La pianificazione strategica partecipata in Italia
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La pianificazione strategica partecipata in Italia
I I l Formez nel 2001 ha rilanciato e potenziato l’attività editoriale con una nuova veste grafica e con contenuti fortemente collegati alle attività di formazione, assistenza e consulenza. L La produzione editoriale si articola in tre collane: “Quaderni”, momenti di riflessione teorica e culturale su temi di grande rilievo per la Pubblica Amministrazione e per lo sviluppo locale; “Strumenti”, guide, manuali e modulistica di supporto agli operatori pubblici e privati; A “Azioni di Sistema per la Pubblica Amministrazione” che presentano i risultati dei progetti realizzati all’interno delle Azioni di Sistema del Fondo Sociale Europeo per sostenere i processi di riforma della P.A. Nel 2005 sono state riattivate le collane “Materiali” e I “Materiali Azioni di Sistema per la P.A.” che contengono una documentazione didattica immediata e preziosa su attività di formazione e assistenza dell’Istituto. Esse rappresentano anche un momento di verifica e uno strumento utile ad attivare rapporti di partenariato e di R scambio tra le esperienze realizzate in vari contesti. Pertanto possono essere la base per futuri approfondimenti e sono comunque un prodotto finito di formazione permanente per tutti gli utenti. Questo volume presenta i risultati dell’indagine “La E pianificazione strategica partecipata in Italia” condotta nell’ambito della Linea Osservatorio del Progetto Governance. La ricerca ricostruisce i processi di urban local governance attivati di recente da alcuni comuni italiani, che T rappresentano casi emblematici della riconfigurazione del ruolo dell’ente locale in materia di sviluppo locale, quale soggetto promotore di reti allargate per la valorizzazione del capitale sociale e l’individuazione condivisa e partecipata di idee di sviluppo delle città e dei territori. A Sono state approfondite 16 esperienze di “buone pratiche”, mettendo in evidenza i possibili punti di forza e di debolezza e tracciando infine delle utili linee guida, da intendersi quali consigli pratici alle altre amministrazioni M che intendono percorrere processi di innovazione analoghi. Angelo Raffaele Dinardo Vicepresidente Formez Questo volume è stato redatto nell’ambito del Progetto Governance, Linea Osservatorio, finanziato dal Dipartimento della Funzione Pubblica. A cura di Giuseppe Gioioso, Centro competenza Diffusione dell’innovazione e del benchmarking, Formez con la collaborazione di Elisabetta D’Agostino L’indagine è stata realizzata da CRUTA (Centro Ricerche Urbane Territoriali e Ambientali) dell’Università di Ferrara Responsabile scientifico: Paolo Ceccarelli Coordinatore: Gastone Ave Gruppo di lavoro: Gianfranco Franz, Luca Fondacci, Maria Matarazzo Organizzazione editoriale Paola Pezzuto, Federica Centurelli INDICE PREMESSA………………………………………………………………………………………………………..7 INTRODUZIONE………………………….………………………………………………………………….11 CAPITOLO 1 INQUADRAMENTO DEL FENOMENO DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA IN ITALIA E IN EUROPA…………..…….………19 1.2 Il quadro della pianificazione strategica in Italia, con riferimenti alla pianificazione strategica in Europa.…………………………………………………………..19 1.2 Iniziative recenti di pianificazione strategica urbana…………………………………………28 CAPITOLO 2 ANALISI DEI PIÙ RILEVANTI CASI DI PIANIFICAZIONE URBANA STRATEGICA IN ITALIA…………………………………………………………….….31 2.1 Introduzione……………………………………………………………………………………….…………31 2.2 Lo schema interpretativo dei casi…………………………………………………………………….42 2.3 Le ragioni fondamentali per l’avvio del piano strategico…….……………………….……..46 2.4 Le modalità di approvazione dei piani strategici……………………………………………….52 2.5 Attori e rispettivi ruoli……………………………………………………………………………………57 2.6 Metodologie e strumenti di supporto per l’analisi diagnostica……………………………71 2.7 Le fasi di definizione dell’agenda per la formazione del piano e per la sua attuazione…………………………………………………………….……………………..81 2.8 I contenuti: assi strategici, obiettivi, azioni……………………………………………………...88 2.9 I “progetti bandiera”: le diverse soluzioni osservate………………………………………….92 2.10 Gli organismi istituiti per lo studio e per l’attuazione del piano strategico…………97 2.11 I prodotti del piano strategico…..…………………………………………………………………105 2.12 L’ambito territoriale di competenza del piano strategico………………………………..106 2.13 I principali soggetti pubblici e privati presenti nel processo di studio e attuazione del piano strategico…………………………………………………………………..108 2.14 I principali soggetti pubblici e privati assenti nel processo di studio e attuazione del piano strategico…………………………………………………………………..109 5 2.15 L’attuazione del piano strategico: attori, forme istituzionali, risorse umane e materiali, risorse finanziarie e comunicazione………………………..111 2.16 Posizionamento dell’esperienza nel modello di ciclo di vita della pianificazione strategica: punti di forza e debolezza………………………………..113 2.17 Ruolo e impatti del processo sulla struttura organizzativa dell’ente………………….114 2.18 Peculiarità emerse dall’analisi dei casi…………………………………………………………..118 2.19 Valutazione dei risultati del processo di pianificazione…………………………………...124 CAPITOLO 3 LINEE GUIDA PER LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE IN TEMA DI PIANIFICAZIONE URBANA STRATEGICA……………………………139 3.1 Analisi………………………………………………………………………………………………………….……140 3.2 I fattori critici della pianificazione strategica…………………………………………………….…..149 3.3 Trasferibilità e sostenibilità delle esperienze…………………………………………….…………..153 3.4 Conclusioni……………………………………………………………………………………………….……….159 BIBLIOGRAFIA…………………………………………………..…………………………………………181 6 PREMESSA La crescente complessità socio-economica, la crisi finanziaria del settore pubblico, il ridisegno degli assetti istituzionali derivante dal processo di decentramento e dall’affermazione del principio di sussidiarietà, la ricerca del consenso, la necessità di competenze e skill sempre più diversificati e specialistici, in un ambiente esterno di competizione globale ed in rapido mutamento, sono i fattori che stanno imponendo agli enti locali una rapida reinterpretazione del proprio ruolo istituzionale. L’obsolescenza ed inefficacia delle tradizionali logiche di gestione e di formulazione delle politiche, rendono ineludibile l’apertura dei confini amministrativi verso l’esterno, attraverso il coinvolgimento della pluralità degli attori della comunità locale e lo sviluppo di network allargati, in cui l’ente locale, rinunciando in parte al proprio ruolo di autorità, di government, si afferma come soggetto promotore e coordinatore dello sviluppo della collettività locale. Emerge quindi un nuovo scenario, che segna il passaggio dal modello burocratico centralista ad un approccio di governance, in cui la tensione per la regolarità e formalità amministrativa cede il passo alla ricerca di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa e i rapporti gerarchici formali vengono gradualmente sostituiti da forme e modelli di cooperazione interistituzionale pubblico-pubblico, pubblico-privato orientati al raggiungimento di outcome, piuttosto che al mero ossequio di procedure codificate. Nell’ambito di tali approcci, definiti dalla letteratura internazionale di urban local governance, i processi di pianificazione strategica partecipata rappresentano casi emblematici di riconfigurazione dei ruoli e delle modalità di azione degli enti locali, in linea con i principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza promossi dall’UE nel suo Libro Bianco sulla Governance europea. Essi rappresentano infatti originali approcci di governance locale per reagire ai cambiamenti in atto ed anticipare, invece che limitarsi a registrare passivamente, i processi in divenire, tramite la formulazione di un’“idea di città” e di un piano “della” città (e non “per” la città) frutto delle sinergie e degli sforzi comuni degli attori locali, che catalizzano le risorse in una vision del futuro chiara e condivisa, collegata a un’idea di sviluppo partecipata e democratica. Originali approcci in quanto in Italia non esiste alcuna prescrizione normativa che vincola gli enti locali ad intraprendere alcun processo di pianificazione strategica, né alcunché è indicato circa le relative modalità di coinvolgimento di soggetti terzi all’amministrazione locale. 7 Le esperienze di pianificazione strategica partecipata muovono da motivazioni endogene, vale a dire dalla percezione sempre più forte degli amministratori locali ed in primis dei sindaci che il modello di sviluppo accentrato e imposto dall’alto, e gli strumenti obbligatoriamente previsti sono ormai obsoleti ed insufficienti per affrontare un sistema di competizione globale in cui la scala ottimale non può più essere quella strettamente cittadina e l’orizzonte di sviluppo è necessariamente di lungo periodo. Il piano strategico, quindi, rappresenta ed ha rappresentato per le amministrazioni che lo hanno intrapreso una scelta assolutamente volontaria. Una scelta che, focalizzandosi sul framework normativo, sconta, come si evince anche dalla lettura delle esperienze italiane, la settorialità, la “staticità” e la “scala amministrativa ridotta” degli strumenti di pianificazione urbanistica esistenti. Ad esempio, il Piano Regolatore che è lo strumento normativo comunale, che definisce i limiti dell’attività edificatoria nel territorio del comune, in funzione delle esigenze della popolazione, pur essendo un “momento strategico” destinato ad incidere per lungo tempo, si conclude con l’approvazione dell’atto, non comportando la nascita di un processo costante e sistemico di “pianificazione strategica condivisa” in cui i diversi attori del territorio si mobilitano per la costruzione e la esecuzione di un piano complessivo della città. Inoltre risente della mancata attuazione della legge 142/90, laddove prevedeva l’istituzionalizzazione di un nuovo livello istituzionale, le Città Metropolitane, ritornate di recente attualità con la riforma del Titolo V della Costituzione, che potrebbe costituire un elemento fondamentale per la definizione di scenari futuri e di scelte strategiche su ambiti dimensionali più coerenti con gli assetti gravitazionali delle grandi aree urbane e per una più efficace competizione rispetto alle altre aree metropolitane internazionali. La scelta della pianificazione è alimentata da spinte verso l’esterno previste da altri istituti riguardanti politiche settoriali che hanno individuato nella cooperazione pubblico-pubblico e pubblico-privato un elemento distintivo caratterizzante ed una leva strategica di successo. È questo il caso degli strumenti di programmazione negoziata per lo sviluppo territoriale (Intesa Istituzionale di programma Stato/Regioni, Patti territoriali e Contratti d’area, Contratti di programma, Accordi di programma) o le politiche per lo sviluppo sostenibile relative alla formulazione di un’Agenda 21 locale, o ancora, ad esempio, la programmazione delle politiche di welfare relative alla formulazione dei Piani Sociali di Zona, o la programmazione per l’utilizzo e la partecipazione a programmi comunitari, che hanno tutte come elemento caratterizzante la creazione di una rete di soggetti eterogenei, istituzionali e non, coinvolti a vario titolo ed ognuno con le proprie “risorse” nella formulazione e gestione di politiche ed interventi pubblici. 8 Tali istituti pur nella loro “settorialità” hanno sicuramente un grande pregio che è consistito nell’attivazione di modalità ed istituti di concertazione e cooperazione (tavoli di concertazione, forum, ecc.) che lentamente hanno contribuito all’affermazione di un’idea di un possibile diverso ruolo esercitabile dagli enti locali, non più come soggetto unico responsabile della formulazione e della gestione delle politiche ma come componente, e in taluni casi attivatore e coordinatore, di reti relazionali e valorizzatore del capitale sociale locale che costituiscono sicuramente elementi essenziali per l’avvio di un processo di pianificazione strategica condivisa. Capitale sociale che può essere definito come l’insieme di relazioni, improntate alla reciprocità fiduciaria all’interno di reti di mutuo riconoscimento e guidate da norme di comportamento. Relazioni che funzionano come canali informativi e di scambio, permettono agli individui di organizzazioni e istituzioni diverse di collaborare eliminando o riducendo i comportamenti opportunistici, favoriscono processi di continuo apprendimento e innovazione. Nelle esperienze degli enti locali italiani il piano strategico rappresenta un documento di programmazione, un quadro di riferimento, un sistema di coerenze, uno strumento innovativo per i bisogni della città che cambiano, che consente di: • affrontare le sfide poste ai sistemi locali per la modernizzazione delle città • formulare strategie condivise di sviluppo ed attuare le scelte secondo criteri di sostenibilità • favorire il riposizionamento competitivo del sistema locale • promuovere interventi per una maggiore qualità urbana. Il piano strategico è visto come lo strumento che, grazie alla sua natura relazionale, flessibile, cooperativa, meglio interpreta la natura della città come milieu o come rete di attori interagenti e auto coordinati. Le iniziative di pianificazione strategica partecipata inoltre costituiscono dei casi interessanti, in quanto legittimano e valorizzano, per dirla con Hirschmann, le “risorse nascoste o latenti” del territorio, superando decenni di pianificazione e di politiche per lo sviluppo eterodirette, eteroimposte, puntando al contrario su modelli endogeni e autopoietici di sviluppo. Tali recenti esperienze, essendo nella maggioranza dei casi tuttora in corso, non rendono ancora possibile una valutazione definitiva dell’efficacia in termini di effettivi impatti sulla realtà socio-economica di riferimento. 9 Tuttavia, su queste esperienze è possibile avviare un processo di verifica sui possibili benefici della concertazione partecipata come modalità di gestione delle politiche pubbliche, attraverso la valorizzazione del capitale sociale locale. Tale è proprio l’obiettivo del presente lavoro, quinto1, in ordine di tempo, tra le indagini sui nuovi processi di governance in atto in Europa ed in Italia su tematiche innovative ed esemplificative dei nuovi modelli di azione delle pubbliche amministrazioni, realizzate nell’ambito della Linea Osservatorio del Progetto Governance, gestito dal Formez per conto del Dipartimento della Funzione Pubblica. La ricerca, condotta attraverso analisi documentali, visite sul campo e interviste a testimoni privilegiati, inquadra, anche attraverso la comparazione con i migliori casi internazionali, i processi di urban local governance, analizzando, tramite la metodologia dei case study, 16 delle più interessanti esperienze italiane di pianificazione strategica condivisa intraprese recentemente da comuni italiani, che puntano ad una ambiziosa reinterpretazione dell’idea di città e del modello di governo della stessa. In particolare la ricerca approfondisce, sia in chiave metodologica che operativa, le diverse fasi processuali e i diversi strumenti della pianificazione partecipata, evidenziando, per ciascuno dei casi, le modalità di formazione dei network, le tipologie e i ruoli dei diversi soggetti coinvolti, le fasi del processo di pianificazione, gli strumenti e gli istituti di concertazione e di cooperazione previsti, gli assi strategici individuati, le risorse finanziarie e le relative fonti, i principali conflitti emersi e le relative tecniche di risoluzione, gli strumenti ed i soggetti di coordinamento. Infine alla luce dell’analisi critica delle esperienze in atto, la ricerca propone delle “linee guida”, che costituiscono utili consigli operativi e un ulteriore contributo al processo di apprendimento degli operatori delle PA che intendono approcciare nuove modalità di azione partecipata per la realizzazione di politiche di sviluppo locale. Giuseppe Gioioso 1 I volumi realizzati nell’ambito della Linea Osservatorio del Progetto Governance sono: - La public governance in Europa (a cura di V. de Magistris), Collana Quaderni Formez n. 30 (7 voll); - Nuovi soggetti della governance esterna (a cura di V. de Magistris e G. Gioioso), Collana Quaderni Formez n. 31; - Governance regionale e agenzie di sviluppo (a cura di V. de Magistris), Collana Materiali Formez; - Nuovi profili di accountability nelle PA italiane: Teoria e strumenti (a cura di V. de Magistris e G. Gioioso), Collana Quaderni Formez n. 40. 10 INTRODUZIONE Gli enti locali si rinnovano e diventano protagonisti dello sviluppo Il difficile stato della finanza locale ha spinto gli enti locali italiani ad accentuare negli ultimi anni il loro impegno verso il rinnovamento su due fronti, interno ed esterno. Nel primo caso, la gestione interna degli enti è diventata un terreno sul quale attuare un ripensamento globale del modo di operare della pubblica amministrazione, teso a privilegiare i risultati tangibili per la cittadinanza rispetto all’osservanza di norme e procedure interne a volte obsolete. Gli enti locali hanno cercato di trarre dal mondo delle imprese i migliori modelli di gestione delle risorse interne aziendali. Compito difficile, non tanto per le carenze di risorse da spendere in formazione e innovazione, quanto per la necessità di adattare gli insegnamenti derivanti dai migliori casi aziendali al settore pubblico. Si è dovuto tenere conto della particolare natura dell’amministrazione locale che, a differenza dell’impresa privata, non ha un obiettivo unico e facilmente misurabile da perseguire (il profitto aziendale), ma ha l’obbligo di realizzare una finalità complessa (il bene comune) che è sempre un mix di elementi quantitativi, quindi misurabili e rendicontabili, qualitativi o addirittura intangibili (ad esempio la buona reputazione dell’amministrazione locale), ben più difficili da trattare ma non meno importanti. Ciò comporta per l’ente locale l’obbligo istituzionale di svolgere una pluralità di funzioni di controllo e di erogazione di servizi diretti alle famiglie e alle imprese. Ultimamente a tali funzioni tradizionali si è aggiunto anche un compito nuovo, quello di essere protagonisti dello sviluppo economico e sociale del territorio e di esserlo attraverso procedure di governance che coinvolgono in modo diretto una pluralità di soggetti pubblici e privati, istituzionali e non. Ciò significa, in altre parole, svolgere la funzione di soggetti attivi, che colgono dalla società e dal mercato occasioni di intervento che nessuna legge impone loro. Sono queste trasformazioni della società e questi nuovi compiti degli enti locali che hanno progressivamente portato alla “pianificazione strategica” e soprattutto a quella “partecipata”, come si vedrà in dettaglio più avanti. Dall’inizio degli anni Novanta si registrano importanti cambiamenti istituzionali nel campo delle autonomie locali, nel quadro della riforma introdotta dalla legge 142/90, ad esempio l’elezione diretta dei sindaci (avvenuta per la prima volta con le amministrative del 1993), la trasformazione delle aziende municipalizzate in società per azioni aperte al mercato, l’introduzione di nuovi parametri per la copertura economica dei costi di erogazione di determinati servizi. Vi sono state anche importanti novità di carattere gestionale all’interno degli enti locali quali, ad esempio, l’introduzione della funzione del direttore generale (il 11 city manager), chiamato a far conoscere nei comuni le moderne tecniche di city management e a far funzionare la macchina amministrativa nella sua interezza per il raggiungimento degli obiettivi strategici decisi dalle amministrazioni. La figura del direttore generale ha dato buoni risultati laddove è stata solo il primo passo di una modifica del modo di operare di tutta la squadra dei dipendenti, a partire dai dirigenti, verso, ad esempio, l’utilizzo ordinario del metodo di lavoro per obiettivi e verso l’azione coordinata tra assessorati per programmi integrati. Si è introdotto il metodo del controllo interno di gestione e il bilancio sociale (ancora in termini sporadici e superficiali per la verità), si è visto in diversi casi un cambiamento forte e positivo nelle attività di comunicazione rivolte ai cittadini e alle imprese, reso evidente dalla nascita di nuovi uffici mirati non a far rispettare nuovi regolamenti, ma a raccogliere le critiche e le proposte della cittadinanza, a facilitare il lavoro delle imprese esistenti e l’insediamento di nuove iniziative imprenditoriali. Oggi il grado di innovazione di una amministrazione locale non dipende tanto dalla presenza o meno di tali iniziative (l’ufficio relazioni con il pubblico, lo sportello unico, gli “incubatori” di impresa, le agenzie di promozione e marketing del territorio, ecc.), quanto dalla qualità dei risultati prodotti con le loro azioni quotidiane. Sul fronte esterno, gli enti locali più innovativi si sono adoperati negli ultimi anni per svolgere un ruolo che non si esaurisce nelle funzioni di regolamentazione e controllo ma che si estende alla promozione economica e sociale dell’area. In questi casi, la scoperta della necessità di svolgere iniziative di ascolto delle esigenze della comunità locale e di comunicazione interna ed esterna hanno veicolato una immagine moderna di ente locale, la cui azione appare nei casi migliori sempre più guidata dalla volontà di offrire i migliori servizi pubblici possibili (entro i vincoli di bilancio, e a volte anche oltre tali vincoli con il successo nell’attrazione di risorse pubbliche e private addizionali) e dalla capacità tecnica di erogare tali servizi nei punti del territorio e con le modalità (frequenza, costo, ecc.) più vicine alle preferenze della popolazione. La pianificazione strategica consente l’innovazione del modo di operare degli enti locali nel senso appena indicato. Dal governo alla governance La via della pianificazione strategica non si può improvvisare, serve abitudine alla copianificazione con altri soggetti pubblici e con il mondo delle imprese. Le “barriere di ingresso” alla predisposizione di un piano strategico urbano sono molto basse, quasi inesistenti: quasi tutti i comuni italiani in forma singola o aggregata, se lo volessero, potrebbero trovare le risorse per commissionare la preparazione di un “piano strategico” (o quanto meno di un piano in cui si ripete molte volte l’aggettivo “strategico”) al consulente di 12 turno. Ma quest’ultimo, indipendentemente dalle sue capacità e motivazioni, non può far sviluppare la consuetudine a governare il territorio in forma innovativa, laddove tale consuetudine non fosse già stata coltivata in precedenza attraverso i moderni strumenti di gestione del governo locale (PEG, bilancio sociale, ecc.), oppure attraverso i molti strumenti di pianificazione tradizionale (PRU, PRUSST, lo stesso PRG, ecc.), in cui è possibile inserire una visione strategica e un rapporto franco con i soggetti privati e gli altri soggetti pubblici dell’area. Se, infatti, commissionare all’esterno un documento che sia intitolato “piano strategico” è abbastanza facile anche per comuni di piccola dimensione, ben diverso e più impegnativo è il compito di predisporre e attuare nel tempo un piano strategico urbano di tipo partecipato e condiviso con i soggetti pubblici e privati più rappresentativi di un’area. In questo senso l’indagine sembra dimostrare che la pianificazione strategica può dare risultati importanti in tempi molto brevi (in rapporto all’entità delle trasformazioni urbane) solo se attuata da enti locali che hanno già avviato la transizione dal government alla governance, cioè dall’esercizio in forma diretta ed esclusiva delle funzioni di governo locale al metodo del coordinamento e della pianificazione condivisa tra più soggetti pubblici e privati. Il piano strategico non va inteso come un nuovo anello della catena di strumenti di pianificazione pubblica del territorio. Si tratta di uno strumento nuovo che i comuni (cioè gli enti che svolgono il ruolo principale nel processo di pianificazione strategica urbana) dovrebbero pensare fin dall’inizio, cioè a partire dalla idea stessa di avviarne o meno la preparazione, insieme agli altri soggetti, sia di tipo pubblico (in primo luogo la provincia e la regione), sia di tipo privato e sociale (associazioni di categoria, ecc.), chiamati a partecipare al processo di predisposizione del piano strategico urbano. La pianificazione strategica per la competitività del sistema urbano L’attuale difficoltà del sistema produttivo italiano a mantenere le posizioni acquisite in passato sui mercati internazionali è anche dovuta ad una rete istituzionale e ad un sistema territoriale inadeguati a confrontarsi con i migliori sistemi urbani esteri. Il successo economico, ma anche la coesione sociale, hanno un rapporto stretto con l’assetto del territorio, il patrimonio culturale e con le condizioni di vita delle famiglie e di funzionamento delle imprese. Se in un’ottica di breve periodo vi possono essere imprese di successo in territori in declino, nel medio periodo i destini di imprese e città seguono lo stesso corso. Uno dei contributi principali al miglioramento della competitività del nostro Paese viene dal miglioramento della managerialità all’interno degli enti locali e nella gestione dei servizi di interesse collettivo. Per gli enti locali il passaggio dal “governo” alla governance si ottiene 13 gradualmente nel tempo. La redazione e attuazione di un vero piano strategico urbano (inteso come piano integrato, di area vasta, di tipo misto pubblico e privato, di tipo partecipato e condiviso) appare come una logica conseguenza di una serie antecedente di programmi e progetti condivisi con altri soggetti pubblici e privati. La decisione di avviare un piano strategico non può essere una scorciatoia rispetto alla regola che vede nella realtà una crescita per tappe dell’ente locale e delle persone che vi lavorano, e una innovazione graduale dei metodi di gestione interna dell’ente locale. Non stupisce allora notare che molte delle 16 città oggetto dell’indagine si distinguono per avere, in generale, caratteristiche di qualità (della vita, della capacità amministrativa locale, ecc.) superiori alla media delle città italiane. Questo è il risultato di una serie di programmi e di progetti in cui le amministrazioni locali hanno giocato ruoli attivi nella trasformazione dell’ambiente fisico, sociale ed economico, insieme agli altri principali soggetti decisori. In generale si può notare che le città dotate di un piano strategico urbano presentano un livello di gestione manageriale della “macchina comunale” superiore ad altre. La competitività e la capacità di attrazione dei comuni, e quindi del “sistema paese”, possono essere migliorate con l’impiego degli strumenti più efficaci di pianificazione e gestione manageriale degli enti locali, tra i quali un posto di rilievo va attribuito al piano strategico urbano. In assenza di tali strumenti, o meglio in assenza di una moderna cultura del governo locale in cui è logico e coerente ricorrere a strumenti di gestione manageriale della città, prevale un comportamento “burocratico” degli enti locali che si manifesta con una serie di condotte passive tra le quali: • azioni di gestione manageriale solo e se esiste una norma che lo impone; • mancanza di coordinamento fra livelli amministrativi orizzontali e verticali per quanto riguarda le iniziative di sviluppo locale; • assenza di iniziative nel senso della partecipazione e condivisione delle esperienze di conoscenza. L’oggetto dell’indagine Il piano strategico urbano è divenuto uno strumento sempre più utilizzato in Italia dagli enti locali. Dal primo caso italiano (Torino ha avviato il piano strategico “Torino Internazionale” nel maggio 1998 e lo ha approvato nel febbraio del 2000), il numero complessivo delle città che si sono dotate di un tale strumento è ancora piccolo (una ventina scarsa a fine del 2004), ma sembra crescere di anno in anno e interessare non solo città capoluogo di regione, ma anche capoluoghi di provincia di ogni dimensione e città minori. In anni in cui gli enti locali faticano a svolgere tutte le crescenti funzioni a loro demandate dallo Stato, spesso senza un corrispondente trasferimento di risorse adeguate, diverse città 14 hanno deciso di avviare la preparazione di un piano strategico urbano che nessuna legge imponeva loro. Perché? Forse si è già creata una nuova moda istituzionale? L’ipotesi più probabile è che gli enti locali si siano rivolti alla pianificazione strategica perché con gli altri strumenti e metodi a loro disposizione non potevano esercitare le funzioni di governance pro-attiva che i tempi attuali richiedono. Resta la domanda se, o in che misura, i risultati che le città si attendevano dalla pianificazione strategica sono stati raggiunti, almeno a giudicare dai casi in cui i piani sono stati approvati e sono in attuazione da qualche anno. Dall’esperienza fin qui condotta, per quanto limitata nel tempo, ci si può chiedere quali siano le tecniche di gestione più interessanti per i piani strategici. Per le città che intendono avviare in futuro un piano strategico urbano, quali sono i vantaggi della pianificazione strategica e quali gli eventuali errori da evitare? Queste sono alcune delle domande a cui si è cercato di dare delle risposte fondate su una solida base documentale. Il volume presenta i risultati di un’ampia indagine del fenomeno della pianificazione strategica urbana in Italia. Oggetto dello studio sul campo sono stati i piani strategici preparati da 16 città italiane tra il 1998 e il 2005: oltre a quello di Roma, l’indagine ha incluso i piani strategici di sei capoluoghi regionali (Firenze, Genova, Perugia, Torino, Trento, Venezia), di sette capoluoghi di provincia (Cuneo, La Spezia, Pesaro, Piacenza, Varese, Vercelli, Verona) e di due comuni (Copparo - Ferrara, Sesto S. Giovanni Milano). Tutte queste città hanno promosso la preparazione di un piano strategico, nella maggioranza dei casi lo hanno approvato e si trovano ora nella fase di attuazione. Il panorama che emerge dall’indagine è di una straordinaria vitalità: l’Italia profonda delle amministrazioni locali è ben viva e non ha alcuna intenzione di deporre le armi per ritornare a svolgere una gestione ordinaria dell’esistente, in cui anche compiti semplici e obbligatori sembrano, inevitabilmente, assorbire tutte le risorse finanziarie e umane disponibili. Se c’è un insegnamento generale che dai casi esaminati si può trarre è che quando gli enti locali si pongono obiettivi “alti”, quali ad esempio quello di giocare un ruolo attivo e di primo piano nella promozione dello sviluppo socio-economico della propria area, il processo di pianificazione di tipo partecipato e condiviso, anche se attivato tra mille difficoltà, crea energie nuove che non possono che fare bene anche alla gestione della cosa pubblica ordinaria. 15 L’articolazione dell’indagine L’indagine è stata condotta nel corso del 2004 e del 2005 ed ha riguardato i 16 piani strategici urbani dei centri urbani già menzionati. I ricercatori che hanno svolto l’indagine hanno utilizzato quattro categorie di fonti: - i documenti originali prodotti dagli enti locali, in primo luogo i testi dei piani strategici (a volte documentando l’evoluzione delle varie versioni), ma anche le delibere dei consigli comunali che hanno costellato il percorso di avvio, preparazione, conclusione e gestione dei singoli piani, i materiali di analisi e comunicazione prodotti nel corso del processo di pianificazione dai principali soggetti pubblici e privati coinvolti, ed ogni altro testo originale e di pubblico dominio che fosse rilevante; - le informazioni raccolte sul campo attraverso approfondite interviste personali o a piccoli gruppi dei principali protagonisti, sia pubblici sia privati, che hanno partecipato in prima persona alla preparazione tecnica dei piani e alle varie fasi decisionali che hanno caratterizzato l’iter di ognuno dei 16 piani strategici urbani oggetto dell’indagine; - le informazioni mirate su aspetti specifici dei piani analizzati (ad esempio, dati sul personale coinvolto nella preparazione e gestione del piano, dati sul costo dello studio e sui costi della gestione del piano, organigrammi del personale, schemi dei flussi informativi, ecc.) fornite dai principali referenti intervistati tramite schede informative; - selezioni della stampa locale e della letteratura specializzata. La raccolta della documentazione sopra indicata da parte di un apposito gruppo di lavoro del CRUTA dell’Università di Ferrara è stata discussa in più fasi con i ricercatori del Formez. In qualche caso è stato possibile coinvolgere nelle elaborazioni intermedie alcuni degli esperti che hanno svolto il ruolo di consulenti per i piani strategici delle varie città, così come amministratori e funzionari (pubblici e privati) che avevano fornito le informazioni di base, attuando così ulteriori approfondimenti con i diretti interessati. Già in sede di raccolta delle informazioni l’indagine è stata svolta in funzione del prodotto finale che è articolato in 3 capitoli, più un CD contenente le analisi dettagliate e la documentazione di base di ognuno dei 16 piani strategici oggetto dell’indagine. Questa la struttura del lavoro. Il primo capitolo presenta in breve il quadro della pianificazione strategica in Italia, con cenni alla pianificazione strategica in Europa, documentando il passaggio da una fase storica in cui l’ente locale focalizza la sua azione di pianificazione sugli interventi di tipo 16 edilizio-territoriale alla fase attuale in cui l’ente locale moderno privilegia la funzione di coordinamento, l’intervento indiretto e la definizione delle politiche di settore. Il secondo capitolo è dedicato alla esposizione in sintesi dell’analisi dei 16 piani strategici urbani sopra menzionati, da considerarsi allo stato attuale come i più rilevanti casi di pianificazione urbana strategica in Italia. Il testo presenta una lettura trasversale delle analisi dettagliate contenute nel CD e lì articolate caso per caso, con l’obiettivo di mettere in luce se e in quale misura il piano strategico è stato inteso come uno strumento di nuova governance locale da parte dei soggetti che lo hanno promosso. Inoltre è stata predisposta una griglia interpretativa della pianificazione strategica attuata o in via di attuazione nei 16 casi considerati, evidenziando i passaggi critici del processo di formazione e gestione del piano strategico. Il terzo capitolo presenta le linee guida per le amministrazioni pubbliche in tema di pianificazione urbana strategica, con considerazioni di tipo propositivo sulla base di un esame approfondito che ha riguardato tre elementi: a) il “processo” di formazione dei 16 piani strategici prima indicati; b) il “prodotto” di ogni singolo piano, ovvero i documenti ufficiali che esprimono le analisi, le proposte finali e gli impegni (il “patto per lo sviluppo” laddove presente e dichiarazioni similari) di ognuno dei 16 piani strategici esaminati; c) le esperienze di gestione relative alla attuazione dei piani laddove presenti, intese come esperienze di gestione sia dei piani nel loro complesso, che delle singole componenti (azioni, obiettivi, linee strategiche) dei piani stessi. Il capitolo presenta in modo analitico quelli che possono essere ritenuti i principali errori e i principali elementi di successo riscontrati nei casi esaminati. L’analisi si sofferma sulla possibilità di integrare all’interno della normale funzionalità dell’ente locale i migliori risultati prodotti dal processo di predisposizione del piano strategico. Si definiscono quindi delle linee guida per la identificazione di “migliori pratiche” in tema di pianificazione strategica urbana. Al volume è allegato un CD, che raccoglie l’analisi e le informazioni di riferimento per l’intera indagine. Per ognuno dei casi esaminati è stata realizzata una presentazione dettagliata del piano strategico e sono stati inseriti i principali documenti originali diffusi dagli enti locali per illustrare i rispettivi piani strategici. Evoluzione della pianificazione strategica urbana A fronte di un piccolo gruppo di enti locali che fino ad oggi hanno volontariamente avviato la preparazione di un piano strategico urbano, vi è probabilmente una folta schiera di enti 17 (comuni e non solo) in cui amministratori e dirigenti stanno valutando se l’opzione della pianificazione strategica potrebbe fare al caso loro. L’indagine è stata condotta con l’obiettivo di essere uno strumento a servizio dei molti enti locali che ancora non dispongono di un piano strategico. Tuttavia, l’indagine potrebbe essere un’occasione di riflessione anche per le stesse 16 città capofila dei processi di pianificazione strategica qui analizzati. Emerge dallo studio sul campo che non esiste una unica metodologia per la preparazione di un piano strategico. Questo è probabilmente un bene, non solo perché consente di produrre piani non omologati tra loro, ma anche perché amplia il numero di enti locali che possono accedere alla pianificazione strategica, vista la diversità dei problemi da affrontare e la disparità di risorse e di esperienze delle diverse città. Ciò che emerge come un dato costante dall’indagine è la mancanza di una adeguata maturazione di metodi e tecniche di gestione dei piani strategici. Per questo anche le esperienze di più vecchia data non sembra abbiano fino ad ora prodotto delle indicazioni sufficientemente univoche da essere adottate da quegli enti locali che intendessero avviare la preparazione di un piano strategico nei prossimi mesi. Produrre un documento partecipato e condiviso può essere molto difficile, soprattutto se lo si intende come espressione non solo delle forze interne dell’ente locale, ma anche di una vasta rappresentanza di soggetti pubblici e privati che sono chiamati dal processo di pianificazione strategica a “compromettersi pubblicamente” per lo sviluppo dell’area. Attuare nel tempo il piano strategico è molto più difficile, perché richiede uno sforzo umile e continuo di autentico servizio pubblico a cui sono chiamati tutti coloro che hanno a cuore il futuro della loro comunità e non solo il raggiungimento di obiettivi particolari o addirittura personali. Sapere misurare e comunicare verso l’interno e verso l’esterno dell’ente locale lo stato di attuazione del piano strategico urbano è un compito ugualmente importante, che merita attenzione e risorse. Molti enti locali italiani possono trovare nello strumento del piano strategico partecipato, un mezzo tecnico adatto per attivare uno sviluppo coerente con la loro storia urbanistica e con l’insieme delle pregresse attività di pianificazione locale. Per altri enti locali, le esperienze di pianificazione strategica urbana analizzate dalla presente indagine potranno rappresentare, allo stesso tempo, una opportunità da utilizzare in futuro e uno stimolo per iniziare o continuare a innovare la pianificazione e la gestione locale con strumenti più consolidati. Per tutti ci auguriamo che l’indagine sappia indicare le migliori pratiche da emulare e adattare alla propria realtà locale, così come gli errori da evitare per la preparazione e gestione del piano strategico urbano. 18 CAPITOLO 1 INQUADRAMENTO DEL FENOMENO DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA IN ITALIA E IN EUROPA∗ Gli enti locali svolgono per ragioni istituzionali un insieme crescente di funzioni che hanno attinenza con la programmazione e la pianificazione. La pianificazione strategica delle città appare come il tassello più recente di un disegno complesso, in cui la scena principale è stata finora occupata dalla pianificazione delle trasformazioni fisiche del territorio. Nel corso del secolo passato gli enti locali italiani hanno sviluppato esperienze importanti in questo campo. Negli ultimi due decenni hanno in particolare dimostrato di saper utilizzare, a volte nel migliore dei modi, anche strumenti complessi (ad esempio: piani integrati d’area, programmi di riqualificazione urbana, piani di riqualificazione e sviluppo sostenibile, ecc.). Nello stesso tempo sono cresciute le materie nelle quali l’ente locale ha assunto un ruolo programmatorio (ambiente, sviluppo sociale), quasi sempre in connessione con altri soggetti pubblici e spesso anche con soggetti privati. In questo capitolo si delinea rapidamente il percorso evolutivo del ruolo dell’ente locale in materia territoriale: dall’essere il principale soggetto titolare di poteri e doveri di pianificazione fisica del territorio (spesso intesi solo in senso vincolativo), a soggetto principale della pianificazione strategica di scala urbana. In questo passaggio, in pieno svolgimento, l’ente locale si trasforma da semplice ordinatore e controllore dello sviluppo locale a soggetto propulsore della rivitalizzazione urbana, dello sviluppo economico e sociale della città. 1.1 Il quadro della pianificazione strategica in Italia, con riferimenti alla pianificazione strategica in Europa In linea di principio, pianificare significa avviare un processo di individuazione di obiettivi rispetto ai quali si determinano delle scelte per realizzarli. Intesa in questo senso, l’azione della pianificazione si configura come una prassi perseguibile ad ogni scala e livello della vita umana. All’interno del processo di pianificazione è possibile distinguere diverse fasi, riconducibili a due momenti decisivi: ∗ Di Paolo Ceccarelli e Gastone Ave. Ha collaborato Gianfranco Franz. 19 - definizione di determinati obiettivi generali; analisi ed elaborazione delle informazioni rilevanti; conferma degli obiettivi e loro riarticolazione sulla base delle analisi condotte; - individuazione delle politiche e degli strumenti; valutazione delle risorse disponibili; realizzazione degli obiettivi. 1.1.1. La pianificazione nella città contemporanea Nella città contemporanea le risorse fondiarie e finanziarie non sono più concentrate in poche mani ma progressivamente distribuite tra un numero crescente di soggetti (proprietari fondiari, immobiliaristi, costruttori), ognuno portatore di interessi personali o di gruppo e in possesso degli strumenti per determinare trasformazioni urbane capaci di produrre profitto. Contemporaneamente a questo processo di redistribuzione delle risorse si svolge un analogo (anche se più lento) processo di redistribuzione delle prerogative politiche e delle leve decisionali. Il piano urbanistico è stato introdotto per affrontare, in modo coordinato e coerente, le questioni e i problemi introdotti dallo sviluppo industriale, dalla trasformazione della società da agraria in urbana, dal processo sempre più forte di crescita della città. È uno strumento complesso, costruito in più fasi e organizzato secondo più fasi attuative, che ordina un sistema e una sequenza di decisioni attraverso una serie di norme e di regole (prescrizioni e vincoli). Nel corso dei primi decenni del Novecento, nelle società con sistemi politici ed economici più evoluti (Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti) si assiste ad uno sviluppo della disciplina e delle pratiche di pianificazione: si passa dal piano urbano o urbanistico alla pianificazione regionale o territoriale. Questo passaggio evolutivo introduce nell’azione della pianificazione (soprattutto per quanto riguarda la fase della conoscenza e della costruzione del quadro analitico) crescenti elementi di complessità. In Italia, dal 1861 agli anni Quaranta del secolo scorso, la pianificazione urbanistica, intesa sia come tecnica che come azione di governo, si evolve lentamente, seguendo gli indirizzi europei più avanzati. Anche in Italia si passa progressivamente da interventi circoscritti a specifiche aree al Piano Regolatore Comunale, comprendente tutto il territorio comunale; la legge urbanistica nazionale, n. 1150 del 1942, istituzionalizza questo processo. Il piano che da essa deriva non organizza più la città per elementi e soluzioni spaziali definite (i grandi edifici pubblici, le nuove trame viarie, il parco pubblico, i nuovi quartieri disegnati al dettaglio, con esedre, rotonde, ecc.), bensì per aree e per settori funzionali, indicando uso del suolo, indici e, a volte, tipologie edilizie. In questa fase della pianificazione la città non è più separata dal territorio agricolo; ma questo è ridotto a 20 risorsa per l’ampliamento della città stessa. La zonizzazione per funzioni diventa lo strumento tecnico per governare l’uso del suolo e le trasformazioni urbane, regolando anche il plusvalore fondiario creato dall’attività di pianificazione. Negli ultimi decenni si afferma anche il principio della pianificazione “a cascata”. Già la legge n. 1150/42 prevedeva un articolato sistema di pianificazione multilivello, capace da un lato di coordinare l’attività di governo e i diversi settori di intervento dell’azione pubblica (infrastrutture, servizi e attrezzature di interesse pubblico, tutela e trasformazione del territorio) alla scala territoriale, o di “area vasta”; dall’altro, con la definizione del Piano Attuativo, di collegare la fase di realizzazione delle previsioni urbanistiche dal Piano Regolatore Generale Comunale (PRGC) fino all’intervento edilizio. Rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia presenta in questa fase ritardi nella disciplina urbanistica e nelle pratiche di governo della città e del territorio, principalmente dovuti alla mancata riforma del regime dei suoli. Le profonde trasformazioni sociali avvenute tra gli anni Sessanta e Settanta, del secolo scorso, i processi di crescita vissuti dalle maggiori città e l’acuirsi di conflitti sociali e urbani dovuti alla carenza delle principali politiche redistributive, portano la pianificazione territoriale ed urbanistica e le politiche sociali di settore (la casa, i servizi, ecc.) ad assumere un ruolo rilevante nell’agenda politica nazionale e locale. Tra il 1962 e il 1972, vengono approvate leggi di fondamentale importanza sull’edilizia economica e popolare, gli standard urbanistici, la politica abitativa e gli oneri connessi al permesso di edificare (per esempio: la L. n. 167 del 1962; la L. n. 765 del 1967; il D.M. n. 1444 del 1968; la L. n. 865 del 1971). Ancora una volta l’ostacolo con cui si confrontano la disciplina e le diverse pratiche locali è costituito dal regime dei suoli e dalle difficoltà incontrate per sottomettere la proprietà privata, da un lato, e la speculazione edilizia, dall’altro, agli obiettivi di interesse generale, tra cui quello di un’abitazione adeguata (rispondente cioè agli “standard” urbanistici ed edilizi nel frattempo codificati dalle leggi nazionali e dai regolamenti comunali) per i meno abbienti. In quegli anni vengono anche sperimentate forme innovative di pianificazione territoriale che, per la prima volta, fanno leva sull’associazione volontaria di più comuni per affrontare i problemi dello sviluppo metropolitano. Esempi di questo sono: il Piano Intercomunale di Bologna, e soprattutto, il Piano Intercomunale di Milano. Negli anni Sessanta emerge anche l’importanza di un approccio interdisciplinare (economia, sociologia, geografia, urbanistica, ecc.) nella pianificazione della città e del territorio. L’urbanistica assume il ruolo (ancora oggi mantenuto ed anzi ampliato) di disciplina di coordinamento di punti di vista, approcci metodologici, modelli di analisi e di interpretazione molteplici e settoriali. 21 Alla fine degli anni Settanta in Italia sembra che la pianificazione territoriale, la pianificazione urbanistica e le politiche urbane possano finalmente contare su una “intenzionalità pubblica” adeguata alle esigenze più innovative di governo del territorio: con la L. n. 10 del 1977 si introduce l’istituto della concessione onerosa in luogo della licenza edilizia ma, soprattutto, si introduce il concetto della titolarità dello Stato del diritto di edificazione; con la legge sull’equo canone si tenta di sottoporre ad un “controllo sociale” il mercato dell’affitto; con la L. n. 457 del 1978, si istituisce il Piano Decennale per la Casa e si introduce, sul modello delle esperienze antesignane (Assisi, Bologna, Vicenza, Ferrara, ecc.), lo strumento del Piano di Recupero, diffondendo così i risultati del recupero dei centri storici in Italia. Gli esiti di quella stagione sono ambivalenti e contraddittori. Il Piano Casa rappresenta il maggiore sforzo in tema di edilizia popolare compiuto dallo Stato italiano; contribuisce a finanziare e agevolare l’acquisto dell’abitazione, facendo oggi dell’Italia uno dei Paesi con la più elevata percentuale di abitazioni in proprietà. La legge sull’equo canone, che cerca di introdurre un elemento di equità rispetto al trentennale problema della casa, è anche causa di un sostanziale irrigidimento del mercato italiano degli affitti. L’abolizione del principio della titolarità dello Stato in materia di diritto di edificazione, con una sentenza della Corte Costituzionale del 1980, e il cambiamento negli obiettivi politici rispetto alla pianificazione portano, nel giro di pochi anni, alla perdita di peso della pianificazione urbanistica e alla sconfitta di un governo “riformista” della città. Inizia così una nuova stagione politica ed economica che vede nel piano regolatore un fattore di impedimento e rallentamento della libera iniziativa. Da un punto di vista culturale e disciplinare il modello dell’urbanistica riformista e della pianificazione comprensiva viene accusato di perseguire finalità politiche e sociali (redistribuzione e compensazione sociale) estranee allo strumento tecnico del piano, trascurando invece alcuni aspetti tradizionali e centrali della disciplina urbanistica come, per esempio, i temi della forma e del disegno della città e il progetto urbano. In sostanza, il piano regolatore perde l’insieme dei significati simbolici e sociali di cui era stato caricato a partire dagli inizi degli anni Sessanta; non ha più il ruolo di organizzatore e attuatore di disegni ideologici e politici alternativi; viene ricondotto a strumento per il governo della trasformazione fisica della città, senza espliciti obiettivi di trasformazione sociale ed economica. Nel corso degli anni Ottanta, contemporaneamente all’affermarsi dell’istituto legislativo del condono edilizio (inteso inizialmente come strumento straordinario e poi divenuto ordinario, a causa delle molteplici reiterazioni successive), si afferma il confronto disciplinare che contrappone il progetto urbano al piano. Il tema della forma della città e del suo disegno e il problema del recupero delle aree dismesse facevano ritenere che 22 strumenti più flessibili, snelli ed attenti alla morfologia architettonica e urbana avrebbero consentito di affrontare meglio le nuove problematiche urbane. Lo scontro disciplinare, ma anche politico, fra il piano e il progetto si sarebbe risolto solo nei primi anni Novanta. Ci si era resi conto che i grandi progetti urbani, in assenza di apparati legislativi aggiornati e di strumenti di programmazione innovativi, non risultavano capaci di risolvere il recupero delle grandi aree dismesse. Contemporaneamente la crisi ambientale, i livelli crescenti di congestione delle infrastrutture e delle città, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, il consumo delle risorse e, fra queste, del suolo, insieme all’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile e alla promozione delle prime pratiche di sostenibilità e di partecipazione, avevano riportato il tema della pianificazione territoriale al centro dell’agenda politica, a livello locale, regionale e nazionale. Per un verso si assiste ad una profonda ridefinizione delle autonomie locali (legge n. 142/1990; nuovo ruolo delle province; elezione diretta del sindaco), mentre la disciplina e le pratiche della pianificazione, dopo un decennio di crisi e arretramento, ripensano gran parte degli strumenti per il governo del territorio, ponendo particolare attenzione all’efficacia, all’attuazione, alla programmazione economico-finanziaria. Nelle nuove leggi urbanistiche regionali, il piano urbanistico viene scisso in due strumenti o livelli: uno a carattere strutturale e di lunga durata e uno a carattere operativo per le trasformazioni edilizie. Fra gli strumenti della pianificazione entrano, per la prima volta, la valutazione di sostenibilità e la programmazione economico-finanziaria delle trasformazioni previste (già comparsa in forma embrionale nei Piani di Recupero della legge n. 457 del 1978). Il problema del recupero delle aree dismesse e il tema della riqualificazione della città e dei quartieri della periferia inizia ad essere affrontato con una serie di nuovi strumenti, definiti programmi complessi o integrati, finalizzati ad intervenire sulla città consolidata integrando settori diversi della pubblica amministrazione, livelli diversi di questa (Stato, regione, province e comuni), soggetti pubblici e soggetti privati, problemi fisici e funzionali con problemi di integrazione sociale. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, in questo contesto politico-culturale, iniziano a diffondersi anche le prime pratiche di pianificazione strategica, promosse e realizzate in modo assolutamente volontario, non essendo tali processi legislativamente prescritti. Le nuove forme di pianificazione (a due livelli: integrata e complessa; strategica) sono promosse e attuate con finalità diverse e, a volte, anche contemporaneamente da uno stesso ente locale (il caso di Torino, con un nuovo PRG, a cui segue di poco il piano strategico, al quale contemporaneamente si affiancano diversi programmi complessi e integrati, come PRU, PRUSST, Contratti di Quartiere, Piani di Azione Sociale, ecc.). Da una parte, infatti, in 23 numerosi comuni i PRG sono rapidamente invecchiati, risultano esauriti o sono rimasti sulla carta, come gran parte dei piani per progetti; dall’altra il rilievo assunto dal problema del recupero delle aree dismesse e i nuovi programmi integrati promossi dal governo centrale (PReU e PRU), sul modello delle politiche urbane promosse per mezzo di bandi selettivi dalla CEE prima e dall’Unione europea poi, richiedono un nuovo protagonismo istituzionale e un nuovo impegno a livello locale. Infine, la crisi della politica e dei partiti tradizionali, nei primi anni Novanta, gioca un ruolo non secondario nell’individuare le forme di pianificazione strategica come nuova arena di confronto fra amministrazioni e società civile. 1.1.2. I modelli di riferimento internazionali In Italia la dimensione strategica della pianificazione viene sostanzialmente scoperta nel corso degli anni Novanta, scaricando il piano urbanistico (specialmente il piano degli anni Sessanta e Settanta) dal compito di prefigurare, condensandoli, tutti i possibili modelli di sviluppo. L’esperienza italiana, quasi per allinearsi ai modelli più avanzati, assume la pianificazione a due livelli come sperimentazione di un nuovo strumento tecnico, culturale ed amministrativo che si era evoluto altrove, seguendo la trasformazione delle città in aree urbane sempre più estese, di scala metropolitana, e accompagnando tali trasformazioni con modifiche delle forme di governo urbano. Negli stessi anni, anche il piano strategico viene per analogia assunto come uno strumento utile a promuovere e a sostenere avanzamenti tecnici, culturali, economici e politici a cui è implicitamente affidata la difficile fase di transizione da società industriale a società della conoscenza. Lo sviluppo di processi di interdipendenza fra sfera pubblica e sfera privata, e conseguentemente fra sfera politica e sfera economica, si ripercuotono direttamente sugli assetti di governo della metropoli moderna, che non può più essere considerata nella sua singolarità, ma va vista nelle sue complessive interdipendenze. Diversamente che in Italia, Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi conducono le prime esperienze di strategic planning proprio nel periodo di maggiore crescita produttiva e demografica degli anni Sessanta. Nelle legislazioni urbanistiche di quei Paesi viene introdotto, in quegli anni, al fianco del tradizionale piano per la regolamentazione degli usi del suolo, il piano di struttura, con finalità di indirizzo socio-economico e di inquadramento territoriale di area vasta. Si trattava delle prime esperienze di pianificazione a doppio livello e di forme di pianificazione strategica ante litteram, mirate principalmente a definire gli ambiti entro cui individuare aree urbanizzabili e aree di salvaguardia agricola e paesistica e i sistemi delle reti secondo una modellistica di tipo sistemico capace di garantire coerenza territoriale di lungo periodo. 