Periodico di educazione cristiana n. 3, luglio, agosto, settembre
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Periodico di educazione cristiana n. 3, luglio, agosto, settembre
Periodico di educazione cristiana n. 3, luglio, agosto, settembre 2016 - Anno CX - Poste Italiane spa - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA Sommario n. 3/2016 A cura delle «Piccole Suore della Sacra Famiglia» luglio, agosto, settembre n. 3 - 2016 Anno CX - Trimestrale LETTERA DELLA MADRE 1 L’uomo alla ricerca di Dio Padre di misericordia Direttrice responsabile: Sr. Maria Angelica Cavallon FORMAZIONE 2 Chi cerchiamo: la persona, le relazioni? 4 Uguaglianza nella diversità 5 Il segno dell’Amore 6 Incontri Direzione e Amministrazione: Istituto Piccole Suore della Sacra Famiglia 37010 Castelletto di Brenzone (VR) Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA Autorizzazione Tribunale di Verona n. 29, 8 febbraio 1960 COMITATO DI REDAZIONE: 37138 Verona Via G. Nascimbeni, 10 www.pssf.it - e-mail: [email protected] Sr. Maria Angelica Cavallon, Sr. Maria Romana Bombo, Sr. Umberta Maria Bettega COLLABORATORI: Andrea Cornale, Anna Pia Viola, Giulio Biondi, Michela Faccioli, Italo Forieri, Katia Scabello Garbin, Maria Laura Rosi, Suor Erica Benetton. LETTERATURA 7 Il bisogno d’amare che é in noi SCUOLA E VITA 9 Insegnamento Amore Relazione BIBLIOTECA IN FAMIGLIA 11 I libri parlano... anche senza parole SPIRITUALITÀ CONDIVISA 13 Il peso della preghiera 14 Lettera di San Tommaso a uno studente 14 Preghiera prima dello studio 15 Riconoscere il volto di Dio VOCE GIOVANI 17 La figura umana: arte che mostra, idealizza, deforma La pubblicazione è curata da Editoriale Della Scala - Povegliano Veronese Stampa: Mani Grafiche snc Via C. A. Dalla Chiesa, 3 - 37060 Mozzecane (VR) Tel. 045 7930906 VOCE GIOVANI 23 Cracovia GMG 24 Olimpiadi - Rio de Janeiro - Brasile I e IV di copertina: Giornata alla “Garda Family House” Grest estivo, parrocchia “Beato Andrea”, Peschiera (VR) (Foto Redazione) LE PSSF IN MISSIONE 30 Angola 31 Togo 33 Convegno Laici e Consacrati insieme 33 Sono entrate nella pienezza della vita DIALOGO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO 34 Il dialogo nasce dall’incontro tra persone concrete 35 Papa Francesco pellegrino di comunione 36 Dalla “Dichiarazione comune” FAME E SETE DI GIUSTIZIA 38 È possibile ancora 40 Laudato si’ 41 Con simpatia MAGISTERO 16 Papa Francesco ai giovani VITA DELLE PSSF 19 “La carità di Cristo ci spinge” (2 Cor 5,14) 20 “Quello che si fa con amore e per amore ha un valore infinito”. (Beata M. Domenica Mantovani) 21 “Dio ci ama con l’amore di madre, ci porta nelle sue mani”. (Beato G. Nascimbeni) 22 ...dall’angolo francescano Iva assolta dall’Editore ex art. 74 D.P.R. 633/72 CARISMA 27 Una lunga vita donata 28 Il popolo 29 Festa popolare FORMAZIONE PERMANENTE 25 Dal “cosa” al “chi” CEI - ORIENTAMENTI PASTORALI 26 La vita come vocazione d’amore Ricordiamo ai gentili Lettori il rinnovo dell’abbonamento per il 2016: per amici e sostenitori € 20,00 normale per l’Italia € 15,00 per l’estero € 20,00 pagamento con Banco Posta IBAN: IT 23 U 07601 11700 000014875371 oppure sul c/c postale n. 14875371 intestato a: Istituto Piccole Suore della S. Famiglia, via Nascimbeni, 6 37010 Castelletto (VR) specificando per abb. NAZARETH 2016 LETTERA DELLA MADRE UOMO L’ alla ricerca di Padre di misericordia DIO V. Van Gogh, Il Buon Samaritano, particolare, 1890, Otterlo, Olanda L’ uomo è da sempre un essere in ricerca: della propria identità, del senso della vita, di qualcuno da amare e da cui lasciarsi amare. E questa ricerca non è mai conclusa perché l’abisso del desiderio umano è così profondo che su questa terra non potrà venire colmato. La ricerca della realizzazione della propria vita spinge l’uomo ad andare oltre se stesso, verso ciò che è Altro da sé e proprio per questo può rispondere al suo infinito bisogno di amore. All’inizio del vangelo di Giovanni c’è una pagina interessante: il Battista posa lo sguardo su Gesù che passa e lo indica ai suoi discepoli. Due di loro si mettono alla sequela di Gesù, che si volge indietro e chiede: «Che cosa cercate?» (1,38). Questa domanda incoraggia a interrogarsi sul significato autentico della propria ricerca. È la domanda che Gesù rivolge a chiunque desideri stabilire un rapporto con lui: è una “pro-vocazione” a chiarire a se stessi cosa si stia cercando davvero nella vita, a discernere ciò di cui si sente la mancanza (cf. Educare alla vita buona del vangelo, n. 25). Andare alla radice del proprio desiderio, capire perché si desidera qualcuno o qualcosa è un aspetto molto importante perché rivela chi siamo noi e cosa ci sta a cuore. È messa in gioco la nostra libertà, la capacità di guardare nel profondo di noi stessi con verità. L’uomo che nella sua ricerca incontra il volto di Dio ha bisogno di coltivare la relazione con NAZARETH 3 2016 Lui, per scoprirne l’identità, lasciarsi raggiungere dal suo amore, crescere in umanità. Non a caso nel testo evangelico che abbiamo citato, Gesù si rivolge ai discepoli di Giovanni dicendo loro: «Venite e vedrete» (1,39). I discepoli accettano la proposta e rimangono con Gesù, si mettono in gioco. La relazione d’amore esige pazienza, gradualità, reciprocità, ha bisogno di un progetto coraggioso e di un impegno duraturo. Non può continuare per inerzia; va rilanciata attraverso una scelta costantemente rinnovata. Riconoscere e accogliere il volto di Gesù come termine ultimo della propria ricerca significa affidarsi a un Dio che proprio in Gesù Cristo si è rivelato come misericordia. Dio è sempre pronto a rialzarci dalle nostre cadute e a donare rinnovato slancio alla nostra esistenza talvolta faticosa e sfiduciata. Se ci lasciamo incontrare e abbracciare da questo amore la nostra vita viene trasformata: gli altri non sono più visti come rivali o nemici ma fratelli da servire e per i quali donare la vita attraverso piccoli gesti quotidiani di ascolto, attenzione, fiducia. Allora fiorisce in noi la speranza perché sperimentiamo di essere amati gratuitamente da Dio. L’incontro con il Signore ci spinge a ridonare l’amore ricevuto, a divenire segno concreto di quel Dio che è Padre ricco di misericordia. Ci è chiesto di essere a nostra volta misericordiosi, di condividere le gioie e le sofferenze del prossimo, di farci carico delle sue necessità. In questo Anno giubilare il Papa ci invita a praticare le opere di misericordia corporale e spirituale. Vivere questo stile di vita diventa opera di evangelizzazione perché annuncia la solidarietà di Dio per ciò che è ultimo e propone un modo alternativo di stare nel mondo. I cristiani sono chiamati a rifiutare la logica della pretesa e dello spreco, a rinunciare ad atteggiamenti di indifferenza e di emarginazione per vivere la solidarietà e 1 FORMAZIONE la gratuità del dono, il riconoscimento della dignità di tutti, la compassione e la prossimità verso ogni persona. La testimonianza di vita dei nostri Beati, don Giuseppe Nascimbeni e madre Maria Domenica Mantovani, rappresenta un esempio luminoso di come l’amore di Dio possa rendersi estremamente concreto e portare abbondanti frutti di bene. Entrambi si sono lasciati trasformare dal fuoco vivo dell’amore divino e l’hanno comunicato a quanti hanno incontrato. Senza gesti eclatanti, nella ferialità del quotidiano, sono stati segni efficaci della cura del Padre verso ognuno dei suoi figli. Per tutta la loro esistenza hanno cercato e amato il volto di Dio in Cristo Gesù senza lasciarsi scoraggiare dai momenti di fatica e di dubbio. Si sono aggrappati con fiducia alla Parola di Dio e l’hanno custodita nel loro cuore finché è sbocciata in un’esistenza