Periodico di educazione cristiana n. 3, luglio, agosto, settembre

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Periodico di educazione cristiana n. 3, luglio, agosto, settembre
Periodico di educazione cristiana n. 3, luglio, agosto, settembre 2016 - Anno CX - Poste Italiane spa - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA
Sommario n. 3/2016
A cura delle
«Piccole Suore della Sacra Famiglia»
luglio, agosto, settembre
n. 3 - 2016 Anno CX - Trimestrale
LETTERA DELLA MADRE
1 L’uomo alla ricerca di Dio
Padre di misericordia
Direttrice responsabile:
Sr. Maria Angelica Cavallon
FORMAZIONE
2 Chi cerchiamo:
la persona, le relazioni?
4 Uguaglianza nella diversità
5 Il segno dell’Amore
6 Incontri
Direzione e Amministrazione:
Istituto Piccole Suore
della Sacra Famiglia
37010 Castelletto di Brenzone (VR)
Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2,
DCB VERONA
Autorizzazione Tribunale
di Verona n. 29, 8 febbraio 1960
COMITATO DI REDAZIONE:
37138 Verona
Via G. Nascimbeni, 10
www.pssf.it - e-mail: [email protected]
Sr. Maria Angelica Cavallon,
Sr. Maria Romana Bombo,
Sr. Umberta Maria Bettega
COLLABORATORI:
Andrea Cornale, Anna Pia Viola,
Giulio Biondi, Michela Faccioli,
Italo Forieri, Katia Scabello Garbin,
Maria Laura Rosi, Suor Erica Benetton.
LETTERATURA
7 Il bisogno d’amare che é in noi
SCUOLA E VITA
9 Insegnamento Amore Relazione
BIBLIOTECA IN FAMIGLIA
11 I libri parlano... anche senza parole
SPIRITUALITÀ CONDIVISA
13 Il peso della preghiera
14 Lettera di San Tommaso a uno
studente
14 Preghiera prima dello studio
15 Riconoscere il volto di Dio
VOCE GIOVANI
17 La figura umana:
arte che mostra, idealizza, deforma
La pubblicazione è curata
da Editoriale Della Scala - Povegliano Veronese
Stampa: Mani Grafiche snc
Via C. A. Dalla Chiesa, 3 - 37060 Mozzecane (VR)
Tel. 045 7930906
VOCE GIOVANI
23 Cracovia GMG
24 Olimpiadi - Rio de Janeiro - Brasile
I e IV di copertina: Giornata alla “Garda Family House”
Grest estivo, parrocchia
“Beato Andrea”, Peschiera (VR)
(Foto Redazione)
LE PSSF IN MISSIONE
30 Angola
31 Togo
33 Convegno Laici e Consacrati insieme
33 Sono entrate nella pienezza della vita
DIALOGO ECUMENICO
E INTERRELIGIOSO
34 Il dialogo nasce dall’incontro
tra persone concrete
35 Papa Francesco pellegrino di
comunione
36 Dalla “Dichiarazione comune”
FAME E SETE DI GIUSTIZIA
38 È possibile ancora
40 Laudato si’
41 Con simpatia
MAGISTERO
16 Papa Francesco ai giovani
VITA DELLE PSSF
19 “La carità di Cristo ci spinge”
(2 Cor 5,14)
20 “Quello che si fa con amore e per
amore ha un valore infinito”.
(Beata M. Domenica Mantovani)
21 “Dio ci ama con l’amore di madre,
ci porta nelle sue mani”.
(Beato G. Nascimbeni)
22 ...dall’angolo francescano
Iva assolta dall’Editore
ex art. 74 D.P.R. 633/72
CARISMA
27 Una lunga vita donata
28 Il popolo
29 Festa popolare
FORMAZIONE PERMANENTE
25 Dal “cosa” al “chi”
CEI - ORIENTAMENTI PASTORALI
26 La vita come vocazione d’amore
Ricordiamo ai gentili Lettori
il rinnovo dell’abbonamento
per il 2016:
per amici e sostenitori € 20,00
normale per l’Italia € 15,00
per l’estero € 20,00
pagamento con Banco Posta
IBAN: IT 23 U 07601 11700
000014875371
oppure sul c/c postale
n. 14875371
intestato a:
Istituto Piccole Suore
della S. Famiglia,
via Nascimbeni, 6
37010 Castelletto (VR)
specificando
per abb. NAZARETH 2016
LETTERA DELLA MADRE
UOMO
L’
alla ricerca di
Padre di misericordia
DIO
V. Van Gogh, Il Buon Samaritano, particolare, 1890, Otterlo,
Olanda
L’
uomo è da sempre un essere in ricerca: della propria identità, del senso della
vita, di qualcuno da amare e da cui lasciarsi amare. E questa ricerca non è mai conclusa perché l’abisso del desiderio umano è
così profondo che su questa terra non potrà
venire colmato. La ricerca della realizzazione
della propria vita spinge l’uomo ad andare oltre se stesso, verso ciò che è Altro da sé e
proprio per questo può rispondere al suo infinito bisogno di amore. All’inizio del vangelo
di Giovanni c’è una pagina interessante: il Battista posa lo sguardo su Gesù che passa e lo
indica ai suoi discepoli. Due di loro si mettono
alla sequela di Gesù, che si volge indietro e
chiede: «Che cosa cercate?» (1,38). Questa domanda incoraggia a interrogarsi sul significato
autentico della propria ricerca. È la domanda
che Gesù rivolge a chiunque desideri stabilire
un rapporto con lui: è una “pro-vocazione” a
chiarire a se stessi cosa si stia cercando davvero nella vita, a discernere ciò di cui si sente
la mancanza (cf. Educare alla vita buona del
vangelo, n. 25). Andare alla radice del proprio
desiderio, capire perché si desidera qualcuno
o qualcosa è un aspetto molto importante perché rivela chi siamo noi e cosa ci sta a cuore. È
messa in gioco la nostra libertà, la capacità di
guardare nel profondo di noi stessi con verità.
L’uomo che nella sua ricerca incontra il volto
di Dio ha bisogno di coltivare la relazione con
NAZARETH 3 2016
Lui, per scoprirne l’identità, lasciarsi raggiungere dal suo amore, crescere in umanità. Non
a caso nel testo evangelico che abbiamo citato,
Gesù si rivolge ai discepoli di Giovanni dicendo loro: «Venite e vedrete» (1,39). I discepoli accettano la proposta e rimangono con Gesù, si
mettono in gioco. La relazione d’amore esige
pazienza, gradualità, reciprocità, ha bisogno
di un progetto coraggioso e di un impegno
duraturo. Non può continuare per inerzia; va
rilanciata attraverso una scelta costantemente
rinnovata. Riconoscere e accogliere il volto di
Gesù come termine ultimo della propria ricerca significa affidarsi a un Dio che proprio in
Gesù Cristo si è rivelato come misericordia.
Dio è sempre pronto a rialzarci dalle nostre
cadute e a donare rinnovato slancio alla nostra esistenza talvolta faticosa e sfiduciata. Se
ci lasciamo incontrare e abbracciare da questo
amore la nostra vita viene trasformata: gli altri
non sono più visti come rivali o nemici ma fratelli da servire e per i quali donare la vita attraverso piccoli gesti quotidiani di ascolto, attenzione, fiducia. Allora fiorisce in noi la speranza
perché sperimentiamo di essere amati gratuitamente da Dio. L’incontro con il Signore ci
spinge a ridonare l’amore ricevuto, a divenire
segno concreto di quel Dio che è Padre ricco
di misericordia. Ci è chiesto di essere a nostra
volta misericordiosi, di condividere le gioie
e le sofferenze del prossimo, di farci carico
delle sue necessità. In questo Anno giubilare
il Papa ci invita a praticare le opere di misericordia corporale e spirituale. Vivere questo
stile di vita diventa opera di evangelizzazione
perché annuncia la solidarietà di Dio per ciò
che è ultimo e propone un modo alternativo
di stare nel mondo. I cristiani sono chiamati a
rifiutare la logica della pretesa e dello spreco,
a rinunciare ad atteggiamenti di indifferenza
e di emarginazione per vivere la solidarietà e
1
FORMAZIONE
la gratuità del dono, il riconoscimento della
dignità di tutti, la compassione e la prossimità
verso ogni persona. La testimonianza di vita dei
nostri Beati, don Giuseppe Nascimbeni e madre Maria Domenica Mantovani, rappresenta
un esempio luminoso di come l’amore di Dio
possa rendersi estremamente concreto e portare abbondanti frutti di bene. Entrambi si sono
lasciati trasformare dal fuoco vivo dell’amore
divino e l’hanno comunicato a quanti hanno
incontrato. Senza gesti eclatanti, nella ferialità
del quotidiano, sono stati segni efficaci della
cura del Padre verso ognuno dei suoi figli. Per
tutta la loro esistenza hanno cercato e amato
il volto di Dio in Cristo Gesù senza lasciarsi
scoraggiare dai momenti di fatica e di dubbio.
