’associazione
sono: Torino, Associazione Torino Internazionale, Firenze, Firenze 2010
Associazione per il piano strategico dell’Area Metropolitana Fiorentina, Verona,
costituenda Associazione per il piano strategico, Copparo, in cui è prevista
l’Associazione dei Comuni del Copparese per l'attivazione e il monitoraggio del
piano strategico, Varese, Associazione Varese Europea);
•
gli organismi, le agenzie, i comitati, gli uffici dedicati (Venezia: prevista la
costituzione di una Agenzia del piano strategico come naturale evoluzione
dell’Ufficio del piano; Nord Milano: Comitato intercomunale per la realizzazione
delle azioni previste dal piano strategico; Perugia: prevista la costituzione di un
Organismo pubblico privato per il monitoraggio e l’attuazione del piano strategico
e per il suo aggiornamento periodico; Piacenza: l’attuazione del piano è affidata ai
83
gruppi di progetto per singoli temi, mentre la verifica dello stato di avanzamento
dei progetti e di valutazione degli impatti sul sistema locale in termini economici,
sociali e territoriali, è affidata ad un nucleo di monitoraggio e valutazione, che
utilizza tutte le informazioni disponibili presso gli enti coinvolti e gli uffici studi
esistenti o in fase di costituzione; Pesaro: Agenzia di Coordinamento).
Tra le Agenzie di coordinamento meritano di essere segnalati gli Urban Center. Dall’esame
della documentazione originale e di prima mano reperita sul campo, emerge che in diverse
delle città che hanno promosso un piano strategico (ad esempio: Firenze, Perugia, Pesaro,
Torino, Trento, Venezia) sono stati realizzati o sono previsti degli Urban Center. L’idea
degli Urban Center arriva dall’estero, da alcune città in cui la politica pubblica locale è
condotta in modo attivo per quanto riguarda lo sviluppo urbanistico, città in cui l’ente
locale, tra l’altro, è impegnato direttamente nella competizione per attrarre investitori esteri
ed usa il piano urbanistico in modo flessibile a questo scopo. In città di classe mondiale
quali Parigi e Londra, ma anche in alcune città europee di livello inferiore, l’ufficio del
sindaco dispone di un Urban Center, un luogo attrezzato per fare da vetrina dello sviluppo
previsto per la città.
Nei casi migliori un Urban Center è una struttura del comune che ha il compito di
presentare a un pubblico interno ed esterno tre aspetti di una città: 1. il suo passato,
espresso sotto forma di eredità architettonica, monumentale e infrastrutturale; 2. lo stato
attuale dello sviluppo urbano, con i suoi punti di forza e di debolezza ma anche con le sue
opportunità di sviluppo; 3. le prospettive per il futuro prossimo, attraverso i principali
progetti pubblici e privati in corso di realizzazione o sul punto di partire. Ma la principale
funzione di un Urban Center è di essere un soggetto attivatore di incontri tra le diverse parti
sociali ed economiche interessate dalle varie opzioni di sviluppo al fine di facilitare la
definizione di accordi per la formulazione di un particolare progetto di trasformazione.
Per quanto riguarda le città italiane che hanno in corso lo studio o l’attuazione di un piano
strategico urbano, gli Urban Center sono in genere concepiti come luoghi per fare
comunicazione verso il grande pubblico, per il coordinamento di attività culturali connesse
al piano e, solo in qualche caso, per il coordinamento del piano stesso. Vediamo, con
qualche dettaglio, i casi più interessanti.
Nel caso dell’Urban Center di Pesaro, si tratta di una struttura costituita nel 1999 dal
comune per la costruzione della visione condivisa e partecipata sulle strategie della città.
L’Urban Center di Pesaro ha svolto il compito di promuovere la discussione pubblica tra i
diversi attori locali (associazioni, mondo imprenditoriale, singoli personaggi ed esperti) per
definire le proposte per il futuro della città e si è rivelato il principale soggetto propulsivo
84
del piano strategico della città, di cui ora cura l’attuazione. A Pesaro l’Urban Center ha
anche sviluppato un confronto sulle possibili modalità di relazione e integrazione tra il
percorso di pianificazione strategica, Agenda 21 locale e altri strumenti di programmazione
come il bilancio sociale e ambientale.
A Torino il piano strategico approvato nel febbraio 2000 prevedeva, in modo innovativo per
quegli anni, la realizzazione di un Urban Center come luogo per raccontare e rendere
comprensibili agli utenti i progetti per la città ed il territorio. L’Urban Center di Torino è
stato effettivamente realizzato, ma fino alla metà del 2004 non ha avuto un ruolo di primo
piano per la sua localizzazione defilata e per scarsezza di risorse. Recentemente le sue
funzioni sono state molto rafforzate con la sua localizzazione all’interno di una struttura
avveniristica denominata “Atrium”, edificata ex-novo (con un forte contributo di sponsor
privati) in una piazza centrale della città. La struttura Atrium risulta articolata in due
padiglioni. Il primo padiglione è attualmente dedicato alla funzione di vetrina di “Torino
2006”, dove il grande evento dei Giochi Olimpici del febbraio 2006 è stato utilizzato come
richiamo per una fitta serie di eventi preparatori che hanno coinvolto tutta l’area
metropolitana e diversi comuni delle vallate alpine della Provincia di Torino. Il secondo
padiglione svolge la funzione di vetrina del piano strategico Torino Internazionale ed è
utilizzato sia per ospitare dibattiti ed eventi connessi alle diverse azioni presenti nel piano,
sia per promuovere iniziative culturali, sociali ed economiche che potrebbero poi dare luogo
a nuove azioni da inserire nel piano strategico.
A Firenze è in corso la realizzazione di un Urban Center per il quale è previsto il ruolo di
coordinamento del piano strategico della città, di valutazione degli interventi, luogo di
discussione pubblica, di esposizione dei progetti e delle attività e luogo di confronto con
altre esperienze.
Anche il piano strategico di Venezia prevede un Urban Center. Il comune ha lanciato nel
2004 un bando per la sua progettazione e il suo allestimento fisico. Il progetto è stato
completato e la realizzazione dell’Urban Center di Venezia è in corso. Le iniziative previste
dovrebbero già iniziare nel corso del 2005 e riguarderanno, come nel caso di Torino, sia
l’aggiornamento delle azioni già individuate dal piano strategico, sia nuove azioni da
considerare per un futuro inserimento nel piano.
A Trento da tempo è iniziata l’implementazione del piano ma non è ancora stata realizzata
alcuna struttura specifica. Una volta realizzato, l’Urban Center della città di Trento avrà il
compito di mantenere aperti i circuiti partecipativi e concertativi necessari per la
“manutenzione” del piano strategico di Trento, cioè per il suo aggiornamento periodico. La
principale funzione assegnata è quella di evitare che il piano, come unicum progettuale
coerente, venga parcellizzato in una sommatoria di azioni.
85
Con le moderne tecnologie in grado di rappresentare la realtà virtuale si potrebbe fare
molto di più che presentare plastici della città in dimensioni sempre più grandi. In questo
senso le potenzialità degli Urban Center sono ancora tutte da esplorare. Resta il fatto che
ogni Urban Center, per quanto sofisticato dal punto di vista multimediale, rimane la vetrina
della politica urbanistica della città e può essere efficace nella misura in cui la città in
questione dispone di una politica da presentare al suo pubblico interno (residenti) ed
esterno (investitori e visitatori). L’Urban Center non può svolgere una funzione di
comunicazione efficace (non solo dal comune ai cittadini ma anche viceversa) se non è
inserito in modo organico e funzionale come uno strumento promozionale della politica
urbana che la città in questione vuole perseguire al suo interno e verso l’esterno. Meglio
ancora se l’Urban Center viene visto come uno strumento di promozione territoriale a
servizio di un’area vasta tanto quanto è l’area di competenza del piano strategico urbano,
ovvero un’area che include anche (laddove presenti) i comuni minori aderenti al processo
avviato dal piano strategico urbano.
86
Figura 2.7.1
Schema di una sequenza tipica di preparazione di un piano strategico promosso da
un ente locale
FASI
SOGGETTI
FASE 1 Presa di coscienza: l’area interessata non può
essere rivitalizzata solo con iniziative pubbliche. Necessità
di una visione di insieme, integrazione con il resto del
territorio, progetti di medio-lungo respiro, convergenza
pubblico/pubblico e pubblico/privato.
Il Comune maggiore
dell’area, da solo o con
altri enti locali, decisori
privati, e il supporto
dell’opinione pubblica.
FASE 2 Assunzione di una metodologia di pianificazione
strategica di tipo partecipato e condiviso. Svolgimento di
una indagine diagnostica sui punti di forza e debolezza
(presente) e opportunità e pericoli (futuro).
Prima bozza del piano: visione e linee strategiche.
Organismo
ad
hoc
(pubblico-privato) per
la promozione del piano: Forum dello Sviluppo. Esperti locali e
referenti tecnici esterni: Comitato TecnicoScientifico.
FASE 3 Partecipazione organizzata di rappresentanti di
interessi pubblici e privati in gruppi di lavoro.
Esame risultati analisi SWOT e prima bozza del piano.
Raccolta e selezione obiettivi e azioni puntuali (singoli
progetti).
Comitato
TecnicoScientifico.
Rappresentanti della
società civile dell’area.
FASE 4 Stesura del testo del piano strategico. Esame del
piano da parte dei membri del Forum dello Sviluppo.
Approvazione del piano da parte di ogni partecipante al
Forum secondo le sue procedure.
Comitato
TecnicoScientifico.
Forum dello Sviluppo.
FASE 5 Presentazione pubblica del piano. Firma del Patto
dello Sviluppo collegato al piano.
Istituzioni pubbliche,
enti e aziende, opinione
pubblica. Forum dello
Sviluppo. Costituzione
della “Associazione per
l’attuazione del piano”.
87
2.8
I contenuti: assi strategici, obiettivi, azioni
Osservando i documenti di riferimento dei 16 casi oggetto dell’indagine, si giunge alla
conclusione che i piani strategici servono a fornire risposte operative ad una serie di
questioni chiave necessarie allo sviluppo dell’area interessata dal processo, già identificate
nei loro contorni e per le quali, in alcuni casi, vi sono già delle elaborazioni condivise tra
soggetti pubblici e privati portatori di interessi diversi.
Dall’esame dei documenti emerge che gli assi su cui si vuole agire, gli obiettivi che si
vogliono raggiungere e le azioni necessarie al raggiungimento di ogni obiettivo, sono fra
loro legate dalla visione di riferimento e per questo variano da una città all’altra.
Il periodo di tempo previsto per il conseguimento della visione è, in quasi tutti i casi,
attorno ad una decina di anni. Questo periodo è generalmente considerato verosimile per il
raggiungimento della maggior parte degli obiettivi e conseguentemente per la realizzazione
delle azioni del piano, sia materiali, quali grandi infrastrutture, importanti funzioni di
servizio, programmi di riqualificazione urbana, che immateriali come la riscoperta della
identità locale, l’incentivazione di programmi culturali e di formazione, la valorizzazione
della partecipazione e l’integrazione degli immigrati.
Alcuni casi (ad esempio Copparo chiuso nel 2004 e con un obiettivo temporale al 2009)
hanno effettivamente durata più breve di un decennio. Altri piani ancora, proponendosi di
raggiungere obiettivi di maggior ampiezza e articolazione, in particolar modo per quello che
riguarda l’integrazione tra infra-territoriale e interistituzionale, hanno previsto una durata
temporale fra i 15 ed i 20 anni, ad esempio Pesaro, Vercelli, Verona.
Da rilevare che per quanto riguarda il piano strategico di Varese non è stato possibile
individuare alcun orizzonte temporale di riferimento per l’attuazione degli obiettivi.
Non tutti i piani sono costituiti da tre parti principali (assi strategici, obiettivi e azioni).
Infatti è raro, ma non impossibile, trovare articolazioni più elaborate di quelle appena
esposte. Ad esempio nel caso di Varese, sono presenti macrotemi e temi che seguono la
visione e precedono le linee strategiche; nel caso di Venezia, invece si introducono le
condizioni strutturali che seguono la visione e precedono le linee strategiche, le strategie
che seguono le linee strategiche e precedono le azioni, e le politiche che seguono le strategie
e precedono le azioni.
Dal punto di vista qualitativo, gli assi strategici, gli obiettivi e le azioni in cui i piani
strategici sono strutturati, rendono possibile raggruppare le città in tre categorie:
1.
città che definiscono, organizzano e pianificano il loro sviluppo riscoprendo le loro
origini (Firenze, Trento, La Spezia, Copparo);
2.
città che definiscono, organizzano e pianificano il loro sviluppo guardando al futuro
(Torino, Venezia, Pesaro, Sesto San Giovanni);
88
3.
città che definiscono, organizzano e pianificano il loro sviluppo, lavorando sulla
razionalizzazione delle loro risorse cercando di affinare, strada facendo, la loro
visione del futuro (Roma, Genova, Perugia, Piacenza, Varese e Verona).
I piani di Cuneo e Vercelli non risultano ancora completati. Dalla documentazione fin qui
prodotta i rispettivi piani sembrano essere impostati secondo le categorie 2 e 3 sopra
indicate.
Dall’analisi dei casi considerati, si desume che ogni città ha ricavato i propri assi strategici,
obiettivi e azioni dai seguenti elementi su cui si concentrano sia i punti di forza, sia le
criticità del territorio di riferimento:
1.
la popolazione;
2.
l’urbanistica, le infrastrutture, l’accessibilità, l’offerta insediativa (compreso il
mercato immobiliare);
3.
il patrimonio culturale, storico e artistico;
4.
la formazione e la cultura;
5.
l’ambiente;
6.
l’economia, le imprese, la competitività e l’attrattività territoriale;
7.
le forme di governo, la fiscalità locale, l’internazionalizzazione;
8.
il turismo, il sistema dell’accoglienza ed il tempo libero;
9.
l’assistenza sociale, l’associazionismo, la cittadinanza, la qualità della vita e la
sicurezza.
Attorno a questi 9 punti sono stati costruiti gli assi strategici dei piani presi in esame.
Verona, è per il momento l’unico dei 16 casi, ad avere un asse strategico dedicato
interamente ai giovani, mentre Copparo ha una azione riguardante l’istituzione del
“Consiglio dei giovani”.
Gli obiettivi comuni a tutti i piani sono:
1.
Rafforzamento della presenza della popolazione nel territorio.
2.
Valorizzazione delle identità culturali.
3.
Sviluppo di processi di internazionalizzazione e di innovazione del contesto locale.
4.
Ricondizionamento dei modi di vivere in funzione dei mutati scenari economicoindustriali.
5.
Revisione e/o aggiornamento degli strumenti urbanistici su obiettivi condivisi
(tutela del territorio e dell’ambiente in generale con azioni mirate al riuso abitativo o
imprenditoriale delle aree dismesse).
6.
Miglioramento della accessibilità-attrattività.
89
7.
Miglioramento della qualità della vita.
8.
Promozione dei settori di eccellenza e delle iniziative di carattere strategico per
l’area attraverso il sostegno alle iniziative pubbliche, private e miste.
9.
Razionalizzazione delle risorse pubbliche disponibili e della gestione di servizi
pubblici comuni (trasporti, rifiuti, gas, acqua, ecc.).
Dall’analisi dei piani strategici considerati emerge che le principali metodologie per la
definizione partecipata e condivisa delle azioni attraverso il coinvolgimento dei principali
soggetti pubblici e privati, sono stanzialmente tre:
1.
gruppi di lavoro;
2.
fori di discussione;
3.
tavoli di approfondimento tematico.
I casi in cui tali metodologie non sono state usate sono 4 ed esattamente:
1.
Venezia: il piano di Venezia ha fatto proprie le istanze emerse sulla base di un
percorso di analisi territoriale più che decennale, da cui i soggetti incaricati della
pianificazione strategica, hanno determinato un ampio ventaglio di politiche e
azioni per il proprio processo di pianificazione.
2.
Roma: il processo di pianificazione si è interrotto.
3.
Genova: il processo di pianificazione ha seguito un percorso sui generis in
corrispondenza dei finanziamenti in funzione del G8 e di Genova Capitale Europea
della Cultura 2004.
4.
Vercelli e Cuneo: il processo di pianificazione è stato solo recentemente (2004)
avviato e non si è ancora arrivati alla definizione delle azioni.
Analizzando i documenti prodotti e le informazioni di prima mano, raccolte sul terreno
delle esperienze di pianificazione strategica esaminate e concluse, si sono potuti individuare
gli elementi di riferimento per la costruzione delle azioni.
Ogni azione dei piani esaminati ad eccezione di La Spezia e Verona, dove invece si è
preferito solo descrivere l’azione, è stata costruita individuando:
-
il titolo,
-
i benefici attesi,
-
i costi,
-
i soggetti promotori,
-
i tempi attesi di realizzazione.
90
Analizzando i singoli progetti dei piani strategici qui considerati, si deve rilevare che essi
insistono in pari misura sulle opportunità e criticità territoriali, e danno concretezza alle
possibilità di sviluppare il territorio nel modo più equilibrato possibile.
Presentiamo una tabella che riassume il quadro quantitativo dei piani in atto dal punto di
vista delle visioni, assi, obiettivi, azioni.
Tabella 2.8.1
La pianificazione strategica in Italia - Un primo quadro quantitativo dei piani in
atto
Città
Visione
Assi
Obiettivi
Azioni
strategici
Copparo (FE) e comuni associati
1
6
26
100
Cuneo
Non ancora indicati
Firenze
1
4
10
35
Genova
1
7
35
130
La Spezia
4
7
-
53
Perugia
1
7
27
100
Pesaro
1
6
27
76
Piacenza
1
11
39
35
8
-
39
Roma
Sesto San Giovanni (MI)
1
7
20
35
Torino
1
6
20
84
Trento
1
4
10
73
Varese
2
5
26
56
Venezia
1
7
34
Numero non
definito
Vercelli
Non ancora indicati
Verona
1
4
12
32
Fonte: elaborazione su dati degli enti locali oggetto dell’indagine (i documenti finali o in
preparazione dei 16 piani strategici)
La tabella presenta lo stato di fatto all’ottobre del 2004. Da notare che la “griglia” costituita
da assi strategici, obiettivi e azioni è tipicamente molto mobile fino alla versione finale del
piano. Contrariamente a quello che si può pensare, la tendenza generale nel corso della
elaborazione non è verso l’aumento delle iniziative previste, bensì verso la diminuzione. Se
è vero che nelle prime fasi di costruzione del piano le diverse parti sociali coinvolte portano
nel giro di pochi mesi a un notevole aumento delle iniziative proposte, nelle fasi conclusive
la tendenza è inversa perché entrano in gioco una serie di vagli critici da parte dei soggetti
91
tecnici (comitati scientifici, consulenti, funzionari) e dei soggetti politici che hanno la
responsabilità dell’esito finale del processo. L’indagine ha potuto riscontrare in diversi casi
questo duplice andamento.
Si tratta di un segno molto positivo perché segnala che, in generale, la metodologia adottata
per la redazione dei piani strategici porta ad operare una selezione delle iniziative ammesse
a far parte del piano. Per citare solo qualche esempio: nel corso della preparazione del
piano di Torino il numero delle linee strategiche passa da 9 a 6 tra la prima e la seconda
tornata di consultazioni (cioè tra dicembre 1998 e febbraio 1999); nel caso del piano di
Venezia tra la versione del documento di piano del dicembre 2003 e la versione finale
dell’ottobre 2004 il numero degli obiettivi diminuisce da 34 a 30 e le azioni passano dal
considerevole numero di 496 (il più alto tra tutti i casi esaminati) a un numero che non
viene volutamente definito ma che si desume potrà essere inferiore; nel caso del piano
dell’Associazione dei Comuni del Copparese il numero delle azioni previste passa da 144,
indicato nella bozza di piano del novembre 2003, a 100 come si desume dalla versione
finale del piano approvata nel marzo 2004. Andamenti analoghi si riscontrano anche in
quasi tutti gli altri piani strategici esaminati.
2.9
I “progetti bandiera”: le diverse soluzioni osservate
La lettura dei principali documenti prodotti dalle 16 città che hanno avviato processi di
pianificazione strategica ha permesso di individuare come elemento quasi costante la
presenza di azioni o progetti cosiddetti “bandiera”. Si tratta delle proposte di intervento
operativo che esprimono le finalità del piano, ovvero che simboleggiano la “visione” che un
dato piano strategico intende realizzare.
Al termine azione bandiera va attribuito il significato di un progetto concreto (materiale o
immateriale non importa) in grado di simboleggiare la visione che il piano nel suo
complesso intende raggiungere. Da un punto di vista qualitativo le azioni bandiera sono
apparse tali quando sono state ritenute rilevanti sotto almeno uno dei seguenti aspetti:
1.
Economia locale. Le azioni bandiera più di altre sembrano generare benefici per
l’intera città o per l’intero territorio di riferimento del piano nei casi in cui siano
coinvolti diversi comuni.
2.
Valore intangibile. Con le azioni bandiera si mobilitano le forze locali pubbliche e
private facendo leva, tra il resto, su valori intangibili quali la comune volontà di dare
un segnale forte dell’uscita da una spirale di declino economico e sociale attraverso
un progetto simbolico (un ponte, una infrastruttura, una sede istituzionale, un
grande evento e così via). In questo modo le azioni bandiera partono da un sentire
comune e lo rafforzano nel corso del processo di preparazione e realizzazione.
92
3.
Valore mediatico. Le azioni bandiera più efficaci sono quelle che hanno una o più
componenti di forte impatto mediatico, per cui è molto più frequente nei casi
esaminati che le azioni bandiera siano costituite da progetti di tipo materiale che
immateriale. Le azioni bandiera di conseguenza sembrano rispondere all’esigenza di
essere trasmesse al grande pubblico dai mezzi di informazione di massa in modo da
poter alimentare le azioni di marketing territoriale che sono quasi sempre presenti
nei piani strategici.
Per ognuno dei casi esaminati in dettaglio nel CD allegato si presentano tutte le azioni
bandiera previste dal rispettivo piano strategico. In questa sede è più opportuno soffermarsi
su alcuni aspetti di interesse generale che l’esame delle azioni bandiera suggerisce.
In generale le azioni bandiera indicate nei piani esaminati si riferiscono sia a progetti di
tipo materiale (ad esempio costruzione di edifici, strutture ed infrastrutture urbane), sia a
progetti di tipo immateriale, quali la formazione professionale, la valorizzazione di marchi
territoriali, e così via. I progetti di tipo materiale sono di gran lunga i più frequenti per le
ragioni appena richiamate. In tutti i casi (azioni materiali e immateriali) le azioni bandiera
riscontrate nei casi esaminati rispondono almeno in parte ai tre criteri sopra esposti.
Ma l’indagine ha anche rilevato che le azioni bandiera non sempre sono presentate con un
diverso grado di articolazione rispetto alle azioni ordinarie. In questo senso occorre
osservare che in alcuni dei 16 casi esaminati non si trova alcuna indicazione esplicita o
indiretta di azioni “bandiera”. Anzitutto si devono escludere i 2 casi in cui la preparazione
del piano strategico non ha ancora portato ad un risultato finale (Cuneo e Vercelli) e il caso
di Roma, in cui si è interrotto il processo di pianificazione strategica. In secondo luogo si
deve segnalare il caso di Venezia, in cui il documento finale volutamente non indica né le
specifiche azioni ordinarie né le azioni bandiera, per lasciare la flessibilità di una loro
definizione puntuale nel corso del processo di attuazione.
All’interno dei rimanenti 12 casi si distinguono 5 piani strategici in cui non si indicano in
modo esplicito delle “azioni bandiera” con questa dizione: Firenze, Trento, Pesaro, Varese,
Sesto San Giovanni. Tuttavia, è chiaro che questi 5 piani, come gli altri piani strategici
giunti alla fase di completamento e approvazione, ed ora in fase di attuazione, lasciano
intendere dalla loro lettura complessiva una gerarchia tra le concrete azioni previste. Pur se
assente la dizione “azioni bandiera”, è chiaro che ad alcune tra le azioni previste si
attribuisce una importanza particolare. Ad esempio, nel caso di Firenze, l’azione
concernente il “Parco metropolitano dell’area fiorentina” è considerata dalla maggioranza
degli operatori pubblici e privati che hanno contribuito al piano strategico, come uno dei
risultati più importanti del piano stesso. Nel caso di Pesaro sono individuati due “progetti
93
magnete” che hanno il compito di agire da traino per lo sviluppo delle relazioni sociali e del
benessere economico di tutta l’area del piano. L’azione bandiera del piano di Trento può
essere individuata nella riqualificazione dell’area industriale dismessa della Michelin. Si
tratta della singola azione che, se attuata, potrà avere, tra tutte quelle previste, l’impatto
maggiore sulla città e sulla sua area circostante.
Le città in cui i piani strategici indicano in modo esplicito delle azioni di bandiera sono le
seguenti sette: Torino, Genova, Perugia, La Spezia, Piacenza, Verona, Copparo. Dal punto di
vista quantitativo (si veda in dettaglio la documentazione allegata nel CD) questi sette piani
contengono un numero di azioni bandiera che vanno da un minimo di 10 (Torino) ad un
massimo di 27 (Piacenza). Per dare una idea più precisa di che cosa si intenda per “azioni
bandiera” nella pratica dei piani strategici italiani, è utile soffermarsi a titolo di esempio su
quanto previsto dai piani strategici di Torino e di Perugia, cioè dal primo piano strategico
urbano approvato in Italia (Febbraio 2000) e dall’ultimo piano approvato (aprile 2004) tra
i 7 casi sopra menzionati.
Il piano di Torino ha indicato nel complesso 10 azioni bandiera costituite da un insieme di
progetti e programmi volti nel loro insieme a delineare la Torino post industriale. Da notare
che non figura, tra le azioni bandiera, l’attuazione dei XX Giochi Olimpici Invernali (Torino
2006), in quanto questa iniziativa più che una singola azione era stata intesa come un
potente motore per l’attuazione dell’intero piano strategico, come di fatto è avvenuto.
Osservando le azioni bandiera del primo piano strategico italiano emergono in modo
evidente gli orientamenti che lo hanno ispirato e la sua visione di fare della città di Torino
una metropoli europea. Solo 1 azione delle 10 previste riguarda progetti a carattere
prevalente di tipo edilizio-infrastrutturale (il potenziamento della rete ferroviaria e
dell’aeroporto), mentre le rimanenti hanno per oggetto iniziative per il turismo, la ricerca,
la formazione, il commercio, la coesione sociale e il governo locale. Tra le poche azioni
bandiera che non risultano attuate vi era quella di realizzare nell’area torinese un
organismo per il governo metropolitano. L’idea di avere una forma di governo
metropolitano nasceva da esigenze reali di Torino e dei comuni limitrofi, presenti anche
nelle altre maggiori città italiane, quali ad esempio un coordinamento delle politiche in
materia di urbanistica, trasporti, risorse idriche, rifiuti, fiscalità locale. Si trattava quindi di
un obiettivo molto innovativo ed evidentemente i tempi erano prematuri per porre una tale
questione, ma il lavoro svolto potrebbe rivelarsi prezioso in un prossimo futuro.
Nel caso di Perugia, il piano strategico ha introdotto un triplice livello gerarchico tra le 100
azioni previste: azioni “normali” (83), azioni “bandiera” (17) e azioni “fondamentali” (4
delle 17 azioni bandiera) che vengono anche definite come “progetti trainanti” dell’intero
piano per la loro dimensione finanziaria, territoriale e culturale. Si tratta di azioni così
94
rilevanti per l’area di Perugia da costituire elementi cardine della visione proposta dal piano
e articolata nelle 7 linee strategiche individuate. Le quattro azioni fondamentali riguardano
la mobilità interna dell’area urbana e la riorganizzazione complessiva del polo sanitario di
Perugia.
Il piano di Genova indica 16 azioni bandiera che vertono in gran parte sulla riqualificazione
delle aree dismesse (ex industrie siderurgiche) e sulla riorganizzazione dell’area portuale
indicata come il motore economico della città. Non mancano progetti di tipo immateriale
come l’azione volta alla “riorganizzazione della macchina comunale”. La filosofia di fondo
che emerge dalla lettura di queste azioni bandiera è un chiaro indirizzo del piano ad
orientare lo sviluppo del capoluogo ligure verso un ruolo nuovo in campo culturale facendo
leva sulla nomina a Capitale Europea della Cultura per il 2004.
Per quanto riguarda i rimanenti casi, si nota che il piano strategico di La Spezia indica 27
azioni bandiera, quello di Piacenza 25 e il piano di Verona 19. Nella città di La Spezia la
maggior parte delle azioni riguarda la transizione verso una economia locale sempre meno
dipendente dalle attività industriali tradizionali del porto e sempre più orientata alle nuove
attività industriali, commerciali e culturali che dovrebbero consentire la diversificazione
della base economica locale. A Piacenza le azioni bandiera presentano un particolare mix di
iniziative che vanno dal rafforzamento delle colture agricole di pregio, al sostegno delle
imprese della net-economy, all’integrazione dei lavoratori extra-comunitari, al sostegno del
commercio e del settore ricettivo. Il piano strategico di Verona sembra indicare attraverso
le sue 19 azioni bandiera la volontà di sviluppare la città per poli (da quello finanziario, a
quello turistico al settore della logistica), di integrare nel tessuto economico i neolaureati e
gli extra-comunitari, di favorire le imprese a conduzione giovanile, di sviluppare un sistema
di verde urbano come elemento unificatore delle varie parti cittadine.
Per quanto riguarda i comuni minori si nota, nel caso di Copparo, che la maggioranza delle
16 azioni bandiera sono volte ad offrire ragioni concrete ai giovani del luogo per radicarsi
nel territorio con nuove imprese economiche e con un livello maggiore di associazionismo
(politico, culturale e sportivo). Va ricordato infatti che tra le motivazioni iniziali per la
preparazione del piano strategico del Copparese vi era quella di contrastare la diminuzione
della popolazione e il suo progressivo invecchiamento attraverso progetti concreti e con
prospettive di medio e lungo termine.
In molti dei 16 piani strategici si indica quale azione bandiera la realizzazione dell’Agenda
21. In qualche piano l’Agenda 21 è presentata come una intera linea strategica. L’attenzione
per l’ambiente urbano (articolato anche in tutela del paesaggio e del verde agricolo) appare
quindi come una componente esplicita di molti piani strategici.
95
In conclusione l’indagine ha permesso di rilevare che in genere i piani strategici osservati si
limitano a presentare le azioni più rilevanti definendole di volta in volta “azioni di
bandiera”, “progetti magnete”, “progetti trainanti”, “azioni cardine”, “azioni fondamentali”
e così via. Nella grafica dei documenti l’individuazione di tali azioni è facilitata da
particolari evidenziazioni tipografiche (grassetto, corsivo, presenza di asterischi, frecce,
ecc.). In molti casi le azioni più rilevanti sono descritte con maggiore dettaglio rispetto alle
azioni ordinarie. In qualche caso, le principali azioni sono differenziate per tipo di
governance richiesta o in base ai tempi previsti per la loro attuazione.
