Anale e analitico (parte 1°) di Ron Robbins

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Anale e analitico (parte 1°) di Ron Robbins
Anale e analitico (parte 1°)
di Ron Robbins
Introduzione (1)
“L’emozione rende oscuro il problema: una logica fredda e chiara vince la luce del giorno… È facile fare
giustizia, ma è difficile farla bene”.
(da: Il ragazzo Winslow (2))
Questo lavoro inserisce il carattere anale e il suo positivo potenziale analitico nel filone delle strutture caratteriali descritte nell’Analisi Bioenergetica (3), per motivi sia teorici che pratici (4). La bioenergetica non
solo riprende ed espande il filo del ragionamento cominciato con la psicoanalisi (5) e continuato con Reich
(6)
, ma anche lo collega a un ampio materiale teorico e clinico.
In questa presentazione i limiti di spazio consentono solo un’introduzione generica del tema “analità e
analisi”: una presentazione in chiave bioenergetica delle dinamiche fisiologiche più rilevanti, con una particolare attenzione ai traumi in età formativa e con la presentazione di alcuni casi che possano illustrare meglio l’argomento trattato. Il bilancio di questo lavoro, che copre diagnosi differenziate, metodi terapeutici
adeguati e una esauriente casistica, è disponibile sul sito web dell’IIBA www.bioenergetic-therapy.com.
Che l’analisi diventasse il metodo più usato per dare un aiuto terapeutico è probabilmente un accidente
della storia; c’è infatti un’intera lista di altre possibilità per aiutare gli altri, oltre a quella di fare ragionamenti su di loro. Per esempio si può provvedere a dare più potenza energetica, o un senso di sicurezza, dei
confini, nutrimento, supporto. Si può lavorare a fianco dell’altro, servendo da modello, in una sfida che miri
a fortificare. Ma Sigmund Freud, che ebbe un’influenza determinante nello sviluppo della psicoterapia, poneva l’accento sull’analisi. Egli cominciò a lavorare come biologo e, quando iniziò a interessarsi alla psiche
umana, trattò questo argomento con gli strumenti scientifici che aveva già ben sviluppati.
Da scienziato, Freud osservava i dati, li analizzava, li decodificava, li sceglieva e li classificava. Poi, secondo logica, li organizzava in teorie. Cercava le prove e distingueva tra fatti e ipotesi. Il risultato era una
struttura onnicomprensiva che avrebbe permesso di capire il pensiero umano, le emozioni, il comportamento.
In linea con questo metodo, la psicoanalisi doveva essere la “scienza” del genere umano. Freud riconosceva che ci potevano essere dei metodi più efficaci per aiutare le persone, riferendosi alla fede religiosa legata ai miracoli, come quelli che avvenivano a Lourdes. Ma il suo fiducioso affidarsi alla scienza continuava
a essere alla base del modo con cui affrontava i problemi che gli si presentavano: la psiche umana doveva
essere esplorata e curata con l’analisi.
Il carattere analitico
In cosa consiste il processo analitico e in quale parte del corpo giacciono le sue radici?
Nella misura in cui l’interesse è rivolto all’integrazione dell’essere, a uno sviluppo del corpo e del comportamento, in linea col Ciclo Ritmico del Cambiamento, diventano di vitale importanza la questione della
fonte dell’analisi come funzione umana e quella della posizione che essa occupa nella organizzazione della
personalità (7). Consideriamo brevemente il modo di agire di chi analizza.
Una persona abile nell’analizzare è capace di estraniarsi dalle emozioni del momento; calma
all’apparenza, la sua energia sembra essere tutta rivolta ai processi mentali. L’obbiettivo per lei è chiaro.
Quello che è importante, e quello che vede, sono i “fatti”, nient’altro che i fatti.
Questo lavoro richiede la capacità di definire e isolare gli elementi dal fluire dell’esperienza e di attenersi
a questi come unico dato. Successivamente questi elementi saranno scelti, ordinati, classificati, organizzati e
valutati. Queste qualità sono alla base del lavoro di colui che, per capire la realtà, analizza. Se si parte dal
disciplinato punto di vista del fine dell’analisi, gli altri modi di conoscere, intuizioni dello spirito, intuito
creativo, buon senso, esperienza personale, coscienza delle proprie emozioni, insegnamento autorevole, appaiono inappropriati.
Il carattere anale e il carattere analitico
Il carattere anale è stato il primo tipo di carattere patologico a essere descritto dalla Psicanalisi. In Character and Anal Eroticism (8), Freud osservò che ordine, parsimonia e ostinazione erano collegati
nell’esperienza comune, e chiamò questo modello “erotismo anale”.
Janet (9) fece una lista di caratteristiche che ampliava quella di Freud. Egli notò che gli individui con una
organizzazione anale erano legati a modelli di comportamento ripetitivi e prevedibili, che erano affidabili e
sicuri e davano grande importanza alle norme e ai valori etici, che erano concreti, precisi e scrupolosi nelle
loro esigenze morali.
Molto delle descrizioni di Freud e di Janet è applicabile alla funzione del ragionare. Le seguenti parole,
estrapolate dalle succitate descrizioni, ben si adattano a un pensiero analitico adeguato: Ordine, Parsimonia,
Ostinazione, Ripetitività, Dipendenza, Affidabilità, Precisione.
Questi tratti sono fondamentali nell’approccio scientifico. La scienza considera basilari l’ordine e la parsimonia (la spiegazione più semplice per riassumere un certo numero di fatti); infatti, per progredire, essa
deve attenersi, con rigorosa ostinazione, all’ordine che ha delineato. Se si altera un elemento di una esposizione, l’intera argomentazione può esserne distrutta. È quindi meglio attenersi ostinatamente all’argomento
e affidarsi a un convincente e solido corpo di prove inoppugnabili, prima di produrre quello che è stato messo insieme.
