Clos Rougeard Quando il mito scende sulla terra

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Clos Rougeard Quando il mito scende sulla terra
Quando il mito scende sulla terra. Clos Rougeard in verticale
Fernando Pardini • 6 apr 2016
Dopo tanto girovagare, finalmente, Clos Rougeard. L’aspettavo da tempo. L’aspettavo
da sempre. L’idea ci era balenata in testa da un po’: organizzare una degustazione di
vini, di alcuni vini, della nostra predilezione. La circostanza dolorosa costituita dalla
recentissima scomparsa di uno dei vignaioli protagonisti di questa storia ha accelerato la
decisione: mettere in piedi una verticale di Clos Rougeard. Segnatamente, gli anni
Duemila traguardati attraverso i due storici cru della casa: Les Poyeux, soprattutto, con
il Le Bourg in qualità di ciliegina sulla torta.
Un appuntamento iniziatico e ludico-cultural-pagano per comprenderne più a fondo la personalità e la
cifra stilistica. Per respirarne il prezioso anelito passando a debita distanza da notarili dissertazioni analitiche atte
a classificare. E per onorare la memoria di Jean Louis Foucault, detto Charly, assieme al fratello Bernard (Nady)
il vero artefice di certi miracoli liquidi. Indubbiamente, l’aver incontrato sul cammino un promotore attento e
generoso come Claudio Corrieri, palato finissimo, collezionista giudizioso e valente ristoratore in quel di
Livorno e Rosignano Solvay (leggi In Vernice e Lo Scoglietto), ha agevolato e di molto le cose.
Ora, il mondo è pieno di ovvietà. Anzi, il mondo si nutre di ovvietà. E così, in piena coerenza con questo
rachitico asserto, sono solite muoversi le consapevolezze e le infatuazioni in materia enoica. Per tale motivo la
storia di Clos Rougeard e dei suoi vini non riguarda né potrà mai riguardare i bevitori di etichette, ma solo e
soltanto i veri appassionati.
Se ci interroghiamo quindi sulle attenzioni maniacali cui sono stati fatti oggetto recentemente i vini di
questa cantina, con il conseguente fenomeno dei prezzi impazziti, l’inquietudine affiora. Sui mercati secondari
scontano fino a cinque volte il prezzo all’origine! La loro reperibilità -per noi umani- va facendosi sempre più
residuale e difficile. Un qualcosa che stona e infastidisce, come un noise. Perché lontano anni luce dalla sensibilità
e dalla saggezza “antica” dei fratelli Foucault. Perché avviene loro malgrado. Perché questi gioielli si stanno
definitivamente allontanando dal poter essere considerati un privilegio
condivisibile. Ma c’è poco da fare: tirature limitate e domanda “esplosa”, in questo
mondo di scambi ineguali, lasciano spesso primeggiare l’insensatezza.
Ecco, dopo esserci tolti il dente, cioè aver passato in rapida rassegna gli aspetti
mediatici, speculativi e mercantili della faccenda, miglior cosa non c’è se non
proporre un ripassino di questa storia. Che è storia vera, vissuta e bella. Magari
aiuterà a chiarirci le idee su una nomea nel frattempo divenuta planetaria.
Perché la vicenda di Clos Rougeard e dei suoi protagonisti contiene in sé tutti gli ingredienti giusti per scardinare
ogni remora emozionale e portarti alla fascinazione. Una “rivoluzione silenziosa” la loro, come qualcuno
intelligentemente l’ha chiamata. Vissuta nel segno dell’unicità, aggiungo io. Unicità di storia, di luoghi, di gesti
e di pensiero. Fortunatamente, unicità di vini.
I LUOGHI
Ma dove stanno di casa i fratelli Foucault? E ‘sto Saumur-Champigny
stampigliato in etichetta che cosa significa? Bene, ci troviamo nella Valle della
Loira. Questo è certo. Segnatamente, nella parte centro-occidentale, quella che
ancor risente dell’influsso oceanico, più che continentale. Siamo nel dipartimento
di Maine et Loire, dal punto di vista vitivinicolo caratterizzato da due aree
geografiche distinte, Anjou e Saumurois.
Nel Saumurois le AOC di riferimento si chiamano Saumur e SaumurChampigny, e si distinguono per un fatto: Saumur è prevalentemente sinonimo di
vini bianchi a rigorosa base chenin; Saumur-Champigny invece è una
denominazione prepotentemente “rossista”. Una enclave particolare in cui le
speciali condizioni pedologiche e climatiche hanno propiziato la crescita e la
diffusione di una varietà a bacca rossa che ha trovato qui uno dei pochi posti al
mondo in cui potere esprimersi da protagonista. Stiamo parlando del cabernet
franc, localmente detto bréton. Che a Saumur-Champigny è divenuto nei secoli il vino-vitigno per eccellenza,
così come nelle limitrofe AOC di Bourgueil e Chinon, e siamo già in Touraine.
