L`emancipazione femminile nella storia contemporanea
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L`emancipazione femminile nella storia contemporanea
Liceo scientifico statale “G. Aselli” A.S. 2011-2012, Classe IV-G Storia e Filosofia - insegnante prof. Marco Paolo Allegri L’emancipazione femminile nella storia contemporanea Parità, genere - specie: dal movimento delle suffragettes a Luce Irigaray Contributi di: Alice Bartoletti, Alice Borghi, Noemi Olivieri, Valentina Pasquali. Alice Bartoletti IL FEMMINISMO Sommario: Premessa ............................................................................................................................................... 1 1 – ‘800 e primo ‘900.............................................................................................................................. 2 1.1 – Contesto storico (I) ................................................................................................................................2 1.2 – La condizione femminile nel tardo ‘800.................................................................................................2 1.3 – Le suffragette .........................................................................................................................................3 2 – Prima metà del ‘900.......................................................................................................................... 3 2.1 – Contesto storico (II)................................................................................................................................3 2.2 – L’estensione del diritto di voto ..............................................................................................................3 2.3 – Simone Weil ...........................................................................................................................................4 3 – Dopoguerra italiano.......................................................................................................................... 4 3.1 – Contesto storico (III)...............................................................................................................................4 3.2 – Emancipazione femminile in Italia .........................................................................................................5 3.3 – Reazione.................................................................................................................................................5 4 – Anni ‘60............................................................................................................................................ 6 4.1 – Contesto storico (IV) ..............................................................................................................................6 4.2 – Una nuova generazione di donne ..........................................................................................................6 4.3 – Il ’68 e le donne......................................................................................................................................7 5 – Anni ‘70............................................................................................................................................ 7 5.1 – Contesto storico (V) ...............................................................................................................................7 5.2 – Le proteste femministe ..........................................................................................................................7 5.3 – Progressi in campo legislativo................................................................................................................8 6 – Oggi ................................................................................................................................................. 8 6.1 – Contesto storico (VI) ..............................................................................................................................8 6.2 – La donna oggi .........................................................................................................................................9 6.3 – Cosa resta del femminismo?................................................................................................................11 PREMESSA A partire dalla seconda metà dell’ottocento la nascita del movimento femminista cambia radicalmente la figura della donna nel mondo. La parificazione dei diritti tra uomo e donna, come attraverso l’acquisizione del diritto di voto, sta alla base delle proteste femministe. Per comprenderne a fondo le ragioni dobbiamo analizzare con precisione il periodo storico e la composizione della società nei paesi industrializzati dalla seconda rivoluzione industriale ad oggi. Per oltre un secolo milioni di donne si sono battute per i propri diritti, ma la strada verso la completa parità tra i sessi è ancora lunga e faticosa. 1 ‘800 E PRIMO ‘900 1.1 Contesto storico (I) Negli ultimi decenni del secolo XIX lo sviluppo industriale raggiunge la sua piena maturità tecnologica, tanto che si parla di «seconda rivoluzione industriale», l’era dell’acciaio, del petrolio, dell’elettricità, caratterizzata dalla concentrazione dei capitali e della produzione. Gli effetti più rilevanti di questa profonda trasformazione si riscontrano in Inghilterra, il paese industrialmente più progredito, ove si verifica un’impressionante migrazione di manodopera dalle campagne, sempre più in miseria, verso i grandi centri urbani. L’espansione del capitalismo e l’ingigantirsi della produzione determinano la crescita impetuosa del proletariato industriale. Una moltitudine di uomini, donne e bambini viene sottoposta ai ritmi spossanti delle fabbriche. Le conseguenze di tutto sono il prematuro logoramento del fisico, che rende inabile al lavoro la maggior parte dei lavoratori già verso i quarant'anni, pochi si mantengono abili fino a quarantacinque, quasi nessuno arriva a cinquanta. 1.2 La condizione femminile nel tardo ‘800 1.2.1 Nel caso delle donne il duro lavoro in fabbrica si aggiunge alla cura della casa e della famiglia. Le condizioni delle lavoratrici sono disperate: sul fisico femminile il lavoro troppo prolungato porta gravi deformazioni, le operaie delle fabbriche partoriscono con maggiore difficoltà delle altre donne, come viene osservato da parecchie levatrici ed ostetriche, e quando sono incinte continuano a lavorare in fabbrica fino al momento del parto, poiché se cessassero di lavorare troppo presto rischierebbero di essere licenziate. 1.2.2 La concezione della femminilità è altrettanto ristretta nei ceti medio - alti. Il massimo a cui una ragazza di buona famiglia possa aspirare è il matrimonio. Nell’ideale collettivo predomina la concezione di donna della borghesia come «angelo del focolare», moglie ubbidiente e madre esemplare, in altri termini «regina della casa». Al di là dell’orizzonte domestico l’unico sovrano è l’uomo. Per una donna della società medio - alta è pressoché impossibile costruirsi una carriera e raggiungere la stabilità economica, una donna che lavora è fonte di disonore per l’intera famiglia. 1.2.3 La possibilità di mantenersi autonomamente o ricevere una completa istruzione è loro preclusa, ne conseguono la totale dipendenza dal marito e l’esclusione dalla gestione del patrimonio familiare. In sostanza ad una donna non venivano riconosciute la piena responsabilità sulla propria persona e la facoltà di compiere scelte, di disporre dei propri beni e di eleggere rappresentanti in parlamento. Per tutte queste ragioni il diritto di voto diventa per migliaia di donne una ragione per cui lottare con tutte le forze, nella speranza di ottenere in futuro libertà sempre maggiori. 1.2 Le suffragette 1.3.1 Il desiderio di votare accomuna donne di diverse estrazioni sociali. Nascono le organizzazioni suffragiste, attive nella propaganda con appelli, marce e manifestazioni. Il femminismo dilaga in tutto il mondo occidentale ed è sorprendente per l’epoca; la questione del suffragio femminile acquista una grande visibilità, tanto che dei parlamentari liberal-democratici inglesi propongono un disegno di legge in proposito. 1.3.2 Il rigetto della proposta di legge porta all’inasprimento delle proteste da parte delle suffragette. Queste attuano di frequente gesti dimostrativi, come incatenarsi alle ringhiere, interrompere comizi e incendiare le cassette postali. Gli atti di insubordinazione continuano anche dopo l’arresto con lo sciopero della fame, al quale il governo conservatore reagisce con l’alimentazione forzata nelle carceri. Ciò nonostante il movimento femminista ottenne i primi successi effettivi solo dopo la prima guerra mondiale. 2 PRIMA META’ DEL ‘900 2.1 Contesto storico (II) Le conseguenze sociali, politiche, economiche e psicologiche portate dalla guerra si spingono oltre i danni da essa inferti alle persone e ai beni. Si tratta di un radicale mutamento nel sistema di vita. Il meccanismo delicato della produzione e degli scambi è instabile; il governo assume il diretto controllo delle imprese sia per rifornire l’esercito di uomini e materiali, sia per provvedere al sostentamento del paese. In ogni nazione coinvolta nel conflitto emerge il bisogno di accrescere la produzione industriale; è necessaria una stretta collaborazione con gli operai, per cui si accresce il loro peso politico e quello dei loro sindacati. La richiesta di uomini al fronte porta al massiccio impiego di manodopera femminile nelle fabbriche, tutto ciò permette di compiere passi decisivi ai movimenti femministi per il riconoscimento della parità dei sessi. Le lavoratrici svolgono mansioni nelle quali non erano mai state impiegate prima di allora. «Se le donne occupate nelle fabbriche smettessero di lavorare per venti minuti la Francia perderebbe la guerra» Joffre, generale francese 2.2 L’estensione del diritto di voto Durante la guerra molte donne hanno dato prova alle nazioni di appartenenza di non essere una categoria debole, ma parte integrante della cittadinanza. Esse hanno sostenuto la propria patria rimpiazzando il ruolo maschile in molti ambiti, come nelle fabbriche e negli uffici. In Inghilterra nel 1918, con l’approvazione del Representation of the people act, il diritto di voto viene esteso alle donne con più di trent’anni di età. Le prime elezioni a suffragio universale femminile avvengono nel 1928. Raggiunsero il loro obbiettivo anche le suffragette di altri paesi: la Nuova Zelanda per prima nel 1893, gli Stati Uniti nel 1920 e la Germania nel 1919. In Francia e in Italia l’affermazione della donna nella società come individuo è più lenta; il diritto di voto è esteso alle donne rispettivamente nel 1945 e nel 1946. 2.3 Simone Weil 2.3.1 Tra la fine dell’800 e i primi anni del secolo successivo nascono sindacati e unioni di volontari con lo scopo di rivendicare i propri diritti. Tra queste associazioni figurano le suffragette a sostegno dell’uguaglianza tra i sessi. Le organizzazioni di stampo socialista più popolari sorgono dal proletariato urbano e danno vita al movimento operaio. La qualità della vita dei ceti meno abbienti è notevolmente migliorata rispetto ai primi anni della rivoluzione industriale, tuttavia le condizioni lavorative sono ancora disumane. 2.3.2 La filosofa Simone Weil dedica gran parte della sua vita a fare luce sull’alienazione e sulle condizioni di sfruttamento che affliggono in tutta l’Europa la grande massa operaia. Per osservare da vicino la realtà dei lavoratori visita una miniera e si fa assumere in una fabbrica. La Weil si sofferma sui rapporti tra pensiero e azione, totalmente assenti durante il lavoro alla catena di montaggio. «(Marx) sembra aver voluto ordinare i modi di produzione in funzione del rendimento e non in funzione dei rapporti tra il pensiero e l’azione. In altre parole, il più importante fattore di cambiamento storico è dato dall’ampiezza della comprensione che ogni individuo possiede della rete di rapporti materiali e umani che lo contornano. Tanto maggiore ne è il grado, tanto più adeguata ai suoi fini di libertà sarà l’azione conseguente...» Critica a Marx di Simone Weil - M.Zani “Invito al pensiero di Simone Weil” La relazione che sussiste tra pensiero e azione è alla base dell’utopia di Simone Weil. Nella società ideale non ci sono abusi né contrasti tra chi sta al vertice (pensiero) e chi esegue (azione), dal momento che c’è una piena comprensione tra i due ruoli. 2.3.3 Simone Weil non ha mai fatto professione di femminismo; è schierata dalla parte degli oppressi, a prescindere dal sesso. Il suo pensiero è libero: trae ispirazione dai grandi filosofi dell’antichità, ma sempre guardando al futuro, senza rimpiangere i tempi andati. 3 DOPOGUERRA ITALIANO 3.1 Contesto storico (III) Il processo di emancipazione femminile nel secondo dopoguerra varia da nazione a nazione, a seconda della mentalità, del tipo di società o del grado di sviluppo. In Italia come negli altri paesi le donne devono raccogliere tutte le loro forze per farsi strada verso un futuro libero. La seconda guerra mondiale è finita, le elezioni del 2 giugno 1946 chiamano gli italiani a scegliere tra la monarchia e la repubblica e sanciscono per l’Italia stremata l’inizio di un nuovo emozionante periodo storico, ricco di fermenti e di speranze. Le donne italiane votano per la prima volta il 2 giugno; è giunto il momento della scelta individuale, un momento di forte affermazione dei loro diritti. Se, in generale, l’emancipazione femminile si rivelerà un lungo processo ricco di battute d’arresto, tuttavia i leader politici dei più importanti partiti italiani, Palmiro Togliatti e Alcide de Gasperi, a capo rispettivamente del PCI e della DC capiscono l’importanza della presenza femminile nella società. Presenza che aveva segnato anche la Resistenza italiana del 1943 contro i nazi- fascisti: le donne avevano impugnato i fucili senza esitare, avevano curato i soldati, e sostituito nelle fabbriche i mariti che erano al fronte. Da “La storia siamo noi” 3.1 Emancipazione femminile in Italia 3.2.1 Le donne riescono finalmente ad affermare la propria forte personalità, capiscono di poter lavorare come un uomo e, soprattutto, di avere dei diritti. I partiti investono sulla partecipazione femminile alla politica italiana: tra i 365 deputati del primo governo, 21 sono donne. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» Articolo 3 della Costituzione italiana L’ideale di donna come moglie e madre viene superato, e non si può più tornare indietro. 3.2.2 Il mondo del lavoro si apre in maniera definitiva all’altro sesso. L’impiego di manodopera femminile nelle fabbriche, nei campi e nelle risaie è vasto, inoltre aumentano le assunzioni negli uffici. Purtroppo la sempre maggiore presenza di donne nell’ambito lavorativo va di pari passo con le loro condizioni di sfruttamento. I turni di lavoro raggiungono anche le 15 ore al giorno e i salari sono in media la metà di quelli che spetterebbero ad un uomo. Sempre più donne, specialmente delle classi meno agiate, rivestono un duplice ruolo, quello di casalinga e quello di lavoratrice. Nei paesi con un forte senso della famiglia come l’Italia gli aiuti dei servizi sociali sono scarsi, ne consegue che il doppio lavoro limita la libertà della donna-lavoratrice. Nonostante tutto il lavoro ha aperto la strada verso l’emancipazione femminile. Ormai il cammino delle donne è segnato: vogliono decidere da sole il proprio destino. 3.2.3 In diversi paesi nascono associazioni, spesso affiliate ai partiti di sinistra, con il compito di promuovere l’emancipazione e di tutelare i progressi già compiuti nel campo della parità tra i sessi. In Italia è molto attiva l’Unione Donne Italiane (UDI). 3.3 Reazione 3.3.1 Le ragazze hanno conquistato il diritto di voto, lavorano e hanno uno stipendio. Le nuove tendenze dagli Stati Uniti permettono loro di condurre uno stile di vita più libero e indipendente, tuttavia la possibilità per una donna di autodeterminarsi non convince gli uomini dalla mentalità più retriva. La concezione patriarcale della famiglia è ancora fortemente radicata nella società, in maniera particolare negli strati più poveri della popolazione, dove l’ignoranza regna sovrana, e in quelli più agiati, nei quali il marito è abbastanza ricco per mantenere la moglie. 3.3.2 I mezzi di comunicazione monopolizzano il modo di pensare della popolazione mediante pubblicità e censure. Che la donna debba essere prima di tutto moglie e madre lo afferma papa Pio XII, che indica nella Sacra Famiglia un modello di santità per la famiglia italiana e che essa deve realizzarsi adempiendo ai suoi doveri di casalinga. La Chiesa invita le ragazze alla purezza e alla castità. In Italia il partito Democrazia Cristiana punta sulla donna come pilastro della casa e la mette alla base di una campagna di risanamento morale della famiglia. 3.3.3 Oltre che a relegare il genere femminile alle faccende domestiche e alla cura dei figli, alcuni uomini sostengono addirittura l’inferiorità biologica dell’altro sesso. Affermano che la donna è maggiormente vulnerabile, che ha un organismo molto più sensibile, più fragile, e che non è in grado di giudicare equamente perché è lunatica. 3.3.4 L’Italia non è ancora un paese moderno sotto molti aspetti. Al progresso, al boom economico è affiancata una società è vecchia e autoritaria, la stessa in cui le donne faticano ad emergere. 4 ANNI ’60 4.1 Contesto storico (IV) Sul finire degli anni ’60 assistiamo in tutti i continenti alla rivolta rabbiosa e dissacratoria di grandi masse di giovani studenti che denunciano il controllo delle elites sulla scuola e, più in generale, sulla società. Le organizzazioni studentesche pianificano manifestazioni ed indicono scioperi ai quali aderiscono milioni di lavoratori. Il culmine viene raggiunto nel 1968. I movimenti del ‘68 costituiscono la presa di coscienza della crisi in cui versavano i paesi nell’era tardo-capitalistica ed esprime l’esigenza di mutamenti radicali. Il movimento femminista, innestatosi sulle proteste universitarie e operaie, riprende vigore. 