Si sono aggrappati con fiducia alla Parola di
Dio e l’hanno custodita nel loro cuore finché
è sbocciata in un’esistenza meravigliosamente
donata a vantaggio del “povero popolo”.
Suor Angela Merici Pattaro
Superiora Generale
CHI CERCHIAMO:
la persona, le relazioni?
I
l contesto in cui viviamo
Le domande ci proiettano fuori di noi stessi:
da lì ci misuriamo e ripartiamo. L’esperienza personale ci può essere di aiuto. È sempre
stato faticoso mettere ordine nelle relazioni e
scegliere delle priorità mediante un confronto
serio con la propria famiglia, con una comunità, con un piccolo gruppo di amici. Oggi lo
diventa ancora di più a motivo della fretta, del
rincorrere mille stimoli e situazioni. In questo
movimento, piuttosto caotico, proprio i legami umani tendono a diventare fragili, incon-
Foto di Marcella Rossetto
“Punto Famiglia” VR, alla “Garda Family House”
2
sistenti. Lo sappiamo: viviamo in un’epoca di
transizione, complessa. Può essere richiesta
una disponibilità maggiore, ferma e determinata, per passare dal momento individuale e la
relazione con se stessi, a quello comunitario e
oggettivo, la relazione con gli altri. Ogni famiglia, la Chiesa stessa, gli ambienti di studio e di
lavoro possono diventare occasione di apertura ad un atteggiamento interiore nuovo verso
la vita e verso le persone. Le profonde trasformazioni nell’ordinamento sociale ed economico ci stimolano continuamente ad acquistare
una consapevolezza più intensa di quanto si
sta verificando. Tutto può essere considerato
più importante delle relazioni umane, mentre
la vita sembra perdere la lineare chiarezza e dignità. Rimane, tuttavia, accanto alla povertà di
una simile situazione-condizione, la possibilità
per ogni persona di una risposta creativa o il rischio di una enorme presunzione. L’uomo può
diventare insicuro e morbosamente arrogante.
Può continuare a sopravvalutare il denaro, il
sapere, il potere, la forza. Quella forma di miscuglio e di ambiguità tra: impotenza e orgoglio, disperazione e presunzione, fiacchezza e
violenza. Può avvertire una forma di perdita
dell’identità e della capacità di comunicare e di
esserci, veramente, per gli altri.
Siamo forse giunti alla caricatura dell’umanesimo o piuttosto al tempo opportuno per reimpostare le relazioni, nello stile della prossimità?
NAZARETH 3 2016
FORMAZIONE
Grest estivo, parrocchia “Beato
Andrea”, Peschiera (VR) alla “G.F.H.”
Le condizioni e la libertà per vivere relazioni
aperte
Cerchiamo ancora realmente la persona, uomo
e donna, la relazione reciproca che consenta di
fare esperienza di condivisione e di riconoscere
la propria differente identità e capacità di amare? Una persona è uomo e donna in quanto,
sapendo e volendo, vive come essere limitato
nel tempo, nel mutamento, nelle mille configurazioni dell’ esistenza, ma insieme lotta per
aprire una strada verso il miglioramento, verso il futuro, sì, anche verso l’infinito, l’eternità.
Questo è l’inesprimibile fascino dell’umano, un
mistero pieno di dolore, di forza, di desiderio
e di fiducia. Se l’uomo coglie in se stesso tutte queste dimensioni arriva ad apprezzare la
vita: la valutazione di sé è più chiara, umile e
libera, tutte le energie sono ben orientate. Ora
possono emergere quelle distinzioni fra certo e
incerto, fra vero e falso, fra grande e piccolo.
Partendo da questa consapevolezza e maturazione profonde è possibile scoprire che non
siamo soli, siamo comunità che può contribuire alla crescita della comunione tra le persone
stesse e favorire un’ aggregazione umanamente
ricca, in nome della fiducia.
Ma come conservare l’immediatezza della vita
NAZARETH 3 2016
semplice, personale, con il moltiplicarsi delle
relazioni? Come vivere la freschezza e la verità
del Vangelo nella complessità della vita postmoderna? Che cosa sta emergendo di veramente nuovo nel contesto sociale e culturale
nel quale vogliamo costruire un vero umanesimo, attraverso relazioni più gratuite?
Il soggetto umano, oggi, non solo quello occidentale, ha l’impressione che quasi tutto gli
sia possibile o gli sarà tecnicamente possibile.
Mai come ora è cresciuto a dismisura il senso della libertà: libertà dai condizionamenti
naturali e biologici, libertà dalle leggi e dalle
consuetudini. Tutto sembra negoziabile e opinabile. La stessa libertà non è mai stata tanto
manipolabile. La tecnica, applicata al controllo della vita delle persone mediante i mezzi
informatici, che permettono di seguire la persone in tutti gli atti più semplici dell’ambito
privato, fa comprendere che la libertà cui la
persona è assurta non è mai stata così grande
e insieme, mai, così fragile.
La vera libertà tuttavia esiste e non si muove
nella solitudine, o nei contatti digitali, bensì
si dispiega in ampiezza di rapporti autentici e
significativi.
Suor Maria Angelica Cavallon
3
FORMAZIONE
UGUAGLIANZA
nella DIVERSITÀ
I
ngrediente raramente assente nelle canzoni commerciali e parsimoniosamente o elegantemente utilizzato in quelle d’autore, l’amore attraversa in lungo e in largo, nel tempo
e nello spazio, la vicenda umana. Platonico o
vissuto, rivolto ad un pari o ad un’entità superiore oppure considerato in un’accezione più
ampia quale amore per l’umanità in sé considerata, questo sentimento è forza vitale. Non che
non si possa invecchiare senza aver mai amato,
ma amare è vivere, non amare è sopravvivere.
Antonio Gramsci, che aveva vissuto parte della sua giovinezza celando i propri sentimenti,
ormai raggiunto un equilibrio affettivo, rivelò
in una lettera privata di essersi interrogato più
volte se legarsi a una massa fosse possibile,
quando non si era mai voluto bene a nessuno, ovvero quando non si era amato profondamente delle singole creature umane: “Non
avrebbe ciò avuto un riflesso sulla mia vita di
militante, non avrebbe ciò isterilito e ridotto a
un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo
matematico la mia qualità di rivoluzionario?”.
Cosa credono di aver cercato, cosa credono di
aver trovato quelli che hanno vilipeso l’amore,
macchiandolo indelebilmente del sangue delle
donne che credevano di possedere? Cos’hanno
capito quelli? Non certamente che l’amore è innanzitutto libertà. Hanno picchiato, inferto colpi
mortali e deturpato i volti di chi non amavano.
Non è bastata loro quella diffidenza di cui scriveva George Eliot: “Egli diffidava dell’affetto di lei;
e quale solitudine è più sola della diffidenza?”.
Sono rimasti soli e forse a loro neppure importa.
L’amore se non poggia sull’uguaglianza nella
Entrata alla “G.F.H.”, Castelletto (VR)
4
Chiara e Davide, con don Lino e Maria Roma, Ferrara
relazione, è forza prevaricante, è volontà dominante. C’è stato un tempo, e in alcuni luoghi
c’è ancora, in cui alla persona non era data la
possibilità di scegliere con chi vivere, perché
altri decidevano. È presente il tempo, anche
in alcune parti del nostro Occidente, in cui gli
amori, nelle norme o nel sentire comune della
società, non sono considerati tutti di serie A.
