Juliet Design Magazine

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Juliet Design Magazine
CONTIENE I.R.
Poste Italiane S.p.A. – Sped. in abb. post. – 70% - DCB Trieste
ISSN 2036-2773
design magazine
È
pittore, scultore, designer, architetto: è sicuramente l’artista più leggendario
che sia mai esistito, più ammirato, più rispettato, più temuto. Eppure pochi ne
conoscono il nome ed ancora meno sanno riconoscere i suoi capolavori.
Le sue opere sono sparse per il mondo e sono talmente numerose che non possono
essere conservate nei musei, e sebbene i musei ne possiedano molte, sono molte di
più quelle che si trovano fuori, nelle città, nei palazzi pubblici e privati, nei giadini
e nelle campagne. È più facile trovarne nei luoghi semplici, umili e poveri, dove non
c’è la presunzione di mantenere tutto sempre pulito e lucido, intatto e immutabile.
È un personaggio schivo, poco pubblico, non si incontra mai nelle riunioni e nelle
assemblee e mai e poi mai nelle feste e nelle celebrazioni. Lui arriva dopo, all’apparenza sempre in ritardo, in realtà puntuale e afdabile come nessuno altro al mondo:
mai una scusa, un’assenza, una defezione, una malattia.
Lavora sempre, indefessamente. Nessuno lo ha mai visto con le mani in mano: a
qualsiasi ora del giorno e della notte scava, incide, colora, crea e non necessariamente in silenzio, anzi talvolta facendosi precedere da boati assordanti, eruzioni di
vulcani, lampi, tuoni.
Si avvale dell’aiuto dei più straordinari agenti atmosferici: umidità, pioggia, vento,
neve, gelo, siccità, calura, sotto la sua magistrale guida operano a livelli di perfezione assoluta, decisamente padroni di se stessi e del proprio talento, incapaci di
sbagliare.
Non teme alcuna critica, alcun giudizio, alcun attacco. È umile e tollerante, paziente
come nient’altro al mondo: sa aspettare, calmo, meticoloso, persistente ma non insistente, imperscrutabile e imprevedibile nella sua genialità, conscio del suo potere
sull’uomo e sulla natura.
È il Tempo che passa. Se lo incontrate ammiratelo e sbalordite del suo splendore.
Michele De Lucchi, “L’Artista”
Angera, 5 agosto 2005
volume 3 / 4 € 15,00
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“Vitra Design Museum. Cento sedie classiche”,
Photo Miro Zagnali. Courtesy Goethe-Institut Italien
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DESIGN MAGAZINE
38
YEARS III, VOLUME 3/4 2010
Registrato al Tribunale di Verbania, n. 8 del 27/11/2008
ISSN 2036-2773
Direttore responsabile / Editor in chief
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alessio.curto@ julietdesignmagazine.it
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Testo, disegno e foto tratti dal libro
“12 racconti con casette” (Ph. P. De Lucchi)
Courtesy Corraini Edizioni - Mantova
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Presidente Calligaris spa e Pres.
Confindustria Regione Friuli Venezia Giulia
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AIR Dolomiti
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York; Starcknaked, Wolford – Bregenz; Motò 6.5, Aprilia – Noale; Kit Spaghetti
Party, OAO – Maldegem. Coutesy delle rispettive aziende
Museo della Calzatura di Villa Foscarini – Rossi. Photo Omniavisual. Courtesy Rossimoda – Vigonza
All © 2010 copyright is retained by the contributors
Logo Juliet by Oreste Zevola
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Schizzo PhonoTransistor “TP 1”
(1959) di Dieter
Rams e tratto dal suo
archivio in occasione
della mostra “Less
and More. Das
Designethos von
Dieter Rams”.
Courtesy Museum für
Angewandte Kunst Frankfurt
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Design:
de gustibus
est disputandum
di Renato De Fusco
L’esperienza del design ci consente alcune considerazioni critiche
sul vecchio motto del gusto che non si discute, dovuto alla diffusa
opinione per cui quello del gusto sarebbe un fenomeno estremamente soggettivo. Non condivido tale assunto, come indica il titolo
dell’articolo, e tenterò di dimostrare il contrario perché se ciò fosse
vero vanificherebbe tutta la riflessione estetico-filosofica sull’argomento, nonché ogni tentativo di comunicazione intersoggettiva,
ogni intesa fra l’individuale e il generale. La presenza della componente del gusto è riscontrabile in ogni manifestazione sociale, dalla
politica alla cultura, dall’economia al lavoro, dagli usi ai costumi; il
che già vale ad indicare che il gusto non è tanto materia di opzione
individuale quanto piuttosto fenomeno dotato di una certa invarianza oggettiva.
Il campo del design mi sembra quello più idoneo a dimostrare la
tesi che del gusto è possibile, anzi indispensabile discutere. Ma, a
parte la dimostrazione dell’assunto, il rapporto gusto-design assume valenze socioeconomiche e artistico-culturali di tale rilevanza da
rendere necessario un apposito discorso.
Per iniziarlo è necessario prendere in considerazione la vecchia distinzione fra le arti pure e quelle applicate, tra le quali è certamente l’architettura e il design. Non ignoro che essa è stata più volte
revocata in dubbio dalle più qualificate interpretazioni esteticofilosofiche, ma se il problema della distinzione ritorna nella pratica
a porsi vuoi dire che la teoria unitaria non è riuscita a risolverlo
completamente. In parte a favore di quanto ho appena espresso è la
posizione della Langer: «Sono anch’io convinta che l’arte sia sostanzialmente una, che la funzione simbolica sia la stessa in ogni genere
di espressione artistica, che tutti i generi siano ugualmente grandi,
e la loro logica sia tutt’una [...] Ma per enunciare questi articoli di fede con le proposizioni ragionevoli non basta asserirle enfaticamente
e ripetutamente e deplorare le prove in contrario: occorre piuttosto
esaminare le differenze e delineare le distinzioni fra le arti fin dove
è possibile seguirle. Esse sono più profonde di quanto non sia dato
a tutta prima supporre. Ma c’è un livello definito in cui non è più
possibile fare distinzioni: tutto ciò che può dirsi di ogni data arte, si
può dire anche delle altre. In questo sta la loro unità. Tutte le suddivisione si arrestano a quel punto, che è la fondazione filosofica
della teoria dell’arte» [S.K. LANGER, Sentimento e forma, Feltrinelli,
Milano 1965, pp. 122-3].
Premesso che distinzione non è separatezza, proprio operando distinzioni giungiamo a cogliere la natura diversa delle arti e la loro
fenomenologia sia teorica che operativa. Inoltre, qualcosa in più va
detto sull’idea del design come arte applicata, nell’aggettivo concentrandosi tutta la sua problematicità e socialità. Esso non è solo
arte applicata per le sue evidenti ragioni funzionali; perché solo una
parte del design attiene alla sfera artistico-estetica; né in quanto
produzione nella quale la tecnica gioca un ruolo rilevante, donde
risulta vincente la nozione greca di tekné che significava insieme
arte e tecnica o meglio un’arte che s’insegna con regole del mestiere;
in breve, essa è applicata perché ad essa si applicano molte altre
scienze e pseudo-scienze, segnatamente quelle storico-sociali che,
invece, non sono sempre pertinenti alle cosiddette arti pure.
Ritornando all’idea che proprio nel design va ricercata l’oggettività,
beninteso sempre relativa, del gusto, bisogna, almeno in senso euristico, utilizzare la distinzione fra le arti pure e quelle applicate.
Grazie ad essa, possiamo renderci conto della diversa fenomenologia del gusto e della sua influenza sia nel primo campo che nel
secondo.
Anzitutto, oltre al menzionato carattere di arte applicata, mentre al
design pertiene un’artisticità diffusa - un altro aggettivo che richiama la generalità più che l’individualità -, alle arti pertiene un’artisticità emergente. Ancora, se le espressioni poetiche, musicali, della
pittura, della scultura, del teatro sperimentale ecc. possono in un
primo momento non piacere, non incontrare il gusto della maggioranza, in un secondo momento esse sono generalmente accolte, in
virtù del fatto che il mercato artistico, l’editoria, le sale di concerto,
le mostre, le gallerie, i musei svolgono un’opera di spiegazione e
di convincimento, mentre lo stesso non avviene per i prodotti del
design. Se questi non incontrano subito il gusto del pubblico c’è il
forte rischio che restino a livello di prototipi, mai entrando nella
produzione, nella vendita e nel consumo. Nel caso dell’arte gli iniziali giudizi mi piace/non mi piace possono ritardare l’accettazione
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dei gusto di cui essa è portatrice; nel caso del design tali giudizi
segnano sin dalla nascita il successo o il fallimento di intere produzioni. Perché si verifica tale discrepanza?
La prima causa può vedersi in ciò che l’arte pura è il cosiddetto
«superfluo necessario», mentre l’arte applicata nel senso più esteso
di tutta la merceologia industriale - appare e spesso è «l’indispensabile»; in altre parole è acquisito che generalmente i cultori delle
arti sono persone particolarmente preparate o aspiranti ad esserlo,
mentre i fruitori degli oggetti di design sono tutti, quali che sia il
loro livello di cultura. Ne discende che per decretare il successo di
un artista basta una minoranza, mentre per quello di un designer e
della sua produzione, una maggioranza; evidentemente il numero
conta nel definire un gusto particolare e un gusto generalizzato teoricamente a tutta la sfera sociale. Ma ciò non dimostra a sufficienza
la disputabilità o meno del concetto di gusto.
Meglio risponde al nostro tema la seconda causa del divario tra le
arti e il design. Essa dipende dalla distinzione fra l’artistico e l’estetico, dove col primo termine si indica un’esperienza che comporta
un impegno di studio e di conoscenza, un «artificio», nell’accezione
migliore dei termine, sia da parte di chi opera, sia da parte di chi ne
fruisce; col termine «estetico» s’intende invece una qualità che dà
piacere indipendentemente dalla cultura e dalla preparazione; l’estetico è fenomeno naturale e pertiene ai sensi, l’artistico, invece, pertiene alla cultura. Cosicché, l’amatore d’arte può apprezzare un’opera in senso artistico, ma non estetico. Ovviamente fra i due modi di
sentire non c’è contraddizione: il cultore d’arte prova piacere anche
nella contemplazione artistica come pure il fruitore dell’oggetto
di design coglie una valenza artistica anche nel piacevole oggetto d’uso, ma perché ciò si verifichi anch’egli deve possedere una
preparazione artistica. Ogni sorta di gusto può essere educata, ma
mentre il pubblico che frequenta i musei è intenzionato a perfezionare il suo gusto, a far coincidere appunto l’artistico con l’estetico,
quello interessato soprattutto agli aspetti pratici non pensa neanche
a migliorare il suo gusto, supponendo che quello che ha sia il migliore. Nel caso che invece si ponga il problema di aggiornare il suo
gusto, lo fa in generale ancora per pratici motivi: il possedere cose
apprezzate, il rientrare in una sfera elitaria, il prestigio sociale, ecc.
Persistendo tale discrepanza, il cultore d’arte tende a superare le
sue conoscenze, il fruitore del design presenta maggiori resistenze
ad abbandonare i suoi pregiudizi e preconcetti: deve vivere a diretto
contatto con gli oggetti, farli rientrare nel suo habitat, esige più piacere estetico che artistico.
Una terza causa della diversità fra arte e design sta in ciò che la
prima gode di una tradizione auratica, di una vasta letteratura, del
fatto che masse di turisti si spostano da un paese all’altro per visitare musei e gallerie, mentre il secondo non possiede gli stessi canali
d’informazione: esistono poche storie del design, la letteratura è
affidata a riviste specializzate e le stesse esposizioni sono pensate
prevalentemente per gli addetti ai lavori. È possibile colmare il divario sopra esposto e modificare il gusto anche per chi nutre solo
interessi extra-culturali? La risposta è affermativa è lo strumento
per attuare tale programma sta in una maggiore divulgazione della
cultura del design.
Ho già in altre occasioni citato un passo di Gimpel: «È proprio
all’inizio di una nuova Tecnica Espressiva che il livello è più alto...
La vetrata, l’arazzo, la pittura ad olio non sono mai stati più grandi
che nella loro prima età. La fotografia ottocentesca è spesso più notevole di quella del nostro tempo. E i grandi film devono essere già
stati girati» [G. Gimpel, Contro l’arte e gli artisti, Bompiani, Milano
1970, p, 193]. Si tratta evidentemente di un paradosso, specie per
quanto attiene al discorso sui film, ma non si può disconoscere in
esso un gran parte di vero. Può dirsi anche per il design che il meglio è quanto è stato già prodotto? Per un verso prodotti come quelli
di Thonet, dell’AEG, della Wiener Werkstätte, della Ford anni ‘10-‘20,
ecc. appaiono insuperabili, per un altro, vi sono prodotti recenti
che reggono degnamente il confronto. Tuttavia, in molti avvertiamo
che, nonostante i successi di alcune aziende e l’attività di alcuni
designer, c’è qualcosa che non va nel fenomeno teorico-pratico che
possiamo definire complessivamente cultura del design.
Ora, come non comprendere che quella «Tecnica Espressiva» nuova
di cui parla Gimpel non può che riguardare la componente «vendita»
e per essa la comunicazione, l’informazione, la divulgazione del de-
sign presso il più vasto pubblico da effettuarsi per via informatica
e telematica? Ma d’altra parte, come spiegare allora che il design,
un’esperienza avanzata e sperimentale per definizione, non si avvalga dei mass media più nuovi ed efficaci? Ci piaccia o meno, una
cosa appare certa: quando qualcosa non figura in televisione è come
se non esistesse; se questo è vero, nel senso che è entrato a far parte del costume contemporaneo, perché è assente in essa la cultura
del design, sia sotto forma di appositi programmi, sia in veste di
spot pubblicitari?
In realtà, alcuni settori del design, segnatamente quello dei mobile
e dell’arredo, sono ben presenti in televisione, ma si tratta, salvo le
solite eccezioni, di prodotti appartenenti ad aziende più commerciali che produttrici, del tutto indifferenti al design d’autore, che
smerciano mobili d’ogni stile, d’ogni tipo, tant’è che figurano prevalentemente su emittenti locali. Quello che manca nelle grandi reti televisive e in internet è il design delle maggiori aziende, firmato dai
progettisti più prestigiosi, entrato ormai nella storia, in una parola il
cosiddetto Italian style.
Alla domanda sulle motivazioni di tale assenza mi sono state date
le più varie risposte: la pubblicità televisiva costa molto; si addice
a prodotti di specifiche merceologie, dalle automobili agli elettrodomestici, in sostanza ad articoli di più rapido consumo e non ad
altri, come i mobili che si comprano una o due volte nella vita; non
è escluso che le aziende di prima categoria non figurano in tv anche per non confondersi con le altre ritenute, a torto o a ragione,
secondarie. Ho tentato di contestare una ad una tali motivazioni,
ma invano, giungendo alla conclusione per cui la logica che guida
le politiche aziendali è di tipo individuale, pertanto abbastanza
indifferente alle sorti e all’immagine complessiva della cultura del
design. Considero questa posizione molto rischiosa: è più facile
che una produzione spregiudicata, ma postasi sui canali giusti della
comunicazione, attinga, con l’aiuto di qualche designer, a un livello
di qualità, mentre una produzione che conta solo su quest’ultimo
continua a porsi fuori dagli attuali media d’informazione.
Ritorniamo al tema del gusto. Di solito chi aderisce al precetto de
gustibus non est disputandum fa appello alla individualità, alla irreperibilità, all’estremo soggettivismo delle persone che, in quanto
così diverse, hanno un proprio gusto, come del resto una propria
particolare visione del mondo. Già abbiamo accennato che se ciò
fosse completamente vero non ci sarebbe vita associata. Ma, riferendosi alla storia, chi ha espresso meglio la necessità di una coesistenza tra l’individualità e la conformità è stato Kubler: «Non ci possono
essere due cose o due eventi che occupino le stesse coordinate nello
spazio e nel tempo: ogni atto è quindi diverso da qualsiasi altro
atto precedente o susseguente. Non esistono due cose o due azioni
che possano essere accettate come identiche. Ogni atto è un’invenzione. Eppure tutta l’organizzazione del pensiero e del linguaggio
è una negazione di questa semplice affermazione di non identità.