4.2 Una nuova generazione di donne 4.2.1 La rinascita del femminismo inizia da piccoli gruppi di donne che si ritrovano nelle case e discutono apertamente dei loro problemi e delle loro paure. Per la prima volta le ragazze raccontano sé stesse, ascoltano le storie delle altre, fanno cioè autocoscienza. Il discorso verte su vari temi: la sessualità, le loro insoddisfazioni, le proprie aspirazioni, il rapporto con il marito, il desiderio di essere sé stesse in quanto donne. 4.2.2 L’autocoscienza costituisce un momento di profonda riflessione sull’importanza di essere donna. Fa riflettere una frase di Simone De Beauvoir: «Se la sua funzione di femmina non basta a definire la donna, se ci rifiutiamo anche di spiegarla con “l’eterno femminino” ... dobbiamo ben porci la domanda: che cos’è una donna?» S. De Beauvoir “Il secondo sesso”, 1949 La nuova generazione di ragazze sente il bisogno di emergere, di farsi sentire, prendono le distanze dalle loro madri e dal modello famigliare obsoleto in cui sono imprigionate. 4.3 Il ’68 e le donne 4.3.1 Scoppiano le proteste e tra i manifestanti ci sono molte ragazze. La maggior parte di esse studia o sta facendo carriera, segno che i tempi sono cambiati: sempre più giovani hanno accesso alle scuole e alle università. La maggiore diffusione della cultura e della scolarizzazione tra le donne ha dato un nuovo impulso alla lotta per l’emancipazione. 4.3.2 I movimenti del ’68 dimostrano al mondo intero che è possibile rivoluzionare la società per avvicinarla ad un ideale condiviso. Le proteste studentesche segnano una svolta nella storia contemporanea, mutano i rapporti personali tra gli individui, ma non cambiano le relazioni tra i sessi. 4.3.3 I risultati dei movimenti del ’68 influenzano positivamente le sempre più numerose associazioni femministe: è possibile sovvertire i ruoli sessuali così come è già successo in precedenza alla società? Trascinate dal forte entusiasmo, le donne scendono nelle piazze a manifestare la loro indignazione verso una mentalità ancora sessista e retriva. Il centro delle proteste è per la prima volta la donna. Le ragazze intuiscono che qualcosa non funziona a livello dell’identità sessuale femminile. Il dominio di un sesso sull’altro è il frutto dell’associazione della maternità all’attività sessuale della donna. Alla base della discriminazione delle donne sta la differenza tra maschi e femmine, non solo biologica, ma anche di rapporti con la famiglia e la vita. Si chiedono perciò se esista una sessualità femminile a prescindere dal ruolo di madre. Partendo dalla sfera privata della vita, le femministe scuotono l’intero ordine sociale e la politica. 5 ANNI ‘70 5.1 Contesto storico (V) Gli ultimi anni Settanta sono quelli caratterizzati dall’esplosione del fenomeno del terrorismo nero e rosso, che insanguina tutta l’Italia,gli anni di piombo, appunto. Qual è il ruolo delle donne in quel periodo storico? Quale il loro rapporto con la politica? Spiega il sociologo Franco Ferrarotti: “ Negli anni di piombo diventa più importante la possibilità di sognare e non bastano più pane e lavoro, ci vogliono pane e rose… Proprio negli stadi più avanzati della società emergono bisogni spirituali profondi, bisogni dell’immaginario, bisogni di vivere pienamente”. Il desiderio di una società diversa, di un cambiamento radicale dei modi di vita attraversa i primi anni Settanta. Alle donne non basta più essere uguali agli uomini. Da “La storia siamo noi” 5.2 Le proteste femministe 5.2.1 Dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Inghilterra all’Italia, le donne alzano la voce: «Io sono mia!» «Donna è bello!» «Donne, riprendiamoci il nostro corpo!». Il femminismo investe l’occidente come un uragano. Milioni di ragazze sono pronte a combattere per la propria identità, armate solo di speranza per un futuro migliore. « Il movimento femminista vuol far capire che il potere non può più essere gestito solo da una parte dell’umanità: chi non accetta questa parità oggi non ha diritto di cittadinanza. Le donne rifiutano tutto, i partiti, la Chiesa, la storia precedente. Perché, affermano, alla storia non hanno partecipato. Ma chi sono, allora, queste donne ignorate dalla storia?» Franco Ferrarotti, sociologo 5.2.2 Le femministe dicono basta, esigono dei cambiamenti immediati. Le manifestazioni diventano sempre più frequenti e tante donne vi partecipano. L’8 marzo 1972 a Campo de’ Fiori (Roma) 20’000 donne di tutte le età si incontrano per protestare, ma il corteo viene interrotto dalla polizia. 5.3 Progressi in campo legislativo 5.3.1 Al momento dei referendum le femministe dirigono tutte le loro energie per propugnare le libertà della donna in campo legislativo, prima tra tutte la possibilità di divorziare dal marito. In Italia la legge sul divorzio arriva nel 1970, riconfermata dalla vittoria dei no al referendum abrogativo del 1974. 5.3.2 Il passo seguente consiste nella riforma del diritto di famiglia: una ragazza non è più proprietà del padre, del marito o del fratello e i coniugi hanno diritti e responsabilità uguali. 5.3.3 L’approvazione della legge sulla regolamentazione dell’aborto si rivela la battaglia più dura per le femministe e, più in generale, per tutte le donne. L’astio da parte degli strati più retrivi della popolazione è difficile da sradicare. L’argomento è considerato da molti un tabù, gli aborti clandestini vengono eseguiti in strutture non adeguate e da “mammane”, le conseguenze sono spesso tragiche. Oltre che sull’interruzione di gravidanza le associazioni femministe istituiscono una campagna di sensibilizzazione anche sull’uso dei contraccettivi, che svincolano il rapporto sessuale dal concetto di procreazione. In Italia la legge sull’aborto entra in vigore nel 1978, dopo lunghissime battaglie in parlamento. L’interruzione di gravidanza era già legale nei paesi comunisti tra la fine anni ‘50 e gli anni ’70, in Inghilterra dal 1968 e negli Stati Uniti dal 1973. 5.3.4 L’ultima conquista nel campo della parità tra i sessi è la legge sulla violenza sessuale, in vigore in Italia dal 1996. Lo stupro è un reato contro la persona, un’entità fisica, e non contro la morale, che è invece un concetto astratto. Le donne si sono riprese il proprio corpo, hanno fatto enormi progressi, e l’intera società ne ha beneficiato. Il potere non è più gestito da una parte soltanto dell’umanità; l’eguaglianza dei diritti tra uomo e donna è ineluttabile. 6 OGGI 6.1 Contesto storico (VI) Nonostante le battaglie per l’emancipazione e per l’affermazione della donna nella società, la condizione femminile è ancora drammatica in molte nazioni. Nelle zone meno sviluppate le ragazze son ancora di proprietà del marito o del padre e sono trattate alla stregua del bestiame. In Italia, così come in molti altri paesi occidentali, il numero delle donne in parlamento o nei consigli di amministrazione delle aziende è esiguo (in Italia la percentuale femminile nelle due camere è 21,3% e nei CDA sono solo il 6%). L’idea di donna che il nostro paese ci fornisce è essenzialmente un corpo svuotato di ogni volontà e forma di intelligenza. 6.2 Condizione femminile oggi La mia generazione ha combattuto la battaglia per la parità tra i sessi e l’aborto. Oggi l’appiattimento ha cancellato le identità Il femminismo non ha liberato le donne Tutti i messaggi si concentrano sul corpo: siamo passati dall’angelo del focolare alla mistica della seduzione Appartengo alla generazione che ha combattuto, negli anni della prima giovinezza, la battaglia per la libertà sessuale e per la legalizzazione dell’aborto. La generazione che nei tè pomeridiani, tra un effluvio di patchouli e una canna, imparava il metodo Karman, cioè come procurarsi un aborto domestico con la complicità di un gruppo di amiche. Quella generazione che organizzava dei voli collettivi a Londra per accompagnare ad abortire donne in uno stato così avanzato di gravidanza da sfiorare il parto prematuro. È difficile, per chi non li ha vissuti, capire l’eccitazione, l’esaltazione, la frenesia di quegli anni. La sensazione era quella di trovarsi sulla prua di una nave e guardare un orizzonte nuovo, aperto, illuminato dal sole di un progresso foriero di ogni felicità. Alle spalle avevamo l’oscurità, i tempi bui della repressione, della donna oggetto manipolata dai maschi e dai loro desideri, oppressa dal potere della Chiesa che, secondo gli slogan dell’epoca, vedeva in lei soltanto un docile strumento di riproduzione. Erano gli anni Settanta. Personalmente, non sono mai stata un' attivista, ma lo erano le mie amiche più care e, per quanto capissi le loro ragioni, non posso negare di essere stata sempre profondamente turbata da questa pratica che, in quegli anni, si era trasformata in una sorta di moderno contraccettivo. Mi colpiva, in qualche modo, la leggerezza con cui tutto ciò avveniva, non perché fossi credente - allora non lo ero - né per qualche forma di moralismo imposto dall' alto, ma semplicemente perché mi sembrava che il manifestarsi della vita fosse un fatto così straordinariamente complesso e misterioso da meritare, come minimo, un po' di timore e di rispetto. Come sono cambiate le cose in questi quarant' anni? Ho l' impressione che anche adesso il discorso sulla vita sia rimasto confinato tra due barriere ideologiche contrapposte. La difesa della vita sembra essere appannaggio, oggi come allora, solo della Chiesa, dei vescovi, di quella parte considerata più reazionaria e retriva della società, che continua a pretendere di influenzare la libera scelta dei cittadini. Chi è per il progresso, invece, pur riconoscendo la drammaticità dell' evento, non può che agire in contrapposizione a queste continue ingerenze oscurantiste. Naturalmente, un Paese civile deve avere una legge sull' aborto, ma questa necessaria tutela delle donne in un momento di fragilità non è mai una vittoria per nessuno. I dati sull' interruzione volontaria di gravidanza ci dicono che le principali categorie che si rivolgono agli ospedali sono le donne straniere, le adolescenti e le giovani. Le ragioni delle donne straniere sono purtroppo semplici da capire, si tratta di precarietà, di paura, di incertezza - ragioni che spingono spesso ormai anche madri di famiglia italiane a rinunciare a un figlio, ragioni a cui una buona politica in difesa della vita potrebbe naturalmente ovviare. Ma le ragazze italiane? Queste figlie, e anche nipoti delle femministe, come mai si trovano in queste condizioni? Sono ragazze nate negli anni 90, ragazze cresciute in un mondo permissivo, a cui certo non sono mancate le possibilità di informarsi. Possibile che non sappiano come nascono i bambini? Possibile che non si siano accorte che i profilattici sono in vendita ovunque, perfino nei distributori automatici notturni? Per quale ragione accettano rapporti non protetti? Si rendono conto della straordinaria ferita cui vanno incontro o forse pensano che, in fondo, l' aborto non sia che un mezzo anticoncezionale come un altro? Se hai fortuna, ti va tutto bene, se hai sfortuna, te ne sbarazzi, pazienza. Non sarà che una seccatura in più. Qualcuno ha spiegato loro che cos' è la vita, il rispetto per il loro corpo? Qualcuno ha mai detto loro che si può anche dire di no, che la felicità non passa necessariamente attraverso tutti i rapporti sessuali possibili? Chi conosce il mondo degli adolescenti di oggi sa che la promiscuità è una realtà piuttosto diffusa. Ci si piace, si passa la notte insieme, tra una settimana forse ci piacerà qualcun altro. I corpi sono interscambiabili, così come i piaceri. Come da bambine hanno accumulato sempre nuovi modelli di Barbie, così accumulano, spinte dal vuoto che le circonda, partner sempre diversi. Naturalmente non tutte le ragazze sono così, per fortuna, ma non si può negare che questo sia un fenomeno in costante crescita. Sono più felici, mi chiedo, sono più libere le ragazze di adesso rispetto a quarant' anni fa? Non mi pare. Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo aver portato le donne ad essere soltanto oggetti in modo diverso. Non occorre essere sociologi né fini pensatori per accorgersi che ai giorni nostri tutti i messaggi rivolti alle bambine si concentrano esclusivamente sul loro corpo, sul modo di offrirsi agli altri. Si vedono bambine di cinque anni vestite come cocotte e già a otto anni le ragazzine vivono in uno stato di semi anoressia, terrorizzate di mangiare qualsiasi cosa in grado di attentare alla loro linea. Bisogna essere magre, coscienti che la cosa che abbiamo da offrire, quella che ci renderà felici o infelici, è solo il nostro corpo. Il fiorire della chirurgia plastica non è che una tristissima conferma di questa realtà. Pare che molte ragazze, per i loro diciotto anni, chiedano dei ritocchi estetici in regalo. Un seno un po' più voluminoso, un naso meno prominente, labbra più sensuali, orecchie meno a vela. Il risultato di questa chirurgia di massa è già sotto ai nostri occhi: siamo circondate da Barbie perfette, tutte uguali, tutte felicemente soddisfatte di questa uguaglianza, tutte apparentemente disponibili ai desideri maschili. Sembra che nessuno abbia mai detto a queste adolescenti che la cosa più importante non è visibile agli occhi e che l' amore non nasce dalle misure del corpo ma da qualcosa di inesprimibile che appartiene soprattutto allo sguardo. Siamo passati così dalla falsa immagine della donna come angelo del focolare, che si realizza soltanto nella maternità, alla mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l' offerta del proprio corpo siano l' unica via per la realizzazione. Più fai sesso, più sei in gamba, più sei ammirata dal gruppo. Nella latitanza della famiglia, della chiesa, della scuola, la realtà educativa è dominata dai media e i media hanno una sola legge. Omologare. Ma questo lato apparentemente così comprensibile, così frivolo - voler essere carine o anche voler mitigare i segni del tempo - che cosa nasconde? Il corpo è l' espressione della nostra unicità ed è la storia delle generazioni che ci hanno preceduti. Quel naso così importante, quei denti storti vengono da un bisnonno, da una trisavola, persone che avevano un' origine, una storia e che, con la loro origine e la loro storia, hanno contribuito a costruire la nostra. Rendere anonimo il volto vuol dire cancellare l' idea che l' essere umano è una creatura che si esprime nel tempo e che il senso della vita è essere consapevoli di questo. La persona è l' unicità del volto. L' omologazione imposta dalla società consumista - e purtroppo sempre più volgarmente maschilista - ha cancellato il patto tra le generazioni, quel legame che da sempre ha permesso alla società umana di definirsi tale. Noi siamo la somma di tutti i nostri antenati ma siamo, al tempo stesso, qualcosa di straordinariamente nuovo e irripetibile. Cancellare il volto vuol dire cancellare la memoria, e cancellare la memoria, vuol dire cancellare la complessità dell' essere umano. Consumare i corpi, umiliare la forza creativa della vita per superficialità e inesperienza, vuol dire essere estranei dall' idea dell' esistenza come percorso, vuol dire vivere in un eterno presente, costantemente intrattenuti, in balia dei propri capricci e degli altrui desideri. Senza il senso del tempo non abbiamo né passato né futuro, l' unico orizzonte che si pone davanti ai nostri occhi è quello di una specchio in cui ci riflettiamo infinite volte, come nei labirinti dei luna park. Procediamo senza senso da una parte, dall' altra, vedendo sempre e soltanto noi stessi, più magri, più grassi, più alti, più bassi. All' inizio quel girare in tondo ci fa ridere, poi col tempo, nasce l' angoscia. Dove sarà l' uscita, a chi chiedere aiuto? Battiamo su uno specchio e nessuno ci risponde. Siamo in mille, ma siamo sole. Tamaro Susanna Corriere della Sera, 17 aprile 2010 6.3 Cosa resta del femminismo? A quasi cento anni dalla sua istituzione, la festa della donna rappresenta un’occasione per riflettere sul movimento. Una lotta che non mette più tutte d’accordo e che dovrebbe ripensare i suoi obiettivi, osserva la stampa europea. “Esattamente un secolo fa, alcune donne provenienti da 17 paesi si diedero appuntamento a Copenaghen per istituire una giornata dedicata a tutte le donne del mondo”, ricorda Evenimentul Zilei in occasione della festa della donna. “Se potessero tirare un bilancio dei diritti acquisiti in questo periodo sarebbero soddisfatte o no?”, si chiede il quotidiano romeno, secondo cui c’è ben poco da festeggiare: se un secolo fa le donne non avevano ancora il diritto di voto, oggi la loro presenza nei parlamenti nazionali non è certo significativa. In Gran Bretagna, per esempio, le donne “sono soltanto il 20 per cento degli eletti”. A questo ritmo, “le femministe potranno sperare di raggiungere la parità uomo-donna verso il 2200”. Su Le Monde, le ricercatrici femministe Rose-Marie Lagrave e Juliette Rennes affermano che mentre le discriminazioni “legate alla classe sociale, al colore della pelle e all’orientamento sessuale” oggi sono in calo, la lotta per la parità dovrebbe concentrarsi sulle discriminazioni anagrafiche: “L’età esibita o mascherata è una delle tante disparità delle quali tra donne si parla di rado, anche tra le femministe. Da quarant’anni sono soprattutto le donne in età fertile e in grado di lavorare a costituire lo zoccolo duro di tutte le grandi battaglie, per l’eguaglianza nella professione, per la libera gestione del proprio corpo, o anche per il controllo delle maternità”. Nei Paesi Bassi Karla Peijs, ex ministro e attuale commissario della regina (una sorta di prefetto), spiega su Trouw che le discriminazioni dipendono dalla posizione socio-professionale e rimprovera al movimento femminista di essersi concentrato sulle donne la cui carriera si scontra con il cosiddetto “soffitto di cristallo”: per i quadri più elevati, abbinare lavoro e famiglia pone molti meno problemi rispetto alle donne che sono più in basso nella scala sociale. Un’amministratrice è retribuita in base agli obiettivi, mentre una segretaria è pagata a ore. Secondo Peijs, quindi, è necessario preoccuparsi di più per queste ultime e per le lavoratrici part-time (il 75 per cento della manodopera femminile olandese), e soprattutto riformare “l’arretrato sistema scolastico olandese”, che obbliga gli studenti a rientrare a casa per il pranzo, costringendo uno