Ma analizziamo altri vocaboli della descrizione di Janet: “alti principi morali, valori etici, scrupolosità
nelle richieste morali”. I principi morali ed etici sono strettamente collegati tra di loro, se non addirittura
sinonimi, come li considera il dizionario. Come si adattano alla funzione dell’analizzare e al carattere anale?
La risposta diventa chiara se si considera la qualità dei valori morali ed etici che vi sono coinvolti. La letteratura definisce i valori del carattere anale come costituiti da una “moralità sfinterica”. Questo tipo di moralità è ristretta a poli semplici e categorici, ad esempio il giudizio buono/cattivo. Le decisioni del carattere
anale sono prese rapidamente e sulla base di ciò che è ovvio. Le motivazioni sottostanti non sono analizzate:
i giudizi sono nero o bianco, vero o falso. Questo dà un senso di certezza. La certezza aumenta quando non
ci sono gradi di decisione o indecisione. Il grigio è assente.
Una siffatta moralità non riesce a considerare la complessità delle situazioni; non sono ammesse le sfumature e le loro interazioni né i vari livelli di spiegazioni e applicazioni. L’inadeguatezza di una moralità e
di un’etica così semplicistiche nelle relazioni interpersonali risulta in modo evidente in una serie di interazioni avvenute una sera durante una sessione di terapia di gruppo tra due partecipanti: Judd e Barry.
Judd manifestava spesso i tratti anali dell’ossessività e del ritualismo; il suo lato positivo consisteva in
una fiducia incondizionata nella verità, tanto da farsi stimare dall’amico Barry.
Judd considerava Barry un amico vero, ma, come molti nel gruppo, quasi sempre doveva sottomettersi al
suo modo di fare dominante e intimidatorio. Barry aggrediva per evitare il pericolo, e gli altri lo sentivano.
Era solo nei momenti di maggior sicurezza che Judd si divertiva a sfidarlo.
Uno di questi momenti fu reso possibile dal manifestarsi della vulnerabilità di Barry, nella sessione di cui
stiamo parlando. Barry aveva spezzato una area di resistenza, era entrato in una fase di regressione e aveva,
per la prima volta, esposto direttamente al gruppo una zona di fragilità della sua infanzia.
In un intervallo della sessione, Judd e Barry uscirono per uno spuntino, come spesso facevano, e Barry, in
quella situazione confortevole, si lasciò andare ancora di più: quell’uomo dominante e nevrotico, sentendosi
al sicuro, cominciò a parlare delle sue paure. “Credo di essere vissuto sempre nel terrore”, disse, cercando
comprensione. Judd, da parte sua, sentendosi al sicuro, rispose con decisione: “Non ti credo”, attenendosi al
principio che l’uomo forte non può avere paura. Barry, che aveva la guardia abbassata, fu dolorosamente
colpito dall’incomprensione e dall’accusa di falsità.
Nella seduta successiva Barry, offeso, affrontò Judd con rabbia poiché si sentiva tradito. Judd continuava a
sostenere, a sua difesa, di aver detto la verità e di essere stato sincero così come piaceva all’amico; e aggiungeva di sentire fortemente che non avrebbe più creduto in lui.
L’atteggiamento di Judd era fiero e rigido: egli si sentiva moralmente nel giusto. Non dimostrava di riconoscere che continuava a causare dolore a Barry, né c’era in lui pentimento o l’impulso di prendersi cura di
Barry e di dargli calore, e neppure la coscienza di quello che il suo atteggiamento poteva significare per la
relazione. Le sue successive affermazioni non facevano che aggiungere sale alla ferita.
Man mano che il corpo di Barry diventava insensibile, egli si chiudeva in se stesso. Il punto di vista di
Judd rimaneva categoricamente limitato al concetto che la verità è verità e che niente altro aveva importanza. Egli restava attaccato ai suoi “alti principi morali” ed era incapace di verificare la realtà di quello che
stava etichettando come assolutamente e sempre vero. L’analità limitava la prospettiva dell’analisi di Judd,
ma le sensazioni corporee crescevano quanto più egli esprimeva il suo rigore morale; l’adrenalina gli scorreva nel corpo ed egli vi si abbandonava con un certo sadismo; questa sensazione gli piaceva.
Ci fu solo un cambiamento quando, verso la fine della giornata, gli chiesi: “Come pensi che ti sentirai
stanotte, quando sarai solo, pensando a questo incontro?”. Allora la sicurezza di Judd si indebolì ed egli cominciò a placarsi pensando che ci sarebbero state delle conseguenze spiacevoli. Il suo corpo era percorso da
un sottile tremore, mentre la mente si apriva a una nuova realtà: “La vedo piuttosto male… Mi chiedo quali
conseguenze avrà tutto questo sulla nostra relazione.”
Come agiscono i muscoli sfinterici
Il termine “moralità sfinterica” suggerisce l’idea che i muscoli sfinterici siano un elemento chiave per la
comprensione della funzione analitica. Con l’aprire e il comprimere essi sono un mezzo di controllo che determina il funzionamento analitico a livello sia fisico che psicologico.
Il corpo, con la sua dinamica energetica, è la base del funzionamento sia mentale che psichico. Nella misura in cui l’analisi comporta l’assimilazione di un contenuto, c’è molto da imparare sul processo analitico
dall’esame dell’analogo processo fisico della digestione del cibo.
