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Elia Volpi e la commercializzazione della maiolica italiana, cifra di
gusto e elemento di arredo indispensabile nelle case dei collezionisti
americani: J.P. Morgan, W. Hincle Smith, W. Boyce Thompson
Roberta Ferrazza
I
l 24 aprile del 1910 si inaugurava a Firenze il palazzo Davanzati che, dopo cinque anni di accurato restauro e un’attenzione meticolosa nell’arredo, l’antiquario Elia Volpi aveva trasformato nel suo museo privato della Casa Fiorentina Antica. Negli stessi giorni
Volpi aveva organizzato anche la sua prima asta pubblica. I due avvenimenti, ampiamente pubblicizzati sulla stampa e strettamente connessi, si potenziarono a vicenda e richiamarono in città collezionisti e compratori da tutto il mondo.
Il suo museo privato costituiva a Firenze un esempio unico di integrazione perfetta fra
contenuto e contenitore, un’idea che nei decenni successivi sarebbe stato un precedente
da imitare e che avrebbe fatto scuola. Alla cerimonia di inaugurazione parteciparono le
più alte autorità pubbliche, i membri dell’aristocrazia, i rappresentanti di numerosi giornali e nomi noti nel mondo dell’arte e del collezionismo; molti dei visitatori dell’ammirato museo erano gli stessi interessati all’asta dei giorni immediatamente successivi1:
I direttori dei Musei esteri passati di qui in questi giorni per prenotare oggetti alla prossima vendita Volpi, visitando per speciale concessione il Palazzo ebbero per il nostro illustre collega parole
di largo encomio.
Volpi era dunque al centro dell’attenzione ma le aspre polemiche che lo avevano visto protagonista durante il recupero di palazzo Davanzati non risparmiavano neppure l’imminente vendita della sua collezione, accusandolo di volersi liberare di tutto quello che era
rimasto dopo l’arredo del suo museo privato, merce di poco valore e di incerta autenticità. “L’Antiquario” si preoccupò di smentire le insinuazioni e Volpi a proposito dell’asta
rilasciò un’intervista2:
Sarebbe ingenuo pretendere di vendere la merce secondo il mio giudizio. Il prezzo per ogni singolo oggetto sarà stabilito dalla gara di coloro che, intervenendo, onoreranno la vendita. […] La
merce fu comprata in gran parte in altre epoche ai prezzi d’allora e l’aumento che gli oggetti antichi han subito per la crescente scarsità rendono i prezzi di origine eminentemente commerciali.
L’asta si svolse dal 25 aprile al 3 maggio presso il villino Volpi, in piazza Dora d’Istria a
Firenze, curata dalla Società Jandolo & Tavazzi di Roma3. Nell’annuncio della vendita si
poteva leggere4:
Interessante sopra ogni dire è la collezione delle Maioliche Orvietane primitive, insieme a rari esempi delle antiche fabbriche di Deruta, Faenza, Cafaggiolo etc.
“L’Antiquario” ne fece un resoconto dettagliato non perdendo l’occasione per polemizzare con i responsabili della tutela5:
Per approfondimenti sugli argomenti trattati e per una bibliografia più completa si rimanda a R. Ferrazza,
Palazzo Davanzati e le collezioni di Elia Volpi, Firenze, Centro Di, 1994.
1
Tolosani, 1910a; su palazzo Davanzati e il suo restauro cfr. Ferrazza, 1994, pp. 17-68.
2
Tolosani, 1910b, p. 57.
3
Catalogue de la vente…, 1910.
4
“L’Antiquario”, II, 1910, n.8.
5
Vendita Volpi a Firenze, 1910, p. 1. Erano ancora vivi gli echi delle aspre polemiche sui due fronti opposti, le-
1
1. Elia Volpi nel 1910.
[…] una miriade infinita di cose belle, non riunite da tradizioni secolari di vecchie collezioni, ma
messe insieme di fresco da una mente moderna aiutata [...] dalle forze giovani del commercio antiquario. Da quelle forze giovani che […] giovano alla conservazione del patrimonio artistico italiano assai più di quei vanesi che mantiene a sedere lo Stato.