dei genitori (di solito la madre) a occuparsene. Femministe e mamme dirigenti non costituiscono un modello per le giovani donne della periferia parigina che raccontano la loro vita quotidiana su BondyBlog. Intervistate da Le Monde, affermano che “le femministe non fanno più sognare. La loro battaglia è retrograda, negativa, sempre portata a stigmatizzare gli uomini, detentori egoisti del potere” racconta la ventiseienne Faïza. “Oggi il femminismo è addirittura peggiore del fanatismo religioso. È diventato una dottrina quasi estremista”, rincara Widad, 24 anni, secondo cui “chiunque osi contraddire i dogmi imposti dalla dittatura femminista si vede affibbiare l’etichetta di ‘macho’, mentre le donne che non aderiscono più al concetto di femminismo si prendono delle ‘sottomesse’ e delle ‘traditrici’”. In Germania il femminismo è da anni nel mirino della stampa, scrive la Tageszeitung in un lungo dossier. La campagna è iniziata nel 2007 con Der Spiegel che dipingeva “la tetra immagine di un’educazione sessuale autoritaria che trasforma i giovani maschi in detrattori del loro stesso sesso”. Poi la Frankfürter Allgemeine Zeitung se l’è presa con la “logica della lobby femminista”, consistente nel piazzare persone fedeli nei posti strategici per ottenere un “cambiamento di sesso della politica”. Il settimanale Focus è accusato di parlare regolarmente di “sesso debole” riferendosi agli uomini, spianando la strada a un nuovo movimento per i diritti civili. È l’espressione del “fronte degli uomini contro il femminismo”, secondo la Tageszeitung, che riporta le numerose iniziative che mirano a cancellare i provvedimenti a favore delle donne, a cominciare da quelle dei giovani liberali tedeschi che “reclamano la fine della ‘servitù’ dell’uomo e l’annullamento di tutte le leggi tedesche sulle pari opportunità e delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dei trattati europei che favoriscono le donne”. Presseurop.eu - Internazionale 9 marzo 2010 Fonti: “Storia e storiografia” Antonio Desideri, schede, “Internazionale”, “Corriere della sera”, “La storia siamo noi”, “Il secondo sesso” Simone de Beauvoir, www.ilcorpodelledonne.net, Costituzione italiana. Alice Borghi La storia: dalle origini ai giorni nostri - Quando tutto ebbe inizio Dopo aver creato la terra, “Dio creò gli uomini secondo la sua immagine; a immagine di Dio li creò; maschio e femmina li creò. Quindi Dio li benedisse e disse loro:< Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, e abbiate dominio sui pesci del mare, sui volatili del cielo, sul bestiame e su ogni essere vivente che striscia sulla terra>”. Così è scritto tra i primi versi della Bibbia, il libro sacro dei cattolici. Dal punto di vista scientifico, però, creazione ed evoluzione dell’uomo e della donna sono spiegate in modo molto diverso, attraverso lo sviluppo degli ominidi nelle diverse fasi della loro trasformazione. Tuttavia il racconto della Bibbia possiede un significato particolare: l’uomo non è solo, c’è la donna con lui e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. Donna e uomo sono quindi indispensabili uno all’altra, sono stati creati uno per l’altra. Proprio per questo la donna era un tempo celebrata come un’essenziale metà dell’illuminazione spirituale. Presso gli antichi, infatti, la Madre Terra, colei che tutto genera, era una dea dalle sembianze femminili. - L’Età cortese (XII secolo ca.) La letteratura cortese dell’XI e XII secolo, con il romanzo cortese-cavalleresco, ha dato un’importanza centrale ai personaggi femminili, celebrando la donna come signora assoluta dell’amante, che aveva nei suoi confronti un rapporto di servitù e vassallaggio, anche senza che la donna manifestasse attenzioni verso di lui. L’amore è quindi inteso come una vera e propria forma di religione che impone all’uomo, nel caso specifico un cavaliere, di adorare la dama come un oggetto sacro. - Il dolce stilnovo (XIII secolo ca.) Nel Trecento, invece, con gli stilnovisti, la donna acquista addirittura un carattere miracoloso, diventando uno strumento indispensabile per raggiungere la comunione con Dio e, di conseguenza, la beatitudine. Realtà e finzione letteraria restano due cose differenti, ma viene ugualmente messa in evidenza un’attenzione particolare per la figura femminile. - La Francia repubblicana (XIX secolo) L’evoluzione del ruolo femminile è stata, in ogni caso, notevole se si pensa che nella Francia repubblicana, nella seconda metà dell’Ottocento, il ceto medio mirava a mettere in luce le virtù familiari della donna borghese, in antitesi alla “lussuria” dell’ambiente della corte napoleonica. Le donne “da focolare domestico” dovevano ricevere un’adeguata educazione, leggendo Victor Hugo o i romanzi naturalisti; potevano addirittura trovare spazio nel lavoro, occupandosi contemporaneamente dell’educazione dei figli e mantenendo il ruolo di dominatrici incontrastate dell’ambiente domestico, ma anche di garanti della moralità collettiva e pilastro austero della società democratica. Le signore francesi borghesi possedevano un gusto alla moda, sobrio ma ricercato, sceglievano tessuti ed elementi d’arredo raffinati e avevano la passione per le cineserie. Si possono trovare numerose testimonianze di ciò nei dipinti di Monet e Renoir, pittori impressionisti vicini alla cultura e all’ideologia repubblicana. In particolare in Renoir, a differenza di Monet che prediligeva i paesaggi, si rivela l’attenzione alla vita quotidiana, con figure femminili che lasciano trasparire personalità interessanti, al di là delle pose statiche, compassate e tradizionali, immerse nel contesto domestico mentre leggono o accudiscono i figli o all’aperto in luoghi come i giardini, il teatro, i mercati. Gabrielle e Jean, P.A. Renoir, 1895 ca., olio su La liseuse, P.A. Renoir, 1875-1876, olio su tela, Parigi, Musée d’Orsay tela, Parigi, Musée d’Orsay Jeunes filles au piano, P.A. Renoir, 1892, olio su tela, Parigi, Musée d’Orsay - L’età delle masse (1900-1920) Nell’età delle masse, che si sviluppò tra il 1900 e la fine del primo conflitto mondiale, si pose con forza il problema della parificazione dei diritti tra uomo e donna. Espressione di questa nuova soggettività politica femminile fu un nuovo movimento definito “suffragismo” per la centralità assunta in esso dalla richiesta del diritto di voto alle donne. Composto di singole donne, gruppi e associazioni, poneva come obiettivi il raggiungimento dell’uguaglianza dei diritti, delle opportunità e delle libertà tra i sessi, chiedendo che le donne divenissero a pieno titolo “cittadine” del mondo che si stava formando nel primo decennio del XX secolo. Il patto sociale e politico su cui si reggeva lo stato liberale le aveva escluse dall’esercizio dei diritti universali “dell’uomo e del cittadino”. La prima ragione di ciò era legata alla storia del rapporto tra i sessi e alla visione sociale del maschile e del femminile, che si era venuta formando nell’evoluzione secolare della società europea. Alle donne, infatti, non era riconosciuto lo status d’individuo e quindi di cittadino capace di compiere scelte né era loro riconosciuta la pienezza delle responsabilità sulla propria persona, della capacità di scelta, dell’autonomia di giudizio. Limitate nei diritti di proprietà, sottomesse all’autorità del marito nel matrimonio, interdette alla partecipazione alla politica o all’amministrazione della giustizia, soggette a diritti, pur non potendo agire legalmente per esercitarli, poiché è richiesta l’intermediazione di un tutore che, nel caso delle donne alla fine del XIX secolo, era il marito o il padre. La seconda ragione è dovuta alle trasformazioni della famiglia che si verificarono durante l’affermazione della società borghese. Le funzioni sociali e pubbliche dovevano essere svolte dagli uomini, mentre alla donna spettava la cura della casa, luogo per eccellenza del privato, e l’educazione dei figli. Questa divisione netta tra ambito pubblico e ambito privato portò a una visione complementare delle relazioni tra i sessi, complementarietà, in realtà, profondamente asimmetrica, non solo perché era maggiore il valore sociale attribuito alle attività pubbliche, ma perché anche nel privato le norme giuridiche avvantaggiavano l’autorità maschile. L’adulterio femminile, per esempio, era punito diversamente da quello maschile e in caso di separazione la tutela dei figli spettava al marito. Diverse erano le prospettive di vita per le donne appartenenti ai ceti medi e medio-alti rispetto a quelle appartenenti alle classi più svantaggiate. Per le prime il destino privilegiato era il matrimonio, i figli e la gestione della casa, intesa come cura delle relazioni sociali, della gradevolezza estetica della casa e delle fasi iniziali dell’educazione per i figli. L’istruzione femminile era pertanto finalizzata allo svolgimento di questi compiti, anche perché per costume e frequentemente per legge, le donne non potevano accedere come i loro coetanei maschi agli alti gradi d’istruzione. Cosicché le donne del ceto medio-alto non potevano godere d’indipendenza economica. Peggiore era poi la condizione delle donne appartenenti alle altre classi sociali, per le quali il lavoro era legato alla sopravvivenza. Con lo sviluppo dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione le donne emigrarono nelle città, dove s’impiegarono in mestieri legati alla servitù o al piccolo commercio e soprattutto nelle fabbriche o in lavori artigianali come sarte, modiste, ricamatrici. In questo caso la discriminazione non era legata all’accesso al lavoro, ma alla retribuzione inferiore rispetto a quella dei colleghi maschi. I processi di modernizzazione e la crescita degli interventi sociali aprirono poi, tra l’Otto e il Novecento, altre possibilità per la vita delle donne: apparvero così commesse dei grandi magazzini, impiegate nelle poste e nei telegrafi e, con la crescita dell’istruzione pubblica, maestre per l’avvio del processo di alfabetizzazione. La ribellione femminile, nella seconda metà dell’Ottocento, divenne anche un movimento direttamente politico. A sancire la sua nascita fu la pubblicazione della “Dichiarazione dei sentimenti”, una trascrizione articolo per articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino dove, però, alla parola “uomo” fu aggiunta la parola “donna” per rompere così l’idea di universalità riservata a un solo sesso, che divenne il manifesto politico per la lotta all’emancipazione femminile. Fu scritta nel corso di un convegno che si svolse a Seneca Falls (una cittadina dello stato di New York) nel 1848 in cui s’incontrarono donne impegnate nella lotta per l’abolizione della schiavitù e nell’affermazione dei diritti negati al proprio sesso. Da questo convegno iniziò un lungo percorso che portò all’abbattimento delle barriere riguardanti l’accesso all’istruzione e, in parte, alle professioni. La soglia più difficile da superare era, però, il diritto a eleggere e a essere elette. Le organizzazioni suffragiste crearono un vero e proprio movimento fatto di appelli, campagne di propaganda, marce e manifestazioni per convincere l’opinione pubblica e fare pressioni sui parlamenti. In Gran Bretagna due furono le grandi organizzazioni suffragiste: la National Union of Women’s Suffrage Societies, le cui appartenenti furono chiamate “suffragiste”, privilegiava un’azione nei confronti dei parlamentari favorevoli al voto alle donne, mentre la Women’s Social and Political Union rappresentava l’ala più radicale del movimento e le sue esponenti vennero definite “suffragette”. Le manifestazioni più importanti, che videro insieme suffragiste e suffragette, si svolsero nel primo decennio del XX secolo, quando il parlamento inglese cominciò a discutere una legge per l’estensione del voto alle donne inglesi che, già nel 1894, lo avevano ottenuto a livello locale. Dopo manifestazioni di protesta, comizi e atti d’insubordinazione con conseguenti arresti e scioperi della fame da parte delle incarcerate, le donne ebbero progressivamente il voto per le elezioni locali nei singoli stati degli Stati Uniti d’America, in alcuni dominions britannici e con il Novecento nei Paesi del Nord Europa. In Italia, le donne acquisirono il diritto di voto solo nel 1946. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, la situazione di emergenza fu tale da portare i governi a rivolgersi a tutta la popolazione e quindi in primo luogo alle donne, per il sostegno del fronte interno, per ricoprire i posti di lavoro lasciati dagli uomini e per le azioni di supporto e soccorso volontario alla popolazione civile. In questa drammatica situazione le donne cominciarono a esercitare lavori considerati “maschili”. Nell’immediato dopoguerra in tutti i paesi si pose il problema di un nuovo stato giuridico per le donne e del riconoscimento a esse della cittadinanza politica, avendo dimostrato nei fatti, con la loro partecipazione a sostegno della nazione, di essere cittadine a tutti gli effetti. Evento rilevante fu il Representation of the People Act che, divenuto legge dopo un lungo dibattito il 6 febbraio 1918, stabilì il diritto di voto per alcuni milioni di donne inglesi con più di trent’anni. L’anno successivo fu approvato il Sex Disqualification Act che ammise le donne a tutte le funzioni civili. Anche per le donne italiane il dopoguerra fu importante: nel 1919 fu votata finalmente la legge sulla capacità giuridica femminile, che pur continuando a limitare l’accesso delle donne ai pubblici uffici, aboliva l’autorizzazione maritale e altri aspetti legati alla dipendenza di un sesso dall’altro. - Il mondo globale (1960- oggi) Con la pubblicazione, nel 1963, negli Stati Uniti d’America del libro dal titolo “La mistica della femminilità” di Betty Friedan, incaricata da Kennedy di realizzare un’inchiesta sulla condizione delle donne in quel Paese, iniziò a essere svelato “il problema senza nome” di cui soffrivano moltissime donne delle classi medie: il desiderio di qualcosa di più e di diverso che occuparsi solo del marito, dei figli e della casa. Molte studentesse universitarie, nel frattempo, parteciparono intensamente al movimento per i diritti civili, alla ribellione contro la guerra del Vietnam e contro i modelli esistenti di organizzazione sociale, culturale e politica. Proprio durante questa esperienza, però, molte scoprirono la discriminazione vissuta in quanto donne all’interno del movimento. Si decise così di organizzare un seminario sulla “questione femminile” dove un gruppo di donne decise di discutere, senza la presenza di uomini, i problemi che le riguardavano. Questo gesto può essere simbolicamente considerato l’atto di nascita del nuovo movimento politico delle donne, che si sviluppò con grande intensità e visibilità tra gli anni sessanta e settanta in tutti gli Stati Uniti d’America dando origine al femminismo contemporaneo. La delusione rispetto alla convinzione di essere pari agli uomini portò alla formazione di gruppi e collettivi accomunati da una scelta: la separazione dall’universo maschile, sia nella costituzione di gruppi di sole donne, sia nell’elaborazione di pensieri e pratiche autonome; questo gesto politico, nato dalla consapevolezza che solo attraverso la relazione e il confronto con altre donne fosse possibile ricostruire il significato della propria storia individuale e combattere il mancato riconoscimento della specificità femminile, fu chiamato “separatismo”. La critica al sistema patriarcale e ai ruoli storicamente attribuiti agli uomini e alle donne costituì un punto fondamentale di analisi, insieme alla scoperta della stretta relazione tra privato e pubblico, personale e politico. Attraverso la condivisione delle proprie esperienze e delle proprie idee all’interno del gruppo si avviò il processo di “autocoscienza”, cioè di rivisitazione e analisi della propria vicenda esistenziale attraverso la relazione tra i sessi e l’insieme dei rapporti con la realtà sociale dal punto di vista dell’esperienza storica femminile. Tutti gli aspetti della vita (affettività, ruoli familiari, sistemazione nel lavoro, rappresentazioni culturali e sociali, ecc.) furono rimessi in discussione, valutando sotto nuovi punti di vista la presa di parola e la riappropriazione del corpo e della sessualità femminile. Ciò comportò il rifiuto dei modelli di vita ereditari, ossia le tradizionali forme di vita femminili, scandite dal matrimonio e dalla maternità e la ricerca di un’identità diversa e più libera. L’obiettivo centrale dei nuovi movimenti femministi divenne l’affermazione di un soggetto differente nell’esperienza, nel pensiero e nel corpo, che voleva trovare piena possibilità di espressione. A sostegno del nuovo movimento, furono prodotti e diffusi scritti che ne esprimevano analisi e intenti, manifesti che contenevano le dichiarazioni di principio, giornali redatti in proprio, manuali per la conoscenza del corpo femminile, saggi e testimonianze autobiografiche. Il profondo mutamento nell’auto rappresentazione di sé, avvenuto attraverso queste vicende, si accompagnò anche a una nuova presenza delle donne sulla scena pubblica. I momenti rilevanti di visibilità del movimento delle donne e del suo impatto sull’opinione pubblica, come le campagne di liberalizzazione dell’aborto e contro la violenza sessuale, miravano ad affermare nell’immaginario collettivo la figura della femminista, molto lontana dalle immagini rassicuranti tradizionalmente associate alla femminilità. L’emergere di un movimento delle donne con queste caratteristiche e la rivoluzione materiale e simbolica che portò nelle vite delle singole donne e nel sistema di relazione tra i sessi provocarono effetti anche sul piano legislativo. In Italia, in particolare, il diritto al lavoro e la parità salariale, da un lato, il superamento della condizione d’inferiorità nella famiglia, dove per legge la donna era soggetta alle decisioni del marito, e quindi l’affermazione dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, dall’altro, erano stati i due ambiti d’intervento privilegiato. Solo nel 1963 le donne ebbero la possibilità di accedere alla magistratura, mentre il diritto a una retribuzione uguale per un lavoro uguale fu sancito dall’accordo sindacale interconfederale del 1975. Anche in Inghilterra la lotta