Consideriamo questo processo. Il cibo viene digerito attraverso il lungo tubo interno che comincia con le
labbra e termina con l’ano. Labbra e ano sono costituiti da muscoli sfinterici circolari. Tra questi due poli vi
è un lungo tubo che include altri tipi di muscoli circolari, come le valvole. L’azione sincronizzata di aprire e
chiudere di questi muscoli di controllo, che divide in compartimenti il tubo interno del corpo, distrugge la
forma originaria di quanto ingeriamo e la disgrega al fine di assimilarla.
I muscoli di controllo si trovano all’ingresso di una serie di segmenti più grandi, come la bocca, lo stomaco, l’intestino tenue (che si suddivide in duodeno, digiuno e ileo), l’intestino crasso e il retto. La prima porta
di ingresso sono le labbra e il suo aprirsi permette al cibo di entrare nel corpo. Le porte successive, gli sfinteri cardias e piloro, permettono l’ingresso nello stomaco e l’uscita dallo stomaco verso intestini. All’interno
degli intestini la segmentazione aumenta molto. Qui diversi muscoli circolari determinano una lunga serie di
compartimenti più piccoli dove viene rallentato e intensificato il movimento del cibo, più propriamente detto chimo, in modo che possa essere mescolato col muco, con gli enzimi e con gli ormoni. Al di sotto di quel
tratto la massa alimentare viene trattenuta per essere selezionata: nell’intestino tenue un processo definitivo
e molto preciso di analisi e di scelta, l’osmosi, stabilisce quello che è necessario al corpo e, attraverso le
membrane, lo trasporta là dove il nutrimento è richiesto.
L’intero funzionamento del tubo interno è un processo di tipo analitico: introdurre il materiale, trattenerlo
per considerarlo e rielaborarlo, sbriciolarlo in elementi più piccoli, classificare quello che è utile e quello
che non lo è, selezionare e assimilare quanto è adatto ed espellere quanto non lo è. I muscoli di controllo
ordinano e regolano i tempi e il movimento attraverso i segmenti ai quali sono addetti. L’intera organizzazione avviene in profondità nella forma di uno schema ben strutturato, suddiviso in capitoli, che diventa
sempre più raffinato e specifico nelle sue considerazioni quanto più scende nei livelli sottostanti.
Muscoli di controllo, comunque, non si trovano solo nel tubo orale/anale; infatti l’occhio è costituito e
circondato da veri e propri sfinteri. La pupilla è un muscolo sfintere che si accomoda automaticamente per
regolare la quantità di luce in entrata. Lo stringere un’altra serie di sfinteri, quelli che circondano il bulbo
oculare, ci permette di restringere il campo visivo rendendo più acuta la percezione; l’allentarli permette alla
vista di allargare il campo visivo a tutta l’apertura oculare. Controllando quello che entra nel corpo, gli sfin-
teri dell’occhio, come quelli del tubo interno, regolano cosa e quanto ricevere e quello che c’è di disponibile
nell’ambiente da assimilare.
Sebbene non propriamente sfinteri, le fasce muscolari dello scheletro, che muovono il corpo, possono
contrarsi e stringersi all’unisono. Funzionando come un tutt’uno, come gli sfinteri, i muscoli dello scheletro
possono essere usati per stringere insieme tutto il corpo. Questo stringere, con lo stesso effetto circolare degli sfinteri, può essere usato a supporto del processo della digestione, come si può vedere nello sforzo della
contrazione corporea durante una difficile evacuazione.
Una manifestazione ancor più rilevante ci aiuta a capire meglio il carattere analitico: l’uso dei muscoli
esterni dello scheletro per mantenere una posizione complessivamente contratta è una delle dinamiche fisiche che caratterizzano la presenza di questa tipologia caratteriale. Questo è ben rappresentato nel ritratto che
Basil Rathbone fa del famoso investigatore Sherlock Holmes. Quando quest’ultimo percorre a grandi passi
la stanza, con gli occhi serrati, contrae tutto il corpo. Egli si concentra intensamente con tutto se stesso per
mettere a fuoco il limitato campo che gli interessa.
Una buona descrizione dell’atteggiamento analitico è stata fatta dal professor Richard Dawkins:
«Anni fa, mentre tenevo un corso a Oxford, insegnavo a una giovane donna, affetta da una strana abitudine.
Quando le veniva posto un quesito impegnativo, essa strizzava gli occhi tenendoli stretti e chiusi, lasciava
cadere la testa sul petto e si irrigidiva almeno per trenta secondi prima di rialzare lo sguardo e rispondere
alla domanda, peraltro con disinvoltura e intelligenza. Io, divertito da ciò, un dopocena ne feci una imitazione per intrattenere dei colleghi. Tra di loro c’era un ben noto filosofo di Oxford che, non appena vide la mia
imitazione, esclamò: “Quella è Wittgenstein! Non è questo il suo cognome?”. Colto di sorpresa, dissi che lo
era. “Lo sospettavo”, disse il collega “ambedue i suoi genitori sono filosofi, seguaci del grande filosofo Wittgenstein.”. Il modo di fare di Wittgenstein, attraverso uno o entrambi i genitori, era passato alla studentessa». (10)
Dawkins usa quest’aneddoto a sostegno della sua nozione di meme, un modello di comportamento che,
una volta formatosi, va avanti per suo conto, attraverso il tempo e le culture. Esempi di meme spesso nascono da idee, slogan, metodologie, e, una volta formatisi, si diffondono per contagio. In questo esempio, che
descrive così bene una gestualità, Dawkins chiama meme quel modello di comportamento. Il riferimento
alla relazione tra il processo fisico e quello psicologico pone il meme nell’ambito della teoria della psicoterapia corporea.