24 Dagli Stati Uniti proviene invece un diverso e nuovo modello di piano strategico, definito per accompagnare il passaggio dei sistemi urbani da industriali a post-industriali. Il contesto di mutamento globale impone rapidità e fattività, efficienza ed efficacia, in un quadro di relazioni che si è profondamente modificato e nel quale assumono ruolo centrale la concertazione e il partenariato pubblico privato. La deregulation istituzionale, promossa e realizzata negli anni Ottanta negli USA, coinvolge anche il settore urbanistico all’interno del quale tramonta la pianificazione strutturale-sistemica (o razionale-comprensiva) e inizia ad affermarsi la pianificazione secondo criteri aziendali, in cui prevalgono i concetti di efficienza, efficacia, competitività e marketing. Nel corso degli anni Novanta, nei contesti che in precedenza avevano sviluppato esperienze di pianificazione strategica o comunque innovativa, l’attenzione delle politiche urbane si sposta rapidamente sui temi e sui principi di sostenibilità e/o compatibilità, di equità e di concertazione, continuando tuttavia a promuovere interventi per la riqualificazione degli spazi urbani e la rigenerazione dei quartieri sensibili delle città. Su queste fondamenta nascono e si sviluppano i piani strategici di terza generazione di cui esempi significativi sono il Piano Millénaire 3 di Lione, in Francia; il Piano di Leeds, in Inghilterra e il Piano di Portland, Oregon negli USA. Il maggiore elemento di innovazione apportato da queste pratiche di pianificazione strategica risiede nella configurazione partecipata e condivisa della visione metropolitana. Si pone maggiore attenzione alla concertazione all’interno della quale vengono incluse le istanze provenienti dalla cittadinanza e dai cosiddetti “attori” della società civile, fino ad allora assenti dai tavoli negoziali dei piani strategici. L’argomentazione inclusiva è la nuova pratica attraverso la quale definire e condividere la visione, favorendo processi di apprendimento interattivo e di diffusione della conoscenza. Il processo di pianificazione strategica appena descritto, definito anche di tipo reticolare per la sua capacità di mettere in connessione, attraverso la partecipazione e la condivisione, si dimostra particolarmente efficace nel porre in rilievo determinati aspetti e nel valorizzare determinate condizioni: - l’individuazione delle criticità e delle opportunità; - la destinazione delle risorse verso obiettivi prioritari; - il raggiungimento degli obiettivi prefissati; - la condivisione di una visione; - la partecipazione del pubblico e del privato alla costruzione del futuro; - la costituzione di una stagione di piani partecipati e condivisi di ampio respiro. 25 L’attrazione di capitali esterni o l’invito rivolto ad imprenditori esteri ad investire nella propria città è una delle primarie motivazioni che spingono una città o un insieme di città ad avviare processi di pianificazione – in particolare, recentemente, di pianificazione strategica – ma attrarre investimenti è uno degli obiettivi da raggiungere, non la condizione senza la quale non si può dare avvio al processo di pianificazione. 1.1.3. I caratteri essenziali della pianificazione strategica più recente Attualmente, sia nei casi internazionali che nei principali casi italiani, la pianificazione strategica è finalizzata all’individuazione di obiettivi di ampio respiro e di lunga durata, da perseguire e realizzare ricorrendo a pratiche di gestione e di governo sempre più integrate, per limitare l’attuazione di strumenti e politiche settoriali e per affrontare in modo più efficace problemi come la mobilità e il trasporto, il consumo ambientale, la riqualificazione urbana, le politiche sociali, le politiche occupazionali o per la riconversione produttiva. In Italia, un ruolo particolare, assunto in alcuni casi di pianificazione strategica, è quello di rilanciare su base volontaria, in assenza di efficaci strumenti tradizionali, il tema della pianificazione d’area vasta e delle aree metropolitane, ponendo l’accento sui problemi di diffusione e dispersione urbana, di crisi ambientale e di crisi delle infrastrutture di trasporto a tutti i livelli. In generale, sia che si tratti di contesti metropolitani (o di dispersione urbana), sia che si tratti di contesti di centri minori connessi a rete, il minimo comune denominatore di numerose esperienze, non solo italiane, è individuare nuove regole di comportamento, di auto-governo e di auto-regolamentazione rispetto a fenomeni e processi che non possono essere più governati autonomamente, ricomponendo, insieme al territorio, anche la frammentazione amministrativa e la settorializzazione del governo pubblico. Condivisione, partecipazione, costruzione della visione e pratica delle forme allargate e “para-istituzionali” di governo assumono un ruolo decisivo proprio in corrispondenza di processi, più o meno decisi, di decentralizzazione o di riconfigurazione istituzionale in senso federalista. Tali processi e riconfigurazioni hanno spesso prodotto nuove conflittualità e notevoli incertezze nel confronto fra istanze locali e generali, non solo in Italia ma anche in Paesi di consolidata tradizione centralista come la Francia, evidenziando, in materia di governo del territorio e dell’ambiente, ma anche nelle politiche infrastrutturali, tutti i limiti dei processi forzati di decentramento. Come nel caso della pianificazione strutturale o a due livelli (considerata la prima generazione di pianificazione strategica), anche relativamente alla pianificazione strategica l’Italia, a parte casi di eccellenza e buone pratiche isolate, sconta una tardiva maturazione dei processi (Glasgow e Barcellona, ad esempio, hanno già elaborato e attuato diversi piani 26 strategici), che si traduce, operativamente, in una maggiore difficoltà nel produrre scenari strategici condivisi e quindi modelli innovativi di amministrazione e in una minore efficienza nell’attuazione di politiche e programmi complessi, integrati; in particolar modo di quelli che affrontano il problema della mobilità e le pratiche di sostenibilità. Se ciò è vero, occorre però ricordare che proprio nel corso degli anni Novanta e in materia di innovazione amministrativa e delle pratiche di pianificazione urbanistica e territoriale, gestione urbana, promozione di sviluppo locale, si sono registrate le maggiori innovazioni amministrative e la più diffusa applicazione di nuovi strumenti di governo urbano e del territorio, ivi compresi: - i programmi comunitari (Obiettivo 2, Urban, Leader II e Leader +, Interreg, ecc.); - le pratiche come il controllo di gestione, il bilancio sociale, l’Agenda 21 locale, i bilanci ambientali e la contabilità ambientale pubblica; - i Rapporti sullo stato dell’ambiente; - le metodologie di valutazione di impatto ambientale prima e la valutazione ambientale strategica poi; - le tecniche di analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats); - le procedure di accounting responsabile (per esempio, il metodo CLEAR, ovvero City and Local Environmental Accounting and Reporting); le esperienze di associazionismo comunale volontario e di perequazione urbanistica e - territoriale. Proprio sulla base di questi risultati, è possibile affermare che le esperienze condotte a livello locale, anche se a macchia di leopardo e con notevoli differenze fra regioni, fra Nord e Sud, fra città grandi e medie, hanno tentato di affrontare strategicità, sostenibilità, competitività (ma anche cooperazione) con spirito di innovazione e di sperimentazione maggiore rispetto alle strutture centrali e ai diversi governi nazionali succedutisi alla guida del Paese. In questo processo di innovazione e di modernizzazione, tanto delle forme e delle strutture che degli strumenti di governo, rientrano anche le esperienze di pianificazione strategica. Generalmente, malgrado peculiari differenze e maggiori o minori livelli di innovazione, i piani strategici promossi da città e territori italiani risultano essere documenti elaborati interattivamente da diversi soggetti capaci di prefigurare linee di sviluppo e percorsi per realizzarle. Strumenti la cui costruzione e formulazione può sinteticamente essere schematizzata in sei punti: 1. costituzione dell’organizzazione e della struttura per la costruzione del piano; 2. condivisione di un progetto di città di medio-lungo periodo; 27 3. avvio dell’analisi diagnostica di tipo multidisciplinare e multisettoriale; 4. formulazione di strategie e obiettivi partecipati e condivisi; 5. partecipazione pubblico/privato per la definizione e realizzazione delle azioni; 6. attuazione e monitoraggio delle azioni. In conclusione, il percorso di rinnovamento dell’amministrazione pubblica locale e dell’insieme degli strumenti di governo a sua disposizione attuato nel corso degli ultimi anni ha costituito forse il maggiore costrutto del processo di decentramento di poteri, diritti e doveri di governo intrapreso dall’Italia nello stesso arco temporale e la pianificazione strategica, laddove applicata, è divenuta parte integrante di questa fase di rinnovamento, segnando anche nuove ed interessanti forme di protagonismo istituzionale. 1.2 Iniziative recenti di pianificazione strategica urbana Il quadro della pianificazione strategica urbana è in piena evoluzione. Questo rapporto presenta l’indagine svolta sulle principali 16 città italiane che si sono dotate di un piano strategico, o che hanno iniziative in corso. Occorre però segnalare un continuo fiorire di iniziative promosse in particolar modo dai comuni, a riprova che gli enti locali, pur nella attuale situazione di crisi finanziaria o forse proprio per effetto di essa, non cessano di sperimentare nuove strade per assicurare alle comunità locali modalità di governance sempre più efficaci. In questa sezione dello studio si segnalano alcune recenti iniziative in materia di pianificazione strategica che sono state avviate dagli enti locali e che, per ragioni di tempo, non sono state incluse nell’indagine. Piano strategico Gorizia 2010: idee per crescere in Europa Nel febbraio 2004 l’amministrazione comunale di Gorizia ha annunciato l’avvio del processo di pianificazione strategica, strettamente collegato all’appuntamento del maggio 2004 quando sarebbero venuti a cadere i confini sloveni e – assieme a questi – quelli di una parte rilevante dei Paesi dell’Europa dell’Est. La caduta delle barriere doganali, la cui gestione è stata per Gorizia una fonte importante di traffici e ricchezze, ha posto il problema di reinventare parte dell’economia cittadina, di ridefinire e ridare alla città un suo assetto produttivo, una sua strategia di attrazione di nuove risorse e di valorizzazione di quelle esistenti. La sfida più importante che il Comune di Gorizia ha saputo lanciare e portare avanti nell’ambito del processo di pianificazione strategica è stata di progettare il futuro di Gorizia, promuovendo quello di tutta la sua provincia. 28 Piano strategico della rete locale della Bassa Reggiana A partire dal primo semestre del 2003 gli 8 comuni della Bassa Reggiana (Brescello, Boretto, Gualtieri, Guastalla, Luzzara, Novellara, Poviglio, Reggiolo), la Provincia di Reggio Emilia e la Camera di Commercio di Reggio Emilia, hanno assunto il ruolo di promotori e coordinatori di un processo di pianificazione strategica che coinvolge anche l’Università di Modena e Reggio Emilia. L'attività di ricerca e di conoscenza delle caratteristiche territoriali è stata avviata nel mese di giugno 2003. L'obiettivo principale del processo è quello di costruire in modo condiviso il futuro della rete locale e delle comunità. Il piano è calibrato su di un orizzonte temporale di venti anni. Piano strategico di Jesi L'amministrazione comunale di Jesi ha deciso di intraprendere un processo di ridefinizione delle politiche urbanistiche e urbane nella città, affidando tale compito a tre nuovi strumenti: il piano strategico, la variante generale del piano regolatore e l'Agenda 21 locale. Il piano strategico, in particolare, ha come finalità la costruzione di un documento che individui i problemi, le opportunità, gli obiettivi e gli scenari di sviluppo del territorio di Jesi. Il lavoro svolto fino ad ora può essere diviso in 4 fasi temporali: 1. settembre-dicembre 2003, dedicata all’ascolto diffuso degli interlocutori locali, secondo tempi e modi diversamente articolati; 2. febbraio 2004, che ha avuto come attività centrale l’organizzazione e la realizzazione dei focus group; 3. marzo 2004, redazione dell’Agenda strategica; 4. giugno 2004, redazione del piano strategico; Piano strategico di Pergine Il Comune di Pergine Valsugana, terzo comune del Trentino, nel maggio 2002 ha elaborato il documento “Verso il Piano strategico di Pergine”. La decisione è derivata dalla necessità di valorizzare le risorse esistenti e creare le condizioni necessarie al perseguimento del più generale sviluppo sostenibile. Dal sito www.comune.pergine.tn.it è possibile scaricare l’elenco dei progetti da avviare e l’elenco dei progetti in cantiere. Piano strategico per il territorio di Assisi Il Comune di Assisi ha predisposto il “Piano strategico per la Crescita e lo Sviluppo dell’Intero Territorio”, un piano che tende ad attrarre capitali di privati e che ha l’obiettivo strategico di proseguire nella valorizzazione dei beni storico-artistici, culturali, museali e archeologici, al fine di promuovere forme di turismo di maggiore qualità e creare le 29 condizioni anche per rilanciare il commercio. L’iniziativa sembra piuttosto limitata dal punto di vista del coinvolgimento delle forze economiche e sociali e di altre istituzioni pubbliche. Dalle fonti ufficiali (www.comune.assisi.pg.it) per il momento non sono noti altri sviluppi. Piano strategico di Barletta Il “Piano Strategico Territoriale della città di Barletta” è stato presentato il 5 ottobre 2004, nel corso di una assemblea pubblica. La città di Barletta è la prima, nella Provincia di Bari, e una delle prime del Sud Italia, ad intraprendere questo importante percorso innovativo di democrazia partecipata. La pianificazione strategica di Barletta si svilupperà secondo i seguenti assi tematici: società e cultura locale; economia e attività produttive; welfare; ambiente e assetto urbanistico; strumenti di governo e risorse. In questo primo anno, il piano sarà un diario che raccoglierà pagine di ascolto e modalità di coinvolgimento dell’intera comunità cittadina, in forma associata e non. Piano strategico di Bolzano Il 22 settembre 2004 la Giunta comunale di Bolzano ha incontrato la città per presentare il piano strategico “Idee 2015 Pensare la Città” cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo. Il piano è costruito attorno a quattro grandi aree tematiche: sociale (famiglia, giovani, donne, tempo libero, casa, ecc.), cultura turismo e spettacolo (valorizzazione delle risorse locali in un quadro di cittadinanza europea), sviluppo economico ed occupazionale (infrastrutture, innovazione tecnologica, insediamenti), territorio e ambiente (spazi e tempi della città, mobilità). Lo scopo è quello di rafforzare i trend positivi esistenti cercando soluzioni per attenuare o invertire le tendenze negative. Piano strategico di Prato Il sindaco insieme all'Assessore allo Sviluppo economico e all'Assessore all'Urbanistica, nel luglio 2004 ha presentato alle categorie economiche e sociali, ai sindacati e alla Camera di Commercio, lo schema del “Piano strategico della città di Prato” che prevede l’impegno dell'amministrazione comunale e l'intera città per definire il futuro di Prato. La testa di direzione politico-istituzionale (il Laboratorio per il piano), è composta dal sindaco e dal suo vice, dagli Assessori all'Urbanistica e Sviluppo economico, i presidenti delle associazioni economiche, i segretari delle organizzazioni sindacali confederali; a fianco i gruppi di lavoro tematici e i gruppi di esperti nella veste di consulenti, fra cui sicuramente un demografo, economisti, urbanisti, sociologi, antropologi, esperti di logistica. 30 CAPITOLO 2 ANALISI DEI PIÙ RILEVANTI CASI DI PIANIFICAZIONE URBANA STRATEGICA IN ITALIA∗ 2.1 Introduzione 2.1.1. Il focus dell’indagine: le città italiane attive nella pianificazione strategica La rilevazione sul campo ha riguardato 16 città italiane che nel gennaio 2004 risultavano impegnate a preparare o attuare un piano urbano strategico. A seguito dell’indagine sul terreno, iniziata nei primi mesi del 2004, i dati raccolti sono stati completati con approfondimenti mirati nei mesi successivi e l’indagine è stata conclusa nella seconda metà del 2005. Le città esaminate sono: Copparo (FE), Cuneo, Firenze, Genova, La Spezia, Perugia, Pesaro, Piacenza, Roma, Sesto S. Giovanni (MI), Torino, Trento, Varese, Venezia, Vercelli, Verona. Come si vede, si tratta di città dalla dimensione molto diversa: da Roma, la capitale del Paese nonché più grande comune italiano con oltre 3 milioni di abitanti, a Torino, comune la cui popolazione supera le 900 mila persone ed è, con Milano e Napoli, tra le 4 maggiori città italiane, fino a piccoli capoluoghi di provincia come Vercelli (comune con una popolazione di poco superiore ai 45 mila abitanti), e alle cittadine di Sesto San Giovanni e Copparo, due dinamici comuni di provincia molto diversi tra loro (più grande e storicamente industriale il primo, più piccolo e storicamente agricolo il secondo). Inoltre Sesto San Giovanni è parte integrante dell’area metropolitana di Milano, mentre Copparo è il maggiore comune della Provincia di Ferrara. La lista delle 16 città è il risultato dell’osservazione sul campo e dello sforzo di includere nell’indagine tutte le città per le quali si era venuti a conoscenza dell’esistenza di un piano strategico urbano, già approvato o in corso di elaborazione. Da un primo elenco di 10 comuni, si è arrivati alla attuale lista di 16 città che hanno giocato il ruolo di capofila di altrettanti piani strategici. Pertanto non si è seguito alcun criterio particolare per escludere o includere qualche determinato caso. Il fenomeno della pianificazione strategica è ancora così limitato in Italia che si è voluto cercare di offrire al lettore un quadro completo, cioè un’analisi fondata non su una ∗ Di Gastone Ave e Paolo Ceccarelli. Ha collaborato Luca Fondacci. 31 osservazione di un campione di casi ancorché significativi, ma sull’analisi di tutte le città impegnate sul tema della pianificazione strategica urbana. Nella tabella seguente si presenta il quadro generale delle città oggetto dell’indagine. Emerge che: • dal punto di vista territoriale, la grande maggioranza (12 su 16) delle città è localizzata nel Nord; vi sono alcuni importanti casi nel Centro Italia (4 città su 16), mentre alla data della rilevazione non vi erano città nel Sud e nelle Isole (unica eccezione Barletta, in cui il piano strategico era appena stato avviato); • il fenomeno della pianificazione strategica urbana non si è manifestato solo nelle città maggiori. Vi è un buon numero di casi (7 su 16) di pianificazione strategica urbana riguardante comuni o gruppi di comuni che superano, nel loro insieme, i 200 mila abitanti; ma si deve osservare che è stato rilevato un analogo numero di piani strategici in comuni o gruppi di comuni che hanno una popolazione inferiore ai 200 mila abitanti e superiore ai 50 mila abitanti. Vi sono anche piani strategici promossi da municipalità singole (Vercelli) o associate (Copparo e comuni associati) che registrano, in ambedue i casi rilevati, una popolazione inferiore ai 50 mila abitanti. Tabella 2.1.1 Una comparazione delle città coinvolte nella pianificazione strategica in Italia Città Torino La Spezia Verona Genova Vercelli Venezia Trento Sesto San Giovanni (MI) Roma Perugia Firenze Piacenza Pesaro Varese Copparo (FE) e comuni associati Cuneo Ripartizione geografica Nord Centro Sud e Isole ● ● ● ● ● ● ● ● Popolazione del comune o dei comuni interessati dal piano da 50.001 a da 100.001 a oltre fino a 100.000 ab. 200.000 ab. 200.001 50.000 ab. ab. ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● ● Fonte: elaborazione su dati dei comuni 32 2.1.2. L’oggetto dell’indagine Oggetto dell’indagine è stato sia il processo di pianificazione strategica, sia il prodotto a cui le città esaminate sono pervenute. In una prima fase è stata condotta un’analisi approfondita di ogni singola esperienza il cui risultato è la scheda di presentazione, disponibile per ognuno dei piani esaminati nel CD allegato. Nello stesso CD sono anche raccolti i principali documenti originali che sono stati prodotti dalle singole città esaminate. Questo sforzo documentario è finalizzato a permettere al lettore un accesso diretto ai documenti originali, in modo che possa comparare le analisi contenute nella presente indagine con le fonti primarie, dato che il materiale prodotto dalle singole città ha avuto in genere una circolazione limitata. Per ogni singola esperienza l’analisi ha evidenziato una serie di elementi fondanti del piano tra cui: 1. le fasi; 2. i soggetti; 3. l’ambito territoriale; 4. le ragioni del piano; 5. attori e ruoli; 6. modalità di realizzazione; 7. obiettivi; 8. punti di forza e debolezza; 9. criticità e opportunità; 10. originalità e peculiarità; 11. risultati. Si è cercato, in particolare, di mettere in luce il processo di pianificazione seguito, il prodotto a cui gli enti locali sono pervenuti, così come i principali insegnamenti ed errori che una lettura a posteriori consente di mettere in luce. In una seconda fase, si è svolta una analisi trasversale tra i casi esaminati soffermandosi su alcuni punti di interesse generale, tra cui: - le motivazioni che hanno dato l’avvio al piano; - la distinzione tra piani approvati, non approvati o in corso di approvazione; - gli attori e i rispettivi ruoli; - le metodologie per l’analisi diagnostica e per la definizione dei contenuti; - i metodi di partecipazione e l’articolazione delle fasi temporali per la formazione del piano e per la sua attuazione; - i contenuti generali (linee strategiche, obiettivi e azioni); 33 - i contenuti specifici (visione, progetti di bandiera); - l’organizzazione della fase di preparazione e della fase di attuazione; - i prodotti documentali (documenti, testo finale sottoscritto, ecc.); - l’ambito territoriale di competenza; - i soggetti pubblici e privati sottoscrittori; - gli eventuali soggetti importanti esclusi; - l’implementazione: attori, forme istituzionali, risorse umane e materiali, risorse finanziarie e comunicazione. I punti sopra indicati sono stati scelti e sviluppati nell’analisi con l’intento di fare emergere se e in che misura il piano strategico è considerato seriamente come uno strumento di governance locale dai primi enti locali italiani che lo stanno studiando o lo stanno già attuando. Una delle ipotesi da verificare muoveva dal presupposto che il piano strategico fosse stato considerato fin dall’inizio da tutte le città esaminate come uno strumento di buona governance locale. Però occorreva verificare sul campo, al di là delle dichiarazioni iniziali, spesso più opera dei consulenti esterni che degli amministratori locali, se il piano strategico aveva permeato in misura stabile la pratica amministrativa locale non tanto nelle forme quanto nella metodologia e nei contenuti. Un secondo intento dell’analisi era quello di mettere in luce i vantaggi che le città incluse nell’indagine hanno ottenuto grazie alla pianificazione strategica, anche per consentire l’emulazione delle migliori pratiche osservate, diffondendo anche presso gli altri enti locali italiani l’informazione sugli errori più frequenti commessi. L’ipotesi verificata in partenza ha riguardato il ruolo attivatore dell’ente locale che è stato dimostrato ampiamente dall’indagine. In tutti i casi esaminati, pur con differenze e particolarità locali, l’ente locale ha sempre giocato il ruolo principale nell’avvio dell’esperienza della pianificazione strategica locale che, è bene ricordarlo, resta una iniziativa di tipo volontario che si svolge solo con il consenso degli interessati, non gode né di finanziamenti ad hoc né di procedure sperimentate. Eppure i vantaggi attesi dal piano strategico devono essere apparsi alle città esaminate così rilevanti da superare il costo globale richiesto e le difficoltà di avviare un procedimento basato sull’adesione volontaria dei soggetti. O forse la spiegazione è più semplice: la scelta di sperimentare il piano strategico probabilmente doveva apparire come una delle poche praticabili, visto il passaggio ormai maturato da un governo di tipo comando/controllo a una governance diffusa, in cui le decisioni più importanti possono essere assunte solo in un contesto di cooperazione tra più soggetti (pubblici e privati) e su basi territoriali generalmente più ampie di quelle di un singolo comune. 34 Tabella 2.1.2 Quadro comparativo per data di avvio dei piani strategici urbani in Italia, 19982004 Anno di inizio del piano strategico 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004* Numero di piani strategici urbani iniziati 2 4 4 1 2 3 0 Città capofila nella preparazione del piano Roma, Torino Genova, La Spezia, Sesto S. Giovanni, Varese Firenze, Piacenza, Trento, Venezia Pesaro Copparo (FE), Perugia Cuneo, Vercelli, Verona *al luglio 2004. Successivamente a tale data si è registrato l’annuncio dell’avvio di altri piani strategici, ad esempio quelli dei Comuni di Barletta, Bolzano, Prato e delle Province di Milano e Treviso. Nella tabella precedente si può notare che la maggior parte (13 casi su 16) dei piani strategici è stata avviata negli anni 1999, 2000, 2002 e 2003. Per quanto il numero dei casi a disposizione sia ancora modesto in valore assoluto, ad una prima lettura sembra che le amministrazioni comunali abbiano una tendenza ad avviare lo studio di un piano strategico urbano nei primi anni del mandato amministrativo, in particolare nel secondo e nel terzo anno del mandato che dal punto di vista del governo dell’ente locale sono gli anni più operativi, cioè meno influenzati da diatribe interne successive o antecedenti le tornate elettorali. Gli anni segnati da elezioni amministrative (2001 e 2004) hanno visto l’avvio di un solo piano strategico (nel Comune di Pesaro) tra i 16 presi in considerazione dall’indagine. Dalla tabella sopra riportata si può, quindi, dedurre che il piano strategico venga inteso come lo strumento di programmazione intersettoriale e di lungo periodo in cui le amministrazioni locali collocano in termini operativi il proprio programma di mandato, evidentemente presentato come funzionale alla realizzazione di una parte più o meno ampia di quanto previsto dal piano strategico stesso. 2.1.3. Le ragioni che hanno spinto allo studio dei piani strategici Dall’esame dei 16 casi oggetto dell’indagine emergono diverse motivazioni che hanno spinto gli enti locali a preparare un piano strategico urbano. Le motivazioni prevalenti possono essere raggruppare in: • ragioni economiche; • ragioni urbanistiche; • ragioni sociali; • ragioni ambientali; • ragioni istituzionali. 35 Tali categorie di motivazioni non sono di carattere esclusivo. Se in alcuni casi una sola di esse è stata sufficiente a fare prendere la decisione di avviare il piano strategico, in altri casi, tipicamente quelli delle città più complesse, le motivazioni si ritrovano in più di una delle categorie menzionate, se non in tutte. Le ragioni di tipo economico si articolano nelle seguenti posizioni: - Reagire ad una situazione stagnante. La prima motivazione è connessa alla percezione di un’economia locale stagnante, causata dalla crisi dei precedenti modelli di sviluppo di tipo industriale (ad esempio: Torino, Area Nord Milano, Varese), agricolo (es. Vercelli, Copparo), portuale (es. Genova, Venezia, La Spezia), o dalla presenza di settori terziari poco dinamici come quello della pubblica amministrazione (es. Trento). In questo caso le amministrazioni locali hanno ritenuto che il piano strategico potesse favorire lo sviluppo di modelli economici diversi, in grado di rivitalizzare e rilanciare le vecchie funzioni economiche (industria leggera avanzata, invece di quella pesante, R&D, servizi alle imprese), o seguire strade completamente nuove (valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale per il turismo, rafforzamento di funzioni formative di livello universitario). - Massimizzare le opportunità. Una città o un territorio, investiti da un rapido processo di trasformazione, ritengono che gli strumenti di pianificazione urbanistica, i comportamenti collettivi e i modelli imprenditoriali propri della situazione locale non siano adatti a trarre il maggior profitto possibile dalle opportunità che si sono aperte o si stanno aprendo. Il piano strategico serve a fare il punto della situazione in cui ci si trova, a stabilire nuovi traguardi e ad assegnare a ciascuna componente sociale ed economica un ruolo adeguato e positivo. Questo atteggiamento è in genere caratteristico di città medie e piccole (come ad esempio Piacenza, Cuneo, Pesaro) che stanno vivendo una fase di profonda trasformazione e si rendono conto della necessità di disporre di atteggiamenti mentali e strumenti adeguati a fronteggiarla. - Puntare ad un ruolo più importante. Una terza motivazione è simile alla precedente ma riguarda città e territori in sviluppo che vedono nell’attuale congiuntura la possibilità di svolgere in futuro un ruolo più importante. In questo caso la strategia non consiste solo nel darsi strumenti più adeguati per non perdere una serie di occasioni, ma nel creare strumenti nuovi, per operazioni di più ampio respiro a livello nazionale e internazionale. È la strategia di città che puntano a costituire reti integrate tra loro in modo da disporre di un più forte potere di attrazione e contrattazione, oppure di città che puntano ad essere importanti centri di terziario avanzato, di ricerca, e così via. Le città che adottano strategie di questo tipo non sono necessariamente grandi città; spesso si trovano anche centri urbani di media dimensione 36 che perseguono con molta determinazione politiche di eccellenza. Ricadono in questa tipologia i casi di Venezia, Genova e Verona, ma anche le città di Pesaro, Varese e Vercelli. - Contenere conseguenze non desiderate dello sviluppo. Una quarta ragione per realizzare un piano strategico è quella addotta da città di successo che temono che questo tipo di sviluppo possa non continuare indefinitamente, o che paventano le conseguenze negative di un successo centrato soprattutto su una funzione prevalente, ad esempio il turismo. In questo caso il piano strategico è pensato come strumento per contenere la domanda e per qualificare e diversificare sia l’offerta che la domanda. Queste motivazioni sono state chiaramente enunciate nell’avvio del piano strategico di Venezia e di Firenze. Le ragioni urbanistiche emerse dall’analisi dei 16 casi sono di due ordini: • interazione positiva tra pianificazione urbanistica e pianificazione strategica; • risvolti territoriali di politiche generali di rilancio urbano. Il primo gruppo di motivazioni riguarda l’attuazione di programmi e progetti di trasformazione urbana previsti dagli strumenti urbanistici e che non possono essere realizzati in assenza di un forte consenso cittadino e di una consistente mobilitazione di risorse finanziarie. Il piano strategico, inserendo queste opere tra le proprie azioni, appare lo strumento più idoneo per conseguire tali risultati. Questo tipo di motivazione è presente in quasi tutti i casi esaminati, ed è particolarmente evidente nella profonda trasformazione urbanistica (prevista o già in atto) delle città di Torino (XX Giochi Olimpici Invernali, Torino 2006), Trento (riqualificazione dell’area dismessa ex-Michelin), Piacenza (riqualificazione delle aree centrali) e Venezia (riqualificazione di alcune aree della zona di Marghera antistanti la laguna e di altre aree strategiche della città). Al contrario, ci sono città che stanno già attuando con successo politiche di rinnovo e trasformazione urbana, che ritengono necessarie le iniziative per valorizzarle (attrarre nuove funzioni, richiamare nuove quote di popolazione, ospitare grandi eventi) e che vedono nel piano strategico il veicolo più efficace per creare un nuovo clima cittadino, per dare una nuova immagine della città. Sembra questo il caso di Firenze, che con il piano strategico si è riproposta la creazione di un consenso sufficiente ad affrontare una serie di obiettivi di scala metropolitana, quali ad esempio il progetto del parco metropolitano, da tempo in agenda. In sostanza l’intreccio tra pianificazione strategica e pianificazione urbanistica (sia che si tratti di piani strutturali che di piani di dettaglio o di “progetti urbani”) appare nei casi esaminati piuttosto forte, esistendo una complementarietà tra queste due linee di politiche. 37 Vi sono però anche motivazioni che non riguardano in prima istanza gli strumenti urbanistici, ma si riferiscono a condizioni geografiche da migliorare, a situazioni socioeconomiche da affrontare a livello territoriale attraverso la successiva adozione di misure di pianificazione territoriale ed urbana. Se ne possono citare alcune ricorrenti: - Superare l’isolamento geografico. Una motivazione addotta da alcune città per giustificare l’avvio di un piano strategico è la necessità di superare il proprio isolamento. Si tratta della percezione di un isolamento geografico di tipo tradizionale, che ha origini antiche, o di un isolamento infrastrutturale che nasce dalle attuali politiche dei trasporti a livello nazionale o internazionale (infrastrutture di importanza europea, infrastrutture di interesse nazionale come l’Alta Velocità, mutamenti dei mercati di importazione ed esportazione con relative conseguenze sulla rete e le modalità di trasporto, ecc.). Il piano strategico è visto come un’occasione per consentire a queste città di svolgere un ruolo nuovo nelle reti dei trasporti e dei sistemi geografici in formazione e di ottenere maggiore visibilità, per attrarre funzioni che altrimenti andrebbero a localizzarsi altrove. Nella costruzione del piano possono emergere proposte specifiche di interventi infrastrutturali integrativi o aggiuntivi, di localizzazione di attrattori di funzioni, e così via. Il tema dell’isolamento di tipo infrastrutturale è, ad esempio, una delle motivazioni che hanno portato Perugia e i 6 comuni contermini ad avviare il loro piano strategico, nel quale sono previsti numerosi obiettivi e progetti puntuali per migliorare l’accessibilità da e per l’esterno dell’area, oltre che l’accessibilità interna. - Valorizzare la propria identità in sistemi urbani di grande scala. Un’altra motivazione, rintracciabile nei piani strategici dei centri dinamici di dimensione minore e assimilabile alla precedente, è quella di far parte di sistemi metropolitani in cui il polo maggiore tende ad utilizzare esclusivamente a proprio vantaggio le capacità propulsive di ciascuna componente. In questo caso le componenti periferiche dell’area metropolitana cercano di affermare la propria identità ed autonomia valorizzando le proprie specificità economiche, culturali, ambientali e storiche. Questa è una motivazione che, tra le altre, ha contribuito a fare aderire diversi piccoli comuni ai piani strategici promossi da capoluoghi regionali quali Torino e Perugia. - Superare i limiti di una dimensione troppo ridotta. È una motivazione alla base della pianificazione strategica di sistemi urbani minori che appartengono a un territorio omogeneo con potenzialità di sviluppo. Nessuno dei centri urbani che lo compongono ha dimensione sufficiente per poter attrarre certe funzioni superiori, gestire particolari servizi, sviluppare determinate attività avanzate; questo è invece in parte possibile se si forma un sistema integrato di più ampia scala e di maggior 38 peso demografico. Il piano strategico è visto come un’opportunità per superare questi limiti di partenza. Si tratta della motivazione che ha fatto aderire al piano strategico promosso da Sesto San Giovanni e Copparo i comuni minori delle rispettive aree di influenza. - La valorizzazione di risorse ambientali e di beni culturali. L’esistenza di un particolare ambiente naturale o di beni culturali di notevole interesse inadeguatamente fruiti diventa occasione per elaborare una strategia di tutela e di valorizzazione delle risorse naturali, architettoniche, urbanistiche che integra azioni di natura urbanistica ad azioni economiche di promozione e di supporto al turismo. Anche in questo caso il piano strategico appare l’occasione più idonea per avviare un discorso del tutto nuovo. Ad esempio, nel caso di Perugia il piano strategico è stato lo strumento per sviluppare un preesistente dibattito sulla fruizione dei beni storici e artistici presenti su tutta l’area urbana e non solo all’interno del territorio comunale. La grande mostra sul Perugino del 2004 è stata così concepita, all’interno del piano strategico di Perugia, come un progetto di valorizzazione dei beni artistici direttamente ascrivibili al Perugino e alla sua Scuola, localizzati in diversi piccoli comuni del circondario, molti dei quali aderenti al piano strategico promosso dalla città capoluogo della Regione Umbria. L’impostazione aperta e innovativa data fin dal concepimento della mostra avrebbe comunque portato a una manifestazione articolata su un territorio più ampio di quello del solo capoluogo regionale. Ma il piano strategico ha fornito a una tale preesistente volontà il quadro ideale per manifestarsi in pieno. Le motivazioni di natura sociale per l’avvio di un piano strategico si possono riferire ai seguenti elementi: 1. mobilitazione contro una crisi locale; 2. necessità di maggiore solidarietà e coesione; 3. empowerment attraverso la partecipazione; 4. diffusione dei livelli di responsabilità tra i soggetti coinvolti. 1. Mobilitazione contro una crisi locale. È ricorrente tra le ragioni che portano a fare un piano la necessità di mobilitare una società locale che può avere notevoli potenzialità ma che si trova in una fase di crisi e di incertezza conseguenti alla stagnazione economica o a processi di trasformazione economica in atto, o una società locale che stenta a definire una sua nuova identità. Spesso il piano strategico serve, ad esempio, a dare prospettive più ampie ad una classe imprenditoriale che appare poco innovativa e competitiva. Per molti aspetti il piano strategico è utilizzato come veicolo per diffondere nuove idee e come incentivo per elaborare azioni mirate di trasformazione. Esempio di questa concezione del piano strategico è il ruolo molto importante che viene dato alle azioni per migliorare il livello educativo della popolazione, attraverso programmi 39 di istruzione formale, culturali, di accessibilità e diffusione di tecnologie avanzate di comunicazione. 2. Necessità di maggiore solidarietà e coesione. Un altro obiettivo che appare importante è raggiungere una maggiore solidarietà e coesione della comunità locale nella sua interezza attorno a questioni ritenute particolarmente importanti. In questo senso vari piani strategici attribuiscono notevole importanza ad azioni e progetti nel campo dell’istruzione, della sicurezza, della sanità, dell’assistenza alle componenti più deboli della comunità. 3. Empowerment attraverso la partecipazione. Due altre motivazioni fondamentali sono, da un lato, stimolare, promuovere e valorizzare le capacità esistenti e, dall’altro, responsabilizzare le varie componenti della società locale nella sua realizzazione. Esse si esprimono attraverso un’applicazione attenta e corretta delle procedure per costruire un piano strategico. La fase di “ascolto” iniziale non è soltanto un modo indispensabile per ottenere le informazioni necessarie per diagnosticare una situazione e raccogliere suggerimenti e proposte specifiche per affrontarla e risolverla. È anche un modo per far acquisire maggior consapevolezza dei problemi esistenti da parte delle varie componenti della comunità locale a cui si è richiesto di esprimere le proprie idee e di discutere quelle altrui. L’ascolto diventa, quindi, anche punto essenziale del processo di coinvolgimento dell’intera comunità nella costruzione del suo futuro: attiva, infatti, il processo di partecipazione alla costruzione del piano strategico, che è senza dubbio un importante fattore di mobilitazione ed integrazione sociale. Se il piano tiene effettivamente conto delle diverse istanze sociali attraverso il coinvolgimento di tutte le componenti di una comunità, è probabile che a loro volta esse promuovano iniziative per attuarlo, in quanto mezzo di pianificazione che rappresenta anche le loro istanze. La partecipazione è inoltre elemento strutturale della governance e senza governance non è possibile formulare una strategia per la comunità nel suo insieme. Quindi un piano strategico può, tra le sue finalità, avere quella dell’empowerment della comunità locale, e in particolare dei suoi gruppi tradizionalmente meno forti e meno centrali nel processo decisionale, rispetto a scelte strategiche per il futuro. 4. Diffusione dei livelli di responsabilità tra i soggetti coinvolti. Altrettanto importante è la responsabilizzazione dei vari soggetti nella costruzione e realizzazione della strategia. Chi partecipa alla costruzione del piano strategico è anche chiamato ad esplicitare il tipo di apporto che il gruppo di interesse rappresentato può fornire e ad assumere precise responsabilità per assicurare che ciò avvenga entro precisi termini di tempo. L’assunzione di responsabilità precise rispetto al raggiungimento di 40 determinati obiettivi generali attraverso azioni specifiche implica anche che si arrivi a scelte condivise. La condivisione è quindi conseguenza diretta della partecipazione e della responsabilizzazione. Ovviamente non tutti i piani si propongono in modo chiaro ed esplicito un percorso di questo tipo; tuttavia il meccanismo stesso della partecipazione-condivisione mette in moto un processo di portata più ampia. Obiettivi che si trovano spesso nei piani strategici, come accrescere la solidarietà, migliorare l’integrazione, facilitare l’accesso ai momenti decisionali, sono strettamente conseguenti all’effettiva messa in atto delle procedure previste da una corretta pianificazione strategica. Per quanto riguarda l’ambiente, l’avvio dei piani strategici è spesso giustificato dall’esigenza di trovare soluzioni condivise a questioni ambientali urbane, di sperimentare modelli di sviluppo sostenibile che segnino una svolta migliorativa rispetto al passato o di tutelare e valorizzare dei beni ambientali particolari presenti in loco. Tra queste, una delle motivazioni ricorrenti nei piani strategici è la più corretta gestione dell’ambiente nel suo insieme e la soluzione di alcuni specifici problemi ambientali. La sostenibilità è spesso indicata come un paradigma di riferimento, purtroppo non sempre le azioni scelte come portanti producono tuttavia un miglioramento effettivo della situazione ambientale. Ovviamente ci sono piani che fanno invece della tutela dell’ambiente e della realizzazione di un modello di sviluppo urbano sostenibile un elemento centrale della loro strategia. Questo avviene spesso nel caso di città con un passato industriale, magari legato a produzioni altamente inquinanti, che immaginano un futuro molto diverso, oppure nei casi in cui lo sviluppo in atto (per esempio turistico) crea rischi per l’ambiente che è la ragion stessa del successo di quello sviluppo. Da ultimo, si è già fatto riferimento all’importanza della variabile ambientale sia rispetto alle motivazioni economiche che rispetto a quelle urbanistiche, in alcuni piani strategici è però presente anche la tutela della componente ambientale in sé, come risorsa strategica da difendere ed elemento importante della “qualità urbana” (un fattore di attrazione che spesso ha un peso molto rilevante). Le ragioni istituzionali, anche se fortemente presenti nella formulazione dei piani strategici, spesso non sono direttamente esplicitate: sono più genericamente espresse come necessità di maggiore efficienza e trasparenza, di più diffusa partecipazione alle decisioni, di verifica dei risultati effettivamente ottenuti. In quest’ottica due motivazioni sembrano essere particolarmente importanti: 41 1. La necessità di promuovere una nuova governance locale. Una serie di fattori concomitanti hanno nel corso degli ultimi anni reso sempre più necessario il ricorso a forme di governo partecipato, a comportamenti basati sulla sussidiarietà dei vari soggetti istituzionali, alla condivisione delle scelte con assunzione di responsabilità di tutti gli attori coinvolti. L’elaborazione di un piano strategico legittima, in un’ottica più ampia e di medio periodo, i processi di governance rendendo manifesto, sia nelle procedure per la sua costruzione che nei risultati man mano raggiunti, l’opportunità di procedere ad una forma partecipata e condivisa di governo del territorio e dei processi sociali ed economici che hanno luogo in esso. In sostanza il piano strategico rappresenta per certi aspetti un’occasione di esercitazione, un laboratorio in cui attuare in concreto pratiche di cui tutti riconoscono in linea di principio l’importanza ma che di fatto vengono poco realizzate. Appare evidente che da questa esperienza derivano anche indicazioni precise per l’innovazione istituzionale delle procedure e delle pratiche. 2. Realizzare maggiore efficienza e trasparenza. Le procedure di attuazione di un piano strategico implicano la definizione precisa dei progetti, tempi di realizzazione ben definiti e l’esistenza di un sistema di controlli dei risultati raggiunti e della loro corrispondenza agli obiettivi dati e agli impegni presi da ciascun soggetto. Il processo attuativo delle azioni di un piano strategico risulta di conseguenza molto più trasparente e tendente all’efficienza di un processo amministrativo tradizionale. Diviene così un modello di riferimento per l’attività ordinaria dei soggetti pubblici e privati che lo hanno promosso, e ne consegue un beneficio complessivo per il sistema. 2.2 Lo schema interpretativo dei casi 2.2.1. Il contesto istituzionale e lo stato di preparazione dei singoli piani I 16 piani strategici urbani esaminati possono essere raggruppati in categorie omogenee a seconda di numerosi parametri tra i quali i due principali, ai fini dell’indagine, sembrano essere i seguenti: 1) il rango del comune capofila; 2) lo stato di preparazione e attuazione del piano strategico. Il primo criterio è utile per non perdere di vista la grande diversità di scala che esiste tra le città che hanno fino ad ora promosso un piano strategico: si va dalle più grandi aree metropolitane italiane a piccoli comuni. Il secondo criterio serve per mantenere alta l’attenzione sul fatto che il piano strategico è solo uno strumento di pianificazione e che solo la sua attuazione può dare luogo ai miglioramenti attesi dalle singole azioni previste dal piano. Per semplicità, sotto il profilo del rango istituzionale possiamo ripartire i comuni capofila dei processi di pianificazione strategica locale nel modo seguente: 42 • città capoluogo di regione: Torino, Firenze, Genova, Perugia, Roma, Trento, Venezia; • città capoluogo di provincia: Cuneo, La Spezia, Pesaro, Piacenza, Varese, Vercelli, Verona; • altri comuni: Copparo (Ferrara); Sesto San Giovanni (Milano). Sotto il profilo dell’iter di preparazione e approvazione dei rispettivi piani strategici la situazione è, allo stato attuale, la seguente: • città che dispongono di un piano strategico urbano approvato e in via di attuazione o di un piano strategico privo di una approvazione formale ma già presentato al pubblico nella versione finale: Copparo (Ferrara), Firenze, Genova, La Spezia, Perugia, Pesaro, Piacenza, Sesto San Giovanni (Milano), Torino, Trento, Verona, Venezia; • città che hanno in corso la preparazione di un piano strategico: Cuneo, Varese; • città che hanno interrotto gli studi per un piano strategico: Roma, Vercelli. Dal punto di vista dell’ente locale è importante rilevare che in tutti i casi esaminati il ruolo di iniziatore e protagonista del processo di pianificazione strategica è stato svolto dal comune maggiore dell’area. In 14 casi su 16 il sindaco del comune maggiore svolge la funzione di punto di riferimento della struttura, formale o informale, messa in atto per la preparazione e gestione del piano. Ciò avviene anche in presenza di altre istituzioni pubbliche di livello sovraordinato, quali provincia e regione. In questi casi, i rispettivi presidenti agiscono congiuntamente con il sindaco del comune maggiore in un organismo variamente denominato (ad esempio Forum dello Sviluppo, Comitato interistituzionale, tavolo di concertazione, ecc.)2. Solo in due casi (Associazione dei Comuni del Copparese e Nord Milano) si è utilizzato fin dall’inizio un organismo di gestione congiunta del piano, l’assemblea dei sindaci nel caso del Copparese (organismo preesistente alla decisione di avviare lo studio del piano) e la “cabina di regia” nel caso dell’area del Nord Milano. Ciò si spiega per la relativa omogeneità tra i comuni che hanno dato il via al piano, ma anche in questi casi i comuni maggiori e il loro sindaco hanno svolto un ruolo trainante. Lo schema interpretativo utilizzato ha comunque cercato di mettere in luce la funzione effettiva di 2 Pur non rientrando nei 16 casi oggetto dell’indagine, si deve segnalare che tra la fine del 2004 e la prima metà del 2005 si registra l’avvio della preparazione dei piani strategici delle Province di Milano e di Treviso, su iniziativa principale dei rispettivi enti provinciali. Nel caso di Milano il ruolo di iniziatore del processo da parte dell’ente provinciale si spiega in quanto il nuovo presidente è la stessa persona che nel ruolo di Sindaco di Sesto San Giovanni ha promosso il piano strategico del Nord Milano. Nel caso di Treviso sembra che la spinta iniziale sia venuta da parte dell’ente provinciale piuttosto che dal comune maggiore perché è nel vasto territorio del trevigiano, piuttosto che nel capoluogo, che si originano i problemi di competitività economica che il piano intende affrontare. 43 lancio e sostentamento del processo di pianificazione, al di là delle gerarchie tra gli enti pubblici coinvolti. Un altro aspetto che l’analisi ha cercato di rilevare è la funzione dei soggetti imprenditoriali privati e degli esponenti della società civile tra i gruppi che hanno promosso la formazione del piano strategico. La presenza dei principali rappresentanti collettivi degli interessi economici locali (ad esempio Unione Industriale, Camera di Commercio, ecc.) è una costante di quasi tutti i piani oggetto dell’indagine. Per quanto riguarda la società civile, la ricerca ha tentato di rilevarne nei piani esaminati il grado di coinvolgimento e l’eventuale esclusione di alcune sue componenti. Si può anticipare che i risultati dell’indagine sul terreno hanno confermato quanto il piano strategico sia un potente mezzo per attuare il coinvolgimento attivo, cioè in sede di formazione delle decisioni, dei più rilevanti soggetti (pubblici, privati, del Terzo Settore) decisionali di un’area urbana. In quasi tutti i casi, ad esempio, si registra la partecipazione della locale università e dei principali centri di studio e ricerca, sia pubblici sia privati, attraverso la collaborazione istituzionale di dipartimenti, di singoli docenti e ricercatori e, in qualche caso, con la sottoscrizione del documento finale del piano da parte del Rettore. 2.2.2. Il processo di preparazione, approvazione e gestione dei piani Gli enti locali che si sono dotati di un piano strategico, o che ne hanno avviato lo studio, hanno seguito un percorso che al di là delle differenze metodologiche e dei contenuti specifici di ogni singolo piano, ha in comune una serie di elementi che le amministrazioni locali, che intendessero rafforzare la governance locale attraverso il ricorso alla pianificazione strategica, dovrebbero tener presente. Dall’indagine emerge l’interesse ad una lettura trasversale che metta in luce le affinità e le differenze riscontrabili tra i casi reali oggi disponibili. Il principale punto di confronto è costituito dalle motivazioni che sono alla base della decisione di avviare la preparazione di un piano strategico. Il punto è rilevante perché gli enti locali non sono tenuti da alcuna legge nazionale o regionale a predisporre un piano strategico, tranne due eccezioni (Trento e Venezia)3. 3 Infatti, il Comune di Trento, nel contesto della Provincia autonoma di Trento, ha indicato formalmente l’obbligo (non la possibilità) di predisporre un piano strategico come strumento di programmazione del proprio sviluppo economico, così lanciando un segnale forte in favore dell’adozione della pianificazione strategica da parte dei Comuni del Trentino, segnale che sembra essere stato recepito da parte di altri importanti comuni della regione, che hanno annunciato nel 2004 l’intenzione di procedere allo studio di propri piani strategici. Per quanto riguarda Venezia, il comune ha indicato un impegno analogo a quello di Trento (ma meno perentorio, forse per la diversità dei rispettivi poteri istituzionali) e ha costituito l’Assessorato alla Pianificazione strategica, attualmente guidato dal precedente Assessore all’Urbanistica. Resta inteso che l’eventuale costituzione di un assessorato dedicato espressamente alla pianificazione strategica, come nel caso di Venezia, o l’indicazione del piano strategico come strumento obbligatorio, come nel caso di Trento, sono scelte che dipendono dalle condizioni organizzative e politiche all’interno di ogni ente locale. 44 L’analisi delle motivazione addotte dai singoli enti locali è particolarmente complessa data la natura in divenire del piano strategico, per cui alle ragioni iniziali che hanno portato alla prima delibera del Consiglio comunale, tipicamente se ne aggiungono altre man mano che il processo si evolve. Nell’analisi si è cercato di distinguere tra le ragioni enunciate nella fase di avvio dello studio del piano (che potremmo anche definire come le ragioni fondamentali), e le ragioni richiamate nella fase di conclusione e sottoscrizione del piano (laddove questa fase è stata raggiunta), generalmente più articolate e spesso coincidenti con le linee strategiche individuate nel corso dei lavori di preparazione del piano. Nel capitolo successivo questo punto è sviluppato con un certo dettaglio, con lo scopo di evidenziare sia le motivazioni comuni sia le motivazioni specifiche di ognuno dei 16 casi oggetto dell’indagine. In particolare, per ciascuno dei 16 piani strategici esaminati sono state messe in luce le motivazioni fondamentali per la decisione iniziale, ripartendole nel modo seguente: • ragioni economiche; • ragioni urbanistiche; • ragioni sociali; • ragioni ambientali; • ragioni istituzionali. I processi di formazione e gestione dei piani strategici sono stati confrontati secondo i punti di interesse generale precedentemente elencati (cfr. 2.1.2.). Sembra poi opportuno un confronto sulle iniziative incluse nei diversi piani strategici esaminati in merito all’uso di tecnologie informatiche per rafforzare la funzione di governance da parte degli enti locali. Un ultimo elemento di confronto tra i 16 casi esaminati è costituito dalle risorse, in particolare quelle economiche, richieste per la predisposizione e per l’attuazione del piano strategico. Si tratta di un punto delicato, da affrontare tenendo presente la situazione finanziaria degli enti locali, che da alcuni anni è sempre più difficile, ma anche senza dimenticare che se la pianificazione ha dei costi, per un ente locale il non fare pianificazione generalmente produce nel tempo un costo sociale ed economico ben superiore per le famiglie e per le imprese del luogo. Nella analisi trasversale dei 16 casi si è anche cercato di mettere in rilievo l’apporto concreto (in risorse finanziarie e servizi) del settore privato al processo di formazione e gestione dei piani. 45 2.3 Le ragioni fondamentali per l’avvio del piano strategico Nei 16 casi oggetto dell’indagine si possono riscontrare degli elementi comuni e degli elementi specifici tra le motivazioni che hanno spinto gli enti locali ad avviare un processo volontario di preparazione di un piano strategico. 