meravigliosamente donata a vantaggio del “povero popolo”. Suor Angela Merici Pattaro Superiora Generale CHI CERCHIAMO: la persona, le relazioni? I l contesto in cui viviamo Le domande ci proiettano fuori di noi stessi: da lì ci misuriamo e ripartiamo. L’esperienza personale ci può essere di aiuto. È sempre stato faticoso mettere ordine nelle relazioni e scegliere delle priorità mediante un confronto serio con la propria famiglia, con una comunità, con un piccolo gruppo di amici. Oggi lo diventa ancora di più a motivo della fretta, del rincorrere mille stimoli e situazioni. In questo movimento, piuttosto caotico, proprio i legami umani tendono a diventare fragili, incon- Foto di Marcella Rossetto “Punto Famiglia” VR, alla “Garda Family House” 2 sistenti. Lo sappiamo: viviamo in un’epoca di transizione, complessa. Può essere richiesta una disponibilità maggiore, ferma e determinata, per passare dal momento individuale e la relazione con se stessi, a quello comunitario e oggettivo, la relazione con gli altri. Ogni famiglia, la Chiesa stessa, gli ambienti di studio e di lavoro possono diventare occasione di apertura ad un atteggiamento interiore nuovo verso la vita e verso le persone. Le profonde trasformazioni nell’ordinamento sociale ed economico ci stimolano continuamente ad acquistare una consapevolezza più intensa di quanto si sta verificando. Tutto può essere considerato più importante delle relazioni umane, mentre la vita sembra perdere la lineare chiarezza e dignità. Rimane, tuttavia, accanto alla povertà di una simile situazione-condizione, la possibilità per ogni persona di una risposta creativa o il rischio di una enorme presunzione. L’uomo può diventare insicuro e morbosamente arrogante. Può continuare a sopravvalutare il denaro, il sapere, il potere, la forza. Quella forma di miscuglio e di ambiguità tra: impotenza e orgoglio, disperazione e presunzione, fiacchezza e violenza. Può avvertire una forma di perdita dell’identità e della capacità di comunicare e di esserci, veramente, per gli altri. Siamo forse giunti alla caricatura dell’umanesimo o piuttosto al tempo opportuno per reimpostare le relazioni, nello stile della prossimità? NAZARETH 3 2016 FORMAZIONE Grest estivo, parrocchia “Beato Andrea”, Peschiera (VR) alla “G.F.H.” Le condizioni e la libertà per vivere relazioni aperte Cerchiamo ancora realmente la persona, uomo e donna, la relazione reciproca che consenta di fare esperienza di condivisione e di riconoscere la propria differente identità e capacità di amare? Una persona è uomo e donna in quanto, sapendo e volendo, vive come essere limitato nel tempo, nel mutamento, nelle mille configurazioni dell’ esistenza, ma insieme lotta per aprire una strada verso il miglioramento, verso il futuro, sì, anche verso l’infinito, l’eternità. Questo è l’inesprimibile fascino dell’umano, un mistero pieno di dolore, di forza, di desiderio e di fiducia. Se l’uomo coglie in se stesso tutte queste dimensioni arriva ad apprezzare la vita: la valutazione di sé è più chiara, umile e libera, tutte le energie sono ben orientate. Ora possono emergere quelle distinzioni fra certo e incerto, fra vero e falso, fra grande e piccolo. Partendo da questa consapevolezza e maturazione profonde è possibile scoprire che non siamo soli, siamo comunità che può contribuire alla crescita della comunione tra le persone stesse e favorire un’ aggregazione umanamente ricca, in nome della fiducia. Ma come conservare l’immediatezza della vita NAZARETH 3 2016 semplice, personale, con il moltiplicarsi delle relazioni? Come vivere la freschezza e la verità del Vangelo nella complessità della vita postmoderna? Che cosa sta emergendo di veramente nuovo nel contesto sociale e culturale nel quale vogliamo costruire un vero umanesimo, attraverso relazioni più gratuite? Il soggetto umano, oggi, non solo quello occidentale, ha l’impressione che quasi tutto gli sia possibile o gli sarà tecnicamente possibile. Mai come ora è cresciuto a dismisura il senso della libertà: libertà dai condizionamenti naturali e biologici, libertà dalle leggi e dalle consuetudini. Tutto sembra negoziabile e opinabile. La stessa libertà non è mai stata tanto manipolabile. La tecnica, applicata al controllo della vita delle persone mediante i mezzi informatici, che permettono di seguire la persone in tutti gli atti più semplici dell’ambito privato, fa comprendere che la libertà cui la persona è assurta non è mai stata così grande e insieme, mai, così fragile. La vera libertà tuttavia esiste e non si muove nella solitudine, o nei contatti digitali, bensì si dispiega in ampiezza di rapporti autentici e significativi. Suor Maria Angelica Cavallon 3 FORMAZIONE UGUAGLIANZA nella DIVERSITÀ I ngrediente raramente assente nelle canzoni commerciali e parsimoniosamente o elegantemente utilizzato in quelle d’autore, l’amore attraversa in lungo e in largo, nel tempo e nello spazio, la vicenda umana. Platonico o vissuto, rivolto ad un pari o ad un’entità superiore oppure considerato in un’accezione più ampia quale amore per l’umanità in sé considerata, questo sentimento è forza vitale. Non che non si possa invecchiare senza aver mai amato, ma amare è vivere, non amare è sopravvivere. Antonio Gramsci, che aveva vissuto parte della sua giovinezza celando i propri sentimenti, ormai raggiunto un equilibrio affettivo, rivelò in una lettera privata di essersi interrogato più volte se legarsi a una massa fosse possibile, quando non si era mai voluto bene a nessuno, ovvero quando non si era amato profondamente delle singole creature umane: “Non avrebbe ciò avuto un riflesso sulla mia vita di militante, non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico la mia qualità di rivoluzionario?”. Cosa credono di aver cercato, cosa credono di aver trovato quelli che hanno vilipeso l’amore, macchiandolo indelebilmente del sangue delle donne che credevano di possedere? Cos’hanno capito quelli? Non certamente che l’amore è innanzitutto libertà. Hanno picchiato, inferto colpi mortali e deturpato i volti di chi non amavano. Non è bastata loro quella diffidenza di cui scriveva George Eliot: “Egli diffidava dell’affetto di lei; e quale solitudine è più sola della diffidenza?”. Sono rimasti soli e forse a loro neppure importa. L’amore se non poggia sull’uguaglianza nella Entrata alla “G.F.H.”, Castelletto (VR) 4 Chiara e Davide, con don Lino e Maria Roma, Ferrara relazione, è forza prevaricante, è volontà dominante. C’è stato un tempo, e in alcuni luoghi c’è ancora, in cui alla persona non era data la possibilità di scegliere con chi vivere, perché altri decidevano. È presente il tempo, anche in alcune parti del nostro Occidente, in cui gli amori, nelle norme o nel sentire comune della società, non sono considerati tutti di serie A. Libertà e uguaglianza nella diversità. Persino scelta delle affinità elettive, come si dice, perché una relazione è preferita all’altra, è scelta rispetto all’altra. Poi c’è la reciprocità: nel caso dell’amore che una persona nutre indistintamente nei confronti dell’umanità, la reciprocità assume una minor rilevanza; nel caso di un amore di una persona verso un’altra, la reciprocità è bramata. Se non c’è, non c’è neppure la relazione. Ora, se la persona che ama non è a sua volta amata, può sorgere il dubbio che questa si trovi nella medesima condizione di chi non avendo mai conosciuto l’amore, si trascina superficialmente nella vita. Amare e non essere amati è fonte di un dolore profondo perché l’esistenza è privata di una componente rilevante. Tuttavia, è preferibile aver conosciuto i dolori dell’amore che esserne del tutto immuni, quasi anestetizzati: in questo caso non si percepisce il dolore, forse