Fra gli acquirenti figuravano nomi importanti nel campo del collezionismo e del commercio antiquario: Horne, Loeser, Acton, Brauer, Girard, Bellini, Pamphly, Salvadori,
Ciampolini, Bardini, tramite Domenico Magno, il Ministero delle Belle Arti e fra gli stranieri J.P. Morgan e il Metropolitan Museum of Art. Il lotto delle ceramiche di Orvieto fu
molto discusso e persino “L’Antiquario”, sempre solerte nel difendere la categoria, e Volpi in particolare, ironizzò pesantemente sulla loro autenticità6:
gate al dibattito sulla Legge Rosadi per le Antichità e Belle Arti, approvata nel giugno 1909. Sulla difficoltà della tutela, sulle leggi relative agli inizi del Novecento, sulle posizioni della categoria antiquaria e sul ruolo attivo
di Volpi nel contrastare l’approvazione della legge del 1909 si veda Ferrazza, 1994, pp. 98-100 e note relative.
6
Vendita Volpi a Firenze, 1910, p. 3. Fra le ceramiche orvietane ne ricordiamo due che suscitarono qualche ironia: la n. 251, acquistata per 5.000 lire da Morgan per il Metropolitan Museum di New York (“Una bottiglia
primitiva, fabbrica d’Orvieto formata da una donna con un animale alato racchiuso fra le mani. Oggetto molto discusso da quegl’intelligenti e ben poco simpatico”) e la n. 318, autentica secondo la rivista di categoria, aggiudicata a Carlo Angeli per 840 lire (“vaso di Orvieto primitivo, di bella forma, discretamente conservato, con
teste di leone a rilievo ed originale, perché quando si parla di Orvieto l’originalità è come l’Araba fenice”).
2
Lo spirito alle vendite costa caro [...]. Alludo al vecchio collega Ciampolini tanto arrabbiato per
conquistare le maioliche di Orvieto. […] Lui così ricco, così pratico, così intelligente sacrificar le
proprie energie in quella porcheria per la soddisfazione di rioffrirla a vendita compiuta con mille
lire di perdita!
Vincenzo Ciampolini, era stato uno dei primi a ricercare e commerciare oggetti d’arte e
stupisce davvero che fosse così determinato nell’acquistare all’asta oggetti ritenuti falsi7.
“L’Antiquario” solo pochi mesi dopo espresse un giudizio completamente diverso sulle ceramiche di Orvieto presentate all’asta Volpi. Nell’ottobre del 1910, la rivista ritenne opportuno affrontare la questione della falsificazione delle ceramiche di Orvieto, argomento venuto alla ribalta da tempo e ampiamente discusso sulla stampa, e pubblicò sia il contributo di Getulio Ceci che la replica di Pericle Perali, apparsi entrambi nel 1909 sul giornale di Perugia “L’Unione Liberale”. Getulio Ceci affermava8:
Da qualche tempo giornali e riviste si occupano delle ceramiche Orvietane. [...] Ormai quei tesori di ceramiche sono dispersi, e non ne resta in Italia che una bella collezione in mano del prof.
Elia Volpi di Firenze, una in mano dell’Imbert e una in mano dell’avv. Marcioni di Orvieto.
“L’Antiquario” nel commento finale scriveva9:
Le ceramiche orvietane che si veggono in commercio […] sono nella maggior parte false […]. Vere ne hanno l’avvocato Marcioni e il capitano Lucatelli, che fecero raccolta nei primi tempi, prima che le falsificazioni dilagassero e producessero […] un effetto disastroso. In una pubblica vendita famosa e di recente data [vendita Volpi] ne abbiamo viste sfilare a centinaia vere, fra la completa indifferenza degli intelligenti.