La nostra opinione sugli aspetti fisici del processo analitico suggerisce una spiegazione diversa da quella
di Dawkins. Dalla nostra descrizione del carattere analitico, Wittgenstein, uno dei più importanti pensatori
del XX secolo, non risulta essere semplicemente la fonte di un modello culturale da emulare, né è lui stesso
imitatore della posa fisica de “Il Pensatore”, con il corpo ritirato in se stesso e la testa tra le mani. Piuttosto
egli manifesta il caratteristico atteggiamento di colui che analizza, quella posizione che, più o meno, assume
chi entra nella contrazione di un pensare profondo e sistematico. Invece di chiamare questo atteggiamento
un modello culturale che si diffonde per imitazione, preferiamo definirlo una rappresentazione fisica
dell’azione dell’analizzare che si riproduce, completamente o in parte, ogni qual volta si pensa profondamente.
C’è, comunque, una struttura opposta al modello contratto e controllato del comportamento analitico,
anch’essa collegata ai muscoli di controllo: quando questi ultimi si allentano e si espandono, gli impulsi, le
emozioni e i movimenti possono scaturire liberamente. Il contrarsi e l’espandersi indicano le manifestazioni
del “trattenere” e dell’”espellere” che Freud considera due differenti aspetti del carattere anale. Il carattere
anale “espulsivo”, fin qui considerato marginalmente, verrà analizzato più tardi.
Sviluppo dei muscoli di controllo in seguito a un trauma
Un bambino comincia a controllare coscientemente gli sfinteri in risposta alle richieste culturali del toilet
training. La formula è “trattieni” e “lascia andare”. Le regole possono essere insegnate verbalmente, con
l’abitudine, o per imitazione. Il trauma si manifesta se le regole sono insegnate troppo presto o troppo tardi,
con troppo dolore o con troppo piacere.
Facciamo alcuni esempi.
Una donna dura, anale all’apparenza, parlava di come aveva educato la figlia all’uso del vasino, dicendo
che era stato facile e anche molto utile. Era una donna molto ordinata. Aveva avuto successo col semplice
attenersi all’osservazione che la bambina emetteva una specie di grugnito prima di scaricare le feci nel pannolino. Quel suono diventò per la madre il segnale per mettere velocemente la bambina sul vaso, per essere
sicura che le feci andassero a finire dove lei desiderava (11). Dopo un certo numero di esperienze di questo
tipo, la bambina fu posta sul vaso anche prima del segnale. Il condizionamento riuscì così bene che la bambina andava a tempo, controllata da quello stimolo esterno.
Mentre ascoltavo questa madre raccontare come aveva insegnato alla figlia l’uso del vasino, dapprima fui
colpito dalla logica con cui tutto questo veniva presentato, dalla facilità e dalla mancanza di conflitto con cui
tutto era avvenuto, ma dopo, quando mi fu detto che, a quel tempo, la bambina aveva appena quattro mesi,
ammutolii stupefatto. Quello che mi era sembrato quasi meraviglioso, ora lo sentivo come una evidente distorsione del modo di allevare un bambino, come qualcosa al di fuori del ritmo naturale.
Cosa c’era di oggettivamente sbagliato in ciò? Quello che la madre chiedeva, e otteneva dalla figlia, era il
controllo della risposta istintiva di lasciare andare, senza avere ancora degli sfinteri anali fisiologicamente
maturi. Infatti, all’età di quattro mesi, gli sfinteri non possono essere così sviluppati da poter essere usati con
successo in questo modo; si arriverà a questa maturità muscolare tra il primo e il secondo anno di vita. Doveva essere stato usato un altro sistema muscolare e in una maniera inusuale (12) .
Perciò, invece di usare un modello di educazione veramente efficiente per il corpo e per lo sviluppo psichico, quella madre insegnava un metodo fisiologicamente inusuale e strambo di trattenere, controllare e
lasciare andare in base a stimoli esterni: il dipendere ripetutamente dalla partecipazione attiva della madre e
dal suo movimento per portarla sul vasino privava la bambina della effettiva e fondamentale tappa della auto-regolazione nel percorso verso l’autonomia personale.
Non ho visto questa bambina, perciò non posso dire con sicurezza se la sua educazione all’igiene le abbia
causato disturbi nel funzionamento psicomotorio o come il suo corpo la abbia superata. Posso dire, però, che
ho visto altre persone che, in età adulta, trattengono la muscolatura anale e delle zone limitrofe con un controllo eccessivo e costante tale da interferire con il naturale movimento della parte inferiore del corpo. In
base a queste esperienze, ipotizzerei che questa bambina, se non ha avuto esperienze correttive, da adulta,
soffrirà di problemi di controllo.
Un tale eccesso di controllo, come quello che abbiamo visto qui istituire dalla madre, produce sterili tensioni croniche che interferiscono con il libero e pieno fluire dell’energia dal centro del corpo attraverso la
metà inferiore dello stesso. Esiste un termine popolare che descrive l’aspetto fisico contratto del comportamento di un carattere anale: “a sedere stretto”. Questa situazione fisica è evidente anche a livello psicologico: problemi di controllo, come la paura di essere controllati, il controllare gli altri, la difficoltà ad allentare
il controllo, giocano un ruolo eccessivo nel funzionamento complessivo.
Il “toilet training” di questa madre era avvenuto troppo presto perché la figlia potesse sviluppare la padronanza di se stessa attraverso il controllo corporeo. Se tale addestramento prematuro può provocare disturbi
al funzionamento, lo stesso avviene quando l’addestramento avviene troppo tardi.
Un esempio
In un seminario clinico fu presentato il caso di un bambino di nove anni le cui sofferenze nevrotiche erano state tali da doverlo internare in un centro di cura per ragazzi disturbati.