per la parità di retribuzione fu lunga e difficile e costellata di scioperi da parte delle operaie, il primo dei quali si svolse a Daghenham nel 1968. Qui, nella fabbrica della Ford, cuore industriale dell’Inghilterra, lavoravano 55mila operai, tra cui 187 donne. Le condizioni di lavoro insostenibili e i salari sempre inferiori a quelli degli uomini, costrinsero le donne della fabbrica a intraprendere uno sciopero, il primo della storia indetto dal solo sesso “debole”, bloccando inevitabilmente l’intera catena produttiva e mandando in tilt un colosso industriale mondiale. Nonostante la totale inesperienza politica delle operaie, il loro coraggio e il loro buonsenso costituirono le colonne sulle quali furono gettate le basi della legge sulla parità di retribuzione tra uomini e donne in Inghilterra. Nel maggio 1970, infatti, il decreto sulle pari retribuzioni divenne legge, prima in Inghilterra e poi in molti altri Paesi. A questo proposito, ho trovato molto interessante la visione del film “We want sex” (titolo originale “Made in Daghenham”) del regista Nigel Cole, che racconta fedelmente, seppur con un pizzico d’ironia, questo fatto storico. Nel corso degli anni settanta, in Italia, si susseguì una serie di leggi che sancirono l’eliminazione d’ogni forma di discriminazione tra uomini e donne nel lavoro e una riforma del diritto di famiglia (1975) che regolava su un piano di parità i rapporti tra i coniugi. Tale riforma seguiva la legge sul divorzio del 1970, confermata dall’esito del referendum abrogativo del 1974. Le campagne specifiche del movimento politico delle donne degli anni settanta si concentrarono sulla questione delle libertà personali e dell’autodeterminazione delle donne rispetto al proprio corpo (famoso lo slogan: “Il corpo è mio, me lo gestisco io”). Nel 1978 fu approvata la legge che regolamentava l’interruzione di gravidanza nelle strutture pubbliche, mentre la legge che riconosceva la violenza sessuale come un reato contro la persona fu approvata solo nel 1996, dopo un dibattito complesso che interessò, così come era accaduto per l’aborto, lo stesso movimento delle donne. Dagli anni ottanta sono state inoltre promosse politiche volte ad assicurare “pari opportunità” tra uomo e donna: lo stato, a fronte di evidenti disparità nelle condizioni di partenza degli individui, deve adottare non solo norme che rimuovano gli ostacoli all’avanzamento culturale e sociale dei ceti più deboli, ma anche azioni positive che facilitino tale avanzamento. Nonostante queste conquiste l’esperienza del femminismo nel dopoguerra non si può dire conclusa: nella fase attuale, anzi, le idee e gli obiettivi del movimento si stanno diffondendo su scala planetaria, creando percorsi differenti di rivendicazione di un nuovo ruolo per le donne. La cronaca: fatti recenti che coinvolgono il mondo femminile I Paesi economicamente più sviluppati iniziano finalmente a vedere nelle donne un punto di forza, in particolare per il mondo del lavoro. Ecco perché dagli Stati Uniti continuano ad arrivare copiosi e inconfutabili studi e ricerche sulla superiorità scolastica delle studentesse italiane, diffusa nel mondo e a tutti i livelli. Si scopre così che le universitarie hanno il sessanta per cento di possibilità in più rispetto ai maschi di conseguire la laurea di primo livello entro i 23 anni, con voti più alti sin dal primo e con un numero maggiore di esami conseguiti. Secondo l’Invalsi, l’istituto del ministero dell’Istruzione che elabora la valutazione per l’Italia, le studentesse, grazie al loro pragmatismo e alla loro concretezza, sono generalmente più adatte a materie umanistiche, al contrario dei loro coetanei maschi più portati per le materie scientifiche. Eppure faticano a trovare un lavoro perché professoresse di lettere, sociologhe e filosofe sono meno richieste rispetto a ingegneri, tecnici e scienziati. Per fortuna, negli ultimi tempi, il ministero per le pari opportunità si sta mobilitando affinché il 30% dei consiglieri delle società sia composto di donne, le cosiddette “quote rosa”. Se questo dovesse diventare legge, chi non la rispetterà avrà una sanzione. Un notevole passo avanti se si pensa che oggi sono donne solo 174 consiglieri su 2700. Ma nel team della compagnia telefonica Vodafone Italia il 33% del consiglio di amministrazione, così come il 26% dei dirigenti, è composto da donne e sono anche presenti 23 senior manager in gonnella. Un ottimo segnale se si pensa che molte donne sul posto di lavoro sono ancora discriminate per il loro aspetto fisico. Recente è il caso di Debrahlee Lorenzana, trentatré anni, licenziata, sostiene, per discriminazione sessuale, essendo “troppo avvenente” per lavorare in banca, alla Citibank. Dopo aver ricevuto commenti sul proprio aspetto fisico, esser stata trasferita in un’altra agenzia, in un ufficio isolato e invisibile e, in questo modo, impossibilitata a prendere contatti con nuovi clienti, è stata licenziata per improduttività e ha deciso, con l’aiuto dell’avvocatessa Gloria Allred, di presentare un reclamo alla divisione dei diritti umani dello stato di New York per protestare contro la Citibank e chiedere giustizia. - Via libera a un nuovo girl power In ogni caso, si sta assistendo ad un positivo aumento della componente femminile in politica. In America, infatti, le ultime elezioni del Mid Term, cioè di metà mandato, svoltesi il 2 novembre 2010 per il rinnovo del Congresso, sono state all’insegna del girl power. Sei donne sono state protagoniste della corsa ai 472 posti disponibili di cui 435 alla Camera, eletti su base nazionale, e 37 al Senato, scelti su base statale; Camera e Senato sono gli organi che compongono il Congresso degli Stati Uniti. Anche la moglie del Presidente Barack Obama ha partecipato agli spot e ai comizi per sostenere i candidati democratici, dopo essere stata nominata dalla rivista Forbes la donna più potente del mondo. È necessario ricordare anche la sedicesima conferenza dell’Onu sul clima svoltasi dal 29 novembre al 10 dicembre 2010 a Cancun in Messico, che, grazie alla partecipazione di dieci ministre dell’ambiente, ha raggiunto molti degli obiettivi prefissati. Inoltre la presidente del summit era la messicana Patricia Espinosa, mentre la segretaria generale era Christiana Figueres, del Costa Rica. Dopo quella a Copenhagen che era stata un fallimento, questa conferenza ha permesso di tenere aperta la trattativa per un accordo globale in vista della successiva a Durban nel dicembre prossimo, per continuare la lotta contro i cambiamenti climatici e fare in modo che il benessere dell’umanità venga coniugato con il rispetto e la tutela delle risorse naturali. Ma l’influenza femminile non si ferma qui: il Financial Times ha stilato la classifica Women at the top, con le cinquanta donne manager più potenti del mondo. Stanno conquistando consigli di amministrazione in tutti i continenti, facendo una piccola rivoluzione e ridimensionando le ambizioni di molti maschi-alfa. E sembra che il segreto sia sempre lo stesso: molto studio (con master nelle più prestigiose università americane), metodo e determinazione, oltre alla capacità di gestire contemporaneamente carriera, marito, figli e a volte anche nipoti. Al primo posto vi è la presidente e amministratore delegato della multinazionale PepsiCo, l’indiana 55enne Indra Nooyi. L’unica italiana presente in classifica è Emma Marcegaglia che, sottolinea il Financial Times, è “la prima donna eletta presidente in cent’anni di vita della Confindustria”. Negli Stati Uniti, inoltre, le donne tengono saldamente in mano le redini del quarto e quinto potere e, contrariamente a quanto succede in Europa, un terzo dei quotidiani locali ha un direttore donna. Le formule più interessanti sono inventate e dirette da loro: Tina Brown, creatrice del sito di successo Daily Beast, deve risollevare Newsweek, mentre in tv Katie Couric è a capo e conduce Cbs Evening News, il Tg generalista più seguito. Questo risveglio del cosiddetto “sesso debole” è stato perfino studiato da ricercatori e psicologi. Sembra, infatti, che le donne alfa, come sono chiamate queste dominatrici, presentino una grande parte di Animus, la porzione maschile di sé, che le rende forti, determinate e propositive. Tuttavia può succedere che questa parte prevarichi quella femminile, l’Anima, rendendo le donne eccessivamente aggressive e competitive. Manteniamo intatte le differenze Per far carriera, infatti, le donne tenderebbero ad assomigliare sempre più agli uomini. Essendo nate e cresciute in un mondo in cui pare che la parte del leone la faccia il sesso maschile, le donne si portano dietro un complesso d’inferiorità, a volte clamoroso, a volte sottile che tendono a esternare in un totale appiattimento delle differenze evidenti e del tutto naturali che esistono tra uomo e donna. Ora se si parla di diritti, opportunità lavorative, considerazione, dignità e così via, il concetto di uguaglianza è sacrosanto. Ma quando si parla di intelligenza, di capacità, di sguardo sul mondo, di empatia, di struttura profonda della personalità, femmine e maschi, più che due generi della stessa specie, sembrano spesso due specie animali distinte. Questa diversità, secondo alcuni ricercatori, scaturisce anche da gesti quotidiani e banali che spesso non prendiamo nemmeno in considerazione come ad esempio fare una battuta. Pare, infatti, che gli uomini utilizzino le battute per competere con gli altri uomini, mentre le donne vi ricorrono per stabilire un legame. Per di più le donne sarebbero più felici degli uomini quando capiscono una battuta, ma sono più lente nell’afferrarla. Le donne hanno, quindi, bisogno di una grande consapevolezza di sé per mantenere l’equilibrio tra la parte maschile e quella femminile, conciliando razionalità e forza materna con la capacità emotiva e il sentimento. Dove esistono ancora forti discriminazioni Purtroppo, però, esistono ancora Paesi come l’Iran in cui non è possibile abbassare la guardia e, soprattutto, spegnere i riflettori sulla condizione delle donne. Sono tantissime le donne che si trovano in prigione anche per motivi futili e tutto il mondo deve fare qualcosa contro un sistema giuridico medioevale. Qualche piccola vittoria, però, c’è stata: l’esecuzione della condanna alla lapidazione per Sakineh, la donna accusata di aver ucciso il marito con la complicità dell’amante, è stata sospesa e Shiva Nazar Ahari, attivista per i diritti umani, blogger e membro del Committee of Human Rights Reporters, in carcere con l’accusa di “aver attentato a Dio”, è stata liberata. Sembra, infatti, che tra le mura domestiche stia avvenendo un cambiamento e che si stia diffondendo una nuova consapevolezza femminile, incoraggiata dai numerosissimi attivisti per i diritti umani provenienti da tutto il mondo e da tutti quelli che credono nella libertà e nella giustizia. Azar Nafisi, scrittrice iraniana 55enne che ha pubblicato il libro “Leggere Lolita a Teheran”, tradotto in 32 lingue, dice “ Le donne hanno un grandissimo potere a livello familiare e sociale. Ora sembrano segregate in posizioni subalterne rispetto agli uomini, ai religiosi, ai pasdaran, ma in realtà anche il modo in cui si vestono e camminano per strada incide e può rappresentare una presa di posizione politica. Quella che sta combattendo il popolo iraniano è una battaglia non solo politica, ma esistenziale, di ricerca di identità”. La parola agli autori - Simone Weil Sembra riferirsi alla condizione delle donne in alcuni Paesi orientali Simone Weil (Parigi 1909-Londra 1943), scrittrice vicina alla sofferenza dei più deboli, quando nelle “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” scrive: “Il più importante fattore di cambiamento storico è dato dall’ampiezza della comprensione che ogni individuo possiede della rete di rapporti materiali e umani che lo contornano. Tanto maggiore ne è il grado, tanto più adeguata ai suoi fini di libertà, sarà l’azione conseguente.”. - Mary Wollstonecraft Sempre molto attuale è anche la scrittrice Mary Wollstonecraft che, nata a Londra nel 1759 e ivi morta nel 1797, rappresenta forse la prima rivendicatrice dei diritti femminili contro il conformismo, i pregiudizi e le ingiustizie sociali, cosa assolutamente rivoluzionaria per l’epoca in cui visse. “Nell’ordinamento del mondo naturale, si osserva una generale debolezza fisica della femmina rispetto al maschio. È questa una legge della natura, e non sembra essere sospesa o abrogata in favore delle donne. La superiorità fisica dell’uomo, dunque, non può essere negata ed è certo una nobile prerogativa! Tuttavia, non contenti di questo vantaggio naturale, gli uomini si adoperano per farci cadere ancora più in basso, semplicemente per far di noi oggetti di attrazione fugace; e le donne, inebriate dall’adorazione che gli uomini, sotto l’influsso dei sensi, tributano loro, non si sforzano di suscitare un interesse duraturo nei loro cuori, né di diventare le amiche di coloro che traggono gioia dalla loro compagnia.”, scriveva. E ancora: “Desidero ardentemente mostrare in che cosa consistano la vera dignità e la felicità umana. Desidero esortare le donne a impegnarsi per acquisire forza, sia fisica che mentale, e persuaderle che frasi tenere, animi impressionabili, delicatezza di sentimenti e raffinatezza del gusto, sono pressoché sinonimi di debolezza, e coloro che sono semplicemente oggetto di compassione e di quel tipo di amore che è stato definito suo parente, diventeranno presto oggetto di disprezzo.” e “Molte donne hanno più buonsenso dei loro parenti maschi; e poiché, quando vi è una lotta costante per l’equilibrio nessuna parte pesa più dell’altra, a meno che non abbia più gravità per natura, alcune donne domineranno sui loro mariti senza degradarsi, giacché è sempre l’intelletto a governare.”. Horace Walpole, scrittore inglese dell’epoca, la definì “una iena in sottoveste”, mentre il reverendo Polwhele dichiarò che la sua morte per parto era un “meritato castigo divino”; in realtà Mary Wollstonecraft, fortemente avversata dagli uomini e incompresa dalle donne del suo tempo, fu una caparbia sostenitrice dei diritti delle donne, tenace nemica di ogni forma di oppressione, iniquità e dispotismo nonché pensatrice geniale e ardita in straordinario anticipo sui tempi. Il punto di vista cristiano Dopo un approccio “laico” alla questione, credo sia giusto considerare anche un parere più religioso, semplicemente per evidenziare diversi punti di vista riguardo allo stesso argomento. A questo proposito Giovanni Paolo II ha approfondito il tema della donna nella società. Egli ha visto la questione femminile come antropologica, in altre parole, per Giovanni Paolo II, la donna sarà sempre soggetta a discriminazioni se non la si concepisce come persona umana. Il Papa scriveva: “Nella svolta culturale a favore della vita le donne hanno uno spazio di pensiero e di azione singolare e forse determinante; tocca a loro farsi promotrici di un “nuovo femminismo” che, senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli “maschilisti”, sappia riconoscere ed esprimere il vero genio femminile in tutte le manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento di ogni forma di discriminazione, di violenza e di sfruttamento.”. In questi ultimi anni si sono delineate nuove tendenze nell’affrontare la questione femminile. Una prima tendenza sottolinea fortemente la condizione di subordinazione della donna, allo scopo di suscitare un atteggiamento di contestazione. La donna, per essere se stessa, si costituisce quale antagonista dell’uomo. Questo processo porta a una rivalità tra i sessi, in cui l’identità e il ruolo dell’uno sono assunti a svantaggio dell’altro, con la conseguenza di introdurre nell’antropologia una confusione deleteria che ha il suo sviluppo più immediato e nefasto nella struttura della famiglia. Una seconda tendenza emerge sulla scia della prima. Per evitare ogni supremazia dell’uno o dell’altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale. L’oscurarsi della differenza o dualità dei sessi produce conseguenze enormi a diversi livelli. La radice immediata della suddetta tendenza si colloca nel contesto della questione femminile, ma la sua motivazione più profonda va ricercata nel tentativo della persona umana di liberarsi dai propri condizionamenti biologici. Secondo questa prospettiva antropologica la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale. La donna, invece, deve rappresentare un altro “io” nella comune umanità. Sin dall’inizio uomo e donna appaiono come “unità dei due”, e ciò significa il superamento dell’originaria solitudine, nella quale Adamo, rappresentante di tutti gli uomini, si trovava senza l’aiuto di nessuno che gli fosse simile, essendo inizialmente circondato solo da animali. Si tratta dunque di cercare la compagna della vita, con la quale, come con una moglie, l’uomo potrà unirsi divenendo una cosa sola. Nella stessa prospettiva si comprende in che senso l’antico racconto della Genesi lasci intendere come la donna, nel suo essere più profondo e originario, esista “per l’altro”. Nell’”unità dei due”, l’uomo e la donna sono chiamati sin dall’inizio non solo a esistere uno accanto all’altra oppure insieme, ma sono anche chiamati a esistere reciprocamente l’uno per l’altro. In base, quindi, al principio del reciproco essere “per” l’altro, nella comunione interpersonale, si sviluppa in questa storia l’integrazione dell’umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è “maschile” e di ciò che è “femminile”. L’eguale dignità delle persone si realizza come complementarietà fisica, psicologica e ontologica, dando luogo a un’armonica “unidualità” relazionale, che solo il peccato iscritto nella cultura ha reso potenzialmente conflittuale. L’antropologia biblica suggerisce di affrontare con un approccio relazionale, non concorrenziale né di rivalsa, quei problemi che a livello pubblico o privato coinvolgono la differenza di sesso. C’è da rilevare inoltre l’importanza e il senso della differenza dei sessi come realtà iscritta profondamente nell’uomo e nella donna: la sessualità caratterizza l’uomo e la donna non solo sul piano fisico, ma anche su quello psicologico e spirituale, improntando ogni loro espressione. Essa non può essere ridotta a