Possiamo supporre che Volpi si fosse servito per i suoi acquisti di ceramiche orvietane della collaborazione di Getulio Ceci e che ne avesse acquistate da lui quando il Ceci aveva venduto la sua collezione; del resto alcuni elementi avvalorano l’ipotesi che fosse in affari anche con Pericle Perali. Sappiamo infatti che nel 1912 Volpi stava trattando, tramite Perali,
l’acquisto di una statuetta greca e dalla corrispondenza intercorsa fra i due si capisce che i
loro rapporti erano a quella data ben consolidati10.
Sulle riproduzioni di oggetti d’arte e sulla loro falsificazione la discussione era aperta da
anni e la polemica riprendeva sempre più accesa ad ogni occasione, infiammando gli ani7
Su Vincenzo Ciampolini cfr. Bargellini, 1981, pp. 59-64; Bellini, 1950, p. 187.
Le ceramiche d’Orvieto, 1910, p. 46.
9
Le ceramiche d’Orvieto, 1910 p. 49. “L’Antiquario” pubblicava l’uno di seguito all’altro gli articoli di G.
Ceci (Ceramiche d’Orvieto, in “L’Unione Liberale”, 1° ottobre 1909) e di P. Perali (Ceramiche medioevali orvietane. C’è chi gioca al ribasso?, in “L’Unione Liberale”, 5 ottobre 1909).
10
Volpi riponeva totale fiducia in Perali e nelle sue capacità di mediatore. Infatti, in una lettera del 12 settembre del 1912, spedita a Perali da Marina di Pisa, affermava che “se Lei si prende il disturbo di andare in
Grecia a prendere la nota figurina per portarmela in Italia perché io possa vederla e studiarla io ad ogni suo
avviso, sono pronto a mandarle £ 300 a fondo perduto; anche nel caso che per l’esigenze del prezzo del proprietario, fossero esagerate e che l’affare non fosse concluso. Io non intendo di avere da Lei nessuna restituzione”. cfr. Corrispondenza fra Pericle Perali e Elia Volpi, lettera n. 20 (?), foglio 291, Archivio di Stato di
Orvieto. Per la segnalazione della corrispondenza fra Perali e Volpi ringrazio Lucio Riccetti.
8
3
2. Camera da letto del secondo piano di Palazzo Davanzati, 1910-1916.
mi sugli opposti fronti del commercio e della tutela. “Il Marzocco”, sempre in prima linea sulla difesa del patrimonio artistico, svelava regolarmente i trucchi messi in atto dagli
antiquari, non mancando di ironizzare anche su gli stranieri che con le loro richieste incoraggiavano tale industria11.
Nel 1910 il curatore del Louvre André Michel ravvisava addirittura la necessità di costituire un museo delle opere false proprio per arginarne il dilagare e “Il Marzocco” ritornò
sull’argomento affermando che “le opere d’arte false non si contano più e, quel che è molto importante, diventano sempre più belle”12.
Luigi Bellini ricostruisce la situazione del mercato a Firenze fra la fine dell’Ottocento e gli
inizi del Novecento: ci dice che i clienti erano soprattutto stranieri, assediati da una rete
di mediatori, conferma che si vendevano molte imitazioni, pur se di grande pregio, ma ci
dice anche che ancora si potevano trovare oggetti autentici per pochi soldi perché i possessori non ne conoscevano il valore commerciale13:
Si poteva comprare da un contadino un quadro primitivo anche di buona scuola, un tabernacolo
11
Palmarini, 1907, p. 2.
Il museo delle opere false, 1910, p. 9.
13
Bellini, 1950, pp. 173-174. Sulla Firenze di fine Ottocento artistica e antiquaria, con i suoi nobili decaduti, mercanti senza scrupoli, vecchi accademici e giovani artisti, conoscitori e critici d’arte, stranieri alla ricerca dell’affare, si veda il romanzo di Riccardo Nobili, A Modern antique. A Florentine story, London 1908.