Libertà e uguaglianza nella diversità. Persino
scelta delle affinità elettive, come si dice, perché una relazione è preferita all’altra, è scelta
rispetto all’altra. Poi c’è la reciprocità: nel caso
dell’amore che una persona nutre indistintamente nei confronti dell’umanità, la reciprocità assume una minor rilevanza; nel caso di
un amore di una persona verso un’altra, la
reciprocità è bramata. Se non c’è, non c’è neppure la relazione. Ora, se la persona che ama
non è a sua volta amata, può sorgere il dubbio
che questa si trovi nella medesima condizione
di chi non avendo mai conosciuto l’amore, si
trascina superficialmente nella vita. Amare e
non essere amati è fonte di un dolore profondo perché l’esistenza è privata di una componente rilevante. Tuttavia, è preferibile aver
conosciuto i dolori dell’amore che esserne del
tutto immuni, quasi anestetizzati: in questo
caso non si percepisce il dolore, forse è vero,
ma si attraversa la vita senza provare alcunché. È davvero possibile, è umano?
Michela Faccioli
NAZARETH 3 2016
Q
uando una persona viene battezzata (un neonato nella
nostra esperienza ecclesiale) riceve il dono dello Spirito che
lo rende capace di volgere attenzione ad un linguaggio diverso,
ad un modo di pensare che è divino e non semplicemente umano. È questo il segno che viene
impresso nella nostra vita: essere
capaci di vivere da figli di Dio.
Detto così noi saremmo quelli che
non dovremmo temere mai alcun
male, ed è proprio vero. Non solo
siamo amati da Dio, ma riceviamo pure
la sua potenza e la sua sapienza…Insomma,
meglio di così non ci poteva capitare. E allora, come mai proprio noi credenti, battezzati
e praticanti, abbiamo spesso tanta incertezza,
fragilità e debolezza? È sempre e solo colpa
nostra o qualcosa non funziona nel dono ricevuto? Che Dio non sia un incapace e che non
venga meno alle sue promesse, mantenendo
la parola data, credo non sia in discussione e,
pertanto, dobbiamo ribadire che in noi è presente quella capacità di amare che è Dio stesso. Allora il problema siamo noi? Riguardo a
ciò mi permetto due considerazioni. La prima:
dobbiamo ricordarci che per quanto riceviamo il dono di Dio, noi non siamo Dio! In altre
parole, una cosa è capire le nostre potenzialità e desiderare il bene che sentiamo dentro,
altra cosa è trasformare le intenzioni in opere
concrete. E così, constatando che i nostri comportamenti, o quelli di chi ci sta intorno, non
sono dettati da amore, ma anzi vengono spinti
da interessi egoistici e spregevoli, riteniamo
che noi non siamo segno della presenza di
Dio e il suo potere in noi è un fallimento, uno
spreco! Secondo questa prospettiva sarebbe
la nostra miseria a non permettere a Dio di
operare in noi e con noi. Però questo è in
contraddizione con quanto ci dice la Scrittura
e che papa Francesco in quest’anno giubilare
ci ripete in continuazione: Dio non è lontano
dalla nostra miseria; Lui si prende cura di noi
proprio nella nostra situazione di peccato. Il
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fatto è che noi stessi non accettiamo
che Qualcuno possa amarci sul serio nonostante il nostro peccato.
La nostra esperienza umana, fatta
di delusioni e incomprensioni,
ci dice che bisogna in qualche
modo meritarsi l’amore dell’altro. E qui si inserisce la seconda
considerazione che vorrei fare.
Essere segno di Dio significa essere segnati da Lui, nel senso che
il verbo “essere segnati”, proprio
nella forma passiva, dice che Qualcuno è passato in noi, ha lasciato la
sua traccia proprio nella nostra debolezza. Che sia questa la “potenza” di Dio? Ossia,
la capacità di fare ogni cosa, pure di rendere
amabile la debolezza. Per questo Dio si è fatto
uomo, per conoscere dal di dentro la fatica
di mettere in atto ciò che si sa essere bene.
Noi vorremmo sostituire la fragilità con la forza, invece il Signore fa della nostra debolezza
il suo fine d’amore. Essere segno dell’Amore
di Dio, allora, significa innanzitutto mostrare
come Lui non ci ha condannati e continua ad
accoglierci tutte le volte che ricorriamo a Lui.
Essere segno dell’Amore, poi, non comporta il
fare opere grandi, ma al contrario, di riconoscere la nostra piccolezza. Accettare d’essere
amati dall’Altissimo significa, infine, scoprire
che “piccolo è bello”! Il “piccolo” riesce ad
entrare e a sistemarsi un po’ ovunque e comunque con meno difficoltà rispetto a chi è,
o meglio, si crede “grande”. E allora, il desiderio che viene coltivato in noi, come figli di
Dio, è quello della piccolezza che entra nel
cuore grande di Dio. È tutto il contrario del
desiderio degli uomini che, invece, vogliono
essere grandi, efficienti, di successo, potenti.
A noi la scelta, se inseguire i morsi della propria affermazione, oppure riconoscere che il
vero potente è colui che non si lascia dominare da se stesso, ma affida ogni cosa a Dio,
come fa un bambino, già abbastanza scaltro
per capirlo, che si rifugia sempre nelle braccia
della madre.
Anna Pia Viola
5
FORMAZIONE
AMORE
Il segno dell’
FORMAZIONE
INCONTRI
Scuola “Media”, “S. Famiglia”, Castelletto (VR)
L
a vita nasce (o dovrebbe nascere) da un
incontro, da una relazione d’amore. Cresce
ed è segnata dalle relazioni che gradualmente si allargano, passando dall’egocentrismo
infantile all’interesse per gli altri, all’empatia,
alla compassione. L’affettività si alimenta di relazioni, le riscalda, le colora di senso e di gioia
e le apre alla ricerca di incontri che per loro
natura debordano e generano. Nel quotidiano,
con gli incontri fonte di vita e di benessere, si
sperimentano anche gli scontri, fonte di sofferenza. Nell’essere umano, con la forza unitiva
di passione e compassione, di intimità e solidarietà, convive la forza disgregante di sfruttamento, dominio, rivalità, gelosia, conflitto.
Le relazioni positive sono frutto di educazione e
si apprendono soprattutto nel clima accogliente
e sereno della famiglia. La società, mentre per
lo sviluppo intellettivo e la preparazione professionale offre scuole di ogni genere e grado,
per l’educazione affettivo relazionale non offre
quasi nulla. Questa dimensione è lasciata alla famiglia che, in questo periodo di grandi cambiamenti e incertezze spesso va a tentoni sull’onda
della convenienza momentanea e dello spontaneismo. Il risultato è la presenza di giovani e
anche di adulti, preparati sul piano intellettuale
e competenti nell’ambito tecnico-professionale,
ma infantili, egocentrici, in balia delle emozioni
6
sul fronte delle relazioni affettive.
Le relazioni affettive hanno bisogno di tempi
lunghi per crescere, rafforzarsi, sperimentarsi e
di scelte stabili come il matrimonio, la vita consacrata o altre forme di vita professionalmente
e socialmente impegnata per esprimere quello
che, rispondendo alla loro natura, deborda e
prendersene cura. L’attuale tendenza a scelte
affidate alla discrezionalità delle persone, con
patti contingenti ed emozionali in cui l’impegno
sembra privo di prospettiva, basate sul “proviamo a vedere se va”, non portano lontano.
La fedeltà alle scelte, oggi ritenuta aleatoria,
non è facile. Richiede un processo maturativo, cioè di passare da una concezione idealizzata delle persone e della realtà umana a
una visione realistica che consenta di cogliere
i lati deboli di se stesse/i e degli altri senza
smarrimenti e delusioni, di accettare le persone e le comunità umane con i loro limiti e
la loro diversità, senza rimpianti, conservando
la tensione verso il meglio. Questo salto critico garantisce, oltre alla fedeltà, quella serenità
di fondo che permette di godere degli aspetti
positivi che esistono anche nelle difficoltà.
La consapevolezza che nessuno è perfetto e
che tendenze alla gelosia, alla prevaricazione
e allo sfruttamento dell’altro/a possono essere
sperimentate da tutte/i e riuscire a coglierle
negli altri e anche in se stesse/i senza sgomentarsi, è il mezzo più efficace per superarle
e per formarsi uno sguardo realistico, sereno,
di compassione e di misericordia.
Le relazioni affettive non sono di facile governabilità. Lasciate allo spontaneismo e alle forze
negative producono chiusure, sofferenza, infantilismo, morte. La loro maturazione è frutto di
un lungo cammino, di una continua purificazione dalla gelosia e dalle tendenze egocentriche.
Coltivate nel rispetto della propria e altrui libertà
portano a dilatare il cuore verso un amore più
grande, alla gioia del dono di sé, al benessere
psichico, a gesti affettuosi liberanti. Con il loro
debordare rendono possibile la generatività sia
fisica che spirituale, il prendersi cura del generato e anche, come esperienze affettive profonde,
l’oltrepassare il limite e incontrare l’Ineffabile.