puro e insignificante dato biologico, ma è una parte fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l’amore umano. Questa capacità di amare, riflesso e immagine dell’Amore inteso come entità superiore, ha una sua espressione nel carattere sponsale del corpo, in cui si iscrive la mascolinità e la femminilità della persona. La creatura umana nella sua unità di anima e corpo è qualificata fin dal principio dalla relazione con l’altro-da-sé. Questa relazione si presenta sempre buona e alterata al tempo stesso. Essa è buona, di una bontà originaria dichiarata da Dio fin dal primo momento della creazione. Essa è, però, anche alterata dalla disarmonia fra dio e l’umanità sopraggiunta con il peccato. Quest’alterazione non corrisponde tuttavia né al progetto iniziale di Dio sull’uomo e sulla donna, né alla verità della relazione tra i sessi. Ne consegue perciò che questa relazione buona ma ferita, ha bisogno di essere guarita. Diversi sono i modi per farlo: sta a noi scegliere il migliore in base al rapporto che desideriamo instaurare con gli altri. E infine In un mondo nel quale si tende a dimenticare quanto lunga sia stata la “schiavitù” femminile e quanto dura e difficile sia stata la via per l’emancipazione, è importante ricordare sempre quanto essa sia costata a tante e tante donne, note o ignote. Infatti, se oggi in Occidente la “schiavitù” femminile è solo un ricordo, in altre parti del mondo è ancora una terribile realtà; e anche qui, nel postmoderno Occidente, dove la parità quantomeno formale è stata raggiunta, la conquista dei diritti non è irreversibile. Oggi molti riconoscimenti, molte conquiste fatte dalle donne sono messi in discussione e una mentalità che sembrava finalmente e definitivamente superata sembra riemergere dal passato. Negli ultimi anni si è assistito al ritorno di una concezione della virilità come conquista e dominio, con l’inevitabile altro lato della medaglia: la donna intesa come oggetto, come merce di scambio, nel migliore dei casi come premio o trofeo. Presa in considerazione, comunque, solo per il suo aspetto fisico. E si è dovuto costatare con sgomento che, se la grande maggioranza delle donne vive questa concezione come un’inaccettabile offesa, altre sembrano invece accettarla e considerare il proprio corpo come un investimento, arrivando a volte a teorizzare quest’accettazione come una scelta di libertà. Conoscere quel passato (e la storia della condizione femminile nei secoli che lo dividono da noi) costringe a chiedersi come e perché, a distanza di tempo, in contesti radicalmente diversi, possano riaffiorare (travestiti nei panni della modernità) aspetti arcaici del rapporto fra i sessi, trasmessi da un sistema mediatico che implicitamente e subdolamente li propone come un modello. È perciò doveroso ricordare sempre e in ogni circostanza che il rispetto degli altri non si mendica, ma si evoca con la stima di sé, badando solo a ciò che è veramente importante. BIBLIOGRAFIA - “Il codice da Vinci”, Dan Brown, 2009, Oscar Mondadori. - “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”, Simone Weil, 1934, Éditions Gallimard Paris. - “Sui diritti delle donne”, Mary Wollstonecraft, 1792. - “Lett. enc. Evangelium vitae”, Giovanni Paolo II, 25 marzo 1995. - “Lettera durante un’udienza concessa al Cardinale Prefetto Joseph Ratzinger”, Giovanni Paolo II, 31 maggio 2004. Noemi Olivieri Classe IV G a.s. 2011/2012 Il femminismo Nell’età della trasformazione della società, l’età delle masse vide presentarsi con forza anche il problema della parificazione dei diritti tra uomini e donne. Con “età delle masse” ci si riferisce ad un periodo di formazione di stati di massa, forme di organizzazione statale che dotandosi di strumenti istituzionali controllano nel modo più ampio possibile le relazioni sociali tra i cittadini. Questo tipo di rapporto tra stato e società si realizza attraverso la creazione di apparati di repressione, controllo, propaganda, cattura del consenso e infine per mezzo della mobilitazione di massa. Da sempre la separazione tra realtà pubblica e privata aveva riservato all’uomo il compito di partecipare alla vita pubblica lasciando svolgere alla donna mansioni esclusivamente inerenti alla sfera domestica. Numerose e diverse culture riconobbero alla donna, e in alcuni luoghi riconoscono tutt’oggi, capacità e ruoli limitati alla procreazione e alla cura della prole e della famiglia. Altro motivo della discriminazione nei confronti della donna era dovuto al riconoscimento di una condizione di minorità giuridica. In tale periodo, insomma, quei fatti dell’esistenza, quegli eventi che le donne vivevano nella loro quotidianità, si stavano preparando a diventare fatto storico. Partendo dalla condizione delle donne prima dell’emancipazione femminile, che ha rappresentato negli ultimi secoli la ricerca di una uguaglianza formale e concreta tra la donna e l'uomo, si cercherà di ripercorrere le dure battaglie che le portarono a rivendicare diritti di parità e uguaglianza, fino ad arrivare a riflettere sulla loro situazione ai giorni d’oggi. 1 La donna esclusa Nella società dell’Ancien régime le donne non potevano di certo essere chiamate cittadine, in quanto non venivano loro riconosciuti determinati diritti grazie ai quali un individuo può essere definito tale. Due possono essere considerate le principali cause di questa imparziale realtà: la distinzione tra figura maschile di rilievo e figura femminile sottomessa e lo spaccato tra sfera pubblica e sfera domestica, la prima spettante esclusivamente all’uomo, la seconda alla donna. 1.1 Grandi differenze tra uomo e donna La questione legata al rapporto tra i sessi e alla distinta visione sociale maschile e femminile andò formandosi nel lungo corso della storia. L’inferiorità della donna del tempo, si può capire dal mancato riconoscimento dello status di individuo e di cittadino in grado di compiere scelte, per esempio mediante il voto, di esprimere un giudizio, di gestire i propri beni. In questo modo non solo non veniva loro riconosciuta piena responsabilità della propria persona, dei propri averi e delle loro scelte in autonomia, ma tutto ciò faceva in modo che esse venissero considerate minori, limitate nei diritti di proprietà, non adatte alla politica, all’amministrazione della giustizia. Questa minorità veniva giustificata con una diversa propensione naturale, con differenza nelle attitudini e nella forma d’intelligenza, nella donna più portata alla comprensione di aspetti concreti, nell’uomo più rivolta ad elaborazioni astratte. Così stando le cose la donna aveva bisogno di una sorta di guida per decisioni e gestione dei propri averi, che passava dalla figura paterna, quando viveva ancora con i genitori, a quella del marito, una volta sposata. La donna maritata era sottomessa allo sposo. L’uomo non voleva assolutamente rinunciare a questo ruolo di padrone autoritario della famiglia. Basta pensare all’operaio che, schiacciato e frustrato dai pesanti ritmi della fabbrica, costretto ad un rapporto di rigida dipendenza con la nuova gerarchia industriale, rifiutava di perdere quel ruolo autoritario di padrone di famiglia, compito che gli permetteva di compensare l’avvilimento della giornata lavorativa derivato dalla totale subordinazione imposta dalle macchine e dai kapò. Nei paesi di diritto latino, l’articolo 184, Sezione II, Capo IX, del Codice Civile, entrato in vigore in Italia nel 1865, regolava i diritti e doveri nascenti dall’unione matrimoniale e rimase in vigore fino al 1919. Da tale articolo emerge lo stato di ampia dipendenza della moglie nei confronti del marito, tanto che si può parlare di “autorizzazione maritale”. La norma prevedeva che la donna domandasse al capofamiglia l'autorizzazione per comparire in giudizio e per il compimento di atti di disposizione patrimoniale quindi donare, ipotecare o alienare beni immobili, contrarre mutui ecc. L’articolo recitava: “La moglie non può donare, alienare beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti, senza l’autorizzazione del marito. Il marito può con atto pubblico concedere l’autorizzazione i genere per tutti o per alcuni dei detti atti, salvo a lui il diritto di revocarla”. Non molto differente era la situazione nel mondo anglosassone dove secondo la common law, una donna sposata non aveva la disponibilità dei propri beni e non poteva agire direttamente nei tribunali, ciò fino al 1882 quando venne sancito il diritto di proprietà femminile. 1.2 Polis e oikos: due sfere separate Altra realtà radicata che rese difficili e lunghe le battaglie per la parità dei diritti tra uomo e donna fu l’affermazione della società borghese con tutte le sue funzioni sociali e pubbliche, che tese a staccarsi sempre più dall’ambito domestico, luogo del privato. Nonostante fosse la madre ad occuparsi dei figli ogni giorno, in caso di separazione sarebbe stato il padre ad avere la tutela dei figli. L’attività pubblica e politica era compito dell’uomo, mentre alla donna spettava l’incombenza della gestione della casa. Facendosi più netta la divisione tra queste due realtà, si andarono ad accentuare maggiormente le diversità tra uomo e donna. L’ideologia della famiglia borghese era detta “ideologia delle sfere separate”, a cui si cercava di dare una giustificazione mettendo in campo motivazioni di carattere religioso, etico, morale e giuridico. Era il capofamiglia a dettare le regole in casa e a lui bisognava ubbidire e sottostare senza alcuna obiezione. La sua predominanza sugli altri componenti della famiglia era data dal potere che gli attribuiva la disposizione del reddito per la famiglia. Questa divisione ebbe risonanze anche in campo giuridico; ecco cosa affermava la legge americana del XIX secolo :”Il marito e la moglie sono una sola persona. Questa persona è il marito”. (Blockstore, 1853). Da ciò si possono cogliere gli ampi poteri affidati al marito e al contrario l’emarginazione della donna all’interno della società e la messa in ombra della sua identità. Inizialmente le donne accettarono l’ideologia delle sfere separate. A loro non dispiaceva affatto prendersi cura della gradevolezza estetica della casa e della prole, anzi l’essere considerate “angeli del focolare” permetteva loro di controllare le azioni dei propri mariti. In un secondo momento riuscirono ad imporre la loro influenza sulla vita di coppia. Seppur non potendo ancora agire liberamente nella sfera pubblica, la donna riuscì a determinare in modo parziale le scelte del marito, facendo ad esempio valere le sue idee in fatto di nascite e di sesso. Grazie al controllo delle nascite le donne riuscirono a diminuire il numero delle gravidanze e ridurre il carico di lavoro. Questa fu la fase del “femminismo domestico”, in cui le donne vollero rivendicare una maggiore autonomia per quanto riguardava le scelte importanti della loro vita. Avendo meno compiti da svolgere entro le mura domestiche, le donne ebbero più tempo libero che utilizzarono per frequentare istituti al fine di migliorare la propria istruzione. Così nacquero i primi collegi femminili che erano in grado di dare alle donne la preparazione necessaria ad affrontare il duro mondo del lavoro, fino ad allora monopolizzato dagli uomini. 1.3 Le donne e il lavoro Fino al femminismo domestico, che non fu certamente indolore, le donne non avevano avuto la possibilità di ricevere alti gradi di istruzione e di frequentare colleges ma neppure di aver accesso alle professioni liberali: guadagnare con un lavoro proprio non era cosa da donne dato che a loro non era concessa l’indipendenza economica. Qualora ne avessero avuto bisogno per vicissitudini essenziali avevano poche possibilità: essere accolte in qualche famiglia o fare le istruttrici. Questa era la condizione delle donne di un ceto medio – alto; diverse realtà riguardavano le altre classi. Con lo sviluppo dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione le donne emigrarono in città e trovarono impiego in mestieri legati alla servitù, nelle fabbriche o in lavori artigianali. Pur essendo riuscite a trovare lavoro non mancarono discriminazione e disuguaglianze: il lavoro aveva retribuzioni inferiori a quelle dell’uomo e veniva loro bloccata un’ ipotetica ambizione a competenze professionali più alte. Il lavoro femminile era dunque una necessità, ma non un luogo in grado di generare identità. Tra Otto e Novecento si aprirono alle donne nuove possibilità di lavoro, grazie alla modernizzazione e alla crescita degli interventi sociali. Apparvero opportunità di lavorare come commesse, impiegate nelle poste e telegrafi, maestre, segno della crescente istruzione pubblica. Il ruolo della maestra assunse grande rilevanza; molte furono le donne che si impegnarono nella creazione di scuole professionali, nell’emancipazione di ceti più svantaggiati, insegnando a leggere, scrivere e far di conto a bambini e adulti. Molte decisero e ottennero quindi di ribellarsi ai destini precostruiti per la loro appartenenza di sesso, dai costumi, dalle leggi, dalle rappresentazioni sociali dominanti. Passo successivo fu quello di voler ottenere le stesse possibilità lavorative degli uomini, in quanto le donne sostenevano di esserne completamente in grado. Le donne venivano però solamente considerate molto utili alla procreazione, ma per nulla adatte a svolgere compiti professionali. Numerose furono le opposizioni e molti studiosi tentarono di sostenere la loro opinione con motivazioni mediche e scientifiche. Per esempio lo psicologo S. Hall riteneva le donne incapaci di svolgere attività intellettuali pari a quelle degli uomini perché affette da deficienze psichiche che ne avrebbero limitato le capacità cognitive. Nonostante tali tesi le donne, nei paesi anglosassoni e scandinavi, potevano svolgere attività molto simili a quelle dei colleghi maschi, riuscendo a smentire tali tesi. Si stava assistendo ad un superamento dell’ideologia delle sfere separate. Ben presto iniziarono movimenti per l’emancipazione femminile non più soltanto a livello di diritto all’uguaglianza, ma anche a livello politico e sociale. Il manifesto dell’emancipazione femminile fu la “Dichiarazione dei sentimenti” e venne scritto nel convegno tenuto a Seneca Falls (New York) nel 1848, in cui si incontrarono donne impegnate nella lotta per l’abolizione della schiavitù e nell’affermazione dei diritti negati al proprio sesso. Queste rivendicavano il diritto di voto, la responsabilità del proprio patrimonio, dei propri beni, la responsabilità civile, l’ accesso alle professioni e il superamento delle differenze di valutazione del comportamento morale degli uomini e delle donne ( per fare un esempio venivano puniti in modo differente l’adulterio femminile e quello maschile). Il superamento delle barriere era sicuramente un processo lungo. Le prime a cadere furono quelle relative all’accesso all’istruzione e, solo in parte, alle professioni; infatti aver conseguito la laurea in giurisprudenza non voleva affatto dire che l’avvocatessa avrebbe poi potuto esercitare la sua professione, come accadde a Lydia Poet, prima laureata in tale materia nel 1881, a cui una sentenza della procura di Torino impedì l’avvocatura. Per spiegare questa ennesima negazione venivano apportate giustificazioni secondo le quali gli sbalzi umorali dovuti alle mestruazioni mensili delle donne avrebbero potuto compromettere il giudizio e, quindi, le donne non erano adatte a svolgere tale lavoro. 1.4 I diritti della cittadina Già nel corso della Rivoluzione francese apparvero testi che rivendicavano uguali diritti. Il più noto è la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina da Olympe de Gouges sul modello della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino. Alla parola uomo venne affiancata articolo per articolo la parola donna, rompendo l’idea di un’universalità riservata in realtà a un solo sesso. Ecco cosa enunciano alcuni articoli: • Art. 1:”La donna nasce libera e resta uguale all’uomo nei diritti. Le distinzioni possono essere fondate solo sull’utilità comune.” • Art. 4:”La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto quello che appartiene agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come limiti solo la tirannia perpetua che l’uomo le oppone; questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione. […]” • Art. 6:” La legge deve essere l’espressione della volontà generale; tutte le Cittadine e i Cittadini devono concorrere personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; essa deve essere la stessa per tutti: tutte le cittadine e i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammissibili a ogni dignità, posto e impiego pubblici secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che quelle delle loro virtù e dei loro talenti.” Da tali articoli emerge sicuramente un evidente passo in avanti, l’aver riconosciuto, perlomeno su base cartacea, una certa parità tra uomo e donna. Certo è però che non basta l’entrata in vigore di una nuova legge per cancellare convinzioni formatesi e andate radicandosi nel corso degli anni; proprio per questo sarebbe servito del tempo per accettare questa nuova condizione di uguaglianza ed eliminare pregiudizi infondati e tesi ingiuste nei confronti del mondo femminile. Nonostante le belle parole dei tre articoli precedenti ancora lontano era il riconoscimento del diritto di voto. 1.5 Il suffragismo Il diritto più difficile da ottenere fu quello di voto attivo e passivo, cioè la possibilità di votare ed essere votati. All’inizio del Novecento la battaglia per estendere il diritto di voto alle donne divenne centrale. Per convincere l’opinione pubblica a fare pressione sui parlamenti, le donne diedero vita ad un vero e proprio movimento fatto di appelli, campagne, manifestazioni e marce. Le esponenti della parte più radicale del movimento vennero chiamate “suffragette”. Le suffragette ritenevano che dopo tanti tentativi falliti non si poteva più procedere con una battaglia parlamentare, ma era necessario ricorrere a metodi dall’impatto più forte come iniziative di interruzione dei comizi o altri atti di ribellione, che avrebbero creato disguidi e avrebbero maggiormente toccato la parte da sensibilizzare. Già nel 1894 le donne inglesi avevano ottenuto il diritto di voto a livello locale. Quando però il parlamento inglese cominciò a discutere una legge per l’estensione di voto, suffragiste e suffragette diedero inizio alle manifestazioni più imponenti e intensificate. Non si trattava di semplici movimenti d’opinione, ma di un vero e proprio movimento politico. Molti furono gli arresti, ma le donne, nonostante incarcerate, non si diedero per vinte e iniziarono lo sciopero della fame. Per far fronte ad estreme conseguenze il governo liberale di lord Asquith, antisuffragista convinto, varò una legge che stabiliva l’alimentazione forzata e la scarcerazione. Polemicamente questa venne chiamata “Cat and Mouse Act”, cioè la legge del topo e del gatto, perché non appena rimesse in libertà queste donne perseveravano con le loro azioni, venivano nuovamente arrestate, ricominciavano lo sciopero della fame, venivano ancora una volta sottoposte all’alimentazione forzata e di nuovo rilasciate. Solo una cosa non veniva però rimossa: la privazione del diritto di voto. Le resistenze all’esercizio dei diritti delle donne furono molte. Le forze conservatrici si opponevano perché da una parte rifiutavano i processi di democratizzazione che si erano avviati nelle società di massa, dall’altra continuavano a proporre una divisione tra i sessi, nella quale alle donne spettava la cura dell’ambito domestico. Le forze liberali e democratiche sostennero l’emancipazione femminile in nome dell’universalità dei diritti, anche se al loro interno non pochi furono gli oppositori. I socialisti invece in un primo momento pensarono che il voto delle donne avrebbe riguardato i ceti benestanti, successivamente pensarono che il voto femminile avrebbe favorito i partiti conservatori e volle quindi astenersi dal condurre una battaglia per il voto alle donne. Non si può tuttavia parlare di una decisione unanime, in quanto le divisioni all’interno del partito rimasero notevoli. Anna Kuliscioff, autorevole dirigente del partito, rimase sola nella sua battaglia politica volta a collegare l’impegno per la tutela delle condizioni delle donne lavoratrici a quello per l’estensione dei loro diritti politici. 