12
4
3. Sala dei pappagalli di Palazzo Davanzati, 1910.
con dentro una terracotta, uno stucco di Donatello e del Rossellino, quasi per niente, oppure raccattare nell’aia una scodella di maiolica di Orvieto, messa lì per dare il becchime ai polli. […] Si
compravano sulle panchine di S. Lorenzo i vasi di Gubbio e del Cafaggiolo, e i piatti di Mastro
Giorgio, esposti insieme alle vecchie scarpe.
Elia Volpi aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti a Firenze dal 1872 al 1876 e almeno fino al 1890 aveva fatto il pittore e il copista di Galleria. Diventato restauratore di dipinti, aveva collaborato con Stefano Bardini e si era aggiudicato alcuni importanti incarichi da parte della direzione dei musei fiorentini14. Aveva intrapreso infine il mestiere di
antiquario suscitando le ire di Bardini, intorno al quale ruotava in quel momento il commercio fiorentino e gran parte di quello italiano.
Volpi, animato da una determinazione non comune e da un intuito straordinario per gli
affari, riuscì a mettere in piedi una fitta rete di procacciatori e mediatori per il reperimento
e il commercio di opere d’arte antica, specialmente in Umbria, sua terra di origine. Gli
scavi ad Orvieto certamente gli offrirono una buona opportunità di comprare a buon
mercato per incrementare la sua collezione di maioliche. A giudicare dalle sue compravendite, Volpi era in contatto con importanti famiglie gentilizie dalle quali acquistava o-
14
Sugli incarichi affidati dalle Gallerie Fiorentine fra il 1893 e il 1896 a Volpi come restauratore cfr. “Volpi Elia”, in Torresi, 1996, pp. 205-206. Sull’attività di Volpi come pittore e come restauratore si veda Ferrazza, 1994, pp. 75-87.
5
pere d’arte che poi rivendeva ai suoi clienti in ambito internazionale, fra cui gli americani in costante aumento15.
Il banchiere Pierpont Morgan era suo cliente almeno dal 190916; nel 1911 fu ricevuto a palazzo Davanzati, per la seconda volta, dove pranzò sul tavolo del salone del primo piano, che
avrebbe voluto acquistare insieme al busto di Dante, in mostra sul mobile da sacrestia che
arredava la stessa sala. Il rifiuto di Volpi fu netto: “non vendo nulla di quanto fa parte del
Davanzati!”17. Il ritorno d’immagine di un tale atteggiamento, adeguatamente pubblicizzato
dalla stampa, valeva bene un diniego all’importante cliente, che veniva ancor più invogliato
all’acquisto di oggetti simili in qualche stanza segreta del palazzo o nel villino Volpi. Per le
pubbliche relazioni il prestigioso edificio era perfetto: un’incomparabile ‘vetrina’, una cornice in cui mostrare ai ricchi clienti l’alta qualità delle sue collezioni. Scorrendo i nomi sui libri di firme dei visitatori del palazzo, troviamo persone note nel mondo dell’arte, addetti ai
lavori, studiosi, giornalisti, artisti, antiquari, collezionisti. La presenza di stranieri, soprattutto americani, si intensificò progressivamente. I miliardari d’oltreoceano non mancarono l’appuntamento. Solo per citarne alcuni: Ryan nel settembre 1910, Ellsworth nel novembre
1910, Lehman nel marzo 1911, Guggenheim nel maggio 1911, Porter nel giugno 191118.