Si ha l’impressione che per quanto riguarda le caratteristiche del “prodotto documentale”
del piano strategico resti ancora molto lavoro da fare, soprattutto nella selezione delle
azioni bandiera e nella argomentazione logica che connette le azioni bandiera individuate e
la visione del rispettivo piano strategico. In primo luogo, le azioni “ordinarie” individuate
dai piani esaminati sono, in generale, dell’ordine di molte decine, se non un numero
superiore al centinaio. Si tratta, in generale, di un numero di azioni molto, forse troppo,
grande per essere il frutto di una selezione rigorosa, fatta a monte, tra azioni con valenza
strategica e azioni con valenza ordinaria.
In secondo luogo, non sempre avviene che l’indicazione delle azioni bandiera sia
accompagnata da una descrizione dettagliata e da argomentazioni tali da mettere in luce
come le iniziative materiali e immateriali previste possano essere ritenute fondamentali, più
delle azioni “ordinarie”, per la realizzazione della visione indicata per l’intero piano
strategico. In terzo luogo, quando è presente una sufficiente descrizione delle azioni
bandiera si è notato che in alcuni casi manca comunque una adeguata esposizione di
quanto si prevede di fare (in termini di soggetti, risorse, modalità, tempi, connessioni con
altre azioni del piano) per l’attuazione delle azioni stesse.
Infine, nei casi in cui i piani oggetto dell’indagine sono in fase di attuazione da alcuni anni,
si può osservare che non sempre alle azioni bandiera è dedicato un focus particolare nel
lavoro di monitoraggio interno e soprattutto di rendicontazione verso l’esterno (cioè verso
la comunità locale e in generale l’opinione pubblica) dei risultati positivi e degli eventuali
problemi riscontrati nel corso del processo di attuazione. Vi sono casi in cui alcune azioni
bandiera risultano impraticabili dopo alcuni anni dalla approvazione del piano, ma non
sempre il loro declassamento ad azioni ordinarie o semplicemente ad azioni non più in
agenda è argomentato nei periodici report di aggiornamento dei piani.
Diffondere anche le notizie sulle azioni non più attive e le ragioni per le quali una azione
bandiera non è più tale potrebbe essere una buona occasione di crescita collettiva, oltre che
una buona pratica di gestione professionale di un piano strategico. Vale la pena di
ricordare, in proposito, che la pianificazione strategica urbana trae la sua forza dall’essere
96
un progetto partecipato e condiviso anche (se non soprattutto) nel corso della sua
attuazione. Se la fase di gestione di un piano è attuata senza lo spirito di partecipazione e
condivisione, che pure doveva essere in loco nella fase di preparazione del piano, si rischia
una gestione autoreferenziale da parte dell’ente locale, in ultima analisi una gestione debole
sotto il profilo politico e anche poco interessante sotto il profilo tecnico.
Una indicazione esplicita e quanto più possibile completa e verificabile delle azioni
bandiera apporta un vantaggio evidente al piano strategico inteso come strumento di
pianificazione integrata, di tipo pubblico e privato e di area vasta. Infatti, la descrizione
dettagliata delle azioni bandiera di un piano strategico permette di verificare in concreto
come si intenderebbe tradurre la visione generale che il piano individua in realtà. In
assenza di una indicazione delle azioni bandiera, o addirittura in assenza di qualsiasi
descrizione delle azioni concrete nelle quali si articola il piano, appare difficile se non
impossibile esercitare una corretta funzione di monitoraggio e valutazione di efficacia del
piano stesso. Il giudizio su un piano così impostato dovrebbe essere fatto esclusivamente
sulla metodologia adottata per la sua preparazione, sulla correttezza delle procedure
seguite, sulla bontà della visione, delle linee strategiche e degli obiettivi del piano.
In definitiva, la mancata indicazione esplicita delle azioni bandiera (o addirittura l’assenza
di qualsiasi indicazione su quali azioni concrete, ordinarie o di bandiera, andrebbero
realizzate) rende il piano strategico uno strumento di pianificazione più debole e forse
valido solo per i suoi indirizzi generali. Senza le azioni bandiera un piano risulta privo di
scelte fondamentali che sono semplicemente spostate in una fase temporale successiva, in
luoghi forse diversi da quelli in cui i soggetti istituzionali pubblici e i rappresentanti degli
interessi privati si sono incontrati per avviare il progetto del piano strategico. Anche la
metodologia di pianificazione ne risulterebbe impoverita, perché le scelte più importanti
per una data area urbana verrebbero prese con metodi forse diversi da quelli del piano
strategico, che si basa sul confronto aperto tra i soggetti sociali, e sulla partecipazione e
condivisione fondate su una visione comune di sviluppo urbano.
2.10
Gli organismi istituiti per lo studio e per l’attuazione del piano
strategico
L’analisi della documentazione originale relativa ai 16 casi studio, restituisce un quadro
organizzativo piuttosto diversificato da parte degli enti locali promotori del processo per
costruire il piano strategico. La corretta definizione degli organismi coinvolti a vario titolo
nello studio e nell’attuazione dello strumento di pianificazione richiede, necessariamente,
anche un richiamo alla fase precedente l’avvio della preparazione di un piano, cioè alla fase
in cui in una determinata città o in un territorio comprendente più comuni si costituisce
97
una committenza, in genere come insieme di soggetti pubblici e privati, e scaturisce la
decisione di fare un piano strategico.
Sembra quindi utile, in via preliminare, segnalare l’esistenza nella realtà della distinzione
delle tre fasi fondamentali che si possono identificare nel ciclo di vita di ogni piano
strategico:
1. Costituzione della committenza. In questa fase si aggregano i soggetti pubblici e privati
che hanno un interesse comune a commissionare il piano strategico dal punto di vista
politico e che hanno il potere di approvare il piano una volta completato.
2. Preparazione del piano. Si tratta della fase in cui gli organismi o le strutture che hanno
ricevuto uno specifico mandato da parte della committenza (i soggetti di cui al punto
precedente) svolgono le attività tecniche necessarie alla produzione dei documenti del
piano attraverso le procedure partecipative messe a punto con l’avallo della committenza.
3. Attuazione del piano. Si tratta della fase che si apre immediatamente dopo
l’approvazione del piano strategico da parte della committenza, lo stesso insieme di soggetti
pubblici e privati che ha dato l’incarico iniziale, con le modifiche e integrazioni intercorse
nel periodo di preparazione del piano stesso.
Per quanto riguarda il primo punto (costituzione della committenza), come abbiamo già
indicato in precedenza, l’iniziativa di avviare la preparazione di un piano strategico parte in
genere dal comune maggiore di una data area. Ma quasi sempre il comune maggiore cerca
fin dall’inizio di coinvolgere attivamente altri enti locali, i più importanti rappresentanti
degli interessi privati collettivi e i rappresentanti dell’associazionismo etico, culturale e
religioso (il terzo settore). In questo modo si cerca di fare commissionare il piano non dal
solo comune maggiore ma dall’insieme di tali soggetti, riuniti ad hoc in un apposito
organismo (denominato in genere il “Forum dello Sviluppo”) oppure già presenti in un
organismo trasversale avente le stesse caratteristiche di un Forum dello Sviluppo e magari
anche una competenza territoriale più ampia di quella del solo comune che ha iniziato il
processo.
L’analisi sul campo e l’esame della documentazione relativa ai 16 casi esaminati mettono in
luce che in almeno 8 casi l’organismo istituito per avviare il processo di pianificazione
strategica è stato il Forum dello Sviluppo (o dizioni similari), cioè un Comitato di
rappresentanza dei maggiori soggetti e interessi pubblici e privati dell’area. Per quanto
riguarda le città capoluogo di regione, ovvero le realtà urbane più complesse (Firenze,
Genova, Perugia, Torino, Trento), la scelta di costituire un Forum dello Sviluppo è stata
compiuta in quattro casi su cinque. Il Forum ha svolto il ruolo di committente del piano
strategico e di soggetto collettivo dotato del potere di approvare il piano stesso una volta
98
definito il documento finale. Tra le città capoluogo di provincia il piano è stato
commissionato da un Forum anche nei casi di La Spezia, Piacenza. Lo stesso è avvenuto
formalmente anche nel piano del Copparese, anche se in questo caso il ruolo del Forum è
stato più sfumato, rispetto al ruolo forte svolto dall’Associazione dei Comuni.
Anche in alcuni dei casi rimanenti si deve comunque registrare il ruolo più o meno
importante di un organismo collettivo di tipo pubblico e privato nella fase di decisione
iniziale circa l’opportunità di avviare un piano strategico. Ad esempio il ruolo del Forum nel
caso del Nord Milano risulta piuttosto travagliato. Nel febbraio 1999, dopo tre anni di
lavoro comune nella Asnm, le amministrazioni comunali di Bresso, Cinisello Balsamo,
Cologno Monzese e Sesto San Giovanni (comune con il maggior numero di abitanti)
decisero di dare vita al piano strategico del Nord Milano. La preparazione del piano è
coordinata dalla Asnm con la collaborazione delle forze economiche e sociali, dei soggetti
istituzionali, degli attori culturali che animano questo territorio, oltre a quelli che già fanno
parte della stessa Asnm (i 4 comuni, la Provincia di Milano, la Camera di Commercio di
Milano e la Finlombarda, l’ABB, la Banca di Credito Cooperativo, la SVI Lombarda,
l’Edimarelli, la Brollo Marcegaglia e la Falck).
In questo caso non si ha un ruolo continuativo da parte di un Forum come soggetto
referente del piano, ma un Forum viene comunque istituito il 29 febbraio 2000 su iniziativa
del Settore Attività Produttive della Provincia di Milano. Successivamente il Forum viene
sciolto senza che la preparazione del piano, in corso da tempo, subisse intralci particolari,
indizio che il Forum in questo caso specifico non ha svolto una funzione centrale. Infatti, va
ricordato, che per Asnm il referente del piano è stato fin dall’inizio l’insieme dei 4 sindaci
dei comuni coinvolti, che a tal fine hanno costituito una “cabina di regia”. La Asnm ha
guidato la preparazione del piano strategico considerandolo un documento tecnico in
evoluzione, senza predisporre un documento quadro iniziale, forse considerato troppo
vincolante o troppo difficile da definire in anticipo per un processo di pianificazione privo
di una procedura consolidata. Le impostazioni definite nel piano strategico del Nord Milano
vengono assunte in modo sostanzialmente completo dal PTCP della Provincia di Milano.
Nei restanti 7 casi (tra le città maggiori Roma e Venezia, mentre tra le città capoluogo di
provincia Cuneo, Pesaro, Varese, Vercelli, Verona) si è dato avvio al processo di
pianificazione strategica senza la costituzione formale di un Forum dello Sviluppo. Nella
pratica va segnalata comunque un certa flessibilità nella definizione degli organismi
deputati a governare il processo di preparazione dei piani strategici. Ad esempio, a Pesaro
l’idea di predisporre un piano strategico della città nasce all’interno della logica della
partecipazione e cooperazione dei soggetti locali ed è il risultato dell’attività dell’Urban
99
Center struttura interna al Comune di Pesaro costituita per la costruzione della visione
condivisa e partecipata sulle strategie della città.
La proposta di costituire l’Urban Center, attivo dal 1999, era già negli obiettivi del
programma di governo del sindaco per la legislatura 1999-2004. La costruzione della
visione del piano strategico comporta un impegno di circa un anno e mezzo da parte
dell’Urban Center che procede, in prima battuta, secondo un approccio di tipo partecipativo
e, in seconda battuta, di tipo costitutivo. Nel luglio 2002, si è avuta la presentazione
pubblica alla città del piano nel contesto della Conferenza Strategica.
Per quanto riguarda la seconda fase di ogni piano strategico (preparazione del piano),
l’analisi dei casi oggetto dell’indagine ha permesso di rilevare una varietà di soluzioni. In
tutti i casi qui considerati, le strutture necessarie a svolgere le attività di coinvolgimento e
partecipazione tecnica e gli studi atti a definire il piano si possono ripartire in due categorie:
1.
Strutture interne dell’ente promotore;
2.
Strutture esterne dell’ente promotore.
Gli organigrammi di tali strutture, forniti direttamente dai soggetti incaricati della
preparazione o gestione dei diversi piani strategici considerati, sono riportati per esteso nel
CD allegato. Per comodità riportiamo qui di seguito una tabella riassuntiva della
organizzazione per il processo di costituzione dei 16 piani strategici analizzati.
Nella varietà delle soluzioni osservate emerge come elemento costante il fatto che
l’organismo informale o il soggetto istituzionale incaricato della preparazione del piano può
operare con efficacia solo nella misura in cui la comunità locale percepisce in modo chiaro il
mandato ricevuto da parte della committenza. La fase di preparazione del piano poggia
sulla forza delegata da parte dei soggetti che hanno commissionato il piano stesso.
Le molteplici attività tecniche richieste per la definizione di un piano strategico richiedono
il coinvolgimento di un gran numero di soggetti pubblici e privati, spesso operanti in
un’area territoriale vasta. Questa intensa attività può essere svolta in modo efficiente ed
efficace solo se è chiaro che l’azione del soggetto incaricato dalla committenza della fase di
preparazione del piano poggia la sua azione sulla forza morale che deriva dal
riconoscimento da parte dell’opinione pubblica del ruolo che potrebbe svolgere il piano
strategico per la rinascita della comunità locale.
100
Tabella 2.10.1
Quadro comparativo degli organi previsti per la preparazione e attuazione del
piano strategico
Piani
Organizzazione per il processo di pianificazione
strategici
analizzati
Copparo (FE)
1. Coordinatore istituzionale del piano
2. Coordinatore scientifico del piano
3. Direttore e Vice direttore del piano
4. Comitato Tecnico Scientifico
5. Presidenti dei gruppi di lavoro
6. Segreteria del piano
Cuneo
1. Struttura organizzativa del Comune di Cuneo
2. Supporto tecnico-scientifico e monitoraggio svolto da consulenti esterni che
fanno capo ad un Master in Sviluppo Locale
Firenze
1. Ufficio del piano
2. Comitato Promotore
3. Comitato Scientifico
4. Comitato di Coordinamento del piano strategico (derivato dal comitato
promotore e considerabile come Forum dello Sviluppo)
5. Comitato di redazione (costituito da alcuni membri del comitato di
coordinamento)
Genova
Uffici comunali
Il processo è stato fin da subito incanalato verso il summit del G8 del 2001, e a
sostegno del ruolo di Genova Capitale Europea della Cultura nel 2004
La Spezia
1. Consiglio di piano
2. Segretariato di piano
3. Coordinatore di piano
4. Direzione Generale di piano
5. Gruppo di consulenti esterni a supporto attività dei diversi organi
Perugia
1. Comitato interistituzionale permanente
2. Direttore e Vice direttore del piano
3. Coordinatore istituzionale
5. Comitato tecnico scientifico
6. Segreteria del piano
101
Pesaro
1. Urban Center
2. Protocollo d’intesa
3. Comitato Direttivo
4. Gruppo di Coordinamento integrato da consulenti esterni
Piacenza
1. Stati Generali
2. Patto per Piacenza
3. Comitato Strategico (Forum dello Sviluppo)
4. Soggetto di supporto tecnico-metodologico
5. Gruppo di Coordinamento
6. Segreteria
Roma
Comitato Tecnico-Scientifico in stretta collaborazione con tecnici del Comune di
Roma
Sesto
San
Giovanni (MI)
1. Agenzia Sviluppo Nord Milano (coordinamento operativo)
2. Coordinatore Scientifico
3. Coordinatore
Torino
1. Comitato di Coordinamento
2. Comitato Scientifico
3. Forum dello Sviluppo (nella fase di preparazione del piano)
4. Associazione Torino Internazionale (nella fase attuativa del piano)
Trento
1. Gruppo di indirizzo piano strategico
2. Tavoli di lavoro della fase di diagnosi
3. Progetto coordinamento delle politiche per il piano strategico di Trento
4. Referenti scientifici esterni
Varese
1. Commissione Consiliare Speciale per il piano strategico
2. Associazione Varese Europea con il compito di individuare le azioni per il
piano (struttura interna)
3. Comitato Scientifico (struttura esterna)
Venezia
Ufficio del piano a cui fa capo un’apposita struttura esterna
Vercelli
Il Comune di Vercelli per il supporto tecnico-scientifico e il monitoraggio ha
incaricato consulenti esterni che fanno capo ad un Master in Sviluppo Locale
Verona
Il Comune di Verona è affiancato da un gruppo di consulenti scientifici esterni
che seguono la predisposizione della metodologia operativa per la costruzione del
piano strategico
Fonte: elaborazione su dati dei 16 piani strategici inclusi nell’indagine
Nella maggior parte dei casi l’attività tecnica e scientifica necessaria alla preparazione del
piano strategico è stata svolta da professionisti esterni alla struttura dell’ente locale.
Comunque in tutti i 16 casi appare evidente che le strutture tecniche interne ai comuni
102
hanno svolto funzioni insostituibili nella collaborazione con i consulenti esterni per la
messa a punto di determinate analisi, per la raccolta di informazioni puntuali dai soggetti
pubblici e privati più rilevanti dell’area e in generale per il supporto dell’intero processo di
elaborazione tecnica dei piani strategici.
Va comunque notata una serie di specificità locali. Nei piani di Genova e Venezia le
strutture comunali sembrano aver svolto un ruolo diretto più rilevante che in altri casi. In
ambedue questi casi i rispettivi piani strategici hanno preso in considerazione, nella fase di
analisi, un’area vasta (intercomunale e regionale) ma hanno poi registrato una
partecipazione attiva alla elaborazione delle scelte e la sottoscrizione del piano del solo
comune capoluogo di regione. Nel caso di Venezia questa scelta è derivata anche dalla
presenza, all’interno della struttura dell’ente locale, di un apposito assessorato alla
pianificazione strategica che ha svolto in prima persona la regia della preparazione del
piano, pur ricorrendo al contributo di alcune consulenze esterne. Un ruolo analogo è stato
svolto per la preparazione del piano di Trento dall’assessorato alla promozione economica
del comune, anche qui con apporti di consulenti esterni.
Nei casi di Torino e Firenze la preparazione dei piani è stata affidata a organismi ad hoc
molto strutturati, rispetto alle altre città, che hanno potuto contare fin dall’inizio su un
equilibrato mix di risorse pubbliche e private. Inoltre in ognuno di questi casi il lavoro di
preparazione è stato sostenuto dal contributo continuo di un Comitato Tecnico Scientifico
di livello internazionale e da un Comitato di Coordinamento rappresentativo delle più
importanti realtà pubbliche e private di una vasta area metropolitana. Tutte queste
caratteristiche si ritrovano anche nella preparazione del piano di Perugia, compreso il
coinvolgimento attivo (dall’inizio e fino alla sottoscrizione del piano) dei comuni limitrofi,
elemento che richiede una particolare funzione di leadership da parte del comune maggiore
che ha iniziato il processo. L’unica eccezione del caso di Perugia, rispetto a Torino e Firenze
è che il supporto operativo alla elaborazione del piano è stato fornito da una segreteria
tecnica di funzionari e dirigenti del comune. In questo senso il ruolo svolto dal Comune di
Perugia è stato più simile a Genova, Venezia e Trento che a Firenze e Torino. Anche nella
preparazione dei piani di Copparo e di Varese si è potuto notare il ruolo positivo di un
Comitato Tecnico Scientifico, svincolato da compiti organizzativi o di gestione.
Per quanto riguarda la terza fase (attuazione del piano), ad oggi pochi dei 16 casi oggetto
dell’indagine presentano una storia sufficiente per una analisi approfondita. Occorre
comunque rilevare che in diversi casi l’onore e l’onere della attuazione e periodica revisione
del piano sembra essere stato posto su associazioni di tipo misto (pubblico e privato), nelle
quali il principale supporto logistico e finanziario è fornito dall’ente locale. Il ruolo degli
altri soggetti pubblici e dei soggetti privati facenti parte del Forum dello Sviluppo (laddove
103
questo organismo era il soggetto committente) o dei soggetti comunque coinvolti
attivamente nella fase di preparazione, sembra essere stato il più delle volte modesto nella
fase attuativa. Questo dato emerge dalla osservazione dettagliata delle risorse di tipo
finanziario che risultano messe a disposizione per le attività di monitoraggio e di
aggiornamento periodico dei piani.
Va però anche rilevato che nei casi dei piani avviati da maggiore tempo (ad esempio Torino
e Firenze), il contributo dei soggetti privati nella fase di attuazione appare in crescita,
soprattutto sotto il profilo delle proposte di nuovi progetti o di idee per la modifica e
l’aggiornamento di azioni indicate nel documento iniziale del piano. Un altro indicatore di
un supporto crescente dei soggetti privati è l’ampliamento del numero dei membri delle
associazioni preposte alla gestione dei piani, che registrano nel tempo anche l’inclusione di
altri soggetti pubblici in aggiunta agli enti locali che hanno avviato il processo.
L’esame dei 16 piani oggetto dell’indagine consente di trarre la conclusione che la grande
varietà delle relazioni tra il soggetto incaricato della preparazione del piano e il soggetto
committente deriva da molteplici condizioni locali, tra cui: i rapporti tra il comune
maggiore e i comuni limitrofi; lo stato delle relazioni sociali tra i principali soggetti pubblici
e privati del luogo; l’abitudine a lavorare per obiettivi e con moderni criteri manageriali
(programmi settoriali e di mandato, controllo interno di gestione, utilizzo di indicatori di
efficienza ed efficacia, ecc.) all’interno dell’ente locale che inizia il processo di pianificazione
strategica; la disponibilità di risorse finanziarie correnti e straordinarie; la necessità di
predisporre il piano strategico entro una determinata scadenza imposta da eventi esterni o
scelta dall’ente locale in relazione a sue esigenze interne. Non sembra quindi possibile
indicare in modo astratto una modalità migliore di altre.
Resta tuttavia aperta alla discussione l’esigenza di definire se esistano delle componenti
metodologiche che dovrebbero essere presenti nella preparazione dei piani strategici
indipendentemente
dalle
condizioni
locali
per
la
conduzione
delle
attività
di
predisposizione dei piani stessi. Un’esigenza che fin d’ora appare chiara è quella di
sottolineare la necessità di una distinzione teorica ed operativa tra le funzioni dei soggetti
committenti il piano, le funzioni dei soggetti incaricati della sua preparazione e le funzioni
dei soggetti preposti alla attuazione del piano stesso.
Nel primo caso il ruolo guida è di sola competenza degli amministratori eletti e degli altri
soggetti decisionali (pubblici e privati) che l’ente locale maggiore riesce a coinvolgere. Nel
secondo caso (la preparazione del piano) entrano in gioco sia soggetti interni all’ente locale
maggiore che inizia il processo, sia soggetti esterni che apportano competenze specialistiche
(il Comitato Scientifico, consulenti singoli, ecc.) e che, nel contempo, svolgono anche la
funzione di allargare il bacino di consenso del piano. Nel terzo caso (attuazione) sembra
104
necessario distinguere due fasi. In un primo periodo il ruolo principale di attuazione del
piano sembra affidato agli stessi soggetti che lo hanno predisposto, che rendicontano
dell’attuazione alla loro committenza come in precedenza facevano per le diverse tappe
della preparazione del piano. Si tratta dei casi in cui il soggetto attuatore è in buona parte o
in tutto collocato all’interno dell’ente locale che ha promosso il processo. In un secondo
periodo la responsabilità dell’attuazione del piano passa a un soggetto specifico, in cui l’ente
locale svolge sempre funzioni di riferimento e di sostegno fondamentali, ma nel quale sono
presenti in modo effettivo anche gli apporti di altri soggetti pubblici e dei principali soggetti
collettivi privati dell’area.
Altra questione che richiederà futuri approfondimenti specifici è la definizione del tipo di
professionalità tecniche che si dovrebbero prevedere, come costante nelle fasi di
preparazione e di attuazione del piano strategico, fatte salve le specificità locali che
potrebbero richiedere in aggiunta determinati tipi di saperi. Infine è probabile che in
generale meriterà anche una riflessione specifica la definizione dei vantaggi e svantaggi
connessi ai diversi modelli istituzionali del soggetto attuatore del piano (fondazione,
associazione, agenzia, ecc.) laddove si ravvisi la necessità di portare all’esterno dell’ente
locale che ha avviato il processo di pianificazione strategica tale funzione, dando veste
giuridica propria al soggetto incaricato della attuazione del piano.
2.11
I prodotti del piano strategico
Da una prima lettura della documentazione reperita, emerge che al mese di ottobre 2004, le
città che hanno portato a termine il processo di costruzione del piano sono 13 su 16, cioè
Firenze, Genova, Perugia, Torino, Trento, Venezia, La Spezia, Pesaro, Piacenza, Varese,
Verona, Copparo e Sesto San Giovanni.
In quasi tutti i 13 casi citati (fanno eccezione le città di La Spezia e Varese) il processo di
pianificazione si è concluso con un “prodotto definitivo” inteso come documento che
descrive in forma compiuta e dettagliata la visione, le linee strategiche, gli obiettivi, le
azioni. Tali documenti finali sono riportati in versione integrale e per tutte le città che li
hanno prodotti nel CD allegato.
Nella tabella che segue si presenta l’elenco dettagliato delle città nelle quali il processo di
pianificazione è pervenuto a un “prodotto definitivo” in senso documentale, tralasciando
per ora ogni altra considerazione sul rapporto tra prodotto e processo.
105
Tabella 2.11.1
Quadro riassuntivo delle città con il prodotto definitivo piano strategico
Principale
Titolo piano
Inizio processo
Data di adozione del
soggetto
prodotto “piano
promotore
strategico”
Copparo (FE)
Piano strategico 1909-2009
Novembre 2002
Firenze
Firenze 2010. piano strategico Dicembre 2000
Marzo 2004
Dicembre 2002
dell’area metropolitana fiorentina
Genova
Piano della Città di Genova
Maggio 1999
Gennaio 2002
Perugia
Perugia Europa 2003-2013
Dicembre 2002
Aprile 2004
Pesaro
2015 Pesaro futuro con vista
Luglio 2001
Luglio 2002
Piacenza
Piano strategico per Piacenza
Ottobre 2000
Gennaio 2002
Sesto San Gio- Piano strategico per lo sviluppo Febbraio 1999
Marzo 2001
vanni (MI)
del Nord Milano
Torino
1) Torino Internazionale
Maggio 1998
Febbraio 2000
2) Secondo piano strategico
Autunno 2004
Febbraio
2006
(pre-
visione)
Trento
1) Trento città delle opportunità
Luglio 2000
Ottobre 2003
2) Trento 2020
Autunno 2005
Data non definita
Venezia
Venezia città metropolitana
Maggio 2000
Ottobre 2004
Verona
Verona: futuro prossimo
Marzo 2003
Febbraio 2004
Fonte: dati tratti dai 16 piani strategici delle città incluse nell’indagine
2.12
L’ambito territoriale di competenza del piano strategico
L’ambito territoriale di competenza dei piani strategici delle 16 città esaminate nella
presente indagine risulta essere costituito, nella maggior parte dei casi, da più di un
comune. Ciò conferma l’idea che il processo di pianificazione strategica è uno strumento
che per ragioni intrinseche induce a considerare l’area metropolitana o comunque l’area
vasta urbana come il suo ambito di azione ottimale. Sono comunque possibili e di fatto si
sono osservati (ad esempio Roma, Genova, Trento) piani limitati al territorio comunale ma
per le ragioni che verranno presentate nella parte conclusiva del rapporto sembra che non
sia questo il livello territoriale ideale del piano strategico.
A Firenze il piano interessa tutta l’area urbana, vale a dire il territorio del Comune di
Firenze e quello di altri 9 comuni limitrofi per una popolazione che si aggira sui 600.000
abitanti. Il piano strategico di Perugia concerne un totale di circa 230.000 abitanti
distribuiti nel territorio del capoluogo regionale umbro e di altri 6 comuni. Ciò che li
106
accomuna sono gli identici problemi di traffico, dispersione territoriale, tutela del suolo.
Nel caso di Torino il piano strategico è stato impostato fin dall’inizio come piano
intersettoriale e di area metropolitana. Di fatto vi hanno aderito, oltre al capoluogo
piemontese, oltre 20 comuni limitrofi. La popolazione residente interessata è di circa 2
milioni di persone. Il piano di Venezia è un caso particolare in quanto è formalmente
limitato al territorio comunale ma indica in modo efficace già nel titolo (Venezia città
metropolitana) l’intenzione di calibrare il processo di pianificazione strategica su una scala
metropolitana.
Per i piani delle città capoluogo di provincia si nota una situazione variegata. Nel caso di
Cuneo il piano è limitato, fino ad oggi, al territorio comunale, ma nei documenti prodotti
emerge con forza l’idea di considerare l’area del piano coincidente con il “Sistema Locale del
Lavoro” (SLL) comprendente 51 comuni per un totale di circa 150.000 abitanti. Il piano
strategico della città di La Spezia è rivolto anche a 7 comuni limitrofi che portano la
popolazione di riferimento a circa 160.000 persone. A Pesaro il piano coinvolge un’area
distrettuale di 10 comuni, e ha ricadute sulla intera Provincia di Pesaro e Urbino in cui
vivono circa 340.000 abitanti. L’ambito territoriale di riferimento del piano di Piacenza è
rappresentato dalla intera provincia (circa 200.000 abitanti), pur se non si registra un
coinvolgimento diretto di altri comuni. Nel caso di Varese la preparazione del piano
strategico ha visto coinvolti fino ad ora tutti i comuni dell’area varesina ristretta, intesa
come un cerchio attorno al capoluogo (per un totale di circa 80.000 abitanti), e da alcuni
dei comuni del resto della provincia. Il piano di Vercelli è solo per il territorio comunale,
anche se gli studi preparatori hanno preso in considerazione tutta la provincia, cioè un
territorio piuttosto vasto, molto eterogeneo (pianura e montagna) e poco popolato (168.000
residenti). Il piano strategico di Verona è sorto come piano comunale, ma nel corso del
processo è stata costituita la “Consulta dei Sindaci dei comuni dell’area metropolitana”, di
cui fanno parte 16 comuni oltre a Verona. Quattro dei Comuni della Consulta si sono
aggregati in modo formale al capoluogo di provincia per la gestione del piano che riguarda
un totale di circa 160.000 abitanti.
Nel caso dei comuni minori la tendenza alla aggregazione territoriale appare una regola
dalla quale è difficile sottrarsi. Il piano strategico dell’Associazione dei Comuni del
Copparese riguarda tutti i 6 comuni coinvolti nella associazione stessa. Nel caso del piano
strategico dell’area Nord Milano è stato promosso su mandato dei sindaci di 4 comuni
(Bresso, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Sesto San Giovanni) dall’Agenzia di Sviluppo
Nord Milano (Asnm).