è vero, ma si attraversa la vita senza provare alcunché. È davvero possibile, è umano? Michela Faccioli NAZARETH 3 2016 Q uando una persona viene battezzata (un neonato nella nostra esperienza ecclesiale) riceve il dono dello Spirito che lo rende capace di volgere attenzione ad un linguaggio diverso, ad un modo di pensare che è divino e non semplicemente umano. È questo il segno che viene impresso nella nostra vita: essere capaci di vivere da figli di Dio. Detto così noi saremmo quelli che non dovremmo temere mai alcun male, ed è proprio vero. Non solo siamo amati da Dio, ma riceviamo pure la sua potenza e la sua sapienza…Insomma, meglio di così non ci poteva capitare. E allora, come mai proprio noi credenti, battezzati e praticanti, abbiamo spesso tanta incertezza, fragilità e debolezza? È sempre e solo colpa nostra o qualcosa non funziona nel dono ricevuto? Che Dio non sia un incapace e che non venga meno alle sue promesse, mantenendo la parola data, credo non sia in discussione e, pertanto, dobbiamo ribadire che in noi è presente quella capacità di amare che è Dio stesso. Allora il problema siamo noi? Riguardo a ciò mi permetto due considerazioni. La prima: dobbiamo ricordarci che per quanto riceviamo il dono di Dio, noi non siamo Dio! In altre parole, una cosa è capire le nostre potenzialità e desiderare il bene che sentiamo dentro, altra cosa è trasformare le intenzioni in opere concrete. E così, constatando che i nostri comportamenti, o quelli di chi ci sta intorno, non sono dettati da amore, ma anzi vengono spinti da interessi egoistici e spregevoli, riteniamo che noi non siamo segno della presenza di Dio e il suo potere in noi è un fallimento, uno spreco! Secondo questa prospettiva sarebbe la nostra miseria a non permettere a Dio di operare in noi e con noi. Però questo è in contraddizione con quanto ci dice la Scrittura e che papa Francesco in quest’anno giubilare ci ripete in continuazione: Dio non è lontano dalla nostra miseria; Lui si prende cura di noi proprio nella nostra situazione di peccato. Il NAZARETH 3 2016 fatto è che noi stessi non accettiamo che Qualcuno possa amarci sul serio nonostante il nostro peccato. La nostra esperienza umana, fatta di delusioni e incomprensioni, ci dice che bisogna in qualche modo meritarsi l’amore dell’altro. E qui si inserisce la seconda considerazione che vorrei fare. Essere segno di Dio significa essere segnati da Lui, nel senso che il verbo “essere segnati”, proprio nella forma passiva, dice che Qualcuno è passato in noi, ha lasciato la sua traccia proprio nella nostra debolezza. Che sia questa la “potenza” di Dio? Ossia, la capacità di fare ogni cosa, pure di rendere amabile la debolezza. Per questo Dio si è fatto uomo, per conoscere dal di dentro la fatica di mettere in atto ciò che si sa essere bene. Noi vorremmo sostituire la fragilità con la forza, invece il Signore fa della nostra debolezza il suo fine d’amore. Essere segno dell’Amore di Dio, allora, significa innanzitutto mostrare come Lui non ci ha condannati e continua ad accoglierci tutte le volte che ricorriamo a Lui. Essere segno dell’Amore, poi, non comporta il fare opere grandi, ma al contrario, di riconoscere la nostra piccolezza. Accettare d’essere amati dall’Altissimo significa, infine, scoprire che “piccolo è bello”! Il “piccolo” riesce ad entrare e a sistemarsi un po’ ovunque e comunque con meno difficoltà rispetto a chi è, o meglio, si crede “grande”. E allora, il desiderio che viene coltivato in noi, come figli di Dio, è quello della piccolezza che entra nel cuore grande di Dio. È tutto il contrario del desiderio degli uomini che, invece, vogliono essere grandi, efficienti, di successo, potenti. A noi la scelta, se inseguire i morsi della propria affermazione, oppure riconoscere che il vero potente è colui che non si lascia dominare da se stesso, ma affida ogni cosa a Dio, come fa un bambino, già abbastanza scaltro per capirlo, che si rifugia sempre nelle braccia della madre. Anna Pia Viola 5 FORMAZIONE AMORE Il segno dell’ FORMAZIONE INCONTRI Scuola “Media”, “S. Famiglia”, Castelletto (VR) L a vita nasce (o dovrebbe nascere) da un incontro, da una relazione d’amore. Cresce ed è segnata dalle relazioni che gradualmente si allargano, passando dall’egocentrismo infantile all’interesse per gli altri, all’empatia, alla compassione. L’affettività si alimenta di relazioni, le riscalda, le colora di senso e di gioia e le apre alla ricerca di incontri che per loro natura debordano e generano. Nel quotidiano, con gli incontri fonte di vita e di benessere, si sperimentano anche gli scontri, fonte di sofferenza. Nell’essere umano, con la forza unitiva di passione e compassione, di intimità e solidarietà, convive la forza disgregante di sfruttamento, dominio, rivalità, gelosia, conflitto. Le relazioni positive sono frutto di educazione e si apprendono soprattutto nel clima accogliente e sereno della famiglia. La società, mentre per lo sviluppo intellettivo e la preparazione professionale offre scuole di ogni genere e grado, per l’educazione affettivo relazionale non offre quasi nulla. Questa dimensione è lasciata alla famiglia che, in questo periodo di grandi cambiamenti e incertezze spesso va a tentoni sull’onda della convenienza momentanea e dello spontaneismo. Il risultato è la presenza di giovani e anche di adulti, preparati sul piano intellettuale e competenti nell’ambito tecnico-professionale, ma infantili, egocentrici, in balia delle emozioni 6 sul fronte delle relazioni affettive. Le relazioni affettive hanno bisogno di tempi lunghi per crescere, rafforzarsi, sperimentarsi e di scelte stabili come il matrimonio, la vita consacrata o altre forme di vita professionalmente e socialmente impegnata per esprimere quello che, rispondendo alla loro natura, deborda e prendersene cura. L’attuale tendenza a scelte affidate alla discrezionalità delle persone, con patti contingenti ed emozionali in cui l’impegno sembra privo di prospettiva, basate sul “proviamo a vedere se va”, non portano lontano. La fedeltà alle scelte, oggi ritenuta aleatoria, non è facile. Richiede un processo maturativo, cioè di passare da una concezione idealizzata delle persone e della realtà umana a una visione realistica che consenta di cogliere i lati deboli di se stesse/i e degli altri senza smarrimenti e delusioni, di accettare le persone e le comunità umane con i loro limiti e la loro diversità, senza rimpianti, conservando la tensione verso il meglio. Questo salto critico garantisce, oltre alla fedeltà, quella serenità di fondo che permette di godere degli aspetti positivi che esistono anche nelle difficoltà. La consapevolezza che nessuno è perfetto e che tendenze alla gelosia, alla prevaricazione e allo sfruttamento dell’altro/a possono essere sperimentate da tutte/i e riuscire a coglierle negli altri e anche in se stesse/i senza sgomentarsi, è il mezzo più efficace per superarle e per formarsi uno sguardo realistico, sereno, di compassione e di misericordia. Le relazioni affettive non sono di facile governabilità. Lasciate allo spontaneismo e alle forze negative producono chiusure, sofferenza, infantilismo, morte. La loro maturazione è frutto di un lungo cammino, di una continua purificazione dalla gelosia e dalle tendenze egocentriche. Coltivate nel rispetto della propria e altrui libertà portano a dilatare il cuore verso un amore più grande, alla gioia del dono di sé, al benessere psichico, a gesti affettuosi liberanti. Con il loro debordare rendono possibile la generatività sia fisica che spirituale, il prendersi cura del generato e anche, come esperienze affettive profonde, l’oltrepassare il limite e incontrare l’Ineffabile. Suor Maria