La conferenza verteva su un problema per il quale lo staff infermieristico, che si occupava del bambino,
era veramente angosciato: non si riusciva ad evitare che egli si sporcasse. Il suo “comportamento sbagliato”
non poteva essere peggiore: in qualsiasi modo si facesse, il suo pigiama conteneva sempre un po’ di feci.
Lo staff, ovviamente, lo aveva spinto a controllarsi, a essere cosciente e a contenersi. Sembrava che il bambino fosse quasi sul punto di farcela e che un piccolo sforzo in più lo avrebbe portato al successo. Il bambino faceva ogni sforzo, ma serviva a poco: quel comportamento continuava. Era necessario saperne un po’ di
più.
La storia personale era chiara: il problema era stato determinato da un trauma. I genitori del bambino,
che non avevano cercato di educarlo fino all’età di quattro anni, con l’avvicinarsi dell’età scolare, ansiosi di
assolvere quel compito in tempo, fecero uso di un metodo basato sulla vendetta. Siccome il bambino resisteva con forza, disperati, arrivarono al punto di premergli il naso nelle feci “per insegnargli a trattenersi”.
Le conseguenze furono immediate.
Dalle discussioni del personale infermieristico e dalla storia personale del bambino risultava evidente che
mancava ancora qualcosa. Il problema non sembrava essere la mancanza di controllo. La regolare e consistente eliminazione di piccole quantità di feci faceva infatti pensare a una disponibilità al controllo. Il continuare a sporcarsi sembrava con più probabilità essere la conseguenza dell’aver assimilato un modello di eccessivo controllo dell’espellere. Questo fu confermato da esami medici e radiologici, fatti per determinare
se, all’origine di questo problema, ci fossero motivi fisiologici. Si trovò che l’intero intestino del bambino
era occluso dalle feci: invece di andare al bagno egli si tratteneva dall’evacuare un giorno dopo l’altro. Comunque, molto lentamente, parte delle feci veniva spinto fuori a forza: l’intestino alla fine l’aveva avuta vinta sulle modalità che il bambino aveva imparato e sul considerevole sforzo muscolare che il suo corpo faceva per trattenere.
L’educazione all’igiene, in questo caso, è stata offerta troppo tardi e con troppa durezza. Gran parte della
muscolatura si era sviluppata per sostenere il tener stretto lo sfintere, coinvolgendo l’intero corpo. Incoraggiato attivamente a rilassarsi e a lasciare andare il generale livello di tenuta, il bambino, poco a poco, riuscì
a superare il problema.
Sono state esaminate due possibilità di educazione all’igiene, ambedue errate: il non scegliere il momento
opportuno e la durezza. Un altro fattore può influenzare il funzionamento degli sfinteri intestinali, come dimostra il caso di Susan.
Susan presentava un altro tipo di problema che consisteva nello sviluppo di un eccesso di piacere e di eccitazione nella zona dello sfintere che era stata stimolata in modo erogeno. Infatti da bambina aveva avuto i
vermi e la madre, regolarmente e con delicatezza, glieli estraeva dall’ano. Susan, in terapia, ne parlava spesso, e sempre con un’espressione remota, compiaciuta, persino romantica. Parlando del lasciare andare, diventò cosciente della natura erotica dei suoi rapporti con la madre e arrivò a sentire lo sfintere anale come la
zona chiave nella sintesi tra amore e sessualità. Molti disturbi gastro-intestinali hanno origine da conflitti di
natura erotica nella zona anale.
I muscoli di controllo e i tratti del carattere analitico
Dopo aver posto l’accento sull’importanza dei muscoli di controllo e mostrato come la situazione ambientale possa interferire con la loro maturazione naturale e con le loro funzioni, ora ci concentreremo sullo sviluppo dei tratti analitici a livello psicologico.
Lo scenario dell’educazione all’igiene riunisce le problematiche anali riguardo al possesso, al tempo,
all’ordine e all’attenzione al dettaglio. C’è una forte aspirazione alla parsimonia appena il bambino impara a
gestire con semplicità un’esperienza corporea, guidato dall’educazione.
Quando i muscoli di controllo hanno un movimento sano e regolare, l’evacuazione avviene facilmente,
nei tempi opportuni, senza ostentazione, né drammi, né spiacevoli strascichi. L’educazione offerta
dall’ambiente può integrarsi con quello che è naturale per il corpo, ma l’input esterno può anche spingere
fuori rotta il flusso naturale delle cose e influenzare pesantemente lo sviluppo psicologico. L’interazione tra
le aspettative esterne e i movimenti corporei solleva preoccupanti interrogativi.
Le feci saranno eliminate in modo appropriato e al momento opportuno? Gli sfinteri saranno ben chiusi?
Si sarà capaci di giudicare quando si può evacuare, guadagnandosi così l’epiteto di “buono”, o si sbaglierà,
diventando così “cattivo”? Ci si perderà nella propria analisi, cercando di valutare se veramente si debba
andare in bagno o se sia solo opportuno? Ci si confonderà dovendo rispondere a messaggi opposti, con i genitori che dicono: “vai ora”, quando il corpo non dà alcun segnale in merito? Ci si ribellerà ai tentativi esterni di controllo sconvolgendo l’ordine con espulsioni intempestive? Le sensazione dell’area anale saranno
ben circoscritte o si confonderanno con quelle delle vicine aree genitali?
Questi interrogativi rimandano allo stretto legame esistente tra l’attività dello sfintere anale, le emozioni e
i processi mentali. Quando questo muscolo è tenuto stretto si ha il senso del possesso delle feci. Spremersi,
sforzarsi con gli occhi serrati, le labbra increspate e il corpo che si contrae verso l’interno fa tutto parte del
quadro di un bambino che lavora duramente per “essere buono e agire bene”. Lo sforzarsi produce una propensione alla precisione e la sensazione di essere nel giusto. All’estremo opposto movimenti spastici e disordinati, come quelli che si producono quando gli sfinteri e la muscolatura circolare è troppo rilasciata,
provocano evacuazioni rapide, l’aspetto complessivo di una persona sopraffatta, il giudizio di “cattivo” e
sensazioni di sporcizia.