107
2.13
I principali soggetti pubblici e privati presenti nel processo di studio
e attuazione del piano strategico
I processi di pianificazione strategica dei 16 casi studio oggetto della presente indagine sono
sempre stati concepiti per ottenere il più alto grado di coinvolgimento sia dei soggetti
pubblici sia dei principali privati dell’area interessata. La preparazione del piano strategico
è stata condotta da soggetti incaricati (appositi uffici comunali, organismi costituiti ad hoc,
soggetti esterni, ecc.) a cui il committente politico aveva richiesto di realizzare il massimo
coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati dell’area. Ciò è coerente con l’impostazione
metodologica prevalente che vede il piano strategico come uno strumento di pianificazione
integrata e di area vasta ed anche come uno strumento di nuova governance locale.
Naturalmente se questo era il comune intendimento iniziale, nella realtà i diversi piani
strategici lo hanno realizzato in grado diverso, a seconda delle difficoltà locali che hanno
dovuto affrontare. Ciò emerge dall’esame dei soggetti che hanno approvato i piani al
termine della fase di preparazione. In alcuni casi i piani sono stati approvati in forma
esplicita sia da soggetti pubblici che privati, in altri casi solo dai soggetti pubblici che lo
hanno promosso.
Il passo iniziale per avviare la preparazione del piano strategico è sempre stato, nei 16 casi
esaminati, dell’ente locale maggiore dell’area, che è anche il soggetto che si è fatto carico del
maggiore onere sia organizzativo sia finanziario per sostenere il processo di elaborazione
del piano, durato in media un paio d’anni. Tra gli altri soggetti pubblici e privati che hanno
contribuito al processo sono presenti in modo costante i seguenti: camera di commercio,
unione industriale, associazioni di categoria (albergatori, commercianti, costruttori, ecc.),
associazioni sindacali, culturali, sportive e in generale del terzo settore, diocesi e parrocchie,
singole banche e grandi imprese del luogo, università.
La presenza dell’ente provinciale è stata frequente e a volte conflittuale per il timore (da
parte provinciale) che il piano strategico fosse un modo per allargare le competenze del
comune maggiore a scapito della provincia. Nel corso dei lavori questo timore si è rivelato
infondato e il contributo dell’ente provinciale si è rivelato spesso molto convinto e
costruttivo.
La presenza delle regioni è stata molto più defilata. In alcuni casi il contributo delle regioni
si è manifestato già nel corso della elaborazione del piano strategico, visto dagli
amministratori e funzionari regionali come un piano locale, sia pure a volte di area vasta.
Ad esempio le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Umbria hanno contribuito alla
definizione delle visioni dei piani strategici evidenziando gli indirizzi dei rispettivi piani di
sviluppo regionali, che sono stati così assunti come quadro di riferimento. In questi casi le
regioni hanno sottoscritto il documento finale dei piani strategici elaborati all’interno dei
108
rispettivi territori regionali. La sottoscrizione è avvenuta anche in altri casi, ma in genere, al
di fuori degli esempi citati, le regioni hanno partecipato alla definizione dei piani strategici
con apporti piuttosto limitati e formali. Da segnalare, ad esempio, che la Regione Piemonte
ha fornito un certo appoggio al processo di preparazione del piano strategico di Torino, ma
non ha sottoscritto il documento finale.
L’indagine ha permesso di ottenere un quadro dettagliato dei soggetti pubblici e privati che,
caso per caso, hanno svolto una funzione attiva nel processo di pianificazione locale. In
sintesi si può osservare che è frequente nelle città esaminate la costituzione di un “Forum
dello Sviluppo” come soggetto collettivo che agisce da committente del piano strategico,
come nei casi di Torino, Firenze, Perugia.
In altri casi (ad esempio Roma, Genova, Trento, Venezia) il processo di preparazione del
piano è stato svolto sempre in una ottica intersettoriale ma la fase decisionale ha avuto
come referente principale se non unico il Consiglio comunale della città che ha avviato
l’iniziativa. Anche in questi casi, però, è evidente un costante sforzo di coinvolgimento
indirizzato ai soggetti pubblici diversi dal comune maggiore ed ai principali attori privati.
Gli strumenti impiegati per attuare il coinvolgimento sono stati numerosi sia nel corso della
fase di preparazione (ad esempio attraverso seminari tematici e gruppi di lavoro) sia nella
fase di attuazione del piano.
2.14
I principali soggetti pubblici e privati assenti nel processo di studio e
attuazione del piano strategico
Dalle analisi svolte risulta che, in generale, i piani strategici sono dei formidabili strumenti
per attivare la partecipazione. Una volta avviato il processo in modo serio, cioè dando alla
partecipazione un peso reale nei meccanismi di formazione delle scelte finali, si è notato che
il vero problema è quello della gestione della partecipazione nel tempo. Ciò comporta
risorse notevoli, generalmente superiori a quelle disponibili presso un singolo ente locale.
Occorre anche dire che l’avvio di un processo partecipativo può a volte sfuggire di mano se:
1)
non si sono fatte per tempo le stime corrette delle risorse (umane, logistiche,
finanziarie), che dovranno essere assicurate lungo l’arco di tempo medio (da 18 a 36
mesi) necessario per la preparazione dello strumento senza contare poi la sua
attuazione;
2) si pensa di alimentare il processo partecipativo esclusivamente o in maniera del
tutto prevalente attraverso risorse pubbliche.
Detto questo, per determinare con precisione eventuali rifiuti di soggetti collettivi
importanti a contribuire a un piano strategico promosso da un ente locale, occorrerebbe
109
una analisi lungo tutto il percorso di preparazione e di attuazione di un determinato piano.
Dall’indagine svolta sono comunque emersi alcuni elementi che indicano come si hanno
difficoltà a organizzare una partecipazione attiva quando, per un verso o per l’altro, chi è
invitato a partecipare si forma la convinzione che il suo eventuale contributo non avrebbe
possibilità di modificare il corso delle decisioni in merito a questioni che pure potrebbero
unire i diversi soggetti di un territorio.
Segnaliamo qui di seguito alcuni di questi casi in cui la partecipazione è risultata inferiore
alle aspettative, sia per diretta ammissione dell’ente locale organizzatore del piano
strategico, sia per informazioni desunte in loco da altre fonti.
•
Nel piano strategico di Nord Milano il ruolo di Asnm è stato molto efficace in tema
partecipativo, tanto che l’impostazione del piano è stata assunta completamente dal
PTCP della Provincia di Milano. I rapporti con i soggetti privati (in particolare i
proprietari di alcune aree industriali dismesse), per ammissione della Asnm, sono
spesso stati meno collaborativi del possibile, se non addirittura conflittuali in
determinate circostanze.
•
Nel piano strategico di Varese, a fronte di un numero molto alto (34) di soggetti
territoriali aderenti a Varese Europea, il rapporto con alcuni comuni limitrofi è
passato da collaborativo a conflittuale in taluni casi in cui, a livello provinciale, si è
posta la necessità di decidere la localizzazione di servizi collettivi percepiti come
dannosi per il territorio circostante (ad esempio il futuro nuovo carcere). Si deve
anche rilevare l’assenza dal processo di elaborazione attivo del piano di importanti
soggetti collettivi, quali le maggiori organizzazioni imprenditoriali e sindacali
dell’area.
•
Mentre in alcuni casi il piano strategico è stato terreno di fattiva collaborazione tra
l’ente locale attivatore del piano e la Provincia, si devono anche registrare casi in cui
(come ad esempio a Trento e a Perugia) la provincia ha ritenuto di assumere un
ruolo di collaborazione piuttosto defilato, non di contrasto dell’iniziativa ma
neppure di sostegno entusiastico. Ciò forse è dipeso da un lavoro insufficiente di
ascolto e coinvolgimento, nei tempi antecedenti l’avvio formale della preparazione
del piano.
•
Un fenomeno di parziale autoesclusione ha riguardato in alcuni casi anche l’ente
regionale. Ad esempio, nel caso del piano strategico di Torino mente il ruolo della
provincia è stato senz’altro costruttivo, quello della Regione Piemonte è stato di
sostanziale distacco, fatto che ha portato nel 2000 l’ente regionale a decidere di non
sottoscrivere il piano di Torino. Sul lato opposto, vi sono casi non solo di ottima
collaborazione ma anche di integrazione funzionale tra il piano strategico promosso
110
da una città capoluogo di regione e il rispettivo ente regionale. Questo è il caso, ad
esempio, dell’ottimo rapporto che vi è stato tra il piano strategico Perugia Europa
2003-20013 e il Patto per lo Sviluppo promosso dalla Regione dell’Umbria.
•
Sono presenti casi di piani strategici che non hanno tra i loro promotori una
rappresentanza significativa di soggetti collettivi privati (si vedano in questo senso il
piano strategico di Verona, il piano dell’Associazione dei Comuni del Copparese o il
caso di Varese).
Da notare che nei casi in cui si è dovuta rilevare una partecipazione inferiore a un livello
ottimale si è anche notato che la preparazione del piano strategico è stata avviata senza la
preliminare o contestuale istituzione di un “Forum dello Sviluppo”. Naturalmente, l’assenza
di un tale organismo potrebbe essere stata sia la causa del problema qui evidenziato, sia una
prova della preesistenza di relazioni pubblico-private non idonee, almeno in una certa fase,
per costruire insieme un progetto di sviluppo del territorio.
2.15
L’attuazione del piano strategico: attori, forme istituzionali, risorse
umane e materiali, risorse finanziarie e comunicazione
Si è riscontrato che generalmente (11 casi sui 16 coperti dall’indagine) nei piani strategici è
prevista la costituzione di una struttura per l’attuazione del piano. Naturalmente la
costituzione di una tale struttura è prevista una volta ottenuta l’approvazione del piano da
parte dei referenti che lo hanno commissionato, cioè l’ente locale e l’insieme degli altri
soggetti pubblici e privati riuniti in un “Forum dello Sviluppo” o in altro soggetto similare
che rappresenta la committenza sociale del piano stesso.
Allo stato attuale risulta già costituita una struttura specifica per l’attuazione del piano
strategico nei seguenti 7 casi: Torino, Firenze, Trento, Pesaro, Piacenza, Varese, Sesto San
Giovanni. Negli altri 4 casi (Perugia, Venezia, Verona, Copparo) la prevista struttura è
ancora in fase di studio e preparazione. Data la velocità con la quale certe decisioni
organizzative sono attuate dopo periodi più o meno lunghi di dibattito e valutazioni interne,
è probabile che al momento della diffusione della presente indagine in alcuni di questi 4
casi la situazione si sarà evoluta. È anche possibile che non si arrivi subito alla costituzione
di una struttura autonoma ma si passi in una fase intermedia in cui l’attuazione del piano
sarà affidata a piccoli uffici interni all’ente locale che rispondono direttamente al soggetto
collettivo che ha commissionato il piano (il “Forum dello Sviluppo” o organismi analoghi).
Questa sembra essere, ad esempio, la scelta in corso di attuazione nel caso di Perugia.
Nei rimanenti 5 casi la situazione è piuttosto variegata. Nella città di La Spezia, fin dal 2001
si sono avviati i lavori di attuazione dei progetti previsti nella bozza di piano strategico,
111
anche se non si prevede alcun organismo autonomo per l’attuazione del piano i cui lavori di
preparazione, dopo una interruzione, sono ripresi nel novembre 2003.
Si è già rilevata la singolare natura del piano strategico di Genova, che si profila come un
piano basato essenzialmente su risorse di origine pubblica, nel quale l’ente locale gioca un
ruolo preponderante. Coerentemente con questa impostazione la gestione del piano stesso è
svolta direttamente dagli uffici del comune, sui quali è ricaduta la grossa responsabilità
della gestione di un flusso di risorse importanti per la realizzazione di due grandi eventi (G8
e Genova Capitale Europea della Cultura 2004).
Nel corso dell’indagine sul terreno si è rilevato che i piani strategici di Cuneo e di Vercelli
risultavano ancora in fase di preparazione. In ambedue i casi sembrava prematuro porsi il
problema della migliore soluzione per la gestione di un piano di cui i responsabili non si
azzardavano ancora a fare previsioni circa le date di completamento e di approvazione. Nel
caso di Vercelli, come si è detto, la preparazione del piano è stata interrotta dopo le elezioni
amministrative del giugno 2004, così come era avvenuto in precedenza a Roma per una
ragione analoga.
Le strutture dedicate alla attuazione del piano strategico possono essere ricondotte a due
tipologie:
A. Associazioni e Urban Center
B. Organismi, Agenzie, Comitati
Nel primo caso (associazioni e Urban Center) la struttura si presenta in genere in modo
molto formalizzato, disponendo di uno statuto giuridico, di un organigramma e di uno staff
specifico, di una sede e di risorse per la gestione ordinaria delle attività. È appena il caso di
osservare che questo tipo di strutture sono più frequenti nei casi in cui il piano strategico è
stato approvato da alcuni anni, indipendentemente dalla dimensione della città a cui il
piano si riferisce. Ad esempio, dai documenti raccolti emerge che il piano strategico di
Trento prevede che le attività di gestione facciano capo all’Urban Center della città. Nel
secondo caso (organismi, agenzie e comitati) si tratta normalmente di strutture informali o
di piccoli uffici messi in piedi dall’ente locale in modo autonomo o congiuntamente con altri
soggetti promotori del piano.
La varietà delle situazioni riscontrate sul terreno indica la necessità di approfondire nei
dettagli l’esame delle soluzioni approntate per la gestione nel tempo dei piani strategici
approvati. Questa analisi è presentata, caso per caso, nel CD allegato. È di interesse
generale rilevare che in quasi tutti i 16 casi presi in esame esiste un sito internet approntato
prima per la fase di preparazione poi per la fase di attuazione del piano strategico. Spesso il
comune promotore ha predisposto, all’interno del suo sito istituzionale, uno spazio per la
112
visione dei materiali e per la preparazione del piano strategico. In qualche caso, ove esiste
un organismo specifico per la preparazione e attuazione del piano, il sito internet è distinto
da quello dell’ente comunale.
In diversi casi, ma non in tutti, il piano strategico è presente anche nel sito istituzionale dei
soggetti pubblici e privati che, oltre al comune principale, hanno aderito all’iniziativa.
Laddove questo avviene è un ulteriore segnale della condivisione dell’iniziativa da parte di
soggetti diversi, sia sul versante delle amministrazioni pubbliche sia sul versante dei
soggetti privati. Si tratta di un segno evidente che il piano strategico non è un piano “del
comune X o Y” ma un documento di programmazione integrata e di governo locale, di tipo
pubblico e privato, spesso di scala territoriale sovracomunale.
2.16
Posizionamento dell’esperienza nel modello di ciclo di vita della
pianificazione strategica: punti di forza e debolezza
Si è potuto notare che in tutti i casi in cui il piano strategico giunge al termine in modo
compiuto (approvazione formale tanto dei soggetti pubblici che di quelli privati), nell’area
in questione l’ente locale aveva già avviato in passato diverse altre forme di governance
innovativa (PRUSST, PRU, bilancio sociale, ecc.). Ciò rafforza la convinzione che il piano
strategico sia solo l’ultimo anello di una catena che tiene insieme esperienze diverse di
governo locale che hanno avuto l’unico obiettivo di rendere più efficace l’azione pro-attiva
dell’ente locale.
Da questa osservazione, se confermata da ulteriori dati empirici che potrebbero emergere
dall’analisi dei casi di piani strategici il cui avvio è stato annunciato successivamente alla
conclusione della presente indagine, discende anche l’idea che esista nella realtà delle
amministrazioni una certa “sequenza” da seguire prima di decidere l’avvio della
preparazione di un piano strategico urbano che abbia realistiche possibilità di essere
completato e poi attuato con successo. La “sequenza” da seguire, da intendersi come
sequenza logica più che temporale, in estrema sintesi è articolata in quattro punti come
indicato qui di seguito:
1.
avvio di una crescita culturale e tecnica del personale e degli amministratori
dell’ente locale per passare da una modalità di governo tradizionale alla governance
pro-attiva del territorio;
2.
introduzione all’interno dell’ente locale dei metodi gestionali più innovativi e
riformulazione della struttura interna dell’ente stesso (introduzione del controllo di
gestione, istituzione del nucleo di valutazione con ruolo effettivo di esperti esterni,
redazione del bilancio sociale, applicazione del metodo del city management dopo
la nomina di un direttore generale, ecc.);
113
3.
elaborazione di progetti complessi in campo urbanistico, sociale ed economico (un
nuovo PRG o una revisione significativa di un PRG esistente elaborata con una forte
componente di coinvolgimento dei soggetti titolari di interessi, programmi di
riqualificazione urbana, piani di area vasta, piani d’azione locale discendenti dal
processo di Agenda 21, ecc.);
4.
decisione partecipata e condivisa, all’interno dell’ente locale, di dare avvio alla
preparazione di un piano strategico urbano (cioè di un piano integrato di area vasta)
di tipo partecipato e condiviso con i maggiori soggetti pubblici e privati dell’area.
Tale decisione va intesa come una continuazione logica di un metodo di governo
locale preparato e sperimentato nelle fasi precedenti.
La sequenza sopra esposta in sintesi porta l’ente locale a impegnarsi su progetti sempre più
complessi dal punto di vista gestionale, fino ad essere pronto ad assumere il ruolo guida
all’interno di un processo di pianificazione urbana strategica di area vasta. Nella realtà le
prime fasi sono svolte, dal punto di vista temporale, in parallelo. Emerge dalla presente
indagine che ciò che è importante per un ente locale è non commettere l’errore di iniziare il
percorso di rinnovamento con l’annuncio dell’avvio di un piano strategico urbano senza
prima avere almeno avviato le fasi precedenti.
2.17
Ruolo e impatti del processo sulla struttura organizzativa dell’ente
Dal punto precedente emerge che avviare un piano strategico urbano nel senso attribuito a
tale termine dalla presente indagine (un piano integrato di area vasta, di tipo pubblico e
privato, prodotto in un processo di scelte partecipate e condivise) ha sicuramente un
impatto significativo sulla struttura organizzativa interna dell’ente che svolge il ruolo di
propulsore del piano. Sembra anche probabile che il piano strategico eserciti una funzione
di stimolo all’innovazione delle modalità gestionali interne degli altri soggetti, pubblici e
privati, che vi partecipano.
Le varie attività di preparazione e gestione di un piano strategico possono aiutare i soggetti
partecipanti ad adottare al loro interno il metodo di lavoro tipico della pianificazione
strategica applicata al territorio urbano che può essere riassunto nei punti seguenti:
•
definizione degli indirizzi attraverso la concertazione aperta ed esplicita dei diversi
interessi, in una dimensione territoriale non limitata a priori dai confini di un
singolo comune;
•
lavoro per obiettivi e non per funzioni;
•
definizione congiunta tra soggetti pubblici e privati delle singole azioni per attuare
una visione concordata entro una data stabilita in un territorio preciso;
114
•
ricerca delle risorse per l’attuazione del piano in base agli obiettivi da realizzare e
non viceversa.
Sembra utile suddividere l’analisi dell’influenza che un piano strategico può esercitare sui
soggetti coinvolti in due componenti: l’impatto all’interno dell’ente locale (riorganizzazione
dei metodi di lavoro, assegnazione di compiti stante la struttura esistente, ecc.) nella fase
decisionale di avvio e preparazione del piano strategico; l’impatto nell’ente locale generato
dalla realizzazione del piano strategico.
L’esperienza dei 16 piani strategici che questa indagine ha analizzato è una base sufficiente
per avanzare delle osservazioni sulla fase di avvio e preparazione dei piani, ma non sulla
fase successiva. Per osservare e documentare (cioè analizzare con l’utilizzo di indicatori
qualitativi ma anche quantitativi relativi al personale, al budget, agli organigrammi interni,
ecc.) le modifiche generate all’interno dell’ente locale dal processo di attuazione del piano
strategico, l’esperienza ad oggi prodotta in Italia non è ancora sufficiente, dal punto di vista
temporale, per sviluppare un ragionamento complessivo, cioè di interesse generale e non
limitato ai pochi casi in cui si ha, al momento, una concreta esperienza di attuazione dei
piani. Ad esempio, i casi dei piani strategici di Torino e di Firenze sono gli unici in cui si
potrebbe fare una tale analisi, vista la presenza di alcuni anni di attività gestionale, ma le
conclusioni avrebbero una scarsa valenza generale perché si tratterebbe dei piani di due
sole città aventi ambedue una dimensione metropolitana. Inoltre i piani di queste due città
hanno anche una impostazione metodologica molto simile tra loro.
Limitando l’osservazione alla fase di avvio e preparazione di piani strategici, si è osservata
una stretta correlazione tra l’abitudine a lavorare con criteri manageriali innovativi da parte
degli enti locali e la loro propensione a promuovere l’avvio di piani strategici urbani. Infatti,
l’analisi della documentazione dei 16 casi oggetto dell’indagine ha permesso di rilevare che
gli enti locali promotori di piani strategici urbani presentano alcune costanti nella
conduzione interna degli enti che indicano un livello di managerialità superiore alla media
dei comuni italiani. Il livello di managerialità delle città esaminate è espresso dalla presenza
di tutti o di molti dei seguenti elementi all’interno di ogni ente:
1.
direttore generale;
2.
strutture avanzate per lo sviluppo territoriale;
3.
bilancio sociale annuale;
4.
programma e bilancio di mandato;
5.
strumenti complessi di pianificazione territoriale (PRU, progetti Urban, ecc.);
6.
sportello unico attività produttive;
7.
Agenda 21;
115
8.
visibilità on-line e qualità dell’informazione sulle strategie territoriali e sulle
informazioni turistiche;
9.
agenzia di sviluppo territoriale congiuntamente con altri soggetti pubblici e privati;
10. Urban Center.
In generale gli enti locali che hanno promosso i piani strategici oggetto dell’indagine hanno
dimostrato in passato di aver svolto una gestione responsabile del territorio, e di avere
elaborato degli indirizzi di sviluppo di lungo periodo articolati in fasi e soggetti a
comunicazioni e rendiconti periodici diretti alla cittadinanza. Al contrario, tra i 16 casi
esaminati risulta una presenza molto inferiore alla media di comportamenti di tipo
“notarile” da parte degli enti locali, quali ad esempio:
-
azioni di gestione territoriale solo e se esiste una norma che lo impone;
-
mancanza di coordinamento fra livelli amministrativi orizzontali e verticali per
quanto riguarda iniziative di sviluppo locale;
-
assenza di iniziative nel senso della partecipazione e condivisione delle esperienze di
conoscenza.
Come già indicato in precedenza, occorre notare che l’indagine ha rilevato la presenza di
piani strategici urbani solo nel Centro-Nord del nostro Paese. La situazione è in piena
evoluzione. Nel corso del 2005 sono entrati nella concreta fase di preparazione nuovi piani
nel Centro-Nord ma anche nel Sud. Sembra probabile anzi che lo sviluppo maggiore di
nuove iniziative di pianificazione strategica lo si avrà nel prossimo futuro nelle otto regioni
del Sud Italia. Infatti, se fino alla prima metà del 2005 la pianificazione strategica è stata
una attività volontaria degli enti locali, a partire dalla seconda metà dell’anno si sono resi
disponibili dei finanziamenti pubblici indirizzati per ora solo alle regioni del Sud.
Nella Delibera n. 20/04 adottata dal Cipe il 29 settembre 2004 per definire la ripartizione
delle risorse degli interventi nelle aree sottoutilizzate (“Fondo Aree Sottoutilizzate” o “FAS”)
per il periodo 2004-2007, si è fissata la quota del 10% del totale dei fondi disponibili per la
cosiddetta “Riserva aree urbane”. Tale capitolo di spesa ammonta a circa 207 milioni di
euro ed è destinato a finanziare interventi nelle città e nelle aree metropolitane del Sud, in
attuazione del “Programma di accelerazione” previsto dalla legge finanziaria 2004 (art. 4,
comma 130). Nel corso dei lavori del “Tavolo interistituzionale per la Riserva aree urbane
del FAS” promosso dal Cipe il 26 novembre 2004 è stato approvato un documento
intitolato I piani strategici per le città e aree metropolitane, cioè le linee guida per i futuri
piani strategici delle aree del Sud. Contestualmente si è deciso che gli interventi finanziabili
dovranno rispondere ai criteri indicati nel documento Priorità e criteri per la selezione
116
degli interventi approvato all’interno dello stesso Tavolo interistituzionale. In particolare si
è stabilito che una quota del 10% delle risorse allocate per ciascuna regione dovrà essere
destinata alla predisposizione di piani strategici per città e aree metropolitane o
raggruppamenti di comuni che totalizzino una popolazione di almeno 50.000 abitanti. Si
apre ora la sfida dell’utilizzo più efficace dei fondi previsti. Gli enti locali delle regioni
meridionali che vorranno candidarsi e le regioni che dovranno stabilire i criteri di
ripartizione dei fondi dovranno insieme dimostrare di voler sostenere la preparazione di
nuovi piani strategici non solo perché sono disponibili dei fondi pubblici, ma perché si vede
nella pianificazione strategica urbana uno strumento efficace per realizzare politiche di
sviluppo locale di ampio respiro.
La capacità innovativa non appare necessariamente correlata alla localizzazione geografica
o alla dimensione della città, anzi diversi piccoli comuni si distinguono per l’utilizzo di
metodi gestionali moderni. Ad esempio, nelle graduatorie periodicamente pubblicate su
alcuni quotidiani finanziari aventi per oggetto la managerialità dei comuni, in genere sono
presi in considerazione solo i comuni capoluogo di provincia. Invece esistono diversi
comuni di dimensioni medie e piccole che non sono capoluoghi di provincia ma che
utilizzano abitualmente metodi di gestione interna molto innovativi. Tra questi alcuni
dispongono anche dello strumento principe della gestione manageriale di un ente locale: il
piano strategico urbano. Nel corso della presente indagine si sono approfonditi i casi di
Sesto San Giovanni (Milano) e di Copparo (Ferrara).
Nel primo caso va segnalato che il piano strategico del Nord Milano è stato assunto
integralmente dal PTCP della Provincia di Milano, a riprova dell’interesse che la
metodologia di pianificazione partecipata e condivisa e i risultati ottenuti hanno suscitato
presso livelli di governo locale superiori a quello dei comuni che lo hanno promosso. Nel
secondo caso si può osservare che il piano di Copparo e dei comuni associati ha ottenuto
diversi premi e riconoscimenti come esempio di buona governance locale. Il 18 novembre
2004 ha ricevuto il premio ADICO - Associazione Direttori Commerciali e Marketing. Il
premio ADICO dal 1998 prevede un riconoscimento speciale da assegnare al migliore
progetto, dal punto di vista manageriale, promosso dalla Pubblica Amministrazione. La
motivazione del premio edizione 2004 è stata la seguente: “Il progetto Piano strategico
dell'Associazione dei Comuni del Copparese è risultato il migliore, innovativo e al servizio
dei cittadini”. Nel novembre 2004 il piano ha ricevuto dal Dipartimento della Funzione
Pubblica la menzione speciale al COMPA 2004. Il progetto preliminare del piano di
Copparo nel settembre 2002 era stato indicato dallo stesso Dipartimento come esempio di
“buona pratica” e inserito in I successi di cantieri.
117
Risulta chiaro che la presenza di un piano strategico in fase di attuazione è spesso correlato
a un livello di managerialità sopra la media, a una buona qualità della vita locale ed a un
buon grado di sviluppo complessivo. Ciò non significa che i comuni caratterizzati da una
dinamica inferiore non possano aspirare a dotarsi di un piano strategico urbano, ma
semplicemente che tale scelta dovrebbe essere fatta non in modo estemporaneo (o, come
abbiamo indicato, per la prospettiva di incassare dei contributi pubblici), ma nel quadro di
un generale e contestuale sforzo di miglioramento della gestione dell’ente locale. Al di fuori
di un tale contesto, se la produzione materiale di un piano strategico urbano potrebbe
anche essere alla portata della grande maggioranza dei comuni italiani (in forma singola o
associata), l’attività di gestione e attuazione del piano stesso potrebbe risultare molto
difficile.
2.18
Peculiarità emerse dall’analisi dei casi
L’analisi della documentazione dei 16 casi considerati dalla presente indagine mette in luce
come i piani nascano e si sviluppino seguendo uno schema che può essere così sintetizzato:
1.
impegno diretto e volontario di una o più amministrazioni locali;
2.
processo partecipato e condiviso con i principali soggetti pubblici e privati del
territorio per la costruzione delle strategie, degli obiettivi e delle azioni del piano;
3.
realizzazione del piano.
a) Modelli di ideazione del piano e di gestione del processo
I casi oggetto dell’indagine presentano almeno due elementi comuni: 1) la decisione
volontaria di avviare il processo di pianificazione strategica urbana; 2) il ruolo guida che
l’ente locale ha svolto sia nei confronti degli altri soggetti pubblici, anche di ordine
superiore (provincia e regione), sia nei confronti dei soggetti privati più rappresentativi
dell’area. Per quanto riguarda la volontarietà della decisione iniziale, occorre mettere in
evidenza due casi particolari: Trento e Venezia.
Il piano strategico di Trento costituisce uno degli strumenti di programmazione previsti
dallo Statuto del Comune di Trento con il quale si individuano e aggiornano gli indirizzi
generali di governo. Da questo punto di vista, il piano strategico di Trento, diversamente
dagli altri considerati in questa analisi, è uno strumento scaturito sulla base di una
obbligatorietà prevista e formalizzata dall’art. 96 dello Statuto comunale. L’atto volontario,
in questo specifico caso, si colloca dopo la decisione formale di fare il piano ed è costituito
dalla firma dell’accordo di partnership che, nel dicembre 2000, ha impegnato
simbolicamente e concretamente l’intera città di Trento a condividere momenti aperti e
strutturati di confronto e che ha permesso l’avvio del processo di pianificazione strategica
118
partecipata e condivisa. Il piano strategico di Venezia risulta un atto conseguente alla
decisione dell’amministrazione locale di istituire l’assessorato alla pianificazione strategica,
la cui azione affianca quella dell’assessorato all’urbanistica ed è direttamente connessa al
programma di mandato del sindaco.
b) Motivazioni e comportamenti degli attori
Come emerge dall’analisi della documentazione reperita sul terreno, in molti casi lo staff
che ha lavorato al piano strategico – costituito sia da esterni che da interni
all’amministrazione locale – è stato in grado di fornire un vero e proprio metodo per
finalizzare ed incardinare in un unico e coerente quadro d’insieme opere e progetti, anche
dal punto di vista dei finanziamenti, portati avanti in maniera a volte poco coordinata
prima dell’avvio del processo di pianificazione.
Ciascuno dei piani strategici qui considerati, nasce per fronteggiare una particolare
situazione economica, demografica o di identità territoriale. La volontà di una nuova
stagione di sviluppo e di rilancio territoriale, specificata in ciascuna visione dei 16 piani
esaminati, è da ritenersi la motivazione prioritaria che ha spinto da un lato il soggetto
promotore e dall’altro i soggetti pubblici e privati ad avviare il processo di pianificazione
strategica e a sollecitare in modo costante l’intervento attivo degli attori inizialmente non
coinvolti nel processo.