2.3.1. Elementi comuni Il primo degli elementi comuni è la consapevolezza che la situazione locale era giunta a un “punto di crisi” da richiedere un’azione non convenzionale quale quella rappresentata da un piano strategico. Per “punto di crisi” si intende un insieme di segnali indicanti che l’area non stava attraversando un rallentamento nello sviluppo in questo o quel settore economico o in una zona particolare del suo territorio, ma che la crisi riguardava la comunità in generale e le sue stesse prospettive di sviluppo di lungo periodo. L’avvio di un piano strategico non coincide con il sorgere di questo stato di crisi ma con la percezione della sua esistenza. Iniziative preliminari e collaterali possono aver contribuito ad aumentare la percezione di una crisi che, in alcuni casi, era presente in loco da tempo. Tra gli altri elementi comuni che hanno fatto avviare il piano vi sono: - la sensazione del declino economico; - la diminuzione costante della popolazione, in particolare l’esodo dei giovani più qualificati e il generale invecchiamento della popolazione; - la necessità di definire un uso nuovo per vaste proprietà dismesse (terreni ed edifici di origine industriale, militare, demaniale) in presenza di una scarsa domanda di spazi produttivi da parte delle nuove aziende o in una fase caratterizzata, da un lato, da una espansione dei fatturati delle aziende esistenti e, dall’altro, da una minore necessità di spazi produttivi da parte delle stesse aziende; - il rischio di indebolimento marcato di settori economici tradizionalmente associati alla città o il rischio di trasferimento di aziende molto note e simboliche, o di enti importanti, o di eventi simbolo; - la necessità di coordinare l’azione tra i vari enti pubblici e i principali soggetti privati del luogo al fine di attivare delle politiche di marketing territoriale e di attirare investimenti esterni di origine privata o pubblica (regionale, nazionale e dell’Unione europea); - la percezione di essere in un territorio svantaggiato dal punto di vista dell’accessibilità fisica con i grandi assi di collegamento nazionali e internazionali; - la percezione di isolamento e scarsa comunicazione tra le iniziative pubbliche e private promosse dai soggetti dell’area. 46 2.3.2. Elementi specifici Accanto alle motivazioni comuni sopra elencate, presenti in varia misura in tutti i casi esaminati, sono state rilevate anche motivazioni specifiche. Tra le città capoluogo di regione, Torino e Genova hanno avviato il rispettivo piano strategico per definire un quadro di sviluppo locale basato sull’evoluzione della tradizionale economia industriale costituita dalla filiera dell’industria dell’auto nel caso di Torino e dalla filiera dell’industria portuale a Genova. Per Torino il piano strategico (il primo fatto in Italia) è stato inteso fin dalle prime battute come uno strumento di pianificazione multisettoriale e di area vasta, l’unico in grado di coinvolgere sia i soggetti pubblici, sia quelli privati, tanto nella definizione degli obiettivi che nella ricerca delle risorse finanziarie. Il piano di Torino è sorto come un patto tra i soggetti pubblici (l’amministrazione comunale e gli altri enti locali) e i principali soggetti privati dell’area per definire in una modalità efficiente e condivisa gli impegni di ciascuno per il processo di rinnovamento dell’area. Già dai primi anni Ottanta si era manifestata nella città l’esigenza di basare lo sviluppo urbano futuro dell’area metropolitana anche su pilastri diversi da quell’unico pilone (la grande industria metalmeccanica e l’industria in generale) sul quale si era appoggiata la crescita per oltre un secolo. Ma è solo a metà degli anni Novanta che diventa patrimonio condiviso dei principali attori pubblici e privati la consapevolezza che il futuro della città metropolitana non poteva essere più affidato ad un singolo settore economico. In tal senso, è stata presa la decisione di predisporre il piano strategico quale strumento di diversificazione della base economica della città. In questo quadro si spiega la decisione, presa all’inizio del 1998, cioè contestualmente ai primi colloqui informali sul futuro piano strategico, di candidare la città quale sede dei XX Giochi Olimpici Invernali. La vittoria della candidatura, avvenuta nel giugno 1999, ha imposto la necessità di predisporre, attraverso il piano strategico, un quadro intersettoriale di coerenze (principalmente di natura urbanistica) nel quale inserire l’evento speciale di Torino 2006. Anche nel caso di Genova sono apparsi evidenti negli anni Ottanta i limiti di uno sviluppo fondato sull’economia industriale di settori maturi, quali la siderurgia e le attività portuali tradizionali. Il rinnovamento della città iniziato nella prima metà degli anni Novanta si è indirizzato verso una diversificazione della base economica locale. In questo quadro di generale cambiamento spinto principalmente dall’azione pubblica locale, il piano strategico (denominato Piano della città di Genova), è stato visto dall’amministrazione comunale come lo strumento migliore per collegare tra loro i diversi progetti e programmi di sviluppo. Il piano è stato predisposto soprattutto per dare ai principali attori pubblici e privati della città un quadro di coerenza generale entro il quale collocare le diverse iniziative volte a 47 creare nella città una struttura economica molto più articolata (turismo, porto, nuova e vecchia industria, entrambe con molta più tecnologia) di quella tradizionale. Nel caso di Firenze e Venezia le motivazioni specifiche per iniziare la preparazione del piano strategico sono tra loro simili solo in apparenza. A Firenze la motivazione principale è stata la volontà di trovare risposte efficaci alle criticità a cui il centro urbano e la sua area metropolitana erano sottoposti da tempo. Si trattava di trovare una soluzione alternativa alla crescita del turismo di massa e di bassa qualità, con le sue ricadute negative sulla vivibilità urbana per i residenti e sulla visibilità della città come centro di cultura, formazione e produzione di qualità. In questo senso, il piano strategico è stato considerato lo strumento migliore per coniugare in una visione unitaria, da un lato, le prospettive di sviluppo economico dell’area e, dall’altro lato, il miglioramento delle condizioni di vita per i residenti. La preparazione del piano è stata decisa per consentire la definizione di una prospettiva di area metropolitana ai numerosi ed importanti interventi di riqualificazione edilizia e ambientale previsti. La necessità di affrontare le problematiche legate al turismo di massa è la motivazione di fondo anche nel caso di Venezia. Oltre a questa, vi sono ragioni specifiche che accomunano la decisione di avviare il piano di Venezia più ai casi di Torino e Genova che al caso di Firenze. Infatti il piano è stato motivato in modo particolare dalla necessità di trovare un nuovo futuro per la vasta zona industriale di Marghera, in parte dismessa da tempo. Con il piano strategico si è voluto mettere a punto uno strumento adatto a soddisfare la necessità dell’amministrazione comunale di rafforzare la coesione tra le diverse polarità del sistema urbanistico veneziano (antico centro storico, area industriale e terra ferma di Mestre), influenzate da realtà economiche esterne a Venezia particolarmente dinamiche quali Padova e Treviso. Nel caso di Perugia il piano ha preso spunto nel corso dall’elaborazione del nuovo piano regolatore della città che ha evidenziato la necessità di un programma istituzionale complesso (regolazione, coordinamento e stimolo allo sviluppo) su un’area ben più ampia di quella inclusa nei confini amministrativi comunali. La decisione di avviare il piano strategico è stata motivata specificamente dalla volontà dell’ente locale di raggiungere tre finalità: A) rafforzare il ruolo di capoluogo regionale di Perugia nei confronti della Regione Umbria; B) assicurare una maggiore competitività all’area perugina sul piano nazionale, coinvolgendo anche alcuni comuni limitrofi (Bastia, Corciano, Deruta, Marsciano, Torgiano, Umbertide), che hanno lavorato in parallelo per costruire per l’intera area urbana afferente a Perugia un’immagine di qualità di un territorio omogeneo che conserva intatto gran parte del suo patrimonio paesaggistico e ambientale; C) costruire un quadro omogeneo e sistematico nel quale inserire altri strumenti di pianificazione (quali ad 48 esempio: PRG, PRUSST, Piano Sociale di Zona, Piano del Commercio del Centro storico, Progetto integrato del Centro storico, Agenda 21), che Perugia e i comuni limitrofi avevano approvato o avevano allo studio. Nel caso del piano strategico di Roma le motivazioni specifiche che hanno portato alla decisione di avviare lo studio del piano strategico, peraltro mai completato, vanno ricercate nella volontà dell’ente locale di costruire una strategia per l'innovazione a scala territoriale, accompagnata da un’azione di marketing territoriale, volta all’attrazione selettiva delle imprese, d’intesa e in sinergia con gli uffici del piano regolatore. In particolare l’oggetto della strategia di innovazione pone in risalto le grandi imprese e le istituzioni internazionali. Un’altra motivazione specifica nel caso di Roma è stata la prospettiva della costituzione della “città metropolitana” che poteva portare a distinguere tra le competenze gestionali, svolte direttamente dai comuni all’interno della programmazione di livello metropolitano, e quelle autorizzative e regolative affidate ad una Autorità dei beni culturali, ambientali e archeologici, che avrebbe unificato le competenze delle Sovrintendenze, con una integrazione dei poteri di intervento. Nel caso di Cuneo (Cuneo 2020: Piano strategico di Cuneo e del suo territorio), l’amministrazione comunale è pervenuta alla decisone di avviare lo studio del piano strategico perché voleva assumere un ruolo attivo nello sviluppo economico e sociale della città e del territorio di sua influenza. Per questa ragione lo studio del piano strategico è stato indirizzato su una scala sovra comunale, tale da comprendere i comuni limitrofi e le vallate circostanti. Questa impostazione è stata facilitata dal contesto nel quale è sorto il piano strategico. Infatti lo studio del piano è stato avviato mentre era in atto un generale rinnovamento di molti strumenti di pianificazione locale. Ad esempio il progetto preliminare del nuovo PRG di Cuneo è del gennaio 2002 mentre il progetto preliminare del piano territoriale della Provincia di Cuneo è del settembre 2003. Per il Comune di La Spezia la ragione principale per avviare il piano strategico va ricercata nella volontà dell’ente locale di usare la pianificazione per partecipare in maniera pro-attiva ai processi di riorganizzazione del settore della Difesa nell’area portuale, cercando di mantenere la presenza della base navale, rafforzando e riqualificando il ruolo industriale dell’Arsenale e delle realtà collegate. Il settore della difesa costituisce da sempre per la città di La Spezia un punto di riferimento: è una vocazione storica, una sedimentazione culturale dell’area, un complesso di tecnologie e competenze, un rilevante polo occupazionale, un vasto insediamento territoriale e un consistente patrimonio di risorse urbane. Per quanto riguarda Pesaro, lo scenario in cui si è deciso l’avvio del piano è quello di una città capoluogo di un importante distretto produttivo, che vuole farsi carico delle trasformazioni che riguardano territori più estesi e che intende connotarsi come nodo di 49 reti locali, nazionali ed internazionali. In tale scenario, la decisione di preparare un piano strategico è stata presa per rafforzare le esternalità positive che incidono sui fattori di sviluppo del sistema delle imprese locali. Inoltre al piano è stato attribuito il compito di favorire l’attrazione sul territorio pesarese di nuove imprese, sia di tipo tradizionale sia di tipo innovativo. Infine, dal punto di vista urbanistico Pesaro intende utilizzare il piano strategico per dare una risposta ai problemi posti dalla crescita demografica tipica di alcune aree periferiche del capoluogo (Montecchio, Villa Ceccolini, Villa Fastiggi) e dei comuni limitrofi, e ai problemi sollevati dalle industrie insediate lungo la Montelabbatese, che chiedono nuove aree per potersi espandere. Nel caso di Piacenza, la decisione di avviare la preparazione del piano strategico è stata presa congiuntamente da comune e provincia perché entrambi ritenevano insufficiente lo sviluppo imprenditoriale del sistema locale piacentino, caratterizzato da bassa competitività e innovazione. Inoltre i due enti locali intendevano disporre di uno strumento di pianificazione integrata qual è il piano strategico per contrastare il calo demografico naturale e l’invecchiamento della popolazione residente. Il Comune di Varese ha intrapreso il processo di pianificazione strategica per rafforzare il ruolo di Varese come “cuore dell’area varesina”. In particolare l’ente locale intendeva sostenere le due vocazioni economiche dell’area: da un lato, nella fascia settentrionale, la vocazione turistica e commerciale che deriva dalla sua localizzazione a ridosso della frontiera svizzera e, dall’altro lato, nella parte centro-meridionale, la rete di piccole e medie imprese specializzate in diversi settori dell’industria leggera. Il piano di Vercelli, come quello di Cuneo, nasce come “project work” degli allievi del Master in Sviluppo Locale dell’Università del Piemonte Orientale. Gli studi svolti per il piano strategico hanno evidenziato una carenza di nuova imprenditorialità locale, da cui deriva il rischio di attrazione indiscriminata d’investimenti esteri che sfruttano il territorio senza radicamento. La motivazione economica del piano consiste nella volontà dell’ente locale di contrastare tale pericolo mediante la definizione di un quadro di coerenze economiche e sociali che possa aiutare a indirizzare gli investimenti locali e quelli provenienti dall’esterno dell’area. Per Verona, la scelta di dare avvio a un processo di pianificazione strategica ha come motivazione di fondo la volontà dell’amministrazione comunale di valorizzare i settori di eccellenza della città attraverso uno strumento che miri al rafforzamento sia delle relazioni interne tra i soggetti decisori della città, sia delle comunicazioni esterne e delle reti di relazioni su scala territoriale ampia. Dal punto di vista economico, una spinta alla definizione di linee di azione strategica condivise è venuta dalla consapevolezza del ruolo geografico che Verona ha sempre avuto: punto di cerniera tra regioni diverse e importante 50 nodo di traffico verso il Nord Europa. Questa vocazione tradizionale è oggi accentuata dalle politiche infrastrutturali europee, ma al tempo stesso è contrastata dalla formazione di nuovi poli di attrazione aperti ai nuovi mercati dell’Europa allargata e dell’Estremo Oriente (ad esempio il sistema metropolitano Padova-Venezia-Treviso). A differenza di altri casi, a Trento l’idea di avviare un piano strategico non sorge come risposta a una situazione di crisi industriale o di declino demografico o di emergenza ambientale, quanto dalla presa di coscienza della conclusione di un ciclo storico, quello di una città dipendente da un modello di sviluppo centrato sulla spesa pubblica. Il piano strategico è stato visto inizialmente come uno strumento adatto a fare comprendere, prima all’interno poi all’esterno del territorio in questione, le potenzialità economiche inespresse dell’area, ad esempio quelle esistenti sul versante dell’attività turistico-convegnistica e fieristica di nicchia. Come nel caso del rapporto tra Perugia e l’Umbria, anche nel caso della città di Trento è stata affidata al piano strategico la funzione di rafforzare le funzioni della città in relazione al suo ruolo di capoluogo regionale del Trentino. Nei due casi di piani strategici promossi da comuni non capoluogo di provincia si ritrovano in parte alcune delle motivazioni già esposte nei casi precedenti, in particolare la necessità per l’ente locale di farsi promotore di nuovo sviluppo economico e sociale. Si notano però anche motivazioni specifiche e particolari. Per Sesto San Giovanni (Milano) la motivazione che ha gradualmente indirizzato l’ente locale verso la pianificazione strategica è stata la massiccia presenza di industrie dismesse in un contesto localizzativo periferico di una grande area metropolitana. Ciò che caratterizza l’area urbana del “Nord Milano” è l’azione pro-attiva messa in atto dagli enti locali per governare una transizione economica e sociale tanto difficile quanto preannunciata nei decenni scorsi da molti segnali di cedimento dell’industria pesante sulla quale si era basata storicamente la crescita economica dell’area. Il ricorso alla pianificazione strategica è stato motivato dalla ricerca di una via d’uscita da una crisi industriale che aveva dimensioni tali da minare seriamente lo stesso futuro della comunità locale. Con l’avvio del piano strategico le quattro amministrazioni comunali direttamente coinvolte hanno volontariamente attribuito al loro ruolo istituzionale la funzione di “imprenditori dello sviluppo locale”, ed hanno avviato una intensa attività di cooperazione interistituzionale e di concertazione. Il caso di Copparo (Ferrara) è particolare in quanto si tratta di un piano strategico promosso da una associazione di sei comuni per i quali la motivazione specifica per l’avvio del piano strategico è stata duplice. Da un lato vi era la necessità di adottare un approccio integrato e sovracomunale per garantire nel tempo l’erogazione di servizi pubblici di qualità in un quadro di finanza locale sempre più penalizzante, in particolare per i comuni più 51 piccoli. Dall’altro lato, la spinta verso il piano strategico è stata la volontà di contrastare il declino della popolazione che ha colpito nei decenni scorsi tutta l’area dell’Associazione dei Comuni del Copparese. Infine, vi era l’idea di rafforzare i legami interistituzionali tra i comuni partecipanti fino alla loro eventuale ricomposizione in comune unico come quello che li raggruppava fino al 1909. Quelle fin qui esposte sono le motivazioni specifiche più importanti delle città esaminate. Vi sono altre motivazioni aggiuntive rispetto a quelle sopra indicate che possono essere spiegate nei dettagli solo facendo riferimento allo sviluppo urbanistico, sociale ed economico di ogni luogo, ma che nella sostanza sono la declinazione locale di ragioni ricorrenti. Dato che ogni piano strategico è in buona misura una storia a sé, è importante disporre di un esame attento del complesso delle ragioni che lo hanno fatto sorgere. Questo compito è stato svolto dall’indagine ed è presentato nel CD che include i risultati dell’analisi sul terreno di ognuno dei 16 piani strategici su cui si è focalizzata la ricerca. 2.4 Le modalità di approvazione dei piani strategici Il piano strategico urbano è un atto volontario dell’ente locale. Si è visto, nel paragrafo precedente, che le motivazioni che hanno giustificato l’avvio del piano strategico hanno avuto dei tratti in comune e diversi elementi specifici ad ognuno dei singoli casi esaminati. In un contesto di pianificazione integrata volontaria, di tipo misto (pubblico e privato) e spesso di area vasta, anche la fase della “approvazione del piano” presenta caratteristiche variegate sulle quali è necessario soffermarsi. Dall’analisi della documentazione originale su cui è basata la presente indagine emerge la possibilità di effettuare distinzioni e similitudini tra i piani strategici in base al fatto di essere stati o meno approvati dagli enti locali e dagli altri soggetti che li hanno promossi. La maggior parte dei piani analizzati risulta avere ricevuto una qualche forma di approvazione, per cui è stato possibile indicare, nei casi in cui si è arrivati a questa fase, anche le diverse modalità con le quali i piani strategici oggetto dell’indagine sono stati approvati. La panoramica sullo stato di avanzamento del processo di pianificazione strategica nelle 16 città considerate, ci mostra che le città che hanno portato a termine il processo di costruzione del piano sono 13 su 16. 52 Tabella 2.4.1 Quadro del processo di pianificazione strategica in 16 città italiane e stato di approvazione dei rispettivi piani Principale soggetto promotore Titolo piano Associazione dei Comuni del Copparese, Copparo (FE) Comune di Cuneo Piano strategico 1909 -2009 Cuneo 2020 Comune di Firenze Piano strategico dell’area metropolitana fiorentina Piano della Città di Genova Verso una nuova città Dicembre 2000 Piano in costruzione Dicembre 2002 Maggio 1999 Gennaio 2002 Settembre 1999 Perugia Europa 2003 -2013 2015 Pesaro futuro con vista Piano strategico per Piacenza Piano strategico di Roma Piano strategico per lo sviluppo del Nord Milano Torino Internazionale Trento città delle opportunità Varese Europea Dicembre 2002 Ottobre 2001 e processo riavviato nel Novembre 2003 Aprile 2004 Luglio 2001 Luglio 2002 Ottobre 2000 Gennaio 2002 Marzo 1998 Piano interrotto Febbraio 1999 Marzo 2001 Maggio 1998 Febbraio 2000 Luglio 2000 Ottobre 2003 Autunno 1999 Gennaio 2003 e processo riavviato Dicembre 2003 e Ottobre 2004 Piano interrotto Febbraio 2004 Comune di Genova Comune di La Spezia Comune di Perugia Comune di Pesaro Comune di Piacenza Comune di Roma Agenzia Sviluppo Nord Milano, Sesto San Giovanni (MI) Comune di Torino Comune di Trento Comune di Varese Comune di Venezia Comune di Vercelli Comune di Verona Venezia città metropolitana Vercelli 2020 Verona: futuro prossimo Inizio processo Novembre 2002 Settembre 2003 Maggio 2000 Luglio 2003 Marzo 2003 Data di approvazione del prodotto “piano strategico” Marzo 2004 Fonte: documenti di piano forniti dagli enti locali, ottobre 2004 Si tratta di 6 città capoluogo di regione (Firenze, Genova, Perugia, Torino, Trento, Venezia), di 5 città capoluogo di provincia (La Spezia, Pesaro, Piacenza, Varese, Verona) e di 2 comuni, Copparo e Sesto San Giovanni. Le città di Cuneo e Vercelli, anch’esse capoluoghi di provincia, hanno avviato il processo di costruzione del piano strategico rispettivamente nel settembre 2003 e nel luglio 2003. La documentazione raccolta nel corso dell’indagine e i rilievi sul campo hanno indicato che i piani erano in una fase di preparazione quando si sono verificate le elezioni amministrative 53 del giugno 2004 che hanno probabilmente rallentato (a Cuneo) o interrotto (a Vercelli) il processo avviato in precedenza. Nel caso di Vercelli, in cui il comune è attualmente guidato da una maggioranza diversa da quella in vigore fino al giugno 2004, si è osservato che la documentazione inerente il processo di preparazione del piano strategico non è più presente nel sito ufficiale del comune. Ciò sembrerebbe indicare che la nuova amministrazione intende dare un segno di discontinuità che potrà risultare nell’abbandono del percorso già svolto o eventualmente nell’impostazione di un nuovo tipo di piano strategico. Il processo di costruzione del piano strategico di Roma, come esposto nella scheda di analisi dettagliata inclusa nell’allegato CD, è stato avviato nel marzo 1998 e si è interrotto per una ragione abbastanza simile a quanto è successo recentemente nei casi di Cuneo e Vercelli. A Roma l’interruzione si è verificata nel 2001, poco dopo l’anticipata conclusione del mandato politico-amministrativo dell’allora Sindaco Rutelli, dopodiché i nuovi Amministratori non hanno più ripreso il processo di pianificazione strategica. Da questa panoramica emerge che in uno dei 16 casi oggetto dell’indagine (Cuneo) il processo di preparazione del piano strategico risulta ancora in corso. In altri 2 casi (Roma e Vercelli), la preparazione del piano è stata avviata ma di fatto si è poi interrotta. Di conseguenza, le restanti distinzioni inerenti le modalità di approvazione si devono applicare in 13 dei 16 casi esaminati, cioè alle seguenti città: Copparo, Firenze, Genova, La Spezia, Perugia, Pesaro, Piacenza, Sesto San Giovanni, Torino, Trento, Varese, Venezia, Verona. L’elemento che accomuna le 13 città in questione è di tipo qualitativo: tutte, sebbene con tempi e modalità diverse, hanno predisposto un piano strategico. Ciò che le distingue è la metodologia utilizzata per giungere al termine del percorso di pianificazione strategica. Infatti, in tutte le 13 città esiste un piano strategico, ma non in tutti i casi si può parlare di una formale approvazione del piano stesso. Dall’esame della documentazione originale dei 13 piani strategici è possibile distinguere 3 modalità di approvazione degli stessi: 1. casi in cui il piano è stato approvato dal Consiglio comunale del comune maggiore che lo ha promosso (e in alcuni casi anche dai Consigli dei comuni minori che hanno aderito al processo) e sottoscritto dai soggetti partecipanti al processo di pianificazione; 2. casi in cui il piano è stato approvato dal Consiglio comunale del comune maggiore, senza una sottoscrizione formale da parte dei soggetti privati partecipanti al processo; 3. casi in cui il piano è stato sottoscritto dai soggetti promotori senza una approvazione formale da parte dei Consigli comunali interessati. 54 Dall’esame dei 13 casi in cui si è pervenuti al termine della preparazione di un piano strategico, emerge che in 8 città si sono riscontrate le prime due modalità di approvazione: il piano strategico è stato approvato in modo formale da parte degli enti locali, cioè con una votazione da parte dei Consigli comunali interessati. In dettaglio la situazione osservata è la seguente: • città in cui il piano è stato approvato dall’ente locale e sottoscritto da tutti i soggetti coinvolti nella sua preparazione: • - Torino, febbraio 2000; - Firenze, dicembre 2002; - Trento, ottobre 2003; - Perugia, aprile 2004; - Venezia, ottobre 2004; - Piacenza, gennaio 2002. città in cui il piano è stato approvato dall’ente locale, con una approvazione informale da parte degli altri soggetti coinvolti nella sua preparazione: - Pesaro: il piano è approvato dal Consiglio comunale nel luglio 2001, ma senza alcuna sottoscrizione formale da parte degli altri soggetti partecipanti al processo; - Copparo: il piano è approvato in seduta congiunta dei Consigli comunali di tutti i comuni partecipanti nel marzo 2004. Il piano è approvato in modo informale dai soggetti privati nel corso di alcune riunioni generali del Forum del piano. In alcuni casi, l’approvazione formale di un piano strategico ha richiesto spesso un impegno prolungato nel tempo da parte del soggetto pubblico promotore, come nel caso esemplare del piano strategico del Comune di Venezia, in cui il processo di approvazione del piano ha impegnato l’amministrazione comunale per quasi due anni. La terza modalità di approvazione consiste in una sottoscrizione da parte dei soggetti partecipanti al processo di pianificazione, senza una precedente o contestuale approvazione esplicita (votazione) da parte dei Consigli comunali interessati. Con la sottoscrizione, comunque, i soggetti pubblici e privati coinvolti nel processo hanno manifestato in forma pubblica l’approvazione del piano strategico ed hanno indicato questo strumento come idoneo a rappresentare gli indirizzi di sviluppo per il loro futuro. Le città che hanno approvato il piano con il metodo della sottoscrizione sopra ricordata sono state le seguenti: • Verona, in cui il piano è stato sottoscritto dal comune nel febbraio 2004; 55 • Nord Milano, sottoscritto dai sindaci dei comuni partecipanti (Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Bresso) nel marzo 2001. In questi casi la sottoscrizione del documento è avvenuta a seguito di una o più presentazioni in Consiglio comunale svolte nel corso del processo di preparazione del piano stesso. Nel dibattito che ne è scaturito è stata ritenuta superflua una votazione, in quanto il piano strategico era inteso come una specificazione del programma di mandato già a suo tempo approvato. In questi casi il sindaco ha ricevuto un mandato politico a sottoscrivere il piano strategico, per gli impegni di competenza dell’ente locale, nel corso dello stesso processo di preparazione del piano e non in una singola seduta del Consiglio comunale. L’approvazione dei piani di La Spezia e Varese deve essere considerata a parte, per la complessità dei rispettivi casi. In ambedue le città si è effettivamente giunti alla presentazione pubblica e alla sottoscrizione di un documento finale (intitolato rispettivamente Visioni del futuro. Linee strategiche e progetti per la città e Piano strategico rapporto intermedio), ma subito dopo si è riaperto un nuovo iter processuale necessario a giungere ad un prodotto definitivo che di fatto non sembra ancora completato. Per quanto riguarda La Spezia, il documento Visioni del futuro. Linee strategiche e progetti per la città, è stato presentato alla città nell’ottobre del 2001, senza che avvenisse una formale chiusura del piano. Infatti, nel novembre del 2003 con l’entrata in scena della Provincia di La Spezia, è nuovamente iniziata la riflessione e l’approfondimento tecnico, con una serie di iniziative volte ad allargare la partecipazione sulle tematiche già individuate nel documento dell’ottobre 2001. Da notare che il Comune di La Spezia, per quanto di sua competenza, ha dato attuazione ad alcune delle azioni individuate già a partire dal 2001. Nel caso di Varese, il documento Piano strategico rapporto intermedio del gennaio 2003 è approvato dall’associazione “Varese Europea” con il concorso di tutte le componenti della stessa associazione. Si deve tuttavia aggiungere che “Varese Europea” ha di nuovo ripreso a studiare e coinvolgere gli attori dell’area per il conseguimento di obiettivi di medio e lungo periodo, per la redazione di una pubblicazione con l’esposizione dell’attività svolta e l’attivazione di un processo di cooperazione fra i principali attori locali. In sostanza, sono ripresi i lavori per portare a termine il piano strategico. Tale ripresa di attività sembra essere stata motivata dalla necessità di allargare la rappresentatività di “Varese Europea”, il soggetto promotore del piano, nel quale fin dall’inizio erano assenti importanti soggetti di rappresentanza collettiva delle forze economiche e sociali del territorio varesino. Da ultimo, per quel che riguarda il caso di Genova, dall’analisi della documentazione emerge che il processo è iniziato con una sorta di “Forum dello Sviluppo” attraverso cui è 56 stato possibile attivare contatti con i principali soggetti pubblici e privati del territorio di riferimento e avviare un processo di partecipazione e di condivisione di metodi e obiettivi. Il processo, per le ragioni esposte, ha poi seguito un suo percorso particolare e probabilmente in luogo di approvazione o sottoscrizione si potrebbe parlare di “presa d’atto” o “adozione informale”. Nel corso del processo di preparazione del piano, l’attenzione del Comune di Genova e degli altri soggetti coinvolti si è rivolta prevalentemente verso la preparazione del summit del G8 nel 2001, e verso il ruolo di Genova “Capitale della cultura europea 2004”. Si consideri che solo il G8 è stato in grado di attrarre finanziamenti (in massima parte pubblici) coerenti con le finalità del piano per circa 200 milioni di euro. 2.5 Attori e rispettivi ruoli Dall’analisi dei 16 casi di piani strategici emerge in modo netto che il ruolo di principale soggetto promotore è stato svolto dall’ente locale. Ad esempio, nel caso delle città capoluogo di regione (Roma, Torino, Firenze, Genova, Perugia, Trento, Venezia), il ruolo di avvio del piano è stato svolto dal comune maggiore, che ha sempre coinvolto nel dibattito i comuni confinanti (ad eccezione del caso di Roma, data la grande estensione territoriale di questa municipalità), sino a giungere, come nei casi di Torino, Firenze, Perugia, al punto da rendere diversi enti locali parte attiva del piano, come dimostra l’approvazione formale e la sottoscrizione del piano anche da parte dei Consigli comunali dei comuni confinanti con il comune maggiore. Altri ruoli chiave sono stati svolti dall’ente provinciale e, in pochi casi, dall’ente regionale. Ugualmente importante è stato il coinvolgimento delle Camere di Commercio e delle principali associazioni di rappresentanza delle imprese industriali. In generale gli attori che hanno promosso il processo di pianificazione sono suddivisibili nelle seguenti tre categorie: soggetti pubblici; soggetti privati; soggetti del Terzo Settore. Vediamo ora caso per caso quali sono stati i principali attori e i rispettivi ruoli, per poi trarre delle considerazioni generali dalle osservazioni sul campo. Roma a) gli attori Il Comune di Roma, con i suoi vari organi e qualche altra istituzione pubblica. Interessante il riferimento alla società comunale “Risorse per Roma” che funge in qualche modo da agenzia. b) i ruoli Nella fase iniziale, salvo la costituzione di un Comitato di consulenza, si utilizzano le strutture esistenti del Comune di Roma. 57 Torino a) gli attori Il piano di Torino è stato promosso dal Forum dello Sviluppo, un organismo che raccoglieva i rappresentanti delle principali istituzioni pubbliche e private dell’area. Il Forum ha preparato il piano presentandolo come un’occasione di pianificazione integrata per tutta l'area metropolitana torinese (cioè un territorio più grande di quello comunale), d'intesa tra pubblico e privato e con gli altri soggetti pubblici interessati. L'intesa è stata ricercata fin dall'inizio sulle finalità, il metodo e anche i modi per attuare e finanziare la preparazione del piano. b) i ruoli Per conto del “Forum dello Sviluppo” il comune ha dato l'incarico di gestione operativa del progetto a “Turismo Torino”, l’agenzia per la promozione del turismo, e a ITP, l'agenzia per la promozione degli investimenti a Torino e in Piemonte. Sul terreno dei contenuti, sono stati formati 2 organismi: - un Comitato Scientifico internazionale4; - un Comitato di Coordinamento5. A servizio dei 2 gruppi è stata costituita una segreteria operativa. La fase di partecipazione è stata organizzata in Gruppi di lavoro (9 Gruppi nella prima fase e 6 nella seconda) presieduti da altrettante personalità cittadine. Firenze a) gli attori Il piano strategico di Firenze è stato promosso dal Comune di Firenze attraverso lo strumento di un Comitato Promotore che ha svolto funzioni di Forum dello Sviluppo in rappresentanza dei principali interessi pubblici e privati dell’area. Il piano è stato inteso come piano per l’area metropolitana fiorentina, comprendente 9 comuni in tutto. L’intesa tra i soggetti pubblici e privati ha caratterizzato fin dall’inizio il processo di pianificazione nel senso della partecipazione e condivisione. Il Comitato Promotore del piano ha affidato i compiti operativi ad un Comitato Scientifico. b) i ruoli La definizione del piano strategico di Firenze è iniziata nel dicembre del 2000 con la costituzione da parte del Sindaco Leonardo Domenici di un Comitato Promotore di cui fanno parte il Comune di Firenze, l’Associazione degli Industriali, la Camera di Commercio, la Confcommercio, la Confesercenti, CNA, Cgil, Cisl, Uil e l’Università di Firenze. La composizione del Comitato Scientifico è riportata nella presentazione del piano strategico di Torino nel CD allegato. La composizione del Comitato di Coordinamento è riportata nella presentazione del piano strategico di Torino nel CD allegato. 4 5 58 Le strutture di preparazione del piano sono state le seguenti: - Ufficio del piano, composto da 6 persone; - Segreteria organizzativa dei gruppi di lavoro; - Comitato Promotore, presieduto dal Sindaco del Comune di Firenze, di cui fanno parte 9 rappresentanti di Associazione degli Industriali, Camera di Commercio, Confcommercio, Confesercenti, CNA, Cgil, Cisl, Uil, Università di Firenze; - Comitato Scientifico6; - Comitato di Coordinamento7. Nella fase di partecipazione sono stati organizzati 18 Gruppi di progetto presieduti da altrettanti personaggi di rilievo per la città. Le strutture di attuazione del piano sono le seguenti: - Ufficio del piano strategico dell’Area Fiorentina, composto da 9 persone; - “Firenze 2010. Associazione per il piano strategico dell’Area Metropolitana Fiorentina”, presieduta dal Sindaco di Firenze Leonardo Domenici. I soci sono 26 soggetti rappresentanti i principali interessi pubblici e privati dell’area metropolitana fiorentina. Genova a) gli attori Oltre al comune, gli attori formalmente coinvolti nel piano sono: le organizzazioni di categoria, i sindacati, l’università, oltre a organismi rappresentativi del volontariato, del Terzo Settore e di associazioni culturali. Non sono coinvolti nel piano i comuni contermini dato il riferimento strettamente comunale. La particolare natura della città di Genova e le caratteristiche della sua base economica e sociale portano tuttavia a sviluppare programmi e progetti di natura non strettamente localistica, che spesso coinvolgono attori esterni. Questo vale, ad esempio, per alcuni progetti di natura europea. b) i ruoli Il ruolo propulsivo più importante è svolto dal sindaco, che coinvolge ovviamente i vari assessorati comunali e in particolare quello all’Urbanistica. Come si è precedentemente osservato, non è che gli altri attori pubblici e privati non svolgano un ruolo importante, ma le loro azioni sono riconducibili più al G8 e soprattutto a “Genova 2004”, il programma di rinnovamento messo in atto in occasione della nomina a “Capitale Europea della Cultura”, che al piano strategico vero e proprio. La composizione del Comitato Scientifico è riportata nella presentazione del piano di Firenze nel CD allegato. Il Comitato di Coordinamento, derivato dal Comitato Promotore, era presieduto dal Sindaco del Comune di Firenze Leonardo Domenici, e complessivamente era composto di 23 membri in rappresentanza del pubblico e del privato. 6 7 59 Venezia a) gli attori Il principale attore coinvolto in questo processo di pianificazione strategica è senz’altro il Comune di Venezia. Infatti, il responsabile del piano strategico è Roberto d’Agostino, Assessore alla Pianificazione strategica del Comune di Venezia. b) i ruoli L’Ufficio del piano è costituito da personale in organico al Comune di Venezia e da collaboratori esterni (8 persone in tutto, inclusi l’assessore e il responsabile del gruppo di lavoro) ed è supportato da una sezione appositamente costituita del Consorzio per la ricerca e la formazione (Coses), una struttura partecipata per il 50% dallo stesso Comune di Venezia e per il 50% dalla Provincia di Venezia (6 persone in tutto, compreso il direttore del Coses). L’Ufficio era inizialmente alle dirette dipendenze della Direzione Generale del Comune di Venezia e poi è passato sotto la Direzione centrale sviluppo del territorio e mobilità, pianificazione d’area. Il Gruppo di lavoro dell’Ufficio del piano è composto da dipendenti in organico del Comune di Venezia, dipendenti a contratto e un ricercatore per il progetto Interact; il Coses, che costituisce parte integrante dell’Ufficio del piano, ha messo a disposizione il suo personale. L’Ufficio del piano ha usufruito, secondo necessità e in ragione di accordi informali, di contributi scientifici provenienti dalla disponibilità di partecipazione di istituti di ricerca dell’area veneziana, quali: Fondazione E. Mattei, Fondazione Venezia 2000, Fondazione Nord-Est, Università di Venezia, in particolare del Dipartimento di pianificazione dello IUAV per l’interesse dei docenti, e per la partecipazione al Progetto Europeo Interact cui partecipa anche il Comune di Venezia. Questa struttura organizzata in Comitato Tecnico Scientifico ha avuto il compito di avviare e gestire il processo attuativo del piano, di elaborare la diagnosi del territorio, e di promuovere lo sviluppo degli accordi tematici e settoriali. Perugia a) gli attori Il piano strategico Perugia Europa 2003-2013, Piano strategico Perugia, Bastia, Corciano, Deruta, Marsciano, Torgiano, Umbertide è stato promosso dal Comune di Perugia d'intesa con gli altri comuni aderenti e con gli altri soggetti pubblici e privati interessati. Il promotore di questo processo è stato l’Assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata Giovanni Moriconi che, a partire dalle fasi preliminari fino all’avvio formale del processo, ha utilizzato la partecipazione e la condivisione come prioritari metodi di lavoro, trattandosi di un piano che è stato ideato fin dai primi passi insieme ai 6 comuni limitrofi. 60 Il Consiglio comunale ha deliberato di dare avvio al processo di formazione del piano strategico nel novembre del 2002. Gli organismi del piano previsti sono: Forum dello Sviluppo, composto dai principali rappresentanti degli interessi pubblici e privati del territorio e presieduto dal Sindaco di Perugia che ha il primario compito di commissionare il piano strategico (32 membri). Comitato interistituzionale permanente, coordinato dal Sindaco di Perugia e composto dai rappresentanti della Provincia di Perugia, della Regione Umbria e dai sindaci dei comuni aderenti al Forum dello Sviluppo. Esso ha il compito di preparare i lavori e curare le relazioni con i membri del Forum. Direttore del piano, nella persona del Direttore generale del Comune di Perugia, responsabile del procedimento del progetto di preparazione del piano affiancato da un vice-direttore del piano, nella persona del vice segretario comunale del Comune di Perugia. Coordinatore istituzionale, nella persona dell’Assessore all’Urbanistica del Comune di Perugia, con funzioni di raccordo fra il Forum e i presidenti dei Gruppi di lavoro. Comitato Tecnico Scientifico, coordinato da un esperto di pianificazione strategica, e composto da altri 6 esperti in varie discipline8. Il Comitato Tecnico Scientifico ha promosso la costituzione di una Commissione diagnostica9 per le prime analisi dell’area. Gruppi di lavoro, costituiti dai rappresentanti delle principali forze pubbliche e private dell’area oggetto del piano. I Gruppi di lavoro sono stati 7 e hanno lavorato alla elaborazione dell’analisi diagnostica e alla definizione delle linee direttrici del piano. Segreteria del piano, costituita da 4 persone tutte del Comune di Perugia. b) i ruoli Da un punto di vista formale il Comune di Perugia, quale ente promotore del piano, è senz’altro la guida principale di Perugia Europa 2003-2013. Un ruolo importante lo ha rivestito anche il Sindaco di Perugia Renato Locchi, non solo per il suo ruolo istituzionale ma anche per la sua autorevolezza nella comunità locale. Ciò ha garantito un buon livello di partecipazione da parte dei soggetti importanti dell’area e una continuità al lavoro complessivo. Il sindaco coordina il Comitato interistituzionale permanente, composto dai rappresentanti della Provincia di Perugia, della Regione Umbria La composizione del Comitato Tecnico Scientifico è riportata nella presentazione del piano di Perugia nel CD. Nel corso dei lavori il Comitato è stato integrato da esponenti tecnici di: Regione Umbria, Provincia di Perugia, Cciaa Perugia, Ance Umbria in rappresentanza dell’Associazione Industriali. 9 La Commissione è costituita dal coordinatore del piano, dai 2 responsabili delle analisi economiche e sociologiche, dagli assistenti e dalla segreteria del piano. 8 61 e dai sindaci dei comuni aderenti al piano strategico. Inoltre il sindaco presiede il Forum dello Sviluppo che è costituito da 32 soggetti pubblici e privati tra i più importanti del territorio. Un piano strategico si può definire di tipo partecipato e condiviso se il ruolo dei privati è parte integrante sia del processo che del prodotto. Tale ruolo risulta essere indispensabile nella fase propositiva, vale a dire nel corso della predisposizione delle azioni per la realizzazione degli obiettivi indicati nelle linee strategiche. Il Comune di Perugia ha costruito, fin dagli anni Cinquanta, una solida esperienza nel campo della partecipazione pubblico-privato che spazia dalla gestione dei servizi di nettezza urbana, mobilità (da ultima, la costituita Minimetrò SpA) ed energia, fino al settore delle reti informatiche, digitali e wireless. Per l’esperienza acquisita è risultato abbastanza agevole applicare la metodologia della partecipazione e della condivisione anche allo studio del piano strategico. Trento a) gli attori Il piano strategico di Trento è stato promosso dal Comune di Trento d’intesa con la Provincia Autonoma di Trento e i soggetti rappresentativi di interessi pubblici. Hanno espresso formale consenso per la preparazione del Piano strategico della città di Trento 2001-2010, aderendo al Contratto di Partenariato del 13 dicembre 2000, i principali soggetti rappresentativi di interessi pubblici e privati diffusi nella città di Trento e nel suo territorio di riferimento. b) i ruoli Sinteticamente, si possono così ripartire i soggetti che hanno partecipato e condiviso il percorso del piano strategico della Città di Trento: • attivatore del processo: Comune di Trento; • firmatari del Patto per lo Sviluppo: istituzioni trentine (stakeholder della città); • agevolatori del processo e fornitori della metodologia di analisi: équipe dell’Università di Trento; • fornitori dei contenuti dell’analisi e delle ipotesi di città: gruppi di lavoro formati da diversi attori della città che hanno accettato il primo coinvolgimento; • sistemazione del lavoro dei gruppi al fine della validazione delle ipotesi di lavoro e prima individuazione delle linee strategiche: équipe di lavoro mista tra Comune di Trento ed università; • validazione delle linee strategiche: Comune di Trento e gruppi di lavoro; • raccolta e gestione dei contributi afferenti alle linee strategiche individuate in una logica di cooperazione allo sviluppo del piano strategico: un referente forte del 62 Comune di Trento o della società civile, in qualità di manager politico del piano strategico; questa figura si avvale dell’équipe dell’università in ottica metodologica e si pone come agevolatore del processo di sistemazione dei progetti nella fase di implementazione del piano. L’interlocutore scientifico, cui è stata affidata l’impostazione metodologica e l’accompagnamento del processo di piano, è la Facoltà di Economia dell’Università di Trento nei suoi 2 referenti: Enrico Zaninotto e Dario Cavenago. Sono state, altresì, designate 3 borse di studio sul tema della pianificazione strategica. Il Gruppo di indirizzo è costituito da Clara Campestrini (Dirigente Servizio Sviluppo economico, Comune di Trento), Marilena Zandonai (Responsabile Ufficio marketing urbano), Giorgio Antoniacomi (Dirigente coordinamento piano strategico). I Tavoli di lavoro sui temi del territorio, cultura e servizi, della fase di diagnosi, attraverso i quali è avvenuto il confronto e la regolazione negoziale degli interessi, sono stati rispettivamente presieduti da autorevoli esponenti della società civile, affiancati da 3 esperti dell’Università di Trento. I Presidenti hanno svolto un importante ruolo in qualità di facilitatori dei gruppi di discussione. Il coordinamento degli incontri nel corso della fase progettuale, al fine di costruire il consenso di enti, istituzioni, organizzazioni, aziende, associazioni, cittadini, è stato affidato a Giovanna Collauto. Al fine di garantire uno sviluppo integrato che vede coinvolti sia il settore economico, sia quello urbanistico che quello sociale, è stata creata la struttura “Progetto coordinamento delle politiche per il piano strategico di Trento” nell’ambito del Servizio Sviluppo Economico. Lo scopo di questa struttura era quello di fare superare ai diversi strumenti di pianificazione (urbanistico, sociale, culturale), la loro settorialità e di fare trovare all’ente locale la coerenza di un disegno d’insieme delle politiche di intervento. Cuneo a) gli attori Il primo fra gli attori che hanno contribuito all’avvio del processo di pianificazione strategica del Comune di Cuneo è la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che ha accolto la richiesta del Comune di Cuneo di sostenere la sua adesione al Master in Sviluppo Locale finanziando, sia nel 2003 che nel 2004, 2 borse di studio e consentendo di avviare la stretta cooperazione fra gli organizzatori del Master e l’amministrazione comunale. Il secondo degli attori è evidentemente il Comune di Cuneo, specificamente il Servizio 63 Ambiente e Mobilità (3 soggetti), che assieme a 2 allievi del corso Master assicurano la prima, necessaria struttura organizzativa al processo di pianificazione strategica. Il terzo degli attori da considerare è l’università, in particolare l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, con i professori Paolo Perulli e Bruno Cattero, e l’Università di Torino, con Luigi Bobbio e Angelo Picchierri. b) i ruoli Per quanto riguarda il caso di Cuneo, è al momento difficile stabilire con una certa esattezza quali siano i ruoli all’interno del piano strategico Cuneo 2020. A circa un anno dall’avvio del percorso di pianificazione, non è stato formalmente organizzato un Forum dello Sviluppo anche se sono stati mobilitati i rappresentanti dei principali interessi pubblici e privati dell’area. Non appare costituito formalmente un Comitato Scientifico e la Segreteria organizzativa sembra ancora piuttosto limitata rispetto alle molteplici attività organizzative che un piano strategico richiede. Il ciclo di 3 seminari dell’aprile 2004 è stato molto utile per definire i riferimenti istituzionali e i problemi che il piano dovrà affrontare. Varese a) gli attori I più importanti attori coinvolti sono il Comune di Varese e l’Associazione “Varese Europea” fondata nel maggio del 2002, senza con ciò tuttavia dimenticare il fatto che l’ipotesi di realizzazione di una pianificazione strategica era inizialmente avanzata dalle associazioni ambientaliste della città e poi fatta propria dall’amministrazione comunale di Varese, come viene fatto notare nella “Cronologia principali avvenimenti dal mese di maggio 1999 al mese di maggio 2002” (fonte: Comune di Varese, Direzione Generale, Ufficio piano strategico). Quest’ultimo è un aspetto che troppe volte viene tralasciato; eppure trattandosi di un processo di pianificazione partecipato, l’interesse della comunità ai propri destini dovrebbe essere considerato elemento portante di tutto il percorso. Ad ogni modo è dal Comune di Varese che viene avviato il processo di pianificazione strategica, il cui primo atto si può far risalire al maggio del 1999 allorquando venne organizzato il convegno “Un laboratorio per Varese. Cultura, ambiente, paesaggio: un piano strategico per Varese ed il suo territorio. Rilevanza Socio Economica”, in cui intervengono, tra l’altro, Francisco Santacana, manager del piano strategico di Barcellona e Ignacio Vidarte, direttore del Guggenheim Museum di Bilbao. b) i ruoli Una volta fondata, l’Associazione “Varese Europea” ha incominciato a svolgere un ruolo importante. Essa raccoglie ora circa 80 membri e in 2 anni di vita è riuscita a costruire il 64 clima necessario per poter avviare consapevolmente un processo di sviluppo partecipato e condiviso. In questo senso, essa costituisce l’aspetto più importante del processo di rilancio territoriale dell’area di Varese. In tutto ciò è bene non dimenticare il ruolo di coordinamento e propulsione svolto dal Comune di Varese anche sotto il profilo finanziario con un contributo iniziale consistente (50 mila euro) a favore delle attività dell’Associazione “Varese Europea”. Il comune ha inoltre garantito i servizi di collegamento, funzionalità e segreteria operativa. Lo statuto dell’Associazione prevede quote d’iscrizione annuali che variano da 50 euro per associazioni culturali, enti morali, ecc., fino a 2.500 euro per i comuni con oltre 10.000 abitanti. La Spezia a) gli attori Per l’elaborazione del piano, l’amministrazione comunale spezzina ha utilizzato le proprie strutture interne, avvalendosi del coordinamento scientifico del Prof. Roberto Camagni, esperto nel settore dell’Economia Urbana e docente presso il Politecnico di Milano. b) i ruoli Il Comune di La Spezia ha istituito e guidato direttamente: 1. il Segretariato di piano, con funzioni organizzative degli eventi che accompagnano il processo (riunioni, attività di comunicazione, manifestazioni, ecc.); 2. la Direzione Generale del piano, con un ruolo di regia e controllo sull’intero percorso di pianificazione, la cui struttura è così articolata: - coordinatore del piano: Pierluigi Fusoni del Comune di La Spezia; - responsabili delle Commissioni di lavoro; - principali dirigenti dell’amministrazione comunale. L’attività dei diversi organi della Direzione Generale è stata supportata, durante l’intero percorso, da esperti di settore e di modelli di pianificazione strategica. Dalla Provincia e dal Comune di La Spezia provengono i soggetti che si sono occupati di seguire i rapporti istituzionali e le comunicazioni esterne. Pesaro a) gli attori Il piano strategico Pesaro 2015. Pesaro futuro con vista è stato avviato nel febbraio 2001 su iniziativa del Comune di Pesaro, che nel luglio del 2001 approva il Protocollo d’intesa per la preparazione del piano strategico della città. Con l’approvazione del Protocollo si è dato avvio al coinvolgimento degli attori sociali nel processo di individuazione delle strategie per il futuro della città e del territorio in una proiezione temporale che arriva al 2015. 65 b) i ruoli L’implementazione e la regia del piano sono stati curati dal Comune di Pesaro senza la costituzione di uno specifico Comitato Tecnico Scientifico, ma attraverso il supporto di consulenti esterni10. L’analisi diagnostica è stata condotta dapprima dai Gruppi di lavoro con la collaborazione dei consulenti esterni che hanno operato specificamente sui punti di loro maggiore interesse, e successivamente integrata con la documentazione di contorno fornita dall’Urban Center. Dai Tavoli di lavoro sono emersi i punti di forza e di debolezza della realtà locale. Il processo di costruzione del piano, nei suoi caratteri generali, fa riferimento: • alla volontà di connotare la vocazione della città e del territorio in termini di qualità e innovazione; • alla volontà di agire sulle peculiarità storiche e culturali, sui caratteri urbani più specifici, sulla identità della città per costruire la visione futura. Vercelli a) gli attori Il principale promotore di questo piano strategico è il Comune di Vercelli. Il processo di pianificazione strategica viene condotto con il supporto tecnico-scientifico e il monitoraggio del Master in Sviluppo Locale dell’Università del Piemonte Orientale, su incarico del Comune di Vercelli. La supervisione scientifica è di Paolo Perulli, Direttore del Master in Sviluppo Locale dell'Università del Piemonte Orientale, che si è avvalso di 2 collaboratori. b) i ruoli Il Comune di Vercelli che ha prima finanziato il Master in Sviluppo Locale promosso dalla Università del Piemonte Orientale, e poi ha avviato il processo di pianificazione strategica facendo affidamento sulle esperienze riportate dagli allievi del corso di Master e affidandosi alla Università del Piemonte Orientale, che dal 2004 sta portando avanti il processo di pianificazione strategica anche a Cuneo. Il ruolo propulsore è dunque del Comune di Vercelli e in particolare del Sindaco Gabriele Bagnasco. Verona a) gli attori Il piano strategico è stato promosso dal Comune di Verona e lanciato il 14 marzo 2003 con una presentazione ufficiale del sindaco alla città. 10 Il Comune ha affidato la direzione scientifica del piano a Paolo Perulli e Maurizio Catino, docenti dell’Università del Piemonte Orientale. 66 Successivamente sono stati identificati 70 stakeholder che sono stati intervistati o hanno presentato contributi scritti in merito ai principali problemi e alle maggiori possibilità che la città avrà nel prossimo futuro. I risultati di questa fase di ascolto sono stati raccolti nel “Documento di Visione”, presentato il 19 giugno 2003 e sono stati sottoposti ad una successiva analisi Delphi diretta, che ha permesso di identificare 4 aree di policy. Da esse, il 3 luglio 2003, sono stati derivati 4 Tavoli, ciascuno coordinato da un esponente della società civile, di riconosciuta autorevolezza e con competenza in materia. I Tavoli hanno complessivamente coinvolto circa 200 attori, rappresentanti di enti pubblici e di interesse pubblico, associazioni di categoria, istituzioni di governo locale, forze sociali, associazioni, fondazioni, servizi pubblici, istituzioni per la formazione e culturali. Contemporaneamente sono state avviate 2 iniziative trasversali che erano state indicate come importanti nella fase di ascolto. La prima è stata il “Laboratorio per le politiche giovanili”, che ha coinvolto, oltre al Comune di Verona, rappresentanti di istituzioni ecclesiali, università, associazionismo culturale e del tempo libero, circoscrizioni, comuni dell’area metropolitana, organizzazioni per la cooperazione e il volontariato, istituzioni scolastiche e per la formazione professionale, organizzazioni sindacali, servizi socio-sanitari dell’ULSS 20 di Verona. La seconda iniziativa è consistita in una “riflessione sulle Reti di Città”, condotta da un gruppo di studiosi. Il lavoro svolto complessivamente ha permesso di stendere un protocollo d’intesa per la preparazione del piano strategico, sottoscritto il 4 settembre 2003 da 26 soggetti promotori del piano, oltre al Comune di Verona. I soggetti aggregati comprendono le principali istituzioni pubbliche dell’area di Verona e i principali soggetti economici, sociali e culturali di tipo pubblico e privato11. Nell’autunno 2003 c’è stato un incontro con i sindaci dei comuni contermini; si sono aggregati 4 comuni limitrofi e nel febbraio 2004 si è arrivati alla firma di un protocollo d’intesa per l’istituzione della Consulta dei Sindaci dei comuni dell’area metropolitana, che comprende 27 comuni. Nel gennaio 2004 si è tenuta la Conferenza di piano strategico in cui il Documento/Programma è stato presentato alla cittadinanza. Il soggetto proponente il piano era il Comune di Verona, che, come si è detto, ha aggregato un gruppo di 26 attori istituzionali e alcuni comuni che gravitano più direttamente su Verona. Non ci sono state forme di partecipazione diretta da parte dei cittadini, o di particolari componenti della società civile ritenuti importanti come, ad esempio, i giovani. L’elenco dei soggetti che hanno aderito al piano strategico di Verona è il seguente: Amministrazione Provinciale di Verona, Aeroporto Valerio Catullo, Apindustria Verona, Associazione Artigiani Riuniti Verona, Associazione Industriali Verona, Azienda Ospedaliera Verona, Camera di Commercio Industria e Artigianato di Verona, Confcommercio Verona, Confcooperativa, Confederazione Italiana Agricoltori-Verona, Confederazione Nazionale Artigianato-Verona, Confesercenti Verona, Consorzio Studi Universitari Verona, Consorzio ZAI, Diocesi di Verona, Ente-Autonomo Fiere di Verona, Federazione Provinciale Coltivatori Diretti, Fondazione Arena, Fondazione Cariverona, Lega Cooperative, ULSS 20, Unione Provinciale Artigiani Verona, Università degli Studi di Verona, CGIL Verona, CISL Verona, UIL Verona. 