Il trattenere o il lasciare andare provocano risposte sociali e comportamentali prevedibili. A questo riguardo sono esplicite alcune crude espressioni dialettali della lingua inglese, quali don’t give a shit ( “fregarsene” o “non cagar nemmeno”), riferito al tenere stretto, e shit on you (“spettegolare”) per il comportamento opposto del lasciare andare, sentito come un comportamento intenzionalmente cattivo che infrange le
regole, creando il caos. Ciascun comportamento ha poi la sua definizione gergale che esprime un giudizio
sociale: tight-assed (“rigido” o “culo stretto”) o asshole (“stronzo”).
Il dominio degli impulsi energetici nel comportamento collegato al trattenere è quanto è richiesto per un
processo analitico efficiente: limitando e controllando l’espressione naturale, si può formare un ordine che
renda possibile sia mettere a tacere gli impulsi che controllare le emozioni e il turbinare interno dell’energia.
Su uno sfondo tranquillo i processi mentali possono allora mettere a fuoco, selezionare, ordinare e organizzare un piano mirato a conseguire quello che si desidera; c’è tempo a sufficienza prima del movimento di
risposta, e il ragionamento, freddo e spassionato, può regnare incontrastato.
Ma, non appena il processo di controllo arriva al suo punto estremo e non si è più capaci di rilasciare in
modo che il flusso energetico possa riprendere il suo corso naturale verso un modo di agire più vitale, il ragionamento diventa ossessivo e i comportamenti compulsivi e ritualistici. L’energia, incanalata in forme di
azione fisse, blocca per difesa l’espressione naturale dei sentimenti, delle emozioni, degli impulsi e del
comportamento. Paura e terrore, collera e rabbia, tristezza e pianto possono così essere nevroticamente controllati, inquadrati e soffocati in forme stilizzate di repressione. In questa situazione ossessiva, ritualistica e
compulsiva, l’energia viene assorbita da azioni ripetitive e senza vita. La consapevolezza non è collegata al
sentimento. Le attività, quando avvengono, sono suddivise in modo tale che ciascuna parte di un compito
consiste in un’unità a sé stante. Il quadro complessivo è frammentario perché la funzione unificante del flusso energetico è vanificata.
Fui testimone di un tale tipo di logica compulsiva e ritualistica quando Stan cominciò a raccontarmi di
come preparava un dolce. La descrizione consisteva in un monologo stilizzato che assorbiva completamente
l’energia, rendendo la sua voce piatta e monotona. Il contenuto della descrizione era altrettanto monotono e
super-controllato. Ciascuna fase era numerata:
Si stende l’impasto:
Fare attenzione a fare intorno un bordo arcuato di cm 23.
Si usa il matterello.
Con le mani rendo liscio l’impasto, togliendone i grumi e le bolle d’aria.
E la lista continuava…L’espressione della faccia di Stan indicava che era intensamente concentrato su se
stesso. Continuava a parlare, controllato e monotono, come se leggesse da un libro di cucina, senza tenere in
alcun conto chi lo stava ascoltando. Tentai di porgli una domanda per coinvolgerlo emotivamente e rendere
così più spontanea l’esposizione, ma egli sbottò: “Non interrompermi. Ti sto dicendo come va fatto.”
L’esplosione, che finì bruscamente come era cominciata, gli era servita a riprendere il controllo della situazione. E la recita ricominciò e andò avanti come se niente fosse accaduto. Era come un rituale sul quale non
si doveva interferire. Mi venne da paragonare Stan a una persona, ben chiusa al gabinetto, che tratta bruscamente, come uno che piomba inopportunamente sulla scena, chiunque interrompa quella situazione assolutamente privata.
Stan affrontava i fatti della vita sottoponendoli a una analisi attenta e dettagliata, ma senza fare alcun riferimento ai dolori, ai drammi, alle passioni; e, se qualcuno gli proponeva situazioni di questo genere, con attacchi furiosi riprendeva il controllo della conversazione. Quando, nei momenti di maggior distensione, si
discuteva di queste esplosioni di ira, egli se ne scusava dicendo che non aveva avuto l’intenzione di essere
“cattivo”.
Quando Stan affrontava problemi che non lo riguardavano personalmente e quindi non usava l’analisi per
tenere sotto controllo sia i propri sentimenti che la situazione ambientale, i suoi strumenti analitici erano validi e questo aveva influito positivamente nel ruolo di educatore che aveva scelto. Eppure la qualità e il buon
livello delle capacità analitiche non lo ricompensavano nel modo che egli desiderava. Era complessivamente
troppo contratto e legato a un modo schematico di ragionare per essere capace di portare a conclusione i
suoi scritti o per presentarsi in modo adeguato a livello professionale. Le emozioni, che critiche, interruzioni
o discussioni con i colleghi potevano far scaturire in lui, gli facevano troppa paura.