Ma se riflettiamo un attimo sulla geografia dei luoghi, comprendiamo subito che quanto a latitudini
non si scherza! Siamo ben collocati a nord nello scacchiere vitato d’Oltralpe. Insomma, ci troviamo agli estremi
settentrionali in cui si coltiva questa varietà. Visti i risultati, ancora una volta vien da pensare che spesso e
volentieri è una frontiera a partorire unicità.
Ebbene, in questa zona climatica a suo modo selettiva il clima, pensa un po’, è temperato. Oddio, già il
nome della denominazione – dal latino campus ignis, les champs du feu, i campi infuocati- potrebbe far presagire
qualcosa. E infatti a Saumur-Champigny registriamo la pluviometria più bassa di tutta la valle della Loira e,
di contro, le temperature medie più alte! Non di rado assistiamo ad estati secche e siccitose. Questa
particolarità, che di per sé favorirebbe la crescita e la maturazione di una varietà a vocazione tardiva come il
cabernet franc, potrebbe presentare delle insidie, se non fosse che ci viene in soccorso il suolo.
Eh sì, la specificità dei suoli di Saumur si riassume in una parola sola: TUFO. Qui
chiamato tuffau du Turonien, perché viene fatta risalire al periodo turoniano,
appartenente al cretaceo superiore, la formazione di questo substrato calcareo di
origine sedimentaria, non di rado in affioramento nelle vigne di Saumur-Champigny.
Una pietra bianco-giallastra, tenera e porosa, con una caratteristica unica: la capacità
di assorbire le piogge invernali per poi restituire l’acqua, con calibrata meticolosità,
durante i periodi estivi, garantendo un regime idrico eccellente e favorendo così con maggiore regolarità la piena
maturazione delle uve. A questo si accompagna un’altra particolarità, quella di assorbire il calore pomeridiano
per restituirlo gradatamente durante la notte, a mitigare le sensibili escursioni termiche.
Da questi suoli, come sempre, ne discendono inoltre la consistenza e la grana del tannino, soprattutto la
sua straordinaria qualità, ciò che si riflette nella valenza dei vini del territorio, assai distintivi se raffrontati con
tipologie simili, sia in termini di profondità che di spessore gustativo.
L’ultimo lascito di un mare che si è ritirato è costituto invece da conglomerati argillosi e/o silicei,
depositatisi sopra gli isolotti tufacei. Ed è proprio in ragione della “tessitura” di questi conglomerati che nascono
le differenze fra i vari registri aromatici riscontrabili nei vini. La natura sabbiosa di Les Poyeux per esempio
(quantomeno le parcelle possedute da Clos Rougeard) si traduce in una fine aromaticità dalle venature floreali e
speziate e in un gusto leggero, sollevato. La marcatura tannica è come un soffio, tanto che la versione proposta
dai fratelli Foucault viene spesso apparentata ad un Pinot Nero, per flessuosità e garbo espositivo.
La natura più sentitamente calcarea della mitica parcella Le Bourg (assai sottile lo strato superficiale di
argilla) rende una carnosità e una densità maggiori nel vino omonimo, assieme ad una stratificazione tannica più
importante e ad una tessitura setosa, piena di sève.
I GESTI E I PENSIERI
Considerati loro malgrado alla stregua di precursori della cultura bio, i fratelloni Charly e
Nady Foucault hanno preso le redini della piccola cantina di Chacé a partire dal 1969, con
una idea apparentemente semplice in testa: riproporre i vini dei loro avi. Insomma, tutto
era già stato scritto. A loro l’onere e l’onore di riprodurre i vini con lo stile, con
la fisionomia, con i gesti, con la coerenza interpretativa appartenuti a chi era venuto
prima.
Una “evoluzione all’indietro” proiettata nella contemporaneità, la cui guida etica può
farsi discendere dal grande rifiuto opposto dal nonno e dal padre di Charly e Nady di
fronte all’avvento della chimica, ed eravamo negli anni ’60 del secolo scorso. In quei frangenti la chimica incontrò
terreno fertile anche e soprattutto lì, nella Loira, la cui valenza vitivinicola rimaneva invariabilmente schiacciata
dal predominio delle due roccaforti del vino d’autore francese, Bordeaux e Borgogna. Il miraggio di poter
conquistare mercati extra-locali potendo sfruttare produzione, scorciatoie e prezzi competitivi si impossessò degli
insoddisfatti vignaioli loiresi. Quel gesto quindi, in tempi non sospetti e in direzione ostinata e contraria, fu visto
dai più come strambo, snob e incomprensibile. Fatto sta che i Foucault, grazie a quel gesto, possono vantare oggi
una delle poche vigne “vergini” di Francia, senza un’ombra di pesticidi o diserbanti.