Possiamo cogliere l’universo soltanto semplificandolo con idee di
identità distinte in classi, tipi e categorie riordinando l’infinita continuità di eventi non identici in un sistema finito di similitudini. È
nella natura dell’essere che nessun evento possa mai ripetersi, ma
è nella natura del nostro pensiero che noi possiamo intendere gli
eventi soltanto per mezzo di identità che immaginiamo esistere tra
loro» [G. KUBLER, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1976, p. 83].
Trasferendo questo giudizio dall’esperienza storica a quella del
design, è certamente vero che esistono tanti gusti quante sono le
individualità, tuttavia affinché si possa pervenire a una «regola del
gusto», per dirla con Hume, è indispensabile pensare a un denominatore comune, a una sorta di identità, a condivise categorie, magari a diffuse convenzioni. In altre parole, soltanto ricorrendo alla
«natura del nostro pensiero» che, come coglie gli eventi per mezzo
di identità, così supera l’aspetto puramente soggettivo del gusto, si
può attingere a un’idea più generale di esso. Certo, ci sarà sempre
un modo particolare di gustare qualcosa, così come esiste un modo
particolare di essere cattolici, socialisti o liberali, ma quel che conta
ai fini sociali è che questo essere particolare faccia capo a una identità che almeno ipotizziamo esistere fra le persone.
Il problema del resto è riconducibile alla lingua: ognuno parla una
lingua con particolarità che vanno dal tema che affronta alle inflessioni regionali, dal modo di esporre fino agli accenti e al tipo di
voce, ma tutti parliamo la lingua che per convenzione e tradizione
storica parla una data comunità. Torna utile al nostro discorso
quanto ebbe a sostenere Cesare Brandi sul significato delle parole:
«Il monema, o, se si vuole essere meno esatti, la parola, non ha
come significato la cosa, ma lo schema preconcettuale della cosa
o al più il concetto empirico della cosa; questo schema o concetto
tuttavia non è un surrogato o un simulacro della cosa, rappresenta
bensì il risultato gnoseologico della cosa secondo che una determinata società - quella che parla la lingua - l’ha prelevato e sintetizzato dall’esperienza» [C.BRANDI, Struttura e architettura, Einaudi,
Torino 1967. p. 38].
In questo giudizio, accantonando il problema del rapporto fra
parole e cose denotate, che non pertiene al tema del gusto, c’è
un’indicazione preziosa: come il significato delle parole è il risul-
tato gnoseologico che una determinata società assegna agli oggetti
- altri hanno scritto che il significato delle parole dipende dall’uso
che di esse fa una determinata società - così il gusto è il risultato
gnoseologico-estetico della fruizione dei prodotti e/o dei comportamenti. Sintetizzando al massimo, il gusto è una convenzione. Come
tale, appartenendo cioè alla sfera culturale, nel senso antropologico
del termine, esso è storicamente condizionato, relativo, mutevole,
modificabile, soggetto a numerosi altri fattori: le tendenze, le influenze, le mode, ecc. Hume notava che la convenzione deve essere
intesa, non come una promessa formale, ma come «un sentimento
dell’interesse comune, che ognuno trova nel suo cuore» (lnq. Conc.
Morals, App. 3); e aggiungeva «così due uomini muovono le vele di
una barca con comune accordo per il comune interesse, senza alcuna promessa o contratto; così l’oro e l’argento sono infatti misure
dello scambio; così il discorso, le parole, la lingua sono fissati dalle
convenzioni e dall’accordo umano» (Ibid.).
Si pone un ultimo quesito: il gusto come convenzione riguarda tutte
le arti o solo quelle applicate? Una risposta può ricavarsi indirettamente da quanto ebbe a scrivere Panofsky: «L’opera d’arte [...] ha per
sua natura la duplice proprietà di essere, da un lato, determinata de
facto dalla situazione temporale e locale, e, dall’altro, di costituire,
riguardo all’idea, una soluzione atemporale, assoIuta e a priori di
problemi posti - di prodursi nel flusso del divenire storico e di raggiunger tuttavia una sfera di validità sovrastorica. Perciò il fenomeno artistico [...] affaccia di necessità una duplice pretesa: da un lato
di venir compreso nella sua condizionatezza [...] dall’altro di essere
compreso nella sua assolutezza, di essere cioè sottratto dal nesso
storico di causa ed effetto e di venir inteso, al di là della relatività
storica, come soluzione, estranea al tempo e al luogo, di un problema che è estraneo al tempo e al luogo» [E. PANOFSKY, “Sul rapporto
tra la storia dell’arte e la teoria dell’arte”, in La prospettiva come forma simbolica e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1961, pp. 205-61].
Ora, ammesso che ciò valga per l’arte, può valere anche per il design
e le altre arti applicate? Ed è lecito asserire questa duplice proprietà
anche per ciò che attiene al gusto? Non mi pare. Un’opera di riconosciuto valore artistico risponde al gusto del tempo in cui è nata ed è
accolta ugualmente dal gusto nostro contemporaneo. Non sempre si
può dire lo stesso per i prodotti del design; anzi alcuni prodotti ottocenteschi e segnatamente gli abiti d’epoca ci sembrano addirittura
ridicoli. D’altra parte alcuni articoli - e penso in particolare a quelli
di Thonet - hanno sfidato il tempo: essi rispondono al gusto attuale
così come fecero a loro tempo. Questo secondo caso può spiegarsi
in due modi. O la persistenza del gusto nel tempo dimostra che
anche per alcuni prodotti del design vale lo stesso ragionamento
che Panofsky fa per l’arte, rientrando essi a pieno titolo nella sfera
di quest’ultima o il problema del gusto, avendo una fenomenologia
propria, risponde a una convenzione del suo tempo e altresì a una
convenzione del nostro. Sono portato a credere che sia vera la seconda ipotesi, come dimostra il fatto che alcuni prodotti, per così
dire «ritornano» dopo aver attraversato un periodo di dimenticanza.
Riassumendo, il gusto nasce come fenomeno soggettivo salvo a
modificarsi nel tempo come ogni altro fatto storico, acquistando
una certa oggettività, quella cioè che denota le caratteristiche del
contesto socioculturale di una comunità. Se questo è vero il naturale
istinto dell’inizio si trasforma in una convenzione, allo stesso modo
di come si forma una lingua, che consente l’espressione individuale
condizionata al tempo stesso da una codificazione, certo non meccanica, ma propria di una innere Sprachform, per dirla con Humboldt,
che intende la lingua come una forma interna, espressione della visione del mondo del popolo che parla quella lingua.
Da tutto quanto precede, possiamo sostenere che il gusto è una convenzione, rispetto alla quale possiamo consentire o dissentire, ma
che comunque si evolve, s’impara, si corregge; è soggetto a influenze, ad alterne fortune come tutti i fenomeni storici; che soprattutto,
problematico com’è, risulta materia altamente discutibile.
Renato De Fusco Architetto, nato a Napoli, è professore emerito di “Storia dell’architettura” presso l’omonima Facoltà dell’Università Federico II di Napoli. Ha insegnato “Storia del design” presso l’Istituto universitario Suor Orsola Benincasa. Dal 1964
ha fondato e diretto la rivista Op.cit. di selezione della critica d’arte contemporanea
(dedicata all’architettura, al design, alle arti visive). Premio Inarch per la rivista nel
1967; premio Inarch alla carriera nel 2001. Dirige la collana di critica dell’architettura
e design della Franco Angeli di Milano; quella di storia dell’architettura e design della
Liguori Editore di Napoli; quella dell’ADI (Associazione per il Disegno industriale) e
la collana dei Trattati per l’architettura moderna della Editrice Compositori di Bologna.
Ha curato tutte le voci dell’architettura, delle arti figurative e del design del Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, 1984. Ha ideato i due volumi dal titolo Gli strumenti del
sapere contemporaneo e redatto le voci architettura, arti figurative e design, UTET, 1985.
È socio onorario dell’ADI. Le date principali del suo curriculum sono: 1953 laurea in
architettura; 1954 fa parte del MAC (Mavimento arte concreta), studia con Zanuso, collabora alla Casabella-Continuità di Ernesto. N. Rogers; 1955 entra nell’Istituto di Storia
dell’architettura dell’Università di Napoli, diretto da Roberto Pane; 1961 libera docenza
in “Caratteri dell’architettura moderna”; 1972 vince il concorso per ordinario di “Storia dell’architettura”; 2008 riceve il Premio alla Carriera del Compasso d’Oro ADI.
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Marco Zanini in una foto di Luca Carrà
Da piccola falegnameria artigianale, nata nel 1923 a
Manzano (provincia di Udine)
nel cuore del “triangolo della
sedia”, a impresa leader nel
mondo del settore arredo.
La storia della Calligaris è una
storia di successo, fatta di capacità di innovare e coraggio
di investire.
Con quella stessa propensione
all’innovazione che negli anni
Sessanta ha portato l’azienda
della mia famiglia a ideare la
prima macchina impagliatrice
per sedie, oggi per mezzo di
strategie innovative che negli anni hanno rivoluzionato le
funzioni di marketing e logistica, la Calligaris è riuscita a
superare anche questi mesi di
generale difficoltà chiudendo il
2009 con un fatturato consolidato che si attesta a un livello
di circa 150 milioni di euro. Del
resto quando le cose vanno
bene, si lavora tanto; quando vanno relativamente male
-come adesso- bisogna lavorare molto di più”.
La crisi sta colpendo tutto il
sistema economico, in particolare quello manifatturiero;
talvolta a macchia di leopardo
ma, in linea generale, tutti ne
sono stati coinvolti.
Negli ultimi anni una certa facilità di trasferimento del denaro ha generato un aumento
molto forte nei consumi, determinando una sovrapproduzione nei mercati, seguita poi
da una riduzione della quantità dei consumi e quindi delle
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produzioni immesse sul mercato. Per questo sono convinto che resisteranno le aziende
più strutturate e capitalizzate,
o anche quelle che, avendo
meno risorse economiche, dispongono di capitale umano,
progettuale e di prodotto.
L’esperienza della nostra industria può e deve essere
d’esempio al territorio, perché, nonostante le difficoltà
ancora in corso, gli imprenditori sapranno agganciare il rilancio se riusciranno a puntare
su nuove strategie gestionali,
innovazione a tutto tondo, ma
anche su una maggiore fiducia
nel futuro.
La Calligaris (e tutto il distretto)
è cresciuta con il legno che è
stato per lungo tempo l’unica
materia prima usata per ogni
pezzo. Il design degli anni Novanta ha iniziato a utilizzare altri materiali come la plastica, il
metallo, il cuoio e il vetro. Tutti materiali accomunati da un
unico comune denominatore:
l’innovazione.
Proprio l’innovazione è il fattore principale che ci ha portato
al successo.
Innovazione di prodotto e dei
materiali, ma anche quella gestionale e logistica, abbandonando infatti negli anni l’idea di
azienda verticalizzata, per acquisire quella di una realtà che
progetta, industrializza e gestisce la logistica produttiva dei
componenti in outsourcing.
Abbiamo deciso di focalizzare
tutta la nostra attenzione su
due fronti importanti: la logistica produttiva e quella distributiva.
Per la produzione, utilizzare
materiali diversi e linee differenti comporta avere specializzazioni interne e non è
possibile essere competenti in
tutte le tecnologie dei diversi
materiali.
Così abbiamo dato un’identità
di assemblaggio dei componenti in metallo e plastica ad
ogni stabilimento.
Allo stato attuale trecentosessanta sono le persone che
lavorano nello stabilimento
e nella direzione generale di
Manzano sono per oltre il 50%
colletti bianchi.
La fisionomia dell’azienda è
cambiata rispetto al passato:
oggi alla Calligaris progettano,
industrializzano, pensano al
marketing e alla commercializzazione.
Il secondo punto di forza è
la politica distributiva intesa
come vicinanza ai mercati.
Questo è un aspetto fondamentale per la nostra azienda:
oggi un compratore in negozio
vuole avere subito quanto ha
acquistato. Un punto vendita
italiano ha mediamente quattrocento metri quadri di spazio
e ha bisogno di consegnare un
tavolo e quattro sedie nel più
breve tempo possibile. Quindi
sono stati creati dei magazzini
logistici per distribuire i prodotti in tempi rapidi.
C’è poi la convinzione che il
valore aggiunto del Made in
Cogliere le sfide del
Italy sia nella fase di creazione, ideazione e industrializzazione, ammettendo la delocalizzazione di alcune fasi della
produzione, senza che questo
infici l’italianità del prodotto.
Inoltre è indispensabile porre
una forte attenzione alla leva
della comunicazione: occorre essere presenti alle diverse
fiere di settore, per dare l’opportunità al consumatore di
conoscere cosa fa l’azienda.
Bisogna lavorare molto sul sito
internet fornendo un catalogo
elettronico con informazioni aziendali e caratteristiche
tecniche di prodotto; è uno
strumento importante perché
il consumatore ha bisogno
di conoscere il produttore, di
informazioni per scegliere in
modo consapevole.
L’azienda Calligaris sta attraversando nell’ultimo anno un
grande periodo di cambiamento: guarda al futuro investendo
in un importante progetto di
valorizzazione e posizionamento del proprio marchio.
L’universo della marca Calligaris vuole essere un universo
vivo, caloroso e, in una parola,
accessibile.
Il primo marchio Calligaris è
nato quasi spontaneamente
quarant’anni fa: con lo sviluppo dei prodotti, del catalogo e
della distribuzione si capì che
il “nome” era assolutamente
necessario. Oggi lo vogliamo
portare, attraverso un’azione
attentamente pensata, a un
ruolo preciso: ci proponiamo
che esprima, con la sua sola
forza, i contenuti e i valori della nostra azienda. Desideriamo che la gente sappia che
dietro a questo simbolo c’è la
passione per il lavoro, e cioè
per le cose fatte bene; c’è la
competenza maturata in ottantacinque anni di storia; c’è
la ricerca, tutta italiana, delle
forme belle e armoniche, senza mai strafare; c’è il principio,
tutto friulano, di parsimonia
e di equilibrato approccio al
mercato.
È l’accessibilità il valore che
vogliamo perseguire non solo
con riferimento al prezzo (il
“lusso accessibile” come
obiettivo, perché un prodotto
accessibile deve comunque
far sognare il consumatore),
ma in senso lato come prossimità al quotidiano, con una
vasta rete distributiva, un sito
web accessibile, un’offerta
chiara e comprensibile in termini di stile, prezzi, design bello ma funzionale: in una frase
“il design da vivere per la casa
d’oggi”.
Ciò significa diventare la marca di riferimento del design
italiano accessibile, per chi
ama l’arredamento di qualità
e design ma anche gli acquisti
intelligenti, per chi ama creare
il proprio universo di vita, contemporaneo e vivo, mescolando stili e colori.
È stata quindi rinnovata l’immagine coordinata che da un
lato darà maggior riconoscibilità all’universo di marca Cal-
ligaris fatto di prodotti, servizi, attività di comunicazione,
presenza sul web e sul retail,
dall’altro contribuirà a veicolare parte dell’identità della nostra marca e dei suoi valori.
Il nuovo logo, che mantiene
lo storico rosso Calligaris, si
concretizza in un lettering più
moderno e in un nuovo payoff:
“Italian Home Design since
1923”. Accanto al logo è stato inserito un simbolo accattivante, un picchio stilizzato,
per rafforzare l’impatto e la distintività del marchio, rendendolo così più visibile e ricordabile soprattutto in quei mercati
internazionali, dove non deve
essere necessariamente letto
per essere riconosciuto e ricordato.
Se da un lato il nuovo payoff
rappresenta l’attenzione alla
ricerca di colori, stili e trend,
la completezza dell’offerta
nell’area giorno e notte della
casa, e sottolinea il valore del
proprio passato (produttore
dal 1923, con una storia specifica legata al legno e alla sedia), dall’altro il picchio richiama i valori dell’affidabilità (in
termini di prodotto e servizio),
dell’ingegno (funzionalità ad
esempio dei suoi tavoli) e della
laboriosità, propri anche della
Calligaris.
mercato e trasformarle in successi
Alessandro Calligaris
Presidente Calligaris spa
e Presidente Confindustria
Regione Friuli Venezia Giulia
English version on page 92
7
Dall’alto in basso: letto “Neoz”-prod. Driade Aleph_sveglia-radio “Coo Coo” -prod. Alessi/Thomson e lampada da tavolo “Miss Sissi” - prod. Flos
consolle lavamani - prod. Duravit e miscelatore “Edition 1” - prod. Axor/Hansgrohe_spazzolino da denti e portaspazzolino - prod. Fluocaril_ Patrizia Piccione con lo spremiagrumi “Juicy Salif” - prod. Alessi_maniglia “1191” - prod. FSB
8
Philippe Starck: antologia e attualità.