All’interno del rapporto terapeutico, dove si sentiva al sicuro, Stan fu capace di sperimentare a livello fisico le tensioni che lo costringevano, talvolta di viverle con violenza e, gradualmente, di prendere in esame
quanto era necessario per alleviarle. L’allentare le strozzature della struttura caratteriale anale e il diminuire
i rituali di difesa fece entrare in gioco forti emozioni di antica data e un doloroso coinvolgimento sul significato della vita e della morte. Questo materiale, che precedeva nel tempo le distorsioni della struttura anale
che lo avevano mascherato, una volta arrivato in superficie ebbe una rapida evoluzione (13). Quanto più Stan
lavorava sui primi problemi della sua vita, man mano che emergevano, tanto più aumentavano la forza vitale
e l’energia. Egli abbandonò lo stile di vita, da anoressico, che aveva adottato parecchi anni prima; all’età di
50 anni aveva cominciato a mangiare poco e a praticare il jogging, con lo scopo apertamente dichiarato di
evitare la morte che lo terrorizzava: sentiva che doveva ancora vivere. Con il liberarsi dell’energia la vita di
Stan si ampliò: guadagnò di peso, sviluppò una relazione amorosa che lo appagò e chiuse un matrimonio
che non funzionava più, né per lui né per la moglie. Nell’ambito del lavoro affrontò il rischio di insegnare in
una classe di anziani pensionati; in precedenza, quando la sua vita interiore consisteva di pensieri, sentimenti e opinioni separati e sconnessi tra loro, egli aveva evitato di avere rapporti con i “vecchi” che gli facevano
venire in mente la morte. Questo lavoro fu per lui un’esperienza gratificante: era sorpreso della saggezza e
delle conoscenze delle persone anziane e gli era di aiuto ascoltare la storia della loro vita, le emozioni e le
preoccupazioni; da parte sua, ricambiava, condividendo quanto realmente sentiva.
Con questo caso concludiamo la prima parte di questo saggio. La seconda affronterà diagnosi differenziali e offrirà una ampia e varia casistica.
Note
Ringrazio Chris Turner per aver trascritto questo dibattito presentato sotto gli auspici della Società di Analisi Bioenergetica di New York; Eric Diamone le cui domande e i cui dubbi hanno portato ad approfondirne
la comprensione; Joel Robbins per l’acume e per le discussioni sempre stimolanti.
2.
Mamet, Davi, The Winslow Boy, Sony Pictures Classics, 1999.
3.
Lowen, Alexander, Physical Dynamics of Character Structure: Bodily form and movement in Analytic
Therapy, NY, Grune&Stratton, 1958.
4.
L’inserimento del carattere anale tra i tipi caratteriali bioenergetici poggia su numerose e varie argomentazioni in linea col pensiero della bioenergetica:
A - La bioenergetica si è sviluppata per capire le funzioni naturali. Gli uomini non sono i soli ad avere bisogno di tempestività e controllo per il rilascio delle feci. Molti animali regolano l’evacuazione per segnare
il loro territorio. La funzione anale, perciò, è un processo evolutivo che non riguarda solo l’eliminazione
delle feci, ma si inserisce in un contesto sociale in altre specie viventi.
B - I tipi caratteriali si formano dall’interazione tra l’ambiente e le aree del corpo mentre stanno sviluppandosi. Un trauma, che riguardi una zona del corpo nel periodo in cui comincia a sviluppare le sue funzioni,
determina le basi della formazione del carattere. Lo sviluppo fisiologico, sia della zona anale che di quella
intestinale, è un processo che solo lentamente raggiunge la maturità. Qui si sostiene che il carattere anale
deriva da un trauma determinato dallo svilupparsi nel corpo del controllo sulla digestione e sulla eliminazione del cibo. La capacità analitica, che il corpo possiede naturalmente, di scegliere e analizzare quello che
assume, stabilendo cosa trattenere, e di eliminare quello che è necessario eliminare, viene danneggiata dal
trauma, con effetti prevedibili.
1.
C - Il modello psicologico associato al carattere anale è ben delineato. A livello psicologico di base questo
carattere affronta il problema del controllo e del rilascio, la cui soluzione influenzerà la personalità nel suo
complesso, sia a livello psicologico che nella vita sociale, come dimostreremo in questo lavoro.
D - La tesi di Freud che l’uomo ha istinti distruttivi, se non addirittura istinti di morte, ha determinato la
contro-affermazione che l’uomo non è distruttivo per natura. Ed è su questa base che il carattere anale, con
il suo impulso sadico e distruttivo, è stato omesso nella descrizione dei caratteri della Bioenergetica. L’idea
che gli uomini abbiano un naturale istinto di distruzione ha provocato violente reazioni da parte di molti, e
l’ipotesi di Freud è stata molto discussa. Come terapeuti corporei, abbiamo la giusta necessità di osservare i
processi naturali del corpo per scoprire se e su quali basi queste teorie siano fondate. C’è qualcosa nel corpo
che possa corrispondere ad un processo di distruzione? Potrebbe, in realtà, la distruzione essere necessaria
anche alla vita?
Non si può certamente negare che negli esseri umani ci siano tendenze distruttive; ma si sviluppano esse al
di fuori delle funzioni naturali del corpo? C’é nel corpo la tendenza naturale a trattenere, spezzare e distruggere? E, se è così, dove e con quale funzione?
Il dato di fatto biologico che mangiare, digerire ed eliminare corrispondano ad un processo di analisi, di
possesso e di distruzione dimostra che questa tendenza è sostanzialmente naturale. Il processo di distruzione
comincia, in modo naturale e necessario, non appena il cibo entra in bocca: la saliva, i movimenti della lingua e la masticazione contribuiscono a frantumare e a distruggere la forma del cibo non appena esso comincia il suo viaggio lungo il canale che va dalla bocca all’ano. Il processo di trattenere avviene, per legge naturale, nello stomaco dove il cibo è sottoposto a un ulteriore processo di sminuzzamento, la cosiddetta guerra
chimica, che procede a dividere il materiale nelle sue componenti. Anche il processo di distruzione fa certamente parte dei processi corporei necessari alla vita ed è la base del procedimento analitico a livello psicologico dove le situazioni sono suddivise per poter essere analizzate. Esso è, quindi, una delle chiavi di lettura del carattere analitico.