Rossi fma NAZARETH 3 2016 “E verybody needs somebody… to love” (Ognuno ha bisogno di qualcuno… da amare) cantavano i Blues Brothers Dan Aykroyd e John Belushi in una delle scene più famose del film omonimo. I meno giovani credo la ricordino bene, come penso non abbiano dimenticato il brano stupendo interpretato da Maria di Magdala in Jesus Christ Superstar, nel quale la prostituta “redenta” si chiede come possa amare Gesù, dal momento che nella sua vita aveva conosciuto solo quel tipo di amore che non poteva offrire al suo salvatore. “I don’t know how to love him” (Io non so come amarlo) canta infatti la Maddalena struggendosi nel desiderio di amare il Maestro, ma non trovando la maniera giusta per farlo. Sono questi due esempi decisamente leggeri (il primo almeno) che ci permettono di introdurre un argomento di importanza vitale per tutti noi: il bisogno di amare. È assolutamente fuori discussione che ogni essere umano abbia bisogno di essere amato, ma ancor più di amare. L’insegnamento principale di Cristo consiste nell’invito ad amare gli altri (come noi stessi), ma ovviamente ben prima dell’era cristiana il sentimento dell’amore era stato trattato in opere letterarie di diverso genere. Possiamo ricordare Il Cantico dei cantici oppure i poemi omerici, le liriche di Saffo oppure quelle di Catullo. Nell’era cristiana non si possono dimenticare i sonetti che Dante dedicò a Beatrice o le composizioni che il Petrarca scrisse per Laura e si può andare avanti nel tempo incontrando l’Orlando ariostesco “furioso” per amore di Angelica o la vicenda tragica di cui Shakespeare rese protagonisti Romeo e Giulietta e ancora le vicissitudini di Renzo e Lucia nei Promessi sposi o le passioni travolgenti dei romanzi dannunziani… Il campo è talmente sterminato che non è possibile percorrerlo senza dimenticare opere importantissime come Madame Bovary o Anna Karenina. Se dovessimo poi cominciare a parlare dei “film d’amore” e delle “canzoni d’amore” che fanno parte della nostra quotidianità o dei saggi che sono stati dedicati all’argomento (come L’arte d’amare di Erich NAZARETH 3 2016 Fromm) potremmo andare avanti quasi all’infinito. Meglio dunque circoscrivere il nostro raggio d’azione a poche opere che possano essere esemplificative e chiarificanti in merito alle due domande che l’argomento ci ha proposto fin dall’inizio: chi amare e come amare. Il genere di amore più comune - ma non per questo di minore importanza - è senza dubbio quello coniugale. A questo proposito nell’Iliade c’è una scena toccante nella quale Ettore e la moglie Andromaca stanno per separarsi, in vista di una delle tante battaglie che si svolgevano sotto le mura di Troia. Nel tentativo di trattenere il marito Andromaca pronuncia queste parole: “Ettore, tu sei per me padre e nobile madre / e fratello, tu sei il mio sposo fiorente; / ah, dunque, abbi pietà, rimani qui sulla torre, / non fare orfano il figlio, vedova la sposa…”. Ettore naturalmente le risponde che non può venir meno ai suoi doveri, ma si congeda da lei con un gesto di grande delicatezza: “…mise in braccio alla sposa / il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso, / sorridendo fra il pianto; s’intenerì lo sposo a guardarla, / l’accarezzò con la mano, le disse Luca Ferrari, Ettore e Andromaca, palazzo Pisani Moretta, Venezia 7 LETTERATURA AMARE che è in noi Il bisogno d’ LETTERATURA parole…” (Iliade, VI,429-432 e 482-485). Tutta l’Odissea, d’altra parte, è la dimostrazione di quanto fosse forte l’amore tra Ulisse e Penelope, tanto forte da superare gli ostacoli posti dal tempo, dagli uomini e dagli dei. Come si può amare? Sono stati definiti molti tipi di amore: l’amor platonico, l’amore carnale, l’amore mistico… Un esempio di amore sincero e disinteressato è quello che ci viene descritto da Giovanni Boccaccio nella novella Federigo degli Alberighi tratta dal Decameron. La vicenda vede come attore principale appunto Federigo, giovane di buona famiglia, che aveva sconsideratamente dilapidato il suo patrimonio per ottenere l’amore di monna Giovanna, senza per altro riuscirvi, e si era ridotto in povertà conservando solo un piccolo podere, che coltivava egli stesso, e un falcone dalle eccezionali doti di predatore, grazie al quale si procurava la selvaggina per la sua tavola. Passano gli anni: monna Giovanna si sposa, ha un figlio, rimane vedova ancora giovane e si ritira in una sua proprietà di campagna vicina a quella dell’antico spasimante. Qui il figlio della gentildonna fa amicizia con Federigo di cui ammirava in special modo il falcone. Succede che il ragazzo si ammali e che la madre, per confortarlo, gli chieda di dirle se ci fosse qualcosa che desiderasse: lei gliel’avrebbe procurata in ogni modo. Il ragazzo confessa che da molto tempo desiderava il falcone di Federigo: se l’avesse avuto era certo che sarebbe guarito prontamente. Madonna Giovanna, sapendo quanto Federigo l’avesse amata senza avere da lei nemmeno uno sguardo, indugiava a recarsi da lui per chiedere quel falcone che oltretutto era la fonte principale del suo sostentamento, ma alla fine l’amore di madre prevalse su tutto e la mattina dopo, accompagnata da una donna, raggiunse la casetta nella quale egli viveva. Federigo la accolse con meraviglia e con grande piacere, dando disposizioni affinché fosse preparata la tavola per le due ospiti, senza pensare che non aveva nulla da offrire loro. Il falcone, però, sembrava bello grasso e quindi Federigo, senza alcuna esitazione, gli tirò il collo e lo consegnò ad una servetta perché fosse cucinato a dovere e servito in tavola. E così fu. Dopo il pranzo, monna Giovanna si decise finalmente a rivelare a Federigo il vero motivo per cui era venuta a fargli visita. 8 Di fronte all’impossibilità di accontentare la donna che aveva tanto amato e che ancora amava, Federigo non riuscì a trattenere le lacrime e confessò che il falcone era stato servito a pranzo e fece vedere, a testimonianza delle sue parole, le penne, le zampe e il becco del povero uccello. Addolorata per il sacrificio purtroppo inutile di Federigo e preoccupata per la salute del figlio, Giovanna tornò a casa sconsolata. Dopo alcuni giorni il ragazzo morì. Rimasta sola ed erede di grandi proprietà, Giovanna cedette alla fine alle insistenze dei suoi fratelli che la volevano rimaritata, ma a patto che il futuro sposo non fosse altri che Federigo. E benché i fratelli la prendessero in giro a causa della povertà dell’uomo da lei scelto, Giovanna resistette nel suo proposito finché i fratelli acconsentirono al matrimonio, che fu felice per entrambi fino alla fine dei loro giorni. Il bisogno di amare, però, può essere talvolta molto doloroso e lasciare sgomenti, anche quando quest’ultimo sia rivolto a Dio. È l’esperienza che troviamo in gran parte della produzione poetica di David Maria Turoldo, sacerdote e frate dei Servi di Maria. La sua ricerca di Dio risulta estenuante, in quanto Dio non è mai un possesso sicuro ed è spesso drammaticamente silenzioso anche nei confronti di un sacerdote appassionato come padre Turoldo. Resta la speranza tuttavia, rappresentata da quella “sponda” con cui si conclude la poesia che ho scelto e che sembra rappresentare il possibile punto di “approdo” per l’autore. Tratta da Udii una voce (1952), è intitolata Notte troppo vasta. Notte troppo vasta, / pianura lugubre / dove son nato, paese mio / senza montagne, senza una pianta! / Questa interiore notte / ove luce nessuna rompe / un attimo la tenebra compatta; / questa notte, coltre di morte, / immobile mare ove il grido / è rottame inutile. / Notte nemica, ove nessuno / è presente a segnare il punto / del tuo viaggio: / nessuno a dirti la distanza / della terra, del cielo, / mia notte, spazio non di vita / non di morte, / ove non è dato sapere / se una qualsiasi speranza d’approdo / sia ancora possibile: / questa inanimata notte / è mia dimora, Signore, / il mio elemento ove m’immergo: / e Tu, Tu, o Assente, / la mia lontanissima sponda. Maria Laura Rosi NAZARETH 3 2016 Amore Relazione D i recente ho avuto modo di partecipare alla prova scritta del nuovo concorso per docenti. Intorno a me, in attesa di essere chiamati nell’aula per lo svolgimento del compito, tanti volti sconosciuti. Alcuni preoccupati, altri assonnati. Alcuni più maturi, altri davvero giovanissimi. Accanto a me un’insegnante “veterana” chiacchiera con un ragazzo evidentemente fresco di laurea e di abilitazione. “Ma chi te lo fa fare di diventare insegnante!” gli dice, con aria sarcastica. Il giovane resta attonito per un attimo, poi risponde “Non ci ho nemmeno dovuto pensare. Amo troppo le materie che ho studiato!”