Omaggio all’eccentrico e geniale produttore di sorprese fertili per festeggiare
la lunga e fortunata carriera da “esploratore” dell’universo progettuale.
Per un futuro
più immateriale
“Oggi entriamo nel secolo della simpatia e dell’immaterialità, bisogna che
gli oggetti spariscano e, se proprio non possono ancora sparire
completamente, almeno che si rendano sopportabili essendo simpatici”.
Philippe Starck (1)
Il mondo cambia, il futuro ha già preso il via, l’uomo è alla ricerca di nuovi pianeti
su cui traslocare e, nel vecchio continente, tra le tante cose strane che accadono,
recentemente hanno depennato d’ufficio, dalla nostra millenaria lista alimentare,
anche la gustosa braciola di maiale nonostante l’assicurazione che il virus
influenzale A/H1N1 non può essere contratto mangiando prodotti di origine suina.
Tuttavia, in questa introduzione, non mi soffermerò a descrivere delle negative
caratteristiche di un ambiente costantemente sotto la pioggia acida e soffocato da
giganteschi flussi del traffico aereo e terreste o, al contrario, di spazi che sorgono
isolati da una crosta inospitale in un’atmosfera siderale, ne parlerò di robot ideati
come replica ossessivamente perfetta dell’umano (oppure della sua clonazione, di
schizofreniche rivolte sociali contro intelligenti macchine incontrollabili, di asettiche
guerre fredde e terrificanti invasioni marziane, di burocrazia al servizio del potere
garantito da lavaggi del cervello, ecc…).
Il mio intervento, invece, sarà mirato alla riscoperta del magico mondo infantile,
fatto di fiabe a lieto fine allo scopo di cercare la formula per imparare a convivere
con le paure della propria esistenza e sul modo di vincerle. Ovvero di come un
brutto anatroccolo diventa un magnifico cigno, di come un grezzo pezzo di legno
si trasforma in uno sveglio bambino e Biancaneve trova asilo dai Sette Nani.
Infatti, proprio a cavallo del terzo millennio, scopriamo che qualcuno -zitto zitto e
piano piano- ci ha cambiato le carte in tavola rendendoci a ogni buon conto la vita
più felice. Spiegandoci gentilmente che, nella nostra epoca, il vecchio oggetto è
diventato un “non prodotto”, per cui non dovremo più preoccuparci della sua
funzionalità (ricordate la legge delle tre effe: Form Follows Function), bensì
soltanto della sua dimensione affettiva e poetica (2).
Secondo queste nuove prerogative, le nostre giornate iniziano come sempre all’alba,
avvisati da una dolce melodia trasmessa della sveglia-radio “Coo Coo” che ci
conferisce la giusta carica per alzarsi dal comodoso letto modello “Neoz”, non prima
di aver acceso “Miss Sissi” (archetipo delle vecchie lampade a paralume).
Per le consuete e non più monotone attività dedicate all’igiene personale ci
rifletteremo nello specchio “Caadre” e useremo gli spazzolini da denti “Fluocaril”
belli come le sculture di Brancusi dal segno estetico-formale che dialoga in
perfetta sintonia con rubinetti e sanitari “Edition 1”.
E dopo una ricca colazione a base di alimenti biodinamici “Oao” accompagnati da
una salutare aranciata fatta con lo spremiagrumi “Juicy Salif”, il tutto
apparecchiato sul funzionale tavolino “Miss Balù”, saranno le libere lancette
dell’orologio da parete “Walter Wayle II” a indicarci che è giunta l’ora di recarci al
posto di lavoro.
Chiusa la porta della nostra abitazione (a proposito, che forma organica e oblunga
la maniglia “Sesamo”), muniti della pratica borsa a tracolla “Fao” e degli occhiali
da sole “Eyes Biosun”, saliamo sulla “Motò 6,5” (un prolungamento del corpo dove
la tecnologia più moderna si coniuga a un’estetica senza tempo) consentendoci di
arrivare a destinazione con puntualità, pur affrontando il caotico traffico cittadino.
Giunti in ufficio anche questo ambiente ci riserva una gran quantità di radiosi
prodotti. Il linguaggio del mago che trasforma in design tutto ciò che disegna si
evolve tra divertissement come il cestino gettacarte “Colucci”, ironico quanto
Note
(1) Zanco F. (a cura di), “Design per fare lavorare il cervello” in Domus n.758, marzo 1994, p.31.
(2) “Non conosco i concetti marxisti, ma sicuramente so che molti oggetti hanno perso la loro
vera ragione d’essere, nel senso che sono divenuti dei parassiti, invece che degli oggetti
d’uso e di servizio nel senso nobile, largo del termine. In altre parole, la gente suda sangue
per acquistare oggetti generalmente inutili. Oggi il mondo degli oggetti è fatto di un 10-15% di
effettiva domanda di servizio, al massimo, e di un restante 85% di merda, che ci asfissia. Il
positivo si è trasformato in negativo, e così alla fine del XX secolo siamo arrivati a una società
veramente materialista, che potrebbe anche essere interessante, se fosse cosciente del
perché è così. Ma questa società non lo sa. La gente è incapace di conoscere la vera ragione
dei propri acquisti: se la conoscessero, gli acquisti sarebbero diversi e si acquisterebbe di
meno, e credo che questo comincerà ad accadere in un futuro molto vicino. (…) Ci sono
molte cose da dire e io ho fatto una specie di riassunto, ma questo porta oggi all’idea di un
obbligo etico nei confronti della moralizzazione della produzione”.
Meneguzzo M. (a cura di), Philippe Starck Distordre, Electa/Alessi, Milano, 1996, p.9.
(3) “Bisogna finirla con l’utopia suicida del design industriale, bisogna smettere di voler
rendere belli gli oggetti utili. Abbiamo creduto ingenuamente che gli oggetti avrebbero potuto
darci la felicità. Errore: non siamo affatto più felici. Al contrario: gli oggetti ci hanno asfissiato.
Con l’età, mi sono detto che avrei tentato di correggere una storia di cui io stesso sono stato
sicuramente complice”.
Pierantozzi F. (a cura di), “Il Signore degli oggetti” in Liberal, novembre 1998, pp.80-83.
(4) “Io sono un designer di mobili italiano, un progettista industriale tedesco, un architetto
giapponese, uno scenografo americano, un direttore artistico francese. Di solito utilizzo i Paesi
seguendo le loro capacità, le loro potenzialità; i mobili li faccio con gli italiani perché sono i
migliori produttori del mondo; la libertà urbanistica la trovo solo in Giappone, quindi è il luogo
migliore per costruire; il potere d’investimento americano è enorme e permette di creare
scenografie piuttosto complesse. Io sono di origine francese, ma vivendo in aereo è come se
fossi inserito perennemente in una società mondiale”.
Carella I. (a cura di), “Eclettico Starck” in Modo n.221/222, agosto/settembre 2002, pp.43-47.
Dall’alto in basso: sedia e tavolino “Lola Mundo”-prod. Driade Aleph_posacenere “Joe Cactus”-prod. Alessi_Marco Rosada con il telefono “Ola”-prod. Thomson e il libro “Philippe Starck”-edizioni Taschen_libreria “Mac Gee”-prod. Baleri
Paolo Tutta con fermaporta “Dédé”-prod. Alessi_pubblicità per l’acqua minerale St Georges
funzionale, al gioco delle memorie settecentesche rivisitate con le tecnologie
moderne che ne ribaltano il significato come può evidenziarsi nel tavolino/sedia
“Lola Mundo” dalle gambine inaspettatamente pressofuse e la texture del piano
della seduta ritmata da borchie in gomma rosa che fanno il verso ai capitonnè di
ben più paludate tradizioni.
Per tenere ordinati gli articoli da cancelleria ci pensano gli eleganti “Stationnery:
Secrets, Pensées, Gaieté, Liberté” portalapis e portalettere in bakelite colore
bordeaux. Naturalmente, sul piano di lavoro non manca il telefono “Ola”, il
posacenere “Joe Cactus” e il portariviste “Claudia Evangelista” e, a terra, mai
dimenticare di posizionare la mitica figura fermaporte “Dédé”. Le spiccate
connotazioni arredative della alare libreria “Mac Gee” e delle mascherate borghesi
poltrone “Richard III” completano degnamente la work station finalizzata al
massimo comfort e alla più corretta ergonomia.
A conclusione della giornata “il Signore degli oggetti” non ci finisce di stupire
dedicandoci ulteriori e mirabolanti articoli creati per il tempo libero. Per esempio,
al calar della sera, fate indossare a vostra moglie il tubino mini “StarckNaked”
(una sintesi tra un collant e un tubo lungo e stretto dal look sofisticato) e per
trascorrere dei momenti indimenticabili, portatela a cena al snobbissimo ristorante
londinese del St. Martins Lane (dov’è d’obbligo ordinare le famose reginette a
doppio riccio accompagnate dallo champagne Jean-Pierre Fleury e dall’acqua
minerale St. Georges).
In conclusione, senza che noi ce ne accorgiamo, questi oggetti di buon design ci
offrono qualità tutte le volte che li utilizziamo; hanno, in altri termini, cambiato la
nostra vita.
Per tutto questo il nostro più sentito ringraziamento va al world designer Philippe
Starck dall’estro creativo molto abile nel disegnare i prodotti più diversi per le
industrie più diverse per i mercati più diversi (3).
All’unico grande talento del design francese in un paese di non-designer (4), figlio
di un progettista aeronautico e capace di parlare al consumatore globale, la nostra
rivista intende rendergli omaggio presentando una selezione
di lampade, mobili, elettrodomestici, giocattoli, utensili da cucina, veicoli
e vestiti che hanno consacrato la sua fama in tutto il mondo.
Alessio Curto
9
10
Ambientazione
“Axor Starck Shower Collection”
prod. Axor/Hansgrohe - Courtesy Threesixty
Microturbina eolica per uso
domestico “Revolutionair” mod.
WT1kW (Tripala), prod. Pramac
11
“Chiambretti Night” in onda su Italia 1. Ideazione e
conduzione della trasmissione a cura di
Piero Chiambretti, regia di Massimo Fusi.
Dario Cavaletti ha concepito la scenografia del
programma come un locale notturno sospeso tra
fantasia e realtà, tra musica soul e parole in libertà;
tra i tavoli del pubblico ha seminato le lampade
“Miss Sissi”. Ph. Vincenzo Di Cillo - Courtesy
Mediaset, Direzione Comunicazione e Immagine
12
In un edificio cinquecentesco affacciato
sul Canal Grande (di fianco a Palazzo Grassi)
nasce Palazzina Grassi, il primo hotel realizzato in Italia dalla
genialità del poliedrico creativo francese. Cinque stelle, 16 camere
e 6 suite apartment per una nuova filosofia di ospitalità voluta da
Emanuele Garosci. Insieme hanno immaginato e creato un luogo
unico, capace di racchiudere l’essenza della Venezia più autentica in
un gioco di contrasti e armonie fra tradizione e modernità
“LaCie Starck Desktop Hard Drive” e
“LaCie Starck Mobile Drive” - Courtesy Text100 Srl
ALLÔ, MONSIEUR STARCK
Il culto del bel oggetto ha oramai raggiunto livelli quasi di feticismo: siamo
assediati, circondati e aggrediti dal design a chilo per consumatori insaziabili.
Ma non tutto è oro quel che luccica! Il novanta per cento del materiale in
commercio è scarto, mal copiato e senza senso. La forma è la funzione
diceva qualcuno; dal cucchiaio alla città aggiungeva qualcun altro. Certo,
in una cinquantina d’anni (vedi la Storia del Compasso d’oro), tanta acqua è
passata sotto i ponti della progettualità ma le buone intenzioni manifestate
dai padri della disciplina hanno trovato pochi allievi capaci di non uscire dal
seminato. Direte che siamo antiquati, bacchettoni e tradizionalisti ma non
è vero! E per dimostrarvi il contrario abbiamo chiamato a testimoniare –a
sostegno delle nostre tesi- nientemeno che il più geniale e innovativo designer
del mondo: Philippe Starck. Chi meglio di lui, che ha disegnato qualsiasi tipo
di oggetto per ogni grande marca e ha esposto nei più prestigiosi musei
internazionali, può rendere evidente quanto l’atmosfera tecnologica ma
anche estetica del nostro habitat dipendono dall’evoluzione di un design
formalmente corretto. Dunque, un occhio all’eleganza e uno all’innovazione;
questa è la metodologia vincente della star dei creativi, non tralasciando mai
le linee guida del tema e problema a dispetto delle mode che scodellano
sagome provocanti che nascono e si esauriscono nel breve spazio di una
stagione. Dagli spremiagrumi ai palazzi, dagli spazzolini alle moto: non c’è
casa al mondo postindustriale che non accolga un suo oggetto, vere e nuove
icone del paesaggio domestico.
Per poter capire meglio lo spirito guida di questo fertile costruttore francese,
amante della musica rasta, dello champagne e del romanzo Ubik di Philip K.
Dick, di seguito riportiamo una breve intervista raccolta da Gabriella Dorligo,
qualche tempo fa, a Milano.
Cosa pensi dei problemi di comunicazione del mobile?
L’architettura e il design sono mezzi dei mezzi di espressione e, come tutti i
mezzi di espressione, come tutti i vettori, devono essere comunicati perché
è la loro finalità. Vale a dire che l’oggetto non ha nessuna importanza come
oggetto. Esso ha solamente importanza come veicolo di espressione,
come mezzo di comunicazione: è un sinonimo. Tutto deve essere mezzo
di comunicazione. Bisogna che l’architettura sia mediatrice, così come il
design. Più l’oggetto e più il suo mezzo di comunicazione si comunicano, più
il messaggio diventa una forte espressione morale.
Come consideri l’aspetto decorativo delle cose?
Ti rispondo subito. Per me è tutto uguale: un edificio o un interno, nulla è
cattivo.
Qual è l’impostazione progettuale che preferisci?
Non mi pongo il problema. Tutto va bene dal momento che è fatto bene e
che vuole dire qualcosa.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ce ne sono 123 e allora è un po’ lungo da dire. Ma il progetto più interessante
è un immobile che stiamo costruendo in Giappone e che forse potrà cambiare
qualcosa nell’architettura.
Ti piace il design italiano?
Certamente, altrimenti non sarei qui! Con ciò voglio dire che parlare di design
italiano è una sorta di pleonasmo, perché il design è soprattutto italiano e, per
quanto mi riguarda, io sono spesso in Italia.
13
VIAGGIO IN PORTOGALLO
Conversazione con Nanni Strada
a cura di Beatrice Mascellani, giugno 2009
Fotografie e disegni tratti dall’archivio di Nanni Strada (ANS)
Fotografie e progetto grafico di Alessio Bozzer e Beatrice Mascellani
Nanni Strada e la moda.
Credo che questa sia la terza intervista
che mi concedi e di questo te ne sono
molto grata. Dal 1970 inventi modi di
vestire e disegni collezioni per importanti ditte. Progetti col tessuto ma non
sei assolutamente una stilista, non sei
legata alla moda e alle mode. Al
contrario, con i tuoi vestiti sposti
l’attenzione dal dettaglio del corpo
all’insieme.
Come hai trovato la chiave che ti ha
permesso di ridefinire il rapporto tra
l’abito e la persona, in termini di rispetto
della stessa?
Non ho vissuto la moda nel senso più
coerente con le sue origini e linguaggi,
ho seguito il mio percorso tenendomi
14
cautamente distante dal suo DNA e
dall’ambiente moda nel suo insieme;
non per snobismo ma per naturale
predisposizione e interesse per le
persone e per le cose.
Mi interessano i processi produttivi,
sono attratta dalla materia e da tutti i
modi per trasformarla e produrla, sono
più “disegnatrice”, nel senso che mi piace
molto disegnare così come so fare
istintivamente più che creare delle
“toilettes” o delle “mode”.
Non mi interessano gli aspetti comportamentali della moda e non amo soprattutto quelli “indotti”, di massa.
Le mode di massa e i loro comportamenti, soprattutto quelli più deteriori,
portati avanti dagli stilisti e dai media mi
fanno orrore.