La fama di palazzo Davanzati e dei suoi arredi andava oltre un pubblico scelto e influenzava anche i programmi dei gruppi turistici. La società di viaggi Cook organizzava per gli americani tours che in quindici giorni percorrevano tutta l’Europa. Passando da Firenze “forse dimenticavano di andare a Pitti o agli Uffizi, ma non al Palazzo Davanzati, dove, oltre che
soddisfare la curiosità di vedere una casa fiorentina antica, cercavano lo spunto per ammobiliare le loro abitazioni”19. La ricchezza crescente dei magnati, che si sentivano i nuovi Medici, aveva bisogno di essere legittimata culturalmente; stava nascendo con loro anche una
ricca borghesia, ansiosa di stare al passo con i tempi e desiderosa di aderire al gusto dominante. La costruzione di una casa secondo i canoni alla moda, in cui il conquistato ‘buon
gusto’ equivaleva all’affermazione di uno ‘status symbol’, diventò uno degli obiettivi più am-
15
Sull’attività di Volpi antiquario cfr. Ferrazza, 1994, pp. 85-134. Il primo consideravole affare a noi noto
Volpi lo concluse nel 1899, vendendo attraverso Berenson a Isabella Stewart Gardner, un rilievo di Donna,
opera di Mino da Fiesole, proveniente da palazzo Antinori Aldobrandini, che venne sostituito con una copia. Cfr. Ferrazza, 1994, p. 90 e nota 51, p. 136.
16
Volpi, nell’aprile del 1909, gli spedì infatti alcuni oggetti fra cui la Madonna con Bambino, attribuita allora a Raffaello, comprata da Morgan, su raccomandazione di Bode, per 200.000 dollari e rimasta per molti anni a New York, West Room della Morgan Library, lo studio privato dove il banchiere collocava i pezzi
preferiti della sua collezione e vi riceveva gli uomini d’affari e gli amici. Era anche solito sedere nella stanza
per molto tempo in solitudine. Nel suo studio Morgan aveva messo altri dipinti di scuola umbra, una Sacra Famiglia, attribuita a Raffaello, comprata da Imbert, un dipinto del Francia, uno del Pinturicchio e uno di Perugino. “When Morgan raised his eyes from his work or his habitual game of solitaire, what he saw
was a virtual pantheon of Umbrian painting”, Brown, 1983, p. 70. Sui rapporti commerciali fra Volpi e
Morgan cfr. Ferrazza, 1994, pp. 152, 213, note 17-18 e la corrispondenza fra i due a pp. 256-259.
17
Al Palazzo Davanzati, 1911, p. 13. La firma di Morgan sul libro degli ospiti a palazzo Davanzati è alla
data 13 aprile 1911. “La Nazione” del 20 aprile riportava la notizia che Volpi aveva pranzato nel palazzo
con Morgan, la sorella, W. Bode e il conte Camillo Alberti.
18
Gli stessi collezionisti li troviamo tutti come acquirenti all’asta Volpi del 1916 a New York. Per maggiori informazioni in merito cfr. Ferrazza, 1994, pp. 214-221.
19
Bellini, 1950, p. 191.
6
biti della classe media americana. I diversi gruppi sociali, con diversa disponibilità di denaro, adottarono soluzioni differenti: per i miliardari i risultati furono i magnifici palazzi di
città in stile Rinascimento e i sontuosi interni delle ‘American Mansion’, sorte da una costa
all’altra. Per la borghesia le copie potevano sostituire l’originale e trasmetterne il fascino; potevano comunque ricreare la suggestione di un ambiente. L’originalità la si ricercava al massimo nella suppellettile e nel piccolo oggetto d’uso, certo più abbordabile.
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale l’afflusso degli americani in Europa diminuì
notevolmente, ma aumentò di pari passo il desiderio di circondarsi di oggetti che evocassero la civiltà dei secoli d’oro, foriera di insegnamenti così importanti e in pericolo per le
distruzioni belliche. La conseguente crisi economica mise in seria difficoltà il commercio
di opere d’arte antica soprattutto in ambito europeo. Anche Volpi subì un duro contraccolpo e, con grande lungimiranza, decise di vendere la sua collezione negli Stati Uniti. Nel
novembre del 1916 tutti gli oggetti contenuti in palazzo Davanzati e gran parte di quelli
che arredavano villa Pia, la sua residenza sulla collina fiorentina di Monteripaldi, furono
messi all’asta a New York, a cura dell’American Art Association. Erano passati sei anni dall’apertura di palazzo Davanzati come museo privato della Casa Fiorentina Antica e il catalogo dell’asta, splendidamente illustrato, riportava le immagini dell’arredo di tutte le sale e il lungo articolo apparso su “Les Arts” nel 1911. Il punto di forza della vendita era
proprio la peculiarità di palazzo Davanzati e la sua crescente fama.