. La veterana scuote la testa e se ne va. Io gli sorrido e gli dico che lo capisco.“Ma non è l’unica cosa che devi amare quando fai l’insegnante” gli dico. Il neolaureato annuisce e sembra avere capito al volo. Vorrei spiegargli quello che intendo, ma la commissione ha richiama- NAZARETH 3 2016 to tutti e bisogna andare a svolgere la prova. Il filosofo Pier Aldo Rovatti ha scritto alcune righe molto belle su questo stesso argomento: l’amore per il sapere, per il fatto stesso di essere un “amore”, deve passare necessariamente per la relazione, cioè attraverso l’accomunamento e la socializzazione. Se ciò accade, si produce anche una trasformazione delle soggettività, una doppia trasformazione poiché riguarda al tempo stesso gli allievi e l’insegnante. Se l’insegnante non è toccato da tale processo la scuola gira a vuoto e costruisce una relazionalità bloccata e perfino negativa. Credo che tutti gli educatori, in qualunque livello dell’istruzione operino, bene o male abbiano scelto di fare ciò che fanno perché si sono innamorati del “sapere”. Quel tipo di amore che in qualche modo ti “costringe” a restituire al mondo ciò che hai appreso, perché solo così ciò che si è appreso, approfon- 9 SCUOLA E VITA INSEGNAMENTO SCUOLA E VITA Scuola “Media”, “S. Famiglia”, Verona dito, fatto proprio sembra davvero prendere un senso pieno. È senz’altro un buon punto di partenza per un insegnante che comincia la sua professione, perché muove da un atteggiamento rivolto non al nostro tornaconto personale, ma agli altri. L’amore, come osserva giustamente Rovatti, è prima di tutto relazione. E, se esiste un compito che vive interamente di relazione, quello è senz’altro l’insegnamento. Non si insegna nulla senza instaurare prima una relazione con i propri allievi. E, dall’altro lato, non si apprende nulla di realmente significativo se non c’è alla base un rapporto - di fiducia, di stima, di riconoscimento nei reciproci ruoli - con l’insegnante. Un rapporto di piena umanità. Tornando a casa dopo avere risposto ai quesiti molto tecnici del concorso, pensavo proprio a quel ragazzo, a cosa significa davvero essere un insegnante che ama ciò che fa, e al fatto forse scontato, indubbiamente triste - di come il sistema di selezione dei docenti in fondo non abbia mai tenuto conto di questo aspetto della professione. Come se non esistesse, o non fosse valutabile, perché sfugge alle normative scolastiche, alle nozioni stampate nei programmi, alle fredde esigenze della docimologia. L’amore non è materia di concorso, insomma. Cosa avrei spiegato a quel giovane insegnante se avessi avuto l’opportunità di proseguire il nostro brevissimo dialogo? Forse che non bisogna amare solo il sapere, ma anche i propri allievi? Sembra un’affermazione troppo forte da fare, e forse non è del tutto esatta. Probabilmente la risposta che mi sembra più convincente è che bisogna amare l’insegnamento (ma potrei dire l’educazione) tout court. Pro- 10 prio perché insegnare è in fondo una forma di amore. Che si propaga con forza agli altri e offre senso, offre futuro, offre passione, non solo mera conoscenza. Lo racconta con tono leggero ma pregnante lo psicologo Massimo Recalcati: Da ragazzo frequentavo alla fine degli anni Settanta le aule disadorne di un Istituto agrario. Alcuni dei miei compagni finirono sperduti in India, altri costeggiarono pericolosamente il terrorismo, altri ancora sono stati ammazzati dalla droga. Eravamo in quell’Istituto un manipolo di cause perse. Cosa mi salvò se non un’ora di lezione, se non una giovane professoressa di lettere di nome Giulia Terzaghi che entrò in aula stretta in un tailleur grigio rigorosissimo parlandoci di poeti con una passione a noi sconosciuta? Cosa mi salvò se non un’ora di lezione? Se non quella passione sconosciuta che Giulia sapeva incarnare? Questa storia non è solo la mia ma è la storia di molti. Cosa ci salvò se non quel desiderio di sapere che si propagava dalla forza della parola dell’insegnante capace di scuoterci dal sonno? Non è forse questo quello che la scuola burocratizzata della valutazione e della informatizzazione sospinta rischia di dimenticare? Non è forse l’ora di lezione che può rimettere in movimento le vite scuotendole dall’inerzia di un sapere proposto solo come un oggetto morto? Auguro a tutti gli studenti di ogni ordine e grado di incontrare la loro Giulia, conclude Recalcati. È un augurio a cui non posso che unirmi. Sperando, da insegnante, che un po’ di Giulia sia anche dentro di me e dei miei colleghi, veterani o novellini che siano. Andrea Cornale NAZARETH 3 2016 LIBRI PARLANO... anche senza parole N el panorama editoriale contemporaneo, spicca, per novità ed originalità, una tipologia di libri in cui la narrazione avviene per sole immagini: silent books. Libri silenziosi, in gergo tecnico, che, pur in assenza di parole, sanno raccontare storie intrise di emozioni, capaci di tenere in suspense il lettore, di strappare un sorriso, di incuriosire, di affascinare. Seppur in assenza del testo scritto, è ben chiaro al lettore per quale via lo scrittore-illustratore intende condurlo, pur rispettando sempre l’unicità dell’interpretazione che ogni lettore è libero di costruire. Silent books che si rivolgono a fasce di lettori di diversa età, dai più piccini, agli adolescenti, agli adulti. Libri in cui l’abilità artistica può trovare, nelle pagine di un libro, espressioni inedite. Libri che possono nascere da due o quattro mani: l’ideatore della trama può coincidere o meno con l’autore delle illustrazioni. Così è stato per Renato Moriconi, illustratore brasiliano, che, insieme a Ilan Brenman, ha pubblicato, per la casa editrice Gallucci, Telefono senza fili: un libro privo di parole che ripropone il gioco senza età di trasferire un’informazione passandola di orecchio in orecchio. Dall’idea di Brenman, che pare sia nata proprio dall’osservare dei bambini divertirsi a sussurrare frasi alle orecchie di adulti stupiti, grazie al tratto preciso e scanzonato di Moriconi, nasce un albo di grande formato in cui, in un gioco di primi piani e profili, si staglia il gioco e prende vita una trama in cui il lettore può immaginare cosa può dire un giullare ad un re, che sussurra ad un soldato bardato, che si rivolge ad un palombaro; e il gioco continua in un susseguirsi di personaggi, tutti intenti a trasmettere il medesimo messaggio, passando da epoche e provenienze diversissime. Come faranno a comprendersi questi personaggi? Sarà l’ultima immagine che, a chiudere il cerchio narrativo, svelerà, anche se solo in parte, l’intero gioco. Moriconi, dunque, trasforma in sole immagini un’esperienza ludica che fa della parola e della capacità di comprenderla la sua essenza, andando oltre il gioco stesso per coinvolgere