PRIMA PARTE PERCORSI TEMATICI 4. L`amicizia La falsa amicizia

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PRIMA PARTE PERCORSI TEMATICI 4. L`amicizia La falsa amicizia
PRIMA PARTE
PERCORSI TEMATICI
4. L’amicizia
La falsa amicizia
Le parole “amico” e “amicizia” sono usate spesso, nei Promessi sposi, ma nella maggior parte dei casi
indicano un rapporto di falsa amicizia.
Il primo esempio significativo si ha nel capitolo V, quando Renzo confessa involontariamente a fra
Cristoforo di aver chiesto aiuto a imprecisati “amici” contro don Rodrigo, e di essere stato da loro
abbandonato. Naturalmente, Renzo in questo caso non cercava amici, ma complici - così come complici,
e non amici, saranno Tonio e Gervaso durante il matrimonio di sorpresa, ai capitoli VII e VIII.
Poche pagine dopo, gli ospiti di don Rodrigo vengono definiti “amici”, ma si tratta in realtà di parassiti,
cioè di persone che frequentano la mensa del gentiluomo solo per interesse, e non certo perché esista fra
loro un rapporto di intesa profonda.
Questo uso distorto della parola amicizia torna nel capitolo XIII, quando Renzo, ingenuamente, si illude
addirittura “d’aver fatto amicizia con Antonio Ferrer” perché, mentre si dà da fare per aiutarlo a salvare il
vicario di provvisione, riceve dal Gran Cancelliere numerosi sguardi di gratitudine.
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L’ironia nei confronti dell’amicizia
L’atteggiamento critico di Manzoni nei confronti dell’amicizia superficialmente intesa raggiunge il suo
culmine nella dfamosa pagina del capitolo XI in cui si spiega in che modo il Griso è riuscito ad avere
delle informazioni che, in teoria, avrebbero dovuto restare segrete.
Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è
quell'avere a cui confidare un segreto. Ora, gli amici non sono a due a due, come gli sposi; ognuno,
generalmente parlando, ne ha più d'uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovar la fine.
Quando dunque un amico si procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d'un altro, dà a
costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui. Lo prega, è vero, di non dir nulla a
nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe
immediatamente il corso delle consolazioni. Ma la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non
confidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione.
Così, d'amico fidato in amico fidato, il segreto gira e gira per quell'immensa catena, tanto che arriva
all'orecchio di colui o di coloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivar
mai... (cap. XI, pag. 224)
Don Rodrigo e gli amici di Milano
Manzoni non manca di sottolineare un aspetto drammatico di questa falsa amicizia. Quando don Rodrigo
si rende conto che Lucia, chiusa nel convento di Monza, è per lui irraggiungibile, pensa di andare a
Milano e di distrarsi facendo baldoria con i suoi amici. Ma...
Ma, ma, ma, gli amici; piano un poco con questi amici. In vece d'una distrazione, poteva aspettarsi di
trovar nella loro compagnia, nuovi dispiaceri: perché Attilio certamente avrebbe già preso la tromba, e
messo tutti in aspettativa. Da ogni parte gli verrebbero domandate notizie della montanara: bisognava
render ragione. S'era voluto, s'era tentato; cosa s'era ottenuto? S'era preso un impegno: un impegno un
po' ignobile, a dire il vero: ma, via, uno non può alle volte regolare i suoi capricci; il punto è di
soddisfarli; e come s'usciva da quest'impegno? Dandola vinta a un villano e a un frate! Uh! E quando
una buona sorte inaspettata, senza fatica del buon a nulla, aveva tolto di mezzo l'uno, e un abile amico
l'altro, il buon a nulla non aveva saputo valersi della congiuntura, - e si ritirava vilmente dall'impresa.
Ce n'era più del bisogno, per non alzar mai più il viso tra i galantuomini, o avere ogni momento la spada
alle mani. (cap. XVIII, pag. 340)
La vera amicizia
Nei Promessi sposi non mancano però esempi di vera amicizia.
La parola amico è usata in tutta la sua serietà nel capitolo XVII, quando Renzo sente la voce dell’Adda e
Manzoni commenta: “Fu il ritrovamento d'un amico, d'un fratello, d'un salvatore” (cap. XVII, pag. 000).
Il cardinal Federigo chiama “amico” l’innominato appena convertito, e attribuisce a questa parola il suo
significato più profondo, tanto da suscitare le seguenti riflessioni fra sé di don Abbondio: “E sua signoria
illustrissima, subito subito, a braccia aperte, caro amico, amico caro; stare a tutto quel che gli dice costui,
come se l'avesse visto far miracoli; e prendere addirittura una risoluzione, mettercisi dentro con le mani e
co' piedi, presto di qua, presto di là: a casa mia si chiama precipitazione” (cap. XXIII, pag. 000).
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Infine, vera amicizia è quella che nasce tra Lucia e Agnese e la famiglia del sarto di Chiuso: “tra loro e i
loro ospiti era nata subito una grand'amicizia: e dove nascerebbe, se non tra beneficati e benefattori,
quando gli uni e gli altri son buona gente?” (cap. XXV, pag. 000).
L’amico di Renzo
L’esempio più interessante di amicizia presente nel romanzo è quello di cui si parla al capitolo. Renzo è
tornato al paese, approfittando della peste, e chiede ospitalità a un antico compagno, con il quale non
aveva mai avuto in verità rapporti molto stretti. Ma la nuova situazione cambia tutto.
In quella enumerazion di morti fattagli da don Abbondio, c'era una famiglia di contadini portata via tutta
dal contagio, salvo un giovinotto, dell'età di Renzo a un di presso, e suo compagno fin da piccino; la casa
era pochi passi fuori del paese. Pensò d'andar lì. (...)
- Sei proprio tu! - disse l'amico, quando furon vicini: - oh che gusto ho di vederti! Chi l'avrebbe pensato?
(...) Sai che son rimasto solo? solo! solo, come un romito!
- Lo so pur troppo, - disse Renzo. E così, barattando e mescolando in fretta saluti, domande e risposte,
entrarono insieme nella casuccia. E lì, senza sospendere i discorsi, l'amico si mise in faccende per fare
un po' d'onore a Renzo, come si poteva così all'improvviso e in quel tempo. Mise l'acqua al fuoco, e
cominciò a far la polenta; (...) si misero insieme a tavola, ringraziandosi scambievolmente, l'uno della
visita, l'altro del ricevimento. E, dopo un'assenza di forse due anni, si trovarono a un tratto molto più
amici di quello che avesser mai saputo d'essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perché
all'uno e all'altro, dice qui il manoscritto, eran toccate di quelle cose che fanno conoscere che balsamo
sia all'animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto quella che si trova negli altri. (cap.
XXXIII, pag. 616-617)
È in questa occasione che Manzoni dichiara l’importanza dell’amicizia e spiega su quali fondamenti si
basa, secondo lui, questo sentimento.
- Son cose brutte, - disse l'amico, accompagnando Renzo in una camera che il contagio aveva resa
disabitata; - cose che non si sarebbe mai creduto di vedere; cose da levarvi l'allegria per tutta la vita; ma
però, a parlarne tra amici, è un sollievo. (cap. XXXIII, pag. 620)
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