Appare, inoltre, chiara la volontà delle amministrazioni locali di affrontare i punti di
debolezza dell’area con uno strumento innovativo rispetto ai tradizionali metodi di
pianificazione. Riportiamo di seguito una tabella in cui sono indicate le “visioni” di ciascuno
dei piani strategici considerati.
Tabella 2.18.1
La “visione” dei 16 piani strategici oggetto dell’indagine
Piani
Visione
Orizzonte
strategici
temporale
analizzati
Copparo (FE)
Delta
7
–
La
città
moltiplicata.
Dall’identità
al
valore 2009
dell’intangibile
Cuneo
Visione non ancora definita
2020
Firenze
Firenze non solo città d’arte e di consumo, ma centro di 2010
produzione culturale e di alta formazione, luogo di creazione e
produzione qualificata del Made in Italy
Genova
Una metropoli aperta e solidale in cui si costruiscono le 2010
condizioni per un armonico sviluppo
119
La Spezia
1. La riscoperta del mare
2010
2. La valorizzazione di antiche e nuove vocazioni produttive
3. La crescita di una comunità locale consapevole attiva e solidale
4. L’integrazione di La Spezia nel Comprensorio e nel Contesto
Centro Meridionale Europeo
Perugia
La visione comune dello sviluppo: naturale sbocco di una 2013
adesione volontaria a cercare insieme le migliori vie di crescita
per il prossimo decennio
Pesaro
Pesaro città della qualità
2015
Piacenza
Promozione dello sviluppo economico, sociale e culturale del 2010
territorio e della comunità piacentina, con modalità compatibili
con le esigenze di tutela, miglioramento e valorizzazione
dell’ambiente, al fine ultimo di realizzare un sistema aperto,
ospitale, innovativo e collaborativo, caratterizzato da benessere
diffuso ed elevata qualità della vita per tutte le componenti della
società, con particolare riferimento alle attese delle nuove e future
generazioni
Roma
Roma intende promuovere e realizzare le condizioni per la Non definito
trasformazione e la crescita della sua economia e per una migliore
qualità di vita dei suoi abitanti e dei suoi visitatori, e perseguire
così una collocazione più vantaggiosa nello scenario fortemente
competitivo delle principali città europee
Sesto S. Giovan- Da hinterland industriale a nuova centralità metropolitana
2010
ni (Milano)
Torino
1. Torino metropoli europea
2011
2. Torino ingegnosa, città del fare e del saper fare
3. Torino che sa scegliere: l’intelligenza del futuro e la qualità
della vita
Trento
Trento, città delle opportunità
2010
Varese
Cooperare nel territorio per le vie alte allo sviluppo al fine di:
Non definito
- invertire il processo di declino
- valorizzare nuove opportunità
- valorizzare tutte le potenzialità territoriali
- proiettare l’area varesina in una dimensione europea
- acquisire ed allargare il consenso
Venezia
Venezia Città Metropolitana – qualità, lavoro, culture
2014
Vercelli
Vercelli: governare il futuro
2020
Verona
Costruire insieme la città che vogliamo
2020
Fonte: estratto dai piani strategici delle 16 città esaminate
120
c) Modelli e strumenti di cooperazione e partecipazione
In tutti i piani strategici considerati, sono state utilizzate metodologie di ascolto partecipato
dei principali soggetti pubblici e privati della città riconducibili ad interviste, colloqui
informali, questionari, richieste dati e così via. La fase di ascolto, in primo luogo dei soggetti
collettivi titolari di interessi, è servita a diffondere il senso della partecipazione e della
condivisione delle scelte, e costituisce una componente irrinunciabile del processo di
pianificazione strategica di una città. La fase di ascolto e di analisi diagnostica è valida e
produttiva nella preparazione del piano se riesce a identificare e coinvolgere soprattutto i
soggetti pubblici e privati che detengono il potere reale per realizzare o bloccare un
processo decisionale complesso come quello di redigere un piano strategico di una città o di
un’area metropolitana. Il coinvolgimento diretto degli interessi minuti, fino al singolo
cittadino residente e utilizzatore della città, sembra più produttivo se realizzato in sede di
definizione dei singoli progetti, purché avvenga in forme e tempi utili per avere una effettiva
influenza sulla configurazione finale delle decisioni.
In quasi tutti i piani strategici considerati, la principale fase di partecipazione e
cooperazione è stata quella della definizione dei titoli e dei contenuti delle singole azioni,
cioè dei singoli progetti previsti dal piano. Tale fase si è svolta attraverso il coinvolgimento
dei principali soggetti pubblici e privati che in genere hanno dato il loro contributo grazie a
strumenti di partecipazione denominati in vario modo:
1.
gruppi di lavoro (nei casi di Firenze, Perugia, Torino, Varese, Verona, Pesaro,
Piacenza, Copparo);
2.
fori di discussione (nel caso di La Spezia);
3.
tavoli di approfondimento tematico o coprogettazione (nei casi di Trento e Sesto San
Giovanni).
I casi in cui tali metodologie non sono state, nel loro insieme, il principale metodo di lavoro
sono 5 ed esattamente: Roma, Venezia, Genova, Vercelli, Cuneo.
Attraverso la seguente tabella, riepiloghiamo il quadro delle metodologie e degli strumenti
di cooperazione e partecipazione. La tabella fotografa una realtà molto dinamica, per cui è
da intendersi solo indicativa della situazione generale.
121
Tabella 2.18.2
Riepilogo delle metodologie e degli strumenti di cooperazione e partecipazione
utilizzati per la costruzione del piano strategico
Piani strategici
Partecipazione alla definizione delle azioni
analizzati
Copparo (FE)
Otto gruppi di lavoro tematici
Cuneo
Ciclo di incontri pubblici che prevede 3 seminari di promozione e diffusione
del processo di pianificazione strategica
Fase di ascolto dei cittadini (interviste)
Firenze
Complessivamente 21 gruppi di lavoro
Genova
Conferenza strategica della città di Genova
Concomitanza del summit del G8 e dell’attribuzione del ruolo di Genova
Capitale Europea della Cultura 2004
La Spezia
4 fori di discussione
Perugia
7 gruppi di lavoro tematici
Riunioni plenarie del Forum dello Sviluppo
Pesaro
6 seminari per diffondere conoscenza sulla pianificazione strategica
8 gruppi di lavoro
Forum di attori della realtà pesarese
76 team di progetto
Piacenza
8 gruppi di lavoro in rappresentanza della società
Roma
2 dibattiti pubblici, la fase di ascolto si è solo avviata
Sesto San Giovanni 5 tavoli di coprogettazione
(MI)
Torino
Questionari alla cittadinanza
9 gruppi di lavoro rappresentativi del sistema città
Diverse riunioni del “Forum dello Sviluppo” aperto alla cittadinanza
Trento
5 tavoli di approfondimento tematico in rappresentanza del sistema città
Varese
5 gruppi di lavoro
Venezia
Diversi gruppi di lavoro con i soggetti rappresentativi della città (tra cui:
Università degli Studi Cà Foscari, Università Iuav, Unindustria, Ccia, Cgil,
Camera del lavoro metropolitana, Cisl provinciale, Uil provinciale)
Vercelli
Due seminari di promozione del processo di pianificazione strategica
Verona
Interviste e 4 gruppi di lavoro
Un Laboratorio per le politiche giovanili
Fonte: informazioni tratte dai documenti dei 16 piani strategici e da colloqui con i responsabili dei
piani
122
d) Tipologie e tecniche di gestione dei conflitti
La prima considerazione riguarda un caso particolare, il piano strategico di Torino, che è
stato assunto come punto di riferimento per tutti gli altri piani. A Torino è stato invidiato
fin dall’inizio, in maniera chiara, un autorevole “garante” del processo di pianificazione che
ha fatto sì che il processo giungesse a termine nei tempi prestabiliti e senza interferenze
esterne. Il “Forum dello Sviluppo” ha svolto il ruolo, nella fase di preparazione del piano, di
camera di compensazione dei diversi interessi in gioco. Si è trattato, ovviamente, di un
ruolo che non ha sostituito i luoghi istituzionali già esistenti in cui avviene il confronto tra le
diverse forze della società (Consiglio comunale, ecc.), ma che ha permesso ai diversi
portatori di interessi di esplicitare un accordo sui punti salienti del piano. Fino a che tale
ruolo è stato svolto dal “Forum dello Sviluppo”, è risultata relativamente facile
l’individuazione di un altrettanto autorevole gruppo di lavoro che sulla base di un mandato
operativo ha potuto svolgere il compito di preparare il piano e di garantire il
coinvolgimento costante dei soggetti principali della città e della sua area metropolitana.
Il piano strategico, infatti, è uno strumento in grado di trasformare discussioni, opinioni e
impegni elettorali in un patto con le forze della città; da questo punto di vista i piani
strategici che sono giunti a termine (Copparo, Firenze, Genova, La Spezia, Nord Milano,
Perugia, Pesaro, Piacenza, Torino, Trento, Varese, Venezia, Verona) hanno tutti un minimo
comune denominatore: il fatto che il piano non ha richiesto ad esperti di elaborare in modo
autonomo e separato dalla città uno studio sulla “città ideale”, ma il piano ha richiesto agli
esperti, interni ed esterni, di essere coinvolti nell’elaborazione di un progetto di città in
modo da rappresentare la volontà collettiva e fare evolvere una realtà urbana verso
traguardi ideali ma raggiungibili date le risorse materiali e le risorse intangibili presenti
nell’area. Ad ogni modo, è bene far nuovamente rilevare che in alcuni casi, ha pesato molto
l’attività di comunicazione. Da questo punto di vista, Firenze è un esempio emblematico,
poiché le iniziali difficoltà di comunicazione con la città sono state superate da un impegno
diretto degli amministratori, che oltre ad organizzare una importante mostra-convegno
internazionale hanno partecipato a manifestazioni pubbliche di vario tipo e a rubriche
radiofoniche su emittenti locali, per diffondere il senso della pianificazione strategica.
In stretto riferimento alle tipologie e tecniche di gestione di conflitti si devono citare casi di
tipologie e tecniche “private” che sono possibili per il successo di immagine delle politiche
comunali, ascrivibili all’efficiente ed efficace gestione comunale di grandi investimenti e
progetti, ma non necessariamente connessi alla pianificazione strategica. In questo
contesto, si colloca l’accordo sindacale del 13 gennaio 1996 sul caso Falck, che permise di
risolvere la crisi di una fabbrica, forse per la prima volta in Italia, attraverso il
coinvolgimento di un territorio a partire da logiche di programmazione negoziata. Azienda,
123
sindacati, istituzioni pubbliche coinvolti nella promozione dello sviluppo locale dell’area di
Sesto San Giovanni, affrontarono in modo pro-attivo il caso Falck, individuando funzioni e
attività produttive sostitutive in grado di creare prospettive di sviluppo per tutto il territorio
di Sesto San Giovanni.
Anche da quella lezione è probabilmente emersa la capacità di riuscire in poco più di un
lustro (il 1993 è l’anno di costituzione del Parco Scientifico per le Tecnologie Ambientali,
Psta, e il 1999 quello di avvio al processo di pianificazione strategica) a ri-definire
completamente gli assi strategici del proprio territorio.
2.19
Valutazione dei risultati del processo di pianificazione
I risultati che lo strumento della pianificazione strategica urbana ha permesso di ottenere
nei 16 casi esaminati sono relativi sia ai processi di preparazione e di gestione dei piani, sia
al prodotto finale inteso come documento sottoscritto dall’insieme dei soggetti pubblici e
privati di un’area per realizzare una lista precisa di azioni (cioè singoli progetti) di tipo
materiale e di tipo immateriale.
Risultati del processo di pianificazione
Presentiamo di seguito due tabelle. La prima riassume lo stato di avanzamento del processo
di pianificazione strategica; la seconda evidenzia gli atti di apertura e di chiusura dell’iter
processuale, e l’organizzazione derivante dal processo di costruzione di pianificazione. I
risultati che possono essere attribuiti ai singoli processi di predisposizione dei piani
strategici variano molto da caso a caso, come si evidenzia nella descrizione dettagliata dei
piani. Resta l’impressione che il risultato principale del piano strategico (inteso come
processo di pianificazione integrata di tipo partecipativo e di scala vasta) sia lo scoprire che
in una comunità locale i soggetti portatori di interessi pubblici e privati possono lavorare
insieme per importanti obiettivi concreti. La costituzione di una “squadra rodata” di
soggetti pubblici e privati abituati ad avere stima gli uni degli altri può permettere risultati
superiori all’intero sistema economico e sociale locale laddove siano ben definiti i limiti
dell’interesse pubblico e dei legittimi interessi di parte.
Tabella 2.19.1
Riassunto dello stato di avanzamento del processo di pianificazione strategica
Principale soggetto
Titolo piano
Inizio processo
promotore
Data di adozione
del prodotto “piano
strategico”
Comune di Copparo (FE)
Piano
strategico Novembre 2002
1909-2009
124
Aprile 2004
Comune di Cuneo
Cuneo 2020
Comune di Firenze
Firenze
Piano
Settembre 2003
2010. Dicembre 2000
Piano in costruzione
Dicembre 2002
strategico
dell’area metropolitana fiorentina
Comune di Genova
Piano della Città di Maggio 1999
Gennaio 2002
Genova
Comune di La Spezia
Comune di Perugia
Verso una nuova Settembre 1999
Ottobre 2001 e processo
città
riavviato nel 2003
Perugia
Europa Dicembre 2002
Aprile 2004
2003-2013
Comune di Pesaro
2015 Pesaro futuro Luglio 2001
Luglio 2002
con vista
Comune di Piacenza
Piano
strategico Ottobre 2000
Gennaio 2002
per Piacenza
Comune di Roma
Piano strategico di Marzo 1998
Piano interrotto
Roma
Associazione Sviluppo Nord Piano
strategico Febbraio 1999
Marzo 2001
Milano – Sesto San Gio- per lo sviluppo del
vanni (MI)
Nord Milano
Comune di Torino
Torino
Maggio 1998
Febbraio 2000
internazionale
Comune di Trento
Trento città delle Luglio 2000
Ottobre 2003
opportunità
Comune di Varese
Varese Europea
Autunno 1999
Gennaio 2003 e processo
riavviato
Comune di Venezia
Venezia
città Maggio 2000
metropolitana
Comune di Vercelli
Vercelli 2020
Comune di Verona
Verona:
Dicembre 2003 e Ottobre
2004
Luglio 2003
futuro Marzo 2003
Piano in costruzione
Febbraio 2004
prossimo
Fonte: informazioni tratte dai documenti dei 16 piani strategici e da colloqui con i responsabili dei
piani
125
Tabella 2.19.2
Riassunto dei risultati del processo di pianificazione strategica
Piani strategici
Atto inizio
Atto
Organizzazione
analizzati
iter processuale
conclusione iter
per l’attuazione del
piano
Copparo
Forum dello Sviluppo
Piano
(FE)
approvato
dal Prevista una società per
Consiglio comunale e l’attivazione e il monisottoscritto dai soggetti toraggio
del
piano
partecipanti al processo strategico
di pianificazione
Cuneo
Seminari introduttivi e Piano in costruzione
Al
di
prevista
presentazione
alla
momento
non
città
Firenze
Forum dello Sviluppo
Piano
approvato
dal 1.
Ufficio
del
piano
Consiglio comunale e strategico dell’area fiosottoscritto dai soggetti rentina
partecipanti al processo 2.
di pianificazione
Firenze
2010
Associazione per il piano strategico dell’Area
Metropolitana Fiorentina con prossima sede
in costruendo Urban
Center
Genova
Forum dello Sviluppo
Adozione
La Spezia
Forum dello Sviluppo
Presentazione alla città, Al
processo riavviato
Non prevista
momento
prevista.
non
Alcuni
dei
progetti elaborati nella
prima fase terminata
nel 2001 sono già stati
attuati
Perugia
Forum dello Sviluppo
Piano
approvato
dal Prevista la costituzione
Consiglio comunale e di un organismo pubsottoscritto dai soggetti blico
privato
partecipanti al processo monitoraggio
di pianificazione
tuazione
del
per
e
il
l’atpiano
strategico e per il suo
aggiornamento
dico
126
perio-
Pesaro
Seminari introduttivi e Piano
di
presentazione
approvato
alla Consiglio
città
dal Urban Center.
comunale, Due programmi magne-
senza sottoscrizione da te con il compito di
parte dei soggetti parte- attrarre energie
cipanti al processo di
pianificazione
Piacenza
Stati generali e Forum Piano
dello Sviluppo
approvato
dal Attuazione: Gruppi di
Consiglio comunale e progetto
per
singoli
sottoscritto dai soggetti temi. Verifica: Nucleo
partecipanti al processo di
di pianificazione
Roma
Sesto
San
monitoraggio
valutazione
Due conferenze pub- Piano interrotto
Al
bliche di presentazione
prevista
Giovanni Forum dello Sviluppo
e
Piano sottoscritto
momento
non
Comitato intercomuna-
(MI)
le per la realizzazione
delle azioni previste dal
piano strategico
Torino
Forum dello Sviluppo
Piano
approvato
dal Associazione
Torino
Consiglio comunale e Internazionale
sottoscritto dai soggetti
partecipanti al processo
di pianificazione
Trento
Forum per raccogliere Piano
approvato
dal Per
la
gestione
del
le opinioni di interlo- Consiglio comunale e piano è stato costituito
cutori privilegiati sul sottoscritto dai soggetti l’Urban
futuro della città
Center
della
partecipanti al processo città di Trento
di pianificazione
Varese
Convegno da cui prende Approvazione
forma
e
sostanza ciazione
l’ipotesi
di
pianifica- riavviato
zione
strategica,
già
e
asso- Associazione
Varese
processo Europea con il compito
di attuare le azioni del
piano
avanzata dalle associazioni ambientaliste della città
Venezia
Incontri con gli inter- Presa d’atto e processo Prevista la costituzione
locutori privilegiati, ta- riavviato
di
una
Agenzia
vole rotonde, convegni,
piano strategico come
workshop e meeting
naturale evoluzione dell’Ufficio del piano
127
del
Vercelli
Seminari introduttivi e Piano in costruzione
Al
di
prevista
presentazione
alla
momento
non
città
Verona
Incontro con la città e le Piano sottoscritto
Costituenda
istituzioni per la pre-
zione
sentazione del processo
strategico
per
Associail
piano
Fonte: informazioni tratte dai documenti dei 16 piani strategici e da colloqui con i responsabili dei
piani
Risultati del prodotto “piano strategico”
Dall’esame dei documenti relativi ai 16 casi di pianificazione strategica urbana oggetto
dell’indagine, emergono alcuni dei risultati ottenuti tramite il piano strategico inteso come
prodotto finale. Si tratta sia di risultati relativi ad accordi di partenariato intercorsi fra i
soggetti pubblici e privati che hanno partecipato al processo di pianificazione strategica, sia
di concrete realizzazioni di progetti previsti dal piano strategico. Occorre anche segnalare
che la pianificazione strategica sembra aver prodotto come risultato costante una maggiore
apertura degli enti locali verso innovazioni tecnologiche sia di prodotto sia di processo.
Resta il fatto che, dato lo stato di continua evoluzione degli enti locali, è ancora prematuro
trarre delle conclusioni di valenza generale per quanto riguarda i risultati che gli stessi enti
hanno ottenuto attraverso il processo di pianificazione strategica. Pertanto, quanto qui
presentato è da considerarsi come un quadro parziale dei risultati ottenuti dagli enti locali
attraverso lo strumento del piano strategico così come è stato messo a punto ed attuato
nelle singole realtà locali. L’esposizione che segue è fatta per alcune osservazioni puntuali in
base all’ordine alfabetico delle città esaminate, ed è seguita da considerazioni generali sui
risultati conseguiti nel campo dell’innovazione tecnologica.
1. Copparo (FE). Per quanto riguarda l’attuazione del prodotto, dopo la presentazione del
piano, avvenuta nell’aprile 2004, alcune attività sono giunte a conclusione o a significativi
livelli di avanzamento in relazione a:
-
il laboratorio delle arti applicate “Le vasaie del Po” per il quale sono state realizzate
alcune opere esposte presso il Comune di Jolanda di Savoia;
-
la raccolta di fondi per l’acquisto di una Risonanza Magnetica Articolare.
Si prevede la costituzione di un ufficio apposito o di una società mista per l’attivazione e il
monitoraggio del piano strategico che è stato approvato nel marzo del 2004.
2. Cuneo. Il piano è ancora in costruzione. Un risultato intermedio è costituito dalla
attivazione di una serie di incontri per definire gli scenari futuri di Cuneo e della sua area,
con la partecipazione dei principali soggetti istituzionali e di molti dei centri di interesse
privato.
128
3. Firenze. In questo caso, come è emerso nel corso del colloquio diretto con l’Assessore alla
Pianificazione strategica del Comune di Firenze, i maggiori risultati del prodotto piano strategico Firenze 2010. Piano strategico dell’area metropolitana fiorentina riguardano, da un
lato una questione di metodo, dall’altro la realizzazione di una azione prevista dal piano.
Il piano strategico di Firenze si è rivelato come un supporto importante per
l’amministrazione comunale di Firenze, in particolare per quanto riguarda le opere di
riqualificazione urbana. Un esempio è dato dal percorso parallelo fra il piano strategico e il
piano strutturale attivato successivamente, ed impostato anche per far fronte alle opere di
riqualificazione individuate dal piano strategico. Secondo l’opinione dell’Assessore alla
Pianificazione strategica, nel caso di Firenze il piano strategico ha fornito la base di studio e
analisi, mentre il piano strutturale ha rappresentato la parte operativa che tiene molto in
considerazione le indicazioni del piano strategico, soprattutto per quanto riguarda il lavoro
da fare sulle aree dismesse.
Il piano strategico, inoltre è riuscito a dare dignità a decisioni che altrimenti sarebbero
rimaste sotto tono come ad esempio lo spostamento fuori dal centro storico di alcune
Facoltà dell’Università degli Studi di Firenze. Il piano strategico ha fatto ordine fra progetti
che sarebbero stati portati avanti e finanziati in maniera casuale, anche attraverso l’opera di
divulgazione e di comunicazione che ad esso è stata affiancata.
4. Genova. L’iter del piano si sviluppa, di fatto, in parallelo a due avvenimenti che hanno un
gran peso nella sua attuazione: il summit del G8 tenutosi a Genova nel 2001, e
l’attribuzione a Genova del ruolo di Capitale Europea della Cultura nel 2004.
I due avvenimenti esercitano una profonda influenza sul piano e lo caratterizzano in modo
del tutto particolare: sono veicolo di finanziamenti pubblici cospicui e concentrati su un
periodo relativamente breve (ad es. Urban 1, Urban 2, PRUSST, ecc.). Il summit G8 porta
investimenti pubblici per 100 milioni di euro, che inducono a loro volta investimenti privati
di pari dimensioni; altrettanto avviene con Genova Capitale Europea della Cultura 2004.
I due avvenimenti mobilitano attorno a temi di carattere cittadino e di buona performance
dei progetti per la città, importanti soggetti della vita genovese, sia pubblici che privati, le
forze sociali e così via. Le stesse vicende drammatiche connesse ai disordini scaturiti in
occasione dello svolgimento del G8 permettono a Genova, in quanto città ospitante, di
avere una copertura di immagine vastissima e sostanzialmente positiva in tutto il mondo,
come nessuna operazione di marketing territoriale sarebbe riuscita ad ottenere.
Per quanto appena detto, il piano strategico riesce solo in parte a svolgere le sue funzioni di
catalizzatore di risorse e di elemento di diffusione dei concetti di partecipazione e
condivisione. Infatti, dopo un primo momento di consultazione dei soggetti per identificare
gli obiettivi e le azioni (viene inizialmente avviato una sorta di “Forum dello Sviluppo” di
129
cui fanno parte tra gli altri comune, regione, provincia, autorità portuale, Camera di
Commercio, università, sindacati; dopo qualche riunione l’interesse a parteciparvi scema e
di fatto viene interrotto), il coinvolgimento dei soggetti non avviene tanto attraverso la
sottoscrizione di programmi e progetti condivisi, quanto attraverso il renderli
corresponsabili nell’attuare le azioni previste e indotte da G8 e soprattutto da “Genova
2004”. I notevoli flussi di denaro pubblico e i problemi connessi alla loro gestione,
permettono di realizzare in tempi brevi interventi importanti o di proporre azioni di spicco
che a loro volta trainano interventi privati diffusi.
5. La Spezia. Fin dal 2001 a La Spezia si sono avviati i lavori di attuazione dei progetti
previsti nella bozza di piano strategico.
Con la ripresa dei lavori del piano nel novembre del 2003, sono stati messi a punto e avviati
alcuni progetti fondamentali che concretizzano la già individuata visione del futuro della
città. Essi si inquadrano nell’ambito dell’economia (con Spedia), della formazione
universitaria (con Promostudi), delle politiche di sostenibilità ambientale (con il Forum e il
piano di azione di Agenda 21), della progettazione partecipata (con il Progetto Quartieri),
del welfare (con il piano di sviluppo dell’economia sociale, la Conferenza permanente sulle
problematiche dell’handicap e della salute mentale e con l’istituzione dell’Ufficio di Piano di
Zona).
6. Perugia. Il piano strategico Perugia Europa 2003-2013 è la naturale prosecuzione delle
molteplici attuazioni di politiche ambientali, urbanistiche, economiche, sociali, di
prevenzione e tutela portate avanti, in modo a volte poco coordinato e a volte in modo del
tutto disgiunto, dalle 7 amministrazioni locali dell’area che hanno collaborato attivamente
alla formazione del piano, l’hanno approvato ed ora sono impegnate nella fase di
attuazione. Tra tutte le azioni (100) nelle quali il piano strategico è articolato, si segnalano
le seguenti iniziative per la loro importanza e per il loro grado di attuazione piuttosto
avanzato:
-
Costruzione del Polo Unico Ospedaliero, il più importante nell’area compresa fra
Roma e Firenze.
-
Definizione del riuso dell’area del Policlinico Monteluce, di prossimo trasferimento.
-
Progettazione della seconda tratta Minimetrò Pincetto-Sant’Anna-Monteluce.
-
Avvio progetti per miglioramento e potenziamento della capacità di servizio
dell’aeroporto di S. Egidio.
-
Progetto POST (Perugia Officina della Scienza e Tecnologia); implementazione
dell’area museale dedicata alla divulgazione scientifica.
-
Realizzazione di un centro di produzione e servizi audio-musicali.
130
7. Pesaro. In questo caso dai documenti esaminati e dal colloquio con la responsabile
dell’Urban Center di Pesaro è emersa la trasversalità del piano strategico che è stato in
grado di travalicare le competenze specifiche degli enti locali. Il successo del piano
strategico deriva anche dalla capacità del comune di ragionare in termini di problemi da
risolvere e non competenze da conquistare e gestire. Inoltre, secondo la Direttrice
dell’Urban Center il piano strategico ha contribuito a fornire impulsi sul piano
dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. In questo senso viene citata la riqualificazione
della più antica area industriale di Pesaro, destinata a terziario avanzato e allo sviluppo
delle tecnologie della comunicazione. Per questa operazione è stato fissato un termine di
attuazione di 10 anni, durante i quali sarà necessario predeterminare il meno possibile, per
evitare precoce obsolescenza del progetto rispetto alla concreta evoluzione delle dinamiche
sociali ed economiche.
8. Piacenza. Il piano strategico adottato con delibera comunale è in fase di attuazione,
risulta molto ricco di iniziative concrete ma sembra emergere un atteggiamento settoriale
che lo rende in parte privo di organicità e di una chiara visione per lo sviluppo a lungo
termine.
L’attuazione del piano è affidata ai Gruppi di progetto per singoli temi, mentre la verifica
dello stato di avanzamento dei progetti e di valutazione degli impatti sul sistema locale in
termini economici, sociali e territoriali, è affidata ad un Nucleo di Monitoraggio e
Valutazione, che utilizza le informazioni disponibili presso gli enti coinvolti e gli Uffici studi
esistenti. Il Nucleo di Monitoraggio e Valutazione è costituito da personale docente
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
A maggio 2004, risultavano realizzati o avviati i seguenti progetti:
-
Piano di Marketing Territoriale.
-
Natural Valley.
-
Centro per la Sicurezza Alimentare.
-
Istituto Trasporti e Logistica (ITL).
-
Sistema ciclo-pedonale lungo il Po (Programma Speciale d’Area “Po fiume
d’Europa”).
-
Programma Speciale d’Area Logistica.
-
Conferenza Provinciale Welfare.
-
Nuova Conca Isola Serafini (progettazione ultimata).
-
Completamento Tangenziale sud Piacenza (1° stralcio in esecuzione, 2° stralcio in
progettazione definitiva).
-
La Faggiola (costituzione società e primo stralcio lavori).
131
9. Roma. Il piano è stato interrotto. Gli studi preparatori prodotti nel percorso di
formazione del piano costituiscono un patrimonio di idee e intuizioni, in gran parte da
sviluppare, che potrebbe essere la base, quantomeno, di piani di sviluppo urbano di scala
ridotta o di tipo settoriale.
10. Sesto San Giovanni (MI). Per un’area come il Nord Milano, è stato fondamentale
comunicare visivamente l’immagine strategica del cambiamento; questo perché è divenuto
fondamentale per il pianificatore rendere comprensibile il futuro che si intende costruire. Il
piano strategico del Nord Milano ha quindi rappresentato non solo lo strumento da
utilizzare per mettere in relazione una serie di possibili opzioni progettuali, ma anche lo
strumento per comunicare alla società la nuova direzione che quel territorio avrebbe preso
per molto più tempo dei successivi dieci anni indicati come termine di riferimento
strategico.
La scelta di comunicare quanto più agevolmente possibile il risultato ultimo del prodotto
piano strategico rappresenta una delle caratteristiche di questo processo di pianificazione.
Per quanto riguarda i concreti risultati del prodotto, dopo la presentazione del piano alcune
delle attività svolte in parallelo sono giunte a conclusione o a significativi livelli di
avanzamento:
-
Agenda 21, di cui è stata presentata nel 2002 sia la RSA che il PDL;
-
la co-progettazione del Forum del Nord Milano sui temi delle politiche attive del
lavoro e dell’orientamento (adesione al Pic Equal);
-
la collaborazione con la provincia nella costruzione del nuovo Ptcp che ha di fatto
incrociato il lavoro di elaborazione del piano strategico.
11. Torino. Il piano di Torino, approvato nel febbraio del 2000, ha già visto la realizzazione
di diverse delle 84 azioni in esso previste. Molte di esse, anche in vista dell’appuntamento
delle Olimpiadi del 2006 sono inerenti gli obiettivi di promozione dello sport come mezzo
per l’innalzamento della qualità della vita, della coesione sociale e della promozione
turistica. La città ha avviato nel 2004 una profonda revisione del piano strategico che
dovrebbe portare nel 2006 al varo di un aggiornamento così profondo delle previsioni di
piano che il nuovo insieme di obiettivi e azioni assumerà la valenza di secondo piano
strategico dell’area di Torino. Nel corso del 2005 sono stati prodotti due documenti
preparatori (intitolati: “Scenari per il sistema locale” e “Verso il secondo piano strategico”)
a cura dell’Associazione Torino Internazionale.