il lettore su altri piani interpretativi, che incurio- NAZARETH 3 2016 siscono e divertono al contempo. Il connubio fra colui che la storia del libro l’ha immaginata e colui che l’ha resa visibile ha generato un libro di elevata qualità stilistica e di riconosciuta abilità narrativa. Moriconi ci riprova poi con un altro esilarante libro senza parole, sempre edito da Gallucci: Il Barbaro. Il formato bislungo del libro partecipa attivamente alla narrazione in cui un impavido barbaro affronta, imperturbabile, una sequenza di prove di coraggio e di forza, senza batter ciglio, o meglio, addirittura a palpebre chiuse. Si diverte l’autore a dimostrare l’incorruttibilità del guerriero, fino a scoprire poi che altro non si tratta che di un fantasmagorico giro in giostra. La silenziosità apparente è rotta dalla narrazione implicita che le immagini offrono, con particolari e colori che esprimono emozioni, con scene che, come immagini rupestri, raccontano momenti di vita, scene di coraggio, atti di eroicità che appartengono, oramai, alla storia di ognuno e che, anche i bambini, attraverso l’immaginazione e la fantasia, ripercorrono in un fantomatico gioco simbolico. Le parole, dunque, si celano copiose fra le immagini che si susseguono pagina dopo pagina, in una prospettiva narratologica che stimola il pensiero e la ricerca logica del senso in cui il fruitore è chiamato a costruire le frasi, i periodi, le sequenze che le immagini richiamano con chiarezza. Fra i primi autori che hanno sperimentato a pieno titolo la capacità narrativa delle sole immagini, non possiamo non citare Iela ed Enzo Mari, i cui libri sono divenuti, oramai, dei classici della letteratura per l’infan- 11 BIBLIOTECA IN FAMIGLIA I BIBLIOTECA IN FAMIGLIA zia, immancabili negli scaffali dedicati ai piccoli lettori. Fra gli altri, ricordiamo La mela e la farfalla e Il palloncino rosso, editi entrambi dalla casa editrice milanese Babalibri. Se il primo albo esprime, con maestria e abilità artistica, la trasformazione di un bruco in farfalla, mantenendosi sul piano della realtà e della bellezza prodigiosa della natura, il secondo scherza con la fantasia, immaginando come, da un palloncino, può prendere il via un gioco di trasformazioni in cui il lettore può creare storie parallele e, stimolato dal racconto, immaginare altre, nuove e diverse trasformazioni. In questa semplice citazione di libri caratterizzati dall’assenza dell’apparato verbale, tranne che per il titolo, è doverosa la citazione della trilogia della coreana Suzy Lee. Tre libri in cui il formato, l’interruzione di pagina della rilegatura e la direzione delle immagini divengono parte integrante della struttura narrativa, elementi partecipativi della trama di ciascun racconto che l’autrice intesse con destrezza artistica e abilità empatica verso il vissuto delle tre bambine: ciascuna protagonista di una storia ricca di emozioni, nella singolarità di ogni racconto. L’onda, Ombra e Mirror, Mirr editi dalla casa editrice mantovana e Corraini, sono tre splendidi albi che narrano esperienze di incontri, con un’onda il primo, con le ombre il secondo, in un gioco di luci che danno vita ad un mondo parallelo ricco di personaggi e ambientazioni diverse; il terzo albo, Mirror, più introspettivo, narra l’incontro della giovane protagonista con la propria immagine riflessa in uno specchio, illusione di un alter ego amico, per poi scoprire che, una volta infranto lo specchio, la solitudine più intima riappare in tutta la sua intensità. I libri della Lee possono essere letti in sequenza, quasi a rivelare un 12 percorso di crescita che porta in sé, inevitabilmente, esperienze di scoperta, di spensieratezza ed anche di profondo disagio. Ed ancora una volta, il libro, la bella narrazione, il buon racconto sanno rispecchiare con verità il vissuto di ogni uomo e donna, in un alternarsi di eventi diversi che caratterizzano la costruzione della personale storia di ciascuno. E per concludere questa carrellata di albi senza parole, che non ha certo la pretesa d’essere esaustiva, ancora un libro, intenso, profondo, toccante. Edito dalla casa editrice romana Orecchio acerbo, di Ji-hyeon Lee, illustratrice coreana: La piscina. Ai bordi di una piscina affollata di gente che si affanna a divertirsi, un bambino si avvicina con titubanza e poi, preso coraggio, decide di tuffarsi. E qui appare l’incontro con una bambina, anch’ella scesa al di sotto dei bagnati chiassosi e caotici. I due bambini si prendono per mano e insieme proseguono il viaggio verso un mondo parallelo, fantastico, lontano dalla bolgia della superficie. Un viaggio che porterà entrambi a fare scoperte ricche di un nuovo senso di libertà: la libertà che si può conquistare abbandonando le convenzioni, rifiutando il “così fan tutti”, cercando con coraggio di nuotare contro corrente. Tutto questo è esplicitato dall’unica frase dell’autrice, posta in chiusura del libro, che si propone come dedica e incoraggiamento: “Alle persone che vogliono nuotare il mondo in piena libertà”. Ed unendoci a questo augurio, auspichiamo, ancora una volta, che i libri possano far breccia nella mente di piccoli e grandi lettori, aprendo nuove riflessioni, instillando altre curiosità, stimolando creativi pensieri, capaci di illuminare di rinnovata bellezza il desiderio di pienezza, a cui la vita chiama ciascuno. Buona lettura! Katia Scabello Garbin NAZARETH 3 2016 PESO della U PREGHIERA na donna infagottata in abiti fuori misura entrò nel negozio di alimentari. Si avvicinò al gestore del negozio e umilmente a voce bassa gli chiese se poteva avere una certa quantità di alimenti a credi- NAZARETH 3 2016 to. Gli spiegò che suo marito si era ammalato in modo serio e non poteva più lavorare e i loro quattro figli avevano bisogno di cibo. L’uomo sbuffò e le intimò di togliersi dai piedi. Dolorosamente la donna supplicò: “Per favore signore! Le porterò il denaro più in fretta che posso”. Il padrone del negozio ribadì duramente che lui non faceva credito e che lei poteva trovare un altro negozio nel quartiere. Un cliente che aveva assistito alla scena si avvicinò al padrone e gli chiese di tentare almeno di accontentare la povera donna. Il droghiere con voce riluttante, chiese alla donna: “Ha una lista della spesa?”. Con un filo di speranza nella voce, la donna rispose: “Sì, signore”. “Bene”, disse l’uomo, “Metta la sua lista sulla bilancia. Le darò tanta merce quanto pesa la sua lista”. La donna esitò un attimo con la testa china, estrasse dalla borsa un pezzo di carta e scarabocchiò qualcosa in fretta, poi posò il foglietto con cautela su un piatto della bilancia, sempre a testa bassa. Gli occhi del droghiere e del cliente si dilatarono per la meraviglia quando videro il piatto della bilancia abbassarsi di colpo e rimanere abbassato. Il droghiere fissando la bilancia, brontolò: “È incredibile!”