Se poi dovessimo tradurre in pochi punti l’unicità della loro storia, dei loro intendimenti e della loro personalità
citeremmo:
·
ottava generazione di vignaioli a Saumur-Champigny. Oltre duecento anni di viticoltura consapevole.
Ossia: famiglia ancestrale.
·
vitivinicoltura à l’ancienne sotto l’egida di una manifattura super-artigianale. Ossia: due persone a far tutto.
Non altri.
·
viticoltura pulita e rispettosa degli equilibri ambientali. Ossia: vigne “vergini”
·
selezione parcellare, o per climat, da tempi immemori.
·
vigne vecchie con patrimonio genetico ricavato da selezioni massali: 80 anni di età per Le Bourg, quasi 50
per Les Poyeux
·
enologia per niente interventista: lieviti indigeni, macerazioni adeguate, poca dinamizzazione dei mosti e
dei vini, lunghi affinamenti in grotta, nessun collaggio o filtrazione
·
proverbiale riservatezza: c’è da sudare per prendere un appuntamento o per fissare un incontro, stanti le
difficoltà di comunicazione e i mezzi volutamente antiquati utilizzati in famiglia;
·
fisique du rôle.
Eh già, le fisique du rôle…. i volti pronunciati, la stazza tarchiata autenticamente campagnard, i baffoni in
evidenza, il carattere apparentemente burbero e la dichiarata idiosincrasia verso la comunicazione per come siamo
portati ad intenderla nei tempi moderni, hanno decisamente alimentato un fiorire di aneddoti riguardanti i fratelli
Foucault. Ma l’esteriorità mai come in questo caso può essere foriera di sviste. Perché è una pacatezza d’altri
tempi ad accompagnarne l’eloquio e ad avvolgerne i concetti. Un grande esempio di coerenza il loro, di nobile
compostezza contadina. Con la ferrea volontà di fare dei vini buoni e puliti, come i loro avi avrebbero desiderato,
ed un malcelato fastidio nell’essere etichettati come appartenenti ad un filone “di pensiero” o ad un altro.
I toni iperbolici e l’aura mitizzata che si portano appresso ben volentieri si stemperano di fronte ai fatti. E
i fatti qui si chiamano vini, necessario compendio per dare un senso a tutta questa storia. Sono loro il cuore del
discorso. E tutto, di loro, potrai pensare fuorché non ci sia il cuore dentro.
I VINI
Dieci ettari di vigna, di cui nove e mezzo coltivati a cabernet franc. Circa tre gli
ettari disposti nel lieux-dit Les Poyeux, uno dei siti viticoli più antichi della Loira
(già sede vitata nel 1664). Circa uno nel Le Bourg, proprio sopra le mitiche cantine
troglodite scavate nel tufo.
Uso di lieviti indigeni, legni piccoli come da tradizione (ma barrique anziché
tonneaux), lunghe macerazioni, nessun interventismo, tanto riposo in fase di
élevage, svolto in tali condizioni di umidità e temperatura che i Foucault sostengono
essere fattori determinanti per sancire l’ormai proverbiale dinamica evolutiva dei
loro vini (soprattutto Le Bourg). Tre le cuvée in rosso: il Clos (assemblaggio di più parcelle), Les Poyeux e Le
Bourg (da singola vigna).
E se possiamo individuare nella freschezza acida il fil rouge accomunante le svariate espressioni in rosso
di Saumur-Champigny prodotte sul territorio, ciò che ne rende il tratto “leggero” e bellamente gastronomico, sta
nella naturalezza espressiva la dote aggiuntiva che segna la differenza e fa sì che si possa parlare
di uno “stile Clos Rougeard”, quale mirabile esempio di spontaneità ed equilibrio. Una cosa che non si
inventa ma che al tempo stesso sembra connaturata, intrinseca. Ciò che difficilmente puoi spiegare a parole, ma
che troverà piena evidenza ad ogni assaggio.
Sta nell’intima accordatura delle infinite voci in sottotraccia, nella limpidezza fruttata, nella seducente
tessitura aromatica, nella vibrante dinamica. Sta nella misura. Così come nella mancanza di orpelli e
sovrastrutture.
Di fronte ai vini di Clos Rougeard non ti vien proprio da pensare a legno, tostature, alcol e altre amenità
di natura tecnica o metodologica. Sono particolari non pervenuti. Nel frattempo, la “dimensione” e la
stratificazione tannica, casomai, allungheranno il sorso alla meraviglia senza che per questo
i vini rinuncino al carattere gourmand ed appetitoso che fa tanto Loira.