11 67 Non è stato costituito formalmente un Forum dello Sviluppo, né si ritiene opportuno costituirlo, ritenendolo un fattore di rallentamento del processo. Si sta lavorando per la costituzione di un’associazione dei principali attori; sarà demandato ad essa il compito di definire modalità e caratteristiche dell’impegno dei vari attori nell’attuazione del piano strategico. b) i ruoli L’impostazione data al piano strategico di Verona implica 3 tipi di ruoli: 1. il ruolo del Sindaco di Verona che è promotore e gestore dell’intera operazione; 2. il ruolo dei soggetti coinvolti nel processo di consultazione e definizione delle linee di azione; 3. il ruolo dei sottoscrittori del protocollo di intenti, inclusi i comuni contermini attraverso una Consulta dei Sindaci. Il ruolo svolto dal Comune di Verona appare determinante in quanto è promosso da esso non solo il progetto di costruire il piano strategico ma anche l’impostazione e gestione di tutto il periodo d’ascolto, con l’assistenza di una società di consulenza specializzata. Di fatto è solo al termine di questa fase conoscitiva, avvenuta attraverso contatti diretti con un gruppo selezionato di stakeholder ed una successiva analisi Delphi diretta, che vengono investiti in modo formale, sulla base di un documento in cui sono indicati i principi dell’operazione, i suoi obiettivi generali e le modalità per conseguirli, i principali attori pubblici e privati di Verona e della Provincia. Lo stesso Documento/Programma Verona 2020 elaborato per la Conferenza di piano strategico del gennaio 2004 è presentato in prima persona dal Comune di Verona alla città e ai suoi diversi attori, senza essere sottoscritto da essi nelle sue varie articolazioni. Il momento di maggior coinvolgimento dei vari attori e portatori di interessi avviene nel corso dell’attività dei 4 Tavoli: Ambiente e territorio, Economia, Cultura, Welfare e attraverso un questionario che riprende l’insieme delle diverse tematiche ed è somministrato a tutti i 200 attori collettivi coinvolti. Dai tavoli emergono gli assi, le azioni e le linee del piano strategico ed alcune indicazioni di “progetti bandiera” e di idee progettuali (un centinaio circa). Il livello di definizione è relativamente generale e l’approfondimento in termini operativi, di tempi, risorse necessarie, ecc. è demandato a fasi successive. Il ruolo dei firmatari del protocollo d’intesa – di fatto i principali attori della vita culturale, sociale ed economica cittadina – è prevalentemente di appoggio in termini generali di un progetto ritenuto opportuno e di rilevante interesse e di impegno per la sua attuazione attraverso le forme di intervento che risulteranno nel corso del tempo opportune. Il protocollo d’Intesa è essenzialmente un documento d’intenti e di condivisione di metodo; 68 non entra nel dettaglio delle specifiche strategie da attuare. Lo stesso vale per la consultazione con i comuni contermini. Piacenza a) gli attori Il piano Patto per Piacenza è stato sottoscritto il 12 gennaio 2002 tra Regione EmiliaRomagna, Provincia di Piacenza, Comune di Piacenza, Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato di Piacenza (Cciaa), i comuni della Provincia di Piacenza, gli enti, le associazioni e le organizzazioni rappresentati in seno al Comitato Strategico, con l’approvazione delle linee strategiche e dei progetti prioritari, nonché con l’impegno a istituire un sistema di monitoraggio e valutazione del piano stesso. Risorse interne utilizzate: - Presidente Provincia; - Giunta (8 persone); - Dirigenti (10 persone); - Funzionari (6 persone). Risorse esterne utilizzate: - Comitato Strategico (31 persone); - Comitato Scientifico (6 persone); - Comitato di Coordinamento (6 persone); - Consulenti e collaborazioni esterne (15 persone). b) i ruoli LLaa SSt tr ruut tt tuur raa OOr rggaanni izzzzaat ti ivvaa ddeel l PPaat tt too ppeer r PPi iaacceennzzaa EEnnt it i PPr roommoot ot or ri i ( (CCoommuunnee ee PPr roovvi ni ncci ai a) ) SSeeggr reet et er ri ai a t et eccnni ci coo oor rggaanni zi zz zaat it vi vaa CCoommi ti at at ot o SSt rt raat et eggi ci coo ( (FFoor ruumm) ) CCoommi ti at at ot o t et eccnni ci coo s scci ei ennt it fi fi ci coo GGr ruuppppi i ddi i LLaavvoor roo Fonte: Linee guida per l’attività dei gruppi di lavoro, giugno 2001, pag. 4 69 Come si nota dallo schema sopra riportato il Comitato Strategico coincide con il Forum dello Sviluppo; esso ha ricoperto un ruolo centrale in tutta la fase del processo di pianificazione strategica. Copparo a) gli attori Il Piano strategico 1909-2009 sei campanili ventisei piazze un’utopia realizzabile è stato promosso dall’Associazione dei Comuni del Copparese. I sindaci dell’Associazione dei 6 Comuni del Copparese hanno avviato il processo cercando un confronto interistituzionale. Si è formato un Forum dello Sviluppo, insediatosi il 20 giugno 2003. Il ruolo di coordinatore istituzionale del piano strategico è stato svolto da Davide Tumiati, Sindaco di Copparo. Per l’impostazione metodologica e per la conduzione delle analisi è stato istituito un Comitato Tecnico Scientifico coordinato da un urbanista e costituito da un totale di 10 esperti in varie discipline12. La direzione del piano è stata affidata a un Comitato composto da esponenti tecnici dei Comuni dell’Associazione e presieduto dal direttore generale del Comune di Copparo. Sono stati costituiti 8 Gruppi di lavoro, con rappresentanti dei comuni e degli altri soggetti pubblici e privati coinvolti, che hanno svolto il compito dell’elaborazione dell’indagine diagnostica e della definizione delle azioni puntuali del piano. b) i ruoli Tutti gli attori pubblici e privati coinvolti, hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo importante per il Copparese. L’Associazione dei Comuni del Copparese dal 1999 lavora sinergicamente. Da questa sinergia si è costruito il clima necessario per poter passare, 3 anni dopo, al processo di pianificazione strategica. In questo senso, il piano strategico costituisce l’aspetto più importante del processo di rilancio territoriale del Copparese. Infatti, con il piano strategico, l’Associazione dei Comuni ha spostato l’attenzione delle amministrazioni locali dall’aspetto meramente gestionale a quello progettuale. Sesto San Giovanni a) gli attori Il Piano strategico per lo sviluppo del Nord Milano è stato promosso dall’Agenzia di Sviluppo Nord Milano che ha ricoperto un ruolo di supervisione e coordinamento tecnico, 12 La composizione dettagliata del Comitato è inclusa nella presentazione del piano strategico di Copparo, nel CD allegato. 70 su mandato dei sindaci dei 4 comuni dell’area, che del processo hanno avuto una funzione di regia e di indirizzo. Si è deciso di non costituire un Comitato Scientifico del piano, ma di affidarne l’impostazione metodologica e la direzione scientifica ad esperti pubblici e privati13. Hanno contribuito direttamente in varie fasi alla costruzione e stesura del piano strategico non solo gli amministratori e i tecnici dei comuni e della provincia, ma anche i componenti del Forum per lo Sviluppo del Nord Milano, il Centro Studi del Piano Intercomunale Milanese (PIM), i dirigenti e i tecnici di moltissimi enti, i rappresentanti di associazioni, soggetti sociali ed economici del Nord Milano. b) i ruoli La crisi industriale, non ha solo fortemente colpito la grande industria siderurgica locale e, di conseguenza, tutto il sistema economico del Nord Milano, che in poco meno di 70 anni si è ritrovato proiettato direttamente nel cuore dell’Europa e nel mondo intero, ma ha anche determinato un vuoto di rappresentanza territoriale. Questo vuoto ha significato polverizzazione della struttura economica territoriale e impossibilità di crescita per coalizioni con coerenti progetti di sviluppo. L’Agenzia per lo Sviluppo del Nord Milano, in questo senso, è stata lo strumento con cui ritemprare le coscienze pubbliche e soprattutto private del territorio; è dall’iniziativa imprenditoriale del soggetto pubblico, infatti, che è stato possibile attrarre grandi risorse con cui mobilitare i soggetti privati. Tutti gli attori pubblici e privati coinvolti hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo importante per il Nord Milano. Esistono tuttavia degli “attori storici”, come il Comune di Sesto San Giovanni, la Provincia di Milano, la Falck, che dal 1993 hanno lavorato sinergicamente per costruire il clima necessario da cui 6 anni dopo è iniziato il piano strategico che, in questo senso, costituisce l’aspetto più eclatante di un processo di rilancio territoriale che affonda le sue prime radici già alla metà degli anni Settanta. 2.6 Metodologie e strumenti di supporto per l’analisi diagnostica L’indagine ha permesso di osservare la presenza di elementi costanti e di elementi specifici nell’impostazione metodologica seguita per la redazione dei piani strategici. Gli elementi costanti nelle metodologie osservate sono indicati nei punti che seguono. 1. In alcuni casi esiste una distinzione chiara, sia dal punto di vista metodologico che temporale, tra le fasi di analisi e le fasi di proposta. Sembrerebbe che a una Nella preparazione del piano sono stati coinvolti docenti del Politecnico di Milano e del Centro Documentazione e Ricerche per la Lombardia. L’elenco degli esperti è presente nella presentazione del piano di Nord Milano nel CD allegato. 13 71 maggiore chiarezza metodologica circa la distinzione tra le fasi di analisi e le fasi di proposta sia corrisposta, nella preparazione dei piani, una maggiore efficacia dell’azione di pianificazione e una maggiore efficienza dimostrata da tempi e risorse minori rispetto ai risultati. 2. In altri casi la separazione tra le fasi di analisi e le fasi di proposta è meno netta. All’interno del processo di preparazione di uno stesso piano strategico si riscontra un primo ciclo di analisi e proposte a cui sono seguite altre analisi e altre proposte, con un percorso circolare che ha allungato i tempi di preparazione del piano. 3. Vi è un coinvolgimento costante di soggetti esperti esterni all’ente locale, spesso facenti parte della locale università o di altre università con le quali gli enti locali hanno dei contatti. Un elemento quasi sempre presente è un buon grado di coinvolgimento dei principali soggetti collettivi privati e pubblici (Unione Industriale, Camera di Commercio, Associazioni di categoria e del volontariato, ecc.) attraverso i rispettivi organi decisionali, quantomeno come fonti privilegiate di informazioni attraverso il coinvolgimento dei rispettivi uffici studi e ricerche. 4. Si riscontra un utilizzo costante di saperi diffusi, non considerando sufficienti né le informazioni disponibili presso l’ente che promuove il piano, né quelle disponibili presso gli altri enti pubblici coinvolti nel processo. In tutti i casi esaminati il punto di partenza del processo di pianificazione è costituito dalla redazione di uno o più documenti sullo stato di fatto dell’area e sulle opportunità da cogliere per il futuro. La documentazione prodotta per l’analisi è spesso articolata in punti di forza, debolezza, opportunità e pericoli. Gli elementi specifici riguardano in particolare le modalità tecniche che hanno caratterizzato la redazione dell’indagine diagnostica, ovvero la redazione dello studio sullo stato di fatto dell’area in questione e sulle sue prospettive di sviluppo in assenza di interventi o con la prospettiva di interventi. Come è indicato dallo schema sopra esposto, gli enti locali hanno seguito tre modalità per la redazione dell’analisi sullo stato di partenza dell’area: • redazione autonoma da parte del consulente, coadiuvato o meno da un Comitato Scientifico ma in genere sempre supportato da una segreteria tecnica costituita per l’occasione presso il comune maggiore tra quelli che hanno promosso il piano. Si tratta della soluzione più efficiente in termini di tempo, ma anche quella meno adatta a far condividere tra i soggetti interessati lo “stato di salute” di un’area; • redazione di diversi documenti sullo stato dell’area da parte dei gruppi di lavoro attivati per il piano strategico o di gruppi tecnici già in essere (Agenda 21, Bilancio 72 sociale, ecc.), con il coordinamento del consulente, della segreteria del piano. In questi casi il consulente e l’eventuale Comitato Scientifico hanno svolto un lavoro di sintesi e omogeneizzazione a posteriori. Il metodo ha il pregio di un ottimo coinvolgimento dei soggetti più vicini all’ente locale che promuove il piano, mentre ha lo svantaggio di una discontinuità nella elaborazione dei documenti di analisi (sia dal punto di vista dei contenuti sia da quello dello stile e della grafica dei testi) e una possibile esclusione di centri di ricerche dalla partecipazione ai gruppi di lavoro del piano; • redazione di specifiche sintesi di ricerche settoriali già esistenti da parte dei principali centri studi dell’area, sia di tipo pubblico che privato, con il coordinamento e la sintesi da parte del consulente e del Comitato Scientifico. Questo metodo offre sia un’efficace partecipazione dei soggetti principali di un’area, attraverso i rispettivi centri studi e ricerche, sia una analisi adeguata dal punto di vista dei contenuti e dell’esposizione finale. Lo svantaggio principale consiste nella scarsa applicabilità del metodo, in quanto può dare buoni risultati solo nelle città medio grandi dove in genere esistono, a monte del piano strategico, diversi studi sullo stato di salute di un’area e numerosi documenti di proposta sui cambiamenti settoriali o generali da attuare. L’indagine ha permesso di analizzare la quasi totalità dei piani strategici in corso di preparazione o di attuazione in Italia. Questo ampio panorama consente di affermare che la corretta conduzione di una indagine diagnostica è la prima chiave di successo di un processo di pianificazione strategica applicato al territorio. Ciò dipende: • dalle risorse impiegate (più le risorse umane che quelle materiali); • dal rigore scientifico e dai metodi professionali impiegati, che possono essere garantiti in modo più efficace dalla presenza di un Comitato Scientifico composto anche da poche persone ma in grado di agire in modo indipendente dai soggetti istituzionali che costituiscono la committenza del piano strategico e dai soggetti operativi che hanno il compito di attuare la preparazione del piano (e che sono spesso dipendenti in una forma o nell’altra dalla committenza istituzionale del piano); • dalla redazione dal basso dell’indagine, cioè dal coinvolgimento nella indagine diagnostica dei saperi tecnici e sociali già presenti nella comunità locale e diffusi in diverse fonti (centri di ricerca pubblici e privati, associazioni di categoria, ecc.); • dal tempo impiegato, che deve essere breve e definito a priori con scadenze condivise da parte dei soggetti partecipanti; 73 • dalla connessione più o meno logica tra la fase di analisi diagnostica e la fase di elaborazione delle proposte. Quest’ultimo punto è di particolare importanza perché se viene meno tale legame viene meno anche la ragione stessa del piano. Nei piani analizzati la costruzione della indagine diagnostica, oltre alle differenze sopra riportate, si differenzia da un caso all’altro anche per i seguenti elementi di processo: • unitarietà temporale della indagine diagnostica (grande maggioranza dei casi) o produzione della stessa analisi diagnostica per fasi ricorrenti nel corso del processo di piano; • produzione della analisi diagnostica come prodotto autonomo, inteso come documento o documenti separati (maggioranza dei casi) o direttamente come parte del documento di piano; • uso ristretto quantitativamente o ad ampio raggio del metodo delle interviste personali a esponenti pubblici e privati della comunità locale. Nel primo caso (poche interviste) il vantaggio è l’obbligo di svolgere una selezione a monte del piano interviste, con un risparmio di tempi e di costi, a fronte di uno svantaggio costituito dalla necessità di un maggiore uso di fonti documentali. Nel secondo caso vantaggio e svantaggi sono invertiti rispetto al primo caso. In sintesi, il processo del piano strategico (si veda la Figura 2.6.1) è stato in genere articolato in 3 componenti: 1) redazione partecipata e condivisa di una analisi diagnostica secondo il modello SWOT; 2) stesura di varie bozze del piano strategico fino alla versione definitiva; 3) sottoscrizione da parte dei principali soggetti pubblici e privati dell’area di un documento che sancisce l’adesione alla visione proposta dal piano e l’impegno a realizzare quanto previsto, ognuno per la propria parte. 74 Figura 2.6.1 Sequenza tipica delle 3 componenti principali del processo di pianificazione strategica di una città italiana, e prodotti del processo Analisi diagnostica Piano strategico di area urbana Patto dello sviluppo - Visione dell’area in ottica decennale o superiore - Griglia delle opzioni di sviluppo: linee strategiche; obiettivi; azioni (materiali e immateriali) - Richiamo a visione, strategie, obiettivi e azioni del piano - Sottoscrizione da parte dei soggetti pubblici e privati “Verso il piano” “Il piano” “Il Patto” Uno o più documenti sullo stato di fatto dell’area, con le opzioni possibili Uno o più documenti (anche multimediali): sintesi dello stato di fatto e presentazione delle scelte Un breve documento, generalmente sottoscritto in una manifestazione pubblica - Stato di fatto dell’area - Prospettive di sviluppo con e senza piano strategico Gruppi di lavoro Condivisione diagnostica e formulazione linee strategiche articolate in obiettivi e azioni Sembra possibile che tale sequenza, riconoscibile anche in diversi piani strategici prodotti all’estero (Barcellona, Bilbao, ecc.), rappresenti l’adattamento alle problematiche urbane di un modello di pianificazione strategica messo a punto in campo aziendale (l’Harvard Policy Model). In tale modello vi sono, al variare delle problematiche affrontate, degli elementi costanti tra i quali: 1. in una prima fase, la identificazione e l’analisi del periodo o della situazione problematica per l’azienda in questione; 2. in una seconda fase la identificazione delle alternative possibili con i rispettivi costi e vantaggi (compresi i costi della mancata attuazione di ogni particolare scelta identificata), con le procedure da seguire passo dopo passo, con l’attribuzione ai diversi componenti aziendali delle nuove mansioni richieste e con i tempi di ogni singola fase. 75 Di fatto, ciò che del modello può essere di interesse diretto per gli enti locali che stanno valutando le potenzialità della pianificazione strategica per il loro territorio è che in quasi tutte le città italiane, in cui è stato preparato un piano strategico, l’analisi diagnostica è stata svolta in una fase iniziale, che ha avuto un inizio e un termine precisi. Ciò significa che, in generale, sembrerebbe sconsigliabile l’avvio di una indagine sullo stato di fatto di un’area urbana senza avere ben chiaro quali siano le finalità di pianificazione da raggiungere e quali limiti temporali e di budget lo studio debba rispettare, per non correre il rischio di svolgere delle attività di indagine fini a sé stesse. In generale, il prodotto fisico chiamato “piano strategico” (cioè al di là del processo di costruzione di relazioni tra soggetti di ambiti differenti, che può essere anche considerato come il prodotto principale) è un testo che presenta, anche con l’ausilio di grafici, di carte e di schemi: - quali azioni (cioè progetti di tipo edilizio-territoriale o progetti di tipo non materiale) si ritiene importante attuare nell’arco di un decennio; - come queste azioni servono a raggiungere determinati obiettivi; - come questi obiettivi si articolano in linee strategiche; - e come, infine, le linee strategiche servono a rendere concreta la “visione” del piano. Il testo contiene in linea di massima le seguenti componenti: - Linee strategiche (circa 5-10) - Obiettivi (circa 10-20) - Azioni (circa 50-80). L’articolazione del piano si è stabilizzata in un formato che prevede, per ogni linea strategica individuata, una serie di elementi come indicato nel seguente schema: Linea strategica n.1 Obiettivo n.1 Esempio di tema: Integrare l’area Azione n.2 della città XYZ nella rete nazionale e internazionale dei trasporti Azione n.1 Obiettivo n.2 Azione n.3 Obiettivo n.3 Azione n.4 Azione n.5 76 Nella parte che segue, si riportano, a titolo di prima indicazione (rimandando per approfondimenti alle presentazioni di ogni singolo piano strategico contenute nel CD), alcune caratteristiche riguardanti la connessione tra l’indagine diagnostica e le altre componenti del piano strategico nelle città capoluogo di regione. Ci si sofferma anche sul caso del piano strategico dell’Associazione dei Comuni del Copparese per mettere in evidenza che anche in piani strategici di soggetti territoriali di piccola dimensione l’analisi diagnostica può produrre delle scelte concrete già nel corso di elaborazione del piano. Torino Metodologie e strumenti di supporto In parallelo alla stesura definitiva del documento “Il Piano”, si avvia la messa a punto di altri strumenti di comunicazione tra cui un video di circa 15 minuti, un inserto speciale del notiziario del Comune di Torino “Informa città”, il sito internet del piano, una mostra pubblica. La nomina ottenuta a Seul nel giugno del 1999 come sede delle Olimpiadi invernali 2006 non può essere presentata come un frutto del piano strategico, che in quel periodo era già definito in bozza ma non ancora approvato. È indubbio, tuttavia, che la preparazione del piano abbia costituito una ottima palestra per allenare i vari soggetti pubblici e privati della città a lavorare insieme, a fare squadra su obiettivi comuni. Firenze Metodologie e strumenti di supporto Nell’ambito della fase di discussione interna agli organi deliberativi delle varie componenti del Comitato del piano, anche il Consiglio comunale di Firenze tramite le sue Commissioni Consiliari, ha discusso e approvato il lavoro svolto nelle diverse fasi. Inoltre, le proposte del piano sono state discusse e approvate dagli altri Consigli dei Comuni dell’area fiorentina e dai rispettivi consigli di quartiere. Il Comune di Firenze ha sempre condotto campagne di informazione per diffondere il progetto e coinvolgere la cittadinanza con incontri, dibattiti, trasmissioni radio e interventi televisivi dei rappresentanti dell’Ufficio del piano. Da questo punto di vista esso ha saputo coniugare i mezzi stampa con i mezzi televisivi e radiofonici: il Comune di Firenze (ente promotore) attraverso i suoi Assessorati si è fatto carico anche dell’opera di comunicazione e divulgazione attraverso iniziative su internet (ad es. il sito www.comune.fi.it/progettarefirenze), una rubrica radiofonica su Radio Lady (radio locale), la partecipazione a trasmissioni televisive. 77 Tuttavia, lo strumento di supporto più importante è stata la Mostra-convegno internazionale svoltasi dal 12 al 29 febbraio 2003 “Le Città cuore d’Europa. Nuove esperienze di pianificazione strategica e di edilizia sociale per la rigenerazione urbana”, che ha visto il coinvolgimento di referenti internazionali e nazionali della pianificazione strategica, referenti del mondo universitario, sindaci e giornalisti italiani, per la quale il comune ha stanziato circa 300 mila euro. Genova Metodologie e strumenti di supporto L’esperienza genovese non si caratterizza per l’uso di particolari metodologie innovative e l’uso di strumenti applicabili ad altri casi. Gli apporti più significativi in termini metodologici sono il riferimento al “piano integrato degli interventi”, che permette di identificare le interrelazioni tra una varietà di iniziative pubbliche e private di diversa natura, dimensione e tempi di attuazione, e tra lo stretto legame con la pianificazione urbanistica comunale e l’uso di eventi esterni come parte della strategia di piano. Un approccio del genere implica un efficiente funzionamento della macchina amministrativa e tecnica comunale. Per quanto riguarda invece l’uso di strumenti di promozione dell’immagine di Genova, e anche della messa in risalto dei suoi problemi e della volontà di risolverli, essi sono stati in larga parte superati dalla copertura mediatica data a livello nazionale ed internazionale dagli avvenimenti connessi al G8. Si calcola che nel 2001 siano apparsi su questo evento (e su Genova) almeno 20.000 articoli di quotidiani e riviste specializzate di tutto il mondo, oltre a moltissimi servizi televisivi e radiofonici. Il solo sito sul G8 del Comune di Genova è stato mediamente visitato 150.000 volte al giorno, con punte di 300.000 nel mese di luglio. I tentativi di comunicazione fatti a livello locale attraverso la televisione ed altri media appaiono invece (e vengono anche considerati) poco rilevanti ed efficaci. Perugia Metodologie e strumenti di supporto Il Comune di Perugia ha approvato nel giugno del 2002 il nuovo Piano Regolatore Generale che ridisegna la città in un’ottica compiutamente europea. Tra i suoi principi generali vi è il riuso delle aree dismesse che si pone come principio guida per la salvaguardia del territorio e per la definizione dei limiti all’espansione urbana. Nella definizione di questo principio l’analisi diagnostica, estesa al territorio di Perugia e di 6 comuni limitrofi, ha avuto un ruolo fondamentale perché ha messo in evidenza la necessità, sentita sia dai soggetti pubblici sia 78 dai principali soggetti privati, di dare un impulso alla tutela degli spazi non ancora edificati e della campagna in generale. Tale principio è stato fin da subito concretamente applicato in importanti opere di riorganizzazione architettonica, urbanistica e viaria di essenziali aree della città, tra cui vanno senz’altro menzionate, il recupero di ampie parti del Centro storico, il Minimetrò, la creazione del polo unico ospedaliero “Silvestrini” a Sud di Perugia, che inciderà direttamente e in profondità nella zona Nord-Est del suo centro storico. L’impostazione di fondo del PRG è stata alla base della elaborazione del piano strategico di Perugia, che indica tra i suoi obiettivi la tutela e il recupero urbano-ambientale di ampio raggio, attraverso l’adeguamento dello sviluppo economico e urbanistico al principio di fondo della tutela del suolo. Venezia Metodologie e strumenti di supporto Nel corso del processo di pianificazione sono stati utilizzati in maniera massiccia i tradizionali strumenti di comunicazione: - 6 seminari tematici plenari; - oltre 25 confronti tematici con soggetti interni all’amministrazione comunale; - 12 seminari di discussione con responsabili di centri studi; - 6 confronti tematici con portatori di interessi economici e di categorie; - oltre 50 confronti con portatori di interessi settoriali. Inoltre, il 14 gennaio 2004, l’Ufficio del piano ha presentato ai promotori privilegiati del piano il Progetto commissioni, i cui componenti, rappresentanti del sistema città, stanno lavorando su 8 linee strategiche che richiamano in modo diretto le linee strategiche e le condizioni strutturali individuate dal piano, anche per individuare le politiche di bandiera, nel senso di azioni promotrici di processo di sviluppo e di nuove professionalità. Copparo (Ferrara) Metodologie e strumenti di supporto La metodologia seguita dai 6 Comuni comprende due elementi di particolare importanza: 1) redazione collegiale di un “Documento quadro”; 2) redazione di una analisi diagnostica del territorio oggetto del piano da parte dei principali soggetti pubblici e privati coinvolti, in una fase temporale controllata e ristretta, con una partecipazione libera ma selettiva rispetto agli interessi rappresentati. 79 Il primo elemento è costituito dalla discussione preliminare tra tutti gli interessati di un “Documento quadro”, in tempi antecedenti l’avvio ufficiale dei lavori di preparazione del piano. Lo stesso “Documento quadro” è stato il risultato di numerosi incontri sul tema della pianificazione strategica avvenuti nel periodo febbraio 2002-gennaio 2003, su iniziativa dell’Associazione dei Comuni di Copparo, Berra, Jolanda di Savoia, Tresigallo, Formignana, Ro, a cui hanno partecipato diversi amministratori, dirigenti e funzionari dei comuni interessati. Dall’insieme di questi incontri è emerso, tra l’altro, che sulla scorta di numerosi esempi europei, il modo migliore per affrontare la complessità del compito è quello di rifarsi ad una metodologia di pianificazione partecipata e condivisa, fin dalla sua idea iniziale, tra tutti i soggetti rilevanti dell’area. Il secondo elemento di particolare importanza è costituito dalla metodologia seguita per la messa a punto dell’analisi diagnostica. Il lavoro svolto per la preparazione del “Documento quadro” ha permesso di rilevare la presenza di una fitta rete di soggetti pubblici e privati che erano in grado di svolgere in prima persona l’analisi dei punti di forza e di debolezza dei comuni interessati e anche di tradurre tale analisi in un documento scritto. Il Comitato Scientifico ha svolto quindi un ruolo di consulenza e coordinamento, mentre la redazione della indagine diagnostica è stata il frutto di un lavoro di base tanto collettivo quanto complesso e raro. A fronte di una redazione a tratti discontinua dal punto di vista letterario, si è acquisito il grande vantaggio di un coinvolgimento diretto e profondo di molti dei principali soggetti pubblici e privati dei 6 comuni. Questo elemento è una importante garanzia per le fasi successive del piano, in particolare per la costituzione di un soggetto attuatore ben radicato nella realtà locale e con la forza sufficiente per realizzare quanto il piano prevede. Tuttavia, è da segnalare che questo tipo di metodologia è probabilmente più fruttuosa in quei luoghi in cui esiste una pregressa e consolidata esperienza di partecipazione e convergenza istituzionale. Allorquando, invece, si fa direttamente capo al piano strategico per costruire le basi per una partecipazione e convergenza territoriale, conviene valutare con attenzione quali azioni richiede il contesto per la sua applicazione. Già nel corso della elaborazione dell’indagine diagnostica si è cercato di fare emergere l’identità territoriale del luogo, come punto di partenza per dare valore al capitale intangibile (competenze, creatività, mentalità), al capitale strutturale (innovazione tecnologica, ricerca, organizzazione aziendale) e al capitale relazionale (reputazione affidabilità, immagine, marketing). Tra gli strumenti di supporto agli otto Gruppi di lavoro, a partire dal maggio 2003 sono stati avviati alcuni laboratori di sperimentazione della progettualità territoriale: 80 - “La fabbrica creativa”: costruire un legame tra fabbrica e territorio attraverso la creatività artistica; - sottoscrizione su tutto il territorio per l’acquisto di una Risonanza Magnetica Articolare per l’Ospedale del territorio; - convegno “Ambiente ed Energia: soluzioni locali per problemi globali”; - settimana dedicata ad “Anglat”, in occasione dell’anno europeo delle persone con disabilità. Nell’ambito del laboratorio di sperimentazione “La fabbrica creativa”, è stato avviato il laboratorio delle arti applicate “Le vasaie del Po” per il quale sono state realizzate alcune opere esposte presso il Comune di Jolanda di Savoia. 2.7 Le fasi di definizione dell’agenda per la formazione del piano e per la sua attuazione Osservando i documenti originali e di prima mano raccolti sul campo, la definizione dell’agenda per la formazione dei piani strategici delle 16 città esaminate è riconducibile ad uno schema tipo riassumibile nelle seguenti 6 fasi: 1. Organizzazione per il processo di pianificazione. 2. Atto di inizio dell’iter processuale. 3. Analisi territoriale. 4. Partecipazione alla definizione delle azioni. 5. Atto di conclusione dell’iter processuale. 6. Organizzazione per l’attuazione del piano. In riferimento alle città che hanno portato a termine il processo (Copparo, Firenze, Genova, La Spezia, Nord Milano, Perugia, Pesaro, Piacenza, Torino, Trento, Varese, Venezia, Verona) bisogna osservare che La Spezia, Varese e Venezia hanno terminato una prima grande fase di lavoro all’interno della quale possiamo riscontrare le 6 fasi sopra indicate, ma hanno poi ripreso i lavori di definizione del prodotto. Nello specifico, ciascuna delle 6 fasi indicate è stata gestita in ragione delle necessità, strumenti, professionalità e obiettivi presenti nei territori di riferimento, ma è comunque possibile, dall’analisi dei documenti, restituire un quadro riassuntivo utilizzando il precedente schema. 1. Organizzazione per il processo di pianificazione. Nei casi analizzati, l’organizzazione è quasi sempre costituita da una struttura interna del comune promotore e da una struttura esterna di esperti, nella maggior parte dei casi di 81 docenti universitari, a cui il comune si appoggia. Sostanzialmente si tratta di un Ufficio del piano strategico, un Comitato Tecnico Scientifico e una Segreteria tecnica. 2. Atto di inizio dell’iter processuale. In 9 casi (Copparo, Firenze, Genova, La Spezia, Perugia, Piacenza, Sesto San Giovanni, Torino, Trento) l’atto d’inizio è consistito in un Forum dello Sviluppo a cui hanno partecipato i principali soggetti pubblici e privati operanti nell’ambito del territorio di riferimento a cui i promotori hanno illustrato il processo di pianificazione strategica e chiesto loro di partecipare. In altre 6 città (Cuneo, Pesaro, Roma, Varese, Vercelli, Venezia) si è invece seguito un percorso di graduale avvicinamento alla fase iniziale vera e propria costituita dalla indagine diagnostica, attraverso una serie di incontri pubblici per diffondere la metodologia della pianificazione strategica e coinvolgere i soggetti rappresentativi nel processo di pianificazione. Le metodologie utilizzate sono diverse, ma, in generale, si è trattato di seminari, convegni, workshop, conferenze. A Verona si è dato il via al percorso attraverso un incontro di presentazione del processo di pianificazione con la città e le istituzioni. 3. Analisi territoriale. I metodi di analisi territoriale hanno utilizzato, nella maggior parte dei casi, l’analisi swot, acronimo di strenght (forza), weakness (debolezza), opportunities (opportunità), threates (minacce), attraverso cui è possibile analizzare i punti di forza, i punti di debolezza, le opportunità e le criticità presenti nel territorio, modulando l’indagine dalla microscala fino alla macroscala. 4. Partecipazione alla definizione delle azioni. Nei casi in cui si è giunti a questa fase (tutti tranne Cuneo, Vercelli e Roma), il coinvolgimento degli attori nella definizione delle azioni è avvenuto attraverso gruppi di lavoro tematici diversamente denominati: nel caso di La Spezia erano i “fori di discussione”, per il Nord Milano erano “tavoli di coprogettazione”, a Trento è stata usata la terminologia “tavoli di approfondimento tematico”. All’interno dei gruppi di lavoro tematici si sono costruite le azioni del piano individuando il titolo, i soggetti di riferimento, i finanziamenti, i tempi e le opportunità di realizzazione, gli strumenti ed i costi di comunicazione. 82 5. Atto di conclusione dell’iter processuale. Le città che sono giunte a questa fase, come già indicato in precedenza, si possono distinguere in: 1. Casi di città che hanno avuto il piano strategico approvato dal Consiglio comunale e sottoscritto dai soggetti partecipanti al processo di pianificazione. Rientrano in questa casistica: Torino - febbraio 2000, Firenze - dicembre 2002, Trento - ottobre 2003, Perugia - aprile 2004, Piacenza - gennaio 2002, Copparo - marzo 2004. 2. Casi di città in cui il piano è stato approvato dal Consiglio comunale, senza alcuna sottoscrizione da parte dei soggetti partecipanti al processo. Si tratta di un solo caso: Pesaro - luglio 2001. 3. Casi di città che hanno avuto il piano sottoscritto dai partecipanti al processo di pianificazione, senza una votazione formale da parte del Consiglio comunale. Si tratta di: - città capoluogo di provincia: Verona, sottoscritto dal Comune di Verona e da soggetti rappresentanti interessi pubblici ovvero generali, nel febbraio 2004; - comuni: Sesto San Giovanni, sottoscritto dai sindaci dei comuni partecipanti nel marzo 2001. In questo gruppo i casi di La Spezia, Varese e Venezia debbono essere considerati a parte perché hanno riavviato il proprio processo di pianificazione. 6. Organizzazione per l’attuazione del piano. Per quanto riguarda la forma organizzativa strutturata per dare attuazione al piano è possibile distinguere in due grandi famiglie: • le associazioni (le città che hanno costituto o prevedono di costruire un’associazione sono: Torino, Associazione Torino Internazionale, Firenze, Firenze 2010 Associazione per il piano strategico dell’Area Metropolitana Fiorentina, Verona, costituenda Associazione per il piano strategico, Copparo, in cui è prevista l’Associazione dei Comuni del Copparese per l'attivazione e il monitoraggio del piano strategico, Varese, Associazione Varese Europea); • gli organismi, le agenzie, i comitati, gli uffici dedicati (Venezia: prevista la costituzione di una Agenzia del piano strategico come naturale evoluzione dell’Ufficio del piano; Nord Milano: Comitato intercomunale per la realizzazione delle azioni previste dal piano strategico; Perugia: prevista la costituzione di un Organismo pubblico privato per il monitoraggio e l’attuazione del piano strategico e per il suo aggiornamento periodico; Piacenza: l’attuazione del piano è affidata ai 83 gruppi di progetto per singoli temi, mentre la verifica dello stato di avanzamento dei progetti e di valutazione degli impatti sul sistema locale in termini economici, sociali e territoriali, è affidata ad un nucleo di monitoraggio e valutazione, che utilizza tutte le informazioni disponibili presso gli enti coinvolti e gli uffici studi esistenti o in fase di costituzione; Pesaro: Agenzia di Coordinamento). Tra le Agenzie di coordinamento meritano di essere segnalati gli Urban Center. Dall’esame della documentazione originale e di prima mano reperita sul campo, emerge che in diverse delle città che hanno promosso un piano strategico (ad esempio: Firenze, Perugia, Pesaro, Torino, Trento, Venezia) sono stati realizzati o sono previsti degli Urban Center. L’idea degli Urban Center arriva dall’estero, da alcune città in cui la politica pubblica locale è condotta in modo attivo per quanto riguarda lo sviluppo urbanistico, città in cui l’ente locale, tra l’altro, è impegnato direttamente nella competizione per attrarre investitori esteri ed usa il piano urbanistico in modo flessibile a questo scopo. In città di classe mondiale quali Parigi e Londra, ma anche in alcune città europee di livello inferiore, l’ufficio del sindaco dispone di un Urban Center, un luogo attrezzato per fare da vetrina dello sviluppo previsto per la città. Nei casi migliori un Urban Center è una struttura del comune che ha il compito di presentare a un pubblico interno ed esterno tre aspetti di una città: 1. il suo passato, espresso sotto forma di eredità architettonica, monumentale e infrastrutturale; 2. lo stato attuale dello sviluppo urbano, con i suoi punti di forza e di debolezza ma anche con le sue opportunità di sviluppo; 3. le prospettive per il futuro prossimo, attraverso i principali progetti pubblici e privati in corso di realizzazione o sul punto di partire. Ma la principale funzione di un Urban Center è di essere un soggetto attivatore di incontri tra le diverse parti sociali ed economiche interessate dalle varie opzioni di sviluppo al fine di facilitare la definizione di accordi per la formulazione di un particolare progetto di trasformazione. Per quanto riguarda le città italiane che hanno in corso lo studio o l’attuazione di un piano strategico urbano, gli Urban Center sono in genere concepiti come luoghi per fare comunicazione verso il grande pubblico, per il coordinamento di attività culturali connesse al piano e, solo in qualche caso, per il coordinamento del piano stesso. Vediamo, con qualche dettaglio, i casi più interessanti. Nel caso dell’Urban Center di Pesaro, si tratta di una struttura costituita nel 1999 dal comune per la costruzione della visione condivisa e partecipata sulle strategie della città. L’Urban Center di Pesaro ha svolto il compito di promuovere la discussione pubblica tra i diversi attori locali (associazioni, mondo imprenditoriale, singoli personaggi ed esperti) per definire le proposte per il futuro della città e si è rivelato il principale soggetto propulsivo 84 del piano strategico della città, di cui ora cura l’attuazione. A Pesaro l’Urban Center ha anche sviluppato un confronto sulle possibili modalità di relazione e integrazione tra il percorso di pianificazione strategica, Agenda 21 locale e altri strumenti di programmazione come il bilancio sociale e ambientale. A Torino il piano strategico approvato nel febbraio 2000 prevedeva, in modo innovativo per quegli anni, la realizzazione di un Urban Center come luogo per raccontare e rendere comprensibili agli utenti i progetti per la città ed il territorio. L’Urban Center di Torino è stato effettivamente realizzato, ma fino alla metà del 2004 non ha avuto un ruolo di primo piano per la sua localizzazione defilata e per scarsezza di risorse. Recentemente le sue funzioni sono state molto rafforzate con la sua localizzazione all’interno di una struttura avveniristica denominata “Atrium”, edificata ex-novo (con un forte contributo di sponsor privati) in una piazza centrale della città. La struttura Atrium risulta articolata in due padiglioni. Il primo padiglione è attualmente dedicato alla funzione di vetrina di “Torino 2006”, dove il grande evento dei Giochi Olimpici del febbraio 2006 è stato utilizzato come richiamo per una fitta serie di eventi preparatori che hanno coinvolto tutta l’area metropolitana e diversi comuni delle vallate alpine della Provincia di Torino. Il secondo padiglione svolge la funzione di vetrina del piano strategico Torino Internazionale ed è utilizzato sia per ospitare dibattiti ed eventi connessi alle diverse azioni presenti nel piano, sia per promuovere iniziative culturali, sociali ed economiche che potrebbero poi dare luogo a nuove azioni da inserire nel piano strategico. A Firenze è in corso la realizzazione di un Urban Center per il quale è previsto il ruolo di coordinamento del piano strategico della città, di valutazione degli interventi, luogo di discussione pubblica, di esposizione dei progetti e delle attività e luogo di confronto con altre esperienze. Anche il piano strategico di Venezia prevede un Urban Center. Il comune ha lanciato nel 2004 un bando per la sua progettazione e il suo allestimento fisico. Il progetto è stato completato e la realizzazione dell’Urban Center di Venezia è in corso. Le iniziative previste dovrebbero già iniziare nel corso del 2005 e riguarderanno, come nel caso di Torino, sia l’aggiornamento delle azioni già individuate dal piano strategico, sia nuove azioni da considerare per un futuro inserimento nel piano. A Trento da tempo è iniziata l’implementazione del piano ma non è ancora stata realizzata alcuna struttura specifica. Una volta realizzato, l’Urban Center della città di Trento avrà il compito di mantenere aperti i circuiti partecipativi e concertativi necessari per la “manutenzione” del piano strategico di Trento, cioè per il suo aggiornamento periodico. La principale funzione assegnata è quella di evitare che il piano, come unicum progettuale coerente, venga parcellizzato in una sommatoria di azioni. 85 Con le moderne tecnologie in grado di rappresentare la realtà virtuale si potrebbe fare molto di più che presentare plastici della città in dimensioni sempre più grandi. In questo senso le potenzialità degli Urban Center sono ancora tutte da esplorare. Resta il fatto che ogni Urban Center, per quanto sofisticato dal punto di vista multimediale, rimane la vetrina della politica urbanistica della città e può essere efficace nella misura in cui la città in questione dispone di una politica da presentare al suo pubblico interno (residenti) ed esterno (investitori e visitatori). L’Urban Center non può svolgere una funzione di comunicazione efficace (non solo dal comune ai cittadini ma anche viceversa) se non è inserito in modo organico e funzionale come uno strumento promozionale della politica urbana che la città in questione vuole perseguire al suo interno e verso l’esterno. Meglio ancora se l’Urban Center viene visto come uno strumento di promozione territoriale a servizio di un’area vasta tanto quanto è l’area di competenza del piano strategico urbano, ovvero un’area che include anche (laddove presenti) i comuni minori aderenti al processo avviato dal piano strategico urbano. 86 Figura 2.7.1 Schema di una sequenza tipica di preparazione di un piano strategico promosso da un ente locale FASI SOGGETTI FASE 1 Presa di coscienza: l’area interessata non può essere rivitalizzata solo con iniziative pubbliche. Necessità di una visione di insieme, integrazione con il resto del territorio, progetti di medio-lungo respiro, convergenza pubblico/pubblico e pubblico/privato. Il Comune maggiore dell’area, da solo o con altri enti locali, decisori privati, e il supporto dell’opinione pubblica. FASE 2 Assunzione di una metodologia di pianificazione strategica di tipo partecipato e condiviso. Svolgimento di una indagine diagnostica sui punti di forza e debolezza (presente) e opportunità e pericoli (futuro). Prima bozza del piano: visione e linee strategiche. Organismo ad hoc (pubblico-privato) per la promozione del piano: Forum dello Sviluppo. Esperti locali e referenti tecnici esterni: Comitato TecnicoScientifico. FASE 3 Partecipazione organizzata di rappresentanti di interessi pubblici e privati in gruppi di lavoro. Esame risultati analisi SWOT e prima bozza del piano. Raccolta e selezione obiettivi e azioni puntuali (singoli progetti). Comitato TecnicoScientifico. Rappresentanti della società civile dell’area. FASE 4 Stesura del testo del piano strategico. Esame del piano da parte dei membri del Forum dello Sviluppo. Approvazione del piano da parte di ogni partecipante al Forum secondo le sue procedure. Comitato TecnicoScientifico. Forum dello Sviluppo. FASE 5 Presentazione pubblica del piano. Firma del Patto dello Sviluppo collegato al piano. Istituzioni pubbliche, enti e aziende, opinione pubblica. Forum dello Sviluppo. Costituzione della “Associazione per l’attuazione del piano”. 87 2.8 I contenuti: assi strategici, obiettivi, azioni Osservando i documenti di riferimento dei 16 casi oggetto dell’indagine, si giunge alla conclusione che i piani strategici servono a fornire risposte operative ad una serie di questioni chiave necessarie allo sviluppo dell’area interessata dal processo, già identificate nei loro contorni e per le quali, in alcuni casi, vi sono già delle elaborazioni condivise tra soggetti pubblici e privati portatori di interessi diversi. Dall’esame dei documenti emerge che gli assi su cui si vuole agire, gli obiettivi che si vogliono raggiungere e le azioni necessarie al raggiungimento di ogni obiettivo, sono fra loro legate dalla visione di riferimento e per questo variano da una città all’altra. Il periodo di tempo previsto per il conseguimento della visione è, in quasi tutti i casi, attorno ad una decina di anni. Questo periodo è generalmente considerato verosimile per il raggiungimento della maggior parte degli obiettivi e conseguentemente per la realizzazione delle azioni del piano, sia materiali, quali grandi infrastrutture, importanti funzioni di servizio, programmi di riqualificazione urbana, che immateriali come la riscoperta della identità locale, l’incentivazione di programmi culturali e di formazione, la valorizzazione della partecipazione e l’integrazione degli immigrati. Alcuni casi (ad esempio Copparo chiuso nel 2004 e con un obiettivo temporale al 2009) hanno effettivamente durata più breve di un decennio. Altri piani ancora, proponendosi di raggiungere obiettivi di maggior ampiezza e articolazione, in particolar modo per quello che riguarda l’integrazione tra infra-territoriale e interistituzionale, hanno previsto una durata temporale fra i 15 ed i 20 anni, ad esempio Pesaro, Vercelli, Verona. Da rilevare che per quanto riguarda il piano strategico di Varese non è stato possibile individuare alcun orizzonte temporale di riferimento per l’attuazione degli obiettivi. Non tutti i piani sono costituiti da tre parti principali (assi strategici, obiettivi e azioni). Infatti è raro, ma non impossibile, trovare articolazioni più elaborate di quelle appena esposte. Ad esempio nel caso di Varese, sono presenti macrotemi e temi che seguono la visione e precedono le linee strategiche; nel caso di Venezia, invece si introducono le condizioni strutturali che seguono la visione e precedono le linee strategiche, le strategie che seguono le linee strategiche e precedono le azioni, e le politiche che seguono le strategie e precedono le azioni. Dal punto di vista qualitativo, gli assi strategici, gli obiettivi e le azioni in cui i piani strategici sono strutturati, rendono possibile raggruppare le città in tre categorie: 1. città che definiscono, organizzano e pianificano il loro sviluppo riscoprendo le loro origini (Firenze, Trento, La Spezia, Copparo); 2. città che definiscono, organizzano e pianificano il loro sviluppo guardando al futuro (Torino, Venezia, Pesaro, Sesto San Giovanni); 88 3. città che definiscono, organizzano e pianificano il loro sviluppo, lavorando sulla razionalizzazione delle loro risorse cercando di affinare, strada facendo, la loro visione del futuro (Roma, Genova, Perugia, Piacenza, Varese e Verona). I piani di Cuneo e Vercelli non risultano ancora completati. Dalla documentazione fin qui prodotta i rispettivi piani sembrano essere impostati secondo le categorie 2 e 3 sopra indicate. Dall’analisi dei casi considerati, si desume che ogni città ha ricavato i propri assi strategici, obiettivi e azioni dai seguenti elementi su cui si concentrano sia i punti di forza, sia le criticità del territorio di riferimento: 1. la popolazione; 2. l’urbanistica, le infrastrutture, l’accessibilità, l’offerta insediativa (compreso il mercato immobiliare); 3. il patrimonio culturale, storico e artistico; 4. la formazione e la cultura; 5. l’ambiente; 6. l’economia, le imprese, la competitività e l’attrattività territoriale; 7. le forme di governo, la fiscalità locale, l’internazionalizzazione; 8. il turismo, il sistema dell’accoglienza ed il tempo libero; 9. l’assistenza sociale, l’associazionismo, la cittadinanza, la qualità della vita e la sicurezza. Attorno a questi 9 punti sono stati costruiti gli assi strategici dei piani presi in esame. Verona, è per il momento l’unico dei 16 casi, ad avere un asse strategico dedicato interamente ai giovani, mentre Copparo ha una azione riguardante l’istituzione del “Consiglio dei giovani”. Gli obiettivi comuni a tutti i piani sono: 1. Rafforzamento della presenza della popolazione nel territorio. 2. Valorizzazione delle identità culturali. 3. Sviluppo di processi di internazionalizzazione e di innovazione del contesto locale. 4. Ricondizionamento dei modi di vivere in funzione dei mutati scenari economicoindustriali. 5. Revisione e/o aggiornamento degli strumenti urbanistici su obiettivi condivisi (tutela del territorio e dell’ambiente in generale con azioni mirate al riuso abitativo o imprenditoriale delle aree dismesse). 6. Miglioramento della accessibilità-attrattività. 89 7. Miglioramento della qualità della vita. 8. Promozione dei settori di eccellenza e delle iniziative di carattere strategico per l’area attraverso il sostegno alle iniziative pubbliche, private e miste. 9. Razionalizzazione delle risorse pubbliche disponibili e della gestione di servizi pubblici comuni (trasporti, rifiuti, gas, acqua, ecc.). Dall’analisi dei piani strategici considerati emerge che le principali metodologie per la definizione partecipata e condivisa delle azioni attraverso il coinvolgimento dei principali soggetti pubblici e privati, sono stanzialmente tre: 1. gruppi di lavoro; 2. fori di discussione; 3. tavoli di approfondimento tematico. I casi in cui tali metodologie non sono state usate sono 4 ed esattamente: 1. Venezia: il piano di Venezia ha fatto proprie le istanze emerse sulla base di un percorso di analisi territoriale più che decennale, da cui i soggetti incaricati della pianificazione strategica, hanno determinato un ampio ventaglio di politiche e azioni per il proprio processo di pianificazione. 2. Roma: il processo di pianificazione si è interrotto. 3. Genova: il processo di pianificazione ha seguito un percorso sui generis in corrispondenza dei finanziamenti in funzione del G8 e di Genova Capitale Europea della Cultura 2004. 4. Vercelli e Cuneo: il processo di pianificazione è stato solo recentemente (2004) avviato e non si è ancora arrivati alla definizione delle azioni. Analizzando i documenti prodotti e le informazioni di prima mano, raccolte sul terreno delle esperienze di pianificazione strategica esaminate e concluse, si sono potuti individuare gli elementi di riferimento per la costruzione delle azioni. Ogni azione dei piani esaminati ad eccezione di La Spezia e Verona, dove invece si è preferito solo descrivere l’azione, è stata costruita individuando: - il titolo, - i benefici attesi, - i costi, - i soggetti promotori, - i tempi attesi di realizzazione. 90 Analizzando i singoli progetti dei piani strategici qui considerati, si deve rilevare che essi insistono in pari misura sulle opportunità e criticità territoriali, e danno concretezza alle possibilità di sviluppare il territorio nel modo più equilibrato possibile. Presentiamo una tabella che riassume il quadro quantitativo dei piani in atto dal punto di vista delle visioni, assi, obiettivi, azioni. Tabella 2.8.1 La pianificazione strategica in Italia - Un primo quadro quantitativo dei piani in atto Città Visione Assi Obiettivi Azioni strategici Copparo (FE) e comuni associati 1 6 26 100 Cuneo Non ancora indicati Firenze 1 4 10 35 Genova 1 7 35 130 La Spezia 4 7 - 53 Perugia 1 7 27 100 Pesaro 1 6 27 76 Piacenza 1 11 39 35 8 - 39 Roma Sesto San Giovanni (MI) 1 7 20 35 Torino 1 6 20 84 Trento 1 4 10 73 Varese 2 5 26 56 Venezia 1 7 34 Numero non definito Vercelli Non ancora indicati Verona 1 4 12 32 Fonte: elaborazione su dati degli enti locali oggetto dell’indagine (i documenti finali o in preparazione dei 16 piani strategici) La tabella presenta lo stato di fatto all’ottobre del 2004. Da notare che la “griglia” costituita da assi strategici, obiettivi e azioni è tipicamente molto mobile fino alla versione finale del piano. Contrariamente a quello che si può pensare, la tendenza generale nel corso della elaborazione non è verso l’aumento delle iniziative previste, bensì verso la diminuzione. Se è vero che nelle prime fasi di costruzione del piano le diverse parti sociali coinvolte portano nel giro di pochi mesi a un notevole aumento delle iniziative proposte, nelle fasi conclusive la tendenza è inversa perché entrano in gioco una serie di vagli critici da parte dei soggetti 91 tecnici (comitati scientifici, consulenti, funzionari) e dei soggetti politici che hanno la responsabilità dell’esito finale del processo. L’indagine ha potuto riscontrare in diversi casi questo duplice andamento. Si tratta di un segno molto positivo perché segnala che, in generale, la metodologia adottata per la redazione dei piani strategici porta ad operare una selezione delle iniziative ammesse a far parte del piano. Per citare solo qualche esempio: nel corso della preparazione del piano di Torino il numero delle linee strategiche passa da 9 a 6 tra la prima e la seconda tornata di consultazioni (cioè tra dicembre 1998 e febbraio 1999); nel caso del piano di Venezia tra la versione del documento di piano del dicembre 2003 e la versione finale dell’ottobre 2004 il numero degli obiettivi diminuisce da 34 a 30 e le azioni passano dal considerevole numero di 496 (il più alto tra tutti i casi esaminati) a un numero che non viene volutamente definito ma che si desume potrà essere inferiore; nel caso del piano dell’Associazione dei Comuni del Copparese il numero delle azioni previste passa da 144, indicato nella bozza di piano del novembre 2003, a 100 come si desume dalla versione finale del piano approvata nel marzo 2004. Andamenti analoghi si riscontrano anche in quasi tutti gli altri piani strategici esaminati. 2.9 I “progetti bandiera”: le diverse soluzioni osservate La lettura dei principali documenti prodotti dalle 16 città che hanno avviato processi di pianificazione strategica ha permesso di individuare come elemento quasi costante la presenza di azioni o progetti cosiddetti “bandiera”. Si tratta delle proposte di intervento operativo che esprimono le finalità del piano, ovvero che simboleggiano la “visione” che un dato piano strategico intende realizzare. Al termine azione bandiera va attribuito il significato di un progetto concreto (materiale o immateriale non importa) in grado di simboleggiare la visione che il piano nel suo complesso intende raggiungere. Da un punto di vista qualitativo le azioni bandiera sono apparse tali quando sono state ritenute rilevanti sotto almeno uno dei seguenti aspetti: 1. Economia locale. Le azioni bandiera più di altre sembrano generare benefici per l’intera città o per l’intero territorio di riferimento del piano nei casi in cui siano coinvolti diversi comuni. 2. Valore intangibile. Con le azioni bandiera si mobilitano le forze locali pubbliche e private facendo leva, tra il resto, su valori intangibili quali la comune volontà di dare un segnale forte dell’uscita da una spirale di declino economico e sociale attraverso un progetto simbolico (un ponte, una infrastruttura, una sede istituzionale, un grande evento e così via). In questo modo le azioni bandiera partono da un sentire comune e lo rafforzano nel corso del processo di preparazione e realizzazione. 