Volpi scrisse un’introduzione spiegando le ragioni della vendita in seguito alla guerra e rammaricandosi del fatto che lo scoppio del conflitto mondiale aveva impedito a Bode, come era
nei desideri di entrambi, di presentare il catalogo. Introducendo le ceramiche Volpi affermava:
The Davanzati Palace collection of majolica is a notable one, for among it will be found, not only
some rare blu and white Cafaggiolo ware, but a few pieces of lustered Gubbio ware, as well as
examples of Maestro Giorgio e Giorgino themselves, but it will chiefly interest by its showing of
primitive Orvieto majolica - the results of the fortunate excavation, in 1911, a Orvieto, concerning which Dr. Bode has written so ably and so exhaustively.
Bode fu citato ampiamente nell’introduzione alle ceramiche, curata da Horace Townsend20:
Undoubtedly the lustred Majolica, of which the finest examples were produced by Maestro Giorgio of Gubbio, has of late years largely monopolized the favour of average collector. But the excavations recently made at Orvieto and elsewhere have resulted in the discovery of a comparatively few pieces of the very earliest majolica for which the most distinguished connoisseurs have
lately contended with friendly energy. Among the few gatherings of real importance the Davanzati Palace Collection has long a chief place […]. In his monumental book on Tuscan Majolica
(Die Anfange der Majolikakunst in Toscana, Berlin, 1911) Dr. Wilhem von Bode, for istance,
pays much attention to the primitive majolica discovered during recent excavations at Orvieto
and makes frequent reference to what he terms ‘the carefully selected collection of Professor Elia
Volpi, displayed by him in that model of restoration, the Davanzati Palace’.
I nomi noti dell’alta società americana, finanzieri, uomini di cultura e di spettacolo, curatori di musei, artisti, arredatori e commercianti, affollarono le sale della casa d’aste e la stam20
Art Treasures and Antiquities…, 1916.
7
pa riportò puntualmente prezzi, nomi dei compratori e pettegolezzi. Morgan fu evocato in
diverse occasioni: si diceva che avesse avuto intenzione di comprare palazzo Davanzati con
i suoi arredi, per impedirne la dispersione, ma che la morte lo aveva colto proprio quando
stava per realizzare il suo progetto. Si disse anche che alcuni degli oggetti in vendita Volpi li
aveva riservati a lui e per questo motivo furono aggiudicati per cifre altissime21.
Le maioliche messe in vendita erano 85: le orvietane, 49 lotti, furono in massima parte
aggiudicate per cifre modeste, e addirittura la n. 642 fu ritirata perché falsa22.
Considerato che le maioliche di Gubbio, Cafaggiolo e quelle di Faenza in particolare furono
vendute complessivamente a prezzi più alti rispetto alle orvietane – ad esempio la n. 681 della manifattura di Faenza fu aggiudicata per 825 dollari –, dobbiamo presupporre che le polemiche sulle false ceramiche di Orvieto avessero prodotto danni anche nel mercato americano e che neppure il nome di Bode, evocato come abbiamo visto ripetutamente per avvalorarne l’autenticità, fosse servito a mitigare la diffidenza dei compratori. La stampa americana,
parlando estesamente del successo dell’asta, che raggiunse la cifra record di un milione di dollari, non mancò comunque di menzionare anche i prezzi raggiunti da alcune maioliche23.