La moda avrebbe bisogno ora di tornare
al modello di eleganza del comportamento, a modelli cioè più creativi, più
vicino a delle posizioni da outsider,
come la mia amica Isabel Toledo, una
creatrice di moda di origine cubana che
ibrida la sua cultura con l’alta moda
europea anni ‘50 e con la moda americana delle comunità di colore. Abbiamo
bisogno di “meticci”, forse non ci
possono salvare ma ci danno comunque
una mano, uno stimolo culturale fresco.
Il viaggio
A proposito della multiculturalità di cui
parli, ricordo che hai avuto l’occasione di
lavorare in Paesi con realtà molto diverse
tra loro: Libia, Cina, URSS, Portogallo,
Giappone, senza contare
Pagina a fianco:
preparativi per la “Festas de Lisboa”
nel quartiere dell’Alfama,
dove il piatto tipico sono
le sardinhas alla griglia.
2009
Primo negozio Nanni Strada in Portogallo.
Sul piano della vetrina si può vedere
la cesta tipica di produzione artigianale
trasformata laccata per i negozi
Nanni Strada.
1984, ANS
fuori dal sistema moda più tradizionale
L’arrivo nei porti, Santos, Rio, Montevi-
L’avventura era per me la scoperta in
(Cina 1978 e URSS 1984).
deo e poi Buenos Aires per me che
totale libertà delle grandi sale da pranzo
Il viaggio è una condizione alla quale mi
venivo da un “piccolo mondo antico” e
e da gioco dove si faceva della musica al
sento
l’abbandono
protettivo, Bellagio, sul lago di Como,
pianoforte e al bar per passare il tempo;
dell’abitudine, degli obblighi quotidiani,
sono stati l’incontro con l’esotismo, con
su e giù per le scale che collegavano i
il senso di libertà, l’imprevedibilità delle
la diversità, con la dimensione “grande” e
ponti della prima, seconda e terza classe
situazioni alle quali si aggiunge la
la vastità dei luoghi alla quale il mio
isolate dal ponte di comando.
curiosità per le cose nuove e soprattutto
occhio si è abituato e che mi ha reso
L’attesa dell’arrivo nei porti era eccitante
il vivere in un ambiente totalmente
molto difficile al rientro riadattarmi alla
dopo la traversata e la scoperta di posti
impersonale come l’albergo.
vecchia Europa e all’Italia in particolare.
mai immaginati prima e un po’ simili a
Essere sola e avere il tempo di pensare a
Buenos Aires, l’Argentina e tutto il Sud
quelli descritti nei libri di Salgari che
me stessa al contrario di quando sono a
America non conoscono la dimensione
aveva a casa la mia nonna.
casa e sempre troppo attiva.
provinciale; il meticciato e la multicul-
Il premio finale: Buenos Aires, la città più
L’imprinting mi è stato dato a sei anni
turalità sono invece la caratteristica più
affascinante del continente sudameri-
con il viaggio per mare da Genova a
diffusa e peculiare di ciascun paese.
cano.
Buenos Aires su una delle prime navi che
La
del
Il viaggio è diventato così una
partivano dall’Europa insieme a persone
viaggio risale a quei giorni di traversata
condizione familiare pur nella sua
un po’ di tutte le provenienze.
dell’oceano sul transatlantico che era un
precarietà anche nelle situazioni più
Il viaggio verso una nuova vita in un
luogo galleggiante, un’isola, dove i
critiche; materia da elaborare, arric-
paese grande, ricco e diverso, non
passeggeri diventavano isolani, molto
chimento a cui attingere.
viaggio turistico ma di “avventura”, è
coesi anche se partivano da sconosciuti
stata la prima occasione per assaporare
(l’oceano non è il Mar Mediterraneo,
emozioni ed esperienze che mi hanno
blu-celeste, ma blu-verde, la luce è
lasciato un segno positivo indelebile.
accecante e l’orizzonte è cielo e mare).
l’Italia, riuscendo sempre a portare una
ventata d’aria fresca attraverso i tuoi
progetti. Viaggiare è per te sicuramente
una condizione molto favorevole per
creare.
Quando è nata questa tua predisposizione?
Non c’è stata intenzionalità.
In tutte le occasioni che ho avuto di
visitare
luoghi
nuovi
sono
state
piuttosto le circostanze stesse che mi ci
hanno portato, fin dalla mia prima infanzia, quando mio padre decise di andare,
nell’immediato dopoguerra, in Argentina che fu per me la fortunata occasione
di conoscere quel grande paese e di
trascorrervi la mia felice infanzia.
In seguito furono le circostanze di
lavoro, committenti e aziende che mi
hanno portato in altri luoghi; ho
trascorso lunghi periodi in Portogallo, in
Giappone e anche in paesi “esotici” e
predisposta:
scoperta
della
dimensione
15
“Tutto si piega”
vestiti e accessori pensati e trovati
per far parte delle collezioni degli abiti
da viaggio.
Anni ‘90, ANS
16
L’esperienza portoghese
Vorrei parlare di un paese che è stato per
te una scoperta dal punto di vista lavorativo ed umano: il Portogallo, nel quale
sono appena stata. Nel 1984 un giovane
imprenditore ti invitò a creare una
catena di negozi di abbigliamento da te
disegnato e col tuo nome come marchio
e questa esperienza durò sei anni. In uno
dei nostri incontri hai detto: «Il
Portogallo è un paese molto colto,
cosciente della qualità delle cose -come i
giapponesi- del cibo, del servizio. È una
qualità -se vuoi- aristocratica ma insegna
a chi non può qualche cosa».
Tu come ricordi il Portogallo di 25 anni
fa?
La mia esperienza portoghese è stata
soprattutto affettiva per la conoscenza
delle persone in un momento che
preludeva a un nascente periodo di
benessere e al cambiamento da paese
chiuso e isolato in se stesso alla scoperta
del continente al quale apparteneva e
dal quale era stato isolato per un lungo
tempo.
Un paese atlantico molto legato al
proprio grande passato e per ciò con un
senso di esotismo coloniale inconscio
ma presente in molte manifestazioni,
Bambini all’asilo con il tipico grembiule.
Anche le maestre indossano
la stessa divisa colorata.
Evora.
2009
Nanni e l'uniforme.
Nanni con sua sorella Isabella
nel girono in cui ha ricevuto il premio
della fascia-bandiera.
ANS
anche
quotidiane:
dal
cibo
all’architettura fantastica, fatta di pietra
grigia e severa e di forme leggiadre e
rischiarate dalla maiolica brillante e blu
degli “azulejos”. Un mondo antico nel
quale permanevano abitudini antiche: i
campi e gli orti al bordo dell’oceano
erano concimati con le alghe trasportate
sui carretti, il pesce pescato era portato
in testa, con le ceste, dalle donne delle
località periferiche di Porto.
Non ho vissuto la Lisbona “turistica” e
monumentale, ma la quotidianità dei
luoghi periferici, dei piccoli paesi del
nord, della Sierra de Estrelha dove
andavamo a produrre vestiti, maglie,
borse, tessuti e tutto ciò che serviva ad
alimentare un sistema distributivo,
undici negozi di successo in tutto il
paese.
L’inverno atlantico era umido e fiorito e
la vita lavorativa eccitante e stimolata
dalla realizzazione del progetto che si
andava attuando per me, per il mio
committente, per i portoghesi avidi di
novità ma innocenti (non ancora
consumatori globalizzati).
La giornata passava tra un intenso lavoro
e pranzi e cene favolose sempre a base di
pesce mariscos e del riso più buono che
si possa mangiare nell’Europa intera.
Questo paese è stato per me un grande
amore.
Progetto e luoghi
Una volta mi hai detto: «Nasce tutto
dall’osservazione: io vedo dove altri non
vedono. La molla è la curiosità di capire
come sono fatte le cose, il gusto della
scoperta. Il processo è trasformare e
saper vedere le risorse. Poi quando ho
ben chiaro il progetto sono molto
pragmatica, però c’è sempre questo
inizio legato al cambiamento».
Potresti raccontarmi se il Portogallo, in
cui hai detto di avere vissuto il periodo
forse più felice della tua vita creativa, ti
ha aiutato in questo processo?
Non più che in altri luoghi.
Il Portogallo è stato un’esperienza più
profonda perché più prolungata e
ravvicinata ma non più del Giappone
dove sono andata per periodi più brevi
ma più a lungo e cioè dal 1980 fino alla
metà degli anni ’90 e ancora adesso.
Il Portogallo è stato più determinate per
il progetto perché attingevo a risorse
produttive artigianali, autoctone e
perché il progetto era legato al mio
nome e al mio marchio.
17
Foto dei tram della linea tramviaria
che percorreva l'Avenida de Boavista
a Porto con la pubblicità del negozio
Nanni Strada.
1984, ANS
Una tipica casa nel quartiere popolare
Ribeira a Porto.
2009
Bambini che giocano a calcio
in un campetto improvvisato
di fronte ad una casa con
le tipiche piastrelle.
Quartiere Ribeira a Porto.
2009
Avevo a disposizione laboratori di
produzione industriale, di maglieria,
confezioni di felpe, di camiceria ma
anche di produzione manuale e artigianale. Così approfittavo di queste opportunità in maniera molto sperimentale e
creativa. Ricordo che i controllori di
qualità delle marche svedesi che
venivano a far produrre in Portogallo
non volevano credere che quelle
maglie e quei vestiti fossero stati realizzati da quegli stessi fornitori coi quali si
confrontavano quotidianamente. Forse
il fatto di essere donna e di parlare la
loro lingua, oltre che al loro coinvolgimento al progetto, mi aveva favorito nei
rapporti con i produttori ma mi aveva
anche aiutato la popolarità derivata da
una campagna promozionale del mio
nome sui giornali locali e alla televisione che mi aveva trasformato in un
personaggio “popolare” come un calciatore della squadra di Porto.
L’uniforme
A proposito dell’amore dei portoghesi
per il calcio e per i calciatori (non esiste
taverna che non abbia la tv accesa su un
campo verde o piazza che non abbia
bambini che giocano a pallone), vorrei
parlarti della divisa, a partire da quella
scolastica. Ho notato che tutti i bambini
portoghesi indossano un grembiule a
righe con eleganti rifiniture colorate;
18
“Tutto si piega”
i famosi Torchon abiti da viaggio.
Anni ‘90, ANS
Dal giornaletto del collegio
Nanni a 9 anni.
ANS
del “saper fare”, tutto ciò che sappiamo
fare in termini di qualità originale e di
valore che è stata la base del nostro
successo. Per questo incito i giovani
studenti a ricercare non solo sulle fonti
alle quali tutto il mondo ha accesso
(leggi internet) ma alla fonte originale,
laddove puoi arrivare solo grazie alla
testimonianza diretta, tangibile, di
coloro che hanno aperto la strada al
successo italiano in settori diversi e
trainanti.
In Italia, invece, vengono via via aboliti
e, dove presenti, si tratta di divise
incolore ma rigorosamente griffate (in
contrasto con il senso di appartenenza
ed uguaglianza che la divisa, se non per
meriti acquisiti, deve infondere).
Puoi spiegarmi quando dici: «Se ben
disegnata, (la divisa) è una forma di
costrizione ma di fatto è di grande
libertà ed egualità»?
C’è in giro per il mondo un grande
dibattito su cosa sia più mortificante
per una donna: se il velo come imposizione o la nudità e l’esibizione come
“svalorizzazione”. Questo è un fatto
politico, non di costume.
Il maschilismo dei nostri leader è pari al
bieco fanatismo dei mullah, non vedo
differenza. Venere esibiva la sua bellezza
nuda, non provocava.
Nelle immagini dei grandi fotografi anni
‘40-‘50 le modelle più belle e sofisticate
celavano lo sguardo attraverso la
veletta, un accessorio demodé, in una
forma di seduzione consapevole e
sottile. Non c’è bisogno di mortificarsi,
bisogna essere consapevoli delle
proprie libertà.
L’uniforme o divisa è un indumento
che esprime nello stesso tempo regola
e costrizione: privandoti della scelta
personale ti sottrai al giudizio altrui
dandoti libertà.
L’uniforme del mio collegio in Argentina
mi dava l’orgoglio dell’appartenenza a
una comunità di allieve della scuola
bellissima che frequentavo.
Il progetto oggi
Per concludere questa breve conversazione su un paese che fino a pochi
decenni fa era molto indietro a livello di
sviluppo, a me è parso che oltre alla
consapevolezza di possedere una
grande cultura, i portoghesi siano
riusciti a salvaguardarla, ammodernarla
e renderla fruibile attraverso sforzi
magari anche piccoli ma continuativi.
Un segno evidente di rispetto per le
cose e le persone. In Italia non vedo
questa lungimiranza.
Nanni Strada
La sua carriera inizia negli anni ‘60. Lo
spirito innovativo e l’approccio al
progetto la portano a realizzare alcuni
pezzi storici: i primi sandali in plastica ad
iniezione (1967 per Fiorucci); la collezione
“Sportmax”, per Max Mara, ispirata dalla
ricerca sugli abiti orientali e dalle letture e
lo studio dei testi dell'etnografo tedesco
Max Tilke; i capi della collezione “Oriente e
Cina”, abiti bidimensionali, venduti in
confezioni geometriche con un nuovo
utilizzo del colore. Nel 1970 la ricerca sulle
tecniche di calzetteria le permettono di
progettare il primo abito al mondo senza
cuciture. Questa ricerca sarà alla base di
tutto il suo lavoro futuro che le porterà,
nel 1979 il Compasso d’Oro. Progetta negli
anni ‘80 e ‘90 i primi “vestiti da viaggio”,
plissettati e comprimibili, o alle gonne
“Pli-plà”, pieghevoli come matasse.
Oggi più che mai c’è bisogno di
progetto.
I giovani ne sono consapevoli e quelli che
io incontro sono preparati. Purtroppo
non lo sono altrettanto coloro che
dovrebbero dirigere il paese a livello
strategico-politico e di conseguenza
siamo costretti al “fai da te”.
Ciò che dobbiamo assolutamente
difendere è il patrimonio e la capacità
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Intervista a Franco Jesurun, direttore della sezione arti visive del Comitato Trieste
Contemporanea. (Trieste, dicembre 2009).
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DISEGNO COME AUTORITRATTO
(con dedica nascosta)
Naturalmente di tutti questi miei disegni pubblicati ora da Juliet quello che preferisco rappresenta
un oggetto non realizzato, un gioiello: un grande collier che vorrei far fare per una giovane donna,
che ha in effetti un collo abbastanza lungo, su cui si adatterebbe molto bene questo lungo disegno.
Il disegno è fatto con il vecchio trucco della simmetria, che rende molto facile disegnare oggetti “belli”. Sappiamo che la vista umana si trova meglio con le forme simmetriche, anche perché
buona parte della natura e degli esseri viventi è fatta proprio così, a parte qualche buffa stella marina o altri strani animali. Sappiamo anche che da diverso tempo la simmetria non va più tanto,
che i modernisti - molto formalisti - avevano deciso che era meglio l’asimmetria.
Ricordo bene però che quando ho fatto vedere questo disegno di sfuggita, le è piaciuto molto:
così spero di trovare il tempo per andare da un gioielliere e far realizzare - per lei, solo per lei - il
collier.
Oppure potrei regalarle semplicemente il disegno, perché si sa che a volte un disegno può benissimo sostituire un oggetto, molti oggetti. (Sarà per questo che preferisco collezionare disegni, invece che oggetti?)
E in fondo davvero è l’idea dell’oggetto quella che conta, non tanto l’oggetto stesso: l’idea che
corrisponde al disegno, o almeno gli corrisponde in quella visione, per così dire pre-istoricotecnologica, che ancora conservo del progettare come atto di volontà intellettuale.
Non saprei neppure da che parte cominciare per disegnare qualcosa con un pc, laptop o altro: va
molto bene così, se serve mi possono aiutare, mi aiutano, persone più giovani e più brave di me a
usare le macchine.
Come uomo nato nel passato, e che in parte continua a viverci con una certa soddisfazione, mi
piace pensare di portare nel futuro – meglio, il futuraneo, cioè il futuro contemporaneo che è già
qui, oggi – questa idea non nuovissima, anzi piuttosto antica: il disegnare a mano, con pennelli,
pennarelli, biro e/o matite è già un modo di inventare il mondo, di farne l’autoritratto con dedica,
magari nascosta, alla bellezza di cose e persone, vere o solo immaginate, che fanno parte dell’esistenza – l’unica che ci è dato avere e come tale vale la pena di vivere, in modo esclusivo e originale come è ciascuno di noi, come lo è ogni nostro disegno.