12. Trento. Il prodotto piano strategico si propone di mantenere l’attenzione sul tema della
partecipazione e della condivisione infatti:
132
-
prevede seminari tematici di aggiornamento su argomenti specifici e/o su situazioni
di contesto, in modo da correlare la “manutenzione” del piano strategico con
l’evoluzione del quadro di riferimento;
-
accompagna la fase propriamente gestionale del piano con un adeguato
investimento comunicativo, adottando un piano finalizzato;
-
rafforza e finalizza, attraverso un sistema di convenzioni e protocolli formali
costruiti su singole misure o singoli assi strategici, la disponibilità dei partner del
piano (attori urbani, altre città, altri livelli istituzionali) a rinnovare la propria
adesione alla metodologia della governance e alla realizzazione, per la parte di
rispettiva competenza, delle misure individuate;
-
mantiene relazioni formali e strutturate con le reti delle “città strategiche” sia a
livello nazionale che europeo.
Dopo la chiusura di Trento 2001-2010, nel novembre 2003 è stata deliberata la costituzione
dell’Urban Center della città di Trento con il compito di mantenere aperti i circuiti
partecipativi e concertativi necessari per la “manutenzione” del piano, la sua riproduzione,
il suo aggiornamento, il riallineamento dei suoi obiettivi. L’Urban Center ha soprattutto il
compito di evitare che il piano, da insieme progettuale coerente, venga parcellizzato in una
sommatoria di azioni. Entro la fine del 2005 è previsto l’avvio della preparazione del
secondo piano strategico di Trento (Trento 2020), per il quale non vi sono ancora
documenti preparatori.
13. Varese. I primi risultati di questo prodotto riguardano:
-
l’iniziativa dell’Ecomuseo dell’ottobre 2001, su impulso del Presidente della Regione
Lombardia e del Sindaco di Varese, attraverso il Gruppo di lavoro sul turismo del
piano strategico;
-
un libretto promozionale delle grandi mostre sul ritratto lombardo, realizzato su
impulso del piano strategico;
-
gli incontri e i dibattiti sulla pianificazione strategica a cui partecipano anche i
sindaci di città che in Italia hanno già portato a termine il processo di pianificazione
strategica.
Il Comune di Varese si pone come ente locale promotore di primaria importanza di queste
iniziative, in grado di attrarre attorno a sé 28 comuni limitrofi e di individuare una concreta
area territoriale varesina, dandogli una missione da seguire attraverso una visione di lungo
termine.
133
14. Venezia. Dopo un periodo di stasi intermedio la preparazione del piano ha subito una
accelerazione nel 2004 giungendo alla presentazione della versione finale nell’ottobre del
2004. Il principale risultato conseguito è forse l’affermazione di un principio di
collaborazione trasversale tra il Comune di Venezia, i principali comuni confinanti con
l’area della terraferma e alcuni grandi soggetti collettivi privati nell’affrontare i problemi di
sviluppo dell’area, intesa come una città metropolitana.
15. Vercelli. Il piano non è stato completato e non ci sono indicazioni precise sui tempi di
una eventuale ripresa dei lavori. Un risultato raggiunto è stato quello di aprire la città a un
dibattito a più voci sul suo futuro di medio e lungo periodo, nell’ambito di un contesto
territoriale dominato da magneti urbani di grande attrazione (in primo luogo Torino e
Milano, ma anche Novara, Alessandria e Pavia).
16. Verona. I primi risultati del piano strategico sono noti dal febbraio 2004 e per il
momento sono relativi da un lato ad un lavoro di approfondimento dei singoli progetti da
parte di diversi attori e dall’altro lato consistono nello sviluppo di azioni per l’istituzione di
un’associazione per la gestione del piano strategico. Un’impostazione di questo tipo
implica, per il momento, la mobilitazione di risorse finanziarie ed umane relativamente
limitate.
Un risultato costante che gli enti locali sembrano aver ottenuto attraverso l’applicazione del
metodo della pianificazione strategica in campo urbano è una attenzione particolare verso
le innovazioni tecnologiche sia di prodotto che di processo. L’analisi delle informazioni di
prima mano reperite per i 16 casi studio della presente indagine mette in evidenza come
tutti i piani strategici analizzati contengano uno o più assi portanti sul tema
dell’innovazione tecnologica. In linea generale le concrete modalità di attuazione della
innovazione avvengono attraverso il cablaggio della città con fibre ottiche, l’adozione di
tecnologie wireless, o tramite la costituzione di portali multifunzionali. Le concrete
applicazioni di queste tecnologie sono rivolte non solo ad accrescere la partecipazione dei
residenti e degli utilizzatori delle funzioni urbane ai momenti decisionali dell’azione
pubblica, ma anche e forse soprattutto a rilanciare e ristrutturare i sistemi di imprenditoria
locale. Al riguardo si possono citare tre azioni esemplari contenute in altrettanti piani.
Il primo caso concerne le azioni bandiera del piano strategico Perugia Europa 2003- 2013.
Piano strategico di Perugia, Bastia, Corciano, Deruta, Marsciano, Torgiano, Umbertide
approvato nell’aprile del 2004, tra le quali è presente l’azione “Realizzazione di aree digitali
wireless in ciascuno dei comuni aderenti al piano”. Il secondo caso è dato dal “Piano del
Nord Milano” sottoscritto nel 2001, in cui si prevede l’azione “Attuare il cablaggio del Nord
Milano”. Le azioni dei due piani citati si collocano, rispettivamente, nell’obiettivo intitolato
“Ottimizzazione e coordinamento dell’azione delle aziende di servizi” e nell’obiettivo
134
“Strategie per l’innovazione e lo sviluppo: dal declino della grande impresa l’opportunità
della creazione di un nuovo polo delle tecnologie avanzate”. Il terzo caso, tra i diversi che si
potrebbero elencare, è quello del piano strategico di Torino che nel corso della sua
attuazione ha dato sempre più spazio al progetto “Torino Wireless”, tanto da sostenere la
creazione nel 2004 di una omonima fondazione che ha la missione di rendere l’area
metropolitana di Torino una delle aree metropolitane più innovative e meglio servite in
Europa dalla tecnologia di “Internet senza fili”.
Riportiamo di seguito due tabelle riassuntive. Nella prima sono riportate le linee
strategiche, presenti nei piani esaminati dalla presente indagine, inerenti l’innovazione
tecnologica. Nella seconda tabella sono invece riportate le azioni, contenute in quelle linee,
attraverso le quali mettere in pratica la strategia riportata.
Tabella 2.19.3
Quadro comparativo delle linee strategiche riguardanti l’innovazione tecnologica
presenti in 16 piani strategici
Casi studio
Copparo (FE)
Linee strategiche inerenti l’innovazione tecnologica
Promuovere l’imprenditorialità e l’occupazione attraverso lo sviluppo della
ricerca, della formazione e della valorizzazione del territorio - Per un
aumento del valore del Capitale Umano
Cuneo
Linee non ancora definite
Firenze
Promuovere l’innovazione con una migliore integrazione delle risorse e
delle funzioni
Genova
La gestione della città (organizzazione e risorse)
La Spezia
Rilanciare e articolare l’apparato industriale puntando sul distretto
nautico, le nuove tecnologie, la riorganizzazione della rete delle agenzie
per lo sviluppo locale e la modernizzazione del sistema formativo
Perugia
Accrescere l’integrazione territoriale e l’offerta di servizi di interesse
pubblico
Pesaro
Società dell'informazione e nuove tecnologie dell’ICT
Piacenza
Reti e Servizi
Roma
Creare una città efficiente, vivace, di elevata qualità ambientale
Sesto
S.
Giovanni
Le strategie di sviluppo delle risorse umane: interpretare e gestire il
(Nord Milano)
cambiamento valorizzando le culture del lavoro e dell’impresa
Torino
Promuovere imprenditorialità e occupazione
Trento
Trento, città della formazione e dello sviluppo innovativo
Varese
Migliorare la propensione all’innovazione del contesto locale economico e
produttivo e nel campo della ricerca
Venezia
Città degli abitanti: plurale, solidale, sostenibile
135
Vercelli
Linee non ancora definite
Verona
Sviluppare l’economia della conoscenza e dei servizi ad alto valore
aggiunto
Fonte: analisi dei 16 piani strategici delle città
Tabella 2.19.4
Quadro comparativo delle azioni strategiche riguardanti l’innovazione tecnologica
presenti in 16 piani strategici
Casi studio
Azioni strategiche relative agli assi rivolti all’innovazione
tecnologica
Copparo (FE)
Sostenere un progetto per l’innovazione della rete commerciale
Cuneo
Linee non ancora definite
Firenze
Firenze nell’e-government
Genova
Dal Patto di Eugeni@ alla realizzazione della rete educativa della città
La Spezia
Formazione per la Net-Economy
Perugia
Realizzazione di aree digitali a fibra ottica o wireless in ciascuno dei
comuni aderenti al piano
Pesaro
- Favorire la crescita e lo sviluppo di imprese della new-economy
- E-government
Piacenza
Progetto “Gestione servizi a rete”, costituito da un portale Intranet rivolto
a privati, enti locali, associazioni di categoria ed aziende per la fornitura di
servizi da e per la Pubblica Amministrazione al fine di ottenere un
multisportello virtuale nell’ambito dell’agricoltura, industria, servizi,
sanità, urbanistica e tributi
Roma
Utilizzare le tecnologie dell'informazione per migliorare l'efficienza
urbana: telemedicina, telelavoro, teleconferenze
Sesto
S.
Giovanni
Attuare il cablaggio del Nord Milano
(Nord Milano)
Torino
Promuovere e valorizzare i “distretti tecnologici” presenti nell’area
torinese (automazione-design, robotica, macchine utensili, information
and communication technology) attraverso l’individuazione e la messa a
punto di servizi comuni nel campo della formazione, della qualità,
dell’ambiente. Realizzare il progetto “Torino wireless”
Trento
Piano interistituzionale di e-government
Varese
Progetto “cittadella dell’innovazione”
Venezia
Promuovere l’e-government
Vercelli
Linee non ancora definite
Verona
Sviluppare l’e-government
Fonte: analisi dei 16 piani strategici delle città
136
Alcuni piani strategici presentano una particolare concentrazione di iniziative relative alle
nuove tecnologie di comunicazione connesse direttamente allo sviluppo economico locale.
Si tratta dei piani delle città di: Torino, Perugia, Pesaro, Piacenza, Varese, Copparo, Sesto
San Giovanni. Vi sono poi casi di piani in cui si può cogliere una attenzione marcata anche o
prevalentemente verso l’innovazione tecnologica in relazione a programmi di attuazione
dell’e-government. È quanto si verifica nei piani delle città di: Firenze, Trento, Venezia,
Pesaro, Verona. Infine, l’analisi ha messo in luce la presenza di un buon numero di azioni,
di tipo pubblico e privato, che prevedono l’utilizzo dell’innovazione tecnologica per
specifiche procedure di formazione, educazione e agevolazione di determinati settori
economici o componenti della società (anziani, giovani, stranieri, ecc.). Si tratta dei piani
delle città di: Genova, Roma, Trento, Pesaro, Piacenza.
In conclusione, sembrerebbe che lo strumento del piano strategico sia stato usato in tutti i
16 casi esaminati come una occasione di confronto tra soggetti pubblici e privati per
stimolarsi a vicenda sulla necessità di fare progredire la comunità locale in modo armonico
sulla strada dell’innovazione tecnologica di prodotto e di processo. Le azioni concrete che i
vari piani hanno definito spaziano da progetti di realizzazione e miglioramenti delle reti
esistenti, alle innovazioni delle procedure amministrative pubbliche permesse dalle nuove
tecnologie, alla formazione degli utenti in generale e di particolari categorie professionali.
Resta la costante che con il piano strategico i principali soggetti pubblici e privati hanno
potuto mettere a fuoco iniziative comuni a forte componente tecnologica in anticipo
rispetto ad altre città, quindi cogliendo alcuni vantaggi dato il fattore tempo è determinante
per cogliere appieno i vantaggi delle innovazioni offerte dalle nuove tecnologie.
137
CAPITOLO 3
LINEE GUIDA PER LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE IN TEMA DI
PIANIFICAZIONE URBANA STRATEGICA∗
La presente indagine documenta lo stato della pianificazione strategica urbana in Italia con
due finalità. La prima è quella di contribuire all’analisi delle iniziative già avviate per
consentire agli enti locali direttamente coinvolti di migliorare i progetti in corso sotto lo
stimolo di una osservazione esterna indipendente. La seconda, e più importante, è quella di
avanzare delle prime indicazioni di “buone pratiche” per i tanti enti locali che stanno
considerando di ricorrere alla metodologia della pianificazione strategica per affrontare su
basi più solide e con prospettive più ampie le problematiche dello sviluppo dei rispettivi
sistemi territoriali.
A tal fine si propone una riflessione critica e propositiva articolata in tre parti. Nella prima
parte si presenta una sintesi degli elementi di criticità e di opportunità dei 16 casi. Vengono
posti in luce gli aspetti di originalità che ognuno di essi presenta, così come i suoi punti di
forza e di debolezza. Lo scopo è quello di mettere in luce come ogni caso di pianificazione
strategica urbana sia per molti versi una storia a sé stante, da cui non si possono trarre
direttamente delle conclusioni a valenza generale, se non a rischio di pesanti
semplificazioni.
Nella seconda parte si presenta un’analisi dei fattori critici delle esperienze osservate e si
mettono in evidenza quattro aspetti di particolare rilevanza per tutti gli enti locali che
vogliono considerare a priori i requisiti di una buona pratica di pianificazione strategica
urbana. Il primo aspetto riguarda il territorio del piano strategico relativo alla dimensione
ottimale del piano strategico dal punto di vista spaziale. Questo aspetto, com’è evidente,
non è una questione astratta dato che esprime il grado di rappresentatività territoriale del
soggetto iniziatore del processo di pianificazione. Il secondo aspetto è l’analisi del mix
pubblico-privato degli attori iniziatori e coinvolti nel piano strategico, ovvero prima nella
fase di preparazione, poi nella fase di gestione del piano. Da questo elemento discendono
due considerazioni, la prima sulla capacità del piano di rappresentare in modo adeguato la
comunità locale e la seconda sulle possibilità del piano di essere attuato nel tempo.
Il terzo aspetto consiste nei rapporti tra il piano strategico e gli strumenti di pianificazione
fisica dell’area di pertinenza del piano stesso. Si è deciso di dedicare a questa relazione
un’attenzione particolare perché dall’esame dei 16 casi oggetto dell’indagine emerge che
∗
Di Gastone Ave e Paolo Ceccarelli.
139
uno degli elementi cruciali per la fase di attuazione del piano strategico è quello della buona
sintonia tra la visione e le linee strategiche del piano, da una parte, e le previsioni di
sviluppo edilizio e urbanistico previste dagli strumenti di pianificazione, dall’altra. Inoltre,
come quarto aspetto dell’analisi, si è posta l’attenzione sulla rilevanza strategica delle azioni
concrete inserite nel piano strategico e sul loro arco temporale di riferimento.
Infine, si affronta direttamente il tema della trasferibilità degli aspetti migliori dei 16 casi
oggetto dell’indagine, evidenziando per quanto possibile gli errori più evidenti da evitare, i
fattori di successo che potrebbero in qualche misura essere replicati in altri contesti, i
metodi di comunicazione interna ed esterna più efficaci tra quelli analizzati sul campo.
Nelle conclusioni si cerca di indicare le ragioni per le quali ci pare concreta la possibilità di
trasferire i migliori risultati della pianificazione strategica urbana sulle modalità generali di
gestione e di pianificazione dell’ente locale. Si indicano anche alcune delle condizioni da
rispettare affinché tale trasferimento avvenga. Da ultimo, si segnalano le tendenze di
evoluzione della pianificazione urbana strategica nel contesto italiano.
3.1
Analisi
3.1.1. Elementi di criticità e opportunità
Le criticità
Gli elementi che vengono considerati critici dalle varie tipologie di istituzioni locali
considerate – comuni di grande dimensione, comuni medi, associazioni di comuni grandi e
piccoli – e che motivano l’impegno e la giustificazione di ciascuna di esse a darsi piani
strategici sono abbastanza variati. Rientrano in gran parte nelle grandi e comuni categorie
dei fattori di crisi. In alcuni casi però le scelte sono state invece motivate dalla criticità di
segno opposto: la necessità di dare un senso più preciso e di “mettere ordine” in processi di
trasformazione e sviluppo già in atto e che richiedono d’essere governati per non produrre
effetti negativi. Di seguito si indicano le criticità più ricorrenti.
La situazione demografica
La situazione demografica è uno dei fattori di maggiore preoccupazione delle
amministrazioni locali e si articola in modo diverso:
•
Perdita di popolazione sia in termini assoluti, per emigrazione dei residenti
tradizionali altrove, bassa natalità e nessuna tendenza al riequilibrio attraverso
immigrazione, sia in termini relativi: forte pendolarismo su centri vicini che
trasforma
progressivamente
un
territorio
comunale
in
“area
dormitorio”
scarsamente reattiva alle necessità di trasformazione economica e sociale locale;
140
•
Invecchiamento della popolazione residente. In alcuni casi una buona parte della
quota di popolazione più giovane corrisponde agli immigrati, con seri problemi di
disomogeneità, adattamento, integrazione;
•
La quantità insufficiente di popolazione, cioè la mancanza di una massa
demografica tale da consentire di attrarre particolari funzioni, di sviluppare in modo
autonomo determinati servizi, e così via. Da ciò è motivato spesso lo sforzo di
collaborare tra più enti locali, anche per poter raggiungere i livelli minimi sufficienti
per non chiudere determinati servizi o, nei casi in cui tali livelli minimi esistano
anche senza aggregazioni, per aumentare il loro livello di efficienza e migliorare le
prestazioni complessive degli enti locali coinvolti.
La dimensione territoriale limitata
La limitazione territoriale di alcuni comuni rende spesso impossibile sviluppare nuove
funzioni su scala maggiore, riequilibrare particolari processi, controllare l’efficacia di
determinate politiche infrastrutturali. Questo vale tanto per città importanti, con territori
comunali limitati, che per comuni di media dimensione, contigui a grandi aree
metropolitane che si sviluppano con criteri molto diversi. Da ciò derivano spesso le
iniziative volte a consorziare più comuni in programmi congiunti che implicano una scala
territoriale più ampia.
La scarsa accessibilità
In alcuni casi di centri urbani di minore dimensione, o di territori di comuni associati tra di
loro, la scarsa accessibilità (spesso retaggio del passato e mai del tutto superata anche in
tempi recenti) è determinante per avviare la costruzione del piano strategico. Sono tre i
fattori considerati critici in termini di accessibilità:
•
il primo è connesso all’ubicazione marginale del territorio considerato, rispetto ai
principali sistemi di comunicazione;
•
il secondo riguarda l’assenza di adeguate infrastrutture o la presenza di
infrastrutture che collegano punti più lontani e fanno “saltare” i territori intermedi;
•
il terzo è il risultato dei processi di polarizzazione interni alle aree ad alto sviluppo:
si può essere territorialmente marginali e poco accessibili anche all’interno di
sistemi metropolitani in forte sviluppo.
La stagnazione dovuta a basi economiche in crisi o poco diversificate
Le cause di stagnazione variano da luogo a luogo. La crisi di tipo classico riguarda
l’industria ed in particolare la grande industria che a suo tempo ha portato benessere,
141
innovazione, opere pubbliche, ma poi ha contribuito a sclerotizzare le realtà locali e a
renderle poco reattive in termini di risposta al mutamento. Ma la criticità non sta solo nella
crisi della monocultura industriale e della grande impresa; è in genere la monocultura
economica (e conseguentemente sociale) che preoccupa gli amministratori locali:
monocultura dell’amministrazione pubblica in talune città, monocultura agricola in altre,
monocultura del turismo in altre ancora.
Di fatto la stagnazione può coincidere con l’inevitabile concludersi di un ciclo di sviluppo
tecnologico ed economico, ma quello che preoccupa di più è la scarsa reattività di un
sistema locale alla crisi, e l’incapacità di assumere in modo autonomo nuove direzioni
rispetto al mutamento generale, anche se la situazione economica locale è buona, ma poco
innovativa. Questo porta a due linee di risposta:
1)
la necessità di diversificare la base economica, cercando di attrarre nuove e diverse
funzioni;
2) la necessità di stimolare l’imprenditorialità locale.
La necessità di diversificazione è particolarmente sentita dalle città con maggiore sviluppo
turistico: si teme infatti che un eccesso di specializzazione turistica abbia effetti negativi su
altri, indispensabili settori dell’economia; che ponga lo sviluppo locale alla mercé delle
fluttuazioni economiche e dei processi politici internazionali; che abbia contraccolpi sullo
stesso turismo (turismo di massa contro turismo di qualità, ecc.).
I limiti dell’imprenditorialità locale nel rispondere a queste situazioni di stallo sono
egualmente sentiti come un elemento molto negativo, da superare attraverso iniziative di
diverso tipo ma sempre con l’ente locale nelle vesti di protagonista della promozione
economica e sociale del territorio.
Scarsa capacità imprenditoriale locale
La scarsa capacità imprenditoriale locale è evidenziata in numerose esperienze di
pianificazione strategica che la vedono in genere come un impedimento da rimuovere e,
una volta che sia superato, come un’importante risorsa in più. Di fatto, nelle comunità
interessate da un piano strategico, la capacità imprenditoriale (di tipo privato in primo
luogo, ma anche di tipo pubblico) è un presupposto essenziale. È curioso, anche se in buona
parte comprensibile, che a questa dichiarazione di indispensabilità, nei piani strategici non
corrispondano spesso linee di azione e prassi che in concreto aiutino ad incentivare la
formazione o lo sviluppo di questa imprenditorialità. Ne è prova il fatto che molti piani si
limitano ad “ascoltare” i problemi degli imprenditori, ma non si preoccupano di coinvolgerli
attivamente nella costruzione della nuova realtà, attraverso i Forum dello Sviluppo e le altre
142
forme di responsabilizzazione condivisa per la realizzazione del piano. In altri piani ci si
limita a tracciare una mappa degli “interessi” del territorio, ma non si presentano metodi
efficaci di coinvolgimento dei soggetti privati nel processo decisionale.
Le situazioni di effettivo mix pubblico-privato sono molto limitate. In sostanza, i promotori
dei piani constatano spesso che gli imprenditori privati locali non sono in grado di
comprendere e cogliere le possibilità offerte dalla pianificazione strategica, ma poi
gestiscono il piano stesso in forma molto centralistica, secondo modelli ormai superati e
attraverso politiche ed interventi prevalentemente pubblici che lasciano pochissimo spazio
all’iniziativa propositiva privata. Salvo poi richiamare l’intervento dei privati per sostenere
finanziariamente la realizzazione di certi eventi o progetti, o la gestione di determinati
programmi.
Scarsa capacità attrattiva rispetto a nuove funzioni
La scarsa capacità di attrarre funzioni deriva da più elementi ed è in genere considerato
come fattore negativo, in quanto verificato da esperienze non riuscite (il mancato
trasferimento di funzioni nuove che inizialmente sembravano interessate a spostarsi; il
fallimento di progetti che avrebbero dovuto creare le premesse per nuove forme di sviluppo;
la crisi di attività trasferitesi, ecc.) o dalla consapevolezza che mancano capitale fisso,
capitale umano, istituzioni di supporto, risorse finanziarie locali, imprenditori locali, in
grado di garantire che le nuove funzioni trasferitesi trovino un terreno di cultura migliore.
Mancanza di integrazione dell’azione pubblica
L’assenza di coordinamento ed integrazione delle politiche dei diversi attori pubblici è
ritenuta critica non solo in quanto causa di ritardi, inefficienze e sprechi ma anche perché di
ostacolo alla formulazione di strategie di ampio respiro su un arco di tempo di una certa
durata e su aree sufficientemente vaste. Tale assenza riguarda sia i rapporti verticali, tra
enti territoriali di scala diversa (regioni, province, comuni, ecc.), sia quelli orizzontali, tra
enti con responsabilità settoriali diverse e anche all’interno dello stesso ente, tra diverse
divisioni e servizi.
Le opportunità
Buona accessibilità e infrastrutture adeguate
La collocazione geografica rispetto ai grandi sistemi regionali europei e/o alle grandi
infrastrutture viarie, ferroviarie e aeroportuali è considerata in genere un fattore di notevole
importanza soprattutto in vista dello sviluppo di funzioni superiori che implicano facile
accessibilità, del turismo, ma anche possibilità di diversificazione economica. Un elevato
143
livello di infrastrutturazione permette anche più facilmente di configurare strategie di
costruzione di reti di città.
Diversificazione economica: credito, servizi alle imprese, logistica
La diversificazione economica e il superamento delle monoculture industriali o agricole
costituiscono un’opportunità per costruire strategie di ulteriore sviluppo. In particolare,
appare importante la presenza di attività terziarie di tipo nuovo come i servizi di credito, i
servizi alle imprese, la logistica nelle sue diverse forme. Altrettanto importante appare,
laddove già esistono esperienze di questo tipo, l’integrazione tra ricerca universitaria e
produzione. La diversificazione economica è vista anche come un fattore che consente
strategie più flessibili, in grado di cogliere meglio una varietà di opportunità e come
occasione per lo sviluppo di imprenditorialità, di nuove competenze professionali, ecc.
Presenza di servizi superiori: università e centri di ricerca
La presenza dell’università, spesso non particolarmente aiutata a livello delle politiche
locali, è considerata sempre un fattore strategicamente importante per sviluppare industrie,
servizi avanzati e funzioni culturali da un lato, e per attrarre popolazione giovane e
qualificata, dall’altro. Questo vale ovviamente, anche se il peso è minore, per centri di
ricerca, che in genere si localizzano dove già esistono università con le relative
infrastrutture. L’università e la ricerca non sono comunque quasi mai viste come elemento
centrale di una strategia di sviluppo (ad es. la formazione di una “città universitaria” o il
rafforzamento di un polo scientifico già esistente).
Ruolo internazionale
Le città che hanno una tradizione di rapporti internazionali o un ruolo di rilievo nei sistemi
internazionali, come le città sede di grandi gruppi economici multinazionali, le città d’arte
più importanti, le aree dove sono ubicati grandi centri logistici di importanza europea, ecc.,
sono del tutto consapevoli dell’importanza che riveste questa loro collocazione
relativamente alla formulazione di un piano strategico. I motivi sono diversi: più facile
comunicazione delle proprie iniziative e progetti, maggiore accesso alle fonti di
finanziamento internazionali, collegamento con progetti e programmi europei, ecc. La
convinzione che un’apertura internazionale sia comunque importante per lo sviluppo futuro
è diffusa anche tra le città che non hanno reali tradizioni in proposito. Significativo è ad
esempio il fatto che il termine “Europa” viene spesso abbinato alla dizione piano strategico,
così come è interessante notare l’interesse di alcune città ad entrare in reti europee di città
con piani strategici, ecc.
144
Patrimonio storico, artistico e culturale e turismo
La disponibilità di un importante patrimonio storico-artistico è un’opportunità di grande
peso nelle più importanti città d’arte italiane (che però, sono anche preoccupate degli
aspetti negativi connessi al grande successo turistico), ma che è vista con sempre maggiore
interesse anche da parte di centri urbani di rilevanza storico-artistica minore, che
considerano importante la valorizzazione di questa risorsa ai fini della diversificazione
economica, dell’indotto culturale nella società locale, della costruzione di un’immagine
nuova, del richiamo di notevoli quantità di persone dall’esterno in occasione di particolari
eventi artistico-culturali, ecc. Non è da sottovalutare inoltre anche il ruolo che il patrimonio
storico-artistico può avere nella costruzione di un’identità più precisa ed attraente.
Pianificazione urbanistica
L’esistenza di buoni ed aggiornati strumenti di pianificazione urbanistica è in generale
considerata un’opportunità. I piani urbanistici hanno talvolta anticipato scelte strategiche
(ad es. di infrastrutture, nuove grandi funzioni, aree verdi, tutela del patrimonio) che il
piano ha fatto proprie a livello di attuazione, o viceversa la costruzione del piano strategico
ha fatto emergere necessità ed opportunità che sono state travasate negli strumenti di
pianificazione urbanistica. Ci sono alcune città in cui l’elaborazione della pianificazione
strategica e della pianificazione urbanistica procedono di pari passo, con forti interazioni.
L’unico rischio riscontrato in questo caso è che il piano strategico tenda eccessivamente a
divenire strumento di attuazione di scelte urbanistiche, limitando così notevolmente la sua
portata. Un altro aspetto interessante del rapporto tra pianificazione urbanistica e quella
strategica emerge dalle esperienze di attuazione di “programmi urbanistici complessi”
(PRU, PRUSST, ecc.) che richiedevano il partenariato pubblico-privato. In alcuni casi sono
stati i banchi di prova di un rapporto fruttuoso che ha poi trovato riscontro nella successiva
esperienza di pianificazione strategica.
Qualità della vita
La qualità della vita è considerata un fattore positivo importante, anche se il livello di
qualità esistente non può essere espresso attraverso parametri precisi e si basa
fondamentalmente su un generico convincimento degli abitanti e su affermazioni positive
da parte delle amministrazioni locali o si fa talvolta riferimento alla posizione in classifiche
redatte da istituzioni indipendenti, o a statistiche ufficiali in materia di sicurezza.
L’attrattività di una particolare città e del territorio circostante rispetto alla qualità della
vita è espressa piuttosto in termini di risorse naturali esistenti, di previsioni degli strumenti
di pianificazione in materia di spazi verdi e traffico, dell’esistenza di procedure di Agenda 21
145
locale, di misure in termini di sicurezza, dell’esistenza di particolari servizi che dovrebbero
garantire “qualità”, ecc. In sostanza si cerca di costruire l’immagine della buona qualità
attraverso l’esistenza di alcuni fattori “oggettivi” da un lato (l’esistenza di particolari risorse,
attrezzature e servizi) e la dimostrazione dell’attenzione per la questione dall’altro
(strumenti di piano, politiche di settore, convegni sul problema, ecc.).
Società coesa
L’esistenza di una comunità locale coesa, integrata e tranquilla nella sua operosità è
considerata al tempo stesso un’opportunità ed un obiettivo. L’aspetto “risorsa” viene
espresso in due modi: come garanzia di sicurezza e di buone condizioni di vita (e così
rientra nei fattori positivi di qualità della vita), e come elemento importante per realizzare
determinate politiche. L’esistenza di tradizioni associative, di volontariato, di forme diverse
di organizzazione dal basso e di partecipazione sono considerati fattori importanti per il
processo di definizione, ma soprattutto di attuazione di particolari azioni del piano
strategico. È indubbio che laddove c’è esperienza consolidata e diffusa di decisione
condivisa e partecipata in diversi campi e su diversi problemi è più probabile che le scelte di
piano abbiano successo.