La suggestione esercitata dalla storia di palazzo Davanzati e dei suoi antichi abitanti aveva conferito agli oggetti una particolare valenza e i fortunati possessori di tali tesori, secondo il giudizio unanime degli esperti, dovevano ispirarsi all’antico edificio da cui provenivano per trovare loro una degna sistemazione nelle proprie abitazioni24:
21
Il primo giorno di vendita fece molto scalpore l’acquisto di un portaincenso in bronzo, attribuito al Riccio, da parte del noto collezionista di Philadelphia Joseph Widener, per 66.000 dollari. L’oggetto, conservato alla National Gallery of Art di Washington, e la cui autenticità viene oggi messa in dubbio, era stato
acquistato, secondo Volpi, per Morgan nel 1911. Cfr. Ferrazza, 1994, p. 215, nota 49. Il tavolo su cui Morgan aveva pranzato nel 1911, visitando palazzo Davanzati e che Volpi non gli aveva voluto vendere, fu comprato per 11.100 dollari da R.H Lorenz su commissione di Henry Clay Frick e si trova ancora alla Frick
Collection di New York. Cfr. Ferrazza, 1994, fig. 180, p. 185 e nota n. 61, p. 217.
22
Fra gli acquirenti delle ceramiche di Orvieto spiccavano alcuni nomi: Nicholas Martin ne comprò 13, per
cifre modeste, da 7 a 180 dollari, per un totale di 500 dollari. Se ne aggiudicarono un certo numero i commercianti che acquistavano su commissione o che avevano la certezza di poterle rivendere ai ricchi clienti
per i quali fungevano anche da arredatori. In particolare, W.H Johnson ne comprò 13, quasi tutte per W.H.
Smith di Philadelphia, e Otto Bernet se ne aggiudicò 8, destinate alla residenza di W.B. Thompson, a
Yonkers. W.M. Milliken comprò per il Metropolitan Museum of Art un piatto di Orvieto (n. 685), per 140
dollari, oltre a due oggetti della manifattura di Cafaggiolo e due provenienti da Todi. Fra gli acquirenti vi
erano alcune signore: Mrs. W. Stanford, Miss Waterbury e Mrs. C.S. Lee. Quest’ultima pagò anche cifre alte, ad esempio 700 dollari per una brocca (n. 689), e si aggiudicò, senza badare a spese, alcuni pezzi ai quali era particolarmente interessata. Si scrisse molto riguardo al ruolo che le donne avevano avuto nella diffusione della moda per l’arredo e per gli oggetti di uso comune che l’asta Volpi aveva evidenziato e incrementato: “The Volpi sale emphasized once more and in a good round figures the increasing interest that Americans feel in works of art and fine furniture for domestic use [...]. A great deal of the present advance in
public taste concerning furniture and decorative house furnishing has been due, no doubt, to the influence of educated, resourceful and enterprising housewives”, Seen in New York…, 1917, p. 7.
23
“J.K Branch paid $300 for No. 664, a Cafaggiolo majolica vase, and W.H. Johnson gave $525 for No.
659, a lustred majolica vase by the celebrated master Giorgio, and $600 for No. 682, a Paduan majolica
bowl dating from the sixteenth century”, Volpi Sale Buyers, 1916, p. 1. Per gli acquisti fatti da alcuni importanti musei americani cfr. Ferrazza, 1994, pp. 216-217, nota 57.
24
The Davanzati Palace collection, 1916, pp. 331-332.
8
4. Russel A. Alger House a Detroit, costruita da Adam Platt nel 1910,
con alcuni arredi provenienti da palazzo Davanzati
[…] no better way can be suggested of finding out the proper character of the place and the atmosphere they wish for the things they purchase in the present sale than to study photographs of
the superb old halls and bed chambers in the Davanzati Palace before the Volpi collection of ancient furniture was packed up and shipped to our great and almost brashly new City of New York.