Suor Maria Rossi fma
NAZARETH 3 2016
“E
verybody needs somebody… to love”
(Ognuno ha bisogno di qualcuno… da amare) cantavano i Blues
Brothers Dan Aykroyd e John Belushi in una
delle scene più famose del film omonimo. I
meno giovani credo la ricordino bene, come
penso non abbiano dimenticato il brano stupendo interpretato da Maria di Magdala in
Jesus Christ Superstar, nel quale la prostituta
“redenta” si chiede come possa amare Gesù,
dal momento che nella sua vita aveva conosciuto solo quel tipo di amore che non poteva
offrire al suo salvatore. “I don’t know how to
love him” (Io non so come amarlo) canta infatti la Maddalena struggendosi nel desiderio
di amare il Maestro, ma non trovando la maniera giusta per farlo. Sono questi due esempi
decisamente leggeri (il primo almeno) che ci
permettono di introdurre un argomento di importanza vitale per tutti noi: il bisogno di amare. È assolutamente fuori discussione che ogni
essere umano abbia bisogno di essere amato,
ma ancor più di amare. L’insegnamento principale di Cristo consiste nell’invito ad amare
gli altri (come noi stessi), ma ovviamente ben
prima dell’era cristiana il sentimento dell’amore era stato trattato in opere letterarie di diverso genere. Possiamo ricordare Il Cantico dei
cantici oppure i poemi omerici, le liriche di
Saffo oppure quelle di Catullo. Nell’era cristiana non si possono dimenticare i sonetti che
Dante dedicò a Beatrice o le composizioni che
il Petrarca scrisse per Laura e si può andare
avanti nel tempo incontrando l’Orlando ariostesco “furioso” per amore di Angelica o la
vicenda tragica di cui Shakespeare rese protagonisti Romeo e Giulietta e ancora le vicissitudini di Renzo e Lucia nei Promessi sposi o
le passioni travolgenti dei romanzi dannunziani… Il campo è talmente sterminato che
non è possibile percorrerlo senza dimenticare
opere importantissime come Madame Bovary
o Anna Karenina. Se dovessimo poi cominciare a parlare dei “film d’amore” e delle “canzoni d’amore” che fanno parte della nostra
quotidianità o dei saggi che sono stati dedicati
all’argomento (come L’arte d’amare di Erich
NAZARETH 3 2016
Fromm) potremmo andare avanti quasi all’infinito. Meglio dunque circoscrivere il nostro
raggio d’azione a poche opere che possano
essere esemplificative e chiarificanti in merito
alle due domande che l’argomento ci ha proposto fin dall’inizio: chi amare e come amare.
Il genere di amore più comune - ma non per
questo di minore importanza - è senza dubbio
quello coniugale. A questo proposito nell’Iliade c’è una scena toccante nella quale Ettore e
la moglie Andromaca stanno per separarsi, in
vista di una delle tante battaglie che si svolgevano sotto le mura di Troia. Nel tentativo
di trattenere il marito Andromaca pronuncia
queste parole: “Ettore, tu sei per me padre e
nobile madre / e fratello, tu sei il mio sposo
fiorente; / ah, dunque, abbi pietà, rimani qui
sulla torre, / non fare orfano il figlio, vedova
la sposa…”. Ettore naturalmente le risponde
che non può venir meno ai suoi doveri, ma
si congeda da lei con un gesto di grande delicatezza: “…mise in braccio alla sposa / il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso, /
sorridendo fra il pianto; s’intenerì lo sposo a
guardarla, / l’accarezzò con la mano, le disse
Luca Ferrari, Ettore e Andromaca, palazzo Pisani Moretta,
Venezia
7
LETTERATURA
AMARE che è in noi
Il bisogno d’
LETTERATURA
parole…” (Iliade, VI,429-432 e 482-485). Tutta
l’Odissea, d’altra parte, è la dimostrazione di
quanto fosse forte l’amore tra Ulisse e Penelope, tanto forte da superare gli ostacoli posti dal tempo, dagli uomini e dagli dei. Come
si può amare? Sono stati definiti molti tipi di
amore: l’amor platonico, l’amore carnale, l’amore mistico… Un esempio di amore sincero
e disinteressato è quello che ci viene descritto
da Giovanni Boccaccio nella novella Federigo
degli Alberighi tratta dal Decameron. La vicenda vede come attore principale appunto Federigo, giovane di buona famiglia, che aveva
sconsideratamente dilapidato il suo patrimonio per ottenere l’amore di monna Giovanna, senza per altro riuscirvi, e si era ridotto
in povertà conservando solo un piccolo podere, che coltivava egli stesso, e un falcone
dalle eccezionali doti di predatore, grazie al
quale si procurava la selvaggina per la sua
tavola. Passano gli anni: monna Giovanna si
sposa, ha un figlio, rimane vedova ancora giovane e si ritira in una sua proprietà di campagna vicina a quella dell’antico spasimante.
Qui il figlio della gentildonna fa amicizia con
Federigo di cui ammirava in special modo il
falcone. Succede che il ragazzo si ammali e
che la madre, per confortarlo, gli chieda di
dirle se ci fosse qualcosa che desiderasse: lei
gliel’avrebbe procurata in ogni modo. Il ragazzo confessa che da molto tempo desiderava il falcone di Federigo: se l’avesse avuto era
certo che sarebbe guarito prontamente. Madonna Giovanna, sapendo quanto Federigo
l’avesse amata senza avere da lei nemmeno
uno sguardo, indugiava a recarsi da lui per
chiedere quel falcone che oltretutto era la fonte principale del suo sostentamento, ma alla
fine l’amore di madre prevalse su tutto e la
mattina dopo, accompagnata da una donna,
raggiunse la casetta nella quale egli viveva.
Federigo la accolse con meraviglia e con grande piacere, dando disposizioni affinché fosse
preparata la tavola per le due ospiti, senza
pensare che non aveva nulla da offrire loro. Il
falcone, però, sembrava bello grasso e quindi
Federigo, senza alcuna esitazione, gli tirò il
collo e lo consegnò ad una servetta perché
fosse cucinato a dovere e servito in tavola.
E così fu. Dopo il pranzo, monna Giovanna
si decise finalmente a rivelare a Federigo il
vero motivo per cui era venuta a fargli visita.
8
Di fronte all’impossibilità di accontentare la
donna che aveva tanto amato e che ancora
amava, Federigo non riuscì a trattenere le lacrime e confessò che il falcone era stato servito a pranzo e fece vedere, a testimonianza
delle sue parole, le penne, le zampe e il becco
del povero uccello. Addolorata per il sacrificio purtroppo inutile di Federigo e preoccupata per la salute del figlio, Giovanna tornò a
casa sconsolata. Dopo alcuni giorni il ragazzo
morì. Rimasta sola ed erede di grandi proprietà, Giovanna cedette alla fine alle insistenze
dei suoi fratelli che la volevano rimaritata, ma
a patto che il futuro sposo non fosse altri che
Federigo. E benché i fratelli la prendessero in
giro a causa della povertà dell’uomo da lei
scelto, Giovanna resistette nel suo proposito
finché i fratelli acconsentirono al matrimonio,
che fu felice per entrambi fino alla fine dei
loro giorni. Il bisogno di amare, però, può
essere talvolta molto doloroso e lasciare sgomenti, anche quando quest’ultimo sia rivolto a
Dio. È l’esperienza che troviamo in gran parte
della produzione poetica di David Maria Turoldo, sacerdote e frate dei Servi di Maria. La
sua ricerca di Dio risulta estenuante, in quanto Dio non è mai un possesso sicuro ed è
spesso drammaticamente silenzioso anche nei
confronti di un sacerdote appassionato come
padre Turoldo. Resta la speranza tuttavia, rappresentata da quella “sponda” con cui si conclude la poesia che ho scelto e che sembra
rappresentare il possibile punto di “approdo”
per l’autore. Tratta da Udii una voce (1952), è
intitolata Notte troppo vasta.
Notte troppo vasta, / pianura lugubre / dove
son nato, paese mio / senza montagne, senza una pianta! / Questa interiore notte / ove
luce nessuna rompe / un attimo la tenebra
compatta; / questa notte, coltre di morte, /
immobile mare ove il grido / è rottame inutile.