. Il cliente sorrise e il droghiere cominciò a mettere sacchetti di alimenti sull’altro piatto della bilancia. Sbatteva sul piatto scatole e lattine, ma la bilancia non si muoveva. Così continuò e continuò, con una smorfia di disgusto sempre più marcata. Alla fine afferrò il foglietto di carta e lo fissò, livido e confuso. Non era una lista della spesa. Era una preghiera: “Mio Dio, tu conosci la mia situazione e sai ciò di cui ho bisogno: metto tutto nelle tue mani”. Il droghiere consegnò alla donna tutto ciò che le serviva, in un silenzio imbarazzato. La donna ringraziò e lasciò il negozio. Solo Dio conosce il peso della preghiera. Bruno Ferrero Tratto da: Ma noi abbiamo le ali Piccole storie per l’anima - LDC 13 SPIRITUALITÀ CONDIVISA Il SPIRITUALITÀ CONDIVISA Lettera di SAN TOMMASO a uno studente G iovanni, in Cristo a me carissimo, poiché mi hai chiesto in che modo tu debba applicarti allo studio per acquistare il tesoro della scienza, ecco in proposito il mio consiglio: non voler entrare subito in mare, ma arrivaci attraverso i ruscelli, perché è dalle cose più facili che bisogna pervenire alle più difficili. Questo è dunque il mio parere, che ti servirà di regola. Voglio che tu sia tardo a parlare e restio a scendere in parlatorio: abbi una coscienza pura; non tralasciare di attendere alla preghiera; sii amante della tua cella; mostrati amabile con tutti; non essere per nulla curioso dei fatti altrui; non essere troppo familiare con nessuno, perché la familiarità eccessiva genera disprezzo, e dà occasione di trascurare lo studio;non t’intromettere in nessun modo nei discorsi e nei fatti dei secolari; non divagare su tutto; non lasciar d’imitare gli esempi dei santi e dei buoni; non guardare chi è colui che parla, ma tieni a mente tutto ciò che di buono egli dice; procura di comprendere ciò che leggi e ascolti. Certificati delle cose dubbie, e studiati di riporre nello scrigno della memoria tutto ciò che ti sarà possibile; non cercare cose superiori alla tua capacità. Seguendo queste norme, produrrai fiori e frutti nella vigna del Signore, in tutti i giorni della tua vita. Mettendo in pratica questi insegnamenti, potrai raggiungere la meta alla quale aspiri. Addio. Preghiera prima dello studio O Creatore ineffabile, Tu che sei fonte vera e supremo principio di luce e sapienza, degnati d’infondere nel mio intelletto un raggio della tua luce. Dammi profondità di penetrazione, esattezza d’interpretazione, facilità di apprendere, capacità di ritenere. Tu, che rendi eloquente la lingua dei fanciulli, istruiscimi e infondi sulle mie labbra la grazia e la forza della tua parola. Prepara l’inizio del mio studio, dirigine la continuazione, completane il termine. Concedimi di amare ardentemente, d’investigare prudentemente, di conoscere veracemente ciò che a te piace e di adempierlo perfettamente a lode e gloria del tuo nome. San Tommaso 14 NAZARETH 3 2016 “D VOLTO di DIO io! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?”… sono le parole che il Manzoni, nel romanzo, I promessi sposi, mette in bocca all’Innominato quando, questo “appaltatore di delitti, un disperato che tiene corrispondenza co’ disperati più furiosi…”, a colloquio con il cardinale Federigo Borromeo sente il bisogno di liberarsi dall’“inferno che ha nel cuore...” e cerca Dio. Penso che nei momenti più difficili di sconforto ciascuno di noi, anche se non “scellerato di professione”, almeno una volta nella propria vita abbia espresso il desiderio di vedere, di sentire Dio in una affannosa ricerca, e questo desiderio di conoscere il volto di Dio, dice Benedetto XVI, “è insito in ogni uomo, anche negli Atei”. La più grande rivoluzione compiuta nella storia dell’uomo è legata al nome di un Figlio, rivoluzione che trova fondamento e certezza nella Resurrezione. Dio ha creato il mondo ma suo Figlio lo ha salvato. I più grandi capolavori nella storia dell’arte hanno protagonista Cristo perché, giustamente, il Padre Eterno è irrappresentabile: il Padre Eterno “È”, non “fa”; con Cristo affrontiamo la realtà. Con la Natività, Dio non parla più per bocca dei Profeti, ma “visita realmente il suo popolo”. Finalmente il volto di Dio è rivelato nell’incarnazione del suo Figlio Unigenito. La novità del Nuovo Testamento risiede proprio nella realtà di Dio fattosi uomo, un Dio che “si può vedere”, che “ha manifestato il suo volto” ed è “visibile in Gesù”. Attraverso le opere d’arte, si può delineare una storia che mira alla descrizione del volto di Gesù, che descriva le varie modalità con cui il volto di Cristo è stato rappresentato: si potrebbero scrivere minuziose analisi storicocritiche di ogni dettaglio e di ogni particolare del volto di Cristo. Si potrebbe fare tutto que- NAZARETH 3 2016 sto e tuttavia, di fatto, non comprendere nulla del volto di Cristo. Non basta possedere la vista per vedere le cose, bisogna che questa sia educata alla visione spirituale e fisica del mondo, delle cose, dell’arte. Papa Francesco ci ha ricordato che “gli occhi della nostra anima hanno bisogno, hanno necessità di essere preparati per guadare quel volto meraviglioso di Gesù...”. Infatti è necessario che si percorra un cammino di formazione, di preparazione per educare i nostri occhi a “vedere” il volto di Cristo. L’arte della pittura ha questo compito meraviglioso di offrire alla vista lo sguardo dell’Amato, per mostrarlo e farcelo conoscere come Colui che ci ama. Le immagini dipinte ci possono educare pazientemente, delicatamente a riconoscere il volto di Dio. Come può accadere questo ? Solo attraverso la preghiera: solo attraverso la preghiera un artista può tentare di offrire un ritratto del volto di Cristo e solo attraverso la preghiera si può contemplare, con giusta partecipazione, l’immagine dipinta. La preghiera nutre la Fede, la Fede nutre la conoscenza. L’Arte apre alla vista se a sua volta si apre alla Fede attraverso la preghiera. Se la storia dell’arte non è realmente informata da una profonda Fede, non sarà in grado di dirci nulla del volto di Cristo perché si lascerà di volta in volta fuorviare da storiografie riduzioniste o comunque parziali. Quando cerchiamo Dio attraverso il volto del suo Figlio è il momento in cui “chi più di noi l’ha vicino?” e: “… non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, lo imploriate?...” risponde Federigo Borromeo al disperato interrogativo del suo interlocutore. Italo Forieri 15 SPIRITUALITÀ CONDIVISA Riconoscere il MAGISTERO PAPA FRANCESCO ai giovani Non si può sentire il domani senza aver stima di sè. In occasione del viaggio apostolico in Messico (stadio di Morelia, martedì 16 febbraio 2016) È Gesù Cristo che rinnova continuamente in me la speranza, è Lui che rinnova continuamente il mio sguardo. È Lui che risveglia in me, in ognuno di noi il fascino di godere, il fascino di sognare, il fascino di lavorare insieme. È Lui che continuamente mi invita a convertire il cuore. Sì, amici miei, vi dico questo perché in Gesù io ho incontrato Colui che è capace di accendere il meglio di me stesso. Ed è grazie a Lui che possiamo fare strada, è grazie a Lui che ogni volta possiamo ricominciare da capo, è grazie a Lui che possiamo dire: non è vero che l’unico modo di vivere, di essere giovani è lasciare la vita nelle mani del narcotraffico o di tutti quelli che la sola cosa che stanno facendo è seminare distruzione e morte. Questo non è vero e lo diciamo grazie a Gesù. Ed è anche grazie a Gesù, a Gesù Cristo il Signore che possiamo dire che non è vero che l’unico modo di vivere per i giovani qui è la povertà e l’emarginazione; emarginazione dalle opportunità, emarginazione dagli spazi, emarginazione da formazione ed educazione, emarginazione dalla speranza. È Gesù Cristo Colui che smentisce tutti i tentativi di rendervi inutili, o meri mercenari di ambizioni altrui. Sono le ambizioni altrui che vi emarginano, per usarvi in tutte quelle cose che ho detto, che sapete, e che finiscono nella distruzione. E l’unico che mi può tenere ben forte per la mano è Gesù Cristo. Egli fa sì che questa ricchezza si trasformi in speranza. Mi avete chiesto una parola di speranza: quella che ho da dirvi, quella che è alla base di tutto, si chiama Gesù Cristo. Quando tutto sembra pesante, quando sembra che ci caschi il mondo addosso, abbracciate la sua croce, abbracciate Lui e, per favore, non staccatevi mai dalla sua mano, anche se vi sta portando avanti trascinandovi; 16 e se una volta cadete, lasciatevi rialzare da Lui. Gli alpini hanno una canzone molto bella, che a me piace ripetere ai