Gli oggetti provenienti da palazzo Davanzati presero il posto d’onore nei palazzi della
Fifth Avenue e della Madison Avenue di New York, nelle collezioni di Thomas Fortune
Ryan, di Henry Clay Frick, di George Blumenthal, di Philip Lehman, di Carl Hamilton,
di P. Cooper e A. Hewitt; nelle case in stile rinascimentale che proliferavano fuori città e
in ogni parte del paese, sulle due coste. Le ceramiche arricchirono le collezioni di alcuni
musei ma andarono anche a completare l’arredo delle abitazioni private di importanti uomini d’affari. Fra coloro che le apprezzarono particolarmente dovremo ricordare almeno
W. Hinkle Smith, finanziere di Filadelfia, presidente della Easton Consolidated Electric
Company, che si era fatto costruire nel 1907 una villa, ‘Timberline’, disegnata dal famoso architetto di New York Charles Adams Platt25, e W. Boyce Thompson, ricco banchie-
25
W. Hinkle Smith comprò molti oggetti fra cui un rilevante numero di mobili e ceramiche per arredare la
sua villa in stile rinascimentale, situata a Bryn Mawr, vicino a Philadelphia, e circondata da un parco di molti ettari progettato dagli “Olmsted Brothers”, gli stessi che avevano realizzato il Central Park di New York.
La villa fu abbattuta nel 1970 e l’anno successivo tutta la collezione fu venduta all’asta. Cfr. The W. Hinkle
Smith Collection…, 1971. Su tutti gli oggetti provenienti dall’asta Volpi del 1916 cfr. Ferrazza, 1994, pp.
267-276, dove si trovano elencate le opere, i prezzi, i nomi dei compratori, l’eventuale provenienza, la collocazione attuale e altre notizie correlate.
9
re in affari con Pierpont Morgan che fece progettare, nel 1912, la sua casa di Yonkers, sul
fiume Hudson a nord di New York, dagli architetti Carrere e Hastings26.
Morgan, il cui nome negli anni era stato associato molte volte a palazzo Davanzati, era
stato un vero pioniere in questa formazione del gusto e il suo esempio, nel volersi circondare di opere e di oggetti d’arte, aveva sollecitato i rappresentanti del mondo della finanza americana a fare altrettanto. Volpi, con il suo palazzo Davanzati e la vendita delle collezioni ad esso associate, aveva permesso ai nuovi ricchi di identificarsi con i mecenati dei
‘secoli d’oro’, ma aveva, allo stesso tempo, reso possibile il sentirsi ‘alla moda’ anche per
una larga parte della borghesia americana, che almeno fino agli anni Trenta si sarebbe lasciata affascinare dal Rinascimento italiano27.
26
W. Boyce Thompson acquistò molti oggetti all’asta, per arredare la sua casa di Yonkers, fra cui, per 800
dollari, anche il busto di Dante che Morgan avrebbe voluto comprare nel 1911, nella sua visita a palazzo
Davanzati. La scultura, venduta nel 1916 come “Bottega fiorentina del XV secolo” e che fu rubata alcuni
anni fa da Yonkers, è ritenuta da Giancarlo Gentilini opera ottocentesca di uno scultore americano, Charles Francis Fuller. Cfr. Ferrazza, 1994, fig. 157, p. 168 e nota 17, p. 213. Su W.B. Thompson cfr. Ferrazza,
1994, nota 66, p. 218.
27
Sui vari collezionisti; sulla nascita e il consolidarsi di una “American Renaissance”; sulla diffusione negli
Stati Uniti a livello delle grandi masse del gusto nell’arredo, legato all’apprezzamento per il Rinascimento italiano; sul ruolo di Volpi in questo contesto, l’importanza di palazzo Davanzati e dell’asta del 1916 per l’apertura di una fase nuova nel mercato americano – relativa al commercio di oggetti d’arte e all’industria del
mobile in stile –, cfr. Ferrazza, 1994, pp. 145-222.
10