2 Angeli del focolare in guerra Quando scoppiò la guerra nelle case rimasero soltanto i vecchi e le madri con i figli a cui badare. La macchina di propaganda degli interventisti di tutte le categorie martellava le truppe femminili per stimolarle al massimo, stando ben attenti a non dimenticare e danneggiare il vecchio rapporto subordinato. Si arrivò anche all’esagerazione e al ridicolo; ecco un esempio di discorso di una militante futurista, Valentina De Saint Pont: “ Si lasci daccanto il femminismo. Il femminismo è un errore cerebrale della donna, un errore che il suo istinto riconoscerà. Non bisogna dare alle donne nessuno dei diritti reclamati dal femminismo… La donna deve abbandonarsi all’istinto, stimolare gli uomini alla guerra, alla lotta violenta col gusto sadico della crudeltà, per farsi stuprare dai vincitori e procreare così degli eroi. All’umanità dovete degli eroi. Dateglieli!”. Le donne dell’alta borghesia erano entusiaste della guerra: esse vedevano forti vantaggi economici nell’esito del conflitto, derivanti dall’apertura di nuovi mercati, in più erano consapevoli del fatto che, nella maggioranza dei casi, i loro mariti non sarebbero andati in guerra in quanto, rivestendo cariche come dirigenti industriali, tecnici, nobili di grande influenza politica, erano necessari al fronte interno. I giornali dell’epoca, quali “Corriere della Sera”, “Giornale d’Italia”, “Resto del Carlino”, erano interventisti, appartenevano a gruppi industriali e finanzieri e fecero il possibile per diffondere entusiasmo bellico anche nelle donne dei ceti inferiori. In loro però non riuscirono a far nascere un pensiero positivo verso la guerra. Esse sapevano che la guerra non avrebbe portato loro nulla di buono, e anzi avrebbe lasciato dietro sé solo fosse comuni, vedove e orfani pieni di un dolore atroce. Ecco due canti che esprimono la paura della guerra :”E anche al mi’ marito tocca andar/ a fa’ barriera contro l’invasore/ ma se va a fa’ la guerra po’ ci more / rimango sola con quattro creature”; “Vittorio che comandi il re dei regni/ oh quanta gente mandi a macellar!/ Se vuoi soldati fatteli di legno/ ma quel biondino lasciamelo star”. Nella dolorosa e logorante guerra le donne si armarono di forza e coraggio e si buttarono nelle enormi difficoltà che la guerra andava creando sul fronte interno. Il trasferimento di centinaia di migliaia di uomini al fronte crearono grossi vuoti che minacciarono di bloccare la vita del Paese. Tuttavia la macchina produttiva continuò a marciare grazie al lavoro delle donne che, seppur venendo da un contesto domestico, non si lasciarono intimidire da quei moderni e tecnologici macchinari da manovrare. Migliaia di donne presero il posto dei campanari, dei medici, dei cancellieri di tribunale, dei tassisti, dei telegrafisti, dei maestri, degli infermieri, dei cantonieri… Oltre alle lunghe e pesanti ore lavorative dovevano ugualmente occuparsi di casa e famiglia, con le dolorose preoccupazioni dei cari in guerra. L’indice della manodopera presente nei campi salì a 6 milioni di unità, fatto che dimostra perché tra gli anni 1915-1918 la produzione agricola non scese mai sotto il 90% del totale prima della guerra; la percentuale delle operaie, che lavoravano anche come commesse militari, impegnate nell’industria tessile aumentò del 60%; negli uffici c’erano 50 donne su 100 impiegati; le 651.000 donne che già nell’aprile del 1916 lavoravano nel settore dell’industria aumentarono, nell’ottobre dello stesso anno, a 972.000, nel gennaio del 1917 salirono a 1.072.000 e tre mesi dopo superarono largamente il 1.240.000; nel settore della produzione bellica la presenza femminile passò da 23.000 a 200.000 unità. Moralisti e conservatori dell’epoca assistettero a questa rivoluzione e a questo enorme incremento dell’attività lavorativa femminile con profondo orrore. Un lavoro come la donna-spazzino era ancora accettabile, poiché richiamava le faccende domestiche proprie della sfera femminile, ma costoro proprio non riuscivano ad accettare la donna-postino, la donna-tramviere, adducendo motivazioni quali “le donne sono curiose e ti leggono la posta”, oppure “se la donna fa il bigliettaio è certamente di facili costumi e sparge il microbo della lussuria fra i passeggeri scrupolosi”. Queste persone moraliste e corrette però, non si scandalizzarono affatto quando vennero inviati al fronte numerosi gruppi di prostitute incaricate di tener alto lo stato d’animo dei combattenti. 2.1 Le prime grandi proteste Il peso della situazione divenne via via sempre più pesante. L’angelo del focolare si trovò al doversi assumere tutte le responsabilità del paterfamilias, oltre a dover pensare a figli e casa. La moglie del soldato si trovava in una condizione veramente critica e per far fronte a queste due responsabilità dovettero sottoporsi a duri sacrifici. I sussidi passati dallo Stato e i salari da loro stesse guadagnati aumentavano molto lentamente, rispetto alla rapidità con cui cresceva il costo della vita. Molte donne andavano a caccia di viveri, raccoglievano erbe, bucce di piselli, facendo di tutto per render quel che trovavano “appetitoso” e mettere qualcosa in tavola. Le donne costrette a lavorare otto o anche dieci ore al giorno, come contadine e impiegate, non potevano certamente, avendo giornate frenetiche, andare a caccia di viveri. Quadruplicò il prezzo della carne, quintuplicò quello dei fagioli secchi, il costo di un chilo di lana nel 1917 era di 40 lire mentre nel 1914 pagava solo 30 lire. Trovandosi in una condizione giunta al limite della sopportazione, le donne iniziarono le prime grandi proteste. Nell’agosto del 1915 esse fermarono le macchine e incrociarono le braccia nelle fabbriche tessili di Milano, nel Novarese successe la stessa cosa il novembre successivo. Impiegate, operaie di qualsiasi si astennero dal lavorare, andarono a reclamare sotto le finestre dei municipi gli aumenti dei miseri sussidi, che teoricamente avrebbero dovuto sostituire il salario guadagnato dal marito prima di partire per la guerra e formarono affollati cortei lungo le strade delle città italiane per protestare contro gli aumenti dei prezzi. 2.2 Dopoguerra e diritto di voto alle donne Le donne riuscirono a dare una grande prova di forza, riuscendo così a mutare i confini delle divisioni di sesso, facendoli divenire più labili, poiché queste si sottoposero a sacrifici che, a parte il rischio della vita, non furono minori di quelle sei soldati e sopportarono come gli uomini le sofferenze provocate dalla guerra. Molti si resero conto che “donna è uguale a uomo” e da questa presa di coscienza iniziò, anche se lentamente, la decadenza della società patriarcale. Nell’immediato dopoguerra tutti i paesi si posero il problema di un nuovo stato giuridico per le donne e del riconoscimento a esse della cittadinanza politica, dato che, oltre alla grande capacità di dar forza-lavoro, dimostrarono coscienza critica, capacità di reazione nei confronti di uno Stato incapace di dare giustizia sociale. Era molto difficile negare i diritti da loro richiesti, dopo che ebbero dimostrato con i fatti di essere cittadine. Il Representation of the People Act, divenuto legge il 6 febbraio del 1918, stabilì il diritto di voto a milioni di donne inglesi con più di trent’anni di età. Seppur con limiti evidenti, dato che gli uomini potevano votare a partire dal ventunesimo anno di età, le donne inglesi avevano ricevuto una prima importante vittoria dopo numerose lotte per il diritto di voto. L’anno successivo il Sex Disqualification Act ammise le donne a tutte le funzioni civili. 2.3 La diffusione del diritto di voto Ancor prima dell’Inghilterra, già in alcuni paesi il voto era diventato un diritto universale; tra questi vi erano ad esempio la Nuova Zelanda nel 1893, la Norvegia nel 1901, la Danimarca nel 1915. Il successo della rivendicazione del suffragio fu molto significativo, anche se vide esclusi, ancora per qualche decennio, molti e importanti stati europei come Francia, Italia e Spagna. Il 2 aprile 1918, in Italia, durante la riunione del consiglio dei ministri, Vittorio Emanuele Orlando, liberale, sostenne, almeno in linea di principio, che bisognasse riconoscere alle donne il diritto di partecipazione alle elezioni. Egli disse:”Per quanto riguarda il voto, ero contrario nel mio libro giovanile, ora sono venuto mutando opinione… Non tanto è mutata opinione, quanto sono mutati i tempi… La donna di tipo patriarcale, figura incapsulata nella famiglia, non aveva bisogno del voto elettorale; il suo voto, se madre, si confondeva con quello del figlio; se figlia con quello del padre; se moglie con quello del marito, ma ora che, sotto la pressione di una evoluzione sociale sempre più incalzante, abbiamo il fenomeno sociale del lavoro femminile, ora che alle falangi dei lavoratori si aggiungono falangi di lavoratrici, ora dico di aver cambiato opinione”. Qualche anno dopo l’opinione di Orlando sarebbero state soltanto un ricordo di pochi democratici. Una volta al potere, Mussolini, duce del fascismo, avrebbe deciso di assegnare alla donna il ruolo di “fabbricante” dei legionari che avrebbero dovuto costruire il “nuovo impero romano”. Il processo evolutivo della società femminile sarebbe passata ad una fase di blocco. La fiamma rimase comunque accesa e inseguito alla caduta del fascismo, avvenuta dopo la seconda guerra mondiale, avrebbe acceso una grande vittoria; infatti nel 1946 le donne italiane ebbero il diritto di voto. 3 Il femminismo contemporaneo Negli anni sessanta, le donne continuarono a vivere la discriminazione legata alla visione tradizionale dei ruoli dei sessi. Le donne decisero quindi di non concentrarsi solamente sulla questione parità dei diritti, ma di iniziare a riflettere anche su qualcosa di più profondo, che mirasse a valorizzare la specificità e le doti femminili, che andavano a costituire un modo alternativo di guardare la vita, assolutamente non subordinato all’uomo. I diritti dovevano essere uguali per tutti e mettere sullo stesso piano maschi e femmine in quanto cittadini e cittadine, ma le donne dovevano mostrare le loro qualità, che appartenevano inevitabilmente ad un mondo differente da quello dell’uomo. Tutto ciò, fra gli anni sessanta e settanta, portò le donne ad un’attiva mobilitazione del movimento femminile, che riuscì ad ottenere conquiste sul piano legislativo. Il femminismo non concluse qui la sua esperienza: gli obbiettivi del movimento si diffusero in vaste aree del pianeta e avrebbero mirato alla rivendicazione di un nuovo ruolo per le donne. 3.1 Parità e soggettività autonoma Le donne, veramente stanche di essere discriminate, ripresero la loro rivolta femminile e proprio Rivolta femminile fu uno dei più importanti gruppi del femminismo italiano, che fin dall’inizio pose al centro la questione dell’”autocontrollo”. Con questo termine si indicavano la rivisitazione e l’analisi della propria vicenda esistenziale, tornando a rivedere l’esperienza storica femminile, dando significato politico all’antica pratica sociale del parlare tra donne. Le donne si rifiutavano di adottare modelli di vita ereditari, volevano poter decidere se dedicarsi esclusivamente alla famiglia, se affiancare ad essa una professione o se rinunciare al ruolo di mamma per seguire un percorso di successo sociale; volevano quindi un’identità più libera, diversa dal passato e diversa da quella maschile. Al centro del nuovo movimento non c’era più il diritto di cittadinanza, che perlomeno era stato loro riconosciuto, ma l’affermazione di un soggetto differente che voleva trovare piena possibilità di espressione. Attraverso la produzione e la diffusione di autobiografie, articoli di giornale, manifesti e saggi, le donne puntarono a farsi conoscere. Ecco di seguito il manifesto diffuso come foglio volante a Roma nel 1970, in cui è possibile cogliere il senso del nuovo femminismo. “«Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un corpo unico?» (Olympe De Gouges, 1791). La donna no va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo di scoperta di sé da parte della donna. La donna è altro rispetto all’uomo. L’uomo è altro rispetto alla donna .L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire alla donna ai più alti livelli. Identificare la donna all’uomo significa annullare l’ultima via di liberazione. Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza.” Le donne scelsero di adottare ironia e far ricorso all’ inventiva per riuscire a superare pregiudizi e limiti della mentalità corrente; inoltre, come già era successo con la figura delle suffragette, puntarono a distinguersi dall’immagine tradizionale e rassicurante della donna come figlia, moglie e madre adottando immagini creative come la strega. (In una foto del 1977 si può notare un cartellone con scritto “ tremate tremate le streghe son tornate”). 3.2 Effetti sul piano legislativo In Italia l’emergere di questi movimenti portò ad un’accelerazione del compimento di processi che avevano alle spalle anni di storia scandita da mutamenti legislativi che avevano segnato la vicenda della cittadinanza sociale e politica delle donne italiane. Ambiti di intervento privilegiato furono il superamento della condizione di inferiorità nella famiglia, dato che per legge la moglie era soggetta al marito, l’affermazione dell’uguaglianza morale (da ricordare sono infatti le maggiori punizioni legate all’adulterio femminile, come se quello maschile fosse più giustificabile), l’affermazione dell’uguaglianza giuridica dei coniugi, il diritto al lavoro e la parità salariale. Nel 1960 venne decretato il diritto ad una retribuzione uguale e nel1963 le donne ebbero la possibilità di accedere alla magistratura. Nel corso degli anni settanta si succedettero una serie di leggi che sancirono l’eliminazione di ogni forma di discriminazione tra uomini e donne nel lavoro e una forma di diritto di famiglia che regolava la parità del rapporto tra coniugi. Negli anni settanta altro punto molto importante su cui si concentrarono le donne fu quello delle libertà personali e dell’autodeterminazione rispetto al proprio corpo. Slogan della grande manifestazione tenuta a Roma fu “Riprendiamoci la notte”; le donne volevano con questo rivendicare la libertà di movimento a qualunque ora senza che il loro corpo venisse violato. 