giovani, una canzone che cantano mentre salgono: “Nell’arte di ascendere, il successo non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Questa è l’arte. E chi è l’unico che ti può afferrare per la mano perché tu non rimanga caduto? Gesù Cristo, solo Lui. Gesù Cristo che, a volte, ti manda un fratello perché ti parli e ti aiuti. Non nascondere la tua mano quando sei caduto. Non dirgli: Non guardarmi che sto infangato o infangata. Non guardarmi, che ormai non c’è più rimedio. Solamente lasciati afferrare la mano, e afferra quella mano, e la ricchezza che hai dentro, sporca, infangata, data per perduta, comincerà, attraverso la speranza, a dare il suo frutto. Ma sempre con la mano stretta a quella di Gesù Cristo. Questa è la strada. Non dimenticate: “Nell’arte di ascendere, il successo non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Non permettetevi di rimanere caduti! Mai! D’accordo? E se vedete un amico o un’amica che ha fatto uno scivolone nella vita ed è caduto, vai e offri la tua mano; ma offrila con dignità: mettiti accanto a lui, accanto a lei, ascolta… Non dire: ti do la ricetta! Ma, da amico, con calma, dagli forza con le tue parole, con il tuo ascolto: quella medicina che si sta dimenticando: l’“ascoltoterapia”. Lascialo parlare, lascia che ti racconti, e allora, a poco a poco, ti allungherà la mano, e tu lo aiuterai nel nome di Gesù Cristo. Ma se vai di colpo, e cominci a fargli la predica, e dai e dai, alla fine, poveretto, lo lasci peggio di come stava… È chiaro? Non staccatevi mai dalla mano di Gesù Cristo, non allontanatevi mai da Lui. Francesco (continua da Nazareth n. 2 / 2016) NAZARETH 3 2016 C hi siamo? È questa la domanda che fa da sfondo ai contributi di questa pubblicazione. Una domanda che potremmo declinare e al contempo arricchire affiancandone ad essa delle altre quali Chi vogliamo essere? Come siamo? Come la gente vuole che siamo? Come noi vogliamo la gente ci veda? Alla fine, invece del “chi” c’è forse da chiedersi “cosa” siamo, dove quel “cosa” non è da leggere come una trasformazione della persona in un oggetto ma, semmai, informa di come il “chi siamo”- non sempre e per forza, ma spesso - è frutto in buona sostanza di una cosciente costruzione che il soggetto elabora su se stesso, per suo uso e vantaggio. Su questo processo di costruzione, di definizione della identità propria e altrui, si innesta anche un’altra categoria che va resa distinta e distinguibile, cioè l’“altro”, poiché è in base al significato che si attribuisce all’altro che la persona definisce se stessa. Ugualmente all’ “io” anche “altro” è una persona, una tipologia sociale da sempre problematizzata. Chi è “altro” non è del castello, non è del paese. Non è nulla, ma deve pur essere qualcosa: sventuratamente è un forestiero, uno che è sempre di troppo e sempre fra i piedi, uno che procura un mucchio di grattacapi. Così diceva l’ostessa de Il castello di Kafka. Per evitare problemi, dunque, l’altro va reso distinguibile, immediatamente e in qualche misura. La riconoscibilità, propria e altrui, è da sempre avvertita anche come necessità. La necessità della definizione, che è anche distinzione, è un qualcosa che è stato oggetto di indagine in diversi campi del sapere: dalla letteratura alla storia, dalla filosofia al diritto, dalle scienze sociali alla storia dell’arte. Molti, infatti, sono stati e tutt’ora sono, pittori scultori e artisti di ogni sorta che dedicano parte della loro produzione a indagare, proporre e, in definitiva, tentare di marcare nella pietra o definire sulla tela l’ “io” e/o l’ “altro”, in altri termini: la figura umana. Scegliere un artista piuttosto che un altro è molto difficile dal momento che tutti, anche se per brevi periodi e in via sperimentale, si sono concentrati sulla figura umana. Preso atto di ciò, si può tuttavia cercare di enucleare alcuni filoni della rappresentazione dell’uomo nella storia dell’arte: realistico, idealizzato e deformato. La figura umana realisticamente colta, la si può vedere nel cinquecento di Caravaggio, piuttosto che nel Naturalismo del XIX secolo. In quei casi gli artisti erano partiti dall’osservazione della realtà, riprodotta in modo fedele, senza troppi abbellimenti e evitando di nobilitare i soggetti. Un esempio della esatta riproduzione del reale, si può cogliere nella celebre Canestra di frutta del 1599, dove frutta matura e foglie di un verde brillante fanno il paio con frutti bacati e foglie avvizzite. Esemplare per quanto concerne il realismo della figura umana, è il ritratto ottocentesco della Famiglia di Carlo IV nel quale, diversamente dai tradizionali “State portrait”, caratterizzati da soggetti idealizzati e innaturalmente belli e eroici, i soggetti sono colti nella nuda e cruda realtà delle loro fattezze. Caravaggio, “Canestra di frutta”, 1599, Pinacoteca Ambrosiana, Milano NAZARETH 3 2016 17 VOCE GIOVANI FIGURA UMANA La : arte che mostra, idealizza, deforma SPIRITUALITÀ CONDIVISA Leonardo, “Uomo vitruviano”, 1490, Galleria dell’Accademia, Venezia Goya, “La famiglia di Carlo IV”, 1801, Museo del Prado, Madrid queste opere, che possono essere le sculture e i bassorilievi di Fidia e il Doriforo di Policleto del I secolo a.C. piuttosto che il cinquecentesco David di Michelangelo o i disegni di Leonardo da Vinci - si veda l’Uomo vitruviano del 1490 -, la cosa più lampante è il naturalismo di quelle ma si deve tenere a mente che tutte quelle figure, seppur derivanti dall’osservazione diretta della realtà, sono state comunque ottenute geometrizzando e perfezionando la natura, per renderla armonica in tutte le sue componenti. Non sono poi mancate occasioni nelle quali, piuttosto che riprodurre il reale così come si offriva loro, i pittori e scultori hanno invece pre- In altri casi, invece, l’espressività ferito rielaborare forme e pro- della figura umana anziché passaporzioni al fine di esprimere re tramite la via naturale o quella la figura umana assecondando più geometricamente idealizzata la loro visione dell’uomo. In e inquadrata entro canoni ben queste opere idealizzanti e dai precisi, si manifesta attraverso la soggetti idealizzati, infatti, l’ar- deformazione di gesti espressiotista tralascia elementi partico- ni e corpi: allungati talvolta fino lari in favore di schematismi, alla loro disarticolazione se non geometrie, quasi delle vere e addirittura disintegrati, rimpiccioproprie astrazioni, per comu- liti o comunque alterati nelle loro proporzioni. Tale tennicare attraverso denza si è sviluppata di esse contenuti e soprattutto nel corso Modigliani, “Ragazza significati simbolidel Novecento, quan- in camicetta a pois”, ci circa le forme e do i canoni classici di 1919, Philadelphia le fisionomie che bellezza avevano peregli raffigura. so il loro appeal e la rappresentaOvviamente c’è zione della realtà è divenuta più idealizzazione e Michelangelo, “David”, 1501, soggettiva. idealizzazione: Galleria dell’Accademia, Firenze Figure distorte e deformi segnano quella semplice la produzione dagli espressionisti e priva di proe, a distanza di tempo, le ritroviaporzioni tipica dell’arte dell’antimo ad esempio negli arti allungati co Egitto o dell’arte bizantina ad de La ragazza in camicetta a pois esempio; oppure la idealizzazione di Modigliani, nei corpi poliformi che passa per un eccesso di prodi Picasso e nelle gravi e allo stesporzioni di quei corpi intrappolati so tempo impalpabili sculture di in idealizzate griglie geometriche Giacometti. che dall’arte romana e soprattutto Policleto, “Doriforo”, greca verranno riproposti nel Ri450 a.C., Museo Giulio Biondi nascimento italiano e nel NeoclasArcheologico, Napoli sicismo. È pur vero che, vedendo 18 NAZARETH 3 2016