Naturalmente, come avviene per ogni altra manifestazione umana, la tendenza alla distruzione può nascere
ed essere rivolta contro la vita; ma, con un’ottica più ottimistica, estrapolando dal modello delle dinamiche
del corpo, questa tendenza è per lo più considerata quell’elemento positivo del processo analitico che dà innumerevoli e importanti contributi al prosperare della vita.
E - Il clinico trova la conferma nella pratica. Se si considerano i clienti dal punto di vista esposto in questo
lavoro, si avranno molte informazioni preziose sui loro modi caratteristici di funzionare; questo ha portato a
metodi terapeutici che si sono rivelati utili per sviluppare un modo di vivere più ricco e più pieno. La supervisione di questo materiale da parte di altri clinici ha confermato questi risultati.
F - Quanto è stato finora analizzato suggerisce che i terapeuti corporei hanno assimilato molto dalla psicoanalisi e dal lavoro di Reich, riguardo allo sviluppo del carattere anale. Su questa base si possono studiare le
dinamiche di molti clienti in modo nuovo, pur continuando a essere consapevoli dell’importanza del corpo.
Lo scopo di questo saggio è quello di offrire tale prospettiva, mettendo in evidenza temi importanti da un
punto di vista sia fisico che terapeutico e clinico.
5.
Freud, Sigmund, “Character and Anal Eroticism”, in Sigmund Freud: Collected Papers, Volume II, NY
Basic Books, 1908, pagg. 45-50.
6.
Reich, Wilhelm, Analisi del Carattere, Milano, SugarCo, 1973.
7.
“Colui che analizza” non è stato preso in considerazione nel “Ciclo del Cambiamento”, come si è detto nel
lavoro Rhythmic Integration: Finding Wholeness in the Cycle of Change (Ronald Robbins, NY, Station Hill
Press, 1991). L’importanza della funzione analitica nella dinamica del cambiamento non mi fu chiara finché
non arrivai alla conclusione del libro, ma i suoi presupposti e il suo funzionamento furono parzialmente inclusi nel capitolo “Solidifier”. Da allora sono arrivato a capire che il processo analitico ha un suo proprio
posto nel Ciclo del Cambiamento e che obbedisce a dei suoi propri principi bioenergetici. Ha inoltre una
relazione primaria con uno specifico tipo di muscolatura e di sistema corporeo e questo risulta in una serie
di precise caratteristiche psicologiche.
8.
Freud, Sigmund, “Character and Anal Eroticism” in Sigmund Freud: Collected Papers, Volume II, NY,
Basic Books, 1908, pagg. 45-50.
9.
Salman, Leon, Treatment of the Obsessive Personality, NJ, Jason Aaronson, 1980.
Dawkins, Richard, “ The Selfish Meme”, in Time, Vol.153, no.15, pagg. 52-53.
10.
11.
Se il lettore vuole fare esperienza della relazione che c’è tra lo stringere fortemente e il grugnire cerchi di
premere forte su uno sgabello come per “trapassarlo” e, mentre lo fa, tenga la gola chiusa consapevolmente.
Mentre sta concludendo l’azione, lasci uscire un suono e ascolti.
12.
Il caso di Jenine, tre mesi, suggerisce che esiste una muscolatura pronta a collaborare col processo di educazione all’igiene a un’età veramente precoce. Con grande gioia della madre, la bambina alzava le gambe
in anticipo, quando veniva messa sul fasciatolo per cambiarle il pannolino. Quello che la madre faceva, alzandole le gambe per sollevarle il sederino, ora Jenine poteva farlo da sola, usando a questo scopo i muscoli
al momento giusto e in modo appropriato. Sebbene questa non sia una vera e propria capacità di controllo
dell’ano, mostra tuttavia che altri muscoli dell’area anale sono pronti a contrarsi e possono essere coinvolti
nel processo del trattenimento/rilascio.
13.
Riflettendo sull’andamento della terapia di Stan, sorge una domanda. La natura delle emozioni che esprimeva, il turbamento sul tema vita/morte e l’isolamento potrebbero suggerire una diagnosi schizoide piuttosto che anale. Se non si comprende il carattere analitico, questo equivoco è possibile, come è, del resto,
probabile che non si sarebbe potuto capire il mondo interiore di Stan e, quindi, la terapia non avrebbe colto
nel segno.
Per questo, nel caso in cui nel lessico delle descrizioni caratteriali si inseriscano anche le dinamiche del carattere anale-analitico, è necessario fare diagnosi differenziali. Qui non c’è spazio per farlo, ma l’argomento
è trattato in un esauriente lavoro – disponibile su sito web dell’IIBA www.bioenergetic-therapy.com – in cui
sono presentate le modalità per distinguere il carattere Anale-Analitico da quello Schizoide-Creativo (Creative), da quello Orale-Comunicativo (Communicator), da quello Masochista-Solidificato (Solidifier). In questo lavoro è presentato l’aspetto anale-espulsivo del carattere e le sue dinamiche, il tutto illustrato con un
caso ben noto. Infine vi sono inseriti numerosi metodi terapeutici utili per lavorare con questo carattere, con
esempi di casi che mostrano come l’applicazione di queste tecniche possa attenuare le difficoltà del carattere
anale. Vi è anche un esempio dell’uso della comprensione delle dinamiche corporee per sviluppare gli strumenti analitici nei casi in cui siano necessari.
“The Anal and the Analytic”, in Journal of Bioenergetic Analysis, vol.10, num.2, anno 1999, pagg.71-87.
Traduzione di Donatella Nelli, a cura di Marta Pozzi e Monique Mizrahil