3.3 Il movimento si diffonde Chi meglio di donne che avevano per lunghi anni sofferto e lottato per ottenere parità di diritti e maggiore comprensione, per far conoscere le loro qualità ripetutamente messe in dubbio, ebbene chi meglio di loro poteva comprendere altre persone a cui veniva negata la parità per la differenza di colore razza e cultura? Fu così che il femminismo si intrecciò ai movimenti postcoloniali, volti a mettere in discussione i punti di vista della cultura bianca e occidentale, per affermare la soggettività di coloro che erano rimasti ai margini e avevano vissuto la schiavitù e la colonizzazione. Al tempo stesso si pose anche in evidenza la questione del riconoscimento della libertà di scelta e di preferenze sessuali. La diffusione a livello mondiale del movimento, scandita dai grandi incontri di Città del Messico (1975), Nairobi (1985), Pechino (1995), in cui si incontrarono migliaia di donne provenienti da diversi paesi, portò alla nascita di reti internazionali autonome e all’elaborazione di percorsi specifici per superare le discriminazioni e far sentire la propria voce in un mondo pieno di ingiustizie e segnato da disuguaglianze e dalle struggenti guerre del passaggio del secolo. Nel 1995 a Pechino si tenne la IV conferenza mondiale sulle donne, promossa dall’Onu. Numerosi furono i diritti riconosciuti, tra cui il diritto alla libertà di pensiero, religione, opinione e a vivere secondo la propria aspirazione; si rese omaggio a quante donne aprirono la strada e si garantì la piena realizzazione dei diritti fondamentali delle donne e delle bambine, in quanto parte inalienabile, integrante e indivisibile di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali. Il punto 13 della Dichiarazione affermava che il rafforzamento del potere di azione delle donne e la loro piena partecipazione su basi paritarie a tutti i settori della vita sociale, sono fondamentali per il raggiungimento dell’uguaglianza, dello sviluppo e della pace. 3.4 Altra strada da percorrere Come si è visto molto è stato fatto, ma si potrebbe contribuire a costruire una reale società integrata tra uomo e donna che sia fondata su maggiore rispetto e uguaglianza. Bisognerebbe anche meglio interpretare il termine uguaglianza. Nelle carceri degli Stai Uniti ad esempio, a causa di una scorretta visione di essa, vengono applicati senza alcuna distinzione strumenti di costrizione sia a uomini sia a donne, senza tener conto che queste ultime, magari incinte, rischierebbero l’aborto. Tutto ciò non è uguaglianza ma forse una sottile forma punitiva. Grandi donne con impeto, forza e determinazione, riuscirono a svolgere attività considerate allora prettamente maschili. Tali donne dimostrarono con i fatti di non meritare una condizione subordinata, ma piuttosto di essere all’altezza dei nuovi compiti, di cui per giunta si fecero carico in un momento molto difficile. Nessuna deficienza, nessuna predisposizione naturale allo svolgimento di lavori pratici invece che astratti era propria del mondo femminile. Tesi come quelle dello psicologo S. Hall furono smentite e continuano ad essere negate da importanti donne della scienza, dottoresse, avvocatesse, premi nobel… Alle donne del XXI secolo pertanto non resta che proseguire su questa strada cercando, con il passare del tempo, di renderla migliore. Valentina Pasquali FEMMINISMO CONDIZIONE DELLA DONNA NELLA STORIA ANTICA GRECIA Nella Grecia omerica la donna rivestiva un ruolo molto importante, infatti tanto nelle battaglie quanto tra le mura domestiche ella rappresentava un punto di riferimento per il pater familias. Tuttavia, la donna non godeva di diritti politici (né passivi né attivi) e non era oggetto di legislazione giuridica; alle donne era persino vietato assistere a qualsiasi manifestazione pubblica. Ad Atene, in particolare, esse non potevano praticare qualsiasi attività sportiva. Secondo un'antica tradizione si diceva addirittura che, se mai una donna avesse praticato una qualche attività sportiva, grandi sventure sarebbero arrivate in seguito a tutto il genere femminile. Ciò conferma la condizione di inferiorità cui era soggetta la donna nella società greca. Il tragediografo Euripide fa dire a Medea, nella sua omonima tragedia: « ... l’uomo, quando si è stufato di vivere con quelli di casa, se ne va fuori e pone fine alla nausea che ha in cuore, recandosi da un amico o da un coetaneo. Noi invece siamo obbligate a guardare a un’unica persona. Dicono che noi trascorriamo la vita senza rischi in casa, mentre loro combattono con la lancia, ma si sbagliano: vorrei essere schierata in battaglia tre volte, piuttosto che partorire una sola volta! » ROMA ANTICA La donna nel mondo romano godeva, invece, di una relativa emancipazione rispetto al mondo greco. Infatti, a Roma entrambi i genitori avevano pari obblighi nei confronti dei figli e la donna poteva accompagnare il marito ad una festa. Tuttavia, in campo giuridico esse non avevano il diritto di accedere alle magistrature pubbliche. Nel campo del diritto privato era inoltre negata alle donne la patria potestas, prerogativa esclusiva del pater. Da Gaio apprendiamo che alle donne, con l'eccezione delle Vestali, non era consentito in epoca arcaica di poter fare testamento. Tale ultima limitazione venne però abrogata già in epoca repubblicana. LA DONNA NELLA BIBBIA Il messaggio cristiano contenuto nel Nuovo Testamento giunge ad equiparare uomo e donna. Gesù predicava infatti alle donne come agli uomini, dei miracoli narrati nei Vangeli ne beneficiavano tanto le donne quanto gli uomini, esse erano protagoniste delle parabole allo stesso modo degli uomini, e infine Gesù appare dopo risorto alle donne prima che agli uomini. La donna assume quindi importanza rispetto alla sua posizione nel passato. MEDIOEVO Con l'arrivo dei barbari Franchi e Longobardi in Italia, la condizione della donna peggiora. Essa è infatti un oggetto nelle mani del padre, finché questi non decida di venderla ad un uomo. Il Cristianesimo medioevale impose la sottomissione della donna all'uomo, ma la considerò importante in quanto doveva crescere spiritualmente i figli. Con l'inquisizione la condizione femminile peggiora notevolmente, in quanto alcune donne vennero ritenute rappresentanti del Diavolo sulla Terra (le cosiddette streghe), capaci di spingere, con ogni mezzo, l’uomo al peccato. Tuttavia, dopo il 1000, con l'avvento del dolce stil novo, la donna venne angelicata e considerata fonte di nobilitazione d’animo e tramite tra Dio e l'uomo. Si pensi alla Beatrice dantesca o alla Laura petrarchiana due icone della letteratura trecentesca che nobilitano la donna fino ad elevarla ad una condizione celestiale. ETA’ MODERNA: I PRIMI PASSI VERSO L’EMANCIPAZIONE SETTECENTO Fino alla rivoluzione francese la condizione della donna rimase pressoché invariata soprattutto da un punto di vista legislativo, infatti esse non godevano degli stessi diritti degli uomini. Nelle legislazioni di tutti paesi europei esse, fino al matrimonio, erano obbligate ad obbedire al padre; con il matrimonio passavano sotto l’autorità del marito. Ciò aveva gravi conseguenze sulla vita delle donne: esse non potevano amministrare i propri averi, che erano gestiti dai padri, dai mariti o, in mancanza di questi, dai fratelli o da altri parenti maschi, erano escluse da quasi tutti gli impieghi pubblici e non potevano partecipare a nessun organismo rappresentativo. Nel corso del ‘700 e con l’avvento dell’illuminismo le cose, seppur lentamente, cominciarono a cambiare. Le idee rivoluzionarie di egalité, fraternité et liberté infervorarono gli animi degli uomini e delle donne e quest’ultime, in particolare, cominciarono a riunirsi nei salotti dando vita ai caffè letterari. Non va taciuto, in questo senso, il ruolo che le “preziose” rivestirono nella storia dell’emancipazione femminile. I salotti erano una vera e propria congerie di artisti, letterati, pittori, intellettuali anche stranieri che discutevano con spirito leggero di linguistica, musica, arte e letteratura. I salotti di Madame de Rambouillet e Madeleine de Scudéry furono dei veri e propri trampolini di lancio per l’evoluzione della donna nella società. A partire da questo momento esse trovarono il coraggio di uscire dal luogo chiuso del salotto e diffondere le loro idee pubblicamente specialmente nei primi anni della Rivoluzione Francese. Dal movimento delle preziose presso le famiglie aristocratiche e borghesi, si cominciò a delineare sempre più l’idea di istruire le ragazze affinché potessero partecipare alle “riunioni letterarie” sebbene l’istruzione a esse riservate era inferiore rispetto a quella garantita ai figli maschi. Una buona moglie, infatti, doveva non solo fare tanti figli, ma anche far bella figura in società, quindi saper intrattenere gli ospiti con una conversazione sufficientemente colta e brillante. Tra le classi meno agiate si era invece diffusa, soprattutto nelle città, la pratica del lavoro femminile: molte donne, oltre a occuparsi della casa e dei figli, sempre più spesso si dedicavano anche a lavori fuori di casa ( lavandaia, serva, cucitrice). Ciò permetteva loro non solo di integrare lo stipendio del marito, ma anche di avere una propria vita autonoma al di fuori della famiglia. OTTOCENTO La prima metà dell’Ottocento si chiuse con un importante conquista per le donne: la Dichiarazione dei sentimenti. Questo vero e proprio manifesto politico della lotta per l’emancipazione femminile venne elaborato nel corso di un convegno che ebbe luogo a Seneca Falls, nello stato di New York, nel 1848. In questa occasione Elizabeth Cady Stanton formulò la Dichiarazione dei principi una dichiarazione dei diritti delle donne all'eguaglianza, una vera e propria “rivoluzione culturale” attraverso cui le donne avrebbero maturato una nuova coscienza della loro condizione e dei loro diritti. Vi si affermava che uomini e donne sono eguali e «dotati dal loro Creatore di diritti inalienabili; che tra questi vi sono la vita, la libertà, il perseguimento della felicità». Il governo deve garantire al popolo tali diritti e, qualora non lo facesse, «è diritto di quelli che ne soffrono di rifiutargli obbedienza e di insistere per istituire un nuovo governo»."Nell'iniziare il lavoro che ci aspetta" così chiudeva la dichiarazione "sappiamo in anticipo che non ci saranno risparmiati né la diffidenza, né il disprezzo, né il ridicolo: ma dobbiamo usare ogni strumento in nostro potere per raggiungere il nostro scopo". Queste parole furono la profezia di quello che sarebbe avvenuto in seguito, da quel momento, infatti, la vita delle donne non fu semplice. Si cercò subito di colpire il nuovo movimento con le frecciate dell'ironia, chiamando sprezzantemente le sue aderenti "femministe" o "suffragette", perché chiedevano il "suffragio universale", ossia il voto anche per le donne. Contro di loro si accanirono soprattutto i disegnatori umoristici, che le rappresentarono come ridicole, scatenate, goffe e brutte. Eppure alcune pagarono con la vita la loro lotta per una società più giusta, e altre persero la salute a causa dei ripetuti scioperi della fame a cui ricorsero nei periodi più duri. Con la Dichiarazione dei principi si cominciarono ad affrontare delle questioni che sarebbero rimaste irrisolte fino ai giorni nostri e, in particolare, il problema dei diritti negati alle donne, tra cui il diritto di voto, la responsabilità patrimoniale e civile, l’accessibilità al lavoro e all’istruzione, la differente valutazione del comportamento morale degli uomini e delle donne. RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE E CIVILE Tra le responsabilità maschili e femminili si era creato un grande distacco. Infatti le funzioni sociali e pubbliche tesero a separarsi dall’ambiente domestico, considerato il luogo del privato. Ne conseguì una visione complementare della relazione tra i sessi: gli uomini avevano il compito principale di interessarsi alla sfera pubblica che comprende anche la politica; le donne dovevano occuparsi della casa e dei figli. In realtà si tratta di una divisione impari, a vantaggio del sesso maschile. Infatti il valore attribuito ai compiti svolti da esso era senza dubbio maggiore in quanto la sfera pubblica aveva maggiore importanza di quella privata. Inoltre anche all’ interno della casa la legge privilegiava l’autorità maschile. Secondo la common law che vigeva in Inghilterra, una moglie non poteva amministrare il proprio patrimonio o muoversi direttamente nei tribunali fino al 1882, cioè fino all’approvazione del Married Women’s Property Act,che sanciva il diritto di proprietà femminile. Nei paesi del diritto latino vigeva l’istituto dell’autorizzazione maritale. La moglie non poteva perciò comprare o vendere beni e avviare imprese senza l’autorizzazione scritta del marito, comunque revocabile in qualsiasi momento. Secondo questo documento, tratto dal Codice Civile italiano, in vigore dal 1865 al 1919, “la moglie non può donare, alienare beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti senza l’ autorizzazione del marito. Il marito può con atto pubblico concedere l’ autorizzazione in genere per tutti o per alcuni dei detti atti, salvo a lui il diritto di revocarla.” IL LAVORO E L’ISTRUZIONE Riguardo al lavoro bisogna distinguere tra le donne appartenenti ai ceti medi e medio-alti e quelle che fanno parte delle classi più povere. Le donne delle famiglie più benestanti, mantenute dai mariti, non dovevano preoccuparsi di trovare un lavoro al di fuori della casa. Ciò sarebbe stato considerato riprovevole, perché avrebbe significato un loro degradamento al livello delle “donne del popolo” e l’insinuare che il padre o il marito non erano in grado di mantenerle, gettando su di essi discredito. Le mogli dovevano inoltre affrontare numerose gravidanze, spesso rischiando la vita, considerando la tecnologia medica dell'epoca, che servivano a perpetuare la trasmissione del nome e dei beni di famiglia agli eredi maschi: la nascita di una femmina veniva tradizionalmente considerata una disgrazia. Dopo aver dato alla luce i propri figli esse si preoccupavano solamente delle fasi iniziali della loro educazione, poi questi venivano affidati ad istruttrici, mentre le madri si dedicavano a passatempi come la cucina e il ricamo, per valorizzare e migliorare l’estetica della propria abitazione. Per questo motivo la rappresentazione della donna nella società borghese veniva espressa nella figura dell’“angelo del focolare”. L’istruzione femminile era perciò finalizzata allo svolgimento di questi compiti. Per usanza e talvolta per legge le donne non avevano quindi accesso ai gradi alti dell’istruzione o a professioni liberali. Diversa è la situazione in cui si trovavano le donne appartenenti ai ceti più bassi. Il loro lavoro era infatti legato alla sopravvivenza della famiglia e il loro stipendio era integrativo a quello del marito. In tutto l'arco del XIX secolo, con lo sviluppo dell’industrializzazione e dell’ urbanizzazione, si assisté ad un sempre più intenso spostamento di grandi masse di persone dalla campagna alle periferie delle città dove sorgevano nuove fabbriche. I vecchi laboratori artigianali, su cui spesso si era fondata la sussistenza di intere famiglie, vennero in parte abbandonati perché incapaci di sostenere la concorrenza della grande manifattura, dove lavoravano, accanto agli uomini, anche le donne e i bambini. Al tradizionale mercato degli oggetti si aggiunse, quindi, il così detto "mercato del lavoro", dove uomini e donne entrarono in concorrenza tra di loro. Tuttavia il lavoro femminile era meno retribuito ed era bloccato lo sviluppo di competenze professionali più alte. Un'attività intellettuale era resa difficile, oltre che dal generale scetticismo riguardo alle loro effettive capacità, dalla loro istruzione incompleta, perché, come nel caso delle donne appartenenti ai ceti medioalti, esse non avevano diritto di accesso alle scuole superiori e perciò anche all'esercizio delle professioni liberali. Tra Otto e Novecento si aprirono altre possibilità per la vita delle donne: apparvero così commesse e impiegate in poste o telegrafi. Con la crescita dell’istruzione pubblica nacque la figura della maestra, appartenente soprattutto alle classi medie. Se dunque tutte le donne, indipendentemente dalla loro connotazione sociale, vivevano una condizione di discriminazione, l'appartenenza a classi sociali diverse produceva problemi ed esigenze differenti e perciò distinti programmi di rivendicazione. Le donne operaie, direttamente impegnate nel lavoro di fabbrica, fecero confluire la loro protesta all'interno delle rivendicazioni del movimento operaio, dal quale - quindi non si distinsero; le donne della classe media, che invece non erano generalmente inserite nel mondo del lavoro ma del quale volevano far parte, produrranno un movimento d'opinione formato di sole donne. Nell'Ottocento nacquero pertanto due distinte correnti: il femminismo liberale, che ha nella conquista dei diritti civili il suo principale obbiettivo, e il femminismo socialista, che punta a rivendicazioni sindacali e vede nella rivoluzione e nella conseguente instaurazione di una società socialista la condizione necessaria per realizzare una reale, e non solo formale, liberazione delle donne. FEMMINISMO LIBERALE Un contributo importante alla nuova idea di femminismo liberale che si andava delineando in questo periodo è stato fornito da Harriet Taylor Hardy e da suo marito John Stuart Mill. La prima, infatti nel saggio “L’emancipazione delle donne” (1851) e il secondo ne “L’asservimento delle donne” (1861) discutono apertamente sulla questione femminile. In primo luogo i due filosofi legano la questione della donna e quindi tanto l’emancipazione quanto l’asservimento di esse al matrimonio infatti se Mill afferma che l’indissolubilità del matrimonio è la chiave di volta dell’attuale destino della donna, la Taylor sottolinea come le donne siano "educate a guadagnarsi da vivere sposandosi". Esse infatti vengono istruite in funzione del passaggio dalla famiglia d'origine a quella del marito, e la transizione tra le due condizioni avviene tramite un contratto l'ignoranza delle cui condizioni è alla base del contratto stesso (Sul matrimonio). Inoltre la Taylor, premesso il diritto naturale di ogni essere umano che viva in società a esprimere liberamente le sue capacità, osserva che l'esercizio del potere politico conquistato dagli uomini ha provocato la condizione di sudditanza in cui le donne hanno vissuto e vivono nelle società che si sono succedute nella storia dell'umanità. L'emancipazione della donna sarà possibile quando essa potrà godere degli stessi diritti concessi all'uomo - all'istruzione, all'esercizio delle professioni, alla partecipazione amministrativa e politica - che però le sono ancora negati. Le opere di questi due grandi filosofi portarono alla concessione nel 1870, sempre in Gran Bretagna, dei diritti di proprietà alle donne sposate. In seguito furono introdotte le leggi sul divorzio, sul mantenimento e sul sostegno nella cura dei figli, e la legislazione del lavoro introdusse i minimi salariali (cioè il salario minimo che doveva essere pagato per un certo lavoro) e i limiti relativi all'orario di lavoro. FEMMINISMO SOCIALISTA Negli stessi anni in cui nasceva e si sviluppava il femminismo liberale si andava diffondendo anche il femminismo socialista che si rifaceva, invece, al concetto di classe di Karl Marx . Infatti molti sostengono che Marx abbia aperto le porte al cammino di liberazione della donna. Infatti, egli ha spiegato le origini dell’oppressione della donna e la sua relazione con un sistema di produzione basato sulla proprietà privata, inoltre egli ha sottolineato il fatto che la donna una volta liberata dalla “servitù domestica” ossia da tutte le responsabilità che ha all’interno della famiglia come l’educazione dei figli,l’alimentazione,l’abbigliamento ecc.. può coltivare le proprie capacità come membro produttivo della società. Il periodo in cui Marx diffondeva queste idee molte donne videro in lui