Soprattutto, la freschezza acida è come un pungolo, a renderne incredibilmente
agile e sostenuta la beva, fino al punto cruciale in cui istinto e complessità si
(con)fonderanno, e tu non saprai più cosa scegliere. È l’inequivocabile segno di ogni grande
vino.
Les Poyeux è un rosso confidenziale, affilato, aereo e verticale. La fisionomia trasognante
e delicata certifica la nordica trasfigurazione di un Cabernet Franc, che acquisisce qui
movenze aggraziate e femminee.
Le Bourg è figlio del Mediterraneo, inarrivabile mix di tenacità ed eleganza, dal tatto setoso e dalla trama tannica
raffinata. È carnosa sensualità, stoffa buona per i giorni di festa, incanto sospeso di dettagli e vibrazioni.
LA DEGUSTAZIONE
SAUMUR-CHAMPIGNY LES POYEUX 2008
Nitidezza fruttata, acidità croccante, fermezza, eleganza e misura, instradate dai frutti rossi del
bosco, dalla liquirizia, dall’eucalipto e dal pepe. Un pizzico di poivron a sottolineare il millesimo
non perfetto ma chissenefrega: non una sfrangiatura, solo portamento e savoir faire. Con un garbo
e una incisività che lasciano di stucco. Salivazione a mille e voglia di riprovarci.
SAUMUR-CHAMPIGNY LES POYEUX 2007
Rarefatto e circuitore, stilizzato ch’è tutto dire, gioca di chiaroscuro e il suo sorso è come un soffio,
col manto tannico ricamato a punto croce. Non possiede la densità delle altre etichette in gioco, e
forse neanche la stessa “idea” di longevità. Eppure oggi il cerchio si chiude attorno alla perfezione
di un incantesimo apparentemente fragile ma struggente. Da bere a secchi, in sua compagnia starai bene.
SAUMUR-CHAMPIGNY LES POYEUX 2006
Impressionante analogia “pinotnereggiante”. Quasi fosse (ma non lo è) il più sgargiante fra i Nuits St Georges, ti
inchiodano all’ascolto la fragola e il lampone, i sottintesi floreali, le scie di cuoio e terra lieve. La sgranatura
tannica risolve in larghezza la piacevole veracità di fondo, a concretizzare una bocca meno profilata e “perfetta”
rispetto a quella mostrata dai suoi fratelli. Ma solo per quei profumi cangianti e seduttori staresti ad “ascoltarlo”
per ore.
SAUMUR-CHAMPIGNY LES POYEUX 2005
Silhouette ispirata, tipica di una grande année. Colore ancora vivo, reso brillante dalla fremente acidità che ne
innerva il sorso. Frutto (rosso & nero) croccante, balsamicità profonda, gusto serrato, incantevole finezza. Il
tannino fa vibrare quel finale, contrastato e al tempo stesso elegantissimo, propositivo, lungo lungo. Chi gli ha
fatto le carte lo ha chiamato vincente. Ma in questo caso lo zingaro non è un trucco!
SAUMUR-CHAMPIGNY LES POYEUX 2004
Qui se ne esce (più) evidente il coté minerale, ad alimentare fascino e dettagli aromatici. Poi una misura e un
garbo espressivo étonnantes. La beva, al solito, è straordinaria e qualche piccola ruga nella maglia tannica non
lede affatto il cuore del discorso. Che ci parla di purezza ed autenticità.
SAUMUR-CHAMPIGNY LE BOURG 2002
Finezza e portamento da grand vin. E classe cristallina: dall’attacco giù giù fin nelle intimità.
Infiltrante, cangiante, propulsivo, nello sposare eleganza ed equilibrio presenta sviluppo sinuoso
e finale lunghissimo, senza mai calcare la mano. Rispetto ai Poyeux di oggi, sebbene sia il più
anziano, mostra una vitalità incredibile. E una dinamica interna inarrivabile ai più. Peonia,
violetta e arancia sanguinella fanno da sensuale scorta al retrogusto. Con la nonchalance di un
attore navigato, recita il territorio e celebra la bellezza. La sua compagnia un privilegio.
Crediti fotografici: la foto dei fratelli Foucault è stata tratta dal sito www.enogea.it
Si ringraziano Claudio Corrieri e lo staff del ristorante In Vernice di Livorno per l’accoglienza,
l’organizzazione, i cibi e la simpatia. Lorenzo Coli e Leonardo Mazzanti per il contributo fotografico e la
compagnia. Fra le foto, immaginabile, il sottoscritto alle prese con il racconto di una sera.