92 3. Valore mediatico. Le azioni bandiera più efficaci sono quelle che hanno una o più componenti di forte impatto mediatico, per cui è molto più frequente nei casi esaminati che le azioni bandiera siano costituite da progetti di tipo materiale che immateriale. Le azioni bandiera di conseguenza sembrano rispondere all’esigenza di essere trasmesse al grande pubblico dai mezzi di informazione di massa in modo da poter alimentare le azioni di marketing territoriale che sono quasi sempre presenti nei piani strategici. Per ognuno dei casi esaminati in dettaglio nel CD allegato si presentano tutte le azioni bandiera previste dal rispettivo piano strategico. In questa sede è più opportuno soffermarsi su alcuni aspetti di interesse generale che l’esame delle azioni bandiera suggerisce. In generale le azioni bandiera indicate nei piani esaminati si riferiscono sia a progetti di tipo materiale (ad esempio costruzione di edifici, strutture ed infrastrutture urbane), sia a progetti di tipo immateriale, quali la formazione professionale, la valorizzazione di marchi territoriali, e così via. I progetti di tipo materiale sono di gran lunga i più frequenti per le ragioni appena richiamate. In tutti i casi (azioni materiali e immateriali) le azioni bandiera riscontrate nei casi esaminati rispondono almeno in parte ai tre criteri sopra esposti. Ma l’indagine ha anche rilevato che le azioni bandiera non sempre sono presentate con un diverso grado di articolazione rispetto alle azioni ordinarie. In questo senso occorre osservare che in alcuni dei 16 casi esaminati non si trova alcuna indicazione esplicita o indiretta di azioni “bandiera”. Anzitutto si devono escludere i 2 casi in cui la preparazione del piano strategico non ha ancora portato ad un risultato finale (Cuneo e Vercelli) e il caso di Roma, in cui si è interrotto il processo di pianificazione strategica. In secondo luogo si deve segnalare il caso di Venezia, in cui il documento finale volutamente non indica né le specifiche azioni ordinarie né le azioni bandiera, per lasciare la flessibilità di una loro definizione puntuale nel corso del processo di attuazione. All’interno dei rimanenti 12 casi si distinguono 5 piani strategici in cui non si indicano in modo esplicito delle “azioni bandiera” con questa dizione: Firenze, Trento, Pesaro, Varese, Sesto San Giovanni. Tuttavia, è chiaro che questi 5 piani, come gli altri piani strategici giunti alla fase di completamento e approvazione, ed ora in fase di attuazione, lasciano intendere dalla loro lettura complessiva una gerarchia tra le concrete azioni previste. Pur se assente la dizione “azioni bandiera”, è chiaro che ad alcune tra le azioni previste si attribuisce una importanza particolare. Ad esempio, nel caso di Firenze, l’azione concernente il “Parco metropolitano dell’area fiorentina” è considerata dalla maggioranza degli operatori pubblici e privati che hanno contribuito al piano strategico, come uno dei risultati più importanti del piano stesso. Nel caso di Pesaro sono individuati due “progetti 93 magnete” che hanno il compito di agire da traino per lo sviluppo delle relazioni sociali e del benessere economico di tutta l’area del piano. L’azione bandiera del piano di Trento può essere individuata nella riqualificazione dell’area industriale dismessa della Michelin. Si tratta della singola azione che, se attuata, potrà avere, tra tutte quelle previste, l’impatto maggiore sulla città e sulla sua area circostante. Le città in cui i piani strategici indicano in modo esplicito delle azioni di bandiera sono le seguenti sette: Torino, Genova, Perugia, La Spezia, Piacenza, Verona, Copparo. Dal punto di vista quantitativo (si veda in dettaglio la documentazione allegata nel CD) questi sette piani contengono un numero di azioni bandiera che vanno da un minimo di 10 (Torino) ad un massimo di 27 (Piacenza). Per dare una idea più precisa di che cosa si intenda per “azioni bandiera” nella pratica dei piani strategici italiani, è utile soffermarsi a titolo di esempio su quanto previsto dai piani strategici di Torino e di Perugia, cioè dal primo piano strategico urbano approvato in Italia (Febbraio 2000) e dall’ultimo piano approvato (aprile 2004) tra i 7 casi sopra menzionati. Il piano di Torino ha indicato nel complesso 10 azioni bandiera costituite da un insieme di progetti e programmi volti nel loro insieme a delineare la Torino post industriale. Da notare che non figura, tra le azioni bandiera, l’attuazione dei XX Giochi Olimpici Invernali (Torino 2006), in quanto questa iniziativa più che una singola azione era stata intesa come un potente motore per l’attuazione dell’intero piano strategico, come di fatto è avvenuto. Osservando le azioni bandiera del primo piano strategico italiano emergono in modo evidente gli orientamenti che lo hanno ispirato e la sua visione di fare della città di Torino una metropoli europea. Solo 1 azione delle 10 previste riguarda progetti a carattere prevalente di tipo edilizio-infrastrutturale (il potenziamento della rete ferroviaria e dell’aeroporto), mentre le rimanenti hanno per oggetto iniziative per il turismo, la ricerca, la formazione, il commercio, la coesione sociale e il governo locale. Tra le poche azioni bandiera che non risultano attuate vi era quella di realizzare nell’area torinese un organismo per il governo metropolitano. L’idea di avere una forma di governo metropolitano nasceva da esigenze reali di Torino e dei comuni limitrofi, presenti anche nelle altre maggiori città italiane, quali ad esempio un coordinamento delle politiche in materia di urbanistica, trasporti, risorse idriche, rifiuti, fiscalità locale. Si trattava quindi di un obiettivo molto innovativo ed evidentemente i tempi erano prematuri per porre una tale questione, ma il lavoro svolto potrebbe rivelarsi prezioso in un prossimo futuro. Nel caso di Perugia, il piano strategico ha introdotto un triplice livello gerarchico tra le 100 azioni previste: azioni “normali” (83), azioni “bandiera” (17) e azioni “fondamentali” (4 delle 17 azioni bandiera) che vengono anche definite come “progetti trainanti” dell’intero piano per la loro dimensione finanziaria, territoriale e culturale. Si tratta di azioni così 94 rilevanti per l’area di Perugia da costituire elementi cardine della visione proposta dal piano e articolata nelle 7 linee strategiche individuate. Le quattro azioni fondamentali riguardano la mobilità interna dell’area urbana e la riorganizzazione complessiva del polo sanitario di Perugia. Il piano di Genova indica 16 azioni bandiera che vertono in gran parte sulla riqualificazione delle aree dismesse (ex industrie siderurgiche) e sulla riorganizzazione dell’area portuale indicata come il motore economico della città. Non mancano progetti di tipo immateriale come l’azione volta alla “riorganizzazione della macchina comunale”. La filosofia di fondo che emerge dalla lettura di queste azioni bandiera è un chiaro indirizzo del piano ad orientare lo sviluppo del capoluogo ligure verso un ruolo nuovo in campo culturale facendo leva sulla nomina a Capitale Europea della Cultura per il 2004. Per quanto riguarda i rimanenti casi, si nota che il piano strategico di La Spezia indica 27 azioni bandiera, quello di Piacenza 25 e il piano di Verona 19. Nella città di La Spezia la maggior parte delle azioni riguarda la transizione verso una economia locale sempre meno dipendente dalle attività industriali tradizionali del porto e sempre più orientata alle nuove attività industriali, commerciali e culturali che dovrebbero consentire la diversificazione della base economica locale. A Piacenza le azioni bandiera presentano un particolare mix di iniziative che vanno dal rafforzamento delle colture agricole di pregio, al sostegno delle imprese della net-economy, all’integrazione dei lavoratori extra-comunitari, al sostegno del commercio e del settore ricettivo. Il piano strategico di Verona sembra indicare attraverso le sue 19 azioni bandiera la volontà di sviluppare la città per poli (da quello finanziario, a quello turistico al settore della logistica), di integrare nel tessuto economico i neolaureati e gli extra-comunitari, di favorire le imprese a conduzione giovanile, di sviluppare un sistema di verde urbano come elemento unificatore delle varie parti cittadine. Per quanto riguarda i comuni minori si nota, nel caso di Copparo, che la maggioranza delle 16 azioni bandiera sono volte ad offrire ragioni concrete ai giovani del luogo per radicarsi nel territorio con nuove imprese economiche e con un livello maggiore di associazionismo (politico, culturale e sportivo). Va ricordato infatti che tra le motivazioni iniziali per la preparazione del piano strategico del Copparese vi era quella di contrastare la diminuzione della popolazione e il suo progressivo invecchiamento attraverso progetti concreti e con prospettive di medio e lungo termine. In molti dei 16 piani strategici si indica quale azione bandiera la realizzazione dell’Agenda 21. In qualche piano l’Agenda 21 è presentata come una intera linea strategica. L’attenzione per l’ambiente urbano (articolato anche in tutela del paesaggio e del verde agricolo) appare quindi come una componente esplicita di molti piani strategici. 95 In conclusione l’indagine ha permesso di rilevare che in genere i piani strategici osservati si limitano a presentare le azioni più rilevanti definendole di volta in volta “azioni di bandiera”, “progetti magnete”, “progetti trainanti”, “azioni cardine”, “azioni fondamentali” e così via. Nella grafica dei documenti l’individuazione di tali azioni è facilitata da particolari evidenziazioni tipografiche (grassetto, corsivo, presenza di asterischi, frecce, ecc.). In molti casi le azioni più rilevanti sono descritte con maggiore dettaglio rispetto alle azioni ordinarie. In qualche caso, le principali azioni sono differenziate per tipo di governance richiesta o in base ai tempi previsti per la loro attuazione. Si ha l’impressione che per quanto riguarda le caratteristiche del “prodotto documentale” del piano strategico resti ancora molto lavoro da fare, soprattutto nella selezione delle azioni bandiera e nella argomentazione logica che connette le azioni bandiera individuate e la visione del rispettivo piano strategico. In primo luogo, le azioni “ordinarie” individuate dai piani esaminati sono, in generale, dell’ordine di molte decine, se non un numero superiore al centinaio. Si tratta, in generale, di un numero di azioni molto, forse troppo, grande per essere il frutto di una selezione rigorosa, fatta a monte, tra azioni con valenza strategica e azioni con valenza ordinaria. In secondo luogo, non sempre avviene che l’indicazione delle azioni bandiera sia accompagnata da una descrizione dettagliata e da argomentazioni tali da mettere in luce come le iniziative materiali e immateriali previste possano essere ritenute fondamentali, più delle azioni “ordinarie”, per la realizzazione della visione indicata per l’intero piano strategico. In terzo luogo, quando è presente una sufficiente descrizione delle azioni bandiera si è notato che in alcuni casi manca comunque una adeguata esposizione di quanto si prevede di fare (in termini di soggetti, risorse, modalità, tempi, connessioni con altre azioni del piano) per l’attuazione delle azioni stesse. Infine, nei casi in cui i piani oggetto dell’indagine sono in fase di attuazione da alcuni anni, si può osservare che non sempre alle azioni bandiera è dedicato un focus particolare nel lavoro di monitoraggio interno e soprattutto di rendicontazione verso l’esterno (cioè verso la comunità locale e in generale l’opinione pubblica) dei risultati positivi e degli eventuali problemi riscontrati nel corso del processo di attuazione. Vi sono casi in cui alcune azioni bandiera risultano impraticabili dopo alcuni anni dalla approvazione del piano, ma non sempre il loro declassamento ad azioni ordinarie o semplicemente ad azioni non più in agenda è argomentato nei periodici report di aggiornamento dei piani. Diffondere anche le notizie sulle azioni non più attive e le ragioni per le quali una azione bandiera non è più tale potrebbe essere una buona occasione di crescita collettiva, oltre che una buona pratica di gestione professionale di un piano strategico. Vale la pena di ricordare, in proposito, che la pianificazione strategica urbana trae la sua forza dall’essere 96 un progetto partecipato e condiviso anche (se non soprattutto) nel corso della sua attuazione. Se la fase di gestione di un piano è attuata senza lo spirito di partecipazione e condivisione, che pure doveva essere in loco nella fase di preparazione del piano, si rischia una gestione autoreferenziale da parte dell’ente locale, in ultima analisi una gestione debole sotto il profilo politico e anche poco interessante sotto il profilo tecnico. Una indicazione esplicita e quanto più possibile completa e verificabile delle azioni bandiera apporta un vantaggio evidente al piano strategico inteso come strumento di pianificazione integrata, di tipo pubblico e privato e di area vasta. Infatti, la descrizione dettagliata delle azioni bandiera di un piano strategico permette di verificare in concreto come si intenderebbe tradurre la visione generale che il piano individua in realtà. In assenza di una indicazione delle azioni bandiera, o addirittura in assenza di qualsiasi descrizione delle azioni concrete nelle quali si articola il piano, appare difficile se non impossibile esercitare una corretta funzione di monitoraggio e valutazione di efficacia del piano stesso. Il giudizio su un piano così impostato dovrebbe essere fatto esclusivamente sulla metodologia adottata per la sua preparazione, sulla correttezza delle procedure seguite, sulla bontà della visione, delle linee strategiche e degli obiettivi del piano. In definitiva, la mancata indicazione esplicita delle azioni bandiera (o addirittura l’assenza di qualsiasi indicazione su quali azioni concrete, ordinarie o di bandiera, andrebbero realizzate) rende il piano strategico uno strumento di pianificazione più debole e forse valido solo per i suoi indirizzi generali. Senza le azioni bandiera un piano risulta privo di scelte fondamentali che sono semplicemente spostate in una fase temporale successiva, in luoghi forse diversi da quelli in cui i soggetti istituzionali pubblici e i rappresentanti degli interessi privati si sono incontrati per avviare il progetto del piano strategico. Anche la metodologia di pianificazione ne risulterebbe impoverita, perché le scelte più importanti per una data area urbana verrebbero prese con metodi forse diversi da quelli del piano strategico, che si basa sul confronto aperto tra i soggetti sociali, e sulla partecipazione e condivisione fondate su una visione comune di sviluppo urbano. 2.10 Gli organismi istituiti per lo studio e per l’attuazione del piano strategico L’analisi della documentazione originale relativa ai 16 casi studio, restituisce un quadro organizzativo piuttosto diversificato da parte degli enti locali promotori del processo per costruire il piano strategico. La corretta definizione degli organismi coinvolti a vario titolo nello studio e nell’attuazione dello strumento di pianificazione richiede, necessariamente, anche un richiamo alla fase precedente l’avvio della preparazione di un piano, cioè alla fase in cui in una determinata città o in un territorio comprendente più comuni si costituisce 97 una committenza, in genere come insieme di soggetti pubblici e privati, e scaturisce la decisione di fare un piano strategico. Sembra quindi utile, in via preliminare, segnalare l’esistenza nella realtà della distinzione delle tre fasi fondamentali che si possono identificare nel ciclo di vita di ogni piano strategico: 1. Costituzione della committenza. In questa fase si aggregano i soggetti pubblici e privati che hanno un interesse comune a commissionare il piano strategico dal punto di vista politico e che hanno il potere di approvare il piano una volta completato. 2. Preparazione del piano. Si tratta della fase in cui gli organismi o le strutture che hanno ricevuto uno specifico mandato da parte della committenza (i soggetti di cui al punto precedente) svolgono le attività tecniche necessarie alla produzione dei documenti del piano attraverso le procedure partecipative messe a punto con l’avallo della committenza. 3. Attuazione del piano. Si tratta della fase che si apre immediatamente dopo l’approvazione del piano strategico da parte della committenza, lo stesso insieme di soggetti pubblici e privati che ha dato l’incarico iniziale, con le modifiche e integrazioni intercorse nel periodo di preparazione del piano stesso. Per quanto riguarda il primo punto (costituzione della committenza), come abbiamo già indicato in precedenza, l’iniziativa di avviare la preparazione di un piano strategico parte in genere dal comune maggiore di una data area. Ma quasi sempre il comune maggiore cerca fin dall’inizio di coinvolgere attivamente altri enti locali, i più importanti rappresentanti degli interessi privati collettivi e i rappresentanti dell’associazionismo etico, culturale e religioso (il terzo settore). In questo modo si cerca di fare commissionare il piano non dal solo comune maggiore ma dall’insieme di tali soggetti, riuniti ad hoc in un apposito organismo (denominato in genere il “Forum dello Sviluppo”) oppure già presenti in un organismo trasversale avente le stesse caratteristiche di un Forum dello Sviluppo e magari anche una competenza territoriale più ampia di quella del solo comune che ha iniziato il processo. L’analisi sul campo e l’esame della documentazione relativa ai 16 casi esaminati mettono in luce che in almeno 8 casi l’organismo istituito per avviare il processo di pianificazione strategica è stato il Forum dello Sviluppo (o dizioni similari), cioè un Comitato di rappresentanza dei maggiori soggetti e interessi pubblici e privati dell’area. Per quanto riguarda le città capoluogo di regione, ovvero le realtà urbane più complesse (Firenze, Genova, Perugia, Torino, Trento), la scelta di costituire un Forum dello Sviluppo è stata compiuta in quattro casi su cinque. Il Forum ha svolto il ruolo di committente del piano strategico e di soggetto collettivo dotato del potere di approvare il piano stesso una volta 98 definito il documento finale. Tra le città capoluogo di provincia il piano è stato commissionato da un Forum anche nei casi di La Spezia, Piacenza. Lo stesso è avvenuto formalmente anche nel piano del Copparese, anche se in questo caso il ruolo del Forum è stato più sfumato, rispetto al ruolo forte svolto dall’Associazione dei Comuni. Anche in alcuni dei casi rimanenti si deve comunque registrare il ruolo più o meno importante di un organismo collettivo di tipo pubblico e privato nella fase di decisione iniziale circa l’opportunità di avviare un piano strategico. Ad esempio il ruolo del Forum nel caso del Nord Milano risulta piuttosto travagliato. Nel febbraio 1999, dopo tre anni di lavoro comune nella Asnm, le amministrazioni comunali di Bresso, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese e Sesto San Giovanni (comune con il maggior numero di abitanti) decisero di dare vita al piano strategico del Nord Milano. La preparazione del piano è coordinata dalla Asnm con la collaborazione delle forze economiche e sociali, dei soggetti istituzionali, degli attori culturali che animano questo territorio, oltre a quelli che già fanno parte della stessa Asnm (i 4 comuni, la Provincia di Milano, la Camera di Commercio di Milano e la Finlombarda, l’ABB, la Banca di Credito Cooperativo, la SVI Lombarda, l’Edimarelli, la Brollo Marcegaglia e la Falck). In questo caso non si ha un ruolo continuativo da parte di un Forum come soggetto referente del piano, ma un Forum viene comunque istituito il 29 febbraio 2000 su iniziativa del Settore Attività Produttive della Provincia di Milano. Successivamente il Forum viene sciolto senza che la preparazione del piano, in corso da tempo, subisse intralci particolari, indizio che il Forum in questo caso specifico non ha svolto una funzione centrale. Infatti, va ricordato, che per Asnm il referente del piano è stato fin dall’inizio l’insieme dei 4 sindaci dei comuni coinvolti, che a tal fine hanno costituito una “cabina di regia”. La Asnm ha guidato la preparazione del piano strategico considerandolo un documento tecnico in evoluzione, senza predisporre un documento quadro iniziale, forse considerato troppo vincolante o troppo difficile da definire in anticipo per un processo di pianificazione privo di una procedura consolidata. Le impostazioni definite nel piano strategico del Nord Milano vengono assunte in modo sostanzialmente completo dal PTCP della Provincia di Milano. Nei restanti 7 casi (tra le città maggiori Roma e Venezia, mentre tra le città capoluogo di provincia Cuneo, Pesaro, Varese, Vercelli, Verona) si è dato avvio al processo di pianificazione strategica senza la costituzione formale di un Forum dello Sviluppo. Nella pratica va segnalata comunque un certa flessibilità nella definizione degli organismi deputati a governare il processo di preparazione dei piani strategici. Ad esempio, a Pesaro l’idea di predisporre un piano strategico della città nasce all’interno della logica della partecipazione e cooperazione dei soggetti locali ed è il risultato dell’attività dell’Urban 99 Center struttura interna al Comune di Pesaro costituita per la costruzione della visione condivisa e partecipata sulle strategie della città. La proposta di costituire l’Urban Center, attivo dal 1999, era già negli obiettivi del programma di governo del sindaco per la legislatura 1999-2004. La costruzione della visione del piano strategico comporta un impegno di circa un anno e mezzo da parte dell’Urban Center che procede, in prima battuta, secondo un approccio di tipo partecipativo e, in seconda battuta, di tipo costitutivo. Nel luglio 2002, si è avuta la presentazione pubblica alla città del piano nel contesto della Conferenza Strategica. Per quanto riguarda la seconda fase di ogni piano strategico (preparazione del piano), l’analisi dei casi oggetto dell’indagine ha permesso di rilevare una varietà di soluzioni. In tutti i casi qui considerati, le strutture necessarie a svolgere le attività di coinvolgimento e partecipazione tecnica e gli studi atti a definire il piano si possono ripartire in due categorie: 1. Strutture interne dell’ente promotore; 2. Strutture esterne dell’ente promotore. Gli organigrammi di tali strutture, forniti direttamente dai soggetti incaricati della preparazione o gestione dei diversi piani strategici considerati, sono riportati per esteso nel CD allegato. Per comodità riportiamo qui di seguito una tabella riassuntiva della organizzazione per il processo di costituzione dei 16 piani strategici analizzati. Nella varietà delle soluzioni osservate emerge come elemento costante il fatto che l’organismo informale o il soggetto istituzionale incaricato della preparazione del piano può operare con efficacia solo nella misura in cui la comunità locale percepisce in modo chiaro il mandato ricevuto da parte della committenza. La fase di preparazione del piano poggia sulla forza delegata da parte dei soggetti che hanno commissionato il piano stesso. Le molteplici attività tecniche richieste per la definizione di un piano strategico richiedono il coinvolgimento di un gran numero di soggetti pubblici e privati, spesso operanti in un’area territoriale vasta. Questa intensa attività può essere svolta in modo efficiente ed efficace solo se è chiaro che l’azione del soggetto incaricato dalla committenza della fase di preparazione del piano poggia la sua azione sulla forza morale che deriva dal riconoscimento da parte dell’opinione pubblica del ruolo che potrebbe svolgere il piano strategico per la rinascita della comunità locale. 100 Tabella 2.10.1 Quadro comparativo degli organi previsti per la preparazione e attuazione del piano strategico Piani Organizzazione per il processo di pianificazione strategici analizzati Copparo (FE) 1. Coordinatore istituzionale del piano 2. Coordinatore scientifico del piano 3. Direttore e Vice direttore del piano 4. Comitato Tecnico Scientifico 5. Presidenti dei gruppi di lavoro 6. Segreteria del piano Cuneo 1. Struttura organizzativa del Comune di Cuneo 2. Supporto tecnico-scientifico e monitoraggio svolto da consulenti esterni che fanno capo ad un Master in Sviluppo Locale Firenze 1. Ufficio del piano 2. Comitato Promotore 3. Comitato Scientifico 4. Comitato di Coordinamento del piano strategico (derivato dal comitato promotore e considerabile come Forum dello Sviluppo) 5. Comitato di redazione (costituito da alcuni membri del comitato di coordinamento) Genova Uffici comunali Il processo è stato fin da subito incanalato verso il summit del G8 del 2001, e a sostegno del ruolo di Genova Capitale Europea della Cultura nel 2004 La Spezia 1. Consiglio di piano 2. Segretariato di piano 3. Coordinatore di piano 4. Direzione Generale di piano 5. Gruppo di consulenti esterni a supporto attività dei diversi organi Perugia 1. Comitato interistituzionale permanente 2. Direttore e Vice direttore del piano 3. Coordinatore istituzionale 5. Comitato tecnico scientifico 6. Segreteria del piano 101 Pesaro 1. Urban Center 2. Protocollo d’intesa 3. Comitato Direttivo 4. Gruppo di Coordinamento integrato da consulenti esterni Piacenza 1. Stati Generali 2. Patto per Piacenza 3. Comitato Strategico (Forum dello Sviluppo) 4. Soggetto di supporto tecnico-metodologico 5. Gruppo di Coordinamento 6. Segreteria Roma Comitato Tecnico-Scientifico in stretta collaborazione con tecnici del Comune di Roma Sesto San Giovanni (MI) 1. Agenzia Sviluppo Nord Milano (coordinamento operativo) 2. Coordinatore Scientifico 3. Coordinatore Torino 1. Comitato di Coordinamento 2. Comitato Scientifico 3. Forum dello Sviluppo (nella fase di preparazione del piano) 4. Associazione Torino Internazionale (nella fase attuativa del piano) Trento 1. Gruppo di indirizzo piano strategico 2. Tavoli di lavoro della fase di diagnosi 3. Progetto coordinamento delle politiche per il piano strategico di Trento 4. Referenti scientifici esterni Varese 1. Commissione Consiliare Speciale per il piano strategico 2. Associazione Varese Europea con il compito di individuare le azioni per il piano (struttura interna) 3. Comitato Scientifico (struttura esterna) Venezia Ufficio del piano a cui fa capo un’apposita struttura esterna Vercelli Il Comune di Vercelli per il supporto tecnico-scientifico e il monitoraggio ha incaricato consulenti esterni che fanno capo ad un Master in Sviluppo Locale Verona Il Comune di Verona è affiancato da un gruppo di consulenti scientifici esterni che seguono la predisposizione della metodologia operativa per la costruzione del piano strategico Fonte: elaborazione su dati dei 16 piani strategici inclusi nell’indagine Nella maggior parte dei casi l’attività tecnica e scientifica necessaria alla preparazione del piano strategico è stata svolta da professionisti esterni alla struttura dell’ente locale. Comunque in tutti i 16 casi appare evidente che le strutture tecniche interne ai comuni 102 hanno svolto funzioni insostituibili nella collaborazione con i consulenti esterni per la messa a punto di determinate analisi, per la raccolta di informazioni puntuali dai soggetti pubblici e privati più rilevanti dell’area e in generale per il supporto dell’intero processo di elaborazione tecnica dei piani strategici. Va comunque notata una serie di specificità locali. Nei piani di Genova e Venezia le strutture comunali sembrano aver svolto un ruolo diretto più rilevante che in altri casi. In ambedue questi casi i rispettivi piani strategici hanno preso in considerazione, nella fase di analisi, un’area vasta (intercomunale e regionale) ma hanno poi registrato una partecipazione attiva alla elaborazione delle scelte e la sottoscrizione del piano del solo comune capoluogo di regione. Nel caso di Venezia questa scelta è derivata anche dalla presenza, all’interno della struttura dell’ente locale, di un apposito assessorato alla pianificazione strategica che ha svolto in prima persona la regia della preparazione del piano, pur ricorrendo al contributo di alcune consulenze esterne. Un ruolo analogo è stato svolto per la preparazione del piano di Trento dall’assessorato alla promozione economica del comune, anche qui con apporti di consulenti esterni. Nei casi di Torino e Firenze la preparazione dei piani è stata affidata a organismi ad hoc molto strutturati, rispetto alle altre città, che hanno potuto contare fin dall’inizio su un equilibrato mix di risorse pubbliche e private. Inoltre in ognuno di questi casi il lavoro di preparazione è stato sostenuto dal contributo continuo di un Comitato Tecnico Scientifico di livello internazionale e da un Comitato di Coordinamento rappresentativo delle più importanti realtà pubbliche e private di una vasta area metropolitana. Tutte queste caratteristiche si ritrovano anche nella preparazione del piano di Perugia, compreso il coinvolgimento attivo (dall’inizio e fino alla sottoscrizione del piano) dei comuni limitrofi, elemento che richiede una particolare funzione di leadership da parte del comune maggiore che ha iniziato il processo. L’unica eccezione del caso di Perugia, rispetto a Torino e Firenze è che il supporto operativo alla elaborazione del piano è stato fornito da una segreteria tecnica di funzionari e dirigenti del comune. In questo senso il ruolo svolto dal Comune di Perugia è stato più simile a Genova, Venezia e Trento che a Firenze e Torino. Anche nella preparazione dei piani di Copparo e di Varese si è potuto notare il ruolo positivo di un Comitato Tecnico Scientifico, svincolato da compiti organizzativi o di gestione. Per quanto riguarda la terza fase (attuazione del piano), ad oggi pochi dei 16 casi oggetto dell’indagine presentano una storia sufficiente per una analisi approfondita. Occorre comunque rilevare che in diversi casi l’onore e l’onere della attuazione e periodica revisione del piano sembra essere stato posto su associazioni di tipo misto (pubblico e privato), nelle quali il principale supporto logistico e finanziario è fornito dall’ente locale. Il ruolo degli altri soggetti pubblici e dei soggetti privati facenti parte del Forum dello Sviluppo (laddove 103 questo organismo era il soggetto committente) o dei soggetti comunque coinvolti attivamente nella fase di preparazione, sembra essere stato il più delle volte modesto nella fase attuativa. Questo dato emerge dalla osservazione dettagliata delle risorse di tipo finanziario che risultano messe a disposizione per le attività di monitoraggio e di aggiornamento periodico dei piani. Va però anche rilevato che nei casi dei piani avviati da maggiore tempo (ad esempio Torino e Firenze), il contributo dei soggetti privati nella fase di attuazione appare in crescita, soprattutto sotto il profilo delle proposte di nuovi progetti o di idee per la modifica e l’aggiornamento di azioni indicate nel documento iniziale del piano. Un altro indicatore di un supporto crescente dei soggetti privati è l’ampliamento del numero dei membri delle associazioni preposte alla gestione dei piani, che registrano nel tempo anche l’inclusione di altri soggetti pubblici in aggiunta agli enti locali che hanno avviato il processo. L’esame dei 16 piani oggetto dell’indagine consente di trarre la conclusione che la grande varietà delle relazioni tra il soggetto incaricato della preparazione del piano e il soggetto committente deriva da molteplici condizioni locali, tra cui: i rapporti tra il comune maggiore e i comuni limitrofi; lo stato delle relazioni sociali tra i principali soggetti pubblici e privati del luogo; l’abitudine a lavorare per obiettivi e con moderni criteri manageriali (programmi settoriali e di mandato, controllo interno di gestione, utilizzo di indicatori di efficienza ed efficacia, ecc.) all’interno dell’ente locale che inizia il processo di pianificazione strategica; la disponibilità di risorse finanziarie correnti e straordinarie; la necessità di predisporre il piano strategico entro una determinata scadenza imposta da eventi esterni o scelta dall’ente locale in relazione a sue esigenze interne. Non sembra quindi possibile indicare in modo astratto una modalità migliore di altre. Resta tuttavia aperta alla discussione l’esigenza di definire se esistano delle componenti metodologiche che dovrebbero essere presenti nella preparazione dei piani strategici indipendentemente dalle condizioni locali per la conduzione delle attività di predisposizione dei piani stessi. Un’esigenza che fin d’ora appare chiara è quella di sottolineare la necessità di una distinzione teorica ed operativa tra le funzioni dei soggetti committenti il piano, le funzioni dei soggetti incaricati della sua preparazione e le funzioni dei soggetti preposti alla attuazione del piano stesso. Nel primo caso il ruolo guida è di sola competenza degli amministratori eletti e degli altri soggetti decisionali (pubblici e privati) che l’ente locale maggiore riesce a coinvolgere. Nel secondo caso (la preparazione del piano) entrano in gioco sia soggetti interni all’ente locale maggiore che inizia il processo, sia soggetti esterni che apportano competenze specialistiche (il Comitato Scientifico, consulenti singoli, ecc.) e che, nel contempo, svolgono anche la funzione di allargare il bacino di consenso del piano. Nel terzo caso (attuazione) sembra 104 necessario distinguere due fasi. In un primo periodo il ruolo principale di attuazione del piano sembra affidato agli stessi soggetti che lo hanno predisposto, che rendicontano dell’attuazione alla loro committenza come in precedenza facevano per le diverse tappe della preparazione del piano. Si tratta dei casi in cui il soggetto attuatore è in buona parte o in tutto collocato all’interno dell’ente locale che ha promosso il processo. In un secondo periodo la responsabilità dell’attuazione del piano passa a un soggetto specifico, in cui l’ente locale svolge sempre funzioni di riferimento e di sostegno fondamentali, ma nel quale sono presenti in modo effettivo anche gli apporti di altri soggetti pubblici e dei principali soggetti collettivi privati dell’area. Altra questione che richiederà futuri approfondimenti specifici è la definizione del tipo di professionalità tecniche che si dovrebbero prevedere, come costante nelle fasi di preparazione e di attuazione del piano strategico, fatte salve le specificità locali che potrebbero richiedere in aggiunta determinati tipi di saperi. Infine è probabile che in generale meriterà anche una riflessione specifica la definizione dei vantaggi e svantaggi connessi ai diversi modelli istituzionali del soggetto attuatore del piano (fondazione, associazione, agenzia, ecc.) laddove si ravvisi la necessità di portare all’esterno dell’ente locale che ha avviato il processo di pianificazione strategica tale funzione, dando veste giuridica propria al soggetto incaricato della attuazione del piano. 2.11 I prodotti del piano strategico Da una prima lettura della documentazione reperita, emerge che al mese di ottobre 2004, le città che hanno portato a termine il processo di costruzione del piano sono 13 su 16, cioè Firenze, Genova, Perugia, Torino, Trento, Venezia, La Spezia, Pesaro, Piacenza, Varese, Verona, Copparo e Sesto San Giovanni. In quasi tutti i 13 casi citati (fanno eccezione le città di La Spezia e Varese) il processo di pianificazione si è concluso con un “prodotto definitivo” inteso come documento che descrive in forma compiuta e dettagliata la visione, le linee strategiche, gli obiettivi, le azioni. Tali documenti finali sono riportati in versione integrale e per tutte le città che li hanno prodotti nel CD allegato. Nella tabella che segue si presenta l’elenco dettagliato delle città nelle quali il processo di pianificazione è pervenuto a un “prodotto definitivo” in senso documentale, tralasciando per ora ogni altra considerazione sul rapporto tra prodotto e processo. 105 Tabella 2.11.1 Quadro riassuntivo delle città con il prodotto definitivo piano strategico Principale Titolo piano Inizio processo Data di adozione del soggetto prodotto “piano promotore strategico” Copparo (FE) Piano strategico 1909-2009 Novembre 2002 Firenze Firenze 2010. piano strategico Dicembre 2000 Marzo 2004 Dicembre 2002 dell’area metropolitana fiorentina Genova Piano della Città di Genova Maggio 1999 Gennaio 2002 Perugia Perugia Europa 2003-2013 Dicembre 2002 Aprile 2004 Pesaro 2015 Pesaro futuro con vista Luglio 2001 Luglio 2002 Piacenza Piano strategico per Piacenza Ottobre 2000 Gennaio 2002 Sesto San Gio- Piano strategico per lo sviluppo Febbraio 1999 Marzo 2001 vanni (MI) del Nord Milano Torino 1) Torino Internazionale Maggio 1998 Febbraio 2000 2) Secondo piano strategico Autunno 2004 Febbraio 2006 (pre- visione) Trento 1) Trento città delle opportunità Luglio 2000 Ottobre 2003 2) Trento 2020 Autunno 2005 Data non definita Venezia Venezia città metropolitana Maggio 2000 Ottobre 2004 Verona Verona: futuro prossimo Marzo 2003 Febbraio 2004 Fonte: dati tratti dai 16 piani strategici delle città incluse nell’indagine 2.12 L’ambito territoriale di competenza del piano strategico L’ambito territoriale di competenza dei piani strategici delle 16 città esaminate nella presente indagine risulta essere costituito, nella maggior parte dei casi, da più di un comune. Ciò conferma l’idea che il processo di pianificazione strategica è uno strumento che per ragioni intrinseche induce a considerare l’area metropolitana o comunque l’area vasta urbana come il suo ambito di azione ottimale. Sono comunque possibili e di fatto si sono osservati (ad esempio Roma, Genova, Trento) piani limitati al territorio comunale ma per le ragioni che verranno presentate nella parte conclusiva del rapporto sembra che non sia questo il livello territoriale ideale del piano strategico. A Firenze il piano interessa tutta l’area urbana, vale a dire il territorio del Comune di Firenze e quello di altri 9 comuni limitrofi per una popolazione che si aggira sui 600.000 abitanti. Il piano strategico di Perugia concerne un totale di circa 230.000 abitanti distribuiti nel territorio del capoluogo regionale umbro e di altri 6 comuni. Ciò che li 106 accomuna sono gli identici problemi di traffico, dispersione territoriale, tutela del suolo. Nel caso di Torino il piano strategico è stato impostato fin dall’inizio come piano intersettoriale e di area metropolitana. Di fatto vi hanno aderito, oltre al capoluogo piemontese, oltre 20 comuni limitrofi. La popolazione residente interessata è di circa 2 milioni di persone. Il piano di Venezia è un caso particolare in quanto è formalmente limitato al territorio comunale ma indica in modo efficace già nel titolo (Venezia città metropolitana) l’intenzione di calibrare il processo di pianificazione strategica su una scala metropolitana. Per i piani delle città capoluogo di provincia si nota una situazione variegata. Nel caso di Cuneo il piano è limitato, fino ad oggi, al territorio comunale, ma nei documenti prodotti emerge con forza l’idea di considerare l’area del piano coincidente con il “Sistema Locale del Lavoro” (SLL) comprendente 51 comuni per un totale di circa 150.000 abitanti. Il piano strategico della città di La Spezia è rivolto anche a 7 comuni limitrofi che portano la popolazione di riferimento a circa 160.000 persone. A Pesaro il piano coinvolge un’area distrettuale di 10 comuni, e ha ricadute sulla intera Provincia di Pesaro e Urbino in cui vivono circa 340.000 abitanti. L’ambito territoriale di riferimento del piano di Piacenza è rappresentato dalla intera provincia (circa 200.000 abitanti), pur se non si registra un coinvolgimento diretto di altri comuni. Nel caso di Varese la preparazione del piano strategico ha visto coinvolti fino ad ora tutti i comuni dell’area varesina ristretta, intesa come un cerchio attorno al capoluogo (per un totale di circa 80.000 abitanti), e da alcuni dei comuni del resto della provincia. Il piano di Vercelli è solo per il territorio comunale, anche se gli studi preparatori hanno preso in considerazione tutta la provincia, cioè un territorio piuttosto vasto, molto eterogeneo (pianura e montagna) e poco popolato (168.000 residenti). Il piano strategico di Verona è sorto come piano comunale, ma nel corso del processo è stata costituita la “Consulta dei Sindaci dei comuni dell’area metropolitana”, di cui fanno parte 16 comuni oltre a Verona. Quattro dei Comuni della Consulta si sono aggregati in modo formale al capoluogo di provincia per la gestione del piano che riguarda un totale di circa 160.000 abitanti. Nel caso dei comuni minori la tendenza alla aggregazione territoriale appare una regola dalla quale è difficile sottrarsi. Il piano strategico dell’Associazione dei Comuni del Copparese riguarda tutti i 6 comuni coinvolti nella associazione stessa. Nel caso del piano strategico dell’area Nord Milano è stato promosso su mandato dei sindaci di 4 comuni (Bresso, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Sesto San Giovanni) dall’Agenzia di Sviluppo Nord Milano (Asnm). 107 2.13 I principali soggetti pubblici e privati presenti nel processo di studio e attuazione del piano strategico I processi di pianificazione strategica dei 16 casi studio oggetto della presente indagine sono sempre stati concepiti per ottenere il più alto grado di coinvolgimento sia dei soggetti pubblici sia dei principali privati dell’area interessata. La preparazione del piano strategico è stata condotta da soggetti incaricati (appositi uffici comunali, organismi costituiti ad hoc, soggetti esterni, ecc.) a cui il committente politico aveva richiesto di realizzare il massimo coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati dell’area. Ciò è coerente con l’impostazione metodologica prevalente che vede il piano strategico come uno strumento di pianificazione integrata e di area vasta ed anche come uno strumento di nuova governance locale. Naturalmente se questo era il comune intendimento iniziale, nella realtà i diversi piani strategici lo hanno realizzato in grado diverso, a seconda delle difficoltà locali che hanno dovuto affrontare. Ciò emerge dall’esame dei soggetti che hanno approvato i piani al termine della fase di preparazione. In alcuni casi i piani sono stati approvati in forma esplicita sia da soggetti pubblici che privati, in altri casi solo dai soggetti pubblici che lo hanno promosso. Il passo iniziale per avviare la preparazione del piano strategico è sempre stato, nei 16 casi esaminati, dell’ente locale maggiore dell’area, che è anche il soggetto che si è fatto carico del maggiore onere sia organizzativo sia finanziario per sostenere il processo di elaborazione del piano, durato in media un paio d’anni. Tra gli altri soggetti pubblici e privati che hanno contribuito al processo sono presenti in modo costante i seguenti: camera di commercio, unione industriale, associazioni di categoria (albergatori, commercianti, costruttori, ecc.), associazioni sindacali, culturali, sportive e in generale del terzo settore, diocesi e parrocchie, singole banche e grandi imprese del luogo, università. La presenza dell’ente provinciale è stata frequente e a volte conflittuale per il timore (da parte provinciale) che il piano strategico fosse un modo per allargare le competenze del comune maggiore a scapito della provincia. Nel corso dei lavori questo timore si è rivelato infondato e il contributo dell’ente provinciale si è rivelato spesso molto convinto e costruttivo. La presenza delle regioni è stata molto più defilata. In alcuni casi il contributo delle regioni si è manifestato già nel corso della elaborazione del piano strategico, visto dagli amministratori e funzionari regionali come un piano locale, sia pure a volte di area vasta. Ad esempio le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Umbria hanno contribuito alla definizione delle visioni dei piani strategici evidenziando gli indirizzi dei rispettivi piani di sviluppo regionali, che sono stati così assunti come quadro di riferimento. In questi casi le regioni hanno sottoscritto il documento finale dei piani strategici elaborati all’interno dei 108 rispettivi territori regionali. La sottoscrizione è avvenuta anche in altri casi, ma in genere, al di fuori degli esempi citati, le regioni hanno partecipato alla definizione dei piani strategici con apporti piuttosto limitati e formali. Da segnalare, ad esempio, che la Regione Piemonte ha fornito un certo appoggio al processo di preparazione del piano strategico di Torino, ma non ha sottoscritto il documento finale. L’indagine ha permesso di ottenere un quadro dettagliato dei soggetti pubblici e privati che, caso per caso, hanno svolto una funzione attiva nel processo di pianificazione locale. In sintesi si può osservare che è frequente nelle città esaminate la costituzione di un “Forum dello Sviluppo” come soggetto collettivo che agisce da committente del piano strategico, come nei casi di Torino, Firenze, Perugia. In altri casi (ad esempio Roma, Genova, Trento, Venezia) il processo di preparazione del piano è stato svolto sempre in una ottica intersettoriale ma la fase decisionale ha avuto come referente principale se non unico il Consiglio comunale della città che ha avviato l’iniziativa. Anche in questi casi, però, è evidente un costante sforzo di coinvolgimento indirizzato ai soggetti pubblici diversi dal comune maggiore ed ai principali attori privati. Gli strumenti impiegati per attuare il coinvolgimento sono stati numerosi sia nel corso della fase di preparazione (ad esempio attraverso seminari tematici e gruppi di lavoro) sia nella fase di attuazione del piano. 2.14 I principali soggetti pubblici e privati assenti nel processo di studio e attuazione del piano strategico Dalle analisi svolte risulta che, in generale, i piani strategici sono dei formidabili strumenti per attivare la partecipazione. Una volta avviato il processo in modo serio, cioè dando alla partecipazione un peso reale nei meccanismi di formazione delle scelte finali, si è notato che il vero problema è quello della gestione della partecipazione nel tempo. Ciò comporta risorse notevoli, generalmente superiori a quelle disponibili presso un singolo ente locale. Occorre anche dire che l’avvio di un processo partecipativo può a volte sfuggire di mano se: 1) non si sono fatte per tempo le stime corrette delle risorse (umane, logistiche, finanziarie), che dovranno essere assicurate lungo l’arco di tempo medio (da 18 a 36 mesi) necessario per la preparazione dello strumento senza contare poi la sua attuazione; 2) si pensa di alimentare il processo partecipativo esclusivamente o in maniera del tutto prevalente attraverso risorse pubbliche. Detto questo, per determinare con precisione eventuali rifiuti di soggetti collettivi importanti a contribuire a un piano strategico promosso da un ente locale, occorrerebbe 109 una analisi lungo tutto il percorso di preparazione e di attuazione di un determinato piano. Dall’indagine svolta sono comunque emersi alcuni elementi che indicano come si hanno difficoltà a organizzare una partecipazione attiva quando, per un verso o per l’altro, chi è invitato a partecipare si forma la convinzione che il suo eventuale contributo non avrebbe possibilità di modificare il corso delle decisioni in merito a questioni che pure potrebbero unire i diversi soggetti di un territorio. Segnaliamo qui di seguito alcuni di questi casi in cui la partecipazione è risultata inferiore alle aspettative, sia per diretta ammissione dell’ente locale organizzatore del piano strategico, sia per informazioni desunte in loco da altre fonti. • Nel piano strategico di Nord Milano il ruolo di Asnm è stato molto efficace in tema partecipativo, tanto che l’impostazione del piano è stata assunta completamente dal PTCP della Provincia di Milano. I rapporti con i soggetti privati (in particolare i proprietari di alcune aree industriali dismesse), per ammissione della Asnm, sono spesso stati meno collaborativi del possibile, se non addirittura conflittuali in determinate circostanze. • Nel piano strategico di Varese, a fronte di un numero molto alto (34) di soggetti territoriali aderenti a Varese Europea, il rapporto con alcuni comuni limitrofi è passato da collaborativo a conflittuale in taluni casi in cui, a livello provinciale, si è posta la necessità di decidere la localizzazione di servizi collettivi percepiti come dannosi per il territorio circostante (ad esempio il futuro nuovo carcere). Si deve anche rilevare l’assenza dal processo di elaborazione attivo del piano di importanti soggetti collettivi, quali le maggiori organizzazioni imprenditoriali e sindacali dell’area. • Mentre in alcuni casi il piano strategico è stato terreno di fattiva collaborazione tra l’ente locale attivatore del piano e la Provincia, si devono anche registrare casi in cui (come ad esempio a Trento e a Perugia) la provincia ha ritenuto di assumere un ruolo di collaborazione piuttosto defilato, non di contrasto dell’iniziativa ma neppure di sostegno entusiastico. Ciò forse è dipeso da un lavoro insufficiente di ascolto e coinvolgimento, nei tempi antecedenti l’avvio formale della preparazione del piano. • Un fenomeno di parziale autoesclusione ha riguardato in alcuni casi anche l’ente regionale. Ad esempio, nel caso del piano strategico di Torino mente il ruolo della provincia è stato senz’altro costruttivo, quello della Regione Piemonte è stato di sostanziale distacco, fatto che ha portato nel 2000 l’ente regionale a decidere di non sottoscrivere il piano di Torino. Sul lato opposto, vi sono casi non solo di ottima collaborazione ma anche di integrazione funzionale tra il piano strategico promosso 110 da una città capoluogo di regione e il rispettivo ente regionale. Questo è il caso, ad esempio, dell’ottimo rapporto che vi è stato tra il piano strategico Perugia Europa 2003-20013 e il Patto per lo Sviluppo promosso dalla Regione dell’Umbria. • Sono presenti casi di piani strategici che non hanno tra i loro promotori una rappresentanza significativa di soggetti collettivi privati (si vedano in questo senso il piano strategico di Verona, il piano dell’Associazione dei Comuni del Copparese o il caso di Varese). Da notare che nei casi in cui si è dovuta rilevare una partecipazione inferiore a un livello ottimale si è anche notato che la preparazione del piano strategico è stata avviata senza la preliminare o contestuale istituzione di un “Forum dello Sviluppo”. Naturalmente, l’assenza di un tale organismo potrebbe essere stata sia la causa del problema qui evidenziato, sia una prova della preesistenza di relazioni pubblico-private non idonee, almeno in una certa fase, per costruire insieme un progetto di sviluppo del territorio. 2.15 L’attuazione del piano strategico: attori, forme istituzionali, risorse umane e materiali, risorse finanziarie e comunicazione Si è riscontrato che generalmente (11 casi sui 16 coperti dall’indagine) nei piani strategici è prevista la costituzione di una struttura per l’attuazione del piano. Naturalmente la costituzione di una tale struttura è prevista una volta ottenuta l’approvazione del piano da parte dei referenti che lo hanno commissionato, cioè l’ente locale e l’insieme degli altri soggetti pubblici e privati riuniti in un “Forum dello Sviluppo” o in altro soggetto similare che rappresenta la committenza sociale del piano stesso. Allo stato attuale risulta già costituita una struttura specifica per l’attuazione del piano strategico nei seguenti 7 casi: Torino, Firenze, Trento, Pesaro, Piacenza, Varese, Sesto San Giovanni. Negli altri 4 casi (Perugia, Venezia, Verona, Copparo) la prevista struttura è ancora in fase di studio e preparazione. Data la velocità con la quale certe decisioni organizzative sono attuate dopo periodi più o meno lunghi di dibattito e valutazioni interne, è probabile che al momento della diffusione della presente indagine in alcuni di questi 4 casi la situazione si sarà evoluta. È anche possibile che non si arrivi subito alla costituzione di una struttura autonoma ma si passi in una fase intermedia in cui l’attuazione del piano sarà affidata a piccoli uffici interni all’ente locale che rispondono direttamente al soggetto collettivo che ha commissionato il piano (il “Forum dello Sviluppo” o organismi analoghi). Questa sembra essere, ad esempio, la scelta in corso di attuazione nel caso di Perugia. Nei rimanenti 5 casi la situazione è piuttosto variegata. Nella città di La Spezia, fin dal 2001 si sono avviati i lavori di attuazione dei progetti previsti nella bozza di piano strategico, 111 anche se non si prevede alcun organismo autonomo per l’attuazione del piano i cui lavori di preparazione, dopo una interruzione, sono ripresi nel novembre 2003. Si è già rilevata la singolare natura del piano strategico di Genova, che si profila come un piano basato essenzialmente su risorse di origine pubblica, nel quale l’ente locale gioca un ruolo preponderante. Coerentemente con questa impostazione la gestione del piano stesso è svolta direttamente dagli uffici del comune, sui quali è ricaduta la grossa responsabilità della gestione di un flusso di risorse importanti per la realizzazione di due grandi eventi (G8 e Genova Capitale Europea della Cultura 2004). Nel corso dell’indagine sul terreno si è rilevato che i piani strategici di Cuneo e di Vercelli risultavano ancora in fase di preparazione. In ambedue i casi sembrava prematuro porsi il problema della migliore soluzione per la gestione di un piano di cui i responsabili non si azzardavano ancora a fare previsioni circa le date di completamento e di approvazione. Nel caso di Vercelli, come si è detto, la preparazione del piano è stata interrotta dopo le elezioni amministrative del giugno 2004, così come era avvenuto in precedenza a Roma per una ragione analoga. Le strutture dedicate alla attuazione del piano strategico possono essere ricondotte a due tipologie: A. Associazioni e Urban Center B. Organismi, Agenzie, Comitati Nel primo caso (associazioni e Urban Center) la struttura si presenta in genere in modo molto formalizzato, disponendo di uno statuto giuridico, di un organigramma e di uno staff specifico, di una sede e di risorse per la gestione ordinaria delle attività. È appena il caso di osservare che questo tipo di strutture sono più frequenti nei casi in cui il piano strategico è stato approvato da alcuni anni, indipendentemente dalla dimensione della città a cui il piano si riferisce. Ad esempio, dai documenti raccolti emerge che il piano strategico di Trento prevede che le attività di gestione facciano capo all’Urban Center della città. Nel secondo caso (organismi, agenzie e comitati) si tratta normalmente di strutture informali o di piccoli uffici messi in piedi dall’ente locale in modo autonomo o congiuntamente con altri soggetti promotori del piano. La varietà delle situazioni riscontrate sul terreno indica la necessità di approfondire nei dettagli l’esame delle soluzioni approntate per la gestione nel tempo dei piani strategici approvati. Questa analisi è presentata, caso per caso, nel CD allegato. È di interesse generale rilevare che in quasi tutti i 16 casi presi in esame esiste un sito internet approntato prima per la fase di preparazione poi per la fase di attuazione del piano strategico. Spesso il comune promotore ha predisposto, all’interno del suo sito istituzionale, uno spazio per la 112 visione dei materiali e per la preparazione del piano strategico. In qualche caso, ove esiste un organismo specifico per la preparazione e attuazione del piano, il sito internet è distinto da quello dell’ente comunale. In diversi casi, ma non in tutti, il piano strategico è presente anche nel sito istituzionale dei soggetti pubblici e privati che, oltre al comune principale, hanno aderito all’iniziativa. Laddove questo avviene è un ulteriore segnale della condivisione dell’iniziativa da parte di soggetti diversi, sia sul versante delle amministrazioni pubbliche sia sul versante dei soggetti privati. Si tratta di un segno evidente che il piano strategico non è un piano “del comune X o Y” ma un documento di programmazione integrata e di governo locale, di tipo pubblico e privato, spesso di scala territoriale sovracomunale. 2.16 Posizionamento dell’esperienza nel modello di ciclo di vita della pianificazione strategica: punti di forza e debolezza Si è potuto notare che in tutti i casi in cui il piano strategico giunge al termine in modo compiuto (approvazione formale tanto dei soggetti pubblici che di quelli privati), nell’area in questione l’ente locale aveva già avviato in passato diverse altre forme di governance innovativa (PRUSST, PRU, bilancio sociale, ecc.). Ciò rafforza la convinzione che il piano strategico sia solo l’ultimo anello di una catena che tiene insieme esperienze diverse di governo locale che hanno avuto l’unico obiettivo di rendere più efficace l’azione pro-attiva dell’ente locale. Da questa osservazione, se confermata da ulteriori dati empirici che potrebbero emergere dall’analisi dei casi di piani strategici il cui avvio è stato annunciato successivamente alla conclusione della presente indagine, discende anche l’idea che esista nella realtà delle amministrazioni una certa “sequenza” da seguire prima di decidere l’avvio della preparazione di un piano strategico urbano che abbia realistiche possibilità di essere completato e poi attuato con successo. La “sequenza” da seguire, da intendersi come sequenza logica più che temporale, in estrema sintesi è articolata in quattro punti come indicato qui di seguito: 1. avvio di una crescita culturale e tecnica del personale e degli amministratori dell’ente locale per passare da una modalità di governo tradizionale alla governance pro-attiva del territorio; 2. introduzione all’interno dell’ente locale dei metodi gestionali più innovativi e riformulazione della struttura interna dell’ente stesso (introduzione del controllo di gestione, istituzione del nucleo di valutazione con ruolo effettivo di esperti esterni, redazione del bilancio sociale, applicazione del metodo del city management dopo la nomina di un direttore generale, ecc.); 113 3. elaborazione di progetti complessi in campo urbanistico, sociale ed economico (un nuovo PRG o una revisione significativa di un PRG esistente elaborata con una forte componente di coinvolgimento dei soggetti titolari di interessi, programmi di riqualificazione urbana, piani di area vasta, piani d’azione locale discendenti dal processo di Agenda 21, ecc.); 4. decisione partecipata e condivisa, all’interno dell’ente locale, di dare avvio alla preparazione di un piano strategico urbano (cioè di un piano integrato di area vasta) di tipo partecipato e condiviso con i maggiori soggetti pubblici e privati dell’area. Tale decisione va intesa come una continuazione logica di un metodo di governo locale preparato e sperimentato nelle fasi precedenti. La sequenza sopra esposta in sintesi porta l’ente locale a impegnarsi su progetti sempre più complessi dal punto di vista gestionale, fino ad essere pronto ad assumere il ruolo guida all’interno di un processo di pianificazione urbana strategica di area vasta. Nella realtà le prime fasi sono svolte, dal punto di vista temporale, in parallelo. Emerge dalla presente indagine che ciò che è importante per un ente locale è non commettere l’errore di iniziare il percorso di rinnovamento con l’annuncio dell’avvio di un piano strategico urbano senza prima avere almeno avviato le fasi precedenti. 