Collaborazione intercomunale consolidata
La tradizione di collaborazione tra enti locali contermini, su una varietà di materie di
comune interesse è sicuramente un punto di forza. Infatti, in alcuni casi il piano strategico
nasce da istanze espresse da istituzioni intercomunali, come momento di loro più esplicita
finalizzazione verso più impegnativi e complessi traguardi futuri e/o come occasione di
razionalizzazione delle stesse. Nei casi in cui non esiste questa esperienza, i documenti di
piano indicano la collaborazione tra istituzioni di governo locale come un elemento
indispensabile nella costruzione di una strategia.
Collaborazione privato-pubblico
La
collaborazione
pubblico-privato
rappresenta
un’esigenza
fondamentale
della
pianificazione strategica, la cui esistenza purtroppo in taluni casi è più dichiarata che
esistente, limitando così le azioni del piano a una sommatoria di interventi pubblici, che
talvolta sono anche scarsamente condivisi dalla popolazione. Laddove ci sono state
precedenti esperienze di collaborazione, la situazione è ben diversa, come indicano alcuni
Forum dello Sviluppo o altre forme, più o meno istituzionalizzate, di coinvolgimento dei
privati nel processo di costruzione e attuazione del piano. Anche in questo caso, come nei
casi in cui esiste consuetudine di collaborazione tra enti locali, il piano diventa uno
146
strumento guida, di razionalizzazione, con obiettivi che così possono essere raggiunti più
facilmente.
3.1.2. Elementi di originalità
I casi considerati hanno messo in luce una serie di elementi di originalità di natura diversa
che emergono sia nella fase di preparazione del piano strategico, sia nella fase della sua
attuazione.
Particolare attenzione per la fase di ascolto
È questa una caratteristica particolare di alcuni piani in fase di costruzione o di cui si sta
avviando l’attuazione. La fase di “ascolto del territorio” ha ricevuto particolare attenzione
attraverso varie forme di consultazione degli attori più rilevanti. Queste procedure sono
state spesso attuate con l’apporto metodologico di varie università che in questo modo
hanno “certificato” la validità scientifica delle procedure di analisi adottate. Sotto il profilo
tecnico si sono riscontrate diversità, anche profonde, nelle modalità di ideazione e
realizzazione delle consultazioni. Nella maggioranza dei casi ci si è concentrati nella fase di
indagine diagnostica sul rilevamento degli orientamenti dei portatori di interessi collettivi
di tipo pubblico e privato, riservando a una fase successiva l’allargamento dell’azione di
coinvolgimento diretto a un pubblico più vasto. In alcuni casi si è cercato fin dall’inizio un
coinvolgimento diretto della popolazione.
Trasformazione dell’assetto territoriale
Il piano strategico appare come occasione per realizzare trasformazioni dell’assetto
territoriale su vasta scala, ad esempio la realizzazione di reti di città che possano dare una
migliore risposta alle grandi trasformazioni economiche a livello europeo e abbiano la
dimensione necessaria per riequilibrare il sistema territoriale italiano.
Identità come fattore di sviluppo
La specificità della città, le sue caratteristiche, le sue tradizioni, che ne fanno un luogo
unico, hanno in alcuni casi un ruolo importante. Questa unicità dà alla città un’identità
particolare che diventa una risorsa su cui si costruisce una particolare strategia, ad es. di
città di particolare qualità negli stili di vita, di città ricca di istituzioni culturali e
scientifiche, di città con una struttura sociale coesa ed equilibrata, di città con una struttura
economica e sociale diversificata.
147
Iniziative per i giovani
Le politiche in favore dei giovani rappresentano un elemento distintivo di alcuni piani
strategici. Interessante, anche se raro, il collegamento tra le iniziative indirizzate al mondo
giovanile e quelle pensate per gli anziani o per l’integrazione degli immigrati.
Sviluppo avanzato
Le iniziative basate su funzioni avanzate come ricerca, industrie innovative, servizi
superiori, che possono disporre di una base di infrastrutture e servizi adeguati sono
sicuramente poche, proprio per la scarsità di situazioni di partenza di questo tipo in Italia.
Gli interventi presentati come politiche di sviluppo avanzato sono, a volte, limitati a
realizzare degli incubatori di impresa, spesso di dimensioni tali da renderli dei progetti
pilota, limitati sia sotto il profilo territoriale, sia per la loro limitata capacità di integrazione
con il sistema delle imprese esistenti.
Marketing
L’introduzione del marketing territoriale in alcuni piani strategici è certamente un elemento
di originalità che andrebbe sviluppato adeguatamente. Nei casi in cui le esperienze sono più
avanzate, si nota che si è superato l’errore, apparentemente ancora molto diffuso, di ridurre
il concetto di marketing territoriale a iniziative di comunicazione e promozione del
territorio.
3.1.3. Punti di forza e punti di debolezza
I punti di forza e di debolezza della pianificazione strategica esaminata corrispondono di
fatto alle opportunità-criticità e agli elementi di originalità che si sono analizzati in
precedenza.
Tra i punti di forza dei piani vi sono l’unicità di talune situazioni che consentono strategie
specifiche con notevoli margini di successo; l’ubicazione territoriale vantaggiosa rispetto a
particolari grandi infrastrutture; una buona base di servizi e infrastrutture; una base
economica già relativamente diversificata; un’efficiente macchina amministrativa del
comune promotore; l’esistenza di comunità locali coese con pratiche di collaborazione
pubblico-privato diffuse e consolidate; la collaborazione tra comuni diversi a livello
territoriale e tra enti diversi nello stesso contesto. Tutti questi elementi, anche se di natura
diversa, costituiscono una garanzia iniziale per un buon avvio ed una buona riuscita del
piano.
Tra gli elementi di forza di natura “immateriale” ma nella realtà ben percepiti se presenti,
va sottolineato in modo particolare la consuetudine dell’ente locale che promuove
148
l’iniziativa di pianificazione strategica di avvalersi di procedure di collaborazione pubblicoprivato nei campi più diversi (sviluppo economico, tutela ambientale, pianificazione
urbanistica, gestione dei servizi sanitari di base, ecc.). Tale consuetudine, laddove esiste,
appare il risultato di una serie di iniziative avviate nel tempo che nel loro insieme
contribuiscono a creare il migliore clima amministrativo, ma anche culturale, affinché
iniziative più impegnative di pianificazione partecipata possano essere avviate e soprattutto
gestite una volta superata la tappa dell’approvazione del piano.
I punti di debolezza sono innanzitutto di natura territoriale, come il relativo isolamento
geografico, l’ubicazione in un contesto esterno difficile, la vicinanza di aree forti con effetto
di drenaggio di popolazione e funzioni. Ad essi si aggiungono l’eccessivo peso di attori
istituzionali che non consentono una reale co-responsabilizzazione del settore privato; una
arretratezza culturale nella gestione dell’ente locale esplicitata nella scarsa abitudine alla
verifica
indipendente
dei
risultati,
nell’autoreferenzialità
di
alcuni
assessorati,
nell’insufficiente inserimento dell’ente in reti e iniziative di livello regionale, nazionale e
internazionale; la scarsa entità e capacità di risposta al mutamento dell’imprenditoria
privata locale; il peso molto forte di situazioni di monocultura economica che costituiscono
un freno alla indispensabile diversificazione; una società locale con livelli di istruzione
limitati e l’assenza di istituzioni in grado di offrire formazione di livello più alto e più
qualificata.
3.2
I fattori critici della pianificazione strategica
3.2.1. Rappresentatività territoriale del soggetto attivatore
Nella maggioranza dei casi il soggetto che dà impulso al processo di pianificazione è un
comune di dimensioni relativamente grandi, che fa riferimento al proprio territorio e a
quello dei comuni immediatamente contermini. Vi sono tuttavia anche casi di piani avviati
da associazioni di comuni o di piani che si pongono come obiettivo importante l’immediato
allargamento a un territorio più vasto, che comprende un numero maggiore di enti locali e
che ricopre la scala provinciale. In genere, comunque, le iniziative promosse da un solo
soggetto suscitano risposte positive da parte di altri attori istituzionali in tempi
relativamente brevi.
Da segnalare un elemento ricorrente in molti dei casi di pianificazione strategica italiana
dato dal rapporto delicato che si viene a creare tra il soggetto iniziatore del processo, in
genere un comune, e la provincia in cui tale comune è inserito. Il rapporto può assumere
tutte le caratteristiche di un progetto in cui ambedue i soggetti possono trarre vantaggi di
lungo periodo, oppure può fare emergere conflittualità più o meno latenti che traggono
149
spunto da veri o presunti sconfinamenti dell’azione di pianificazione nelle competenze di
uno o dell’altro dei soggetti. In questo senso la casistica è molto ampia dato che esistono:
•
città in cui l’ente provincia è stato coinvolto in modo attivo fin dall’inizio del
processo di pianificazione e ne è diventato uno dei principali proponenti, ad
esempio riversando nel PTCP alcuni indirizzi emersi dagli studi per la pianificazione
strategica, oppure al contrario mettendo a disposizione le elaborazioni svolte per il
PTCP nelle varie fasi di preparazione del piano strategico;
•
città in cui l’ente provincia ha partecipato alle fasi di studio iniziali (ad esempio,
l’analisi diagnostica del territorio, i gruppi di lavoro, ecc.) ma non ha aderito
formalmente alla richiesta di far parte del Forum dello Sviluppo o di altri organismi
di guida della pianificazione strategica locale, oppure ha partecipato alle varie fasi di
preparazione del piano astenendosi dalla approvazione del documento finale;
•
città dove l’ente provincia ha partecipato in modo solo formale all’iniziativa, senza
sostenerla in modo concreto e in qualche caso anche trattandola come iniziativa da
controllare piuttosto che da incoraggiare, vedendo in essa una possibile minaccia di
diminuzione del ruolo di programmazione a scala provinciale.
Nei confronti dell’ente regione la rappresentatività territoriale dei piani strategici in genere
non solleva alcuna discrasia di competenze. Anzi, vi sono casi in cui l’iniziativa di
pianificazione strategica ha permesso di ottenere a livello locale delle sinergie preziose con
le iniziative promosse in modo autonomo e parallelo a livello regionale. Si tratta dei casi in
cui l’ente regionale ha avviato per suo conto l’elaborazione di un piano di sviluppo
economico e sociale basato sul metodo del dialogo tra soggetti pubblici e privati e fondato
sulla articolazione territoriale del confronto. In questi casi, la rete di relazioni che il piano
strategico ha costruito nel corso della sua elaborazione si è presentata come una risorsa
molto utile per il livello di pianificazione regionale, saldando in modo verticale tra i
principali enti preposti alla programmazione (comune, provincia, regione) una azione
concreta di pianificazione trasversale fondata sul confronto tra i principali soggetti pubblici
e privati operanti sul territorio.
Esistono tuttavia anche rari casi in cui, anche nel rapporto tra gli enti che promuovono la
pianificazione strategica a livello locale e l’ente regione, sono emersi possibili conflitti di
competenze istituzionali sulla legittimità della rappresentanza territoriale di scala ampia
che in genere i piani strategici propongono. Si tratta di casi in cui tra lo strumento “piano
strategico” e gli strumenti di livello regionale (ad esempio, il piano territoriale regionale, il
programma di sviluppo economico regionale, ecc.) non si è creato un appropriato scambio
di informazioni a livello istituzionale, ma anche a livello tecnico.
150
3.2.2. Rappresentatività del mix pubblico-privato degli attori iniziatori e
coinvolti
La cooperazione pubblico-privato si presenta in modalità molto diversificate: si va da piani
strategici che presentano un mix pubblico-privato adeguato, a piani strategici che sono
invece prevalentemente basati su attori istituzionali. In genere le situazioni più equilibrate
sono quelle che nascono da precedenti esperienze di collaborazione pubblico-privata in
programmi urbanistici complessi (PRU, PRUSST, ecc.), oppure in situazioni in cui si sono
accumulate nel tempo azioni pubbliche e private abbastanza integrate, entro le linee guida
di piani urbanistici attenti a queste problematiche.
Le situazioni meno equilibrate sono quelle in cui i piani strategici sono nati
prevalentemente o esclusivamente per indirizzare processi di trasformazione rapida indotti
dall’esterno, flussi eccezionali di investimenti pubblici esterni collegati ad eventi
straordinari. All’estremo opposto, un certo disequilibrio emerge anche nelle situazioni in
cui esiste una situazione di stagnazione e di forte isolamento e vi è una sostanziale
incapacità della comunità nel suo complesso a reagire a una situazione di crisi in cui anche
il settore privato sembra privo di iniziative di rilievo e di capacità progettuale concreta.
3.2.3. Rapporto con gli strumenti di pianificazione fisica dell’area inclusa nel
piano
Il raccordo del piano strategico con gli strumenti di pianificazione fisica è definito
fondamentale nell’analisi dei diversi casi. In alcune realtà, infatti, si è cominciato a
verificare l’opportunità di fare un piano strategico parallelamente alla revisione del PRG
vigente, e all’ipotesi di nuovi piani di scala vasta e così via. Da questo importante principio
sono poi derivate soluzioni di natura molto diversa. In alcuni casi, piano strategico e
strumento di pianificazione urbanistica procedono di pari passo; in altri casi, il piano
strategico fornisce una serie di indicazioni utili per la pianificazione urbanistica, o viceversa
sono le necessità della pianificazione urbanistica a fornire sollecitazioni alla pianificazione
strategica. In alcuni casi ancora il piano strategico si limita solo a svolgere la funzione di
strumento per accelerare o realizzare in modo più efficiente quanto già indicato da alcuni
strumenti urbanistici.
Se il rapporto tra pianificazione strategica e pianificazione fisica sembra un principio
acquisito, lo stesso non si può dire con altre forme di pianificazione e con altri strumenti di
indirizzo elaborati a livello locale. Ad esempio, le relazioni con i piani d’azione locale di
Agenda 21 devono ancora essere sperimentate sul terreno nella maggioranza delle città.
151
A ben vedere poi, anche le relazioni tra pianificazione strategica e piani urbanistici sono sì
un elemento acquisito e sul quale si hanno riscontri molto positivi in diverse realtà locali,
ma lo stesso non si può dire se si prendono in considerazione anche i comuni più piccoli che
aderiscono ai processi di pianificazione strategica. Si vedono le interconnessioni tra le due
forme di pianificazione (strategica e fisica) più facilmente nel caso del comune maggiore
che ha iniziato il piano strategico, mentre tali interconnessioni sono più labili o non
esistono per nulla nel caso dei PRG e degli altri strumenti urbanistici dei piccoli comuni
aderenti.
Ad esempio, in diversi piani strategici si pone correttamente in rilievo l’importanza di una
pianificazione urbanistica rispettosa dell’ambiente e mirata alla salvaguardia degli elementi
di naturalità presenti nel territorio. In alcuni casi ci si spinge a indicare espressamente tra
le azioni bandiera del piano una attenta politica dell’uso del suolo volta al contenimento
dell’espansione urbana e al contrasto dello spreco di suolo connesso con lo sviluppo
disperso, ma non si indicano percorsi chiari per attuare tali proponimenti.
Mancano, ad esempio, iniziative volte al coordinamento degli strumenti urbanistici di tutti i
comuni aderenti ad un piano strategico verso un fine comune di tutela del suolo. In
generale, non appaiono ancora evidenti con una sufficiente chiarezza le implicazioni che
l’adesione a un piano strategico dovrebbe comportare nell’indirizzare l’azione di governo
locale dei diversi comuni verso un obiettivo qualificante di tipo urbanistico a scala vasta.
Allo stesso modo, sembra ancora difficile individuare, al di là dei contenuti generali delle
linee strategiche e degli obiettivi dei singoli piani, azioni concrete che mettano in relazione
in modo omogeneo su tutto il territorio interessato dal piano strategico le scelte che i piani
intendono attuare in campo urbanistico e ambientale, con le politiche di fiscalità locale
inerenti il patrimonio immobiliare di tutti i comuni.
Ad esempio, è molto raro trovare indicazioni sul coordinamento delle aliquote dell’Imposta
Comunale sugli Immobili dei comuni aderenti al piano con le politiche dichiarate in materia
di uso del suolo. La fiscalità locale sembra essere ancora considerata una materia a sé
stante, di competenza e di interesse esclusivi dei singoli comuni, invece di uno strumento
da utilizzare secondo criteri omogenei e condivisi da tutti i comuni di un territorio oggetto
di pianificazione strategica, al fine di contribuire a realizzare politiche di ampio respiro che
vedano al primo posto il massimo risparmio del suolo non ancora edificato attraverso scelte
di piano che, da un lato, rendano impossibile o fiscalmente molto oneroso l’uso del suolo
vergine, e dall’altro offrano concreti vantaggi allo sviluppo urbano di qualità in zone già
compromesse (ad esempio in aree industriali e militari dismesse).
152
3.2.4. Rilevanza strategica ed arco temporale delle principali azioni del piano
L’arco temporale dei piani considerati è di circa 10 anni, considerato ragionevole per la
realizzazione di gran parte delle principali azioni di piano: grandi infrastrutture, importanti
funzioni di servizio, programmi di riqualificazione urbana, ecc. Alcuni piani, in genere
corrispondenti a situazioni fortemente condizionate da finanziamenti esterni con i loro
tempi o da particolari scadenze internazionali, hanno durata più breve. Altri piani, al
contrario, si propongono di raggiungere obiettivi di maggior respiro e complessità,
soprattutto in termini di integrazione tra soggetti territoriali diversi e istituzioni di
differenti livelli; in questo caso si tende a prevedere una durata temporale maggiore: 15-20
anni.
Per quanto riguarda l’articolazione delle scelte strategiche, è possibile individuare in genere
una “griglia di scelte” articolata in:
1.
visione;
2.
linee strategiche;
3.
obiettivi;
4.
azioni o singoli progetti di natura sia materiale che immateriale.
La maggioranza dei piani ripartisce le singole azioni o i singoli progetti in due categorie: A)
le azioni o progetti di “bandiera”, ovvero le iniziative caratterizzanti il piano strategico, e B)
le azioni o singoli progetti “semplici o normali”, ovvero tutte le azioni rimanenti individuate
dal piano e non appartenenti alla categoria precedente.
In qualche caso si riscontrano articolazioni più elaborate. Ad esempio, l’insieme delle azioni
è ripartito in diverse categorie a seconda di una serie di fattori tra cui:
•
l’arco temporale previsto per la realizzazione delle singole azioni;
•
il tipo di governance richiesto, distinguendo tra iniziative solo pubbliche, solo
private, o di tipo misto;
•
il grado di copertura territoriale delle singole azioni rispetto all’estensione
amministrativa dei comuni aderenti al piano;
•
3.3
la natura o il fabbisogno di finanziamento di talune azioni.
Trasferibilità e sostenibilità delle esperienze
3.3.1. Errori da non commettere
In base all’analisi effettuata, emergono alcuni errori sia nella fase di preparazione del piano,
sia nelle fasi di approvazione e gestione.
153
Interrompere il processo di costruzione del piano
L’interruzione del processo della pianificazione strategica è un fenomeno che è avvenuto in
alcuni casi e che potrebbe facilmente ripresentarsi in alcune esperienze in atto. Si tratta in
genere di interruzioni (più o meno lunghe) di processi che hanno relativamente impegnato
un’amministrazione comunale nell’arco di tempo di un mandato e che non vengono
condivisi dalla successiva amministrazione, o vengono condivisi solo parzialmente
comportando quindi una revisione di obiettivi e strategie. Causa di queste interruzioni è in
genere la forte personalizzazione del processo di costruzione del piano strategico, legato
spesso a un sindaco particolarmente attivo o a una congiuntura politica favorevole e di
breve durata, a volte connessa con la formazione di un gruppo di guida locale
particolarmente affiatato, sorretto dalla speranza di poter accedere a particolari
finanziamenti nella convinzione che questo accesso sia facilitato dalla disponibilità di un
piano strategico.
Talvolta l’interruzione può anche avvenire a causa del periodo di passaggio tra due
amministrazioni, con lo stesso sindaco e la stessa coalizione politica al governo della città,
come effetto della mutata composizione del Consiglio e della necessità di rendere più
partecipi i nuovi amministratori.
L’interruzione ha comunque un effetto sempre negativo, in quanto allenta i rapporti (e di
conseguenza l’impegno) tra le parti coinvolte, sia pubbliche che private e dà alla comunità
cittadina la sensazione che il piano strategico non sia uno strumento di particolare
importanza.
Una lettura sotto un’ottica propositiva dell’errore dell’interruzione del processo è legata al
fattore tempo. Il successo dell’iter di un piano strategico è tanto più possibile quanto più la
sua preparazione e approvazione avviene in un lasso temporale breve e comunque
predeterminato da un’accurata pianificazione a monte dell’annuncio ufficiale dell’avvio del
piano. Al dilatarsi del periodo di preparazione aumentano in modo più che proporzionale i
pericoli di interruzione.
Per larga parte la pianificazione strategica delle città è una pratica ancora allo stadio
sperimentale in Italia, fondata su processi volontari in cui la creatività e la passione civica
delle persone coinvolte svolgono un ruolo fondamentale. Tali componenti (creatività e
passione civica) tendono a manifestarsi nelle città per l’incrocio di un insieme di circostanze
favorevoli, che di solito permangono nel medesimo luogo per periodi di tempo piuttosto
limitati. La perdita di tensione causata dalla interruzione di un processo di pianificazione
strategica non crea solo un danno materiale misurabile con il tempo necessario a “far
ripartire la macchina”, ma può anche fare disperdere alcune delle circostanze favorevoli che
hanno prodotto lo spunto iniziale del processo, quali ad esempio la presenza di un soggetto
154
attivatore (un sindaco, un assessore, un direttore generale, un dirigente, un imprenditore
privato, ecc.), oppure di una amministrazione particolarmente intenzionata a lasciare un
segno positivo nella città, un momento storico maturo per determinate scelte urbane, e così
di seguito.
Anche nel caso di amministrazioni diverse si dovrebbe tener conto che la costruzione di
forme partecipative più avanzate (pubbliche e private), la maggiore integrazione e il miglior
coordinamento dell’azione dei vari attori pubblici, sono risultati di importanza assoluta
indipendentemente dagli orientamenti politici che li hanno prodotti. Si tratta di risorse che
hanno eguale importanza rispetto a qualsiasi coalizione politica. D’altra parte, è
generalmente condivisa dagli esperti di pianificazione l’idea che uno dei risultati della
pianificazione strategica di livello interurbano è la crescita dei valori intangibili dell’area
espressa come un accresciuto capitale di tipo sociale (cioè maggiori relazioni di fiducia tra i
soggetti), di tipo intellettuale (più conoscenza condivisa), e di tipo politico (definizione di
alleanze).
Centrare il piano solo sull’iniziativa pubblica o solo per attrarre determinate risorse
pubbliche
È questo un errore che può essere nascosto da una certa efficienza nella conduzione delle
operazioni di costruzione di piano e dai risultati ottenuti, ma che spesso è pagato con
insuccessi e limiti in un’ottica a lungo termine. Uno degli aspetti più negativi è la
superficialità, se non addirittura l’inesistenza, del rapporto con gli altri attori del processo
strategico. Se tutto è gestito, magari anche in modo molto dinamico e con forte ritorno di
immagine, dal comune proponente (sotto la spinta del sindaco) e da qualche altro ente
territoriale, è difficile che il settore privato sia incentivato a partecipare in un ruolo
subalterno.
Ci sono stati casi in cui le forze private non hanno partecipato affatto. Magari sono state
inserite nelle consultazioni iniziali e nei gruppi di lavoro, ma non hanno preso parte attiva
al processo decisionale del piano. Le conseguenze sono facili da immaginare: terminati gli
investimenti pubblici, magari resi possibili da congiunture del tutto particolari o da
trasferimenti finanziari esterni irripetibili, si ferma tutto o comunque il processo acquista
un ritmo molto più lento, le azioni diventano meno incisive, cala la tensione creativa. Un
altro effetto negativo è lo spreco di un’occasione come il piano strategico per costruire
nuove condizioni e pratiche di governance. Un piano strategico esclusivamente pubblico ne
è la negazione, anche qualora venisse presentato con un linguaggio ricco di termini nuovi e
di grandi promesse di rinnovamento.
155
Costruire un piano scarsamente partecipato
La partecipazione diretta dei cittadini non è condizione indispensabile per la costruzione di
un buon piano strategico. Può essere sufficiente o addirittura consigliabile per la prima fase
di costruzione del piano, limitare il coinvolgimento ai soggetti pubblici e privati collettivi,
ovvero ai soggetti (enti, associazioni di categoria, organismi di volontariato, ecc.) in grado
di offrire una rappresentazione per grandi categorie dei bisogni della società. Ma
l’informazione e la partecipazione diretta dei cittadini sono elementi che nel processo di
pianificazione strategica non possono non essere tenuti presenti, pena l’artificiosità
dell’intera operazione di costruzione e attuazione del piano strategico.
Rendere noto il piano alla cittadinanza, illustrarne adeguatamente gli obiettivi, farne
conoscere l’articolazione e discuterne le finalità costituisce un importante fattore correttivo
della deriva tecnocratica che spesso i piani strategici hanno. Il piano non è fine a se stesso,
né è l’occasione per costituire nuovi gruppi di interesse e di potere attorno alle possibilità di
sviluppo di una città o territorio. Questo rischio, sempre presente in un piano strategico,
diviene ancora più forte se non c’è alcuna forma di controllo “politico” da parte
dell’opinione pubblica. Gran parte dei problemi di comunicazione del piano risiedono in
questo. Per essere realizzate o per essere gestite dopo la loro realizzazione, la gran parte
delle azioni e dei progetti del piano strategico richiede l’impegno di tutti; l’analisi dei casi
indica che questo avviene solo se c’è stato un adeguato coinvolgimento anche della
popolazione e se in qualche modo le azioni sulle quali è articolata la “griglia delle scelte” del
piano rispecchiano il sentire comune dell’intera società locale.
3.3.2. Fattori di successo da non trascurare
Coinvolgimento degli stakeholder
Per quanto possa essere complesso e faticoso riuscire a mobilitare e coinvolgere gli attori
pubblici e privati che sono portatori degli interessi più importanti (e non sempre
considerati tali) per la costruzione del piano strategico, si tratta di un fattore assolutamente
decisivo nel determinare il reale successo o insuccesso di un piano strategico. Il
coinvolgimento di particolari attori pubblici e di numerosi attori privati dovrebbe essere un
dato strutturale di un piano strategico; di fatto, come si è visto nei casi esaminati, non
sempre è così.
Molto spesso il numero dei soggetti privati coinvolti è limitato e riguarda solo
rappresentanze di categoria e qualche istituto di credito. In altri casi, il coinvolgimento è
solo apparente. Molto spesso il coinvolgimento è generico e non corrisponde alla
fondamentale esigenza di responsabilizzazione dei soggetti. I Forum dello Sviluppo, la
sottoscrizione di precisi patti, la istituzione di Agenzie per il piano, autonome rispetto alla
156
macchina comunale, ecc. sono passaggi obbligati se si intende produrre un reale piano
strategico e se, una volta definito, lo si intende realizzare.
Costruzione di governance
Il diverso rapporto tra istituzioni formali di governo, gruppi portatori di interesse,
organismi di rappresentanza diretta dei cittadini, ecc., e la loro interazione per governare
un territorio in modo più trasparente, più responsabile e più aderente alle esigenze della
popolazione è uno degli obiettivi di fondo che ci si propone di raggiungere attraverso la
costruzione e la gestione di un piano strategico. Sono questi i principi della governance
delle città, ovvero di un modo innovativo di intendere la funzione di governo locale al fine di
dare risposte più adeguate ai bisogni attuali delle comunità locali.
Facendo riferimento ai cinque principi che, secondo la Commissione delle Comunità
Europee (“La governance europea. Un libro bianco”, 2001) sono alla base della buona
governance: apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza, appare evidente
come un piano strategico possa avere un ruolo determinante per ottenere questi risultati e
come d’altra parte il non rispetto di questi principi possa dar luogo ad esiti negativi anche
laddove si sia adottata, evidentemente solo a parole, la metodologia della pianificazione
strategica urbana di tipo partecipato e condiviso.
Non a caso uno dei risultati attesi più importanti e più tipici della pianificazione strategica è
accrescere il patrimonio di relazioni di fiducia tra soggetti decisionali (pubblici e privati) di
una data area, anche per affrontare sfide che all’avvio del processo di piano si possono solo
intravedere nel futuro o che non si sono ancora manifestate come problemi per la città in
questione. L’esistenza di un simile patrimonio di relazioni è il migliore capitale da spendere
in un’epoca in cui si richiedono tempi di reazione brevi anche alle amministrazioni locali.
Partecipazione dei cittadini
La partecipazione dei cittadini è direttamente proporzionale al grado di apertura, alla
volontà e capacità di comunicare. La partecipazione dei cittadini è un fattore di successo
fondamentale: è di fatto l’unico elemento che garantisce la continuità del processo di
pianificazione, il radicamento dei suoi risultati, ma anche la permanenza di una vigilanza
critica sui processi ed i risultati. La partecipazione attiva, meglio se sorretta dalle
informazioni che solo delle procedure di valutazione indipendente del processo di
pianificazione possono produrre, è il modo migliore per prevenire delle derive tecnocratiche
della pianificazione strategica.
157
Realizzazione di progetti bandiera
Un fattore di successo che fa da traino a molti altri elementi positivi è la realizzazione di un
“progetto bandiera”, ovvero di un progetto che ha in sé la capacità di simboleggiare la
“visione” che un dato piano strategico intende realizzare entro una data dichiarata. Per
ottenere questo risultato è indispensabile che vi sia partecipazione, responsabilità, efficacia
e certamente anche coerenza nelle varie azioni compiute. L’esito positivo di un progetto
bandiera (che non deve essere necessariamente un progetto molto ambizioso e difficile da
realizzare) dà la consapevolezza che “si può fare” e convince la cittadinanza che il piano
serve a fare cose che sono significative ed utili. È più importante essere riusciti a fare bene
una sola cosa, presa come modello di più ampi problemi e possibilità, che avviare imprecise
strategie di sviluppo su più piani e in più direzioni.
In questo senso, sembra che vi sia ancora molto lavoro da fare dato che la maggioranza, se
non la totalità dei piani strategici italiani, appare articolata in un numero spesso ridondante
di azioni o singoli progetti, facendo sorgere il dubbio che il loro gran numero sia un prezzo
pagato per ottenere la partecipazione di un ampio ventaglio di soggetti pubblici e privati al
processo di pianificazione.
3.3.3. Metodi di comunicazione interna ed esterna più efficaci
La comunicazione interna ed esterna del piano assume molteplici forme e si svolge con
diverse modalità (comunicazione diretta, pubblicazioni, eventi pubblici, televisione,
Internet, ecc.). Per ogni piano strategico non sembra sufficiente attivare una sola attività di
comunicazione, dato che i gruppi obiettivo da raggiungere, individuati grazie alle analisi
condotte nel corso del processo di piano, sono sicuramente diversi e articolati.