Collier per donna dal collo lungo, 2000
Stefano Casciani
15 ottobre 2009
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Slogan ascensionali con vasi da fiori (progetti d’arte 1993/2010)
DISEGNO COME AUTORITRATTO
(con dedica nascosta)
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DISEGNO COME AUTORITRATTO
(con dedica nascosta)
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Lampada a luce diretta/indiretta per ufficio, 1998
DISEGNO COME AUTORITRATTO
(con dedica nascosta)
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Studi per diffusori Ballerina su lampada Lu-Lu, 1995
DISEGNO COME AUTORITRATTO
(con dedica nascosta)
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Tappeto Teorema dei Quattro Colori, 2004
DISEGNO COME AUTORITRATTO
(con dedica nascosta)
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S E G N O
Il numero zero di Juliet art magazine ha visto
la luce nel dicembre del 1980 e, quindi, sulle
spalle si porta ben trenta anni di attività.
Il logo fu scelto da Oreste Zevola, un bravissimo artista napoletano (i suoi disegni sono
stati pubblicati da testate come Liberation,
The New Yorker, Wall Street Journal, Washington Post e da riviste delle edizioni Mondadori, Times, Forbes e Bloomberg) che in
quegli anni risiedeva a Trieste.
Egli, messo di fronte alla difficoltà di dover
competere con tante testate storiche, come
Artforum, Kunstforum o Flash Art, che sempre anteponevano l’austerità del lemma ‘arte’
alla fantasia interpretativa, scelse un nome
che ambiguamente potesse collocare la rivista su una linea sconfinante nel campo della
moda, del fumetto o del design.
Bisogna confessare che negli anni questa intuizione ha retto molto bene, avvicinando a
“Juliet” le simpatie del grande pubblico, forse un po’ meno ha incontrato la disponibilità
della critica baronale e paludata che ritiene
questo nome un po’ troppo allegro e scanzonato.
Comunque, questo esperimento è risultato essere faccenda anomala per la città di Trieste,
ma senz’altro consistente, dato che 30 anni
non sono uno scherzo, e visti un po’ più da
vicino, significano centoquarantanove numeri di una rivista diffusa in Italia e all’estero;
una lunga serie di edizioni speciali; un supplemento annuale dedicato alla fotografia;
un nutrito numero di cataloghi e pubblicazioni; circa ottanta mostre organizzate con
artisti italiani e stranieri (tra i quali figurano
nomi di rilievo internazionale come Aldo
Mondino, Silvio Merlino, Luigi Ontani, Jan
Knap, Piero Gilardi, Mark Kostabi, Claudio Massini, Antonio Sofianopulo, Enrico
T.De Paris, Aldo Damioli, Giuseppe Desiato,
Kocheisen+Hullmann, Oreste Zevola, Oliviero Toscani e Maurizio Cattelan); innumerevoli oggetti promozionali, come t-shirt e
piastrelle, calendari e manifesti.
Tutti risultati ottenuti grazie anche alla continua collaborazione di artisti, galleristi, critici,
e di molti di coloro che operano attivamente
non solo nell’arte ma nell’intero panorama
culturale italiano.
Risultati che non paiono tuttavia essere stati
sufficienti a raccogliere l’attenzione del milieu culturale cittadino, piuttosto lento a sostenere azioni non segnate dai crismi dell’ufficialità.
Ma, come si sa, nemo profeta in patria, nel
senso che le istituzioni pubbliche non hanno
sostenuto l’attività editoriale e promozionale
della rivista Juliet nella maniera che ci si potrebbe aspettare.
Per esempio, l’Amministrazione della Regione Friuli Venezia Giulia, a partire dal bilancio
2004, ha interamente tagliato il finanziamento per l’attività editoriale a favore dell’associazione Juliet, ritenendola non pertinente.
D’altra parte, il direttore della testata, Roberto Vidali, non ha mai paura di dichiarare, con
una certa durezza, che Trieste “è sempre stata
una città capace di offrire falsi modelli cul-
turali e di sprecarsi in maniera eccessiva per
progetti fuorvianti. La constatazione che taglia la testa al toro è questa: come mai l’intellighenzia di questa ridente città di mare (proprio quella che pretende di discettare su Saba,
Svevo, Joyce e Stuparic) non è stata mai capace di portare a Trieste una bella rassegna
di Mario Merz o di Francesco Clemente? E
perché nelle collezioni triestine è impossibile trovare un’opera di Maurizio Cattelan o di
Jeff Koons? Chi presume di sapere già tutto
non vuole fare la fatica di informarsi e di relazionarsi con le altre iniziative, giacché ogni
rapporto nuovo potrebbe far sorgere il rischio
di una messa in discussione totale, cosicché si
preferisce vivere nel pregiudizio o nell’indifferenza più totale. Non cattiva volontà, quindi, bensì condizione oggettiva che spinge il
pedale in questa direzione”.
In ogni caso, al bisogno ‘giocando fuori casa’,
questa incredibile attività editoriale -di indefessa promozione dell’arte contemporanea- e
poi proseguita anche a favore di altre discipline della comunicazione visiva come l’architettura, la fotografia e il design. Quest’ultimo
settore d’indagine ha dato addirittura il via
alla registrazione, nel 2008, di Juliet design
magazine per volontà della Garavello Editore
di Arona (No).
Il passato e il futuro così si intersecano e tracciano il sogno del segno: “Anche se diverse
possono essere le conseguenze del viaggio,
una sola è la molla che spinge l’uomo ad abbandonare il luogo noto per quello ignoto:
è il malessere dell’esistenza che conduce al
desiderio d’avventura. E l’avventura, quando
è davvero buona avventura, conduce sempre
al fascino della scoperta: si può scoprire un
corpo di donna, le rovine di un monumento
circolare, gli occhi della tigre nel folto della giungla, l’albero conficcato al centro del
mondo. Parimenti, all’interno di questa geografia sconosciuta, i progetti cartacei di Juliet
attuano un viaggio senza fine tanto da diventare viaggio e compagni di viaggio”.
E allora, ritornando alle tematiche approfondite dal n. 3/4 di Juliet design magazine, mettiamo in atto queste linee di condotta e, nelle
pagine successive, proviamo a disegnare un
percorso di esperienze progettuali manifestate attraverso l’utilizzo di varie tecniche esecutive.
Un insieme di linguaggi nato da abbinamenti
non casuali ma neanche troppo obbligati da
percorsi cronologici, critici o commerciali.
Così facendo desideriamo invitare il lettore ad esercitare la libertà di pensiero critico
applicando letture personalizzate tuttalpiù
accompagnate, per chi desidera, dai lemmi
estratti dalla piccola enciclopedia redatta da
Roberto Vidali e intitolata “Mamma vogghiu
fa’ l’artista. Vademecum del giovane Birimbozzo”, pp. 112, Juliet Editrice, 2007.
Buon divertimento.
Dall’alto in basso: cover Juliet art magazine n. 3/4 di Oreste
Zevola, 1981; n. 67 “Hands Around” di Mark Kostabi,
1994; n. 113 “Alter” di Neo Rauch, 2003, courtesy Galerie
Eigen+Art-Berlin
DEL SOGNO
32
DEL SOGNO
abbonamento soldini che bisogna versare con
scadenza annuale o biennale per sentirsi aggiornati. L’abbonamento può essere alla tivù, a una rivista di settore o a un web-magazine. L’importante è
ricordarsi di rinnovarlo.
allestimento insieme delle operazioni necessarie
per preparare un percorso espositivo. Può essere
progettato dall’artista, dal curatore o da un architetto.
caricatura il termine comprende espressioni figurative che vanno dal comico alla satira, dalla
critica di costume a quella politica. La caricatura
deliberatamente manipola e deforma il dato oggettivo e là dove gli artisti manipolano a loro uso e
consumo i dati della realtà diventano una pallida
caricatura di sé stessi proprio perché da questa ne
risultano imprigionati.
fax apparecchio antidiluviano per la ricetrasmissione di documenti tramite la rete telefonica. È
stato soppiantato dallo scanner e dal computer.
firma piccola traccia (sigla o grafia estesa) che l’autore appone (davanti, dietro, di fianco) sull’opera
per autografarla o per confermarne l’autenticità.
fumetto nei paesi anglosassoni i fumetti sono
indicati come comics, in Giappone vengono
chiamati manga, in Francia sono chiamati bande dessinée. Il termine in oggetto si riferisce alle
nuvolette utilizzate per riportare il dialogo tra i
personaggi (detti in inglese balloon). Il fumetto è
un linguaggio costituito da più codici, tra i quali
si distinguono principalmente quelli d’immagine
e di temporalità. Curiosamente il fumetto, nato per
gli adulti, diventato poi territorio per l’infanzia, è
quindi tornato a essere patrimonio di una fascia
non esclusivamente giovanile.
geometria da sempre, con la geometria, gli uomini
hanno cercato di ingabbiare il mondo, scoprendo o
inventando regole che lo potessero contenere, fino
ad arrivare alla definizione di schemi di organizzazione formale che caratterizzano le opere architettoniche e figurative in generale. In particolare la
geometria descrittiva è un codice linguistico che
riguarda la rappresentazione grafico-progettuale
del mondo reale, secondo determinate norme
UNI. All’opposto, le teorie dei grandi numeri, le
leggi del caos, il principio di complessità, le geometrie non euclidee, gli algoritmi, l’uso dilagante
dei processi digitali, spesso rendono difficile la
lettura delle regole compositive che sottostanno
alla costruzione dei più recenti monumenti architettonici.
globalizzazione rapporto di relazione e integrazione tra mercati e strutture produttive di tutto
il pianeta. Il sistema delle telecomunicazioni
e dell’informatica ha favorito il processo, ma
l’istinto di guadagno ne è stato il motore principale. Le conseguenze per l’arte contemporanea
sono molteplici: varietà delle proposte estetiche, apertura di nuovi mercati, dilatazione delle
possibilità espositive, elaborazione di nuove
strategie organizzative.
graffito segno inciso su una superficie di pietra,
metallo o ceramica. Oggi, però, si parla di graffiti
anche a proposito di tag o immagini realizzate con
lo spray su muri o vagoni ferroviari. Il movimento ha preso corpo, tra gli anni Sessanta e Settanta,
nelle zone degradate del Bronx, come espressione
spontanea e popolare. Cutrone, Basquiat, Haring
I L
Dall’alto in basso: una originale richiesta di abbonamento inoltrata
a Roberto Vidali, dir. Juliet art, da
Maurizio Cattelan, 1990; rendering
allestimento mostra “Sant’Anna di
Stazzema. 12 agosto 1944. I bambini ricordano” di Oliviero Toscani alla
Risiera di San Sabba-Trieste, 2004;
caricatura del dir. resp. Juliet design
di Alessandro Bonin; congratulazioni per il 20° compleanno di Juliet
inviate via fax da Maria Teresa Venturini Fendi/Fendissime-Roma, 2001
hanno avuto un passato graffitista, anche se anomalo. Si veda anche: public art.
kitsch tendenza o oggetto di cattivo gusto che
trova nel supermercato il luogo della sua massima
esaltazione. Di regola il kitsch non sta nella cosa
in sé, bensì nell’uso (modificato e mercificato) che
si fa del prodotto originario. Così per la gondola/
soprammobile di plastica scadente che si vende ai
turisti, così per il David michelangiolesco ridotto
a quindici centimetri di altezza. Secondo Abraham
Moles, il kitsch “è il modo estetico della quotidianità; esso rifiuta la trascendenza e si stabilisce nella maggioranza, nella media, nella distribuzione
più probabile”. Si veda anche: ornamento.
mestiere dell’artista indica chi esercita, per scelta
di vita, una o più discipline artistiche. Ritenersi artisti è una grande responsabilità, ma quando la si
assume significa portarne per intero il peso sulle
proprie spalle e la colpa di essere nati con questo
marchio nel profondo della propria coscienza.
modello in architettura è sinonimo di plastico e
indica una costruzione tridimensionale che in rapporto scalare riproduce il progetto da realizzare.
ornamento una volta era un delitto (A.Loos), oggi,
chi lo desidera lo mette in mostra senza paura alcuna, poiché, come è già stato detto, dall’inutilità
si trae un nuovo senso etico. Ricordiamo anche gli
slogan: “less is more” (Mies van der Rohe) e “less
is bore” (Robert Venturi).
pubblicazione aziendale più è grossa, pesante, patinata, cartonata, con colori extraquadricromatici e
più rivela una reale circuitazione di denaro; più è
striminzita e più denota il vojo ma no posso.
public art trattasi di interventi d’arte (provvisori) realizzati nello spazio urbano e fatti per lo più
per coinvolgere il pubblico. Opere spesso non “da
vedere, ma da agire” (Roberto Pinto). Enrico Crispolti, ancora negli anni Settanta, parlò di “Ambiente come sociale” e nel 1976 ci firmò persino
una Biennale.
(auto) ritratto è quell’immagine che l’artista vuole dare di sé ai posteri, non solo come tratti fisici
ma anche come impellenza (o impotenza morale).
Agli altri, quelli che vengono dopo, tutto quello
che serve è un buon fotografo.
schizzo precede l’abbozzo e viene eseguito con
rapidità. Non si usa la “pompetta”, ma pennello,
matita o simili.
simbolo unione di significati discordanti e di segni
contrastanti e/o complementari. Esempi: la croce,
la ruota, l’ottagono, la tetraktys, ecc. Come sostiene Guénon, i simboli sono “valori universali”
e inventarne di nuovi non avrebbe senso alcuno.
Oggi, per ben che vada, si possono progettare
marchi e loghi.
studio preparatorio rappresentazione particolareggiata di una composizione o di una sua parte,
eseguita da un artista per essere sicuro di realizzarla correttamente nell’opera definitiva. Si diversifica dallo schizzo preparatorio per la maggiore
accuratezza.
wunderkammer [s.f. ted., propriamente vuole
dire “camera delle meraviglie”] il vocabolo indica quegli insiemi di armadi seicenteschi dove le
persone di censo altolocato raccoglievano oggetti
strambi e rari (veri, falsi o presunti) biologici, mineralogici e simili.
S E G N O
I
firma In occasione della mostra “Caffè Espresso. La caffettiera
in architettura e poesia” realizzata dal Museo Alessi negli spazi
espositivi del Museo d’arte moderna “Ugo Carà” di Muggia (TS)
Riccardo Dalisi, oltre a presentare le sue ricerche e divagazioni
sul tema della caffettiera napoletana, lascia una traccia del suo
passaggio autografando un catalogo dell’iniziativa
II
fumetto “Ha scritto un critico d’arte che Guido Crepax disegna
la sua pagina come un tutto unico, come un architetto progetta la
pianta di un edificio. Affascinato dalla complessità del suo linguaggio
grafico e dalla novità del montaggio, il designer Giuseppe Canevese
chiese, alcuni anni fa, un incontro con il Maestro.
Era nata, in quell’occasione, l’idea di trasformare le pagine disegnate
dei suoi libri in oggetti tridimensionali: i mobili a fumetti”. Così scrive
Luisa Crepax nel catalogo Valentina, la donna è mobile, serie di
mobili prodotta da ennezero – Pordenone
(in questa pagina il contenitore con tre ante “Valentina nel metró”)
III
geometria 1910-2010: in concomitanza
con le celebrazioni per il centenario della
nascita del Futurismo e l’uscita del volume
Camparisoda. L’aperitivo dell’arte veloce
futurista (Corraini Edizioni), proponiamo
il piano ortogonale con quotature della
bottiglietta Campari Soda, progettata nel
1932 dal pittore futurista Fortunato Depero
e realizzate dalle Vetrerie Bordoni di Milano.