2.17 Ruolo e impatti del processo sulla struttura organizzativa dell’ente Dal punto precedente emerge che avviare un piano strategico urbano nel senso attribuito a tale termine dalla presente indagine (un piano integrato di area vasta, di tipo pubblico e privato, prodotto in un processo di scelte partecipate e condivise) ha sicuramente un impatto significativo sulla struttura organizzativa interna dell’ente che svolge il ruolo di propulsore del piano. Sembra anche probabile che il piano strategico eserciti una funzione di stimolo all’innovazione delle modalità gestionali interne degli altri soggetti, pubblici e privati, che vi partecipano. Le varie attività di preparazione e gestione di un piano strategico possono aiutare i soggetti partecipanti ad adottare al loro interno il metodo di lavoro tipico della pianificazione strategica applicata al territorio urbano che può essere riassunto nei punti seguenti: • definizione degli indirizzi attraverso la concertazione aperta ed esplicita dei diversi interessi, in una dimensione territoriale non limitata a priori dai confini di un singolo comune; • lavoro per obiettivi e non per funzioni; • definizione congiunta tra soggetti pubblici e privati delle singole azioni per attuare una visione concordata entro una data stabilita in un territorio preciso; 114 • ricerca delle risorse per l’attuazione del piano in base agli obiettivi da realizzare e non viceversa. Sembra utile suddividere l’analisi dell’influenza che un piano strategico può esercitare sui soggetti coinvolti in due componenti: l’impatto all’interno dell’ente locale (riorganizzazione dei metodi di lavoro, assegnazione di compiti stante la struttura esistente, ecc.) nella fase decisionale di avvio e preparazione del piano strategico; l’impatto nell’ente locale generato dalla realizzazione del piano strategico. L’esperienza dei 16 piani strategici che questa indagine ha analizzato è una base sufficiente per avanzare delle osservazioni sulla fase di avvio e preparazione dei piani, ma non sulla fase successiva. Per osservare e documentare (cioè analizzare con l’utilizzo di indicatori qualitativi ma anche quantitativi relativi al personale, al budget, agli organigrammi interni, ecc.) le modifiche generate all’interno dell’ente locale dal processo di attuazione del piano strategico, l’esperienza ad oggi prodotta in Italia non è ancora sufficiente, dal punto di vista temporale, per sviluppare un ragionamento complessivo, cioè di interesse generale e non limitato ai pochi casi in cui si ha, al momento, una concreta esperienza di attuazione dei piani. Ad esempio, i casi dei piani strategici di Torino e di Firenze sono gli unici in cui si potrebbe fare una tale analisi, vista la presenza di alcuni anni di attività gestionale, ma le conclusioni avrebbero una scarsa valenza generale perché si tratterebbe dei piani di due sole città aventi ambedue una dimensione metropolitana. Inoltre i piani di queste due città hanno anche una impostazione metodologica molto simile tra loro. Limitando l’osservazione alla fase di avvio e preparazione di piani strategici, si è osservata una stretta correlazione tra l’abitudine a lavorare con criteri manageriali innovativi da parte degli enti locali e la loro propensione a promuovere l’avvio di piani strategici urbani. Infatti, l’analisi della documentazione dei 16 casi oggetto dell’indagine ha permesso di rilevare che gli enti locali promotori di piani strategici urbani presentano alcune costanti nella conduzione interna degli enti che indicano un livello di managerialità superiore alla media dei comuni italiani. Il livello di managerialità delle città esaminate è espresso dalla presenza di tutti o di molti dei seguenti elementi all’interno di ogni ente: 1. direttore generale; 2. strutture avanzate per lo sviluppo territoriale; 3. bilancio sociale annuale; 4. programma e bilancio di mandato; 5. strumenti complessi di pianificazione territoriale (PRU, progetti Urban, ecc.); 6. sportello unico attività produttive; 7. Agenda 21; 115 8. visibilità on-line e qualità dell’informazione sulle strategie territoriali e sulle informazioni turistiche; 9. agenzia di sviluppo territoriale congiuntamente con altri soggetti pubblici e privati; 10. Urban Center. In generale gli enti locali che hanno promosso i piani strategici oggetto dell’indagine hanno dimostrato in passato di aver svolto una gestione responsabile del territorio, e di avere elaborato degli indirizzi di sviluppo di lungo periodo articolati in fasi e soggetti a comunicazioni e rendiconti periodici diretti alla cittadinanza. Al contrario, tra i 16 casi esaminati risulta una presenza molto inferiore alla media di comportamenti di tipo “notarile” da parte degli enti locali, quali ad esempio: - azioni di gestione territoriale solo e se esiste una norma che lo impone; - mancanza di coordinamento fra livelli amministrativi orizzontali e verticali per quanto riguarda iniziative di sviluppo locale; - assenza di iniziative nel senso della partecipazione e condivisione delle esperienze di conoscenza. Come già indicato in precedenza, occorre notare che l’indagine ha rilevato la presenza di piani strategici urbani solo nel Centro-Nord del nostro Paese. La situazione è in piena evoluzione. Nel corso del 2005 sono entrati nella concreta fase di preparazione nuovi piani nel Centro-Nord ma anche nel Sud. Sembra probabile anzi che lo sviluppo maggiore di nuove iniziative di pianificazione strategica lo si avrà nel prossimo futuro nelle otto regioni del Sud Italia. Infatti, se fino alla prima metà del 2005 la pianificazione strategica è stata una attività volontaria degli enti locali, a partire dalla seconda metà dell’anno si sono resi disponibili dei finanziamenti pubblici indirizzati per ora solo alle regioni del Sud. Nella Delibera n. 20/04 adottata dal Cipe il 29 settembre 2004 per definire la ripartizione delle risorse degli interventi nelle aree sottoutilizzate (“Fondo Aree Sottoutilizzate” o “FAS”) per il periodo 2004-2007, si è fissata la quota del 10% del totale dei fondi disponibili per la cosiddetta “Riserva aree urbane”. Tale capitolo di spesa ammonta a circa 207 milioni di euro ed è destinato a finanziare interventi nelle città e nelle aree metropolitane del Sud, in attuazione del “Programma di accelerazione” previsto dalla legge finanziaria 2004 (art. 4, comma 130). Nel corso dei lavori del “Tavolo interistituzionale per la Riserva aree urbane del FAS” promosso dal Cipe il 26 novembre 2004 è stato approvato un documento intitolato I piani strategici per le città e aree metropolitane, cioè le linee guida per i futuri piani strategici delle aree del Sud. Contestualmente si è deciso che gli interventi finanziabili dovranno rispondere ai criteri indicati nel documento Priorità e criteri per la selezione 116 degli interventi approvato all’interno dello stesso Tavolo interistituzionale. In particolare si è stabilito che una quota del 10% delle risorse allocate per ciascuna regione dovrà essere destinata alla predisposizione di piani strategici per città e aree metropolitane o raggruppamenti di comuni che totalizzino una popolazione di almeno 50.000 abitanti. Si apre ora la sfida dell’utilizzo più efficace dei fondi previsti. Gli enti locali delle regioni meridionali che vorranno candidarsi e le regioni che dovranno stabilire i criteri di ripartizione dei fondi dovranno insieme dimostrare di voler sostenere la preparazione di nuovi piani strategici non solo perché sono disponibili dei fondi pubblici, ma perché si vede nella pianificazione strategica urbana uno strumento efficace per realizzare politiche di sviluppo locale di ampio respiro. La capacità innovativa non appare necessariamente correlata alla localizzazione geografica o alla dimensione della città, anzi diversi piccoli comuni si distinguono per l’utilizzo di metodi gestionali moderni. Ad esempio, nelle graduatorie periodicamente pubblicate su alcuni quotidiani finanziari aventi per oggetto la managerialità dei comuni, in genere sono presi in considerazione solo i comuni capoluogo di provincia. Invece esistono diversi comuni di dimensioni medie e piccole che non sono capoluoghi di provincia ma che utilizzano abitualmente metodi di gestione interna molto innovativi. Tra questi alcuni dispongono anche dello strumento principe della gestione manageriale di un ente locale: il piano strategico urbano. Nel corso della presente indagine si sono approfonditi i casi di Sesto San Giovanni (Milano) e di Copparo (Ferrara). Nel primo caso va segnalato che il piano strategico del Nord Milano è stato assunto integralmente dal PTCP della Provincia di Milano, a riprova dell’interesse che la metodologia di pianificazione partecipata e condivisa e i risultati ottenuti hanno suscitato presso livelli di governo locale superiori a quello dei comuni che lo hanno promosso. Nel secondo caso si può osservare che il piano di Copparo e dei comuni associati ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti come esempio di buona governance locale. Il 18 novembre 2004 ha ricevuto il premio ADICO - Associazione Direttori Commerciali e Marketing. Il premio ADICO dal 1998 prevede un riconoscimento speciale da assegnare al migliore progetto, dal punto di vista manageriale, promosso dalla Pubblica Amministrazione. La motivazione del premio edizione 2004 è stata la seguente: “Il progetto Piano strategico dell'Associazione dei Comuni del Copparese è risultato il migliore, innovativo e al servizio dei cittadini”. Nel novembre 2004 il piano ha ricevuto dal Dipartimento della Funzione Pubblica la menzione speciale al COMPA 2004. Il progetto preliminare del piano di Copparo nel settembre 2002 era stato indicato dallo stesso Dipartimento come esempio di “buona pratica” e inserito in I successi di cantieri. 117 Risulta chiaro che la presenza di un piano strategico in fase di attuazione è spesso correlato a un livello di managerialità sopra la media, a una buona qualità della vita locale ed a un buon grado di sviluppo complessivo. Ciò non significa che i comuni caratterizzati da una dinamica inferiore non possano aspirare a dotarsi di un piano strategico urbano, ma semplicemente che tale scelta dovrebbe essere fatta non in modo estemporaneo (o, come abbiamo indicato, per la prospettiva di incassare dei contributi pubblici), ma nel quadro di un generale e contestuale sforzo di miglioramento della gestione dell’ente locale. Al di fuori di un tale contesto, se la produzione materiale di un piano strategico urbano potrebbe anche essere alla portata della grande maggioranza dei comuni italiani (in forma singola o associata), l’attività di gestione e attuazione del piano stesso potrebbe risultare molto difficile. 2.18 Peculiarità emerse dall’analisi dei casi L’analisi della documentazione dei 16 casi considerati dalla presente indagine mette in luce come i piani nascano e si sviluppino seguendo uno schema che può essere così sintetizzato: 1. impegno diretto e volontario di una o più amministrazioni locali; 2. processo partecipato e condiviso con i principali soggetti pubblici e privati del territorio per la costruzione delle strategie, degli obiettivi e delle azioni del piano; 3. realizzazione del piano. a) Modelli di ideazione del piano e di gestione del processo I casi oggetto dell’indagine presentano almeno due elementi comuni: 1) la decisione volontaria di avviare il processo di pianificazione strategica urbana; 2) il ruolo guida che l’ente locale ha svolto sia nei confronti degli altri soggetti pubblici, anche di ordine superiore (provincia e regione), sia nei confronti dei soggetti privati più rappresentativi dell’area. Per quanto riguarda la volontarietà della decisione iniziale, occorre mettere in evidenza due casi particolari: Trento e Venezia. Il piano strategico di Trento costituisce uno degli strumenti di programmazione previsti dallo Statuto del Comune di Trento con il quale si individuano e aggiornano gli indirizzi generali di governo. Da questo punto di vista, il piano strategico di Trento, diversamente dagli altri considerati in questa analisi, è uno strumento scaturito sulla base di una obbligatorietà prevista e formalizzata dall’art. 96 dello Statuto comunale. L’atto volontario, in questo specifico caso, si colloca dopo la decisione formale di fare il piano ed è costituito dalla firma dell’accordo di partnership che, nel dicembre 2000, ha impegnato simbolicamente e concretamente l’intera città di Trento a condividere momenti aperti e strutturati di confronto e che ha permesso l’avvio del processo di pianificazione strategica 118 partecipata e condivisa. Il piano strategico di Venezia risulta un atto conseguente alla decisione dell’amministrazione locale di istituire l’assessorato alla pianificazione strategica, la cui azione affianca quella dell’assessorato all’urbanistica ed è direttamente connessa al programma di mandato del sindaco. b) Motivazioni e comportamenti degli attori Come emerge dall’analisi della documentazione reperita sul terreno, in molti casi lo staff che ha lavorato al piano strategico – costituito sia da esterni che da interni all’amministrazione locale – è stato in grado di fornire un vero e proprio metodo per finalizzare ed incardinare in un unico e coerente quadro d’insieme opere e progetti, anche dal punto di vista dei finanziamenti, portati avanti in maniera a volte poco coordinata prima dell’avvio del processo di pianificazione. Ciascuno dei piani strategici qui considerati, nasce per fronteggiare una particolare situazione economica, demografica o di identità territoriale. La volontà di una nuova stagione di sviluppo e di rilancio territoriale, specificata in ciascuna visione dei 16 piani esaminati, è da ritenersi la motivazione prioritaria che ha spinto da un lato il soggetto promotore e dall’altro i soggetti pubblici e privati ad avviare il processo di pianificazione strategica e a sollecitare in modo costante l’intervento attivo degli attori inizialmente non coinvolti nel processo. Appare, inoltre, chiara la volontà delle amministrazioni locali di affrontare i punti di debolezza dell’area con uno strumento innovativo rispetto ai tradizionali metodi di pianificazione. Riportiamo di seguito una tabella in cui sono indicate le “visioni” di ciascuno dei piani strategici considerati. Tabella 2.18.1 La “visione” dei 16 piani strategici oggetto dell’indagine Piani Visione Orizzonte strategici temporale analizzati Copparo (FE) Delta 7 – La città moltiplicata. Dall’identità al valore 2009 dell’intangibile Cuneo Visione non ancora definita 2020 Firenze Firenze non solo città d’arte e di consumo, ma centro di 2010 produzione culturale e di alta formazione, luogo di creazione e produzione qualificata del Made in Italy Genova Una metropoli aperta e solidale in cui si costruiscono le 2010 condizioni per un armonico sviluppo 119 La Spezia 1. La riscoperta del mare 2010 2. La valorizzazione di antiche e nuove vocazioni produttive 3. La crescita di una comunità locale consapevole attiva e solidale 4. L’integrazione di La Spezia nel Comprensorio e nel Contesto Centro Meridionale Europeo Perugia La visione comune dello sviluppo: naturale sbocco di una 2013 adesione volontaria a cercare insieme le migliori vie di crescita per il prossimo decennio Pesaro Pesaro città della qualità 2015 Piacenza Promozione dello sviluppo economico, sociale e culturale del 2010 territorio e della comunità piacentina, con modalità compatibili con le esigenze di tutela, miglioramento e valorizzazione dell’ambiente, al fine ultimo di realizzare un sistema aperto, ospitale, innovativo e collaborativo, caratterizzato da benessere diffuso ed elevata qualità della vita per tutte le componenti della società, con particolare riferimento alle attese delle nuove e future generazioni Roma Roma intende promuovere e realizzare le condizioni per la Non definito trasformazione e la crescita della sua economia e per una migliore qualità di vita dei suoi abitanti e dei suoi visitatori, e perseguire così una collocazione più vantaggiosa nello scenario fortemente competitivo delle principali città europee Sesto S. Giovan- Da hinterland industriale a nuova centralità metropolitana 2010 ni (Milano) Torino 1. Torino metropoli europea 2011 2. Torino ingegnosa, città del fare e del saper fare 3. Torino che sa scegliere: l’intelligenza del futuro e la qualità della vita Trento Trento, città delle opportunità 2010 Varese Cooperare nel territorio per le vie alte allo sviluppo al fine di: Non definito - invertire il processo di declino - valorizzare nuove opportunità - valorizzare tutte le potenzialità territoriali - proiettare l’area varesina in una dimensione europea - acquisire ed allargare il consenso Venezia Venezia Città Metropolitana – qualità, lavoro, culture 2014 Vercelli Vercelli: governare il futuro 2020 Verona Costruire insieme la città che vogliamo 2020 Fonte: estratto dai piani strategici delle 16 città esaminate 120 c) Modelli e strumenti di cooperazione e partecipazione In tutti i piani strategici considerati, sono state utilizzate metodologie di ascolto partecipato dei principali soggetti pubblici e privati della città riconducibili ad interviste, colloqui informali, questionari, richieste dati e così via. La fase di ascolto, in primo luogo dei soggetti collettivi titolari di interessi, è servita a diffondere il senso della partecipazione e della condivisione delle scelte, e costituisce una componente irrinunciabile del processo di pianificazione strategica di una città. La fase di ascolto e di analisi diagnostica è valida e produttiva nella preparazione del piano se riesce a identificare e coinvolgere soprattutto i soggetti pubblici e privati che detengono il potere reale per realizzare o bloccare un processo decisionale complesso come quello di redigere un piano strategico di una città o di un’area metropolitana. Il coinvolgimento diretto degli interessi minuti, fino al singolo cittadino residente e utilizzatore della città, sembra più produttivo se realizzato in sede di definizione dei singoli progetti, purché avvenga in forme e tempi utili per avere una effettiva influenza sulla configurazione finale delle decisioni. In quasi tutti i piani strategici considerati, la principale fase di partecipazione e cooperazione è stata quella della definizione dei titoli e dei contenuti delle singole azioni, cioè dei singoli progetti previsti dal piano. Tale fase si è svolta attraverso il coinvolgimento dei principali soggetti pubblici e privati che in genere hanno dato il loro contributo grazie a strumenti di partecipazione denominati in vario modo: 1. gruppi di lavoro (nei casi di Firenze, Perugia, Torino, Varese, Verona, Pesaro, Piacenza, Copparo); 2. fori di discussione (nel caso di La Spezia); 3. tavoli di approfondimento tematico o coprogettazione (nei casi di Trento e Sesto San Giovanni). I casi in cui tali metodologie non sono state, nel loro insieme, il principale metodo di lavoro sono 5 ed esattamente: Roma, Venezia, Genova, Vercelli, Cuneo. Attraverso la seguente tabella, riepiloghiamo il quadro delle metodologie e degli strumenti di cooperazione e partecipazione. La tabella fotografa una realtà molto dinamica, per cui è da intendersi solo indicativa della situazione generale. 121 Tabella 2.18.2 Riepilogo delle metodologie e degli strumenti di cooperazione e partecipazione utilizzati per la costruzione del piano strategico Piani strategici Partecipazione alla definizione delle azioni analizzati Copparo (FE) Otto gruppi di lavoro tematici Cuneo Ciclo di incontri pubblici che prevede 3 seminari di promozione e diffusione del processo di pianificazione strategica Fase di ascolto dei cittadini (interviste) Firenze Complessivamente 21 gruppi di lavoro Genova Conferenza strategica della città di Genova Concomitanza del summit del G8 e dell’attribuzione del ruolo di Genova Capitale Europea della Cultura 2004 La Spezia 4 fori di discussione Perugia 7 gruppi di lavoro tematici Riunioni plenarie del Forum dello Sviluppo Pesaro 6 seminari per diffondere conoscenza sulla pianificazione strategica 8 gruppi di lavoro Forum di attori della realtà pesarese 76 team di progetto Piacenza 8 gruppi di lavoro in rappresentanza della società Roma 2 dibattiti pubblici, la fase di ascolto si è solo avviata Sesto San Giovanni 5 tavoli di coprogettazione (MI) Torino Questionari alla cittadinanza 9 gruppi di lavoro rappresentativi del sistema città Diverse riunioni del “Forum dello Sviluppo” aperto alla cittadinanza Trento 5 tavoli di approfondimento tematico in rappresentanza del sistema città Varese 5 gruppi di lavoro Venezia Diversi gruppi di lavoro con i soggetti rappresentativi della città (tra cui: Università degli Studi Cà Foscari, Università Iuav, Unindustria, Ccia, Cgil, Camera del lavoro metropolitana, Cisl provinciale, Uil provinciale) Vercelli Due seminari di promozione del processo di pianificazione strategica Verona Interviste e 4 gruppi di lavoro Un Laboratorio per le politiche giovanili Fonte: informazioni tratte dai documenti dei 16 piani strategici e da colloqui con i responsabili dei piani 122 d) Tipologie e tecniche di gestione dei conflitti La prima considerazione riguarda un caso particolare, il piano strategico di Torino, che è stato assunto come punto di riferimento per tutti gli altri piani. A Torino è stato invidiato fin dall’inizio, in maniera chiara, un autorevole “garante” del processo di pianificazione che ha fatto sì che il processo giungesse a termine nei tempi prestabiliti e senza interferenze esterne. Il “Forum dello Sviluppo” ha svolto il ruolo, nella fase di preparazione del piano, di camera di compensazione dei diversi interessi in gioco. Si è trattato, ovviamente, di un ruolo che non ha sostituito i luoghi istituzionali già esistenti in cui avviene il confronto tra le diverse forze della società (Consiglio comunale, ecc.), ma che ha permesso ai diversi portatori di interessi di esplicitare un accordo sui punti salienti del piano. Fino a che tale ruolo è stato svolto dal “Forum dello Sviluppo”, è risultata relativamente facile l’individuazione di un altrettanto autorevole gruppo di lavoro che sulla base di un mandato operativo ha potuto svolgere il compito di preparare il piano e di garantire il coinvolgimento costante dei soggetti principali della città e della sua area metropolitana. Il piano strategico, infatti, è uno strumento in grado di trasformare discussioni, opinioni e impegni elettorali in un patto con le forze della città; da questo punto di vista i piani strategici che sono giunti a termine (Copparo, Firenze, Genova, La Spezia, Nord Milano, Perugia, Pesaro, Piacenza, Torino, Trento, Varese, Venezia, Verona) hanno tutti un minimo comune denominatore: il fatto che il piano non ha richiesto ad esperti di elaborare in modo autonomo e separato dalla città uno studio sulla “città ideale”, ma il piano ha richiesto agli esperti, interni ed esterni, di essere coinvolti nell’elaborazione di un progetto di città in modo da rappresentare la volontà collettiva e fare evolvere una realtà urbana verso traguardi ideali ma raggiungibili date le risorse materiali e le risorse intangibili presenti nell’area. Ad ogni modo, è bene far nuovamente rilevare che in alcuni casi, ha pesato molto l’attività di comunicazione. Da questo punto di vista, Firenze è un esempio emblematico, poiché le iniziali difficoltà di comunicazione con la città sono state superate da un impegno diretto degli amministratori, che oltre ad organizzare una importante mostra-convegno internazionale hanno partecipato a manifestazioni pubbliche di vario tipo e a rubriche radiofoniche su emittenti locali, per diffondere il senso della pianificazione strategica. In stretto riferimento alle tipologie e tecniche di gestione di conflitti si devono citare casi di tipologie e tecniche “private” che sono possibili per il successo di immagine delle politiche comunali, ascrivibili all’efficiente ed efficace gestione comunale di grandi investimenti e progetti, ma non necessariamente connessi alla pianificazione strategica. In questo contesto, si colloca l’accordo sindacale del 13 gennaio 1996 sul caso Falck, che permise di risolvere la crisi di una fabbrica, forse per la prima volta in Italia, attraverso il coinvolgimento di un territorio a partire da logiche di programmazione negoziata. Azienda, 123 sindacati, istituzioni pubbliche coinvolti nella promozione dello sviluppo locale dell’area di Sesto San Giovanni, affrontarono in modo pro-attivo il caso Falck, individuando funzioni e attività produttive sostitutive in grado di creare prospettive di sviluppo per tutto il territorio di Sesto San Giovanni. Anche da quella lezione è probabilmente emersa la capacità di riuscire in poco più di un lustro (il 1993 è l’anno di costituzione del Parco Scientifico per le Tecnologie Ambientali, Psta, e il 1999 quello di avvio al processo di pianificazione strategica) a ri-definire completamente gli assi strategici del proprio territorio. 2.19 Valutazione dei risultati del processo di pianificazione I risultati che lo strumento della pianificazione strategica urbana ha permesso di ottenere nei 16 casi esaminati sono relativi sia ai processi di preparazione e di gestione dei piani, sia al prodotto finale inteso come documento sottoscritto dall’insieme dei soggetti pubblici e privati di un’area per realizzare una lista precisa di azioni (cioè singoli progetti) di tipo materiale e di tipo immateriale. Risultati del processo di pianificazione Presentiamo di seguito due tabelle. La prima riassume lo stato di avanzamento del processo di pianificazione strategica; la seconda evidenzia gli atti di apertura e di chiusura dell’iter processuale, e l’organizzazione derivante dal processo di costruzione di pianificazione. I risultati che possono essere attribuiti ai singoli processi di predisposizione dei piani strategici variano molto da caso a caso, come si evidenzia nella descrizione dettagliata dei piani. Resta l’impressione che il risultato principale del piano strategico (inteso come processo di pianificazione integrata di tipo partecipativo e di scala vasta) sia lo scoprire che in una comunità locale i soggetti portatori di interessi pubblici e privati possono lavorare insieme per importanti obiettivi concreti. La costituzione di una “squadra rodata” di soggetti pubblici e privati abituati ad avere stima gli uni degli altri può permettere risultati superiori all’intero sistema economico e sociale locale laddove siano ben definiti i limiti dell’interesse pubblico e dei legittimi interessi di parte. Tabella 2.19.1 Riassunto dello stato di avanzamento del processo di pianificazione strategica Principale soggetto Titolo piano Inizio processo promotore Data di adozione del prodotto “piano strategico” Comune di Copparo (FE) Piano strategico Novembre 2002 1909-2009 124 Aprile 2004 Comune di Cuneo Cuneo 2020 Comune di Firenze Firenze Piano Settembre 2003 2010. Dicembre 2000 Piano in costruzione Dicembre 2002 strategico dell’area metropolitana fiorentina Comune di Genova Piano della Città di Maggio 1999 Gennaio 2002 Genova Comune di La Spezia Comune di Perugia Verso una nuova Settembre 1999 Ottobre 2001 e processo città riavviato nel 2003 Perugia Europa Dicembre 2002 Aprile 2004 2003-2013 Comune di Pesaro 2015 Pesaro futuro Luglio 2001 Luglio 2002 con vista Comune di Piacenza Piano strategico Ottobre 2000 Gennaio 2002 per Piacenza Comune di Roma Piano strategico di Marzo 1998 Piano interrotto Roma Associazione Sviluppo Nord Piano strategico Febbraio 1999 Marzo 2001 Milano – Sesto San Gio- per lo sviluppo del vanni (MI) Nord Milano Comune di Torino Torino Maggio 1998 Febbraio 2000 internazionale Comune di Trento Trento città delle Luglio 2000 Ottobre 2003 opportunità Comune di Varese Varese Europea Autunno 1999 Gennaio 2003 e processo riavviato Comune di Venezia Venezia città Maggio 2000 metropolitana Comune di Vercelli Vercelli 2020 Comune di Verona Verona: Dicembre 2003 e Ottobre 2004 Luglio 2003 futuro Marzo 2003 Piano in costruzione Febbraio 2004 prossimo Fonte: informazioni tratte dai documenti dei 16 piani strategici e da colloqui con i responsabili dei piani 125 Tabella 2.19.2 Riassunto dei risultati del processo di pianificazione strategica Piani strategici Atto inizio Atto Organizzazione analizzati iter processuale conclusione iter per l’attuazione del piano Copparo Forum dello Sviluppo Piano (FE) approvato dal Prevista una società per Consiglio comunale e l’attivazione e il monisottoscritto dai soggetti toraggio del piano partecipanti al processo strategico di pianificazione Cuneo Seminari introduttivi e Piano in costruzione Al di prevista presentazione alla momento non città Firenze Forum dello Sviluppo Piano approvato dal 1. Ufficio del piano Consiglio comunale e strategico dell’area fiosottoscritto dai soggetti rentina partecipanti al processo 2. di pianificazione Firenze 2010 Associazione per il piano strategico dell’Area Metropolitana Fiorentina con prossima sede in costruendo Urban Center Genova Forum dello Sviluppo Adozione La Spezia Forum dello Sviluppo Presentazione alla città, Al processo riavviato Non prevista momento prevista. non Alcuni dei progetti elaborati nella prima fase terminata nel 2001 sono già stati attuati Perugia Forum dello Sviluppo Piano approvato dal Prevista la costituzione Consiglio comunale e di un organismo pubsottoscritto dai soggetti blico privato partecipanti al processo monitoraggio di pianificazione tuazione del per e il l’atpiano strategico e per il suo aggiornamento dico 126 perio- Pesaro Seminari introduttivi e Piano di presentazione approvato alla Consiglio città dal Urban Center. comunale, Due programmi magne- senza sottoscrizione da te con il compito di parte dei soggetti parte- attrarre energie cipanti al processo di pianificazione Piacenza Stati generali e Forum Piano dello Sviluppo approvato dal Attuazione: Gruppi di Consiglio comunale e progetto per singoli sottoscritto dai soggetti temi. Verifica: Nucleo partecipanti al processo di di pianificazione Roma Sesto San monitoraggio valutazione Due conferenze pub- Piano interrotto Al bliche di presentazione prevista Giovanni Forum dello Sviluppo e Piano sottoscritto momento non Comitato intercomuna- (MI) le per la realizzazione delle azioni previste dal piano strategico Torino Forum dello Sviluppo Piano approvato dal Associazione Torino Consiglio comunale e Internazionale sottoscritto dai soggetti partecipanti al processo di pianificazione Trento Forum per raccogliere Piano approvato dal Per la gestione del le opinioni di interlo- Consiglio comunale e piano è stato costituito cutori privilegiati sul sottoscritto dai soggetti l’Urban futuro della città Center della partecipanti al processo città di Trento di pianificazione Varese Convegno da cui prende Approvazione forma e sostanza ciazione l’ipotesi di pianifica- riavviato zione strategica, già e asso- Associazione Varese processo Europea con il compito di attuare le azioni del piano avanzata dalle associazioni ambientaliste della città Venezia Incontri con gli inter- Presa d’atto e processo Prevista la costituzione locutori privilegiati, ta- riavviato di una Agenzia vole rotonde, convegni, piano strategico come workshop e meeting naturale evoluzione dell’Ufficio del piano 127 del Vercelli Seminari introduttivi e Piano in costruzione Al di prevista presentazione alla momento non città Verona Incontro con la città e le Piano sottoscritto Costituenda istituzioni per la pre- zione sentazione del processo strategico per Associail piano Fonte: informazioni tratte dai documenti dei 16 piani strategici e da colloqui con i responsabili dei piani Risultati del prodotto “piano strategico” Dall’esame dei documenti relativi ai 16 casi di pianificazione strategica urbana oggetto dell’indagine, emergono alcuni dei risultati ottenuti tramite il piano strategico inteso come prodotto finale. Si tratta sia di risultati relativi ad accordi di partenariato intercorsi fra i soggetti pubblici e privati che hanno partecipato al processo di pianificazione strategica, sia di concrete realizzazioni di progetti previsti dal piano strategico. Occorre anche segnalare che la pianificazione strategica sembra aver prodotto come risultato costante una maggiore apertura degli enti locali verso innovazioni tecnologiche sia di prodotto sia di processo. Resta il fatto che, dato lo stato di continua evoluzione degli enti locali, è ancora prematuro trarre delle conclusioni di valenza generale per quanto riguarda i risultati che gli stessi enti hanno ottenuto attraverso il processo di pianificazione strategica. Pertanto, quanto qui presentato è da considerarsi come un quadro parziale dei risultati ottenuti dagli enti locali attraverso lo strumento del piano strategico così come è stato messo a punto ed attuato nelle singole realtà locali. L’esposizione che segue è fatta per alcune osservazioni puntuali in base all’ordine alfabetico delle città esaminate, ed è seguita da considerazioni generali sui risultati conseguiti nel campo dell’innovazione tecnologica. 1. Copparo (FE). Per quanto riguarda l’attuazione del prodotto, dopo la presentazione del piano, avvenuta nell’aprile 2004, alcune attività sono giunte a conclusione o a significativi livelli di avanzamento in relazione a: - il laboratorio delle arti applicate “Le vasaie del Po” per il quale sono state realizzate alcune opere esposte presso il Comune di Jolanda di Savoia; - la raccolta di fondi per l’acquisto di una Risonanza Magnetica Articolare. Si prevede la costituzione di un ufficio apposito o di una società mista per l’attivazione e il monitoraggio del piano strategico che è stato approvato nel marzo del 2004. 2. Cuneo. Il piano è ancora in costruzione. Un risultato intermedio è costituito dalla attivazione di una serie di incontri per definire gli scenari futuri di Cuneo e della sua area, con la partecipazione dei principali soggetti istituzionali e di molti dei centri di interesse privato. 128 3. Firenze. In questo caso, come è emerso nel corso del colloquio diretto con l’Assessore alla Pianificazione strategica del Comune di Firenze, i maggiori risultati del prodotto piano strategico Firenze 2010. Piano strategico dell’area metropolitana fiorentina riguardano, da un lato una questione di metodo, dall’altro la realizzazione di una azione prevista dal piano. Il piano strategico di Firenze si è rivelato come un supporto importante per l’amministrazione comunale di Firenze, in particolare per quanto riguarda le opere di riqualificazione urbana. Un esempio è dato dal percorso parallelo fra il piano strategico e il piano strutturale attivato successivamente, ed impostato anche per far fronte alle opere di riqualificazione individuate dal piano strategico. Secondo l’opinione dell’Assessore alla Pianificazione strategica, nel caso di Firenze il piano strategico ha fornito la base di studio e analisi, mentre il piano strutturale ha rappresentato la parte operativa che tiene molto in considerazione le indicazioni del piano strategico, soprattutto per quanto riguarda il lavoro da fare sulle aree dismesse. Il piano strategico, inoltre è riuscito a dare dignità a decisioni che altrimenti sarebbero rimaste sotto tono come ad esempio lo spostamento fuori dal centro storico di alcune Facoltà dell’Università degli Studi di Firenze. Il piano strategico ha fatto ordine fra progetti che sarebbero stati portati avanti e finanziati in maniera casuale, anche attraverso l’opera di divulgazione e di comunicazione che ad esso è stata affiancata. 4. Genova. L’iter del piano si sviluppa, di fatto, in parallelo a due avvenimenti che hanno un gran peso nella sua attuazione: il summit del G8 tenutosi a Genova nel 2001, e l’attribuzione a Genova del ruolo di Capitale Europea della Cultura nel 2004. I due avvenimenti esercitano una profonda influenza sul piano e lo caratterizzano in modo del tutto particolare: sono veicolo di finanziamenti pubblici cospicui e concentrati su un periodo relativamente breve (ad es. Urban 1, Urban 2, PRUSST, ecc.). Il summit G8 porta investimenti pubblici per 100 milioni di euro, che inducono a loro volta investimenti privati di pari dimensioni; altrettanto avviene con Genova Capitale Europea della Cultura 2004. I due avvenimenti mobilitano attorno a temi di carattere cittadino e di buona performance dei progetti per la città, importanti soggetti della vita genovese, sia pubblici che privati, le forze sociali e così via. Le stesse vicende drammatiche connesse ai disordini scaturiti in occasione dello svolgimento del G8 permettono a Genova, in quanto città ospitante, di avere una copertura di immagine vastissima e sostanzialmente positiva in tutto il mondo, come nessuna operazione di marketing territoriale sarebbe riuscita ad ottenere. Per quanto appena detto, il piano strategico riesce solo in parte a svolgere le sue funzioni di catalizzatore di risorse e di elemento di diffusione dei concetti di partecipazione e condivisione. Infatti, dopo un primo momento di consultazione dei soggetti per identificare gli obiettivi e le azioni (viene inizialmente avviato una sorta di “Forum dello Sviluppo” di 129 cui fanno parte tra gli altri comune, regione, provincia, autorità portuale, Camera di Commercio, università, sindacati; dopo qualche riunione l’interesse a parteciparvi scema e di fatto viene interrotto), il coinvolgimento dei soggetti non avviene tanto attraverso la sottoscrizione di programmi e progetti condivisi, quanto attraverso il renderli corresponsabili nell’attuare le azioni previste e indotte da G8 e soprattutto da “Genova 2004”. I notevoli flussi di denaro pubblico e i problemi connessi alla loro gestione, permettono di realizzare in tempi brevi interventi importanti o di proporre azioni di spicco che a loro volta trainano interventi privati diffusi. 5. La Spezia. Fin dal 2001 a La Spezia si sono avviati i lavori di attuazione dei progetti previsti nella bozza di piano strategico. Con la ripresa dei lavori del piano nel novembre del 2003, sono stati messi a punto e avviati alcuni progetti fondamentali che concretizzano la già individuata visione del futuro della città. Essi si inquadrano nell’ambito dell’economia (con Spedia), della formazione universitaria (con Promostudi), delle politiche di sostenibilità ambientale (con il Forum e il piano di azione di Agenda 21), della progettazione partecipata (con il Progetto Quartieri), del welfare (con il piano di sviluppo dell’economia sociale, la Conferenza permanente sulle problematiche dell’handicap e della salute mentale e con l’istituzione dell’Ufficio di Piano di Zona). 6. Perugia. Il piano strategico Perugia Europa 2003-2013 è la naturale prosecuzione delle molteplici attuazioni di politiche ambientali, urbanistiche, economiche, sociali, di prevenzione e tutela portate avanti, in modo a volte poco coordinato e a volte in modo del tutto disgiunto, dalle 7 amministrazioni locali dell’area che hanno collaborato attivamente alla formazione del piano, l’hanno approvato ed ora sono impegnate nella fase di attuazione. Tra tutte le azioni (100) nelle quali il piano strategico è articolato, si segnalano le seguenti iniziative per la loro importanza e per il loro grado di attuazione piuttosto avanzato: - Costruzione del Polo Unico Ospedaliero, il più importante nell’area compresa fra Roma e Firenze. - Definizione del riuso dell’area del Policlinico Monteluce, di prossimo trasferimento. - Progettazione della seconda tratta Minimetrò Pincetto-Sant’Anna-Monteluce. - Avvio progetti per miglioramento e potenziamento della capacità di servizio dell’aeroporto di S. Egidio. - Progetto POST (Perugia Officina della Scienza e Tecnologia); implementazione dell’area museale dedicata alla divulgazione scientifica. - Realizzazione di un centro di produzione e servizi audio-musicali. 130 7. Pesaro. In questo caso dai documenti esaminati e dal colloquio con la responsabile dell’Urban Center di Pesaro è emersa la trasversalità del piano strategico che è stato in grado di travalicare le competenze specifiche degli enti locali. Il successo del piano strategico deriva anche dalla capacità del comune di ragionare in termini di problemi da risolvere e non competenze da conquistare e gestire. Inoltre, secondo la Direttrice dell’Urban Center il piano strategico ha contribuito a fornire impulsi sul piano dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. In questo senso viene citata la riqualificazione della più antica area industriale di Pesaro, destinata a terziario avanzato e allo sviluppo delle tecnologie della comunicazione. Per questa operazione è stato fissato un termine di attuazione di 10 anni, durante i quali sarà necessario predeterminare il meno possibile, per evitare precoce obsolescenza del progetto rispetto alla concreta evoluzione delle dinamiche sociali ed economiche. 8. Piacenza. Il piano strategico adottato con delibera comunale è in fase di attuazione, risulta molto ricco di iniziative concrete ma sembra emergere un atteggiamento settoriale che lo rende in parte privo di organicità e di una chiara visione per lo sviluppo a lungo termine. L’attuazione del piano è affidata ai Gruppi di progetto per singoli temi, mentre la verifica dello stato di avanzamento dei progetti e di valutazione degli impatti sul sistema locale in termini economici, sociali e territoriali, è affidata ad un Nucleo di Monitoraggio e Valutazione, che utilizza le informazioni disponibili presso gli enti coinvolti e gli Uffici studi esistenti. Il Nucleo di Monitoraggio e Valutazione è costituito da personale docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. A maggio 2004, risultavano realizzati o avviati i seguenti progetti: - Piano di Marketing Territoriale. - Natural Valley. - Centro per la Sicurezza Alimentare. - Istituto Trasporti e Logistica (ITL). - Sistema ciclo-pedonale lungo il Po (Programma Speciale d’Area “Po fiume d’Europa”). - Programma Speciale d’Area Logistica. - Conferenza Provinciale Welfare. - Nuova Conca Isola Serafini (progettazione ultimata). - Completamento Tangenziale sud Piacenza (1° stralcio in esecuzione, 2° stralcio in progettazione definitiva). - La Faggiola (costituzione società e primo stralcio lavori). 131 9. Roma. Il piano è stato interrotto. Gli studi preparatori prodotti nel percorso di formazione del piano costituiscono un patrimonio di idee e intuizioni, in gran parte da sviluppare, che potrebbe essere la base, quantomeno, di piani di sviluppo urbano di scala ridotta o di tipo settoriale. 10. Sesto San Giovanni (MI). Per un’area come il Nord Milano, è stato fondamentale comunicare visivamente l’immagine strategica del cambiamento; questo perché è divenuto fondamentale per il pianificatore rendere comprensibile il futuro che si intende costruire. Il piano strategico del Nord Milano ha quindi rappresentato non solo lo strumento da utilizzare per mettere in relazione una serie di possibili opzioni progettuali, ma anche lo strumento per comunicare alla società la nuova direzione che quel territorio avrebbe preso per molto più tempo dei successivi dieci anni indicati come termine di riferimento strategico. La scelta di comunicare quanto più agevolmente possibile il risultato ultimo del prodotto piano strategico rappresenta una delle caratteristiche di questo processo di pianificazione. Per quanto riguarda i concreti risultati del prodotto, dopo la presentazione del piano alcune delle attività svolte in parallelo sono giunte a conclusione o a significativi livelli di avanzamento: - Agenda 21, di cui è stata presentata nel 2002 sia la RSA che il PDL; - la co-progettazione del Forum del Nord Milano sui temi delle politiche attive del lavoro e dell’orientamento (adesione al Pic Equal); - la collaborazione con la provincia nella costruzione del nuovo Ptcp che ha di fatto incrociato il lavoro di elaborazione del piano strategico. 11. Torino. Il piano di Torino, approvato nel febbraio del 2000, ha già visto la realizzazione di diverse delle 84 azioni in esso previste. Molte di esse, anche in vista dell’appuntamento delle Olimpiadi del 2006 sono inerenti gli obiettivi di promozione dello sport come mezzo per l’innalzamento della qualità della vita, della coesione sociale e della promozione turistica. La città ha avviato nel 2004 una profonda revisione del piano strategico che dovrebbe portare nel 2006 al varo di un aggiornamento così profondo delle previsioni di piano che il nuovo insieme di obiettivi e azioni assumerà la valenza di secondo piano strategico dell’area di Torino. Nel corso del 2005 sono stati prodotti due documenti preparatori (intitolati: “Scenari per il sistema locale” e “Verso il secondo piano strategico”) a cura dell’Associazione Torino Internazionale. 12. Trento. Il prodotto piano strategico si propone di mantenere l’attenzione sul tema della partecipazione e della condivisione infatti: 132 - prevede seminari tematici di aggiornamento su argomenti specifici e/o su situazioni di contesto, in modo da correlare la “manutenzione” del piano strategico con l’evoluzione del quadro di riferimento; - accompagna la fase propriamente gestionale del piano con un adeguato investimento comunicativo, adottando un piano finalizzato; - rafforza e finalizza, attraverso un sistema di convenzioni e protocolli formali costruiti su singole misure o singoli assi strategici, la disponibilità dei partner del piano (attori urbani, altre città, altri livelli istituzionali) a rinnovare la propria adesione alla metodologia della governance e alla realizzazione, per la parte di rispettiva competenza, delle misure individuate; - mantiene relazioni formali e strutturate con le reti delle “città strategiche” sia a livello nazionale che europeo. Dopo la chiusura di Trento 2001-2010, nel novembre 2003 è stata deliberata la costituzione dell’Urban Center della città di Trento con il compito di mantenere aperti i circuiti partecipativi e concertativi necessari per la “manutenzione” del piano, la sua riproduzione, il suo aggiornamento, il riallineamento dei suoi obiettivi. L’Urban Center ha soprattutto il compito di evitare che il piano, da insieme progettuale coerente, venga parcellizzato in una sommatoria di azioni. Entro la fine del 2005 è previsto l’avvio della preparazione del secondo piano strategico di Trento (Trento 2020), per il quale non vi sono ancora documenti preparatori. 13. Varese. I primi risultati di questo prodotto riguardano: - l’iniziativa dell’Ecomuseo dell’ottobre 2001, su impulso del Presidente della Regione Lombardia e del Sindaco di Varese, attraverso il Gruppo di lavoro sul turismo del piano strategico; - un libretto promozionale delle grandi mostre sul ritratto lombardo, realizzato su impulso del piano strategico; - gli incontri e i dibattiti sulla pianificazione strategica a cui partecipano anche i sindaci di città che in Italia hanno già portato a termine il processo di pianificazione strategica. Il Comune di Varese si pone come ente locale promotore di primaria importanza di queste iniziative, in grado di attrarre attorno a sé 28 comuni limitrofi e di individuare una concreta area territoriale varesina, dandogli una missione da seguire attraverso una visione di lungo termine. 133 14. Venezia. Dopo un periodo di stasi intermedio la preparazione del piano ha subito una accelerazione nel 2004 giungendo alla presentazione della versione finale nell’ottobre del 2004. Il principale risultato conseguito è forse l’affermazione di un principio di collaborazione trasversale tra il Comune di Venezia, i principali comuni confinanti con l’area della terraferma e alcuni grandi soggetti collettivi privati nell’affrontare i problemi di sviluppo dell’area, intesa come una città metropolitana. 15. Vercelli. Il piano non è stato completato e non ci sono indicazioni precise sui tempi di una eventuale ripresa dei lavori. Un risultato raggiunto è stato quello di aprire la città a un dibattito a più voci sul suo futuro di medio e lungo periodo, nell’ambito di un contesto territoriale dominato da magneti urbani di grande attrazione (in primo luogo Torino e Milano, ma anche Novara, Alessandria e Pavia). 16. Verona. I primi risultati del piano strategico sono noti dal febbraio 2004 e per il momento sono relativi da un lato ad un lavoro di approfondimento dei singoli progetti da parte di diversi attori e dall’altro lato consistono nello sviluppo di azioni per l’istituzione di un’associazione per la gestione del piano strategico. Un’impostazione di questo tipo implica, per il momento, la mobilitazione di risorse finanziarie ed umane relativamente limitate. Un risultato costante che gli enti locali sembrano aver ottenuto attraverso l’applicazione del metodo della pianificazione strategica in campo urbano è una attenzione particolare verso le innovazioni tecnologiche sia di prodotto che di processo. L’analisi delle informazioni di prima mano reperite per i 16 casi studio della presente indagine mette in evidenza come tutti i piani strategici analizzati contengano uno o più assi portanti sul tema dell’innovazione tecnologica. In linea generale le concrete modalità di attuazione della innovazione avvengono attraverso il cablaggio della città con fibre ottiche, l’adozione di tecnologie wireless, o tramite la costituzione di portali multifunzionali. Le concrete applicazioni di queste tecnologie sono rivolte non solo ad accrescere la partecipazione dei residenti e degli utilizzatori delle funzioni urbane ai momenti decisionali dell’azione pubblica, ma anche e forse soprattutto a rilanciare e ristrutturare i sistemi di imprenditoria locale. Al riguardo si possono citare tre azioni esemplari contenute in altrettanti piani. Il primo caso concerne le azioni bandiera del piano strategico Perugia Europa 2003- 2013. Piano strategico di Perugia, Bastia, Corciano, Deruta, Marsciano, Torgiano, Umbertide approvato nell’aprile del 2004, tra le quali è presente l’azione “Realizzazione di aree digitali wireless in ciascuno dei comuni aderenti al piano”. Il secondo caso è dato dal “Piano del Nord Milano” sottoscritto nel 2001, in cui si prevede l’azione “Attuare il cablaggio del Nord Milano”. Le azioni dei due piani citati si collocano, rispettivamente, nell’obiettivo intitolato “Ottimizzazione e coordinamento dell’azione delle aziende di servizi” e nell’obiettivo 134 “Strategie per l’innovazione e lo sviluppo: dal declino della grande impresa l’opportunità della creazione di un nuovo polo delle tecnologie avanzate”. Il terzo caso, tra i diversi che si potrebbero elencare, è quello del piano strategico di Torino che nel corso della sua attuazione ha dato sempre più spazio al progetto “Torino Wireless”, tanto da sostenere la creazione nel 2004 di una omonima fondazione che ha la missione di rendere l’area metropolitana di Torino una delle aree metropolitane più innovative e meglio servite in Europa dalla tecnologia di “Internet senza fili”. Riportiamo di seguito due tabelle riassuntive. Nella prima sono riportate le linee strategiche, presenti nei piani esaminati dalla presente indagine, inerenti l’innovazione tecnologica. Nella seconda tabella sono invece riportate le azioni, contenute in quelle linee, attraverso le quali mettere in pratica la strategia riportata. Tabella 2.19.3 Quadro comparativo delle linee strategiche riguardanti l’innovazione tecnologica presenti in 16 piani strategici Casi studio Copparo (FE) Linee strategiche inerenti l’innovazione tecnologica Promuovere l’imprenditorialità e l’occupazione attraverso lo sviluppo della ricerca, della formazione e della valorizzazione del territorio - Per un aumento del valore del Capitale Umano Cuneo Linee non ancora definite Firenze Promuovere l’innovazione con una migliore integrazione delle risorse e delle funzioni Genova La gestione della città (organizzazione e risorse) La Spezia Rilanciare e articolare l’apparato industriale puntando sul distretto nautico, le nuove tecnologie, la riorganizzazione della rete delle agenzie per lo sviluppo locale e la modernizzazione del sistema formativo Perugia Accrescere l’integrazione territoriale e l’offerta di servizi di interesse pubblico Pesaro Società dell'informazione e nuove tecnologie dell’ICT Piacenza Reti e Servizi Roma Creare una città efficiente, vivace, di elevata qualità ambientale Sesto S. Giovanni Le strategie di sviluppo delle risorse umane: interpretare e gestire il (Nord Milano) cambiamento valorizzando le culture del lavoro e dell’impresa Torino Promuovere imprenditorialità e occupazione Trento Trento, città della formazione e dello sviluppo innovativo Varese Migliorare la propensione all’innovazione del contesto locale economico e produttivo e nel campo della ricerca Venezia Città degli abitanti: plurale, solidale, sostenibile 135 Vercelli Linee non ancora definite Verona Sviluppare l’economia della conoscenza e dei servizi ad alto valore aggiunto Fonte: analisi dei 16 piani strategici delle città Tabella 2.19.4 Quadro comparativo delle azioni strategiche riguardanti l’innovazione tecnologica presenti in 16 piani strategici Casi studio Azioni strategiche relative agli assi rivolti all’innovazione tecnologica Copparo (FE) Sostenere un progetto per l’innovazione della rete commerciale Cuneo Linee non ancora definite Firenze Firenze nell’e-government Genova Dal Patto di Eugeni@ alla realizzazione della rete educativa della città La Spezia Formazione per la Net-Economy Perugia Realizzazione di aree digitali a fibra ottica o wireless in ciascuno dei comuni aderenti al piano Pesaro - Favorire la crescita e lo sviluppo di imprese della new-economy - E-government Piacenza Progetto “Gestione servizi a rete”, costituito da un portale Intranet rivolto a privati, enti locali, associazioni di categoria ed aziende per la fornitura di servizi da e per la Pubblica Amministrazione al fine di ottenere un multisportello virtuale nell’ambito dell’agricoltura, industria, servizi, sanità, urbanistica e tributi Roma Utilizzare le tecnologie dell'informazione per migliorare l'efficienza urbana: telemedicina, telelavoro, teleconferenze Sesto S. Giovanni Attuare il cablaggio del Nord Milano (Nord Milano) Torino Promuovere e valorizzare i “distretti tecnologici” presenti nell’area torinese (automazione-design, robotica, macchine utensili, information and communication technology) attraverso l’individuazione e la messa a punto di servizi comuni nel campo della formazione, della qualità, dell’ambiente. Realizzare il progetto “Torino wireless” Trento Piano interistituzionale di e-government Varese Progetto “cittadella dell’innovazione” Venezia Promuovere l’e-government Vercelli Linee non ancora definite Verona Sviluppare l’e-government Fonte: analisi dei 16 piani strategici delle città 136 Alcuni piani strategici presentano una particolare concentrazione di iniziative relative alle nuove tecnologie di comunicazione connesse direttamente allo sviluppo economico locale. Si tratta dei piani delle città di: Torino, Perugia, Pesaro, Piacenza, Varese, Copparo, Sesto San Giovanni. Vi sono poi casi di piani in cui si può cogliere una attenzione marcata anche o prevalentemente verso l’innovazione tecnologica in relazione a programmi di attuazione dell’e-government. È quanto si verifica nei piani delle città di: Firenze, Trento, Venezia, Pesaro, Verona. Infine, l’analisi ha messo in luce la presenza di un buon numero di azioni, di tipo pubblico e privato, che prevedono l’utilizzo dell’innovazione tecnologica per specifiche procedure di formazione, educazione e agevolazione di determinati settori economici o componenti della società (anziani, giovani, stranieri, ecc.). Si tratta dei piani delle città di: Genova, Roma, Trento, Pesaro, Piacenza. In conclusione, sembrerebbe che lo strumento del piano strategico sia stato usato in tutti i 16 casi esaminati come una occasione di confronto tra soggetti pubblici e privati per stimolarsi a vicenda sulla necessità di fare progredire la comunità locale in modo armonico sulla strada dell’innovazione tecnologica di prodotto e di processo. Le azioni concrete che i vari piani hanno definito spaziano da progetti di realizzazione e miglioramenti delle reti esistenti, alle innovazioni delle procedure amministrative pubbliche permesse dalle nuove tecnologie, alla formazione degli utenti in generale e di particolari categorie professionali. Resta la costante che con il piano strategico i principali soggetti pubblici e privati hanno potuto mettere a fuoco iniziative comuni a forte componente tecnologica in anticipo rispetto ad altre città, quindi cogliendo alcuni vantaggi dato il fattore tempo è determinante per cogliere appieno i vantaggi delle innovazioni offerte dalle nuove tecnologie. 