Ovviamente le modalità di comunicare all’interno variano molto tra loro a seconda della
dimensione del comune o dell’Agenzia per l’attuazione del piano, del tipo e del livello di
formazione dello staff, delle tradizioni di comunicazione interna del comune che promuove
il piano. In genere, gli incontri di comunicazione interna avvengono coinvolgendo solo un
ristretto gruppo di responsabili di settore che relazionano sulle rispettive aree di
competenza e la discussione si centra su un limitato numero di problemi. Vi sono però
anche casi di seminari interni di portata più ampia, che coinvolgono un maggior numero di
persone. Non ci sono esperienze di training di personale rispetto a specifici problemi posti
dal piano e che si configurano anche come occasioni di sensibilizzazione e comunicazione.
La comunicazione verso l’esterno avviene in genere con modalità diverse e di tipo
tradizionale; da un lato c’è la comunicazione alle élite locali attraverso le varie commissioni
che lavorano alla costruzione del piano, dall’altro la comunicazione di respiro più ampio,
158
attraverso pubblicazioni di vario tipo da diffondere o articoli su giornali nazionali o locali,
realizzazione di siti web dedicati, programmi televisivi.
La comunicazione, quindi, ha molteplici target e richiede, per essere efficace, forme diverse
a seconda dei soggetti da raggiungere. C’è la comunicazione prevalentemente dedicata alla
comunità locale, e quella che si rivolge all’esterno, per destare interesse sul piano ed
attrarre operatori ed investimenti.
In genere, le città che hanno avviato processi di pianificazione strategica hanno messo a
punto una vasta gamma di iniziative e di strumenti di comunicazione, tra cui si possono
citare i seguenti:
•
il sito Internet del piano strategico è importante sia per la comunicazione interna
che esterna;
•
il “Forum” (fisico o virtuale) e la newsletter elettronica periodica per promuovere
uno spazio fitto di relazioni, un modo per incontrarsi e condividere idee, prospettive
ed esperienze diverse;
•
un video (DVD) per supportare visivamente i momenti di presentazione del piano,
sia come strumento di divulgazione verso l’interno e, soprattutto, verso l’esterno;
•
una brochure del piano strategico finalizzata a: costruire il consenso nei confronti
del piano da parte degli enti e a far conoscere e promuovere la visione ed i progetti
sia a livello locale che esterno;
•
un pieghevole divulgativo del piano strategico, cioè di una sorta di versione ridotta
della brochure;
•
un “kit promozionale”, inteso come un contenitore destinato a raccogliere le migliori
selezioni grafico-editoriali e pubblicitarie che presentano il territorio oggetto del
piano, i suoi eventi e le sue ricchezze, con un linguaggio mirato agli interlocutori
professionali dei settori più importanti individuati dal piano stesso.
3.4
Conclusioni
In diversi casi gli enti locali monitorati sono arrivati a un punto cruciale della attuazione del
piano strategico. Nel caso di Torino si è giunti ad oltre quattro anni di attuazione di un
piano strategico, mentre in altri casi (ad esempio Trento, Pesaro, Firenze, Perugia, Verona,
Copparo) i rispettivi piani sono in attuazione da circa 1-2 anni. La riflessione sulle città
dotate di un piano strategico approvato e sottoscritto pubblicamente da tutti i soggetti
coinvolti (cioè solo una parte delle 16 città oggetto dell’indagine), e sui comuni che stanno
lavorando in questa direzione può essere molto preziosa per gli enti locali italiani nel loro
complesso.
159
3.4.1. Valutazione dettagliata dei risultati conseguiti nei casi esaminati e
formulazione propositiva di modalità di buone pratiche per l’ente locale
Il livello di avanzamento della pianificazione strategica in Italia è molto differenziato.
Anche se non è facile ricavare indicazioni omogenee da un contesto così variegato, si
possono indicare alcuni risultati che sembrano significativi ed utili per la formulazione di
buone pratiche.
Nel formulare tali indicazioni, occorre quindi avere presente che una stessa valutazione, ad
esempio un giudizio sintetico di “successo” o “insuccesso” è cosa ben diversa se riferito a
casi in cui l’oggetto della rilevazione è poco più che una intenzione di avviare un processo di
pianificazione strategica, oppure a casi in cui tale processo è stato compiuto fino alla
produzione di un piano strategico, alla sua approvazione formale, e alla sua attuazione.
Va anche osservato che l’insieme delle valutazioni sui risultati conseguiti si riferisce a casi di
pianificazione strategica locale che sono in tutti i casi esaminati delle pratiche intraprese
dagli enti locali su base volontaria, nel tentativo di innovare l’azione ordinaria del governo
locale e nella speranza di ottenere dei risultati che evidentemente non si pensa di poter
raggiungere attraverso l’azione ordinaria.
Trasferimento dei risultati prodotti dal piano strategico (processo e azioni) negli strumenti
generali (non solo di tipo territoriale) di pianificazione strategica dell’ente locale (RPP,
PEG, Agenda 21, bilancio sociale, ecc.)
Come si è visto attraverso l’analisi dei casi, i comportamenti dei vari enti locali che hanno
promosso e attuato la pianificazione strategica sono disomogenei tra loro. In termini di
trasferimento dei risultati dei piani strategici negli strumenti amministrativi generali si
possono avanzare alcune osservazioni di carattere generale.
Non c’è una chiara e univoca tendenza a trasferire gli impegni del piano strategico negli
altri strumenti di governo dell’ente locale. Ci sono alcune amministrazioni che lo fanno
come principio e in modo diffuso; ce ne sono altre che si limitano a trasferire gli elementi di
scelta più impegnativi che richiedono, ad esempio, l’inclusione nel PEG; ce ne sono altre
ancora che fanno solo nominalmente questo trasferimento e poi risolvono i problemi caso
per caso.
L’avvio dell’Agenda 21 locale o la costruzione del bilancio sociale sono spesso azioni inserite
nei piani strategici. A seconda delle situazioni un tipo di strumento fa da traino all’altro,
senza una predominanza iniziale ricorrente.
Una valutazione conclusiva dell’attività di pianificazione strategica degli enti locali italiani si
deve basare su quanto il piano ha prodotto in concreto, ma deve considerare anche il
160
processo e la componente gestionale successiva alla approvazione, almeno nei casi in cui
l’ente locale è giunto alla approvazione formale del piano strategico.
Valutazioni sull’esito complessivo dei piani: quali sono i risultati?
Nel caso delle città (ad esempio Torino, Firenze, Perugia, Trento, Verona, Copparo) che
hanno percorso tutto il tragitto dell’attività di pianificazione strategica, dallo studio del
piano alla sua approvazione formale, l’esito complessivo è una storia di successo.
L’approvazione del piano è divenuta al tempo stesso un fattore simbolico e un elemento di
sostanziale rinnovamento che le città in questione hanno avviato a partire da un periodo
precedente l’avvio dei piani. Vale la pena di sottolineare, infatti, che la decisione stessa di
avviare una attività volontaria di pianificazione strategica, basata su metodi di inclusione
dei maggiori soggetti pubblici e privati e spesso con un’ottica territoriale ampia, nasce solo
laddove le amministrazioni comunali hanno già maturato alcune esperienze innovative di
governo locale quali ad esempio: partecipazione a programmi Urban, elaborazione di
PRUSST, costituzione di società municipalizzate per la gestione di servizi in forma associata
e così via.
Ad esempio, Perugia avvia nel 2002 la preparazione del piano strategico dopo aver
maturato significative esperienze di collaborazione tra soggetti pubblici e privati. Già a
partire dagli anni Sessanta Perugia, città tra le prime in Italia, aveva promosso la
costituzione di società per azioni per la gestione di servizi pubblici locali, sperimentando
con successo il modello della società mista pubblico-privata. In tempi più recenti, la città ha
avviato un programma di Agenda 21 sul proprio territorio, poi esteso ai sei comuni limitrofi
che hanno aderito al progetto del piano strategico. Lo stesso PRG di Perugia è stato
approvato nel 2002 a seguito di un intenso lavoro di partecipazione che non solo ha visto il
coinvolgimento di una vasta rete di portatori di interessi pubblici e privati, ma che ha
permesso di stabilire o accrescere relazioni di fiducia e stima reciproca che sono state la
base dalla quale è sorta la proposta di costruire insieme un piano strategico di tipo
partecipato e condiviso tra i maggiori soggetti pubblici e privati e non limitato al territorio
comunale.
Analogamente, nel caso del primo piano strategico italiano, quello di Torino, va rilevato che
la proposta del piano strategico è solo l’ultima tappa di un percorso articolato in una serie
di scelte che hanno dato struttura istituzionale all’idea di un governo locale basato sulle
migliori pratiche di governo locale (coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati,
superamento dei confini amministrativi per la risoluzione di determinati problemi, ecc.). In
questo senso si possono interpretare una serie di scelte antecedenti l’avvio del piano
strategico, tra le quali: l’approvazione del piano regolatore nel 1995; la costituzione di
161
agenzie a governance mista pubblico-privata (ITP-Investimenti a Torino e in Piemonte e
Turismo Torino), le cui azioni innovatrici hanno una positiva influenza in città anche al di
là dei loro rispettivi campi di azione.
Anche nel caso di Firenze, lo studio del piano e la sua sottoscrizione nell’arco di circa 2 anni
sono stati resi possibili da una antecedente pratica di pianificazione basata sul
coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati e su un’ottica di area vasta. Già prima della
approvazione della nuova legge urbanistica della Regione Toscana (legge regionale n.
5/2005), l’ente regionale stimolava gli enti locali verso l’inclusione dei privati nel processo
decisionale. Lo stesso progetto del Parco metropolitano, ritenuto uno dei migliori risultati
del piano strategico, risulta essere stato un problema irrisolto per un lungo lasso di tempo
antecedente l’avvio del piano strategico.
Infine, il piano strategico promosso dall’Associazione dei Comuni del Copparese si pone
come logica evoluzione di un processo di crescita collettiva, sia istituzionale che personale,
che ha visto i comuni coinvolti ricercare strade innovative per la gestione in forma associata
di importanti servizi di base, quali ad esempio la sanità (rilevante è il progetto “Medicina di
Comunità”), per la promozione di nuove imprese (con l’avvio di un primo “incubatore”
d’impresa) e per la progettazione territoriale e socio-economica di scala vasta (tramite un
progetto PRUSST oltre che tramite la partecipazione congiunta ad alcuni bandi nazionali e
della UE). La propensione alla innovazione degli strumenti di governance locale è stata
sostenuta dal contesto legislativo della Regione Emilia-Romagna che ha favorito la
pianificazione partecipata con diversi atti legislativi, in particolare nel 1998 con la legge
sulla riqualificazione urbana (che prevede l’inclusione dei portatori di interessi privati nella
definizione dei PRU) e nel 2000 con la legge quadro in campo urbanistico (che istituisce tra
l’altro la conferenza di pianificazione a cui partecipano anche i privati e gli altri soggetti
pubblici interessati).
Per l’insieme delle 16 città oggetto dell’indagine, il maggiore risultato che generalmente
viene segnalato è di tipo immateriale, ma non per questo meno reale e importante. Si tratta
di un rafforzamento del modo di lavorare insieme tra soggetti pubblici diversi, tra pubblico
e privato, pur nella distinzione dei compiti e responsabilità. Tanto per gli amministratori
eletti che per i dirigenti e i funzionari degli enti locali, il trovarsi con una accresciuta
coscienza di essere una unica “squadra” è visto come una risorsa del territorio da cui
possono scaturire nel tempo progetti anche più importanti di quelli individuati dal piano
strategico.
La rilevazione ha confermato che uno dei risultati della pianificazione strategica di livello
interurbano è la crescita dei valori intangibili dell’area, espressa come incremento del
capitale di tipo sociale (cioè maggiori relazioni di fiducia tra i soggetti), di tipo intellettuale
162
(più conoscenza condivisa), e di tipo politico (definizione di alleanze). Oltre al processo
conta il prodotto a cui si giunge, conta la sua qualità, conta in quanto tempo lo si definisce,
conta se è un prodotto buono al punto da essere approvato formalmente tanto dai principali
soggetti pubblici che dai soggetti privati dell’area in questione.
La pratica della pianificazione strategica permane in bilico tra innovazione e modalità
tradizionali di governo, con un alternarsi di passi in avanti e indietro da parte delle stesse
amministrazioni locali che hanno avviato i primi piani strategici urbani in Italia. In alcuni
casi si riscontra, da parte del sistema politico locale e da parte dei principali soggetti
pubblici e privati coinvolti, un atteggiamento ambivalente nei confronti del piano strategico
come strumento di governance locale.
Da un lato, infatti, si decide la costituzione di un Forum dello Sviluppo o di altra forma di
rappresentanza collettiva degli interessi pubblici e privati, e si attribuisce a tale organismo il
ruolo di committente collettivo del piano strategico, a cui rendere conto della formazione
del piano e della sua attuazione. Dall’altro lato, non si attribuiscono a tale organismo poteri
e risorse adeguati ai compiti assegnati. Vi sono casi, ad esempio, in cui il personale
dell’organismo deputato all’attuazione del piano strategico è costituito da professionalità
poco rappresentative della varietà dei saperi tecnici necessari ai compiti di gestione
richiesti: in qualche caso si riscontra una eccessiva prevalenza di personale con una
formazione in comunicazione, in altri casi il personale è dato quasi esclusivamente da
laureati in scienze politiche. Inoltre, il livello di esperienza del personale è spesso limitato
(quasi esclusivamente livelli junior per il personale consulente a contratto, e pochi dirigenti
tra il personale dipendente degli enti locali delegati a seguire il piano strategico).
Questa impostazione è aggravata, nella fase di gestione che segue l’approvazione del piano
strategico, dalla quasi totale assenza di risorse (personale, locali, servizi, ecc.) private o
pubbliche di tipo diverso da quelle messe a disposizione da parte del comune maggiore
dell’area. Tale carenza si è riscontrata non tanto nella fase della predisposizione del piano
strategico, quanto nella fase gestionale, perché forse permane l’idea tipica della
pianificazione tradizionale che l’importante è concludere la formazione del piano.
La fase attuativa è forse vista ancora come una funzione che può essere delegata
completamente agli enti locali i quali, secondo questa impostazione, potrebbero procedere
autonomamente forti del consenso ricevuto durante la partecipazione attivata nella
precedente fase della formazione. Si tratta molto probabilmente di una visione errata, che
sottostima la necessità per la pianificazione strategica degli enti locali di rinnovare
periodicamente la sua base di legittimazione attraverso una normale procedura di
coinvolgimento di tutti i soggetti che hanno partecipato alla formazione del piano
strategico. Si tratta cioè di trovare le modalità istituzionali e le forme tecniche per gestire
163
nel tempo il piano strategico con la stessa base di consenso e di coinvolgimento (e, se
possibile, anche con la stessa passione civica) che hanno portato al suo avvio e alla sua
predisposizione.
Nell’alternarsi di passi in avanti e indietro lungo la strada dell’innovazione del governo
locale accade anche, in alcuni casi, che al piano strategico venga data una interpretazione
riduttiva: invece di essere inteso come uno strumento di buona governance locale, a volte il
piano strategico è ridotto a strumento di “comunicazione e marketing culturale”. Queste
ultime sono funzioni utili e sono di solito svolte in modo insufficiente da parte degli enti
locali italiani, che dovrebbero quindi cercare di colmare questa lacuna. Ma non per questo
si deve abbandonare la concezione del piano strategico come strumento di buona
governance locale e come strumento tecnico di pianificazione integrata di area vasta, in
favore di una concezione del piano come semplice mezzo per fare comunicazione culturale o
marketing urbano.
Un elemento rivelatore di un simile errore è dato dall’esame delle qualifiche del personale
deputato alla realizzazione del piano strategico. L’assenza del giusto mix di professionalità,
del corretto livello di esperienza o una forte discrepanza tra complessità di funzioni affidate
e povertà di mezzi (risorse umane, logistiche, autorità delegate, ecc.) sono tutti segni
premonitori di possibili forti difficoltà ad attuare un piano strategico. Quando questa
situazione si verifica, come in alcuni dei casi esaminati, il soggetto a cui è affidata la
gestione dell’attuazione del piano strategico non può esercitare le funzioni di un “Ufficio del
Piano”, come probabilmente dovrebbe fare, ed incontra grandi difficoltà anche a svolgere
una gestione attiva del piano, cioè una funzione con una qualche influenza sulla formazione
delle decisioni.
Le attività di monitoraggio sono utili ma non sono sufficienti, soprattutto quando vengono
svolte non in parallelo al processo decisionale, ma a posteriori di decisioni prese nelle sedi
più diverse sulle diverse aree tematiche del piano strategico. Per essere efficace l’attività di
monitoraggio dovrebbe essere svolta in condizioni tali da poter influenzare in modo
positivo le decisioni future sulle stesse aree tematiche del piano.
Gli organismi deputati all’attuazione del piano strategico in genere si sono rivelati un
motore prezioso per le rispettive città, riuscendo con mezzi scarsi a organizzare molte
iniziative che hanno ravvivato il dibattito culturale a livello di città e in qualche caso anche a
livello nazionale e internazionale. Ma occorre anche riconoscere che tali organismi non
sembra abbiano sempre avuto un ruolo di primo piano nel processo di formazione delle
decisioni per attuare le azioni del piano, o come forum di legittimazione reciproca tra i
principali soggetti decisionali della città.
164
Appare improbabile che il ruolo degli organismi deputati alla attuazione del piano
strategico possa rafforzarsi in futuro, a meno di affrontare, laddove necessario, i nodi
appena esposti. Il sistema politico locale dovrebbe probabilmente prendere in maggiore
considerazione i vantaggi di una più estesa delega del suo potere decisionale, senza
incorrere nell’errore di assegnare agli uffici o alle associazioni incaricate dell’attuazione del
piano strategico una funzione di semplice animazione culturale dell’area e di
rappresentanza della città in eventi esterni. Questi sono compiti sempre utili, ma del tutto
parziali rispetto alle funzioni che si dovrebbero svolgere se al piano venisse attribuita la
valenza di principale strumento di pianificazione dell’area urbana o dell’area metropolitana
che lo ha commissionato.
Il punto in effetti è che il piano possa svolgere nel corso della sua attuazione, un ruolo
centrale nel processo di formazione delle opzioni sullo sviluppo locale di area vasta, così
come è stato almeno parzialmente nel periodo della redazione del piano stesso. Nel caso in
cui il piano non funzioni più come luogo di legittimazione delle scelte da parte della “città”,
prima rappresentata dai membri del soggetto collettivo che lo ha commissionato (il
“Forum” o altro organismo similare, a seconda delle realtà locali), verrebbe meno la sua
funzione di strumento di governance innovativa dell’area che molti ritengono possibile e
che la stessa Unione europea sollecita da tempo anche a livello degli enti locali.
L’esperienza delle 16 iniziative di pianificazione strategica oggetto dell’indagine indica che
gli enti locali coinvolti hanno in generale scelto la strada della gradualità nella introduzione
di nuove forme di governance. Si è di fronte a cambiamenti del modo di pensare il governo
locale che richiedono tempo per essere acquisiti da tutti i soggetti coinvolti, e per trovare le
forme tecniche più opportune per produrre risultati tangibili. Vi sono difficoltà superiori al
previsto nell’istituire forme di “governo metropolitano” stabili. È questo, ad esempio, il caso
di Torino, dove pure era prevista una azione bandiera dedicata a questo scopo. Hanno più
possibilità di successo, invece forme di governo a scala metropolitana di determinati servizi
(trasporti, raccolta rifiuti, ecc.) o di specifiche iniziative pubbliche.
In generale, si dovrebbe concepire un piano strategico di tipo partecipato e condiviso di
un’area metropolitana come uno strumento di pianificazione di area vasta, con tutte le
conseguenze del caso per l’organismo deputato alla sua attuazione, ivi comprese:
•
le forme istituzionali più adatte ad esercitare funzioni di pianificazione integrata e
pro-attiva e non solo di comunicazione, di marketing urbano e di monitoraggio a
posteriori;
•
dotazioni tecniche, logistiche, risorse umane e budget coerenti con tali funzioni di
pianificazione.
165
Valutazioni sulle metodologie adottate
Le città italiane sono ricorse a metodologie diverse per approntare i loro piani strategici,
quindi non esiste un unico modo per elaborare, approvare e attuare un piano. Si può
tuttavia riconoscere un nucleo di elementi ricorrenti in tutti i casi esaminati che fanno
ritenere le differenze meno marcate di quanto non appaia a prima vista.
L’importanza del “processo” nella metodologia di costruzione del piano strategico non può
mai essere sottolineata abbastanza. È nel processo che si sviluppano quelle interrelazioni
istituzionali e personali che sono alla base di un sentire comune sul futuro di una città. Il
piano fornisce uno stimolo al confronto personale in un contesto organizzato e la messa in
rete delle idee per definire un possibile futuro del luogo in cui si vive e lavora. Il processo di
costruzione partecipata e condivisa del piano, soprattutto se esteso a un territorio
metropolitano, mira a fare sorgere un’opinione pubblica favorevole verso soluzioni
innovative di grande respiro, in assenza delle quali il valore del processo è destinato a
durare la breve stagione della preparazione del piano.
È significativo che il piano strategico di Torino, cioè il primo piano strategico partecipato e
condiviso fatto in Italia, sia stato predisposto non su scala comunale, ma per una grande
area metropolitana che ospita nel suo insieme un numero di abitanti di circa il 50 per cento
superiore rispetto al solo comune maggiore. L’area di Torino rappresenta forse il caso più
emblematico di una grande area metropolitana che per decenni ha fondato il suo sviluppo
su un solo settore economico e su una sola azienda. Al pari di alcune grandi città europee
che hanno attraversato crisi analoghe, Torino ha saputo reagire all’indebolimento
strutturale della sua base economica tradizionale, ed è interessante che abbia utilizzato lo
strumento del piano strategico per avviare un processo di decisione partecipata e condivisa
tra i maggiori soggetti decisionali pubblici e privati e per definire una nuova stagione di
sviluppo.
L’esperienza di Torino ha dimostrato per la prima volta il valore della metodologia seguita,
centrata su uno sforzo volontario dei principali soggetti decisori per definire insieme, nel
rispetto dei ruoli di ciascuno, la direzione per il futuro della città e della sua area. Un
percorso analogo è stato seguito dalle altre città oggetto dell’indagine, in particolare da
Firenze, Trento, Perugia, La Spezia, Copparo. Tali esperienze dimostrano l’importanza della
preparazione di un piano strategico come un processo negoziato e condiviso esteso a
un’intera area metropolitana. La metodologia utilizzata a Torino (mutuata dall’esperienza
dei piani strategici di alcune città estere e in particolare di Barcellona) prevede alcuni
passaggi critici:
•
in primo luogo la costituzione di un “Forum” degli interessi pubblici e privati inteso
come committente reale del piano e come referente costante dell’intero processo di
166
pianificazione. Senza tale passaggio, si può avere l’illusione di risparmiare tempo,
salvo poi accorgersi che il piano trova difficoltà ad essere attuato per le opposizioni
dei soggetti esclusi dal processo di formazione delle scelte;
•
un secondo elemento ricorrente è la conduzione di una cosiddetta “analisi
diagnostica”, non intesa come analisi originale fatta a tavolino da un consulente o da
un istituto di ricerca, ma come sintesi condotta in modo collegiale con gli stessi
soggetti pubblici e privati che dovrebbero essere l’oggetto dell’analisi;
•
un terzo elemento costante è la messa a punto di un insieme di idee sul futuro
desiderabile e possibile per il territorio in questione (la “visione”), e sulle iniziative
per realizzare entro un arco di tempo dichiarato (in genere una decina d’anni) le
linee strategiche e gli obiettivi su cui si trova un accordo tra i principali soggetti
pubblici e privati dell’area;
•
un quarto elemento costante, sia della indagine diagnostica sia della fase di
elaborazione delle diverse opzioni del piano strategico è che ai lavori del piano sono
chiamati a partecipare non i singoli cittadini, ma i rappresentanti dei soggetti
collettivi, pubblici e privati, che rappresentano interessi reali;
•
infine, il quinto elemento ricorrente è la conclusione del processo di elaborazione
del piano strategico mediante la sottoscrizione di un documento di intenti da parte
degli stessi soggetti pubblici e privati che hanno contribuito a definire le diverse
scelte che il piano propone.
I punti sopra esposti si ritrovano, nella sostanza, nella maggioranza delle città che hanno in
corso l’elaborazione di un piano strategico o che sono già nella fase attuativa. In alcuni casi,
la metodologia seguita si discosta in modo più formale che sostanziale in alcuni singoli
punti del processo. Ad esempio, in alcune città (Cuneo, Genova, Pesaro, Varese, Verona,
Vercelli) l’avvio del processo di pianificazione strategica non è stato fatto in modo
consecutivo o parallelo alla costituzione di un “Forum”, bensì tramite iniziative pubbliche
promosse dal comune maggiore (in genere una conferenza), a cui sono stati invitati i
soggetti principali dell’area.
Un secondo esempio di diversità metodologica è dato dal modo di condurre l’analisi di
partenza del piano strategico. Invece di svolgere una “analisi diagnostica” secondo le
modalità sopra richiamate in sintesi, si svolge una fase di “ascolto del territorio”, condotta
tramite analisi di documenti e soprattutto per mezzo di interviste ai principali soggetti
pubblici e privati dell’area. L’obiettivo finale da raggiungere resta, come nella metodologia
del primo gruppo di città, il coinvolgimento dei soggetti principali del territorio nella
167
identificazione dei punti di forza e di debolezza dell’area, delle principali opzioni di sviluppo
e dei maggiori ostacoli da superare.
In ambedue le modalità metodologiche, resta come elemento di fondo la costante ricerca
del coinvolgimento nell’azione di governo locale dei soggetti privati rappresentanti dei
maggiori interessi locali, dei soggetti pubblici diversi dal comune maggiore che di solito è
l’iniziatore del processo, e dei soggetti collettivi in rappresentanza del terzo settore
(volontariato, associazioni di base, ecc.).
La metodologia utilizzata a Torino ha le caratteristiche della esperienza di riferimento e
probabilmente costituisce allo stato attuale, con i casi di Firenze, Perugia, Trento, Copparo,
Verona e Pesaro, il modello di piano strategico più chiaro da utilizzare anche in altre realtà,
con tutti gli adattamenti che i singoli casi richiedono. Infatti, insieme alla valutazione dei
casi delle altre città in cui si è approvato formalmente un piano strategico, o in cui si è
prossimi a farlo, occorre che ogni ente locale sappia trovare un modo proprio per concepire
il piano strategico al fine di migliorare la governance locale, cioè per concepirlo come uno
strumento quanto più possibile integrato con gli altri strumenti esistenti.
In centri più piccoli di Torino e Firenze, ad esempio, sarebbe forse utile semplificare la
procedura di consultazione, ma senza omettere la costituzione di un “Forum“ (o di un
organismo altrimenti denominato, in grado di svolgere le medesime funzioni di raccordo
con la società civile) rappresentativo degli interessi pubblici e privati, perché questo è un
elemento chiave di tutto il processo della pianificazione strategica urbana.
Nella attuazione del piano di Torino si sono riscontrate molte difficoltà a mantenere vivo
l’approccio di scala metropolitana nella definizione e gestione delle singole iniziative. Lo
stesso progetto bandiera di istituire un “governo metropolitano” ad oggi non risulta ancora
attuato. Ciò, da un lato, dimostra quanto l’approccio del piano strategico sia difficile, ma
dall’altro lato indica che la metodologia seguita spinge gli enti locali su confini prima
inesplorati di cooperazione interistituzionale, tanto da far vedere come un limite da
superare quello che fino a ieri era ritenuto la normalità, ad esempio la gestione di
importanti servizi sociali o servizi a rete in ambito ristretto al territorio compreso nei
confini amministrativi comunali.
Valutazioni sul ruolo delle autorità pubbliche nel processo di pianificazione strategica
Una valutazione del ruolo delle autorità pubbliche deve limitarsi, per ragioni di spazio, ai
tre principali soggetti istituzionali, comune, provincia, regione.
In tutti i casi oggetto dell’indagine il comune maggiore dell’area è stato il motore politico
del piano strategico, a partire dalla visione iniziale, alla sua attuazione e al sostegno politico
e materiale del processo. Sempre sotto il profilo politico, una funzione fondamentale è
168
quella svolta dal “Forum dello Sviluppo” che è stato costituito in alcune città come
strumento di connessione diretta tra decisori pubblici e alcune istanze della società civile
dell’area metropolitana, senza la mediazione dei partiti politici.
Sotto il profilo tecnico, una funzione rilevante è stata svolta da organismi misti di esperti
locali e consulenti esterni, denominati “Comitato Tecnico Scientifico”, “Comitato di
Coordinamento”, “ufficio del piano”, “segreteria del piano” e dizioni similari. In diverse
città non si è esitato a mettere in piedi tali organismi attingendo abbondantemente ai saperi
presenti nelle istituzioni universitarie, non importa se del luogo o di altre parti d’Italia. In
qualche raro caso hanno fatto parte del Comitato Tecnico Scientifico anche esperti stranieri.
Il ruolo positivo di tali organismi tecnici si deve, oltre che alle conoscenze specifiche che i
singoli membri erano in grado di apportare, al ruolo di esperti indipendenti che molti se
non tutti membri dei vari comitati hanno saputo svolgere. Questo fatto ha apportato uno
stimolo costruttivo che ha permesso alle migliori forze interne degli enti locali di emergere.
La preparazione di un piano strategico è stata anche un’occasione per rafforzare
dall’interno i comuni che lo hanno promosso. In generale, il ruolo dei comuni è stato
finalizzato a promuovere una innovazione nella governance locale, riuscendo spesso a fare
da traino rispetto agli altri enti locali.
Una grande attenzione è stata posta, ad esempio, a non definire il piano strategico un piano
“del comune”, quanto invece un piano di area metropolitana, o di area vasta o di un insieme
di comuni, comunque di un territorio più ampio rispetto a quello comunale. Anche nei casi
in cui il piano strategico non ha coinvolto formalmente nessun comune al di fuori di quello
attivatore, si ritrova nei documenti di preparazione del piano e anche nelle proposte una
attenzione a un territorio di scala più vasta di quello comunale.
Il ruolo della provincia nella preparazione del piano strategico è stato in generale positivo,
in particolare per l’avere offerto un quadro di riferimento delle politiche ambientali (in
alcuni casi la provincia aveva avviato un programma di Agenda 21) e delle politiche dei
trasporti. In qualche caso l’iniziativa del piano strategico è stata male interpretata, ovvero
come finalizzata a far crescere il ruolo del comune maggiore a scapito dell’ente provinciale.