/ Notte nemica, ove nessuno / è presente a
segnare il punto / del tuo viaggio: / nessuno
a dirti la distanza / della terra, del cielo, / mia
notte, spazio non di vita / non di morte, / ove
non è dato sapere / se una qualsiasi speranza d’approdo / sia ancora possibile: / questa
inanimata notte / è mia dimora, Signore, / il
mio elemento ove m’immergo: / e Tu, Tu, o
Assente, / la mia lontanissima sponda.
Maria Laura Rosi
NAZARETH 3 2016
Amore Relazione
D
i recente ho avuto modo di partecipare alla prova scritta del nuovo concorso per docenti. Intorno a me, in
attesa di essere chiamati nell’aula per lo svolgimento del compito, tanti volti sconosciuti.
Alcuni preoccupati, altri assonnati. Alcuni più
maturi, altri davvero giovanissimi. Accanto a
me un’insegnante “veterana” chiacchiera con
un ragazzo evidentemente fresco di laurea e
di abilitazione. “Ma chi te lo fa fare di diventare insegnante!” gli dice, con aria sarcastica.
Il giovane resta attonito per un attimo, poi risponde “Non ci ho nemmeno dovuto pensare.
Amo troppo le materie che ho studiato!”. La
veterana scuote la testa e se ne va. Io gli sorrido e gli dico che lo capisco.“Ma non è l’unica
cosa che devi amare quando fai l’insegnante” gli dico. Il neolaureato annuisce e sembra
avere capito al volo. Vorrei spiegargli quello
che intendo, ma la commissione ha richiama-
NAZARETH 3 2016
to tutti e bisogna andare a svolgere la prova.
Il filosofo Pier Aldo Rovatti ha scritto alcune
righe molto belle su questo stesso argomento:
l’amore per il sapere, per il fatto stesso di essere
un “amore”, deve passare necessariamente per
la relazione, cioè attraverso l’accomunamento
e la socializzazione. Se ciò accade, si produce
anche una trasformazione delle soggettività,
una doppia trasformazione poiché riguarda
al tempo stesso gli allievi e l’insegnante. Se
l’insegnante non è toccato da tale processo la
scuola gira a vuoto e costruisce una relazionalità bloccata e perfino negativa.
Credo che tutti gli educatori, in qualunque
livello dell’istruzione operino, bene o male
abbiano scelto di fare ciò che fanno perché
si sono innamorati del “sapere”. Quel tipo di
amore che in qualche modo ti “costringe” a
restituire al mondo ciò che hai appreso, perché solo così ciò che si è appreso, approfon-
9
SCUOLA E VITA
INSEGNAMENTO
SCUOLA E VITA
Scuola “Media”, “S. Famiglia”, Verona
dito, fatto proprio sembra davvero prendere
un senso pieno. È senz’altro un buon punto
di partenza per un insegnante che comincia
la sua professione, perché muove da un atteggiamento rivolto non al nostro tornaconto
personale, ma agli altri.
L’amore, come osserva giustamente Rovatti, è
prima di tutto relazione. E, se esiste un compito che vive interamente di relazione, quello è
senz’altro l’insegnamento. Non si insegna nulla senza instaurare prima una relazione con i
propri allievi. E, dall’altro lato, non si apprende nulla di realmente significativo se non c’è
alla base un rapporto - di fiducia, di stima, di
riconoscimento nei reciproci ruoli - con l’insegnante. Un rapporto di piena umanità.
Tornando a casa dopo avere risposto ai quesiti molto tecnici del concorso, pensavo proprio
a quel ragazzo, a cosa significa davvero essere
un insegnante che ama ciò che fa, e al fatto forse scontato, indubbiamente triste - di come
il sistema di selezione dei docenti in fondo
non abbia mai tenuto conto di questo aspetto
della professione. Come se non esistesse, o
non fosse valutabile, perché sfugge alle normative scolastiche, alle nozioni stampate nei
programmi, alle fredde esigenze della docimologia. L’amore non è materia di concorso,
insomma.
Cosa avrei spiegato a quel giovane insegnante
se avessi avuto l’opportunità di proseguire il
nostro brevissimo dialogo? Forse che non bisogna amare solo il sapere, ma anche i propri
allievi? Sembra un’affermazione troppo forte
da fare, e forse non è del tutto esatta. Probabilmente la risposta che mi sembra più convincente è che bisogna amare l’insegnamento
(ma potrei dire l’educazione) tout court. Pro-
10
prio perché insegnare è in fondo una forma
di amore. Che si propaga con forza agli altri e
offre senso, offre futuro, offre passione, non
solo mera conoscenza.
Lo racconta con tono leggero ma pregnante
lo psicologo Massimo Recalcati: Da ragazzo
frequentavo alla fine degli anni Settanta le
aule disadorne di un Istituto agrario. Alcuni
dei miei compagni finirono sperduti in India,
altri costeggiarono pericolosamente il terrorismo, altri ancora sono stati ammazzati dalla
droga. Eravamo in quell’Istituto un manipolo
di cause perse. Cosa mi salvò se non un’ora
di lezione, se non una giovane professoressa
di lettere di nome Giulia Terzaghi che entrò
in aula stretta in un tailleur grigio rigorosissimo parlandoci di poeti con una passione a
noi sconosciuta? Cosa mi salvò se non un’ora
di lezione? Se non quella passione sconosciuta che Giulia sapeva incarnare? Questa storia
non è solo la mia ma è la storia di molti. Cosa
ci salvò se non quel desiderio di sapere che si
propagava dalla forza della parola dell’insegnante capace di scuoterci dal sonno? Non è
forse questo quello che la scuola burocratizzata della valutazione e della informatizzazione sospinta rischia di dimenticare? Non è forse
l’ora di lezione che può rimettere in movimento le vite scuotendole dall’inerzia di un sapere
proposto solo come un oggetto morto?
Auguro a tutti gli studenti di ogni ordine e
grado di incontrare la loro Giulia, conclude
Recalcati. È un augurio a cui non posso che
unirmi. Sperando, da insegnante, che un po’
di Giulia sia anche dentro di me e dei miei
colleghi, veterani o novellini che siano.
Andrea Cornale
NAZARETH 3 2016
LIBRI PARLANO...
anche senza parole
N
el panorama editoriale contemporaneo,
spicca, per novità ed originalità, una tipologia di libri in cui la narrazione avviene
per sole immagini: silent books. Libri silenziosi,
in gergo tecnico, che, pur in assenza di parole,
sanno raccontare storie intrise di emozioni, capaci di tenere in suspense il lettore, di strappare
un sorriso, di incuriosire, di affascinare. Seppur
in assenza del testo scritto, è ben chiaro al lettore per quale via lo scrittore-illustratore intende condurlo, pur rispettando sempre l’unicità
dell’interpretazione che ogni lettore è libero di
costruire. Silent books che si rivolgono a fasce di
lettori di diversa età, dai più piccini, agli adolescenti, agli adulti. Libri in cui l’abilità artistica può
trovare, nelle pagine di un libro, espressioni inedite. Libri che possono nascere da due o quattro mani: l’ideatore della trama può coincidere o
meno con l’autore delle illustrazioni. Così è stato
per Renato Moriconi, illustratore brasiliano, che,
insieme a Ilan Brenman, ha pubblicato, per la
casa editrice Gallucci, Telefono senza fili: un libro privo di parole che ripropone il gioco senza
età di trasferire un’informazione passandola di
orecchio in orecchio. Dall’idea di Brenman, che
pare sia nata proprio dall’osservare dei bambini
divertirsi a sussurrare frasi alle orecchie di adulti
stupiti, grazie al tratto preciso e scanzonato di
Moriconi, nasce un albo di grande formato in
cui, in un gioco di primi piani e profili, si staglia
il gioco e prende vita una trama in cui il lettore
può immaginare cosa può dire un giullare ad
un re, che sussurra ad un soldato bardato, che
si rivolge ad un palombaro; e il gioco continua
in un susseguirsi di personaggi, tutti intenti a
trasmettere il medesimo messaggio, passando
da epoche e provenienze diversissime. Come
faranno a comprendersi questi personaggi? Sarà
l’ultima immagine che, a chiudere il cerchio narrativo, svelerà, anche se solo in parte, l’intero
gioco. Moriconi, dunque, trasforma in sole immagini un’esperienza ludica che fa della parola
e della capacità di comprenderla la sua essenza,
andando oltre il gioco stesso per coinvolgere il
lettore su altri piani interpretativi, che incurio-
NAZARETH 3 2016
siscono e divertono al contempo. Il connubio
fra colui che la storia del libro l’ha immaginata
e colui che l’ha resa visibile ha generato un libro di elevata qualità stilistica e di riconosciuta
abilità narrativa. Moriconi ci riprova poi con un
altro esilarante libro senza parole, sempre edito
da Gallucci: Il Barbaro. Il formato bislungo del libro partecipa
attivamente alla narrazione in cui un impavido barbaro affronta,
imperturbabile, una
sequenza di prove di
coraggio e di forza,
senza batter ciglio, o
meglio, addirittura a
palpebre chiuse. Si diverte l’autore a dimostrare
l’incorruttibilità del guerriero, fino a scoprire poi
che altro non si tratta che di un fantasmagorico
giro in giostra. La silenziosità apparente è rotta
dalla narrazione implicita che le immagini offrono, con particolari e colori che esprimono emozioni, con scene che, come immagini rupestri,
raccontano momenti di vita, scene di coraggio,
atti di eroicità che appartengono, oramai, alla
storia di ognuno e che, anche i bambini, attraverso l’immaginazione e la fantasia, ripercorrono in un fantomatico gioco simbolico. Le parole, dunque, si celano copiose fra le immagini
che si susseguono pagina dopo pagina, in una
prospettiva narratologica che stimola il pensiero
e la ricerca logica del senso in cui il fruitore è
chiamato a costruire le frasi, i periodi, le sequenze che le immagini richiamano con chiarezza.