un’ancora di salvezza e fu così che con la nascita della Prima Internazionale nel 1864 moltissime donne vollero affiliarsi per cominciare a rivendicare i propri diritti. In realtà questo scaturì le ire di molti pensatori politici che contrastarono fortemente l’ideale marxista secondo cui la donna doveva entrare a far parte del processo di produzione della società abbandonando il focolare domestico che tutti le addicevano. In particolare Marx nel Capitale scrive “[…]Se gli effetti immediati (del lavoro dei bambini e delle donne) sono terribili e ripugnanti, contemporaneamente esso contribuisce ad assegnare alle donne, ai giovani e ai bambini di entrambi i sessi una parte importante nel processo di produzione, al di fuori dell’ambiente domestico, nella creazione di nuove basi economiche necessarie per una forma più elevata di famiglia e di relazione tra i due sessi”. LE SUFFRAGETTE Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 le rivendicazioni delle donne cominciarono a farsi sentire e a scatenare dei veri e propri movimenti che videro la coalizione di tante donne unite dal desiderio di ottenere gli stessi diritti degli uomini. In particolare l’Inghilterra rappresentò il primo paese in cui le donne iniziarono a manifestare per conquistare il loro posto all’interno della società e non essere solo considerate “donne di casa”. A spingerle fu soprattutto l’opera di Stuart Mill il quale nel 1865 propose di introdurre il suffragio femminile. Fu questa la classica goccia a far traboccare il vaso poiché nel 1872 le donne si unirono formando il primo movimento delle suffragette così chiamate proprio perché rivendicavano il diritto di voto. Qualche anno dopo venne altresì fondato il movimento nazionale per la rivendicazione dei diritti delle donne, "National Union of Women's Suffrage", e si cercò di convincere anche gli uomini ad aderire per combattere tutti insieme per i diritti delle donne. A questo proposito è d’obbligo ricordare il famoso episodio inglese che ha visto come protagonista Emmeline Pankhurst la quale ha protestato davanti a Buckingham Palace in favore delle donne ed è stata arrestata. Proprio Emmeline Pankhurst aveva fondato nel 1903 la “Women’s Social and Political Union” per conquistare il diritto di voto per le donne. Le donne hanno dato vita ad una serie di azioni dimostrative e tra di loro molte sono state arrestate. Nancy Astor è stata la prima donna eletta nel Parlamento inglese, per il Partito Conservatore, il 1° novembre 1919. Il movimento delle suffragette fu molto importante da un punto di vista sociale e politico perché per la prima volta le donne si unirono per rivendicare gli stessi diritti degli uomini e lo fecero utilizzando anche manifesti, slogan, cartelli che mostravano durante le manifestazioni. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si verificò una frattura all’interno del movimento delle suffragette inglesi poiché da una parte ci fu chi come Emmeline Pankhurst che decise di sospendere le manifestazioni durante la guerra e chi, invece come Sylvia Pankhurst che continuò a portare avanti i propri diritti poiché il momento della guerra poteva sembrarle propizio per la conquista di nuovi diritti. Probabilmente quest’ultima aveva avuto una buona intuizione poiché nel 1918 il Parlamento inglese approvò la proposta dei diritto di voto per le mogli di capifamiglia che avevano più di 30 anni. Per il suffragio universale si deve però attendere il 2 luglio 1928. I movimenti femminili non si sono sviluppati soltanto in Francia ed in Inghilterra, ma anche in altri paesi. Negli Stati Uniti dal 1869 iniziarono a formarsi gruppi simili a quelli delle suffragette inglesi. Per arrivare al suffragio universale si dovrà aspettare, però, il 1920. In Germania le donne hanno ottenuto lo stesso diritto un anno prima, nel 1919. In Svizzera si arriverà al suffragio universale solo nel 1971. IL MOVIMENTO FEMMINISTA IN ITALIA LE SUFFRAGETTE IN ITALIA In Italia le donne hanno ottenuto l'emancipazione giuridica nel 1919, mentre per il suffragio universale si deve aspettare la fine della Seconda Guerra Mondiale: il primo voto esteso a tutti coloro (uomini e donne) con più di 21 anni è avvenuto il 2 giugno 1946. Tuttavia, la Prima Guerra Mondiale rappresenta una chiave di volta per le donne italiane in quanto dovendo sostituire gli uomini nelle fabbriche, poiché questi ultimi erano partiti per il fronte, si trovano a ricoprire ruoli prettamente maschili nella società. In Italia il movimento femminista è partito un po’ in ritardo rispetto al resto d’Europa per molti fattori primi fra tutti il fatto di aver raggiunto l’Unità nazionale solo nel 1861 è emblematico poiché essendo divisa in tanti piccoli stati, a volte anche ostili tra loro, la diffusione di una coscienza femminile era molto difficile dato che non era ancora ben definita una coscienza nazionale. Inoltre, in Italia la rivoluzione industriale è giunta solo alla fine del 1800 pertanto la figura della “donna di fabbrica”che si andava costruendo altrove in Italia era ancora in embrione. In terzo luogo l’influsso conservatore della Chiesa Cattolica fece la sua parte poiché alle donne venivano sconsigliate le attività fuori casa, le letture libere, l’istruzione superiore. Pian piano però le donne cominciarono a manifestare un certo malcontento che sfociò nella formazione di veri e propri nuclei organizzati e tra di loro ci furono anche figure importanti che si distinsero per le loro idee e per il notevole contributo dato alla divulgazione della condizione femminile parliamo di Giuditta Brambilla, Anna Kuliscioff e Carlotta Clerici tutte animate da ideali romantici e populisti, vicine agli ambienti socialisti e anarchici. In questi stessi anni Sibilla Aleramo scrive il romanzo autobiografico “Una donna” il primo romanzo dichiaratamente femminista che riscosse molto successo tra le suffragette. Lo scopo che l’autrice si prefisse fu quello di mostrare per la prima volta “l’anima femminile moderna”, capace di tramutare l’essenza di una vita in arte. E proprio attraverso ogni forma d’arte e di libero pensiero l’Aleramo si era attivata nel movimento per l’emancipazione della donna, collaborando a riviste e giornali, e partecipando alle campagne più significative di sensibilizzazione, da quelle per il voto alle donne a quelle per la pace, contro l’alcolismo, la prostituzione e la tratta delle bianche. IL FEMMINISMO TRA LE DUE GUERRE Purtroppo però qualche anno dopo ossia con l’avvento del fascismo il movimento femminista subì una battuta d’arresto. Infatti, con Mussolini subentrò un potere accentratore che gettò nello sconforto più totale tutti gli sforzi delle donne fatti fino a quel momento. Si dovette attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale perché le donne potessero far sentire nuovamente la loro voce. Esse, infatti, fu proprio in questo periodo che trovarono impiego nei lavori lasciati dagli uomini e inoltre parteciparono alla Resistenza insieme ai partigiani nei Gruppi di difesa della donna. Dopo la liberazione (1945) l’Udi (Unione donne italiane) insieme con le donne del PCI (Partito Comunista Italiano) e PSI (Partito Socialista Italiano) e migliaia di donne unite nei sindacati riuscirono ad ottenere non solo il diritto di voto ma anche il divieto di licenziamento per le lavoratrici madri, l’istituzione della Scuola Materna Statale e il diritto al divorzio. GLI ANNI SETTANTA Il femminismo degli anni Settanta riconosce l’importanza di tutte queste lotte portate avanti dalle donne in questi anni ma l’asse su una visione più personale che politica. Infatti, secondo le femministe più agguerrite di questi anni non basta più l’esistenza dei diritti conquistati grazie all’emancipazione occorre alle donne una nuova coscienza di sé per praticarli, ottenendo altresì dall’uomo una condivisione del lavoro. Il movimento studentesco del ’68 ha dato la spinta alle donne di sviluppare movimenti di massa che hanno ottenuto importanti risultati primi fra tutti la riforma del diritto di famiglia che sancisce la parità dei coniugi. L’istituzioni dei consultori familiari rappresentano un’altra importante conquista insieme alla legge sull’aborto e le norme contro la violenza sessuale. Le rivoluzioni del 68 furono molto importanti per le donne poiché portarono all’abolizione di moltissimi tabù infrangendo l’etica e la morale del tempo. Nelle occupazioni, nei cortei, nelle manifestazioni la partecipazione delle donne fu altissima e coinvolgente pertanto conquistarono come diritto anche quello alla protesta. 3. IL FEMMINISMO NEGLI USA L’emancipazione femminile in America diede vita a vere e proprie lotte che culminarono sempre nell’approvazione di leggi o emendamenti tesi a portare un seppur minimo miglioramento rispetto alla condizione delle donne stesse. A tal proposito è importante ricordare la tragedia che avvenne il giorno 8 marzo 1908 in una fabbrica di New York in cui le donne in sciopero da tempo per orari di lavoro massacranti e condizioni lavorative pessime chiesero delle agevolazioni. Esse erano intenzionate ad uscire dalla fabbrica e formare un corteo ma per evitare questo i padroni le chiusero dentro la fabbrica, scoppiò un incendio e 129 operai persero la vita. Un episodio gravissimo che spinse due anni dopo le donne socialiste di tutta Europa a riunirsi a Copenaghen per la conferenza femminile dell’Internazionale socialista e a decretare l’8 marzo “giornata internazionale di lotta della donna”. Un altro avvenimento storico da ascrivere alla storia dell’emancipazione femminile in America è costituito dalla promulgazione nel 1918 del Diciannovesimo emendamento costituzionale che dopo settant’anni pose fine alle lotte e rivendicazioni da parte delle suffragette per ottenere il diritto di voto. L’emendamento di cui si parla recitava così: "Il diritto di voto conferito ai cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato o limitato dagli Stati Uniti o da uno degli Stati in considerazione del sesso". Da allora le donne americane ottennero di poter votare senza alcuna limitazione. Ovviamente per ottenere questo successo le donne durante la Prima Guerra Mondiale dovettero coalizzarsi contro l’allora presidente Wilson il quale per placare l’opinione pubblica promise che dopo la fine della guerra avrebbe concesso il diritto di voto alle donne. In America il femminismo non si placò con la Prima Guerra Mondiale ma continuò in maniera quasi asintomatica negli anni successivi fino a culminare alla fine degli anni 60 con nuove rivolte da parte delle donne. La scintilla questa volta risale al 1963 con l’uscita del libro di Betty Friedan, Mistica della Femminilità, nel quale l’autrice denunciava il ruolo di “sposa” e di “madre” imposto alla donna dalla società americana e allo stesso tempo rivendicava l’uguaglianza della donna all’uomo nel campo politico, professionale e culturale. Qualche anno dopo la Friedan insieme ad altre intellettuali fondò il “National Organization for Women” un movimento femminista che, a differenza di quelli precedenti, contemplava il diritto all’aborto e alla contraccezione e l’uguaglianza all’interno della coppia. Un altro libro fondamentale per le lotte femministe americane fu “La politica sessuale”di Kate Millet. Come si può capire l’ago della bilancia si sposta sempre più verso una politica del sesso maschile contro quello femminile. La stessa Millet distingue tra sesso e genere il primo determinato biologicamente mentre il secondo è un concetto psicologico che si riferisce ad un’identità sessuale acquisita culturalmente. 4. SIMONE WEIL Una figura femminile poliedrica che ha saputo unire l’attivismo politico, alla filosofia, alla religione Simone Weil nasce a Parigi nel 1909. Da sempre interessata ai problemi del suo tempo e della sua società si schiera a favore dei più deboli e degli oppressi che, ovviamente, nel periodo in cui visse erano rappresentati soprattutto dalle donne. Figlia di un ricco medico ricevette un’educazione molto severa che non le impedì, tuttavia, di lavorare nelle fabbriche per conoscere le condizioni di vita delle operaie. Da una forte critica al marxismo sviluppò una filosofia molto vicina a quella platonica come si può evincere dai suoi scritti. 4.1 I QUADERNI: DI COSA SI TRATTA? I Quaderni sono un’opera in quattro volumi che raccoglie diciassette quaderni, composti da note e appunti, spesso presentati in forma aforistica. La datazione dei quaderni risale tra il 1941 e il 1942, anche se il primo quaderno fu scritto dalla Weil durante primi anni del ’30. 4.2 TERZO VOLUME I frammenti di questo volume sembrerebbero, ad una visione superficiale, disorganici e senza precisi nessi logici. Sono infatti caratterizzati da un simbolismo di difficile comprensione e spesso incentrati sul paradosso. La Weil concepisce il paradosso come una via di conoscenza del tutto nuova: la cosiddetta “logica dell’assurdo”. D'altronde pensare i contrari come non contraddittori può aiutare ad uscire dalla logica della semplificazione, secondo la quale una cosa o è bella o è brutta, o è giusta o è sbagliata, o è semplice o è difficile,… Può essere perciò uno strumento per riconoscere la complessità oggettiva del mondo e guardale ogni cosa da infinite prospettive. Tutti i brani sono, così come i temi trattati, se letti attentamente, collegabili fortemente tra loro. 4.2.1 CONTENUTI DEL TERZO VOLUME In questo quaderno la Weil riprende passi della filosofia antica o di miti e li interprete secondo la sua visione cristiana, specificando in particolare il rapporto tra Dio e il Creato. Simon Weil recupera in larga misura la teoria platonica dell’amore, reinterpretandola nella chiave della teologia cristiana. All’inizio del terzo quaderno reinterpreta il ritratto che Platone fa di Amore, legandolo alla figura di San Francesco. La Weil postula un dualismo radicale tra la dimensione umana e quella divina “Vi sono due cose impossibili perché contraddittorie. Il contatto della creatura pensante con il pensiero divino, e il contatto del pensiero divino con la creazione colta da un punto di vista particolare”. Secondo questa donna, infatti, l’ uomo appartiene alla sfera del limitato, la sfera di Dio è invece un tutt’uno con Dio stesso che è unità, illimitatezza e infinitezza. Il contatto tra Dio e il creato risulta pertanto impraticabile, nonostante il primo abbia dato origine al mondo intero. Però è possibile instaurare un contatto tra questi due mondi: l’uomo può avvicinarsi all’assoluto attraverso un lungo e arduo percorso mistico che prevede il rifiuto della propria individualità. In questo modo Dio può discendere nell’uomo, che ha creato il vuoto al suo interno, e rapirlo. Altrove Simon Weil precisa: “La creazione è, da parte di Dio, un atto non di espansione di sé, ma di limitazione, di rinuncia. Dio con tutte le creature è qualcosa di meno che Dio da solo. Dio ha accettato questa diminuzione. Si è privato di una parte dell’essere”. Dio è infinito, quindi per creare il mondo (finito, limitato) ha dovuto sottrarre a sé stesso un’ infinita parte di essere. Egli ha dovuto sdoppiarsi: da un lato Dio come infinito, trascendente; dall’altro Dio, sotto forma di creazione, come finito e particolare. Troviamo una serie di contrari che segnalano la presenza di una mediazione tra Dio e Creatura. La Weil chiude il terzo quaderno con una metafora: “Un naufrago (l’uomo) aggrappato a una tavola e viene sballottato dal mare. Non c’è modo di cambiare il movimento impressogli dal mare. Dio lancia una corda dall’alto del cielo. Spetta all’uomo la decisione di afferrarla o meno. Se l’afferra egli resta sottoposto al movimento del mare, ma grazie alla corda le relazioni meccaniche tra l’ uomo e il mare cambiano. “Le mani sanguinano per la stretta della corda. Talvolta il mare lo sballotta al punto che egli la molla e la riprende. Ma se egli la respinge volontariamente Dio la ritira. 5. LA CONDIZIONE DELLA DONNA OGGI Da un’analisi siffatta possiamo affermare che, soprattutto nel mondo occidentale, le donne hanno migliorato notevolmente la loro condizione sociale, politica ed economica rispetto alla condizione di inferiorità nella quale erano relegate nel passato. Purtroppo però se solo allarghiamo lo sguardo al mondo ci rendiamo conto che la condizione della donna non è la stessa dappertutto. Infatti, il genere femminile in molte parti del nostro pianeta subisce ancora forti discriminazioni e la violenza sessuale è una piaga che logora non solo i paesi in via di sviluppo ma anche quelli industrializzati e non conosce differenze sociali e culturali. In paesi come l’India o la Cina la nascita di una donna è ancora considerata una disgrazia; nei paesi del Terzo Mondo la violenza sulle donne è una normale componente del tessuto culturale; un problema specifico delle donne africane è la mutilazione genitale ancora ampiamente praticata e diffusa in condizioni igieniche pessime. Un altro fattore di disuguaglianza è quello derivante da fattori religiosi soprattutto nella religione musulmana in cui la donna è vittima di pesanti discriminazioni. In Algeria, ad esempio, alle donne è imposto di portare il velo mentre in Iran e in Afghanistan è imposto il burka ed è preclusa l’istruzione, altrove si parla di donne dimenticate. E’ ovvio che tali situazioni non possono lasciare indifferenti soprattutto se si pensa che in questi paesi il problema dell’emancipazione femminile rappresenta solo una piccola goccia in mezzo ad un mare infinito di problemi. Indice: 1 CONDIZIONE DELLA DONNA NELLA STORIA 1.1 ANTICA GRECIA 1.2 ROMA ANTICA 1.3 LA DONNA NELLA BIBBIA 1.4 MEDIOEVO 2 ETA’ MODERNA: I PRIMI PASSI VERSO L’EMANCIPAZIONE 2.1 SETTECENTO 2.2 OTTOCENTO 2.2.1 RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE E CIVILE 2.2.2 IL LAVORO E L’ISTRUZIONE 2.2.2.1 FEMMINISMO LIBERALE 2.2.2.2 FEMMINISMO SOCIALISTA 2.3 LE SUFFRAGETTE 2.4 IL MOVIMENTO FEMMINISTA IN ITALIA 2.4.1 LE SUFFRAGETTE IN ITALIA 2.4.2 IL FEMMINISMO TRA LE DUE GUERRE 2.4.2.1 GLI ANNI SETTANTA 3 IL FEMMINISMO NEGLI USA 4 SIMONE WEIL 4.1 I QUADERNI: DI COSA SI TRATTA? 4.2 TERZO VOLUME 4.2.1 CONTENUTI DEL TERZO VOLUME 5 LA CONDIZIONE DELLA DONNA OGGI Sitografia: http://www.corriere.it/ http://www.italiadonna.it/ http://www.nelvento.net/ http://www.noidonne.org/ http://www.malitalia.it/