Per ovviare a tale inconveniente, sembra importante includere l’ente provinciale, come del
resto gli altri più importanti soggetti pubblici e privati, negli incontri preliminari all’avvio
pubblico del lavoro di preparazione del piano strategico. Le funzioni della provincia non
vengono certo sminuite dalla elaborazione di un tale piano, anzi, il suo ruolo sembra
fondamentale sia a livello tecnico, ad esempio con l’elaborazione di un PTCP che funga da
quadro di riferimento per il piano strategico, sia a livello politico, per la capacità dell’ente
provinciale di creare le migliori condizioni affinché tutti i piccoli comuni interessati
possano partecipare all’iniziativa promossa dal comune maggiore.
169
Per quanto riguarda il ruolo dell’ente regionale, il quadro è molto diversificato. In alcuni
casi non vi è stato alcun particolare contatto tra lo strumento piano strategico e gli
strumenti di pianificazione regionali. Il piano strategico non ha ricevuto a livello regionale
né particolari sostegni né particolari attacchi: è stato ignorato. Quando questa situazione si
è verificata, si può dire che si sia persa un’occasione. In questi casi, l’ente regione, con il suo
potere e prestigio, avrebbe potuto svolgere un ruolo positivo nella composizione di
eventuali incomprensioni tra il comune iniziatore del processo di pianificazione strategica e
l’ente provinciale, soprattutto nelle prime fasi del processo.
In altri casi, l’ente regionale ha svolto un ruolo molto sinergico con il piano strategico di
livello locale. Infatti, la regione può fornire un quadro di riferimento essenziale per un
qualsiasi piano di sviluppo socio-economico e urbanistico di livello locale, attraverso la
elaborazione di specifici strumenti di pianificazione regionale quali, ad esempio, il piano
territoriale regionale o un “Patto per lo sviluppo” (o altra dizione simile) tra le principali
forze pubbliche e private. Quest’ultimo è un documento di intenti generali, definiti a livello
regionale attraverso il metodo del confronto e della ricerca delle migliori soluzioni che
emergono da un lavoro comune tra istituzioni pubbliche di ogni livello, rappresentanze
delle principali forze private e organismi di carattere sociale.
3.4.2. Considerazioni finali sugli insegnamenti per il futuro e sugli errori da
evitare
Dall’analisi delle esperienze di preparazione e attuazione dei piani strategici oggetto
dell’indagine emergono alcune questioni di interesse generale per gli enti locali che
intendono utilizzare lo strumento “piano strategico” per rafforzare la propria azione di
governo locale. Vediamo le più importanti:
•
Un piano strategico è uno strumento di pianificazione integrata di un’area vasta? Se
la risposta è positiva, quali sono le misure di carattere istituzionale e tecnico più
efficaci per la sua attuazione?
•
Oppure il piano è uno strumento di creazione di consenso sulle politiche delle
amministrazioni locali attraverso la produzione partecipata di analisi e ricerche?
•
Il piano è uno strumento di tipo socio-culturale per fare convergere i principali
soggetti pubblici e privati sulla definizione comune di uno scenario futuro?
•
È corretto che un processo spesso molto complesso di pianificazione strategica abbia
come risultato un documento di intenti dalle maglie molto larghe?
•
Quale relazione funzionale dovrebbe esistere tra il documento finale di un piano e la
sua griglia di obiettivi e progetti concreti?
170
•
Ogni piano strategico promosso da soggetti pubblici e privati dovrebbe essere
approvato in modo formale da tutti i soggetti che lo hanno commissionato? E se la
risposta è positiva, l’approvazione dovrebbe avvenire un volta sola o periodicamente
in relazione allo stato di avanzamento del piano stesso? Infine, si può attuare uno
strumento di pianificazione integrata di area vasta quale è un piano strategico in
assenza di un apposito ufficio di piano dotato di poteri, risorse economiche e umane
tali da essere in grado di svolgere funzioni di pianificazione pro-attiva?
La concezione del piano strategico urbano (PSU) come uno strumento partecipato e
condiviso per la pianificazione integrata di scala metropolitana, indica un’agenda di
questioni tecniche sulle quali sarebbe opportuno sviluppare la riflessione e il confronto.
Indichiamo qui di seguito alcune delle questioni che ci sembrano più rilevanti sulla base
dell’osservazione dei 16 casi di PSU dell’indagine.
Questioni per il processo di preparazione del piano antecedenti la decisione di redigere un
piano e di annunciarne pubblicamente l’avvio.
•
La pianificazione strategica urbana non è una strada obbligatoria e prima di essere
intrapresa da una città occorre verificare se vi sono le condizioni per farlo. Uno dei
punti principali è se esistono le motivazioni sufficienti a unire nello sforzo di
pianificazione un numero significativo di soggetti pubblici e privati, in grado di
rappresentare i problemi e le risorse di un’area vasta che spesso travalica i confini
amministrativi di un singolo comune. L’esperienza di alcuni piani strategici che
hanno superato la fase dell’approvazione formale e che sono ora nella fase di
realizzazione del piano (ci riferiamo, tra gli altri, ai casi di Torino, Trento, Firenze,
Perugia, Verona, Copparo) indica che tale funzione di rappresentanza può essere
svolta in modo efficace da un “Forum” che deve essere in grado di portare intorno a
un unico tavolo i maggiori interessi (pubblici e privati) del territorio, cioè deve
essere rappresentativo ma non troppo numeroso.
•
Esiste un problema culturale e tecnico di coerenza tra le aspettative che si ripongono
sul piano strategico e le decisioni che l’insieme dei soggetti che lo promuove
riescono a prendere. Un soggetto promotore, carente sotto il profilo della capacità di
pianificazione, potrebbe non rilevare tali incoerenze e da un lato potrebbe espandere
in modo incontrollato e inconcludente gli studi e le analisi connessi al piano,
caricandolo sempre più di finalità generali e, dall’altro, potrebbe non cogliere le
necessarie interrelazioni e integrazioni con le altre forme di pianificazione
(istituzionale e volontaria), le esigenze di risorse (potere delegato, strumentazione
171
tecnica, personale) che devono sostenere il processo in rapporto alla complessità
della visione e ai tempi indicati per attuarla.
•
Esiste anche un problema molto importante ma poco dibattuto, relativo ai costi di
preparazione e gestione di un piano strategico. L’argomento in dettaglio va visto
caso per caso, ma sembra possibile indicare alcuni criteri di buona condotta
generale:
-
nella misura in cui la necessità di avviare gli studi per un piano strategico è
condivisa dai principali soggetti pubblici e privati di un territorio, si
dovrebbe concordare anche una ripartizione dei costi, sia di quelli legati alla
preparazione del piano, sia, e soprattutto, di quelli di gestione;
-
la condivisione dei costi tra i soggetti promotori del piano strategico
andrebbe fatta esaltando le peculiarità di ciascuno, per cui si dovrebbe
ragionare non solo in un’ottica finanziaria, ma avendo sempre presenti le
finalità comuni da raggiungere. In questo quadro, potrebbe essere ragionevole anteporre il valore di una compartecipazione alle finalità generali del
piano strategico ad una mera ripartizione pro quota dei costi economici
dell’operazione. Si potrebbe prevedere, ad esempio, la contribuzione al
processo di piano attraverso la messa in comune, oltre che di risorse
economiche, anche di servizi, di personale, di sedi e attrezzature, ecc.;
-
qualunque sia la soluzione ritenuta più adatta ad ogni singola realtà locale,
va evitata, per quanto possibile, la situazione in cui vi sia un unico soggetto
finanziatore e fornitore delle altre risorse (personale, locali, ecc.) necessarie
alla preparazione del piano strategico e alla sua gestione. Dall’indagine
emerge che, nei fatti, diversi piani sono il risultato di una iniziativa
sostenuta finanziariamente soltanto dal comune principale. Questa può
essere una condizione non ideale ma accettabile nella fase di studio e di
primo avvio di un piano strategico. Invece, nella fase attuativa sembra
indispensabile riuscire a creare una intesa tra i soggetti proponenti che li
porti a definire insieme le risorse da allocare all’iniziativa e la loro
ripartizione tra tutti i soggetti interessati alla sua realizzazione.
Questioni per il prodotto finale di un piano strategico.
•
Il testo del piano dovrebbe esprimere in modo più puntuale le interconnessioni tra
quanto previsto dall’insieme di linee strategiche, obiettivi e azioni, e quanto previsto
dagli strumenti di pianificazione ordinaria, in particolare i PRG dei comuni
coinvolti, il PTCP, i piani regionali (piano territoriale e programmi di sviluppo socio-
172
economici), ma anche altri strumenti avviati di recente quali il bilancio sociale e il
programma di Agenda 21 con i conseguenti piani di azione locale.
•
Si dovrebbe articolare quanto in concreto il piano propone di realizzare,
introducendo una classificazione per livelli di governance (interna, esterna e
istituzionale) delle azioni previste, senza limitarsi a una semplice distinzione tra
azioni ordinarie e azioni di bandiera.
•
Sarebbe utile definire un cronoprogramma del piano, cioè una articolazione
temporale in fasi delle azioni, da cui emerga con maggiore chiarezza quali sono gli
impegni nel tempo dei soggetti pubblici e privati che sottoscrivono il piano, in
particolare nei primi due anni successivi alla approvazione del piano.
Questioni per il processo di attuazione e gestione del piano.
•
Si dovrebbe ripensare il modo in cui avviene la sottoscrizione di un piano strategico,
trasformandola da una sottoscrizione una tantum di un “patto per lo sviluppo” (o
dizioni similari), a una approvazione dinamica e ricorrente. Si potrebbe, ad esempio,
fare seguire alla firma iniziale di un “documento di intenti” una approvazione
annuale del piano strategico che abbia anche il sapore della legittimazione continua
dello strumento da parte dei soggetti promotori. A tal fine sarebbe opportuno
redigere un “bilancio annuale del piano strategico” con l’indicazione dei risultati
raggiunti, delle risorse impiegate, delle mete per i dodici mesi successivi e così via,
da sottoporre al voto di approvazione dei soci pubblici e privati. Si tratterebbe, cioè
di sottoporre anche il piano strategico all’esame di un nucleo interno.
•
Sembra urgente sviluppare un ristretto numero (core set) di indicatori per
esprimere in modo oggettivo il grado di attuazione di un piano. Le esperienze di
analisi e misurazione di impatto ambientale sviluppate in relazione all’attuazione
dei programmi di Agenda 21 potrebbero suggerire modi operativi per tale compito.
Ad esempio, è di tutta evidenza che se un piano indica che alcune azioni sono più
importanti di altre dovrebbe approntare gli strumenti per indicarne periodicamente
lo stato di attuazione alla “committenza”, ovvero all’insieme delle forze pubbliche e
private che hanno commissionato il piano.
•
Occorre porsi il problema delle competenze tecniche necessarie a dare autorevolezza
interna alla associazione preposta alla attuazione del piano, premessa importante
per la visibilità esterna del piano. Il ruolo di rappresentanza esterna non può che
essere del sindaco della città maggiore che inizia il processo, mentre la funzione di
direzione operativa del piano richiede persone con formazione ed esperienze a
173
livello senior nel campo della pianificazione urbanistica e dello sviluppo economico
locale.
Ad uso degli enti locali che stanno valutando l’eventuale ricorso al metodo della
pianificazione strategica urbana può essere utile sintetizzare in una “lista di controllo”
(checklist) le osservazioni sopra esposte in merito ai punti critici della preparazione e
gestione di un piano strategico urbano (PSU). La “lista di controllo” è articolata in 10
domande relative alla fase di preparazione del PSU e in 15 domande concernenti la fase di
attuazione. Va da sé che tale “lista di controllo” è da intendersi come uno strumento di
indirizzo generale che andrebbe in parte calibrato a seconda delle condizioni dell’ente locale
che intende promuovere un processo di pianificazione strategica sul suo territorio.
Tabella 3.4.1
Una lista di controllo per effettuare in due fasi l’auto valutazione del processo di
preparazione e gestione di un piano strategico urbano (PSU)
Fase A: Preparazione del piano strategico urbano
1
La “visione” del PSU è scritta in modo chiaro e definisce che tipo di città si vuole ottenere a
una data definita?
2
Ci sono riscontri che all’interno del soggetto che promuove il PSU amministratori e
dipendenti a tutti i livelli siano stati coinvolti, con modalità appropriate per ogni livello, nel
processo di definizione del piano stesso (visione, linee strategiche, obiettivi, azioni)?
3
C’è riscontro che i rappresentanti degli interessi pubblici e privati esterni al soggetto
promotore abbiano partecipato attivamente alla definizione del PSU?
4
Sono stati invitati alla ideazione del piano strategico urbano tutti i comuni che condividono
i maggiori problemi o le maggiori opportunità dell’area urbana in questione?
5
Il PRG e gli altri strumenti urbanistici principali del comune principale e dei comuni
aderenti seguono il PSU o viceversa?
6
Sono state considerate le relazioni tra PSU, da una parte, e dall’altra parte PTCP, Piano
Territoriale Regionale (laddove esistenti) ed eventuali strumenti di programmazione
complessa (PRU, PRUSST, ecc.)?
7
Il costo delle risorse finanziarie, umane e logistiche per la preparazione del piano
(pubblico/privato) è stato coperto anche da risorse di soggetti privati o di soggetti pubblici
diversi dal comune maggiore?
8
È stato costituito un “Forum dello Sviluppo” o un analogo strumento permanente di
governance locale per creare un luogo istituzionale stabile in cui i principali interessi
pubblici e privati dell’area possano dialogare e prendere iniziative di comune interesse?
174
9
Fatto 100 il totale delle azioni materiali e immateriali previste dal PSU, il numero delle
azioni prevalentemente sostenute da privati o da soggetti pubblici diversi dal comune
maggiore è almeno pari o superiore a 10?
10
Visto il totale delle azioni materiali e immateriali previste dal PSU, si è posta attenzione a
fare emergere delle azioni pubbliche e private che ricadano in modo prioritario sui territori
dei comuni minori aderenti al PSU?
11
È stato firmato in forma e luogo pubblici da tutti i maggiori rappresentanti degli interessi
pubblici e privati dell’area del PSU (intesa come territorio comprendente tutti i comuni che
hanno sottoscritto il PSU) un “Patto dello sviluppo” come prodotto conclusivo, partecipato
e condiviso, del processo di piano?
Fase B: Attuazione del piano strategico urbano
12
Per l’attuazione del PSU si è decisa l’istituzione di un “Ufficio del piano” o di un altro
organismo (associazione, osservatorio, ecc.) sostenuto da risorse miste, cioè rappresentative
del mix di soggetti che hanno elaborato e approvato il piano strategico urbano?
13
Visto il costo globale (risorse umane, finanziarie, strutture, ecc.) di gestione annuale della
struttura di attuazione del PSU, la quota a carico di soggetti diversi dal comune maggiore è
di almeno il 25 per cento?
14
C’è un riscontro che i punti di debolezza e le minacce per il futuro dell’area evidenziate
dall’analisi diagnostica del PSU abbiano avuto risposta con le azioni proposte?
15
È previsto un bilancio economico e una relazione sullo stato di attuazione delle azioni
previste dal piano strategico urbano (PSU) con periodicità almeno annuale?
16
Sono stati predisposti e sono applicati degli indicatori quantitativi per misurare lo stato di
attuazione del piano attraverso le azioni inizialmente previste e attraverso eventuali nuove
azioni ammesse all’interno del PSU?
17
C’è una copia del PSU completo e aggiornato o una versione sintetica sulla scrivania di tutti i
decisori e dei loro principali collaboratori, sia all’interno del comune maggiore che ha
promosso il piano sia all’interno dei soggetti pubblici e privati che lo hanno sottoscritto?
18
Quando si deve decidere di una questione rilevante per il futuro dell’area urbana il PSU
viene considerato?
19
Gli investimenti maggiori dei soggetti pubblici e privati dell’area sono fatti per assecondare
quanto il PSU prevede o viceversa?
20
Nel caso di più comuni aderenti, le azioni pubbliche immediate previste dal PSU trovano
riscontro omogeneo nel PEG di tutti i comuni?
21
Il PSU ha stimolato una politica di fiscalità locale (ICI, ecc.) omogenea dei comuni aderenti?
22
Sono state stabilite le modalità e la frequenza (almeno semestrale) di un confronto tecnico
periodico tra le azioni previste dal PSU e le norme del PRG (o se esistente del piano
strutturale) del comune maggiore e degli altri eventuali comuni che hanno sottoscritto il
PSU?
175
23
L’attuazione delle azioni previste dal PSU è considerata come un elemento influente la
misura del grado di raggiungimento degli obiettivi annuali, e quindi per la corresponsione
degli eventuali incentivi economici previsti per il personale pubblico e privato impiegato dai
diversi soggetti che partecipano al PSU?
24
Quando i sindaci e gli altri principali soggetti pubblici e privati presentano l’area urbana in
campo nazionale o internazionale si riferiscono alla “visione” indicata dal PSU come ideale
da raggiungere entro una certa data?
25
È previsto un rinnovo periodico (es. annuale) degli indirizzi stabiliti dal PSU e un
conseguente rinnovo della sottoscrizione delle finalità del piano?
26
È stato istituito un Comitato Scientifico o altro organo separato dai soggetti decisionali
pubblici e privati del piano con il compito di esprimere una valutazione indipendente sullo
stato di attuazione del PSU?
Dall’esperienza dell’indagine emerge il dato positivo che gli enti locali monitorati hanno
ben presente le questioni sopra elencate e in alcuni casi, in particolare nelle città in cui i
piani sono stati approvati nel biennio 2003-2004 (Firenze, Nord Milano, Perugia, Trento,
Venezia, Verona, Copparo), hanno avanzato delle risposte operative. Si rafforza l’idea che
occorra sviluppare le capacità tecniche di svolgere funzioni di pianificazione complessa
rispetto ad un committente plurimo (ad esempio i membri del Forum), che esprime a volte
indicazioni contraddittorie. Ad esempio, le attività di monitoraggio e controllo vanno
concepite all’interno di una attività di pianificazione integrata. Per cui, non dovrebbero
essere viste come la missione principale dell’agenzia preposta alla gestione del piano, ma
come attività strumentali alla identificazione delle alternative e alla costruzione delle
condizioni (culturali, economiche, sociali, ecc.) idonee alla presa delle decisioni operative
conseguenti da parte dei soggetti attuatori dei singoli progetti.
In questo quadro, il soggetto pianificatore (l’agenzia del piano, o altra dizione similare)
agisce con la forza delegata dai soggetti che hanno commissionato il piano stesso, e poggia
la sua azione sulla forza morale che deriva dal riconoscimento dell’opinione pubblica del
ruolo svolto per la rinascita della comunità locale. Ma occorre definire meglio sia le relazioni
tra il soggetto attuatore del piano e i soggetti pubblici e privati che lo hanno commissionato e
sostenuto, sia gli aspetti di gestione tecnica del piano, a partire dalle competenze professionali
necessarie e dal modello di agenzia o associazione preposta alla gestione del piano.
Le città oggetto dell’indagine che hanno portato a un livello più avanzato la elaborazione e
attuazione di un piano strategico, hanno acquisito un certo vantaggio competitivo in
termini di esperienza nella gestione di programmi complessi e di capacità di risposta in fasi
critiche dello sviluppo urbano. Su questa base forte, occorre sviluppare una riflessione su
quali competenze professionali sono necessarie e come si debbono interconnettere tra loro
176
sotto il profilo dell’organizzazione interna, sia nella fase di preparazione del piano, sia in
quella ancora più importante della gestione.
Sembra importante individuare e condividere già nel corso del processo di pianificazione un
core set di indicatori capaci di esprimere una misura del grado di attuazione di ogni singola
linea strategica e di un intero piano. Si potrebbe comprendere il numero di azioni realizzate
o la somma degli investimenti pubblici e privati, valutati come sommatoria delle azioni per
ogni obiettivo e linea strategica, rispetto al totale previsto. O ancora meglio, un mix di
indicatori quantitativi e qualitativi, dato che alcune azioni consistono in realizzazioni di
politiche o iniziative in cui la componente edilizia o comunque di investimento fisso è
trascurabile. Comunque sia, sembra ragionevole che se un piano indica un certo numero di
azioni bandiera a queste si dedichi una speciale attenzione, tanto nella fase di approvazione
che di realizzazione e gestione.
Il piano strategico nella fase gestionale dovrebbe continuare a svolgere la funzione, già
iniziata con la preparazione congiunta dell’analisi diagnostica, di luogo di confronto delle
diverse opzioni di sviluppo locale tra i principali portatori di interessi pubblici e privati di
un’area metropolitana. Se così non è, le opzioni di sviluppo e i relativi progetti concreti
tornano ad essere identificati solo con la razionalità limitata di ogni singolo decisore,
mentre il quadro generale, la “visione” di sviluppo comune, sottoscritta pubblicamente nel
documento di approvazione del piano strategico, rimane lettera morta. Inoltre, al di fuori di
una concezione del piano strategico come strumento di pianificazione integrata di area vasta,
l’attività di comunicazione e marketing rischia ben presto di diventare autoreferenziale, e far
perdere per strada le idee innovative che avevano dato lo spunto iniziale al processo di
pianificazione strategica.
Sulla base dell’analisi fatta dei 16 casi oggetto dell’indagine, si può affermare che i piani
strategici di tipo partecipato e condiviso sono storie di successo nella misura in cui si può
osservare che:
•
il processo di preparazione, approvazione e attuazione del piano ha avuto una reale
convergenza di interesse tra enti pubblici locali (non solo il comune) e i principali
soggetti privati, espressa nella costituzione di un Forum dello Sviluppo o altra forma
analoga di rappresentanza degli interessi;
•
il piano è stato preparato in tempi piuttosto brevi ed ha avuto un voto di
approvazione formale sia da parte dell’organismo di rappresentanza degli interessi
pubblici e privati, sia da parte dei principali singoli soggetti pubblici e privati
secondo le rispettive procedure interne;
•
il piano, una volta approvato, è entrato nella fase attuativa, con il comune maggiore
nel ruolo di guida del processo e con i soggetti privati coinvolti in modo attivo;
177
•
per attuare il piano sono state prese delle decisioni di carattere politico e tecnico
adeguate, coinvolgendo sia il pubblico che il privato nella costituzione e gestione di
un organismo avente compiti di pianificazione pro-attiva;
•
il piano strategico ha avuto il carattere di pianificazione integrata di area vasta.
Gli elementi appena elencati possono essere intesi come parte di un modello ideale di
pianificazione che non ha riscontri completi in nessun singolo caso reale. Buona parte degli
elementi sopra indicati sono presenti in varia misura in tutti i piani strategici fino ad ora
approvati, un numero ancora relativamente piccolo rispetto ai 16 casi oggetto dell’indagine.
Per le ragioni esposte, i piani strategici approvati possono essere definiti, nella situazione
odierna, dei casi di successo sotto il profilo dell’innovazione del modello tradizionale di
governo urbano finalizzati alla ricerca di soluzioni di governance più rispondenti ai
problemi complessi che gli enti locali oggi devono affrontare.
3.4.3. Evoluzione futura della pianificazione urbana strategica
Quali sono le prospettive in generale per le città tuttora prive di uno strumento di
pianificazione strategica? Al riguardo, possono essere descritte tre posizioni prevalenti.
Secondo la prima, il momento d’oro della pianificazione strategica in Italia sarebbe già
passato. Questa idea è basata sulla osservazione che la diminuzione dei trasferimenti dallo
Stato centrale agli enti locali che ha caratterizzato le ultime leggi finanziarie ha creato serie
difficoltà per l’erogazione dei servizi di base e per svolgere le normali attività istituzionali
tra le quali le attività di pianificazione obbligatorie per legge. Se dovesse continuare la
restrizione di risorse finanziarie, il margine di manovra dei comuni si ridurrebbe al punto
da scoraggiare l’avvio di iniziative di pianificazione di tipo volontario, quindi non
obbligatorie per legge, quali i piani strategici urbani.
Una seconda posizione vede gli enti locali italiani in serio ritardo rispetto alle città europee
che hanno fatto ricorso alla pianificazione strategica già da almeno un paio di decenni. Con
l’intensificarsi delle relazioni dirette tra gli enti locali su scala europea e internazionale, si
dovrebbe assistere nei prossimi anni a una crescita delle città italiane che intendono dotarsi
di un piano strategico, ma una crescita che interesserà solo o principalmente quelle città
italiane abituate ad avere rapporti con città estere.
Una terza opinione, da noi condivisa, inquadra la pianificazione strategica come un’opzione
ricca di vantaggi e un’opportunità ancora da sfruttare per gli enti locali italiani, in
particolare per: a) le 103 città capoluogo di provincia; b) gli oltre 600 comuni al di sopra dei
30 mila abitanti; c) un buon numero dei comuni minori in cui determinati problemi di
178
sviluppo locale possono essere affrontati con maggiori possibilità di successo alla scala
intercomunale e in forma associativa.
Nel caso in cui permanga in futuro la tendenza alla diminuzione dei trasferimenti dallo
Stato agli enti locali, ciò, anziché un freno, potrebbe essere una ragione ulteriore per avviare
piani strategici da parte delle città che ne sono prive. I piani strategici non sono strumenti
di pianificazione comunali per spendere risorse pubbliche, ma sono strumenti di
pianificazione integrata per trovare insieme (pubblico e privato) sia gli indirizzi dello
sviluppo, sia le modalità e le risorse per la sua attuazione.
Per una evoluzione della pianificazione strategica urbana in Italia non occorre attendere
una eventuale introduzione obbligatoria dello strumento “piano strategico”, dato che
l’obbligatorietà avrebbe probabilmente più effetti negativi che positivi per gli enti locali. La
strada più interessante sembra essere quella della integrazione tra gli strumenti di
pianificazione fisica del territorio e il metodo della pianificazione strategica applicato ai
problemi e alle opportunità che le città presentano. Alcune regioni hanno già varato delle
leggi urbanistiche che includono alcuni dei principi caratteristici della pianificazione
strategica partecipata e condivisa. È il caso della legge n. 20/2000 dell’Emilia-Romagna,
che prevede ad esempio la “Conferenza di pianificazione” tra i soggetti rappresentanti i
diversi interessi locali. La recente legge n. 5/2005 della Regione Toscana prescrive il “piano
strutturale” come strumento per affrontare gli interventi ritenuti strategici per un territorio.
Inoltre la legge n. 5, con la forza dei suoi 210 articoli che la rendono un testo unico nella
materia,
introduce
il
“procedimento
integrato”
che
coinvolge
nel
processo
di
programmazione e pianificazione tutti i soggetti interessati (cioè i “portatori di interessi”
nella terminologia dei piani strategici). Si istituisce un nuovo organismo, la “Conferenza
paritetica interistituzionale” che fungerà da camera di compensazione per le divergenze tra
i diversi enti coinvolti.
L’indagine ha rilevato che nei 16 casi presi in esame la decisione di partenza è fortemente
correlata con l’avvio di un programma di mandato delle amministrazioni locali. Si è notato,
in particolare, che le decisioni di avvio di nuovi piani strategici urbani sono state prese nel
secondo e nel terzo anno successivo all’insediamento dei nuovi sindaci. Per queste ragioni è
probabile che nei prossimi anni si assisterà a una notevole diffusione di piani strategici, il
cui numero non crescerà in modo omogeneo anno dopo anno, dato che le decisioni relative
al loro avvio sono correlate con i cicli politici locali. Sembra ragionevole attendersi, ad
esempio, che le decisioni di avviare un nuovo piano si concentreranno nei primi 2-3 anni di
mandato di ogni amministrazione locale.
Gli enti locali che dispongono di un documento di piano approvato si pongono in una
situazione di vantaggio rispetto ad altre città italiane che condividono gli stessi problemi di
179
fondo ma che non dispongono di uno strumento efficace quale è un piano strategico di tipo
partecipato e condiviso, inteso come piano di sviluppo integrato e di scala vasta. In futuro, è
possibile che diverse delle 16 città oggetto dell’indagine vengano riconosciute come le prime
città italiane in cui il piano strategico ha svolto con successo una funzione di governance.
Ma il lavoro culturale e tecnico per rendere la pianificazione strategica urbana uno
strumento corrente per le politiche locali, integrato con gli strumenti di pianificazione
ordinaria, è ancora in gran parte da svolgere.
180
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183
RINGRAZIAMENTI
L’indagine “La pianificazione strategica partecipata in Italia” è stata condotta dal CRUTA
(Centro Ricerche Urbane Territoriali e Ambientali) dell’Università di Ferrara su incarico e
in collaborazione con il Formez. Per il CRUTA il gruppo di lavoro è stato il seguente: Paolo
Ceccarelli (responsabile scientifico della ricerca), Gastone Ave (coordinatore della ricerca),
Gianfranco Franz, Luca Fondacci, Maria Matarazzo. Alla segreteria della ricerca ha
collaborato Federica Mori. Per il Formez l’indagine è stata coordinata da Valeria de
Magistris e Giuseppe Gioioso, con la collaborazione di Elisabetta D’Agostino.
I testi del volume e del CD allegato sono stati curati da Gastone Ave. Gli autori dei testi sono
Gastone Ave, Paolo Ceccarelli, Gianfranco Franz, Luca Fondacci. Alla ricerca iniziale su
alcuni casi descritti nel CD ha collaborato Maria Matarazzo.
Lo studio è stato realizzato grazie al contributo di numerosi amministratori, funzionari,
esperti e consulenti degli enti locali oggetto dello studio, oltre che al lavoro dei ricercatori
del Formez e del CRUTA.
Si desidera ringraziare in particolare:
•
per il Comune di Copparo Maurizio Barbirati, Daniela Ori, Davide Tumiati;
•
per il Comune di Cuneo Mauro Mantelli;
•
per il Comune di Firenze Raffaella Florio, Natale Mancioli, Simone Tani;
•
per il Comune di Genova Bruno Gabrielli;
•
per il Comune di La Spezia Roberto Camagni, Pier Luigi Fusoni, Giorgio Pagano;
•
per i Comuni del Nord Milano Lella Bigatti;
•
per il Comune di Perugia Luciano Castellani, Bruna Cutini, Renato Locchi, Giovanni
Moriconi, Donatella Picchiotti, Valeria Tocchi;
•
per il Comune di Pesaro Fiorenza Martufi;
•
per il Comune di Piacenza Adriano Visai;
•
per il Comune di Roma Roberto Camagni, Paolo Ceccarelli;
•
per il Comune di Torino Elisa Rosso, Paolo Verri;
•
per il Comune di Trento Giorgio Antoniacomi, Clara Campestrini;
•
per il Comune di Varese Francesca Boccia, Leonardo Irmici, Enrico Ottolini, Franco
Amodeo Taddei;
•
per il Comune di Venezia Roberto Pugliese, Angela Salvato, Dennis Wellington;
•
per il Comune di Vercelli Vincenzo Cordone;
•
per il Comune di Verona Maurizio Carbognin, Maria Gallo.
Stampa Tipografia ATENA S.r.l. - Roma
Via di Val Tellina, 47 - 00151 Roma
Finito di stampare nel mese di marzo 2006
Pubblicazione non in vendita