Courtesy Gruppo Campari – Milano
IV
globalizzazione “World Expo 2010 is the occasion
for China to bring the world at home, and for the
world to feel at home in China”. Così recita lo slogan
che apre la pagina web www.chinatouristmaps.com
dove è possibile scaricare anche il diagramma qui
riprodotto e relativo alla mappa che localizza il sito
dell’Esposizione Universale di Shanghai
V
graffito (v. anche public art) Una delle installazioni
realizzate su cassonetto per rifiuti differenziati da
Gabriele Demarin e intitolate “Yellow Cat”, 2006
VI
kitsch (v. anche ornamento) “Yoyomaker Plate” è un servizio da
tavola prodotto dalla londinese Yoyo Ceramics e decorato con
elementi riconducibili a una mini-storia del disegno industriale. ‘In
esposizione’ Marc Newson - Dish Doctor (Magis 1997), Michael
Graves - Bird Whistle Kettle (Alessi 1985), Verner Panton - S Chair
(Vitra 1968), Helen Johannessen - Butter Dish (Yoyo Ceramics
2004), Phillipe Starck - Juicy Salif (for Alessi 1990), Nokia 6110
(1998), Braun Multipractic (1983), Anthony Dickens - Fifty
(Anglepoise 1997), Apple Ipod classic (2007). Bon appetit!
VII
mestiere dell’artista Nel 1992 prende il via da Illy Caffè l’operazione “Illy Collection” che ha commissionato a
Matteo Thun la progettazione di una nuova forma di tazzine da bar, decorate da un gruppo di creativi da lui coordinati.
Le prime sei tazzine denominate “Arti e Mestieri” sono firmate dallo stesso Thun, Maurizio Cagnelli, Cosimo Fusco,
Luca Missoni, Francesco Illy e Paolo Cervi Kervischer. Quest’ultimo, pittore allievo di Emilio Vedova,
dopo il nudo “Tunji” (v. acquerello originale posizionato alle sue spalle) ha realizzato anche la serie
“Basket Play Ground” del 1996 e qui riprodotta nelle sei versioni ‘fuori serie’
VIII
VIII
modello 1979 – 2010: sono passati 31 anni dall’approdo sulla Punta della
Dogana del “Teatro del Mondo” di Aldo Rossi per la Biennale della
I Mostra di Architettura. Dell’edificio, impostato su travi di ferro saldate
sul piano di una zattera, che ha una altezza complessiva di 25 metri,
l’editore olandese Accademia boekhandel Delft ha prodotto un
kit del modellino in scala 1:100 ideato da Onno A. van Nierop.
Pubblichiamo l’esploso che evidenzia le istruzioni per il montaggio
(Per la foto courtesy La Biennale di Venezia a seguito della
recente mostra curata da Maurizio Scaparro: “Il Teatro del Mondo
edificio singolare. Omaggio a Aldo Rossi”,
Portego di Cà Giustinian)
IXIX
pubblicazione aziendale Il designer indiano
Sahil Bagga ha firmato la cover della pubblicazione
per Cappellini di Mariano C.se (Como).
Una nuova visione per un pianeta verde a favore del
marchio nato nel 1946, guidato da Giulio Cappellini e
oggi inglobato nel gruppo Poltrona Frau,
leader internazionale nel settore
dell’arredamento di alta gamma con
Cassina, Gebrüder Thonet Vienna, Gufram e Nemo
X
(auto) ritratto “Se si considera la funzione di
una cosa, la forma arriva a volte per conto suo”.
Questa la lezione trasmessa dal Professor
Ferdinand Alexander Porsche che ci proviene
dai laboratori del Porsche Design Studio
(fondato a Stoccarda nel 1972 e due anni dopo
trasferito a Zell am See in Austria).
Courtesy Porsche Design Group
XI
schizzo Alessandro Veralli, “Cube”, 2007
prod. Lagostina - Omegna (VB). Direttamente consegnata dalle mani
del giovane progettista (il suo studio di architettura è situato vis à vis
alla ns. redazione) pubblichiamo in esclusiva una tavola esplicativa
della proposta (poi andata in produzione) della caffettiera in oggetto e
caratterizzata dalla sua forma dolcemente squadrata che modernizza
la tradizione. Realizzata in lega d’alluminio secondo le più recenti
norme europee (EN601) che ne garantiscono l’alimentarietà, è stata
recentemente presentata alla mostra “Caffè Espresso. Arhitektura
aparata za kavu” alla Galerija ULUPUH di Zagabria
XII
simbolo “Less and More” è il
titolo della mostra ospitata al
Museum für Angewandte Kunst
di Francoforte, vero e proprio
omaggio ai progetti eleganti e
funzionali di Dieter Rams per la
storica azienda teutonica Braun,
per anni leader degli apparecchi
domestici. Portabandiera del
Gutes Design, gran parte della
documentazione –dal 1929 a
oggi- è visibile al Museo Braun
di Kronberg e all’Institut für Neue
Technische Form di Darmstadt.
Negli anni Novanta
la rivista Instant n. 22
era uscita con un numero
monografico dedicato al
celebre marchio qui riprodotto
nella sua costruzione
tipografica
XIII
XIV
studio Roberto Sambonet, “Studi per bicchieri
Companie des Cristalleries Baccarat”
matita e acquerello, 1971.
Courtesy Csac, Centro Studi e Archivio della
Comunicazione dell’Università di Parma
(nell’ambito della rassegna “Nove100”) – Studio Esseci
XIV
wunderkammer St Martins Lane è un hotel 5 stelle al centro di
Covent Garden e del quartiere dei teatri, situato a pochi passi da
locali notturni, ristoranti, negozi e musei della multietnica Londra.
Piccolo, spiritoso e sofisticato, è stato progettato da Philippe Starck e
rappresenta un mix brillante di influenze -dal moderno al barocco- che
arricchiscono l’albergo di energia, vitalità e magia come si evince dal
bozzetto del ristorante “Asia de Cuba”. Courtesy Ian Schrager Hotels
XV
Sopra: Ingo Maurer, “Lucellino”, 1992, versione da parete in vetro, ottone, materiale sintetico,
ali in piume d’oca lavorate a mano, courtesy Ingo Maurer – München
Pagina a fianco, dall’alto verso il basso: Hans Christiansen, piatti in porcellana decorata
(servizio per tavola del 1903), courtesy Museum Künstlerkolonie – Darmstadt; l’edificio del
Bauhaus di Dessau con il famoso nome della scuola scritto sulla facciata utilizzando il carattere
Universal di Herbert Bayer (1925); Marcel Breuer, “Model No. B3 Wassily”, (1925 – 1927,
prod. Standard – Möbel e Thonet), riedizione Knoll International – Murr/Murr; Heinz H. Engler,
servizio per caffè (dalla serie completa di accessori per la tavola “System B 1100”), 1960, ceramica,
prod. Bauscher – Weiden; Dieter Rams al lavoro nel 1990 in una foto di Timm Rautert,
courtesy Franz Schneider Brakel FSB-Edition
XVI
D - F U N K T I O N - Antologia di oggetti progettati da illustri
designer tedeschi e prodotti da prestigiose aziende made in Germany
Lui la tradisce ma lei (1) non se ne accorge. Continua a farlo e rifarlo sotto i suoi occhi, ma lei non sospetta di nulla. E allora? Non resta che rivelarglielo. E siccome a lui la funzionalità tedesca (2) piace un sacco,
ecco un modo originale per comunicargli la verità. Ma adesso, che cosa succederà?
Mi chiamo Alessio (ma non è vero), abito a Trieste (ma non è vero), sono giornalista e curatore
di mostre (questo è vero) e ho tradito per la prima volta il design italiano (ahimè, è verissimo
e mi è piaciuto moltissimo). Ciò che mi ha turbato, ed è questo il motivo per il quale scrivo, è
che tutto il settore in oggetto, benché molto presente e aggressivo sul mercato (3) e perdutamente innamorato del sottoscritto in qualità di consumatore, non si sia assolutamente accorto
di nulla. E sì che posso giurarlo, gliel’ho fatta proprio sotto al naso. Anzi, fatta e rifatta. Questo
mi ha però indispettito e irritato. Ma anche incuriosito. Insisto nel mio ‘tradimento’ soltanto
perché mi sento impegnato in questo gioco con lei, la mia variopinta e dinamica industria del
mobile made in Italy, con la quale convivo da sempre (4). Quanto ci metterà a farsi sfiorare dal
sospetto? O c’è il rischio che sia come una di quelle detestabili persone che non si accorgono mai di niente, specialmente di ciò che li riguardano intimamente? Perché raccontarvelo?
Semplice: spero che qualche responsabile del comparto legga questo messaggio e che, vedendo questo articolo, sia sfiorato almeno dall’ombra di un sospetto. Che possa portarsi una
mano alla fronte e dire: ma vuoi vedere che…? Sì, amore mio. Sono proprio io. E sai che ti dico? Che la tua offensiva cecità non merita altro. Perciò D – FUNKTION überalles, soprattutto!
Alessio Curto, Trieste
Caro Alessio che non ti chiami Alessio, eccoti servito. O meglio: ecco servita la tua connazionale e miope industria di riferimento. Devo dire che condivido in pieno: la cosa più offensiva di
ogni tradimento è la colpevole distrazione dei traditi. D’altra parte penso che anche la più grave colpa di chi tradisce consista nel lasciare tracce che svelino il tradimento, a meno che non
sia proprio questo lo scopo che si vuole raggiungere: farsi scoprire per ferire e far stillare almeno una goccia di sangue da un amore che sembrava impagliato. Sarei curioso di sapere da
Alessio (che non si chiama Alessio) se il suo scopo è quello di farsi scoprire per castigare lei o
se stesso. Oppure quello di assicurarsi -oltre ogni ragionevole dubbio- che il suo tradimento è
perfettamente riuscito e quindi freneticamente godibile. Fateci sapere. (5).
Note
(1) Lei è l’industria italiana che opera nel mondo dell’arredo (ndr).
(2) Una specie di moderno classicismo che Peter Behrens rivendica alla tradizione culturale teutonica, ad un gusto dell’ordine,
della compiutezza, della razionalità quali sensi innati in ogni uomo. Si noti che negli stessi anni Le Corbusier non parlava ancora
di ‘design’ ma usava la circonlocuzione di “Arte decorativa senza decorazione”. Se l’Inghilterra dell’età vittoriana è il paese-guida
per la vicenda delle arti applicate, nel primo Novecento è la Germania a sviluppare la loro storia fino alla nascita del vero e proprio
design moderno. Nella Storia del design di Renato De Fusco (ed. Laterza) si possono ripercorrere tutte le tappe di questo affascinante percorso. Dall’esigenza di una qualificazione dei prodotti industriali espressa nella fondazione nel 1907 da parte di Hermann
Muthesius del Deutscher Werkbund (Confederazione del lavoro), nasce l’idea della standardizzazione (la Typisierung) con la presentazione del primo esempio di arredamento UNIT (mobili componibili) di Bruno Paul, che l’aveva pensato per la produzione in
serie. Ma il Werkbund non nasce improvvisamente da solo: è preceduto da una lunga serie di iniziative che dal 1870 in poi furono
intraprese nel settore delle arti applicate (v. le attività delle società artistico-industriali come la Deutscher Kunstgewerbe Verein di
Berlino, la Bayerischer Kunstgewerbeverein di Monaco e la Colonia di artisti, patrocinata dal granduca Ernst Ludwig von Hessen,
sorta a Darmstadt nel 1901). Comunque il netto passaggio dall’artigianato all’industria avviene nel 1898 quando la Deutsche
Werkstätte di Dresda si distinse per la precisa volontà di meccanizzare i suoi impianti. Da quel momento la precisione, la semplicità e la regolarità di forme sono viste non solo come necessità funzionali della macchina, ma come esigenze espressive e persino
simboliche in ‘una semplificazione che favorisca i limpidi rapporti proporzionali (massverhältnisse) delle singole parti’. Quel nuovo
classicismo altro non era che il Protorazionalismo, vera culla dell’industrial design e modello del gusto dell’intero Movimento
Moderno. Con la Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft (AEG) vengono finalmente messe in pratica tutte le teorie relative alle metodologie progettuali sino a quel momento analizzate solo attraverso congressi, pubblicazioni e mostre. Ma la scuola del Bauhaus
resta il maggiore punto di riferimento nella storia di questa disciplina. Nata per volere di Walter Gropius a Weimar nel 1919 (poi,
nel 1926 trasferita a Dessau), fu in forte anticipo rispetto al suo tempo e la sua organizzazione dei corsi risponde all’esigenza di
impartire una completa formazione seguendo il principio froebeliano dell’imparare facendo. L’industria comincia a rendersi conto
dell’importanza del lavoro di sperimentazione dell’istituto superiore d’arte e design come è il caso della Standard-Möbel di Berlino
che, nel 1926, iniziò la produzione di tutti i mobili in metallo di Breuer. Ma nel clima depresso del 1929, con la grande crisi economica partita dall’America che coinvolse tutti i paesi occidentali, è lecito ritenere che tali prodotti non fossero all’epoca molto venduti (sebbene il proposito di rendere bassi i prezzi che, per quanto modesti, erano comunque alti per una popolazione che poteva
a mala pena accedere ai generi di prima necessità). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in una Germania che organizzava la sua
ricostruzione sul modello produttivistico americano, nasce nel 1955 la Hochschule für Gestaltung di Ulm. L’orientamento scientifico e socialista della scuola fu però da subito molto ambiguo e paradossale. La sede perfettamente attrezzata in base all’esperienza della Bauhaus viene messa in dubbio dalla validità del modello didattico scelto; nonostante la proficua collaborazione che si
instaura con la ditta Braun, la HfG preferì puntare sulla ‘committenza alternativa’ privilegiando cioè il prodotto industriale per uso
pubblico rispetto a quello della proprietà privata. Insomma, nonostante l’inserimento di materie d’insegnamento innovative come
la cibernetica, la teoria dell’informazione, la teoria dei sistemi, la semiotica e l’ergonomia, la vita dell’ente formativo durò solo
tredici anni e il rettore svizzero Max Bill, (progettista della scuola, ex allievo del Bauhaus e infaticabile difensore della gute Form,
convinto divulgatore della linea della continuità con l’esperienza di Gropius) fu costretto ad abbandonare l’incarico decretando la
fine della reciproca insofferenza tra i suoi protagonisti. Infine, dagli anni Ottanta ai nostri giorni, il design tedesco ha visto crescere
una nuova generazione di progettisti di respiro internazionale perché da subito aperti a collaborare con industrie straniere (vedi,
uno per tutti, Richard Sapper con la Alessi, con la Artemide o la Brionvega), oppure perché le stesse industrie tedesche non hanno
esitato a richiedere la consulenza artistica di designer internazionali (v. James Irvine con la WMF, Alessandro Mendini con la FSB,
Jasper Morrison con la Rowenta e Philippe Starck con la Alfi Zitzmann o la BIG – Spielwarenfabrik). Anche un certo senso dell’auto-ironia (molto inedita e poco conosciuta ai più) si è andato a sviluppare negli ultimi anni tra le nuove firme del design: da i lavori
di Stiletto a quelli di Michael Sieger (passando per le esperienze poetiche anticipatrici di Ingo Maurer e Stefan Wewerka p.e.).
(3) Per Marco Fortis, docente di economia industriale all’Università Cattolica di Milano, nel suo saggio Le due sfide del made in
Italy: globalizzazione e innovazione (ed. Il Mulino), nel solo settore dell’arredamento e della casa agiscono 93.948 imprese che
esportano beni per 17 miliardi di euro e occupano quasi mezzo milione di lavoratori direttamente e 230 mila nell’indotto.
(4) E, a proposito di made in Italy, notiamo per inciso che la rinomata dicitura made in Germany è nata inizialmente come indicazione di natura negativa. Infatti Roberto Giardina, nel suo libro Guida per amare i tedeschi. Come abbattere il muro dei pregiudizi
e scoprire la verità su un popolo simpaticamente imperfetto (ed. Rusconi), ci racconta che siccome “i tedeschi erano i giapponesi
della fine dell’Ottocento e andavano in giro per il mondo a copiare senza pudore, gli inglesi un bel dì si stancarono e obbligarono
i tedeschi a marchiare i loro prodotti con un made in Germany che avrebbe dovuto denunciare contraffazione e cattiva qualità.
Un’imposizione che però si risolse in un boomerang. In seguito il marchio d’infamia divenne garanzia di alta qualità e affidabilità”.
(5) Per non lasciarvi nel dubbio su come sia andato a finire questo nostro chimerico racconto ci congediamo invitandovi a leggere
il catalogo della mostra Design: 4:3 – Fünfzig Jahre italienisches und deutsches Design presentata a Bonn, dal 30 giugno al 12
novembre 2000, presso gli spazi espositivi del Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland.