Fra i primi autori che
hanno sperimentato a
pieno titolo la capacità narrativa delle sole
immagini, non possiamo non citare Iela ed
Enzo Mari, i cui libri
sono divenuti, oramai, dei classici della
letteratura per l’infan-
11
BIBLIOTECA IN FAMIGLIA
I
BIBLIOTECA IN FAMIGLIA
zia, immancabili negli scaffali
dedicati ai piccoli lettori. Fra
gli altri, ricordiamo La mela
e la farfalla e Il
palloncino rosso, editi entrambi dalla casa editrice milanese Babalibri. Se il primo albo esprime,
con maestria e abilità artistica, la trasformazione
di un bruco in farfalla, mantenendosi sul piano della realtà e della bellezza prodigiosa della
natura, il secondo scherza con la fantasia, immaginando come, da un palloncino, può prendere il via un gioco di trasformazioni in cui il
lettore può creare storie parallele e, stimolato
dal racconto, immaginare altre, nuove e diverse trasformazioni. In questa semplice citazione
di libri caratterizzati dall’assenza dell’apparato
verbale, tranne che per il titolo, è doverosa la
citazione della trilogia della coreana Suzy Lee.
Tre libri in cui il formato, l’interruzione di pagina della rilegatura e la direzione delle immagini
divengono parte integrante della struttura narrativa, elementi partecipativi della trama di ciascun racconto che l’autrice intesse con destrezza
artistica e abilità empatica verso il vissuto delle
tre bambine: ciascuna protagonista di una storia
ricca di emozioni, nella singolarità di ogni racconto. L’onda, Ombra e
Mirror,
Mirr editi dalla casa
editrice
mantovana
e
Corraini, sono
tre
splendidi
albi che narrano esperienze
di incontri, con
un’onda il primo, con le ombre il secondo, in un
gioco di luci che danno vita ad un mondo parallelo ricco di personaggi e ambientazioni diverse; il terzo albo, Mirror, più introspettivo, narra
l’incontro della giovane protagonista con la propria immagine riflessa in uno specchio, illusione di un alter ego amico, per poi scoprire che,
una volta infranto lo specchio, la solitudine più
intima riappare
in tutta la sua
intensità. I libri
della Lee possono essere letti in
sequenza, quasi a rivelare un
12
percorso di crescita che porta in sé, inevitabilmente, esperienze di scoperta, di spensieratezza
ed anche di profondo disagio. Ed ancora una
volta, il libro, la
bella narrazione, il buon racconto sanno rispecchiare con
verità il vissuto
di ogni uomo
e donna, in un
alternarsi di eventi diversi che caratterizzano la
costruzione della personale storia di ciascuno.
E per concludere questa carrellata di albi senza parole, che non ha certo la pretesa d’essere
esaustiva, ancora un libro, intenso, profondo,
toccante. Edito dalla casa editrice romana Orecchio acerbo, di Ji-hyeon Lee, illustratrice coreana:
La piscina. Ai bordi di
una piscina affollata di gente che si affanna a divertirsi, un
bambino si avvicina
con titubanza e poi,
preso coraggio, decide di tuffarsi. E qui
appare l’incontro con
una bambina, anch’ella scesa al di sotto dei
bagnati chiassosi e caotici. I due bambini si
prendono per mano e
insieme proseguono il viaggio verso un mondo
parallelo, fantastico, lontano dalla bolgia della
superficie. Un viaggio che porterà entrambi a
fare scoperte ricche di un nuovo senso di libertà: la libertà che si può conquistare abbandonando le convenzioni, rifiutando il “così fan
tutti”, cercando con coraggio di nuotare contro
corrente. Tutto questo è esplicitato dall’unica
frase dell’autrice, posta in chiusura del libro,
che si propone come dedica e incoraggiamento:
“Alle persone che vogliono nuotare il mondo in
piena libertà”. Ed unendoci a questo augurio,
auspichiamo, ancora una volta, che i libri possano far breccia nella mente di piccoli e grandi
lettori, aprendo nuove riflessioni, instillando altre curiosità, stimolando creativi pensieri, capaci
di illuminare di rinnovata bellezza il desiderio di
pienezza, a cui la vita chiama ciascuno. Buona
lettura!
Katia Scabello Garbin
NAZARETH 3 2016
PESO
della
U
PREGHIERA
na donna infagottata in abiti fuori misura entrò nel negozio di alimentari.
Si avvicinò al gestore del negozio e
umilmente a voce bassa gli chiese se poteva
avere una certa quantità di alimenti a credi-
NAZARETH 3 2016
to. Gli spiegò che suo marito si era ammalato in modo serio e non poteva più lavorare e i loro quattro figli avevano bisogno di
cibo. L’uomo sbuffò e le intimò di togliersi
dai piedi. Dolorosamente la donna supplicò:
“Per favore signore! Le porterò il denaro più
in fretta che posso”. Il padrone del negozio
ribadì duramente che lui non faceva credito e che lei poteva trovare un altro negozio
nel quartiere. Un cliente che aveva assistito
alla scena si avvicinò al padrone e gli chiese
di tentare almeno di accontentare la povera
donna. Il droghiere con voce riluttante, chiese
alla donna: “Ha una lista della spesa?”. Con un
filo di speranza nella voce, la donna rispose:
“Sì, signore”. “Bene”, disse l’uomo, “Metta la
sua lista sulla bilancia. Le darò tanta merce
quanto pesa la sua lista”. La donna esitò un
attimo con la testa china, estrasse dalla borsa
un pezzo di carta e scarabocchiò qualcosa in
fretta, poi posò il foglietto con cautela su un
piatto della bilancia, sempre a testa bassa. Gli
occhi del droghiere e del cliente si dilatarono per la meraviglia quando videro il piatto
della bilancia abbassarsi di colpo e rimanere
abbassato. Il droghiere fissando la bilancia,
brontolò: “È incredibile!”. Il cliente sorrise e
il droghiere cominciò a mettere sacchetti di
alimenti sull’altro piatto della bilancia. Sbatteva sul piatto scatole e lattine, ma la bilancia
non si muoveva. Così continuò e continuò,
con una smorfia di disgusto sempre più marcata. Alla fine afferrò il foglietto di carta e lo
fissò, livido e confuso. Non era una lista della
spesa. Era una preghiera: “Mio Dio, tu conosci
la mia situazione e sai ciò di cui ho bisogno:
metto tutto nelle tue mani”. Il droghiere consegnò alla donna tutto ciò che le serviva, in
un silenzio imbarazzato. La donna ringraziò
e lasciò il negozio. Solo Dio conosce il peso
della preghiera.