137 CAPITOLO 3 LINEE GUIDA PER LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE IN TEMA DI PIANIFICAZIONE URBANA STRATEGICA∗ La presente indagine documenta lo stato della pianificazione strategica urbana in Italia con due finalità. La prima è quella di contribuire all’analisi delle iniziative già avviate per consentire agli enti locali direttamente coinvolti di migliorare i progetti in corso sotto lo stimolo di una osservazione esterna indipendente. La seconda, e più importante, è quella di avanzare delle prime indicazioni di “buone pratiche” per i tanti enti locali che stanno considerando di ricorrere alla metodologia della pianificazione strategica per affrontare su basi più solide e con prospettive più ampie le problematiche dello sviluppo dei rispettivi sistemi territoriali. A tal fine si propone una riflessione critica e propositiva articolata in tre parti. Nella prima parte si presenta una sintesi degli elementi di criticità e di opportunità dei 16 casi. Vengono posti in luce gli aspetti di originalità che ognuno di essi presenta, così come i suoi punti di forza e di debolezza. Lo scopo è quello di mettere in luce come ogni caso di pianificazione strategica urbana sia per molti versi una storia a sé stante, da cui non si possono trarre direttamente delle conclusioni a valenza generale, se non a rischio di pesanti semplificazioni. Nella seconda parte si presenta un’analisi dei fattori critici delle esperienze osservate e si mettono in evidenza quattro aspetti di particolare rilevanza per tutti gli enti locali che vogliono considerare a priori i requisiti di una buona pratica di pianificazione strategica urbana. Il primo aspetto riguarda il territorio del piano strategico relativo alla dimensione ottimale del piano strategico dal punto di vista spaziale. Questo aspetto, com’è evidente, non è una questione astratta dato che esprime il grado di rappresentatività territoriale del soggetto iniziatore del processo di pianificazione. Il secondo aspetto è l’analisi del mix pubblico-privato degli attori iniziatori e coinvolti nel piano strategico, ovvero prima nella fase di preparazione, poi nella fase di gestione del piano. Da questo elemento discendono due considerazioni, la prima sulla capacità del piano di rappresentare in modo adeguato la comunità locale e la seconda sulle possibilità del piano di essere attuato nel tempo. Il terzo aspetto consiste nei rapporti tra il piano strategico e gli strumenti di pianificazione fisica dell’area di pertinenza del piano stesso. Si è deciso di dedicare a questa relazione un’attenzione particolare perché dall’esame dei 16 casi oggetto dell’indagine emerge che ∗ Di Gastone Ave e Paolo Ceccarelli. 139 uno degli elementi cruciali per la fase di attuazione del piano strategico è quello della buona sintonia tra la visione e le linee strategiche del piano, da una parte, e le previsioni di sviluppo edilizio e urbanistico previste dagli strumenti di pianificazione, dall’altra. Inoltre, come quarto aspetto dell’analisi, si è posta l’attenzione sulla rilevanza strategica delle azioni concrete inserite nel piano strategico e sul loro arco temporale di riferimento. Infine, si affronta direttamente il tema della trasferibilità degli aspetti migliori dei 16 casi oggetto dell’indagine, evidenziando per quanto possibile gli errori più evidenti da evitare, i fattori di successo che potrebbero in qualche misura essere replicati in altri contesti, i metodi di comunicazione interna ed esterna più efficaci tra quelli analizzati sul campo. Nelle conclusioni si cerca di indicare le ragioni per le quali ci pare concreta la possibilità di trasferire i migliori risultati della pianificazione strategica urbana sulle modalità generali di gestione e di pianificazione dell’ente locale. Si indicano anche alcune delle condizioni da rispettare affinché tale trasferimento avvenga. Da ultimo, si segnalano le tendenze di evoluzione della pianificazione urbana strategica nel contesto italiano. 3.1 Analisi 3.1.1. Elementi di criticità e opportunità Le criticità Gli elementi che vengono considerati critici dalle varie tipologie di istituzioni locali considerate – comuni di grande dimensione, comuni medi, associazioni di comuni grandi e piccoli – e che motivano l’impegno e la giustificazione di ciascuna di esse a darsi piani strategici sono abbastanza variati. Rientrano in gran parte nelle grandi e comuni categorie dei fattori di crisi. In alcuni casi però le scelte sono state invece motivate dalla criticità di segno opposto: la necessità di dare un senso più preciso e di “mettere ordine” in processi di trasformazione e sviluppo già in atto e che richiedono d’essere governati per non produrre effetti negativi. Di seguito si indicano le criticità più ricorrenti. La situazione demografica La situazione demografica è uno dei fattori di maggiore preoccupazione delle amministrazioni locali e si articola in modo diverso: • Perdita di popolazione sia in termini assoluti, per emigrazione dei residenti tradizionali altrove, bassa natalità e nessuna tendenza al riequilibrio attraverso immigrazione, sia in termini relativi: forte pendolarismo su centri vicini che trasforma progressivamente un territorio comunale in “area dormitorio” scarsamente reattiva alle necessità di trasformazione economica e sociale locale; 140 • Invecchiamento della popolazione residente. In alcuni casi una buona parte della quota di popolazione più giovane corrisponde agli immigrati, con seri problemi di disomogeneità, adattamento, integrazione; • La quantità insufficiente di popolazione, cioè la mancanza di una massa demografica tale da consentire di attrarre particolari funzioni, di sviluppare in modo autonomo determinati servizi, e così via. Da ciò è motivato spesso lo sforzo di collaborare tra più enti locali, anche per poter raggiungere i livelli minimi sufficienti per non chiudere determinati servizi o, nei casi in cui tali livelli minimi esistano anche senza aggregazioni, per aumentare il loro livello di efficienza e migliorare le prestazioni complessive degli enti locali coinvolti. La dimensione territoriale limitata La limitazione territoriale di alcuni comuni rende spesso impossibile sviluppare nuove funzioni su scala maggiore, riequilibrare particolari processi, controllare l’efficacia di determinate politiche infrastrutturali. Questo vale tanto per città importanti, con territori comunali limitati, che per comuni di media dimensione, contigui a grandi aree metropolitane che si sviluppano con criteri molto diversi. Da ciò derivano spesso le iniziative volte a consorziare più comuni in programmi congiunti che implicano una scala territoriale più ampia. La scarsa accessibilità In alcuni casi di centri urbani di minore dimensione, o di territori di comuni associati tra di loro, la scarsa accessibilità (spesso retaggio del passato e mai del tutto superata anche in tempi recenti) è determinante per avviare la costruzione del piano strategico. Sono tre i fattori considerati critici in termini di accessibilità: • il primo è connesso all’ubicazione marginale del territorio considerato, rispetto ai principali sistemi di comunicazione; • il secondo riguarda l’assenza di adeguate infrastrutture o la presenza di infrastrutture che collegano punti più lontani e fanno “saltare” i territori intermedi; • il terzo è il risultato dei processi di polarizzazione interni alle aree ad alto sviluppo: si può essere territorialmente marginali e poco accessibili anche all’interno di sistemi metropolitani in forte sviluppo. La stagnazione dovuta a basi economiche in crisi o poco diversificate Le cause di stagnazione variano da luogo a luogo. La crisi di tipo classico riguarda l’industria ed in particolare la grande industria che a suo tempo ha portato benessere, 141 innovazione, opere pubbliche, ma poi ha contribuito a sclerotizzare le realtà locali e a renderle poco reattive in termini di risposta al mutamento. Ma la criticità non sta solo nella crisi della monocultura industriale e della grande impresa; è in genere la monocultura economica (e conseguentemente sociale) che preoccupa gli amministratori locali: monocultura dell’amministrazione pubblica in talune città, monocultura agricola in altre, monocultura del turismo in altre ancora. Di fatto la stagnazione può coincidere con l’inevitabile concludersi di un ciclo di sviluppo tecnologico ed economico, ma quello che preoccupa di più è la scarsa reattività di un sistema locale alla crisi, e l’incapacità di assumere in modo autonomo nuove direzioni rispetto al mutamento generale, anche se la situazione economica locale è buona, ma poco innovativa. Questo porta a due linee di risposta: 1) la necessità di diversificare la base economica, cercando di attrarre nuove e diverse funzioni; 2) la necessità di stimolare l’imprenditorialità locale. La necessità di diversificazione è particolarmente sentita dalle città con maggiore sviluppo turistico: si teme infatti che un eccesso di specializzazione turistica abbia effetti negativi su altri, indispensabili settori dell’economia; che ponga lo sviluppo locale alla mercé delle fluttuazioni economiche e dei processi politici internazionali; che abbia contraccolpi sullo stesso turismo (turismo di massa contro turismo di qualità, ecc.). I limiti dell’imprenditorialità locale nel rispondere a queste situazioni di stallo sono egualmente sentiti come un elemento molto negativo, da superare attraverso iniziative di diverso tipo ma sempre con l’ente locale nelle vesti di protagonista della promozione economica e sociale del territorio. Scarsa capacità imprenditoriale locale La scarsa capacità imprenditoriale locale è evidenziata in numerose esperienze di pianificazione strategica che la vedono in genere come un impedimento da rimuovere e, una volta che sia superato, come un’importante risorsa in più. Di fatto, nelle comunità interessate da un piano strategico, la capacità imprenditoriale (di tipo privato in primo luogo, ma anche di tipo pubblico) è un presupposto essenziale. È curioso, anche se in buona parte comprensibile, che a questa dichiarazione di indispensabilità, nei piani strategici non corrispondano spesso linee di azione e prassi che in concreto aiutino ad incentivare la formazione o lo sviluppo di questa imprenditorialità. Ne è prova il fatto che molti piani si limitano ad “ascoltare” i problemi degli imprenditori, ma non si preoccupano di coinvolgerli attivamente nella costruzione della nuova realtà, attraverso i Forum dello Sviluppo e le altre 142 forme di responsabilizzazione condivisa per la realizzazione del piano. In altri piani ci si limita a tracciare una mappa degli “interessi” del territorio, ma non si presentano metodi efficaci di coinvolgimento dei soggetti privati nel processo decisionale. Le situazioni di effettivo mix pubblico-privato sono molto limitate. In sostanza, i promotori dei piani constatano spesso che gli imprenditori privati locali non sono in grado di comprendere e cogliere le possibilità offerte dalla pianificazione strategica, ma poi gestiscono il piano stesso in forma molto centralistica, secondo modelli ormai superati e attraverso politiche ed interventi prevalentemente pubblici che lasciano pochissimo spazio all’iniziativa propositiva privata. Salvo poi richiamare l’intervento dei privati per sostenere finanziariamente la realizzazione di certi eventi o progetti, o la gestione di determinati programmi. Scarsa capacità attrattiva rispetto a nuove funzioni La scarsa capacità di attrarre funzioni deriva da più elementi ed è in genere considerato come fattore negativo, in quanto verificato da esperienze non riuscite (il mancato trasferimento di funzioni nuove che inizialmente sembravano interessate a spostarsi; il fallimento di progetti che avrebbero dovuto creare le premesse per nuove forme di sviluppo; la crisi di attività trasferitesi, ecc.) o dalla consapevolezza che mancano capitale fisso, capitale umano, istituzioni di supporto, risorse finanziarie locali, imprenditori locali, in grado di garantire che le nuove funzioni trasferitesi trovino un terreno di cultura migliore. Mancanza di integrazione dell’azione pubblica L’assenza di coordinamento ed integrazione delle politiche dei diversi attori pubblici è ritenuta critica non solo in quanto causa di ritardi, inefficienze e sprechi ma anche perché di ostacolo alla formulazione di strategie di ampio respiro su un arco di tempo di una certa durata e su aree sufficientemente vaste. Tale assenza riguarda sia i rapporti verticali, tra enti territoriali di scala diversa (regioni, province, comuni, ecc.), sia quelli orizzontali, tra enti con responsabilità settoriali diverse e anche all’interno dello stesso ente, tra diverse divisioni e servizi. Le opportunità Buona accessibilità e infrastrutture adeguate La collocazione geografica rispetto ai grandi sistemi regionali europei e/o alle grandi infrastrutture viarie, ferroviarie e aeroportuali è considerata in genere un fattore di notevole importanza soprattutto in vista dello sviluppo di funzioni superiori che implicano facile accessibilità, del turismo, ma anche possibilità di diversificazione economica. Un elevato 143 livello di infrastrutturazione permette anche più facilmente di configurare strategie di costruzione di reti di città. Diversificazione economica: credito, servizi alle imprese, logistica La diversificazione economica e il superamento delle monoculture industriali o agricole costituiscono un’opportunità per costruire strategie di ulteriore sviluppo. In particolare, appare importante la presenza di attività terziarie di tipo nuovo come i servizi di credito, i servizi alle imprese, la logistica nelle sue diverse forme. Altrettanto importante appare, laddove già esistono esperienze di questo tipo, l’integrazione tra ricerca universitaria e produzione. La diversificazione economica è vista anche come un fattore che consente strategie più flessibili, in grado di cogliere meglio una varietà di opportunità e come occasione per lo sviluppo di imprenditorialità, di nuove competenze professionali, ecc. Presenza di servizi superiori: università e centri di ricerca La presenza dell’università, spesso non particolarmente aiutata a livello delle politiche locali, è considerata sempre un fattore strategicamente importante per sviluppare industrie, servizi avanzati e funzioni culturali da un lato, e per attrarre popolazione giovane e qualificata, dall’altro. Questo vale ovviamente, anche se il peso è minore, per centri di ricerca, che in genere si localizzano dove già esistono università con le relative infrastrutture. L’università e la ricerca non sono comunque quasi mai viste come elemento centrale di una strategia di sviluppo (ad es. la formazione di una “città universitaria” o il rafforzamento di un polo scientifico già esistente). Ruolo internazionale Le città che hanno una tradizione di rapporti internazionali o un ruolo di rilievo nei sistemi internazionali, come le città sede di grandi gruppi economici multinazionali, le città d’arte più importanti, le aree dove sono ubicati grandi centri logistici di importanza europea, ecc., sono del tutto consapevoli dell’importanza che riveste questa loro collocazione relativamente alla formulazione di un piano strategico. I motivi sono diversi: più facile comunicazione delle proprie iniziative e progetti, maggiore accesso alle fonti di finanziamento internazionali, collegamento con progetti e programmi europei, ecc. La convinzione che un’apertura internazionale sia comunque importante per lo sviluppo futuro è diffusa anche tra le città che non hanno reali tradizioni in proposito. Significativo è ad esempio il fatto che il termine “Europa” viene spesso abbinato alla dizione piano strategico, così come è interessante notare l’interesse di alcune città ad entrare in reti europee di città con piani strategici, ecc. 144 Patrimonio storico, artistico e culturale e turismo La disponibilità di un importante patrimonio storico-artistico è un’opportunità di grande peso nelle più importanti città d’arte italiane (che però, sono anche preoccupate degli aspetti negativi connessi al grande successo turistico), ma che è vista con sempre maggiore interesse anche da parte di centri urbani di rilevanza storico-artistica minore, che considerano importante la valorizzazione di questa risorsa ai fini della diversificazione economica, dell’indotto culturale nella società locale, della costruzione di un’immagine nuova, del richiamo di notevoli quantità di persone dall’esterno in occasione di particolari eventi artistico-culturali, ecc. Non è da sottovalutare inoltre anche il ruolo che il patrimonio storico-artistico può avere nella costruzione di un’identità più precisa ed attraente. Pianificazione urbanistica L’esistenza di buoni ed aggiornati strumenti di pianificazione urbanistica è in generale considerata un’opportunità. I piani urbanistici hanno talvolta anticipato scelte strategiche (ad es. di infrastrutture, nuove grandi funzioni, aree verdi, tutela del patrimonio) che il piano ha fatto proprie a livello di attuazione, o viceversa la costruzione del piano strategico ha fatto emergere necessità ed opportunità che sono state travasate negli strumenti di pianificazione urbanistica. Ci sono alcune città in cui l’elaborazione della pianificazione strategica e della pianificazione urbanistica procedono di pari passo, con forti interazioni. L’unico rischio riscontrato in questo caso è che il piano strategico tenda eccessivamente a divenire strumento di attuazione di scelte urbanistiche, limitando così notevolmente la sua portata. Un altro aspetto interessante del rapporto tra pianificazione urbanistica e quella strategica emerge dalle esperienze di attuazione di “programmi urbanistici complessi” (PRU, PRUSST, ecc.) che richiedevano il partenariato pubblico-privato. In alcuni casi sono stati i banchi di prova di un rapporto fruttuoso che ha poi trovato riscontro nella successiva esperienza di pianificazione strategica. Qualità della vita La qualità della vita è considerata un fattore positivo importante, anche se il livello di qualità esistente non può essere espresso attraverso parametri precisi e si basa fondamentalmente su un generico convincimento degli abitanti e su affermazioni positive da parte delle amministrazioni locali o si fa talvolta riferimento alla posizione in classifiche redatte da istituzioni indipendenti, o a statistiche ufficiali in materia di sicurezza. L’attrattività di una particolare città e del territorio circostante rispetto alla qualità della vita è espressa piuttosto in termini di risorse naturali esistenti, di previsioni degli strumenti di pianificazione in materia di spazi verdi e traffico, dell’esistenza di procedure di Agenda 21 145 locale, di misure in termini di sicurezza, dell’esistenza di particolari servizi che dovrebbero garantire “qualità”, ecc. In sostanza si cerca di costruire l’immagine della buona qualità attraverso l’esistenza di alcuni fattori “oggettivi” da un lato (l’esistenza di particolari risorse, attrezzature e servizi) e la dimostrazione dell’attenzione per la questione dall’altro (strumenti di piano, politiche di settore, convegni sul problema, ecc.). Società coesa L’esistenza di una comunità locale coesa, integrata e tranquilla nella sua operosità è considerata al tempo stesso un’opportunità ed un obiettivo. L’aspetto “risorsa” viene espresso in due modi: come garanzia di sicurezza e di buone condizioni di vita (e così rientra nei fattori positivi di qualità della vita), e come elemento importante per realizzare determinate politiche. L’esistenza di tradizioni associative, di volontariato, di forme diverse di organizzazione dal basso e di partecipazione sono considerati fattori importanti per il processo di definizione, ma soprattutto di attuazione di particolari azioni del piano strategico. È indubbio che laddove c’è esperienza consolidata e diffusa di decisione condivisa e partecipata in diversi campi e su diversi problemi è più probabile che le scelte di piano abbiano successo. Collaborazione intercomunale consolidata La tradizione di collaborazione tra enti locali contermini, su una varietà di materie di comune interesse è sicuramente un punto di forza. Infatti, in alcuni casi il piano strategico nasce da istanze espresse da istituzioni intercomunali, come momento di loro più esplicita finalizzazione verso più impegnativi e complessi traguardi futuri e/o come occasione di razionalizzazione delle stesse. Nei casi in cui non esiste questa esperienza, i documenti di piano indicano la collaborazione tra istituzioni di governo locale come un elemento indispensabile nella costruzione di una strategia. Collaborazione privato-pubblico La collaborazione pubblico-privato rappresenta un’esigenza fondamentale della pianificazione strategica, la cui esistenza purtroppo in taluni casi è più dichiarata che esistente, limitando così le azioni del piano a una sommatoria di interventi pubblici, che talvolta sono anche scarsamente condivisi dalla popolazione. Laddove ci sono state precedenti esperienze di collaborazione, la situazione è ben diversa, come indicano alcuni Forum dello Sviluppo o altre forme, più o meno istituzionalizzate, di coinvolgimento dei privati nel processo di costruzione e attuazione del piano. Anche in questo caso, come nei casi in cui esiste consuetudine di collaborazione tra enti locali, il piano diventa uno 146 strumento guida, di razionalizzazione, con obiettivi che così possono essere raggiunti più facilmente. 3.1.2. Elementi di originalità I casi considerati hanno messo in luce una serie di elementi di originalità di natura diversa che emergono sia nella fase di preparazione del piano strategico, sia nella fase della sua attuazione. Particolare attenzione per la fase di ascolto È questa una caratteristica particolare di alcuni piani in fase di costruzione o di cui si sta avviando l’attuazione. La fase di “ascolto del territorio” ha ricevuto particolare attenzione attraverso varie forme di consultazione degli attori più rilevanti. Queste procedure sono state spesso attuate con l’apporto metodologico di varie università che in questo modo hanno “certificato” la validità scientifica delle procedure di analisi adottate. Sotto il profilo tecnico si sono riscontrate diversità, anche profonde, nelle modalità di ideazione e realizzazione delle consultazioni. Nella maggioranza dei casi ci si è concentrati nella fase di indagine diagnostica sul rilevamento degli orientamenti dei portatori di interessi collettivi di tipo pubblico e privato, riservando a una fase successiva l’allargamento dell’azione di coinvolgimento diretto a un pubblico più vasto. In alcuni casi si è cercato fin dall’inizio un coinvolgimento diretto della popolazione. Trasformazione dell’assetto territoriale Il piano strategico appare come occasione per realizzare trasformazioni dell’assetto territoriale su vasta scala, ad esempio la realizzazione di reti di città che possano dare una migliore risposta alle grandi trasformazioni economiche a livello europeo e abbiano la dimensione necessaria per riequilibrare il sistema territoriale italiano. Identità come fattore di sviluppo La specificità della città, le sue caratteristiche, le sue tradizioni, che ne fanno un luogo unico, hanno in alcuni casi un ruolo importante. Questa unicità dà alla città un’identità particolare che diventa una risorsa su cui si costruisce una particolare strategia, ad es. di città di particolare qualità negli stili di vita, di città ricca di istituzioni culturali e scientifiche, di città con una struttura sociale coesa ed equilibrata, di città con una struttura economica e sociale diversificata. 147 Iniziative per i giovani Le politiche in favore dei giovani rappresentano un elemento distintivo di alcuni piani strategici. Interessante, anche se raro, il collegamento tra le iniziative indirizzate al mondo giovanile e quelle pensate per gli anziani o per l’integrazione degli immigrati. Sviluppo avanzato Le iniziative basate su funzioni avanzate come ricerca, industrie innovative, servizi superiori, che possono disporre di una base di infrastrutture e servizi adeguati sono sicuramente poche, proprio per la scarsità di situazioni di partenza di questo tipo in Italia. Gli interventi presentati come politiche di sviluppo avanzato sono, a volte, limitati a realizzare degli incubatori di impresa, spesso di dimensioni tali da renderli dei progetti pilota, limitati sia sotto il profilo territoriale, sia per la loro limitata capacità di integrazione con il sistema delle imprese esistenti. Marketing L’introduzione del marketing territoriale in alcuni piani strategici è certamente un elemento di originalità che andrebbe sviluppato adeguatamente. Nei casi in cui le esperienze sono più avanzate, si nota che si è superato l’errore, apparentemente ancora molto diffuso, di ridurre il concetto di marketing territoriale a iniziative di comunicazione e promozione del territorio. 3.1.3. Punti di forza e punti di debolezza I punti di forza e di debolezza della pianificazione strategica esaminata corrispondono di fatto alle opportunità-criticità e agli elementi di originalità che si sono analizzati in precedenza. Tra i punti di forza dei piani vi sono l’unicità di talune situazioni che consentono strategie specifiche con notevoli margini di successo; l’ubicazione territoriale vantaggiosa rispetto a particolari grandi infrastrutture; una buona base di servizi e infrastrutture; una base economica già relativamente diversificata; un’efficiente macchina amministrativa del comune promotore; l’esistenza di comunità locali coese con pratiche di collaborazione pubblico-privato diffuse e consolidate; la collaborazione tra comuni diversi a livello territoriale e tra enti diversi nello stesso contesto. Tutti questi elementi, anche se di natura diversa, costituiscono una garanzia iniziale per un buon avvio ed una buona riuscita del piano. Tra gli elementi di forza di natura “immateriale” ma nella realtà ben percepiti se presenti, va sottolineato in modo particolare la consuetudine dell’ente locale che promuove 148 l’iniziativa di pianificazione strategica di avvalersi di procedure di collaborazione pubblicoprivato nei campi più diversi (sviluppo economico, tutela ambientale, pianificazione urbanistica, gestione dei servizi sanitari di base, ecc.). Tale consuetudine, laddove esiste, appare il risultato di una serie di iniziative avviate nel tempo che nel loro insieme contribuiscono a creare il migliore clima amministrativo, ma anche culturale, affinché iniziative più impegnative di pianificazione partecipata possano essere avviate e soprattutto gestite una volta superata la tappa dell’approvazione del piano. I punti di debolezza sono innanzitutto di natura territoriale, come il relativo isolamento geografico, l’ubicazione in un contesto esterno difficile, la vicinanza di aree forti con effetto di drenaggio di popolazione e funzioni. Ad essi si aggiungono l’eccessivo peso di attori istituzionali che non consentono una reale co-responsabilizzazione del settore privato; una arretratezza culturale nella gestione dell’ente locale esplicitata nella scarsa abitudine alla verifica indipendente dei risultati, nell’autoreferenzialità di alcuni assessorati, nell’insufficiente inserimento dell’ente in reti e iniziative di livello regionale, nazionale e internazionale; la scarsa entità e capacità di risposta al mutamento dell’imprenditoria privata locale; il peso molto forte di situazioni di monocultura economica che costituiscono un freno alla indispensabile diversificazione; una società locale con livelli di istruzione limitati e l’assenza di istituzioni in grado di offrire formazione di livello più alto e più qualificata. 3.2 I fattori critici della pianificazione strategica 3.2.1. Rappresentatività territoriale del soggetto attivatore Nella maggioranza dei casi il soggetto che dà impulso al processo di pianificazione è un comune di dimensioni relativamente grandi, che fa riferimento al proprio territorio e a quello dei comuni immediatamente contermini. Vi sono tuttavia anche casi di piani avviati da associazioni di comuni o di piani che si pongono come obiettivo importante l’immediato allargamento a un territorio più vasto, che comprende un numero maggiore di enti locali e che ricopre la scala provinciale. In genere, comunque, le iniziative promosse da un solo soggetto suscitano risposte positive da parte di altri attori istituzionali in tempi relativamente brevi. Da segnalare un elemento ricorrente in molti dei casi di pianificazione strategica italiana dato dal rapporto delicato che si viene a creare tra il soggetto iniziatore del processo, in genere un comune, e la provincia in cui tale comune è inserito. Il rapporto può assumere tutte le caratteristiche di un progetto in cui ambedue i soggetti possono trarre vantaggi di lungo periodo, oppure può fare emergere conflittualità più o meno latenti che traggono 149 spunto da veri o presunti sconfinamenti dell’azione di pianificazione nelle competenze di uno o dell’altro dei soggetti. In questo senso la casistica è molto ampia dato che esistono: • città in cui l’ente provincia è stato coinvolto in modo attivo fin dall’inizio del processo di pianificazione e ne è diventato uno dei principali proponenti, ad esempio riversando nel PTCP alcuni indirizzi emersi dagli studi per la pianificazione strategica, oppure al contrario mettendo a disposizione le elaborazioni svolte per il PTCP nelle varie fasi di preparazione del piano strategico; • città in cui l’ente provincia ha partecipato alle fasi di studio iniziali (ad esempio, l’analisi diagnostica del territorio, i gruppi di lavoro, ecc.) ma non ha aderito formalmente alla richiesta di far parte del Forum dello Sviluppo o di altri organismi di guida della pianificazione strategica locale, oppure ha partecipato alle varie fasi di preparazione del piano astenendosi dalla approvazione del documento finale; • città dove l’ente provincia ha partecipato in modo solo formale all’iniziativa, senza sostenerla in modo concreto e in qualche caso anche trattandola come iniziativa da controllare piuttosto che da incoraggiare, vedendo in essa una possibile minaccia di diminuzione del ruolo di programmazione a scala provinciale. Nei confronti dell’ente regione la rappresentatività territoriale dei piani strategici in genere non solleva alcuna discrasia di competenze. Anzi, vi sono casi in cui l’iniziativa di pianificazione strategica ha permesso di ottenere a livello locale delle sinergie preziose con le iniziative promosse in modo autonomo e parallelo a livello regionale. Si tratta dei casi in cui l’ente regionale ha avviato per suo conto l’elaborazione di un piano di sviluppo economico e sociale basato sul metodo del dialogo tra soggetti pubblici e privati e fondato sulla articolazione territoriale del confronto. In questi casi, la rete di relazioni che il piano strategico ha costruito nel corso della sua elaborazione si è presentata come una risorsa molto utile per il livello di pianificazione regionale, saldando in modo verticale tra i principali enti preposti alla programmazione (comune, provincia, regione) una azione concreta di pianificazione trasversale fondata sul confronto tra i principali soggetti pubblici e privati operanti sul territorio. Esistono tuttavia anche rari casi in cui, anche nel rapporto tra gli enti che promuovono la pianificazione strategica a livello locale e l’ente regione, sono emersi possibili conflitti di competenze istituzionali sulla legittimità della rappresentanza territoriale di scala ampia che in genere i piani strategici propongono. Si tratta di casi in cui tra lo strumento “piano strategico” e gli strumenti di livello regionale (ad esempio, il piano territoriale regionale, il programma di sviluppo economico regionale, ecc.) non si è creato un appropriato scambio di informazioni a livello istituzionale, ma anche a livello tecnico. 150 3.2.2. Rappresentatività del mix pubblico-privato degli attori iniziatori e coinvolti La cooperazione pubblico-privato si presenta in modalità molto diversificate: si va da piani strategici che presentano un mix pubblico-privato adeguato, a piani strategici che sono invece prevalentemente basati su attori istituzionali. In genere le situazioni più equilibrate sono quelle che nascono da precedenti esperienze di collaborazione pubblico-privata in programmi urbanistici complessi (PRU, PRUSST, ecc.), oppure in situazioni in cui si sono accumulate nel tempo azioni pubbliche e private abbastanza integrate, entro le linee guida di piani urbanistici attenti a queste problematiche. Le situazioni meno equilibrate sono quelle in cui i piani strategici sono nati prevalentemente o esclusivamente per indirizzare processi di trasformazione rapida indotti dall’esterno, flussi eccezionali di investimenti pubblici esterni collegati ad eventi straordinari. All’estremo opposto, un certo disequilibrio emerge anche nelle situazioni in cui esiste una situazione di stagnazione e di forte isolamento e vi è una sostanziale incapacità della comunità nel suo complesso a reagire a una situazione di crisi in cui anche il settore privato sembra privo di iniziative di rilievo e di capacità progettuale concreta. 3.2.3. Rapporto con gli strumenti di pianificazione fisica dell’area inclusa nel piano Il raccordo del piano strategico con gli strumenti di pianificazione fisica è definito fondamentale nell’analisi dei diversi casi. In alcune realtà, infatti, si è cominciato a verificare l’opportunità di fare un piano strategico parallelamente alla revisione del PRG vigente, e all’ipotesi di nuovi piani di scala vasta e così via. Da questo importante principio sono poi derivate soluzioni di natura molto diversa. In alcuni casi, piano strategico e strumento di pianificazione urbanistica procedono di pari passo; in altri casi, il piano strategico fornisce una serie di indicazioni utili per la pianificazione urbanistica, o viceversa sono le necessità della pianificazione urbanistica a fornire sollecitazioni alla pianificazione strategica. In alcuni casi ancora il piano strategico si limita solo a svolgere la funzione di strumento per accelerare o realizzare in modo più efficiente quanto già indicato da alcuni strumenti urbanistici. Se il rapporto tra pianificazione strategica e pianificazione fisica sembra un principio acquisito, lo stesso non si può dire con altre forme di pianificazione e con altri strumenti di indirizzo elaborati a livello locale. Ad esempio, le relazioni con i piani d’azione locale di Agenda 21 devono ancora essere sperimentate sul terreno nella maggioranza delle città. 151 A ben vedere poi, anche le relazioni tra pianificazione strategica e piani urbanistici sono sì un elemento acquisito e sul quale si hanno riscontri molto positivi in diverse realtà locali, ma lo stesso non si può dire se si prendono in considerazione anche i comuni più piccoli che aderiscono ai processi di pianificazione strategica. Si vedono le interconnessioni tra le due forme di pianificazione (strategica e fisica) più facilmente nel caso del comune maggiore che ha iniziato il piano strategico, mentre tali interconnessioni sono più labili o non esistono per nulla nel caso dei PRG e degli altri strumenti urbanistici dei piccoli comuni aderenti. Ad esempio, in diversi piani strategici si pone correttamente in rilievo l’importanza di una pianificazione urbanistica rispettosa dell’ambiente e mirata alla salvaguardia degli elementi di naturalità presenti nel territorio. In alcuni casi ci si spinge a indicare espressamente tra le azioni bandiera del piano una attenta politica dell’uso del suolo volta al contenimento dell’espansione urbana e al contrasto dello spreco di suolo connesso con lo sviluppo disperso, ma non si indicano percorsi chiari per attuare tali proponimenti. Mancano, ad esempio, iniziative volte al coordinamento degli strumenti urbanistici di tutti i comuni aderenti ad un piano strategico verso un fine comune di tutela del suolo. In generale, non appaiono ancora evidenti con una sufficiente chiarezza le implicazioni che l’adesione a un piano strategico dovrebbe comportare nell’indirizzare l’azione di governo locale dei diversi comuni verso un obiettivo qualificante di tipo urbanistico a scala vasta. Allo stesso modo, sembra ancora difficile individuare, al di là dei contenuti generali delle linee strategiche e degli obiettivi dei singoli piani, azioni concrete che mettano in relazione in modo omogeneo su tutto il territorio interessato dal piano strategico le scelte che i piani intendono attuare in campo urbanistico e ambientale, con le politiche di fiscalità locale inerenti il patrimonio immobiliare di tutti i comuni. Ad esempio, è molto raro trovare indicazioni sul coordinamento delle aliquote dell’Imposta Comunale sugli Immobili dei comuni aderenti al piano con le politiche dichiarate in materia di uso del suolo. La fiscalità locale sembra essere ancora considerata una materia a sé stante, di competenza e di interesse esclusivi dei singoli comuni, invece di uno strumento da utilizzare secondo criteri omogenei e condivisi da tutti i comuni di un territorio oggetto di pianificazione strategica, al fine di contribuire a realizzare politiche di ampio respiro che vedano al primo posto il massimo risparmio del suolo non ancora edificato attraverso scelte di piano che, da un lato, rendano impossibile o fiscalmente molto oneroso l’uso del suolo vergine, e dall’altro offrano concreti vantaggi allo sviluppo urbano di qualità in zone già compromesse (ad esempio in aree industriali e militari dismesse). 152 3.2.4. Rilevanza strategica ed arco temporale delle principali azioni del piano L’arco temporale dei piani considerati è di circa 10 anni, considerato ragionevole per la realizzazione di gran parte delle principali azioni di piano: grandi infrastrutture, importanti funzioni di servizio, programmi di riqualificazione urbana, ecc. Alcuni piani, in genere corrispondenti a situazioni fortemente condizionate da finanziamenti esterni con i loro tempi o da particolari scadenze internazionali, hanno durata più breve. Altri piani, al contrario, si propongono di raggiungere obiettivi di maggior respiro e complessità, soprattutto in termini di integrazione tra soggetti territoriali diversi e istituzioni di differenti livelli; in questo caso si tende a prevedere una durata temporale maggiore: 15-20 anni. Per quanto riguarda l’articolazione delle scelte strategiche, è possibile individuare in genere una “griglia di scelte” articolata in: 1. visione; 2. linee strategiche; 3. obiettivi; 4. azioni o singoli progetti di natura sia materiale che immateriale. La maggioranza dei piani ripartisce le singole azioni o i singoli progetti in due categorie: A) le azioni o progetti di “bandiera”, ovvero le iniziative caratterizzanti il piano strategico, e B) le azioni o singoli progetti “semplici o normali”, ovvero tutte le azioni rimanenti individuate dal piano e non appartenenti alla categoria precedente. In qualche caso si riscontrano articolazioni più elaborate. Ad esempio, l’insieme delle azioni è ripartito in diverse categorie a seconda di una serie di fattori tra cui: • l’arco temporale previsto per la realizzazione delle singole azioni; • il tipo di governance richiesto, distinguendo tra iniziative solo pubbliche, solo private, o di tipo misto; • il grado di copertura territoriale delle singole azioni rispetto all’estensione amministrativa dei comuni aderenti al piano; • 3.3 la natura o il fabbisogno di finanziamento di talune azioni. Trasferibilità e sostenibilità delle esperienze 3.3.1. Errori da non commettere In base all’analisi effettuata, emergono alcuni errori sia nella fase di preparazione del piano, sia nelle fasi di approvazione e gestione. 153 Interrompere il processo di costruzione del piano L’interruzione del processo della pianificazione strategica è un fenomeno che è avvenuto in alcuni casi e che potrebbe facilmente ripresentarsi in alcune esperienze in atto. Si tratta in genere di interruzioni (più o meno lunghe) di processi che hanno relativamente impegnato un’amministrazione comunale nell’arco di tempo di un mandato e che non vengono condivisi dalla successiva amministrazione, o vengono condivisi solo parzialmente comportando quindi una revisione di obiettivi e strategie. Causa di queste interruzioni è in genere la forte personalizzazione del processo di costruzione del piano strategico, legato spesso a un sindaco particolarmente attivo o a una congiuntura politica favorevole e di breve durata, a volte connessa con la formazione di un gruppo di guida locale particolarmente affiatato, sorretto dalla speranza di poter accedere a particolari finanziamenti nella convinzione che questo accesso sia facilitato dalla disponibilità di un piano strategico. Talvolta l’interruzione può anche avvenire a causa del periodo di passaggio tra due amministrazioni, con lo stesso sindaco e la stessa coalizione politica al governo della città, come effetto della mutata composizione del Consiglio e della necessità di rendere più partecipi i nuovi amministratori. L’interruzione ha comunque un effetto sempre negativo, in quanto allenta i rapporti (e di conseguenza l’impegno) tra le parti coinvolte, sia pubbliche che private e dà alla comunità cittadina la sensazione che il piano strategico non sia uno strumento di particolare importanza. Una lettura sotto un’ottica propositiva dell’errore dell’interruzione del processo è legata al fattore tempo. Il successo dell’iter di un piano strategico è tanto più possibile quanto più la sua preparazione e approvazione avviene in un lasso temporale breve e comunque predeterminato da un’accurata pianificazione a monte dell’annuncio ufficiale dell’avvio del piano. Al dilatarsi del periodo di preparazione aumentano in modo più che proporzionale i pericoli di interruzione. Per larga parte la pianificazione strategica delle città è una pratica ancora allo stadio sperimentale in Italia, fondata su processi volontari in cui la creatività e la passione civica delle persone coinvolte svolgono un ruolo fondamentale. Tali componenti (creatività e passione civica) tendono a manifestarsi nelle città per l’incrocio di un insieme di circostanze favorevoli, che di solito permangono nel medesimo luogo per periodi di tempo piuttosto limitati. La perdita di tensione causata dalla interruzione di un processo di pianificazione strategica non crea solo un danno materiale misurabile con il tempo necessario a “far ripartire la macchina”, ma può anche fare disperdere alcune delle circostanze favorevoli che hanno prodotto lo spunto iniziale del processo, quali ad esempio la presenza di un soggetto 154 attivatore (un sindaco, un assessore, un direttore generale, un dirigente, un imprenditore privato, ecc.), oppure di una amministrazione particolarmente intenzionata a lasciare un segno positivo nella città, un momento storico maturo per determinate scelte urbane, e così di seguito. Anche nel caso di amministrazioni diverse si dovrebbe tener conto che la costruzione di forme partecipative più avanzate (pubbliche e private), la maggiore integrazione e il miglior coordinamento dell’azione dei vari attori pubblici, sono risultati di importanza assoluta indipendentemente dagli orientamenti politici che li hanno prodotti. Si tratta di risorse che hanno eguale importanza rispetto a qualsiasi coalizione politica. D’altra parte, è generalmente condivisa dagli esperti di pianificazione l’idea che uno dei risultati della pianificazione strategica di livello interurbano è la crescita dei valori intangibili dell’area espressa come un accresciuto capitale di tipo sociale (cioè maggiori relazioni di fiducia tra i soggetti), di tipo intellettuale (più conoscenza condivisa), e di tipo politico (definizione di alleanze). Centrare il piano solo sull’iniziativa pubblica o solo per attrarre determinate risorse pubbliche È questo un errore che può essere nascosto da una certa efficienza nella conduzione delle operazioni di costruzione di piano e dai risultati ottenuti, ma che spesso è pagato con insuccessi e limiti in un’ottica a lungo termine. Uno degli aspetti più negativi è la superficialità, se non addirittura l’inesistenza, del rapporto con gli altri attori del processo strategico. Se tutto è gestito, magari anche in modo molto dinamico e con forte ritorno di immagine, dal comune proponente (sotto la spinta del sindaco) e da qualche altro ente territoriale, è difficile che il settore privato sia incentivato a partecipare in un ruolo subalterno. Ci sono stati casi in cui le forze private non hanno partecipato affatto. Magari sono state inserite nelle consultazioni iniziali e nei gruppi di lavoro, ma non hanno preso parte attiva al processo decisionale del piano. Le conseguenze sono facili da immaginare: terminati gli investimenti pubblici, magari resi possibili da congiunture del tutto particolari o da trasferimenti finanziari esterni irripetibili, si ferma tutto o comunque il processo acquista un ritmo molto più lento, le azioni diventano meno incisive, cala la tensione creativa. Un altro effetto negativo è lo spreco di un’occasione come il piano strategico per costruire nuove condizioni e pratiche di governance. Un piano strategico esclusivamente pubblico ne è la negazione, anche qualora venisse presentato con un linguaggio ricco di termini nuovi e di grandi promesse di rinnovamento. 155 Costruire un piano scarsamente partecipato La partecipazione diretta dei cittadini non è condizione indispensabile per la costruzione di un buon piano strategico. Può essere sufficiente o addirittura consigliabile per la prima fase di costruzione del piano, limitare il coinvolgimento ai soggetti pubblici e privati collettivi, ovvero ai soggetti (enti, associazioni di categoria, organismi di volontariato, ecc.) in grado di offrire una rappresentazione per grandi categorie dei bisogni della società. Ma l’informazione e la partecipazione diretta dei cittadini sono elementi che nel processo di pianificazione strategica non possono non essere tenuti presenti, pena l’artificiosità dell’intera operazione di costruzione e attuazione del piano strategico. Rendere noto il piano alla cittadinanza, illustrarne adeguatamente gli obiettivi, farne conoscere l’articolazione e discuterne le finalità costituisce un importante fattore correttivo della deriva tecnocratica che spesso i piani strategici hanno. Il piano non è fine a se stesso, né è l’occasione per costituire nuovi gruppi di interesse e di potere attorno alle possibilità di sviluppo di una città o territorio. Questo rischio, sempre presente in un piano strategico, diviene ancora più forte se non c’è alcuna forma di controllo “politico” da parte dell’opinione pubblica. Gran parte dei problemi di comunicazione del piano risiedono in questo. Per essere realizzate o per essere gestite dopo la loro realizzazione, la gran parte delle azioni e dei progetti del piano strategico richiede l’impegno di tutti; l’analisi dei casi indica che questo avviene solo se c’è stato un adeguato coinvolgimento anche della popolazione e se in qualche modo le azioni sulle quali è articolata la “griglia delle scelte” del piano rispecchiano il sentire comune dell’intera società locale. 3.3.2. Fattori di successo da non trascurare Coinvolgimento degli stakeholder Per quanto possa essere complesso e faticoso riuscire a mobilitare e coinvolgere gli attori pubblici e privati che sono portatori degli interessi più importanti (e non sempre considerati tali) per la costruzione del piano strategico, si tratta di un fattore assolutamente decisivo nel determinare il reale successo o insuccesso di un piano strategico. Il coinvolgimento di particolari attori pubblici e di numerosi attori privati dovrebbe essere un dato strutturale di un piano strategico; di fatto, come si è visto nei casi esaminati, non sempre è così. Molto spesso il numero dei soggetti privati coinvolti è limitato e riguarda solo rappresentanze di categoria e qualche istituto di credito. In altri casi, il coinvolgimento è solo apparente. Molto spesso il coinvolgimento è generico e non corrisponde alla fondamentale esigenza di responsabilizzazione dei soggetti. I Forum dello Sviluppo, la sottoscrizione di precisi patti, la istituzione di Agenzie per il piano, autonome rispetto alla 156 macchina comunale, ecc. sono passaggi obbligati se si intende produrre un reale piano strategico e se, una volta definito, lo si intende realizzare. Costruzione di governance Il diverso rapporto tra istituzioni formali di governo, gruppi portatori di interesse, organismi di rappresentanza diretta dei cittadini, ecc., e la loro interazione per governare un territorio in modo più trasparente, più responsabile e più aderente alle esigenze della popolazione è uno degli obiettivi di fondo che ci si propone di raggiungere attraverso la costruzione e la gestione di un piano strategico. Sono questi i principi della governance delle città, ovvero di un modo innovativo di intendere la funzione di governo locale al fine di dare risposte più adeguate ai bisogni attuali delle comunità locali. Facendo riferimento ai cinque principi che, secondo la Commissione delle Comunità Europee (“La governance europea. Un libro bianco”, 2001) sono alla base della buona governance: apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza, appare evidente come un piano strategico possa avere un ruolo determinante per ottenere questi risultati e come d’altra parte il non rispetto di questi principi possa dar luogo ad esiti negativi anche laddove si sia adottata, evidentemente solo a parole, la metodologia della pianificazione strategica urbana di tipo partecipato e condiviso. Non a caso uno dei risultati attesi più importanti e più tipici della pianificazione strategica è accrescere il patrimonio di relazioni di fiducia tra soggetti decisionali (pubblici e privati) di una data area, anche per affrontare sfide che all’avvio del processo di piano si possono solo intravedere nel futuro o che non si sono ancora manifestate come problemi per la città in questione. L’esistenza di un simile patrimonio di relazioni è il migliore capitale da spendere in un’epoca in cui si richiedono tempi di reazione brevi anche alle amministrazioni locali. Partecipazione dei cittadini La partecipazione dei cittadini è direttamente proporzionale al grado di apertura, alla volontà e capacità di comunicare. La partecipazione dei cittadini è un fattore di successo fondamentale: è di fatto l’unico elemento che garantisce la continuità del processo di pianificazione, il radicamento dei suoi risultati, ma anche la permanenza di una vigilanza critica sui processi ed i risultati. La partecipazione attiva, meglio se sorretta dalle informazioni che solo delle procedure di valutazione indipendente del processo di pianificazione possono produrre, è il modo migliore per prevenire delle derive tecnocratiche della pianificazione strategica. 157 Realizzazione di progetti bandiera Un fattore di successo che fa da traino a molti altri elementi positivi è la realizzazione di un “progetto bandiera”, ovvero di un progetto che ha in sé la capacità di simboleggiare la “visione” che un dato piano strategico intende realizzare entro una data dichiarata. Per ottenere questo risultato è indispensabile che vi sia partecipazione, responsabilità, efficacia e certamente anche coerenza nelle varie azioni compiute. L’esito positivo di un progetto bandiera (che non deve essere necessariamente un progetto molto ambizioso e difficile da realizzare) dà la consapevolezza che “si può fare” e convince la cittadinanza che il piano serve a fare cose che sono significative ed utili. È più importante essere riusciti a fare bene una sola cosa, presa come modello di più ampi problemi e possibilità, che avviare imprecise strategie di sviluppo su più piani e in più direzioni. In questo senso, sembra che vi sia ancora molto lavoro da fare dato che la maggioranza, se non la totalità dei piani strategici italiani, appare articolata in un numero spesso ridondante di azioni o singoli progetti, facendo sorgere il dubbio che il loro gran numero sia un prezzo pagato per ottenere la partecipazione di un ampio ventaglio di soggetti pubblici e privati al processo di pianificazione. 3.3.3. Metodi di comunicazione interna ed esterna più efficaci La comunicazione interna ed esterna del piano assume molteplici forme e si svolge con diverse modalità (comunicazione diretta, pubblicazioni, eventi pubblici, televisione, Internet, ecc.). Per ogni piano strategico non sembra sufficiente attivare una sola attività di comunicazione, dato che i gruppi obiettivo da raggiungere, individuati grazie alle analisi condotte nel corso del processo di piano, sono sicuramente diversi e articolati. Ovviamente le modalità di comunicare all’interno variano molto tra loro a seconda della dimensione del comune o dell’Agenzia per l’attuazione del piano, del tipo e del livello di formazione dello staff, delle tradizioni di comunicazione interna del comune che promuove il piano. In genere, gli incontri di comunicazione interna avvengono coinvolgendo solo un ristretto gruppo di responsabili di settore che relazionano sulle rispettive aree di competenza e la discussione si centra su un limitato numero di problemi. Vi sono però anche casi di seminari interni di portata più ampia, che coinvolgono un maggior numero di persone. Non ci sono esperienze di training di personale rispetto a specifici problemi posti dal piano e che si configurano anche come occasioni di sensibilizzazione e comunicazione. La comunicazione verso l’esterno avviene in genere con modalità diverse e di tipo tradizionale; da un lato c’è la comunicazione alle élite locali attraverso le varie commissioni che lavorano alla costruzione del piano, dall’altro la comunicazione di respiro più ampio, 158 attraverso pubblicazioni di vario tipo da diffondere o articoli su giornali nazionali o locali, realizzazione di siti web dedicati, programmi televisivi. La comunicazione, quindi, ha molteplici target e richiede, per essere efficace, forme diverse a seconda dei soggetti da raggiungere. C’è la comunicazione prevalentemente dedicata alla comunità locale, e quella che si rivolge all’esterno, per destare interesse sul piano ed attrarre operatori ed investimenti. In genere, le città che hanno avviato processi di pianificazione strategica hanno messo a punto una vasta gamma di iniziative e di strumenti di comunicazione, tra cui si possono citare i seguenti: • il sito Internet del piano strategico è importante sia per la comunicazione interna che esterna; • il “Forum” (fisico o virtuale) e la newsletter elettronica periodica per promuovere uno spazio fitto di relazioni, un modo per incontrarsi e condividere idee, prospettive ed esperienze diverse; • un video (DVD) per supportare visivamente i momenti di presentazione del piano, sia come strumento di divulgazione verso l’interno e, soprattutto, verso l’esterno; • una brochure del piano strategico finalizzata a: costruire il consenso nei confronti del piano da parte degli enti e a far conoscere e promuovere la visione ed i progetti sia a livello locale che esterno; • un pieghevole divulgativo del piano strategico, cioè di una sorta di versione ridotta della brochure; • un “kit promozionale”, inteso come un contenitore destinato a raccogliere le migliori selezioni grafico-editoriali e pubblicitarie che presentano il territorio oggetto del piano, i suoi eventi e le sue ricchezze, con un linguaggio mirato agli interlocutori professionali dei settori più importanti individuati dal piano stesso. 3.4 Conclusioni In diversi casi gli enti locali monitorati sono arrivati a un punto cruciale della attuazione del piano strategico. Nel caso di Torino si è giunti ad oltre quattro anni di attuazione di un piano strategico, mentre in altri casi (ad esempio Trento, Pesaro, Firenze, Perugia, Verona, Copparo) i rispettivi piani sono in attuazione da circa 1-2 anni. La riflessione sulle città dotate di un piano strategico approvato e sottoscritto pubblicamente da tutti i soggetti coinvolti (cioè solo una parte delle 16 città oggetto dell’indagine), e sui comuni che stanno lavorando in questa direzione può essere molto preziosa per gli enti locali italiani nel loro complesso. 