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Stoccarda, il Prof. Wilhelm Wagenfeld nel suo laboratorio nel
1956. © Wilhelm Wagenfeld Stiftung – Bremen. Sopra il suo progetto più conosciuto: la lampada da tavolo “WG 24”, 1924 (dal 1980
rieditata dalla Tecnolumen), courtesy Bauhaus-Archiv Museum für Gestaltung – Berlin
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Pianta della “Cucina di Francoforte”, progettata da Margarete Schütte-Lihotzky per la municipalità di Francoforte sul Meno, 1926 – 27. Una razionale e funzionale ‘macchina domestica’ che ha contribuito alla crescita della qualità
della vita e degli standards abitativi di ogni casa operaia (infatti è stata realizzata in trenta differenti versioni e in migliaia di esemplari)
Sieger Design
Full-Service Concepts
from Germany
Sieger Design is a family firm - for work shared succeeds twice as well. Thus the
entrepreneur and architect, manager and creative, father and
sons, complement each other. Brief introductions of the minds behind Sieger Design in portraits and close-ups. Sieger Design is inspired by art and culture - a fact reflected in the work place. Sieger
Design’s offices in the Münsterland and in the centre of Venice also offer soft skills
besides high-tech - in the moated castle, on the Canale Grande, where Sieger
Design takes shape. Dieter Sieger, the firm’s founder, claims that Sieger Design’s
success is as much the result of happy coincidence as of hard work. It was a long
way from architecture through shipbuilding to product design, PR and consulting.
Once upon a time there was a bricklayer’s apprentice... documents Sieger Design’s
rise to success. Sieger Design takes a comprehensive view of design - a successful
design is not just a good idea. Sieger Design finds solutions to market demands by
offering a full service comprising marketing, product design, architecture and PR.
See Services for more details. That Sieger Design is successful can best be judged
by the firm’s clients for it is their success that is the measure of Sieger Design’s
achievement. Another measure of its achievement is represented by the many prizes, awards and exhibitions with which Sieger Design’s work has been honoured.
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Konstantin
G r c i c
Konstantin Grcic è nato a Monaco di
Baviera nel 1965. Dopo un tirocinio da
ebanista in Inghilterra frequenta, sotto la
guida di Vico Magistretti, il Royal College
of Art di Londra ottenendo un MA degree
in furniture design.
Conclusi gli studi non si lascia perdere la
preziosa occasione di collaborare, come
assistente, con Jasper Morrison per poi
aprire, nel 1991, nella sua città natale, il
proprio studio occupandosi dello sviluppo di progetti di arredamento e di illuminazione per alcune aziende leader nel
settore del design contemporaneo.
Grazie alla dimensione estetica, sobria e
getto grafico firmato da Alain Fletcher e
quello del packaging da Grcic). Infine, con
un senso più narrativo, la lampada “May
Day” contiene tutta l’idea di flessibilità
d’uso per le infinite e facili possibilità di
collocazione in interni ed esterni.
Recentemente, per tributargli il giusto
consenso, ben due personali sono state organizzate al Museum Boijmans van
Beuningen di Rotterdam e alla Haus der
Kunst di Monaco, ospitata proprio negli
spazi ridisegnati dallo stesso Grcic.
Con la duplice occasione in corso è uscita
puntualmente anche una corposa monografia edita dalla britannica Phaidon
inconfondibile, dettata dalla sua personalità dotata di concretezza tipicamente
inglese mista al piacere della riflessione
di matrice teutonica, il purista Grcic non
ha difficoltà ad affermarsi a livello internazionale.
I suoi prodotti industriali sono caratterizzati da una semplicità classica, dalle proporzioni insolite e dai materiali in genere
poco usati come il legno pressato, la latta
ondulata, l’acciaio e il cemento.
Con il suo definire la funzione in termini
essenziali, combinando il massimo rigore
formale con la sintesi della ricerca tecnica
e dell’innovazione tipologica (senza mai
trascurare l’aspetto artigianale), egli prende comunque distanza dal minimalismo a
favore del ‘concretamente oggettivo’ alla
Baudrillard (v. “Il sistema degli oggetti”).
Considerato niente meno che dal mitico
Achille Castiglioni il suo erede spirituale,
annovera nella sua bacheca degli allori
molti prestigiosi premi internazionali (tra
questi anche il Compasso d’Oro vinto nel
2001). Inoltre importanti musei di tutto
il mondo hanno deciso di inserire nelle
proprie collezioni di arte applicata alcuni
pezzi da lui firmati.
Dalle nostre parti, nel Triveneto, lo abbiamo incominciato ad apprezzare quando è
stato coinvolto nella commissione istituita per selezionare giovani promesse invitate al concorso Promosedia International
Design Competition Caiazza Memorial
Challenge 2005 e per la ariosa seduta circolare “Osorom”, dalla stocca in materiale
plastico composito formato da tecnopolimeri, fabbricata su incarico della Moroso
Spa di Udine.
Per evidenziare in estrema sintesi i principali tratti espressivi propri del linguaggio di Grcic qui di seguito ricorderemo
quattro esempi progettuali iniziando proprio con la poltrona “Chaos” realizzata in
schiumato con telaio in acciaio e rivestimento in tessuto. Questa seduta disegnata per spazi pubblici interni è costituita
da volumi regolari, nette sfaccettature e
tagli decisi: insomma la summa espressiva del proprio saper fare firmata dal giovane designer bavarese. Possiede invece
una logica interna, descritta attraverso la
sua relativa struttura senza ornamento,
la linea “Coup” dove tutti i pezzi sono
multifunzionali ed ergonometrici mentre,
al contrario, tutta la logica esterna viene
sprigionata dall’impianto appositamente creato per raccogliere e far veicolare
comodamente gli otto chili della prima
enciclopedia “Phaidon Design Classics” (3
volumi, 3300 pagg. complessive con pro-
(“KGID - Konstantin Grcic Industrial
Design”, a cura di Florian Böhm, euro
69.95, Phaidon Press 2005. Per info: www.
phaidon.com).
E ci si potrebbe dilungare ancora molto
sulle qualità dell’autore ma, crediamo,
sia tempo di concludere citando per l’occasione Marcel Proust: “Non tutti i mobili
sono uguali, alcuni riflettono” of course.
Dall’alto in basso in senso orario: K. Grcic
seduto sulla poltrona “Chaos”, 2000, prod.
ClassiCon, courtesy KGID; servizio da tavola in porcellana “Coup”COUP, 2003, prod.
Thomas / Rosenthal, courtesy KGID; valigetta
in materiale plastico per trasportare i tre volumi Phaidon Design Classics; lampada portatile
“May Day”, 1998, prod. Flos, courtesy Florian
Böhm. In sottofondo: schizzi per la penna
“Vivo”, prod. Lamy, courtesy KGID
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Vitra Design Museum
Dimensions of Design - Cento sedie classiche
“Keep Your Seat” che tradotto in italiano significa
“Stai al tuo posto” è il titolo quanto mai azzeccato
di uno degli ultimi eventi espositivi dedicati alle
sedute e proposti dal GAM di Torino.
Dell’oggetto sedia sono stati sviscerati tutti gli
aspetti storici, sociologici, di design oltre che di
sana ontologia perché, scrive Maurizio Ferraris,
noi “siamo estremamente attrezzati per gli oggetti,
abbiamo per loro occhi migliori che per i concetti
e questo lo si capisce considerando quanto è facile
l’equivoco concettuale, mentre scambiare fischi
per fiaschi non è cosa da tutti i giorni”. Infatti nel
suo ultimo libro Il tunnel delle multe (Einaudi,
Torino, 2008) egli ci aiuta “a orientarci con più
agio nella ‘giungla’ –una categoria, questa, mutuata
dall’ontologo Alexius Meinong- delle cose che ci
troviamo davanti mentre viviamo la nostra vita”.
(…) “Si tratta di oggetti sociali, ideali e anche
fisici, portatori di un significato che coincide con
l’uso –secondo la prospettiva wittgensteiniana- per
cui riescono anche a ‘parlare’ come fa una sedia
che ci suggerisce tacitamente, senza scervellarsi, di
sederci su di essa”.
Del resto –afferma Maria Daniela Candida
Carnevali nel testo Ripensare il Design (Tecniche
Nuove, Milano, 1997)- “la forma, cioè il complesso
dei caratteri esteriori che contraddistinguono una
struttura, rappresentano il primo e più immediato
aspetto che percepiamo della realtà che ci circonda,
sia nel caso di strutture oppure oggetti animati
sia di quelli inanimati, naturali o artificiali. Dal
momento che la nostra conoscenza del mondo
esterno dipende soprattutto dalla nostra percezione
visiva delle cose, si può anche dire, per sottolineare
il processo di astrazione fatto dalla nostra mente,
che lo studio della forma consiste nella creazione
di immagini strutturali. Il problema della forma
è vecchio come il mondo: da sempre esso è stato
al centro dell’interesse umano, sia da un punto di
vista puramente artistico sia filosofico e scientifico,
e ha dato vita a importanti movimenti e correnti
di pensiero, che hanno influenzato non poco la
cultura del tempo (basti pensare alla Scuola della
Gestalt, nata in Germania all’inizio del Novecento,
che rappresenta uno degli indirizzi più significativi
della psicologia scientifica)”.
René Thom, autore del famoso saggio Stabilità
strutturale e morfogenesi (1975), ci presenta così la
questione delle forme: “Uno dei problemi centrali
posti alla mente umana è il caso della successione
delle forme. Qualunque sia la natura ultima della
realtà, è innegabile che il nostro universo non è un
caos; noi vi discerniamo esseri, oggetti, cose che
designiamo con altrettante parole. Questi esseri
o cose sono forme, strutture dotate di una certa
stabilità; esse occupano una certa porzione dello
spazio e durano un certo lasso di tempo; di più,
benché un dato oggetto possa essere percepito sotto
aspetti assai diversi, non esitiamo a riconoscerlo
come tale”.
Ma cosa succede se si incrociano elementi
provenienti per es. da modelli di sedie diverse
producendo forme bizzarre dagli angoli strambi,
eccentriche protuberanze e instabili superfici capaci
di spiazzare anche l’utente meno conformista? (v.
l’Action Design di Martino Camper dove il design
si fa happening).
In ogni caso, prima o poi, sul tema della sedia si sono
misurati tutti i più grandi designer, passando dalla
sperimentazione dei materiali alternativi al ritorno
a quelli più tradizionali e il comfort è una delle
variabili più importanti nella scelta del prodotto in
oggetto. E inoltre, non bisogna perdere d’occhio
le misure antropometriche della singola persona
e dell’altezza del tavolo (che viene utilizzato in
combinazione con la sedia), le normative sulle
sedute per ufficio, l’interazione con gli altri
elementi di arredo ma, alla fine, l’importante è che
resti sufficiente spazio per i glutei!
Per Harry Bertoia si potrebbe parlare addirittura
della “maledizione della sedia”, nel senso che tale
e tanto è stato il successo davvero planetario di
una sua creazione, la sedia Diamond (prod. Knoll
International) appunto, da porre in secondo piano
ciò che di altrettanto e forse più grande questo
friulano trapiantato negli States creò in campi
diversi (a ‘risarcirlo’ idealmente, a trent’anni
dalla morte, Gilberto Ganzer e Marco Minuz
recentemente hanno realizzato una grande mostra
a Pordenone, suo territorio natale).
Comunque sia “La sedia è quella cosa composta da
un po’ di gambe, un sedile e uno schienale” –per
dirla alla Mendini (Architettura addio, Shakespeare
and Company, Milano, 1981)- senza dimenticare
che “Mentre la sedia lavora l’uomo riposa”.
E chi lavora per costruire le sedute? Una delle
fabbriche che ha riscosso maggiore successo
è la tedesca Vitra di Weil am Rhein guidata
dall’imprenditore svizzero Rolf Fehlbaum che ha
proseguito l’attività paterna. Molto conosciuta per
i cataloghi dalla grafica raffinata, per le campagne
pubblicitarie che fanno tendenza, per i prodotti che
sforna e la sede composta da strabilianti architetture
firmate da progettisti di fama.
Negli anni Ottanta fece parlare di sé perché
produsse in piccola serie (e prima degli altri) pezzi
ideati da Arad, Kuramata, Pesce, Nelson, Sottsass,
Sipek e Starck.
Dopo che nel 1981 un incendio distrusse gli
stabilimenti produttivi, venne chiamato Nicholas
Grimshaw per progettare la prima nuova fabbrica.
Nel 1986 un altro stabilimento è stato realizzato da
Alvaro Siza. Nel 1989 Frank O. Gehry progettò
il Vitra Design Museum. Nel 1993 Zaha M.
Hadid disegnò la caserma dei pompieri e Tadao
Ando il padiglione per conferenze. Infine con
Jacques Herzog e Pierre de Meuron il Campus si
è arricchito di una nuova icona dell’architettura
contemporanea: dodici cassette che s’incastrano
l’una nell’altra e una sopra l’altra per contenere una
caffetteria, una sala esposizioni con la collezione di
sedie, una sala conferenze, uno shop e il foyer.
Nel 1989, per merito di Alexander von Vegesack
–collezionista, innovatore culturale, figura di
spicco nella storia del design- nasce il Vitra Design
Museum. Indipendente rispetto all’industria che
opera accanto, assume una funzione trainante nella
strategia di Vitra perché, attraverso la infaticabile
attività espositiva, mette in evidenza la produzione
e l’immagine dell’azienda nonostante non tutti
gli oggetti esposti appartengano al catalogo
dell’impresa di mobili per l’arredo domestico, per
ufficio e per gli spazi pubblici.
Una delle mostre che ha riscontrato un enorme
successo, tanto da essere richiesta nei principali
spazi espositivi di tutto il mondo, è stata
“Dimensions of Design – Cento sedie classiche”.
Il progetto espositivo, ideato dallo stesso von
Vegesack con Matthias Kries e la collaborazione
dei modellisti Thomas Schweikert e Miroslaw
Melerski, è accompagnato da un esaustivo catalogo
che raccoglie i contributi di Kries, SchwartzClauss, Dunas, Rohde e Zanco.
Nella pag. accanto: un particolare dell’allestimento
(ph. Miro Zagnali). In questa pagina dall’alto
in basso: planimetria dell’insediamento Vitra;
stabilimenti industriali di Grimshaw e Siza (ph.
Olivo Barbieri); Vitra Design Museum di Gehry
(ph. Thomas Dix); stazione dei pompieri di Hadid
(ph. Barbieri); padiglione conferenze di Ando (ph.
Paola de Pietri) e Vitra Haus di Herzog e de Meuron. Per tutte le foto courtesy © Vitra
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Dalla Casa Bianca ai leading hotel di ogni paese del mondo, dal palazzo del
parlamento di San Pietroburgo alle sedi di rappresentanza delle maggiori case
automobilistiche, dalle sale delle più lussuose navi da crociera ai teatri più prestigiosi, passando per locali di tendenza, sedi di banche e uffici di multinazionali,
sale d’aspetto e aeroporti, set televisivi, residenze di lusso e stores dei brand di alta
gamma. Il Distretto della Sedia: 750 aziende specializzate che mettono a sedere il
mondo.
Questo comparto produttivo si colloca nel cuore geografico del Friuli Venezia
Giulia, regione adriatica a confine con Slovenia ed Austria. Il nucleo industriale
originario - costituito dai Comuni di Corno di Rosazzo, Manzano e San Giovanni
al Natisone, ovvero il “Triangolo della Sedia” - si è via via esteso fino a comprendere oggi ben undici Comuni della Provincia di Udine: Aiello del Friuli, Buttrio,
Chiopris Viscone, Corno di Rosazzo, Manzano, Moimacco, Pavia di Udine,
Premariacco, San Giovanni al Natisone, San Vito al Torre, Trivignano Udinese.
Nel Distretto abitano quasi 38.000 persone in un’area di oltre 220 Kmq.
Tra le attività economiche prevalenti, oltre alla millenaria tradizione agricola, un
posto di rilievo è occupato dalle attività del settore legno-arredo. Il comparto manifatturiero conta attualmente oltre 750 aziende (nelle quali sono occupati più di
8.000 lavoratori), tutte altamente specializzate nelle singole fasi del processo produttivo, dalla produzione della componentistica, all’assemblaggio e rifinitura dei
prodotti. La gamma offerta è vastissima per tipologia di seduta e materiali, attentamente studiata per incontrare anche i gusti del mercato internazionale. Comune
denominatore di tutta la produzione è la garanzia di un know-how che coniuga la
tradizione alla più moderna tecnologia, oltre all’alto standard qualitativo caratterizzante ogni singola componente e quindi il prodotto finale.