Bruno Ferrero
Tratto da: Ma noi abbiamo le ali Piccole storie per l’anima - LDC
13
SPIRITUALITÀ CONDIVISA
Il
SPIRITUALITÀ CONDIVISA
Lettera di
SAN TOMMASO
a uno studente
G
iovanni, in Cristo a me carissimo,
poiché mi hai chiesto in che modo tu
debba applicarti allo studio per acquistare il tesoro della scienza, ecco in proposito
il mio consiglio: non voler entrare subito in
mare, ma arrivaci attraverso i ruscelli, perché
è dalle cose più facili che bisogna pervenire
alle più difficili. Questo è dunque il mio parere, che ti servirà di regola. Voglio che tu sia
tardo a parlare e restio a scendere in parlatorio: abbi una coscienza pura; non tralasciare
di attendere alla preghiera; sii amante della
tua cella; mostrati amabile con tutti; non essere per nulla curioso dei fatti altrui; non essere troppo familiare con nessuno, perché la
familiarità eccessiva genera disprezzo, e dà
occasione di trascurare lo studio;non t’intromettere in nessun modo nei discorsi e nei fatti
dei secolari; non divagare su tutto; non lasciar d’imitare gli esempi dei santi e dei buoni;
non guardare chi è colui che parla, ma tieni a
mente tutto ciò che di buono egli dice; procura
di comprendere ciò che leggi e ascolti. Certificati delle cose dubbie, e studiati di riporre nello scrigno della memoria tutto ciò che ti sarà
possibile; non cercare cose superiori alla tua
capacità. Seguendo queste norme, produrrai
fiori e frutti nella vigna del Signore, in tutti i
giorni della tua vita. Mettendo in pratica questi insegnamenti, potrai raggiungere la meta
alla quale aspiri. Addio.
Preghiera prima dello studio
O Creatore ineffabile,
Tu che sei fonte vera e supremo principio di luce e sapienza,
degnati d’infondere nel mio intelletto un raggio della tua luce.
Dammi profondità di penetrazione, esattezza d’interpretazione,
facilità di apprendere, capacità di ritenere.
Tu, che rendi eloquente la lingua dei fanciulli, istruiscimi
e infondi sulle mie labbra la grazia e la forza della tua parola.
Prepara l’inizio del mio studio, dirigine la continuazione,
completane il termine. Concedimi di amare ardentemente,
d’investigare prudentemente, di conoscere veracemente
ciò che a te piace e di adempierlo perfettamente
a lode e gloria del tuo nome.
San Tommaso
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NAZARETH 3 2016
“D
VOLTO di DIO
io! Dio! Dio! Se
lo vedessi! Se lo
sentissi! Dov’è
questo Dio?”… sono le parole che il Manzoni, nel
romanzo, I promessi sposi, mette in bocca all’Innominato quando, questo
“appaltatore di delitti, un
disperato che tiene corrispondenza co’ disperati
più furiosi…”, a colloquio
con il cardinale Federigo
Borromeo sente il bisogno
di liberarsi dall’“inferno che ha nel cuore...” e
cerca Dio.
Penso che nei momenti più difficili di sconforto ciascuno di noi, anche se non “scellerato di
professione”, almeno una volta nella propria
vita abbia espresso il desiderio di vedere, di
sentire Dio in una affannosa ricerca, e questo
desiderio di conoscere il volto di Dio, dice
Benedetto XVI, “è insito in ogni uomo, anche
negli Atei”.
La più grande rivoluzione compiuta nella storia dell’uomo è legata al nome di un Figlio,
rivoluzione che trova fondamento e certezza
nella Resurrezione. Dio ha creato il mondo
ma suo Figlio lo ha salvato. I più grandi capolavori nella storia dell’arte hanno protagonista
Cristo perché, giustamente, il Padre Eterno
è irrappresentabile: il Padre Eterno “È”, non
“fa”; con Cristo affrontiamo la realtà.
Con la Natività, Dio non parla più per bocca dei Profeti, ma “visita realmente il suo popolo”. Finalmente il volto di Dio è rivelato
nell’incarnazione del suo Figlio Unigenito. La
novità del Nuovo Testamento risiede proprio
nella realtà di Dio fattosi uomo, un Dio che “si
può vedere”, che “ha manifestato il suo volto”
ed è “visibile in Gesù”.
Attraverso le opere d’arte, si può delineare
una storia che mira alla descrizione del volto
di Gesù, che descriva le varie modalità con
cui il volto di Cristo è stato rappresentato: si
potrebbero scrivere minuziose analisi storicocritiche di ogni dettaglio e di ogni particolare
del volto di Cristo. Si potrebbe fare tutto que-
NAZARETH 3 2016
sto e tuttavia, di fatto, non
comprendere nulla del
volto di Cristo. Non basta
possedere la vista per vedere le cose, bisogna che
questa sia educata alla visione spirituale e fisica del
mondo, delle cose, dell’arte.
Papa Francesco ci ha ricordato che “gli occhi della nostra anima hanno bisogno, hanno necessità di
essere preparati per guadare quel volto meraviglioso di Gesù...”. Infatti è necessario che si percorra un cammino
di formazione, di preparazione per educare i
nostri occhi a “vedere” il volto di Cristo.
L’arte della pittura ha questo compito meraviglioso di offrire alla vista lo sguardo dell’Amato, per mostrarlo e farcelo conoscere come
Colui che ci ama. Le immagini dipinte ci possono educare pazientemente, delicatamente a
riconoscere il volto di Dio. Come può accadere questo ? Solo attraverso la preghiera: solo
attraverso la preghiera un artista può tentare
di offrire un ritratto del volto di Cristo e solo
attraverso la preghiera si può contemplare,
con giusta partecipazione, l’immagine dipinta.
La preghiera nutre la Fede, la Fede nutre la
conoscenza. L’Arte apre alla vista se a sua volta si apre alla Fede attraverso la preghiera. Se
la storia dell’arte non è realmente informata
da una profonda Fede, non sarà in grado di
dirci nulla del volto di Cristo perché si lascerà
di volta in volta fuorviare da storiografie riduzioniste o comunque parziali.
Quando cerchiamo Dio attraverso il volto del
suo Figlio è il momento in cui “chi più di noi
l’ha vicino?” e: “… non ve lo sentite in cuore,
che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia
stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione,
d’una consolazione che sarà piena, immensa,
subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, lo
imploriate?...” risponde Federigo Borromeo al
disperato interrogativo del suo interlocutore.
Italo Forieri
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SPIRITUALITÀ CONDIVISA
Riconoscere il
MAGISTERO
PAPA FRANCESCO
ai giovani
Non si può sentire il domani senza aver stima di sè.
In occasione del viaggio apostolico in Messico (stadio di
Morelia, martedì 16 febbraio 2016)
È
Gesù Cristo che rinnova continuamente in me la speranza, è Lui che rinnova
continuamente il mio sguardo. È Lui che
risveglia in me, in ognuno di noi il fascino
di godere, il fascino di sognare, il fascino di
lavorare insieme. È Lui che continuamente mi
invita a convertire il cuore. Sì, amici miei, vi
dico questo perché in Gesù io ho incontrato
Colui che è capace di accendere il meglio di
me stesso. Ed è grazie a Lui che possiamo fare
strada, è grazie a Lui che ogni volta possiamo
ricominciare da capo, è grazie a Lui che possiamo dire: non è vero che l’unico modo di
vivere, di essere giovani è lasciare la vita nelle
mani del narcotraffico o di tutti quelli che la
sola cosa che stanno facendo è seminare distruzione e morte.
Questo non è vero e lo diciamo grazie a Gesù.
Ed è anche grazie a Gesù, a Gesù Cristo il
Signore che possiamo dire che non è vero
che l’unico modo di vivere per i giovani qui
è la povertà e l’emarginazione; emarginazione
dalle opportunità, emarginazione dagli spazi,
emarginazione da formazione ed educazione,
emarginazione dalla speranza. È Gesù Cristo
Colui che smentisce tutti i tentativi di rendervi
inutili, o meri mercenari di ambizioni altrui.
Sono le ambizioni altrui che vi emarginano,
per usarvi in tutte quelle cose che ho detto,
che sapete, e che finiscono nella distruzione.
E l’unico che mi può tenere ben forte per la
mano è Gesù Cristo. Egli fa sì che questa ricchezza si trasformi in speranza. Mi avete chiesto una parola di speranza: quella che ho da
dirvi, quella che è alla base di tutto, si chiama
Gesù Cristo. Quando tutto sembra pesante,
quando sembra che ci caschi il mondo addosso, abbracciate la sua croce, abbracciate Lui e,
per favore, non staccatevi mai dalla sua mano,
anche se vi sta portando avanti trascinandovi;
16
e se una volta cadete, lasciatevi rialzare da
Lui. Gli alpini hanno una canzone molto bella,
che a me piace ripetere ai giovani, una canzone che cantano mentre salgono: “Nell’arte
di ascendere, il successo non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Questa è
l’arte. E chi è l’unico che ti può afferrare per
la mano perché tu non rimanga caduto? Gesù
Cristo, solo Lui. Gesù Cristo che, a volte, ti
manda un fratello perché ti parli e ti aiuti. Non
nascondere la tua mano quando sei caduto.