159 3.4.1. Valutazione dettagliata dei risultati conseguiti nei casi esaminati e formulazione propositiva di modalità di buone pratiche per l’ente locale Il livello di avanzamento della pianificazione strategica in Italia è molto differenziato. Anche se non è facile ricavare indicazioni omogenee da un contesto così variegato, si possono indicare alcuni risultati che sembrano significativi ed utili per la formulazione di buone pratiche. Nel formulare tali indicazioni, occorre quindi avere presente che una stessa valutazione, ad esempio un giudizio sintetico di “successo” o “insuccesso” è cosa ben diversa se riferito a casi in cui l’oggetto della rilevazione è poco più che una intenzione di avviare un processo di pianificazione strategica, oppure a casi in cui tale processo è stato compiuto fino alla produzione di un piano strategico, alla sua approvazione formale, e alla sua attuazione. Va anche osservato che l’insieme delle valutazioni sui risultati conseguiti si riferisce a casi di pianificazione strategica locale che sono in tutti i casi esaminati delle pratiche intraprese dagli enti locali su base volontaria, nel tentativo di innovare l’azione ordinaria del governo locale e nella speranza di ottenere dei risultati che evidentemente non si pensa di poter raggiungere attraverso l’azione ordinaria. Trasferimento dei risultati prodotti dal piano strategico (processo e azioni) negli strumenti generali (non solo di tipo territoriale) di pianificazione strategica dell’ente locale (RPP, PEG, Agenda 21, bilancio sociale, ecc.) Come si è visto attraverso l’analisi dei casi, i comportamenti dei vari enti locali che hanno promosso e attuato la pianificazione strategica sono disomogenei tra loro. In termini di trasferimento dei risultati dei piani strategici negli strumenti amministrativi generali si possono avanzare alcune osservazioni di carattere generale. Non c’è una chiara e univoca tendenza a trasferire gli impegni del piano strategico negli altri strumenti di governo dell’ente locale. Ci sono alcune amministrazioni che lo fanno come principio e in modo diffuso; ce ne sono altre che si limitano a trasferire gli elementi di scelta più impegnativi che richiedono, ad esempio, l’inclusione nel PEG; ce ne sono altre ancora che fanno solo nominalmente questo trasferimento e poi risolvono i problemi caso per caso. L’avvio dell’Agenda 21 locale o la costruzione del bilancio sociale sono spesso azioni inserite nei piani strategici. A seconda delle situazioni un tipo di strumento fa da traino all’altro, senza una predominanza iniziale ricorrente. Una valutazione conclusiva dell’attività di pianificazione strategica degli enti locali italiani si deve basare su quanto il piano ha prodotto in concreto, ma deve considerare anche il 160 processo e la componente gestionale successiva alla approvazione, almeno nei casi in cui l’ente locale è giunto alla approvazione formale del piano strategico. Valutazioni sull’esito complessivo dei piani: quali sono i risultati? Nel caso delle città (ad esempio Torino, Firenze, Perugia, Trento, Verona, Copparo) che hanno percorso tutto il tragitto dell’attività di pianificazione strategica, dallo studio del piano alla sua approvazione formale, l’esito complessivo è una storia di successo. L’approvazione del piano è divenuta al tempo stesso un fattore simbolico e un elemento di sostanziale rinnovamento che le città in questione hanno avviato a partire da un periodo precedente l’avvio dei piani. Vale la pena di sottolineare, infatti, che la decisione stessa di avviare una attività volontaria di pianificazione strategica, basata su metodi di inclusione dei maggiori soggetti pubblici e privati e spesso con un’ottica territoriale ampia, nasce solo laddove le amministrazioni comunali hanno già maturato alcune esperienze innovative di governo locale quali ad esempio: partecipazione a programmi Urban, elaborazione di PRUSST, costituzione di società municipalizzate per la gestione di servizi in forma associata e così via. Ad esempio, Perugia avvia nel 2002 la preparazione del piano strategico dopo aver maturato significative esperienze di collaborazione tra soggetti pubblici e privati. Già a partire dagli anni Sessanta Perugia, città tra le prime in Italia, aveva promosso la costituzione di società per azioni per la gestione di servizi pubblici locali, sperimentando con successo il modello della società mista pubblico-privata. In tempi più recenti, la città ha avviato un programma di Agenda 21 sul proprio territorio, poi esteso ai sei comuni limitrofi che hanno aderito al progetto del piano strategico. Lo stesso PRG di Perugia è stato approvato nel 2002 a seguito di un intenso lavoro di partecipazione che non solo ha visto il coinvolgimento di una vasta rete di portatori di interessi pubblici e privati, ma che ha permesso di stabilire o accrescere relazioni di fiducia e stima reciproca che sono state la base dalla quale è sorta la proposta di costruire insieme un piano strategico di tipo partecipato e condiviso tra i maggiori soggetti pubblici e privati e non limitato al territorio comunale. Analogamente, nel caso del primo piano strategico italiano, quello di Torino, va rilevato che la proposta del piano strategico è solo l’ultima tappa di un percorso articolato in una serie di scelte che hanno dato struttura istituzionale all’idea di un governo locale basato sulle migliori pratiche di governo locale (coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati, superamento dei confini amministrativi per la risoluzione di determinati problemi, ecc.). In questo senso si possono interpretare una serie di scelte antecedenti l’avvio del piano strategico, tra le quali: l’approvazione del piano regolatore nel 1995; la costituzione di 161 agenzie a governance mista pubblico-privata (ITP-Investimenti a Torino e in Piemonte e Turismo Torino), le cui azioni innovatrici hanno una positiva influenza in città anche al di là dei loro rispettivi campi di azione. Anche nel caso di Firenze, lo studio del piano e la sua sottoscrizione nell’arco di circa 2 anni sono stati resi possibili da una antecedente pratica di pianificazione basata sul coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati e su un’ottica di area vasta. Già prima della approvazione della nuova legge urbanistica della Regione Toscana (legge regionale n. 5/2005), l’ente regionale stimolava gli enti locali verso l’inclusione dei privati nel processo decisionale. Lo stesso progetto del Parco metropolitano, ritenuto uno dei migliori risultati del piano strategico, risulta essere stato un problema irrisolto per un lungo lasso di tempo antecedente l’avvio del piano strategico. Infine, il piano strategico promosso dall’Associazione dei Comuni del Copparese si pone come logica evoluzione di un processo di crescita collettiva, sia istituzionale che personale, che ha visto i comuni coinvolti ricercare strade innovative per la gestione in forma associata di importanti servizi di base, quali ad esempio la sanità (rilevante è il progetto “Medicina di Comunità”), per la promozione di nuove imprese (con l’avvio di un primo “incubatore” d’impresa) e per la progettazione territoriale e socio-economica di scala vasta (tramite un progetto PRUSST oltre che tramite la partecipazione congiunta ad alcuni bandi nazionali e della UE). La propensione alla innovazione degli strumenti di governance locale è stata sostenuta dal contesto legislativo della Regione Emilia-Romagna che ha favorito la pianificazione partecipata con diversi atti legislativi, in particolare nel 1998 con la legge sulla riqualificazione urbana (che prevede l’inclusione dei portatori di interessi privati nella definizione dei PRU) e nel 2000 con la legge quadro in campo urbanistico (che istituisce tra l’altro la conferenza di pianificazione a cui partecipano anche i privati e gli altri soggetti pubblici interessati). Per l’insieme delle 16 città oggetto dell’indagine, il maggiore risultato che generalmente viene segnalato è di tipo immateriale, ma non per questo meno reale e importante. Si tratta di un rafforzamento del modo di lavorare insieme tra soggetti pubblici diversi, tra pubblico e privato, pur nella distinzione dei compiti e responsabilità. Tanto per gli amministratori eletti che per i dirigenti e i funzionari degli enti locali, il trovarsi con una accresciuta coscienza di essere una unica “squadra” è visto come una risorsa del territorio da cui possono scaturire nel tempo progetti anche più importanti di quelli individuati dal piano strategico. La rilevazione ha confermato che uno dei risultati della pianificazione strategica di livello interurbano è la crescita dei valori intangibili dell’area, espressa come incremento del capitale di tipo sociale (cioè maggiori relazioni di fiducia tra i soggetti), di tipo intellettuale 162 (più conoscenza condivisa), e di tipo politico (definizione di alleanze). Oltre al processo conta il prodotto a cui si giunge, conta la sua qualità, conta in quanto tempo lo si definisce, conta se è un prodotto buono al punto da essere approvato formalmente tanto dai principali soggetti pubblici che dai soggetti privati dell’area in questione. La pratica della pianificazione strategica permane in bilico tra innovazione e modalità tradizionali di governo, con un alternarsi di passi in avanti e indietro da parte delle stesse amministrazioni locali che hanno avviato i primi piani strategici urbani in Italia. In alcuni casi si riscontra, da parte del sistema politico locale e da parte dei principali soggetti pubblici e privati coinvolti, un atteggiamento ambivalente nei confronti del piano strategico come strumento di governance locale. Da un lato, infatti, si decide la costituzione di un Forum dello Sviluppo o di altra forma di rappresentanza collettiva degli interessi pubblici e privati, e si attribuisce a tale organismo il ruolo di committente collettivo del piano strategico, a cui rendere conto della formazione del piano e della sua attuazione. Dall’altro lato, non si attribuiscono a tale organismo poteri e risorse adeguati ai compiti assegnati. Vi sono casi, ad esempio, in cui il personale dell’organismo deputato all’attuazione del piano strategico è costituito da professionalità poco rappresentative della varietà dei saperi tecnici necessari ai compiti di gestione richiesti: in qualche caso si riscontra una eccessiva prevalenza di personale con una formazione in comunicazione, in altri casi il personale è dato quasi esclusivamente da laureati in scienze politiche. Inoltre, il livello di esperienza del personale è spesso limitato (quasi esclusivamente livelli junior per il personale consulente a contratto, e pochi dirigenti tra il personale dipendente degli enti locali delegati a seguire il piano strategico). Questa impostazione è aggravata, nella fase di gestione che segue l’approvazione del piano strategico, dalla quasi totale assenza di risorse (personale, locali, servizi, ecc.) private o pubbliche di tipo diverso da quelle messe a disposizione da parte del comune maggiore dell’area. Tale carenza si è riscontrata non tanto nella fase della predisposizione del piano strategico, quanto nella fase gestionale, perché forse permane l’idea tipica della pianificazione tradizionale che l’importante è concludere la formazione del piano. La fase attuativa è forse vista ancora come una funzione che può essere delegata completamente agli enti locali i quali, secondo questa impostazione, potrebbero procedere autonomamente forti del consenso ricevuto durante la partecipazione attivata nella precedente fase della formazione. Si tratta molto probabilmente di una visione errata, che sottostima la necessità per la pianificazione strategica degli enti locali di rinnovare periodicamente la sua base di legittimazione attraverso una normale procedura di coinvolgimento di tutti i soggetti che hanno partecipato alla formazione del piano strategico. Si tratta cioè di trovare le modalità istituzionali e le forme tecniche per gestire 163 nel tempo il piano strategico con la stessa base di consenso e di coinvolgimento (e, se possibile, anche con la stessa passione civica) che hanno portato al suo avvio e alla sua predisposizione. Nell’alternarsi di passi in avanti e indietro lungo la strada dell’innovazione del governo locale accade anche, in alcuni casi, che al piano strategico venga data una interpretazione riduttiva: invece di essere inteso come uno strumento di buona governance locale, a volte il piano strategico è ridotto a strumento di “comunicazione e marketing culturale”. Queste ultime sono funzioni utili e sono di solito svolte in modo insufficiente da parte degli enti locali italiani, che dovrebbero quindi cercare di colmare questa lacuna. Ma non per questo si deve abbandonare la concezione del piano strategico come strumento di buona governance locale e come strumento tecnico di pianificazione integrata di area vasta, in favore di una concezione del piano come semplice mezzo per fare comunicazione culturale o marketing urbano. Un elemento rivelatore di un simile errore è dato dall’esame delle qualifiche del personale deputato alla realizzazione del piano strategico. L’assenza del giusto mix di professionalità, del corretto livello di esperienza o una forte discrepanza tra complessità di funzioni affidate e povertà di mezzi (risorse umane, logistiche, autorità delegate, ecc.) sono tutti segni premonitori di possibili forti difficoltà ad attuare un piano strategico. Quando questa situazione si verifica, come in alcuni dei casi esaminati, il soggetto a cui è affidata la gestione dell’attuazione del piano strategico non può esercitare le funzioni di un “Ufficio del Piano”, come probabilmente dovrebbe fare, ed incontra grandi difficoltà anche a svolgere una gestione attiva del piano, cioè una funzione con una qualche influenza sulla formazione delle decisioni. Le attività di monitoraggio sono utili ma non sono sufficienti, soprattutto quando vengono svolte non in parallelo al processo decisionale, ma a posteriori di decisioni prese nelle sedi più diverse sulle diverse aree tematiche del piano strategico. Per essere efficace l’attività di monitoraggio dovrebbe essere svolta in condizioni tali da poter influenzare in modo positivo le decisioni future sulle stesse aree tematiche del piano. Gli organismi deputati all’attuazione del piano strategico in genere si sono rivelati un motore prezioso per le rispettive città, riuscendo con mezzi scarsi a organizzare molte iniziative che hanno ravvivato il dibattito culturale a livello di città e in qualche caso anche a livello nazionale e internazionale. Ma occorre anche riconoscere che tali organismi non sembra abbiano sempre avuto un ruolo di primo piano nel processo di formazione delle decisioni per attuare le azioni del piano, o come forum di legittimazione reciproca tra i principali soggetti decisionali della città. 164 Appare improbabile che il ruolo degli organismi deputati alla attuazione del piano strategico possa rafforzarsi in futuro, a meno di affrontare, laddove necessario, i nodi appena esposti. Il sistema politico locale dovrebbe probabilmente prendere in maggiore considerazione i vantaggi di una più estesa delega del suo potere decisionale, senza incorrere nell’errore di assegnare agli uffici o alle associazioni incaricate dell’attuazione del piano strategico una funzione di semplice animazione culturale dell’area e di rappresentanza della città in eventi esterni. Questi sono compiti sempre utili, ma del tutto parziali rispetto alle funzioni che si dovrebbero svolgere se al piano venisse attribuita la valenza di principale strumento di pianificazione dell’area urbana o dell’area metropolitana che lo ha commissionato. Il punto in effetti è che il piano possa svolgere nel corso della sua attuazione, un ruolo centrale nel processo di formazione delle opzioni sullo sviluppo locale di area vasta, così come è stato almeno parzialmente nel periodo della redazione del piano stesso. Nel caso in cui il piano non funzioni più come luogo di legittimazione delle scelte da parte della “città”, prima rappresentata dai membri del soggetto collettivo che lo ha commissionato (il “Forum” o altro organismo similare, a seconda delle realtà locali), verrebbe meno la sua funzione di strumento di governance innovativa dell’area che molti ritengono possibile e che la stessa Unione europea sollecita da tempo anche a livello degli enti locali. L’esperienza delle 16 iniziative di pianificazione strategica oggetto dell’indagine indica che gli enti locali coinvolti hanno in generale scelto la strada della gradualità nella introduzione di nuove forme di governance. Si è di fronte a cambiamenti del modo di pensare il governo locale che richiedono tempo per essere acquisiti da tutti i soggetti coinvolti, e per trovare le forme tecniche più opportune per produrre risultati tangibili. Vi sono difficoltà superiori al previsto nell’istituire forme di “governo metropolitano” stabili. È questo, ad esempio, il caso di Torino, dove pure era prevista una azione bandiera dedicata a questo scopo. Hanno più possibilità di successo, invece forme di governo a scala metropolitana di determinati servizi (trasporti, raccolta rifiuti, ecc.) o di specifiche iniziative pubbliche. In generale, si dovrebbe concepire un piano strategico di tipo partecipato e condiviso di un’area metropolitana come uno strumento di pianificazione di area vasta, con tutte le conseguenze del caso per l’organismo deputato alla sua attuazione, ivi comprese: • le forme istituzionali più adatte ad esercitare funzioni di pianificazione integrata e pro-attiva e non solo di comunicazione, di marketing urbano e di monitoraggio a posteriori; • dotazioni tecniche, logistiche, risorse umane e budget coerenti con tali funzioni di pianificazione. 165 Valutazioni sulle metodologie adottate Le città italiane sono ricorse a metodologie diverse per approntare i loro piani strategici, quindi non esiste un unico modo per elaborare, approvare e attuare un piano. Si può tuttavia riconoscere un nucleo di elementi ricorrenti in tutti i casi esaminati che fanno ritenere le differenze meno marcate di quanto non appaia a prima vista. L’importanza del “processo” nella metodologia di costruzione del piano strategico non può mai essere sottolineata abbastanza. È nel processo che si sviluppano quelle interrelazioni istituzionali e personali che sono alla base di un sentire comune sul futuro di una città. Il piano fornisce uno stimolo al confronto personale in un contesto organizzato e la messa in rete delle idee per definire un possibile futuro del luogo in cui si vive e lavora. Il processo di costruzione partecipata e condivisa del piano, soprattutto se esteso a un territorio metropolitano, mira a fare sorgere un’opinione pubblica favorevole verso soluzioni innovative di grande respiro, in assenza delle quali il valore del processo è destinato a durare la breve stagione della preparazione del piano. È significativo che il piano strategico di Torino, cioè il primo piano strategico partecipato e condiviso fatto in Italia, sia stato predisposto non su scala comunale, ma per una grande area metropolitana che ospita nel suo insieme un numero di abitanti di circa il 50 per cento superiore rispetto al solo comune maggiore. L’area di Torino rappresenta forse il caso più emblematico di una grande area metropolitana che per decenni ha fondato il suo sviluppo su un solo settore economico e su una sola azienda. Al pari di alcune grandi città europee che hanno attraversato crisi analoghe, Torino ha saputo reagire all’indebolimento strutturale della sua base economica tradizionale, ed è interessante che abbia utilizzato lo strumento del piano strategico per avviare un processo di decisione partecipata e condivisa tra i maggiori soggetti decisionali pubblici e privati e per definire una nuova stagione di sviluppo. L’esperienza di Torino ha dimostrato per la prima volta il valore della metodologia seguita, centrata su uno sforzo volontario dei principali soggetti decisori per definire insieme, nel rispetto dei ruoli di ciascuno, la direzione per il futuro della città e della sua area. Un percorso analogo è stato seguito dalle altre città oggetto dell’indagine, in particolare da Firenze, Trento, Perugia, La Spezia, Copparo. Tali esperienze dimostrano l’importanza della preparazione di un piano strategico come un processo negoziato e condiviso esteso a un’intera area metropolitana. La metodologia utilizzata a Torino (mutuata dall’esperienza dei piani strategici di alcune città estere e in particolare di Barcellona) prevede alcuni passaggi critici: • in primo luogo la costituzione di un “Forum” degli interessi pubblici e privati inteso come committente reale del piano e come referente costante dell’intero processo di 166 pianificazione. Senza tale passaggio, si può avere l’illusione di risparmiare tempo, salvo poi accorgersi che il piano trova difficoltà ad essere attuato per le opposizioni dei soggetti esclusi dal processo di formazione delle scelte; • un secondo elemento ricorrente è la conduzione di una cosiddetta “analisi diagnostica”, non intesa come analisi originale fatta a tavolino da un consulente o da un istituto di ricerca, ma come sintesi condotta in modo collegiale con gli stessi soggetti pubblici e privati che dovrebbero essere l’oggetto dell’analisi; • un terzo elemento costante è la messa a punto di un insieme di idee sul futuro desiderabile e possibile per il territorio in questione (la “visione”), e sulle iniziative per realizzare entro un arco di tempo dichiarato (in genere una decina d’anni) le linee strategiche e gli obiettivi su cui si trova un accordo tra i principali soggetti pubblici e privati dell’area; • un quarto elemento costante, sia della indagine diagnostica sia della fase di elaborazione delle diverse opzioni del piano strategico è che ai lavori del piano sono chiamati a partecipare non i singoli cittadini, ma i rappresentanti dei soggetti collettivi, pubblici e privati, che rappresentano interessi reali; • infine, il quinto elemento ricorrente è la conclusione del processo di elaborazione del piano strategico mediante la sottoscrizione di un documento di intenti da parte degli stessi soggetti pubblici e privati che hanno contribuito a definire le diverse scelte che il piano propone. I punti sopra esposti si ritrovano, nella sostanza, nella maggioranza delle città che hanno in corso l’elaborazione di un piano strategico o che sono già nella fase attuativa. In alcuni casi, la metodologia seguita si discosta in modo più formale che sostanziale in alcuni singoli punti del processo. Ad esempio, in alcune città (Cuneo, Genova, Pesaro, Varese, Verona, Vercelli) l’avvio del processo di pianificazione strategica non è stato fatto in modo consecutivo o parallelo alla costituzione di un “Forum”, bensì tramite iniziative pubbliche promosse dal comune maggiore (in genere una conferenza), a cui sono stati invitati i soggetti principali dell’area. Un secondo esempio di diversità metodologica è dato dal modo di condurre l’analisi di partenza del piano strategico. Invece di svolgere una “analisi diagnostica” secondo le modalità sopra richiamate in sintesi, si svolge una fase di “ascolto del territorio”, condotta tramite analisi di documenti e soprattutto per mezzo di interviste ai principali soggetti pubblici e privati dell’area. L’obiettivo finale da raggiungere resta, come nella metodologia del primo gruppo di città, il coinvolgimento dei soggetti principali del territorio nella 167 identificazione dei punti di forza e di debolezza dell’area, delle principali opzioni di sviluppo e dei maggiori ostacoli da superare. In ambedue le modalità metodologiche, resta come elemento di fondo la costante ricerca del coinvolgimento nell’azione di governo locale dei soggetti privati rappresentanti dei maggiori interessi locali, dei soggetti pubblici diversi dal comune maggiore che di solito è l’iniziatore del processo, e dei soggetti collettivi in rappresentanza del terzo settore (volontariato, associazioni di base, ecc.). La metodologia utilizzata a Torino ha le caratteristiche della esperienza di riferimento e probabilmente costituisce allo stato attuale, con i casi di Firenze, Perugia, Trento, Copparo, Verona e Pesaro, il modello di piano strategico più chiaro da utilizzare anche in altre realtà, con tutti gli adattamenti che i singoli casi richiedono. Infatti, insieme alla valutazione dei casi delle altre città in cui si è approvato formalmente un piano strategico, o in cui si è prossimi a farlo, occorre che ogni ente locale sappia trovare un modo proprio per concepire il piano strategico al fine di migliorare la governance locale, cioè per concepirlo come uno strumento quanto più possibile integrato con gli altri strumenti esistenti. In centri più piccoli di Torino e Firenze, ad esempio, sarebbe forse utile semplificare la procedura di consultazione, ma senza omettere la costituzione di un “Forum“ (o di un organismo altrimenti denominato, in grado di svolgere le medesime funzioni di raccordo con la società civile) rappresentativo degli interessi pubblici e privati, perché questo è un elemento chiave di tutto il processo della pianificazione strategica urbana. Nella attuazione del piano di Torino si sono riscontrate molte difficoltà a mantenere vivo l’approccio di scala metropolitana nella definizione e gestione delle singole iniziative. Lo stesso progetto bandiera di istituire un “governo metropolitano” ad oggi non risulta ancora attuato. Ciò, da un lato, dimostra quanto l’approccio del piano strategico sia difficile, ma dall’altro lato indica che la metodologia seguita spinge gli enti locali su confini prima inesplorati di cooperazione interistituzionale, tanto da far vedere come un limite da superare quello che fino a ieri era ritenuto la normalità, ad esempio la gestione di importanti servizi sociali o servizi a rete in ambito ristretto al territorio compreso nei confini amministrativi comunali. Valutazioni sul ruolo delle autorità pubbliche nel processo di pianificazione strategica Una valutazione del ruolo delle autorità pubbliche deve limitarsi, per ragioni di spazio, ai tre principali soggetti istituzionali, comune, provincia, regione. In tutti i casi oggetto dell’indagine il comune maggiore dell’area è stato il motore politico del piano strategico, a partire dalla visione iniziale, alla sua attuazione e al sostegno politico e materiale del processo. Sempre sotto il profilo politico, una funzione fondamentale è 168 quella svolta dal “Forum dello Sviluppo” che è stato costituito in alcune città come strumento di connessione diretta tra decisori pubblici e alcune istanze della società civile dell’area metropolitana, senza la mediazione dei partiti politici. Sotto il profilo tecnico, una funzione rilevante è stata svolta da organismi misti di esperti locali e consulenti esterni, denominati “Comitato Tecnico Scientifico”, “Comitato di Coordinamento”, “ufficio del piano”, “segreteria del piano” e dizioni similari. In diverse città non si è esitato a mettere in piedi tali organismi attingendo abbondantemente ai saperi presenti nelle istituzioni universitarie, non importa se del luogo o di altre parti d’Italia. In qualche raro caso hanno fatto parte del Comitato Tecnico Scientifico anche esperti stranieri. Il ruolo positivo di tali organismi tecnici si deve, oltre che alle conoscenze specifiche che i singoli membri erano in grado di apportare, al ruolo di esperti indipendenti che molti se non tutti membri dei vari comitati hanno saputo svolgere. Questo fatto ha apportato uno stimolo costruttivo che ha permesso alle migliori forze interne degli enti locali di emergere. La preparazione di un piano strategico è stata anche un’occasione per rafforzare dall’interno i comuni che lo hanno promosso. In generale, il ruolo dei comuni è stato finalizzato a promuovere una innovazione nella governance locale, riuscendo spesso a fare da traino rispetto agli altri enti locali. Una grande attenzione è stata posta, ad esempio, a non definire il piano strategico un piano “del comune”, quanto invece un piano di area metropolitana, o di area vasta o di un insieme di comuni, comunque di un territorio più ampio rispetto a quello comunale. Anche nei casi in cui il piano strategico non ha coinvolto formalmente nessun comune al di fuori di quello attivatore, si ritrova nei documenti di preparazione del piano e anche nelle proposte una attenzione a un territorio di scala più vasta di quello comunale. Il ruolo della provincia nella preparazione del piano strategico è stato in generale positivo, in particolare per l’avere offerto un quadro di riferimento delle politiche ambientali (in alcuni casi la provincia aveva avviato un programma di Agenda 21) e delle politiche dei trasporti. In qualche caso l’iniziativa del piano strategico è stata male interpretata, ovvero come finalizzata a far crescere il ruolo del comune maggiore a scapito dell’ente provinciale. Per ovviare a tale inconveniente, sembra importante includere l’ente provinciale, come del resto gli altri più importanti soggetti pubblici e privati, negli incontri preliminari all’avvio pubblico del lavoro di preparazione del piano strategico. Le funzioni della provincia non vengono certo sminuite dalla elaborazione di un tale piano, anzi, il suo ruolo sembra fondamentale sia a livello tecnico, ad esempio con l’elaborazione di un PTCP che funga da quadro di riferimento per il piano strategico, sia a livello politico, per la capacità dell’ente provinciale di creare le migliori condizioni affinché tutti i piccoli comuni interessati possano partecipare all’iniziativa promossa dal comune maggiore. 169 Per quanto riguarda il ruolo dell’ente regionale, il quadro è molto diversificato. In alcuni casi non vi è stato alcun particolare contatto tra lo strumento piano strategico e gli strumenti di pianificazione regionali. Il piano strategico non ha ricevuto a livello regionale né particolari sostegni né particolari attacchi: è stato ignorato. Quando questa situazione si è verificata, si può dire che si sia persa un’occasione. In questi casi, l’ente regione, con il suo potere e prestigio, avrebbe potuto svolgere un ruolo positivo nella composizione di eventuali incomprensioni tra il comune iniziatore del processo di pianificazione strategica e l’ente provinciale, soprattutto nelle prime fasi del processo. In altri casi, l’ente regionale ha svolto un ruolo molto sinergico con il piano strategico di livello locale. Infatti, la regione può fornire un quadro di riferimento essenziale per un qualsiasi piano di sviluppo socio-economico e urbanistico di livello locale, attraverso la elaborazione di specifici strumenti di pianificazione regionale quali, ad esempio, il piano territoriale regionale o un “Patto per lo sviluppo” (o altra dizione simile) tra le principali forze pubbliche e private. Quest’ultimo è un documento di intenti generali, definiti a livello regionale attraverso il metodo del confronto e della ricerca delle migliori soluzioni che emergono da un lavoro comune tra istituzioni pubbliche di ogni livello, rappresentanze delle principali forze private e organismi di carattere sociale. 3.4.2. Considerazioni finali sugli insegnamenti per il futuro e sugli errori da evitare Dall’analisi delle esperienze di preparazione e attuazione dei piani strategici oggetto dell’indagine emergono alcune questioni di interesse generale per gli enti locali che intendono utilizzare lo strumento “piano strategico” per rafforzare la propria azione di governo locale. Vediamo le più importanti: • Un piano strategico è uno strumento di pianificazione integrata di un’area vasta? Se la risposta è positiva, quali sono le misure di carattere istituzionale e tecnico più efficaci per la sua attuazione? • Oppure il piano è uno strumento di creazione di consenso sulle politiche delle amministrazioni locali attraverso la produzione partecipata di analisi e ricerche? • Il piano è uno strumento di tipo socio-culturale per fare convergere i principali soggetti pubblici e privati sulla definizione comune di uno scenario futuro? • È corretto che un processo spesso molto complesso di pianificazione strategica abbia come risultato un documento di intenti dalle maglie molto larghe? • Quale relazione funzionale dovrebbe esistere tra il documento finale di un piano e la sua griglia di obiettivi e progetti concreti? 170 • Ogni piano strategico promosso da soggetti pubblici e privati dovrebbe essere approvato in modo formale da tutti i soggetti che lo hanno commissionato? E se la risposta è positiva, l’approvazione dovrebbe avvenire un volta sola o periodicamente in relazione allo stato di avanzamento del piano stesso? Infine, si può attuare uno strumento di pianificazione integrata di area vasta quale è un piano strategico in assenza di un apposito ufficio di piano dotato di poteri, risorse economiche e umane tali da essere in grado di svolgere funzioni di pianificazione pro-attiva? La concezione del piano strategico urbano (PSU) come uno strumento partecipato e condiviso per la pianificazione integrata di scala metropolitana, indica un’agenda di questioni tecniche sulle quali sarebbe opportuno sviluppare la riflessione e il confronto. Indichiamo qui di seguito alcune delle questioni che ci sembrano più rilevanti sulla base dell’osservazione dei 16 casi di PSU dell’indagine. Questioni per il processo di preparazione del piano antecedenti la decisione di redigere un piano e di annunciarne pubblicamente l’avvio. • La pianificazione strategica urbana non è una strada obbligatoria e prima di essere intrapresa da una città occorre verificare se vi sono le condizioni per farlo. Uno dei punti principali è se esistono le motivazioni sufficienti a unire nello sforzo di pianificazione un numero significativo di soggetti pubblici e privati, in grado di rappresentare i problemi e le risorse di un’area vasta che spesso travalica i confini amministrativi di un singolo comune. L’esperienza di alcuni piani strategici che hanno superato la fase dell’approvazione formale e che sono ora nella fase di realizzazione del piano (ci riferiamo, tra gli altri, ai casi di Torino, Trento, Firenze, Perugia, Verona, Copparo) indica che tale funzione di rappresentanza può essere svolta in modo efficace da un “Forum” che deve essere in grado di portare intorno a un unico tavolo i maggiori interessi (pubblici e privati) del territorio, cioè deve essere rappresentativo ma non troppo numeroso. • Esiste un problema culturale e tecnico di coerenza tra le aspettative che si ripongono sul piano strategico e le decisioni che l’insieme dei soggetti che lo promuove riescono a prendere. Un soggetto promotore, carente sotto il profilo della capacità di pianificazione, potrebbe non rilevare tali incoerenze e da un lato potrebbe espandere in modo incontrollato e inconcludente gli studi e le analisi connessi al piano, caricandolo sempre più di finalità generali e, dall’altro, potrebbe non cogliere le necessarie interrelazioni e integrazioni con le altre forme di pianificazione (istituzionale e volontaria), le esigenze di risorse (potere delegato, strumentazione 171 tecnica, personale) che devono sostenere il processo in rapporto alla complessità della visione e ai tempi indicati per attuarla. • Esiste anche un problema molto importante ma poco dibattuto, relativo ai costi di preparazione e gestione di un piano strategico. L’argomento in dettaglio va visto caso per caso, ma sembra possibile indicare alcuni criteri di buona condotta generale: - nella misura in cui la necessità di avviare gli studi per un piano strategico è condivisa dai principali soggetti pubblici e privati di un territorio, si dovrebbe concordare anche una ripartizione dei costi, sia di quelli legati alla preparazione del piano, sia, e soprattutto, di quelli di gestione; - la condivisione dei costi tra i soggetti promotori del piano strategico andrebbe fatta esaltando le peculiarità di ciascuno, per cui si dovrebbe ragionare non solo in un’ottica finanziaria, ma avendo sempre presenti le finalità comuni da raggiungere. In questo quadro, potrebbe essere ragionevole anteporre il valore di una compartecipazione alle finalità generali del piano strategico ad una mera ripartizione pro quota dei costi economici dell’operazione. Si potrebbe prevedere, ad esempio, la contribuzione al processo di piano attraverso la messa in comune, oltre che di risorse economiche, anche di servizi, di personale, di sedi e attrezzature, ecc.; - qualunque sia la soluzione ritenuta più adatta ad ogni singola realtà locale, va evitata, per quanto possibile, la situazione in cui vi sia un unico soggetto finanziatore e fornitore delle altre risorse (personale, locali, ecc.) necessarie alla preparazione del piano strategico e alla sua gestione. Dall’indagine emerge che, nei fatti, diversi piani sono il risultato di una iniziativa sostenuta finanziariamente soltanto dal comune principale. Questa può essere una condizione non ideale ma accettabile nella fase di studio e di primo avvio di un piano strategico. Invece, nella fase attuativa sembra indispensabile riuscire a creare una intesa tra i soggetti proponenti che li porti a definire insieme le risorse da allocare all’iniziativa e la loro ripartizione tra tutti i soggetti interessati alla sua realizzazione. Questioni per il prodotto finale di un piano strategico. • Il testo del piano dovrebbe esprimere in modo più puntuale le interconnessioni tra quanto previsto dall’insieme di linee strategiche, obiettivi e azioni, e quanto previsto dagli strumenti di pianificazione ordinaria, in particolare i PRG dei comuni coinvolti, il PTCP, i piani regionali (piano territoriale e programmi di sviluppo socio- 172 economici), ma anche altri strumenti avviati di recente quali il bilancio sociale e il programma di Agenda 21 con i conseguenti piani di azione locale. • Si dovrebbe articolare quanto in concreto il piano propone di realizzare, introducendo una classificazione per livelli di governance (interna, esterna e istituzionale) delle azioni previste, senza limitarsi a una semplice distinzione tra azioni ordinarie e azioni di bandiera. • Sarebbe utile definire un cronoprogramma del piano, cioè una articolazione temporale in fasi delle azioni, da cui emerga con maggiore chiarezza quali sono gli impegni nel tempo dei soggetti pubblici e privati che sottoscrivono il piano, in particolare nei primi due anni successivi alla approvazione del piano. Questioni per il processo di attuazione e gestione del piano. • Si dovrebbe ripensare il modo in cui avviene la sottoscrizione di un piano strategico, trasformandola da una sottoscrizione una tantum di un “patto per lo sviluppo” (o dizioni similari), a una approvazione dinamica e ricorrente. Si potrebbe, ad esempio, fare seguire alla firma iniziale di un “documento di intenti” una approvazione annuale del piano strategico che abbia anche il sapore della legittimazione continua dello strumento da parte dei soggetti promotori. A tal fine sarebbe opportuno redigere un “bilancio annuale del piano strategico” con l’indicazione dei risultati raggiunti, delle risorse impiegate, delle mete per i dodici mesi successivi e così via, da sottoporre al voto di approvazione dei soci pubblici e privati. Si tratterebbe, cioè di sottoporre anche il piano strategico all’esame di un nucleo interno. • Sembra urgente sviluppare un ristretto numero (core set) di indicatori per esprimere in modo oggettivo il grado di attuazione di un piano. Le esperienze di analisi e misurazione di impatto ambientale sviluppate in relazione all’attuazione dei programmi di Agenda 21 potrebbero suggerire modi operativi per tale compito. Ad esempio, è di tutta evidenza che se un piano indica che alcune azioni sono più importanti di altre dovrebbe approntare gli strumenti per indicarne periodicamente lo stato di attuazione alla “committenza”, ovvero all’insieme delle forze pubbliche e private che hanno commissionato il piano. • Occorre porsi il problema delle competenze tecniche necessarie a dare autorevolezza interna alla associazione preposta alla attuazione del piano, premessa importante per la visibilità esterna del piano. Il ruolo di rappresentanza esterna non può che essere del sindaco della città maggiore che inizia il processo, mentre la funzione di direzione operativa del piano richiede persone con formazione ed esperienze a 173 livello senior nel campo della pianificazione urbanistica e dello sviluppo economico locale. Ad uso degli enti locali che stanno valutando l’eventuale ricorso al metodo della pianificazione strategica urbana può essere utile sintetizzare in una “lista di controllo” (checklist) le osservazioni sopra esposte in merito ai punti critici della preparazione e gestione di un piano strategico urbano (PSU). La “lista di controllo” è articolata in 10 domande relative alla fase di preparazione del PSU e in 15 domande concernenti la fase di attuazione. Va da sé che tale “lista di controllo” è da intendersi come uno strumento di indirizzo generale che andrebbe in parte calibrato a seconda delle condizioni dell’ente locale che intende promuovere un processo di pianificazione strategica sul suo territorio. Tabella 3.4.1 Una lista di controllo per effettuare in due fasi l’auto valutazione del processo di preparazione e gestione di un piano strategico urbano (PSU) Fase A: Preparazione del piano strategico urbano 1 La “visione” del PSU è scritta in modo chiaro e definisce che tipo di città si vuole ottenere a una data definita? 2 Ci sono riscontri che all’interno del soggetto che promuove il PSU amministratori e dipendenti a tutti i livelli siano stati coinvolti, con modalità appropriate per ogni livello, nel processo di definizione del piano stesso (visione, linee strategiche, obiettivi, azioni)? 3 C’è riscontro che i rappresentanti degli interessi pubblici e privati esterni al soggetto promotore abbiano partecipato attivamente alla definizione del PSU? 4 Sono stati invitati alla ideazione del piano strategico urbano tutti i comuni che condividono i maggiori problemi o le maggiori opportunità dell’area urbana in questione? 5 Il PRG e gli altri strumenti urbanistici principali del comune principale e dei comuni aderenti seguono il PSU o viceversa? 6 Sono state considerate le relazioni tra PSU, da una parte, e dall’altra parte PTCP, Piano Territoriale Regionale (laddove esistenti) ed eventuali strumenti di programmazione complessa (PRU, PRUSST, ecc.)? 7 Il costo delle risorse finanziarie, umane e logistiche per la preparazione del piano (pubblico/privato) è stato coperto anche da risorse di soggetti privati o di soggetti pubblici diversi dal comune maggiore? 8 È stato costituito un “Forum dello Sviluppo” o un analogo strumento permanente di governance locale per creare un luogo istituzionale stabile in cui i principali interessi pubblici e privati dell’area possano dialogare e prendere iniziative di comune interesse? 174 9 Fatto 100 il totale delle azioni materiali e immateriali previste dal PSU, il numero delle azioni prevalentemente sostenute da privati o da soggetti pubblici diversi dal comune maggiore è almeno pari o superiore a 10? 10 Visto il totale delle azioni materiali e immateriali previste dal PSU, si è posta attenzione a fare emergere delle azioni pubbliche e private che ricadano in modo prioritario sui territori dei comuni minori aderenti al PSU? 11 È stato firmato in forma e luogo pubblici da tutti i maggiori rappresentanti degli interessi pubblici e privati dell’area del PSU (intesa come territorio comprendente tutti i comuni che hanno sottoscritto il PSU) un “Patto dello sviluppo” come prodotto conclusivo, partecipato e condiviso, del processo di piano? Fase B: Attuazione del piano strategico urbano 12 Per l’attuazione del PSU si è decisa l’istituzione di un “Ufficio del piano” o di un altro organismo (associazione, osservatorio, ecc.) sostenuto da risorse miste, cioè rappresentative del mix di soggetti che hanno elaborato e approvato il piano strategico urbano? 13 Visto il costo globale (risorse umane, finanziarie, strutture, ecc.) di gestione annuale della struttura di attuazione del PSU, la quota a carico di soggetti diversi dal comune maggiore è di almeno il 25 per cento? 14 C’è un riscontro che i punti di debolezza e le minacce per il futuro dell’area evidenziate dall’analisi diagnostica del PSU abbiano avuto risposta con le azioni proposte? 15 È previsto un bilancio economico e una relazione sullo stato di attuazione delle azioni previste dal piano strategico urbano (PSU) con periodicità almeno annuale? 16 Sono stati predisposti e sono applicati degli indicatori quantitativi per misurare lo stato di attuazione del piano attraverso le azioni inizialmente previste e attraverso eventuali nuove azioni ammesse all’interno del PSU? 17 C’è una copia del PSU completo e aggiornato o una versione sintetica sulla scrivania di tutti i decisori e dei loro principali collaboratori, sia all’interno del comune maggiore che ha promosso il piano sia all’interno dei soggetti pubblici e privati che lo hanno sottoscritto? 18 Quando si deve decidere di una questione rilevante per il futuro dell’area urbana il PSU viene considerato? 19 Gli investimenti maggiori dei soggetti pubblici e privati dell’area sono fatti per assecondare quanto il PSU prevede o viceversa? 20 Nel caso di più comuni aderenti, le azioni pubbliche immediate previste dal PSU trovano riscontro omogeneo nel PEG di tutti i comuni? 21 Il PSU ha stimolato una politica di fiscalità locale (ICI, ecc.) omogenea dei comuni aderenti? 22 Sono state stabilite le modalità e la frequenza (almeno semestrale) di un confronto tecnico periodico tra le azioni previste dal PSU e le norme del PRG (o se esistente del piano strutturale) del comune maggiore e degli altri eventuali comuni che hanno sottoscritto il PSU? 175 23 L’attuazione delle azioni previste dal PSU è considerata come un elemento influente la misura del grado di raggiungimento degli obiettivi annuali, e quindi per la corresponsione degli eventuali incentivi economici previsti per il personale pubblico e privato impiegato dai diversi soggetti che partecipano al PSU? 24 Quando i sindaci e gli altri principali soggetti pubblici e privati presentano l’area urbana in campo nazionale o internazionale si riferiscono alla “visione” indicata dal PSU come ideale da raggiungere entro una certa data? 25 È previsto un rinnovo periodico (es. annuale) degli indirizzi stabiliti dal PSU e un conseguente rinnovo della sottoscrizione delle finalità del piano? 26 È stato istituito un Comitato Scientifico o altro organo separato dai soggetti decisionali pubblici e privati del piano con il compito di esprimere una valutazione indipendente sullo stato di attuazione del PSU? Dall’esperienza dell’indagine emerge il dato positivo che gli enti locali monitorati hanno ben presente le questioni sopra elencate e in alcuni casi, in particolare nelle città in cui i piani sono stati approvati nel biennio 2003-2004 (Firenze, Nord Milano, Perugia, Trento, Venezia, Verona, Copparo), hanno avanzato delle risposte operative. Si rafforza l’idea che occorra sviluppare le capacità tecniche di svolgere funzioni di pianificazione complessa rispetto ad un committente plurimo (ad esempio i membri del Forum), che esprime a volte indicazioni contraddittorie. Ad esempio, le attività di monitoraggio e controllo vanno concepite all’interno di una attività di pianificazione integrata. Per cui, non dovrebbero essere viste come la missione principale dell’agenzia preposta alla gestione del piano, ma come attività strumentali alla identificazione delle alternative e alla costruzione delle condizioni (culturali, economiche, sociali, ecc.) idonee alla presa delle decisioni operative conseguenti da parte dei soggetti attuatori dei singoli progetti. In questo quadro, il soggetto pianificatore (l’agenzia del piano, o altra dizione similare) agisce con la forza delegata dai soggetti che hanno commissionato il piano stesso, e poggia la sua azione sulla forza morale che deriva dal riconoscimento dell’opinione pubblica del ruolo svolto per la rinascita della comunità locale. Ma occorre definire meglio sia le relazioni tra il soggetto attuatore del piano e i soggetti pubblici e privati che lo hanno commissionato e sostenuto, sia gli aspetti di gestione tecnica del piano, a partire dalle competenze professionali necessarie e dal modello di agenzia o associazione preposta alla gestione del piano. Le città oggetto dell’indagine che hanno portato a un livello più avanzato la elaborazione e attuazione di un piano strategico, hanno acquisito un certo vantaggio competitivo in termini di esperienza nella gestione di programmi complessi e di capacità di risposta in fasi critiche dello sviluppo urbano. Su questa base forte, occorre sviluppare una riflessione su quali competenze professionali sono necessarie e come si debbono interconnettere tra loro 176 sotto il profilo dell’organizzazione interna, sia nella fase di preparazione del piano, sia in quella ancora più importante della gestione. Sembra importante individuare e condividere già nel corso del processo di pianificazione un core set di indicatori capaci di esprimere una misura del grado di attuazione di ogni singola linea strategica e di un intero piano. Si potrebbe comprendere il numero di azioni realizzate o la somma degli investimenti pubblici e privati, valutati come sommatoria delle azioni per ogni obiettivo e linea strategica, rispetto al totale previsto. O ancora meglio, un mix di indicatori quantitativi e qualitativi, dato che alcune azioni consistono in realizzazioni di politiche o iniziative in cui la componente edilizia o comunque di investimento fisso è trascurabile. Comunque sia, sembra ragionevole che se un piano indica un certo numero di azioni bandiera a queste si dedichi una speciale attenzione, tanto nella fase di approvazione che di realizzazione e gestione. Il piano strategico nella fase gestionale dovrebbe continuare a svolgere la funzione, già iniziata con la preparazione congiunta dell’analisi diagnostica, di luogo di confronto delle diverse opzioni di sviluppo locale tra i principali portatori di interessi pubblici e privati di un’area metropolitana. Se così non è, le opzioni di sviluppo e i relativi progetti concreti tornano ad essere identificati solo con la razionalità limitata di ogni singolo decisore, mentre il quadro generale, la “visione” di sviluppo comune, sottoscritta pubblicamente nel documento di approvazione del piano strategico, rimane lettera morta. Inoltre, al di fuori di una concezione del piano strategico come strumento di pianificazione integrata di area vasta, l’attività di comunicazione e marketing rischia ben presto di diventare autoreferenziale, e far perdere per strada le idee innovative che avevano dato lo spunto iniziale al processo di pianificazione strategica. Sulla base dell’analisi fatta dei 16 casi oggetto dell’indagine, si può affermare che i piani strategici di tipo partecipato e condiviso sono storie di successo nella misura in cui si può osservare che: • il processo di preparazione, approvazione e attuazione del piano ha avuto una reale convergenza di interesse tra enti pubblici locali (non solo il comune) e i principali soggetti privati, espressa nella costituzione di un Forum dello Sviluppo o altra forma analoga di rappresentanza degli interessi; • il piano è stato preparato in tempi piuttosto brevi ed ha avuto un voto di approvazione formale sia da parte dell’organismo di rappresentanza degli interessi pubblici e privati, sia da parte dei principali singoli soggetti pubblici e privati secondo le rispettive procedure interne; • il piano, una volta approvato, è entrato nella fase attuativa, con il comune maggiore nel ruolo di guida del processo e con i soggetti privati coinvolti in modo attivo; 177 • per attuare il piano sono state prese delle decisioni di carattere politico e tecnico adeguate, coinvolgendo sia il pubblico che il privato nella costituzione e gestione di un organismo avente compiti di pianificazione pro-attiva; • il piano strategico ha avuto il carattere di pianificazione integrata di area vasta. Gli elementi appena elencati possono essere intesi come parte di un modello ideale di pianificazione che non ha riscontri completi in nessun singolo caso reale. Buona parte degli elementi sopra indicati sono presenti in varia misura in tutti i piani strategici fino ad ora approvati, un numero ancora relativamente piccolo rispetto ai 16 casi oggetto dell’indagine. Per le ragioni esposte, i piani strategici approvati possono essere definiti, nella situazione odierna, dei casi di successo sotto il profilo dell’innovazione del modello tradizionale di governo urbano finalizzati alla ricerca di soluzioni di governance più rispondenti ai problemi complessi che gli enti locali oggi devono affrontare. 3.4.3. Evoluzione futura della pianificazione urbana strategica Quali sono le prospettive in generale per le città tuttora prive di uno strumento di pianificazione strategica? Al riguardo, possono essere descritte tre posizioni prevalenti. Secondo la prima, il momento d’oro della pianificazione strategica in Italia sarebbe già passato. Questa idea è basata sulla osservazione che la diminuzione dei trasferimenti dallo Stato centrale agli enti locali che ha caratterizzato le ultime leggi finanziarie ha creato serie difficoltà per l’erogazione dei servizi di base e per svolgere le normali attività istituzionali tra le quali le attività di pianificazione obbligatorie per legge. Se dovesse continuare la restrizione di risorse finanziarie, il margine di manovra dei comuni si ridurrebbe al punto da scoraggiare l’avvio di iniziative di pianificazione di tipo volontario, quindi non obbligatorie per legge, quali i piani strategici urbani. Una seconda posizione vede gli enti locali italiani in serio ritardo rispetto alle città europee che hanno fatto ricorso alla pianificazione strategica già da almeno un paio di decenni. Con l’intensificarsi delle relazioni dirette tra gli enti locali su scala europea e internazionale, si dovrebbe assistere nei prossimi anni a una crescita delle città italiane che intendono dotarsi di un piano strategico, ma una crescita che interesserà solo o principalmente quelle città italiane abituate ad avere rapporti con città estere. Una terza opinione, da noi condivisa, inquadra la pianificazione strategica come un’opzione ricca di vantaggi e un’opportunità ancora da sfruttare per gli enti locali italiani, in particolare per: a) le 103 città capoluogo di provincia; b) gli oltre 600 comuni al di sopra dei 30 mila abitanti; c) un buon numero dei comuni minori in cui determinati problemi di 178 sviluppo locale possono essere affrontati con maggiori possibilità di successo alla scala intercomunale e in forma associativa. Nel caso in cui permanga in futuro la tendenza alla diminuzione dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali, ciò, anziché un freno, potrebbe essere una ragione ulteriore per avviare piani strategici da parte delle città che ne sono prive. I piani strategici non sono strumenti di pianificazione comunali per spendere risorse pubbliche, ma sono strumenti di pianificazione integrata per trovare insieme (pubblico e privato) sia gli indirizzi dello sviluppo, sia le modalità e le risorse per la sua attuazione. Per una evoluzione della pianificazione strategica urbana in Italia non occorre attendere una eventuale introduzione obbligatoria dello strumento “piano strategico”, dato che l’obbligatorietà avrebbe probabilmente più effetti negativi che positivi per gli enti locali. La strada più interessante sembra essere quella della integrazione tra gli strumenti di pianificazione fisica del territorio e il metodo della pianificazione strategica applicato ai problemi e alle opportunità che le città presentano. Alcune regioni hanno già varato delle leggi urbanistiche che includono alcuni dei principi caratteristici della pianificazione strategica partecipata e condivisa. È il caso della legge n. 20/2000 dell’Emilia-Romagna, che prevede ad esempio la “Conferenza di pianificazione” tra i soggetti rappresentanti i diversi interessi locali. La recente legge n. 5/2005 della Regione Toscana prescrive il “piano strutturale” come strumento per affrontare gli interventi ritenuti strategici per un territorio. Inoltre la legge n. 5, con la forza dei suoi 210 articoli che la rendono un testo unico nella materia, introduce il “procedimento integrato” che coinvolge nel processo di programmazione e pianificazione tutti i soggetti interessati (cioè i “portatori di interessi” nella terminologia dei piani strategici). Si istituisce un nuovo organismo, la “Conferenza paritetica interistituzionale” che fungerà da camera di compensazione per le divergenze tra i diversi enti coinvolti. L’indagine ha rilevato che nei 16 casi presi in esame la decisione di partenza è fortemente correlata con l’avvio di un programma di mandato delle amministrazioni locali. Si è notato, in particolare, che le decisioni di avvio di nuovi piani strategici urbani sono state prese nel secondo e nel terzo anno successivo all’insediamento dei nuovi sindaci. Per queste ragioni è probabile che nei prossimi anni si assisterà a una notevole diffusione di piani strategici, il cui numero non crescerà in modo omogeneo anno dopo anno, dato che le decisioni relative al loro avvio sono correlate con i cicli politici locali. Sembra ragionevole attendersi, ad esempio, che le decisioni di avviare un nuovo piano si concentreranno nei primi 2-3 anni di mandato di ogni amministrazione locale. Gli enti locali che dispongono di un documento di piano approvato si pongono in una situazione di vantaggio rispetto ad altre città italiane che condividono gli stessi problemi di 179 fondo ma che non dispongono di uno strumento efficace quale è un piano strategico di tipo partecipato e condiviso, inteso come piano di sviluppo integrato e di scala vasta. In futuro, è possibile che diverse delle 16 città oggetto dell’indagine vengano riconosciute come le prime città italiane in cui il piano strategico ha svolto con successo una funzione di governance. Ma il lavoro culturale e tecnico per rendere la pianificazione strategica urbana uno strumento corrente per le politiche locali, integrato con gli strumenti di pianificazione ordinaria, è ancora in gran parte da svolgere. 180 BIBLIOGRAFIA AA.VV., Competizione territoriale e pianificazione strategica nelle aree urbane (Atti del Convegno Internazionale, 2 giugno 2000), Edizioni Comune di Trento, 2001 AA.VV., Scenari per il sistema locale, Torino Internazionale, Torino, 2005 AA.VV., Verso il secondo piano strategico, Torino Internazionale, Torino, 2005 Albrecths L., Healey P., Kunzmann K., Strategic spatial planning and regional governance in Europe, in Journal of the America Planners Association, Vol. 69, n. 2, 2003 Ave G., Città e strategie. Urbanistica e rigenerazione economica delle città, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2004 Ave G. 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Per il Formez l’indagine è stata coordinata da Valeria de Magistris e Giuseppe Gioioso, con la collaborazione di Elisabetta D’Agostino. I testi del volume e del CD allegato sono stati curati da Gastone Ave. Gli autori dei testi sono Gastone Ave, Paolo Ceccarelli, Gianfranco Franz, Luca Fondacci. Alla ricerca iniziale su alcuni casi descritti nel CD ha collaborato Maria Matarazzo. Lo studio è stato realizzato grazie al contributo di numerosi amministratori, funzionari, esperti e consulenti degli enti locali oggetto dello studio, oltre che al lavoro dei ricercatori del Formez e del CRUTA. Si desidera ringraziare in particolare: • per il Comune di Copparo Maurizio Barbirati, Daniela Ori, Davide Tumiati; • per il Comune di Cuneo Mauro Mantelli; • per il Comune di Firenze Raffaella Florio, Natale Mancioli, Simone Tani; • per il Comune di Genova Bruno Gabrielli; • per il Comune di La Spezia Roberto Camagni, Pier Luigi Fusoni, Giorgio Pagano; • per i Comuni del Nord Milano Lella Bigatti; • per il Comune di Perugia Luciano Castellani, Bruna Cutini, Renato Locchi, Giovanni Moriconi, Donatella Picchiotti, Valeria Tocchi; • per il Comune di Pesaro Fiorenza Martufi; • per il Comune di Piacenza Adriano Visai; • per il Comune di Roma Roberto Camagni, Paolo Ceccarelli; • per il Comune di Torino Elisa Rosso, Paolo Verri; • per il Comune di Trento Giorgio Antoniacomi, Clara Campestrini; • per il Comune di Varese Francesca Boccia, Leonardo Irmici, Enrico Ottolini, Franco Amodeo Taddei; • per il Comune di Venezia Roberto Pugliese, Angela Salvato, Dennis Wellington; • per il Comune di Vercelli Vincenzo Cordone; • per il Comune di Verona Maurizio Carbognin, Maria Gallo. Stampa Tipografia ATENA S.r.l. - Roma Via di Val Tellina, 47 - 00151 Roma Finito di stampare nel mese di marzo 2006 Pubblicazione non in vendita