Non dirgli: Non guardarmi che sto infangato
o infangata. Non guardarmi, che ormai non
c’è più rimedio. Solamente lasciati afferrare
la mano, e afferra quella mano, e la ricchezza che hai dentro, sporca, infangata, data per
perduta, comincerà, attraverso la speranza, a
dare il suo frutto. Ma sempre con la mano
stretta a quella di Gesù Cristo. Questa è la
strada. Non dimenticate: “Nell’arte di ascendere, il successo non sta nel non cadere, ma nel
non rimanere caduto”. Non permettetevi di rimanere caduti! Mai! D’accordo? E se vedete un
amico o un’amica che ha fatto uno scivolone
nella vita ed è caduto, vai e offri la tua mano;
ma offrila con dignità: mettiti accanto a lui, accanto a lei, ascolta… Non dire: ti do la ricetta!
Ma, da amico, con calma, dagli forza con le
tue parole, con il tuo ascolto: quella medicina
che si sta dimenticando: l’“ascoltoterapia”. Lascialo parlare, lascia che ti racconti, e allora,
a poco a poco, ti allungherà la mano, e tu
lo aiuterai nel nome di Gesù Cristo. Ma se
vai di colpo, e cominci a fargli la predica, e
dai e dai, alla fine, poveretto, lo lasci peggio
di come stava… È chiaro? Non staccatevi mai
dalla mano di Gesù Cristo, non allontanatevi
mai da Lui.
Francesco
(continua da Nazareth n. 2 / 2016)
NAZARETH 3 2016
C
hi siamo? È questa la domanda che fa
da sfondo ai contributi di questa pubblicazione.
Una domanda che potremmo declinare e al
contempo arricchire affiancandone ad essa
delle altre quali Chi vogliamo essere? Come
siamo? Come la gente vuole che siamo? Come
noi vogliamo la gente ci veda? Alla fine, invece del “chi” c’è forse da chiedersi “cosa”
siamo, dove quel “cosa” non è da leggere
come una trasformazione della persona in un
oggetto ma, semmai, informa di come il “chi
siamo”- non sempre e per forza, ma spesso - è
frutto in buona sostanza di una cosciente costruzione che il soggetto elabora su se stesso,
per suo uso e vantaggio.
Su questo processo di costruzione, di definizione della identità propria e altrui, si innesta
anche un’altra categoria che va resa distinta e
distinguibile, cioè l’“altro”, poiché è in base
al significato che si attribuisce all’altro che la
persona definisce se stessa.
Ugualmente all’ “io” anche “altro” è una persona, una tipologia sociale da sempre problematizzata. Chi è “altro” non è del castello, non
è del paese. Non è nulla, ma deve pur essere qualcosa: sventuratamente è un forestiero,
uno che è sempre di troppo e sempre fra i piedi, uno che procura un mucchio di grattacapi.
Così diceva l’ostessa de Il castello di Kafka. Per
evitare problemi, dunque, l’altro va reso distinguibile, immediatamente e in qualche misura.
La riconoscibilità, propria e altrui, è da sempre avvertita anche come necessità. La necessità della definizione, che è anche distinzione,
è un qualcosa che è stato oggetto di indagine
in diversi campi del sapere: dalla letteratura
alla storia, dalla filosofia al diritto, dalle scienze sociali alla storia dell’arte.
Molti, infatti, sono stati e tutt’ora sono, pittori
scultori e artisti di ogni sorta che dedicano
parte della loro produzione a indagare, proporre e, in definitiva, tentare di marcare nella
pietra o definire sulla tela l’ “io” e/o l’ “altro”,
in altri termini: la figura umana.
Scegliere un artista piuttosto che un altro è
molto difficile dal momento che tutti, anche
se per brevi periodi e in via sperimentale, si
sono concentrati sulla figura umana. Preso
atto di ciò, si può tuttavia cercare di enucleare
alcuni filoni della rappresentazione dell’uomo
nella storia dell’arte: realistico, idealizzato e
deformato.
La figura umana realisticamente colta, la si può
vedere nel cinquecento di Caravaggio, piuttosto
che nel Naturalismo del XIX secolo. In quei casi
gli artisti erano partiti dall’osservazione della
realtà, riprodotta in modo fedele, senza troppi
abbellimenti e evitando di nobilitare i soggetti.
Un esempio della esatta riproduzione del reale,
si può cogliere nella celebre Canestra di frutta del 1599, dove frutta matura e foglie di un
verde brillante fanno il paio con frutti bacati e
foglie avvizzite. Esemplare per quanto concerne il realismo della figura umana, è il ritratto
ottocentesco della Famiglia di Carlo IV nel quale, diversamente dai tradizionali “State portrait”,
caratterizzati da soggetti idealizzati e innaturalmente belli e eroici, i soggetti sono colti nella
nuda e cruda realtà delle loro fattezze.
Caravaggio, “Canestra di frutta”, 1599, Pinacoteca
Ambrosiana, Milano
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VOCE GIOVANI
FIGURA UMANA
La
:
arte che mostra, idealizza, deforma
SPIRITUALITÀ CONDIVISA
Leonardo, “Uomo vitruviano”,
1490, Galleria dell’Accademia,
Venezia
Goya, “La famiglia di Carlo IV”, 1801, Museo del Prado,
Madrid
queste opere, che possono essere le sculture e i
bassorilievi di Fidia e il
Doriforo di Policleto del I
secolo a.C. piuttosto che
il cinquecentesco David
di Michelangelo o i disegni di Leonardo da
Vinci - si veda l’Uomo vitruviano del 1490 -,
la cosa più lampante è il naturalismo di quelle
ma si deve tenere a mente che tutte quelle figure, seppur derivanti dall’osservazione diretta della realtà, sono state comunque ottenute
geometrizzando e perfezionando la natura,
per renderla armonica in tutte le sue componenti.
Non sono poi mancate occasioni nelle quali,
piuttosto che riprodurre il reale così come si offriva loro, i pittori e scultori hanno invece pre- In altri casi, invece, l’espressività
ferito rielaborare forme e pro- della figura umana anziché passaporzioni al fine di esprimere re tramite la via naturale o quella
la figura umana assecondando più geometricamente idealizzata
la loro visione dell’uomo. In e inquadrata entro canoni ben
queste opere idealizzanti e dai precisi, si manifesta attraverso la
soggetti idealizzati, infatti, l’ar- deformazione di gesti espressiotista tralascia elementi partico- ni e corpi: allungati talvolta fino
lari in favore di schematismi, alla loro disarticolazione se non
geometrie, quasi delle vere e addirittura disintegrati, rimpiccioproprie astrazioni, per comu- liti o comunque alterati nelle loro
proporzioni. Tale tennicare attraverso
denza si è sviluppata
di esse contenuti e
soprattutto nel corso Modigliani, “Ragazza
significati simbolidel Novecento, quan- in camicetta a pois”,
ci circa le forme e
do i canoni classici di 1919, Philadelphia
le fisionomie che
bellezza avevano peregli raffigura.
so il loro appeal e la rappresentaOvviamente
c’è
zione della realtà è divenuta più
idealizzazione
e
Michelangelo, “David”, 1501,
soggettiva.
idealizzazione:
Galleria dell’Accademia, Firenze
Figure distorte e deformi segnano
quella
semplice
la produzione dagli espressionisti
e priva di proe, a distanza di tempo, le ritroviaporzioni tipica dell’arte dell’antimo ad esempio negli arti allungati
co Egitto o dell’arte bizantina ad
de La ragazza in camicetta a pois
esempio; oppure la idealizzazione
di Modigliani, nei corpi poliformi
che passa per un eccesso di prodi Picasso e nelle gravi e allo stesporzioni di quei corpi intrappolati
so tempo impalpabili sculture di
in idealizzate griglie geometriche
Giacometti.
che dall’arte romana e soprattutto
Policleto, “Doriforo”,
greca verranno riproposti nel Ri450 a.C., Museo
Giulio Biondi
nascimento italiano e nel NeoclasArcheologico, Napoli
sicismo. È pur vero che, vedendo
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