Oggi il Distretto della Sedia affronta le sfide della globalizzazione e della concorrenza internazionale puntando sull’eccellenza, sulla qualità e sulla centenaria esperienza di lavorazione del legno, il tutto guardando a materiali e forme del futuro.
Le prime manifatture si registrano in zona già nell’800 attorno a Mariano del
Friuli. Nel 1866 il Friuli viene annesso al neo costituito Regno d’Italia, ma il territorio regionale viene diviso in due parti lungo il torrente Judrio, con la conseguenza che la zona di Mariano rimane di dominazione austriaca. Nonostante le politiche del governo austriaco per sostenere l’economia marianese, nei primi del ‘900
la produzione si sposta nel cosiddetto “Triangolo della Sedia”, cuore dell’attuale
Distretto. Nell’area si producono sedie “comuni”, ossia sedie impagliate o sedie a
tavoletta, che vengono realizzate prevalentemente su base artigianale. Negli anni
Cinquanta prendono avvio i processi di sviluppo del Distretto della Sedia, la cui
forte domanda del dopoguerra trova risposta in un rapido incremento della natalità
imprenditoriale. Una caratteristica peculiare di questo sviluppo vede la binomia tra
imprese “forti”, prevalentemente industriali, ed imprese “deboli”, ancorate ad una
forte tradizione artigiana. In questa fase di crescita incontrollata, gli anni Sessanta
rappresentano un importante tappa del processo di trasformazione del Distretto
caratterizzato dall’apertura internazionale e da un generale benessere diffuso. Nel
1977 nasce il nasce il Salone Internazionale della Sedia, veicolo di promozione
delle eccellenze produttive della zona.
Con la fine della Guerra Fredda il Distretto della Sedia si evolve nuovamente: la
globalizzazione economica porta i processi di subfornitura prevalentemente nei
mercati caratterizzati da un più basso costo del lavoro, mentre il Distretto si concentra su prodotti frutto di una esperienza artigiana unica.
Oggi il Distretto produce sedute d’eccellenza che nascono da un’addizione speciale: la competenza tecnica e culturale delle aziende e la sensibilità del designer.
Il tutto attraverso un sistema collettivo, flessibile ed efficiente, che accoglie gli
stimoli della contemporaneità senza tradire la propria origine, che dialoga con le
tendenze del gusto internazionale, rielabora apporti culturali di designer di diversa
provenienza e formazione, innestandoli su saperi e pratiche consolidate.
L’Asdi Sedia, Agenzia per lo Sviluppo del Distretto Industriale della Sedia,
promuove l’evoluzione competitiva del Distretto offrendo servizi a supporto dei
processi innovativi delle imprese localizzate nell’area distrettuale in oggetto.
L’Ente nasce con la Legge Regionale 4/2005 abolendo il precedente Comitato
del Distretto (privo di strutture per lo svolgimento dei propri compiti, nonché di
personalità giuridica) e costituendosi sotto forma di società consortile a capitale
misto pubblico e privato, in grado di
prestare effettivi servizi alle imprese del
territorio di competenza. L’istituzione
dell’Agenzia deriva dal concetto della filiera produttiva allargata agli attori
istituzionali che svolgono attività al servizio delle imprese del Distretto, ridefinendo le priorità volte al rafforzamento
della loro competitività. Viene pertanto prevista la partecipazione all’Asdi
Sedia da parte di imprese insediate nel
Distretto, di Comuni, Province, Camere
di Commercio, consorzi ed enti per lo
sviluppo industriale, associazioni imprenditoriali, organizzazioni sindacali,
associazioni di categoria, garantendo
una reale rappresentatività degli attori
operanti nel distretto nel rispetto di principi di equilibrio e di equa rappresentanza tra i soggetti presenti nella compagine sociale. Tra le finalità principali
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dell’Asdi Sedia si trova la valorizzazione e lo sviluppo delle risorse economiche e
culturali del territorio distrettuale, al fine di promuovere la competitività del sistema produttivo locale e il benessere dei cittadini.
L’Asdi Sedia promuove la valorizzazione del territorio principalmente attraverso
quattro linee d’azione: lo sviluppo, la formazione, l’innovazione tecnologica e
la tutela dell’ambiente. Particolarmente importanti per favorire lo sviluppo del
Distretto sono i progetti ambientali, in quanto, oltre ad incrementare la competitività delle imprese locali, tutelano e valorizzano il ricco patrimonio naturalistico
del territorio. Tra di essi spiccano per importanza la Dichiarazione Ambientale di
prodotto, un progetto che articola l’impegno di Asdi Sedia e Catas in un percorso
a più fasi: la prima fase, propedeutica alle altre, è quella che si propone di gettare le basi per l’introduzione di questa cultura nella realtà distrettuale. L’obiettivo
della ricerca è lo studio del ciclo di vita del prodotto sedia attraverso la metodologia LCA – Life Cycle Assessment, che prevede di individuare e calcolare tutti
i flussi di materia ed energia in entrata ed in uscita durante le singole fasi della
vita del prodotto, dall’acquisizione delle materie prime (produzione, trasporto,
distribuzione, uso) fino allo smaltimento finale. A tale scopo, si sta effettuando lo studio LCA di cinque sedute tradizionali prodotte nel distretto friulano.
Inoltre, attraverso la collaborazione con il Catas si stanno studiando vernici ad
acqua maggiormente ecocompatibili, in grado di ridurre le emissioni di solventi
e di incrementare la competitività ambientale del prodotto distrettuale. Sempre
attraverso il contributo tecnico del Catas è stato attivato uno studio specifico
degli imballi utilizzati dai produttori locali con l’obiettivo dell’individuazione di
forme e materiali che possano garantire un minimo ingombro ed un facile smaltimento dell’imballo al termine della sua vita.
Se la conoscenza è dunque una chiave fondamentale per lo sviluppo del territorio, nei progetti dell’Asdi essa non si concretizza solo attraverso la ricerca ma
anche mediante la formazione. Forte è, infatti, il sostegno dell’Agenzia all’Ipsia
“A. Mattioni” di San Giovanni al Natisone, istituto di primaria importanza per la
formazione tecnica del settore. Le professionalità e le competenze che vengono
acquisite durante un percorso specifico come quello offerto dall’Ipsia sono estremamente importanti per garantire continuità in quell’esperienza artigiana che
contraddistingue l’eccellenza distrettuale. Per tale motivo, l’Asdi incoraggia la formazione tecnica non solo degli studenti delle scuole superiori, ma anche di coloro
che hanno già intrapreso un percorso lavorativo, incentivando il difficile sacrificio
della frequenza serale mediante delle borse di studio. La centralità dell’istituto
all’interno del Distretto è, ad ogni modo, ribadita anche nel suo ruolo di centro
catalizzatore di molte iniziative di interesse territoriale, come ad esempio il corso
di aggiornamento, dedicato prevalentemente ai commercialisti, su “Tecniche e
strumenti finanziari a sostegno delle PMI distrettuali”.
Tra i progetti culturali messi in opera dall’Agenzia di particolare interesse è l’iniziativa realizzata in collaborazione con il Goethe-Institut di Trieste e l’organizzazione di UdinèDesign.
“Dimensions of Design - Cento sedie classiche” raccoglie cento riproduzioni miniaturizzate di sedie tratte dalla collezione Vitra Design Museum, le quali coprono
un arco di tempo di creatività progettuale, espresso dai maggiori industrial designer, che va dalla seconda metà del XIX secolo ai giorni nostri. La storica Thonet,
modelli classici e più conosciuti di Le Corbusier, Mies van der Rohe, Breuer,
fino alle firme contemporanee come Ron Arad, Jasper Morrison e Philippe Starck
guidano il visitatore all’interno del mondo del design e dell’arte della produzione
di sedie e poltrone. I modelli esposti, realizzati con una lavorazione artigianale
accurata, esattamente in scala 1:6 rispetto all’originale, sono accompagnati da
un’analisi storica e critica, raccolta in pannelli descrittivi al fine di orientare il pubblico lungo un percorso nel “mondo delle sedie”, offrendo informazioni dettagliate
su ognuna di esse.
L’installazione espositiva è stata posta all’interno dell’Aula Magna dell’Ipsia “A.
Mattioni” di San Giovanni al Natisone con aperture in orario serale per tutti i
cittadini interessati all’argomento e visite mirate per scolaresche della Provincia di
ogni ordine e grado.
Carlo Piemonte
Direttore progetti Asdi Sedia
San Giovanni al Natisone (UD).
Nell’Aula Magna dell’Istituto
Professionale di Stato per l’Industria e Artigianato “A. Mattioni”
-Settore Legno Arredo- le autorità inaugurano la mostra del
Vitra Design Museum. Da sin
verso dx: Franco Buttazzoni
della Confartigianato, l’Assessore provinciale di Udine
Daniele Macorig, il Presidente
dell’Asdi Sedia Giusto Maurig, la
Direttrice del Goethe-Institut di
Trieste Alexandra Hagemann e
il Presidente della Confindustria
Friuli Venezia Giulia Alessandro
Calligaris. (Fotografia di R. Tello)
udinèdesign
Nei momenti di crisi è indispensabile generare nuove idee o, se proprio non
è possibile tirare fuori dal cilindro una genialata, almeno fare fronte comune
dando vita a una cordata che permetta di unire competenze comuni perché, quasi
sempre, l’unione fa la forza.
Con queste premesse, nell’ancora laborioso Nord-Est, è nata la volontà, da parte
di un pool di enti pubblici e privati friulani di istituire un centro studi dedicato alle
discipline che ruotano intorno al mondo del design, al fine di poter manifestare la
capacità del saper immaginare e del saper fare espressa dal territorio in oggetto
in merito a queste specifiche tematiche d’indagine.
In sintesi l’impegno degli organizzatori consisterà nel promuovere -nel Triveneto,
in Austria, Slovenia e Croazia- le attività produttive di eccellenza, sapientemente
ideate e realizzate da e per questa terra, con lo scopo di offrire un plusvalore
aggiunto al comparto dell’arredo casa/ufficio (e, come sappiamo, i marchi leader
di mercato non mancano certo in questa zona).
L’idea mediana sarà quella di veicolare il valore del disegno industriale ‘made
in Friuli’ (e tutta la produzione che ne consegue) in spazi espositivi non
convenzionali come scuole di ogni ordine e grado, aeroporti e centri commerciali
aggiungendovi appuntamenti localizzati anche in siti più tradizionali come
musei, gallerie e fiere di settore.
Una programmazione densa di appuntamenti all’insegna della progettualità
declinata in ogni aspetto della propria potenzialità espressiva (compresa la
fotografia industriale, la grafica pubblicitaria, l’editoria cartacea e on line).
La manifestazione, promossa per volontà dell’associazione Tertium Millennium
(circolo presieduto da Fausto Deganutti, operante da alcuni anni nel settore
delle attività culturali come strumento per la valorizzazione del patrimonio
storico e artistico, vero e proprio motore di sviluppo di nuove idee attraverso
la conservazione dell’identità), ha elaborato un consistente calendario di eventi
composto da mostre personali, collettive e aziendali, simposi, incontri con addetti
ai lavori e presentazione di libri, riviste e cataloghi.
In occasione dei progetti espositivi monotematici la struttura organizzativa
attuerà anche una serie di percorsi guidati e laboratori rivolti al pubblico adulto
e al mondo della scuola.
Un progetto complesso frutto della
passione dello staff di coordinamento
diretto da Alessio Curto (con sede
operativa comprendente anche il nuovo
Centro Documentazione Territoriale
Imprese / settore arti applicate progettato
dall‘architetto Luca Cendali - v. rendering
pubblicato sopra - il tutto situato al
secondo piano dell’Area direzionale
Città Fiera, via Antonio Bardelli 4,
Torreano di Martignacco - Udine),
congiunto all’energia delle connessioni
garantite dal periodico internazionale
Juliet design magazine e aiutato dal
prezioso supporto finanziario e tecnico
messo a disposizione dagli enti pubblici
e dalle aziende private che hanno sposato
l’iniziativa in oggetto.
Per la messa in moto della struttura
logistica, se fondamentale è stato il
sostegno dell’Assessorato al Turismo della Regione Friuli Venezia Giulia, della
Provincia di Udine, della Fondazione CRUP Cassa di Risparmio di Udine e
Pordenone, della Banca di Cividale, della Friuladria Crèdit Agricole, non meno
importante si è dimostrato anche e soprattutto l’impegno supportato da parte
degli Enti che hanno contribuito a dare uno spessore di qualità all’intero ciclo
di appuntamenti (Confindustria, Camera di Commercio e Università degli Studi
di Udine, Comune di Gemona e Martignacco, ASDI, Istituto professionale per il
settore Legno Arredo di San Giovanni al Natisone, Aeroporto FVG, Air Dolomiti
– Partner Lufthansa, Plexiglas Röhm Italia, Museo Kartell, Moroso, Spazio 900,
Del Fabro, Centro Commerciale Città Fiera – Area direzionale, Coworking,
COVECO, Ideas in Progress, Prefor Grafiche Filacorda, Graphart, Lorenzo
Dante Ferro – Maestro Profumiere, I Vinai dell’Abbate, Albergo Clocchiatti).
In questo contesto rilevante è anche la partecipazione alla attività collaterali
proposte all’interno della programmazione di “udinèdesign” da parte del
Comune di Muggia (con il Museo d’arte moderna “Ugo Carà” per la mostra
“Bauhaus Architektur nelle immagini contemporanee di Hans Engels”), per
non parlare della qualificata disponibilità rappresentata dal Consolato Generale
della Repubblica Federale di Germania e del Consolato Onorario della Francia
accompagnati rispettivamente dal Goethe-Institut (per la mostra del Vitra Design
Museum) e dell’Alliance Francaise (per la mostra “Riflessi d’argenti” di Pierre
Verrier, presentata alla Galerija ULUPUH di Zagabria, in collaborazione con il
Musée des Arts Décoratifs de la Chambre de Commerce de Lyon).
Ultima in ordine di programmazione la manifestazione “Il design che avanza”,
promossa con l’Associazione per il Disegno Industriale – delegazione FVG e
Cumini, suddivisa in tre appuntamenti: “La forma dello sport” (design e ricerca
nei prodotti sportivi), “Mostra itinerante ADI sul Premio Compasso d’Oro” (il
design attraverso i 50 anni del premio e le aziende del Friuli Venezia Giulia
selezionate dall’ADI) e “Giovani talenti FVG” (Marco Brollo, Vicente Garcia
Jiménez, Lucidi e Pevere, Monica Grafo, Mara Picco. Una nuova generazione di
progettisti si raccontano).
Tutto questo volume di lavoro ha generato un calendario di interventi che si
inserisce di diritto tra i principali
appuntamenti culturali del nuovo
asse centro-europeo con ricadute
economiche a favore delle attività
commerciali e turistiche per la città di
Udine e, più in generale, per l’intera
Regione poiché –come diceva Fritz
Schumacher in occasione della
fondazione del Deutscher Werkbund
(1907)- il fine culturale non è un lusso
ma una forza economica.
Eleonora Garavello
Nella foto a sinistra: Antonio
Maria Bardelli, Patron di Città
Fiera di Torreano – Martignacco
(UD), alla conferenza stampa per
la presentazione dell’iniziativa
“udinèdesign”
41
Ennio Chiggio dal ‘62 svolge attività
di artista, di graphic e industrial design.
Dal ‘67 ha fatto parte del Gruppo N
che ha dato impulso alle ricerche
visive dell’arte contemporanea e
che ha espresso un rifiuto verso la
mercificazione dell’arte. La riflessione
che egli ha voluto affidarci in questa
ricerca realizzata con il suo gruppo di
studenti durante il corso di design da
lui diretto nel 1982 presso l’AABB
di Venezia, per l’autorevolezza
di chi la formula e per l’estrema
attualità delle prospettive che
investe, ci è parsa meritasse
di essere conosciuta dai
lettori del nostro periodico a
complemento degli articoli
pubblicati sul tema
della sedia.
Con l’occasione,
per un’inquadratura
generale su questo
argomento, si
suggerisce anche la
lettura di Giorgio Fonio,
La macchina per sedersi.
Il contenente, il contenuto,
le forme, le funzioni,
Alberto Greco Editore, 1991.
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5
6
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promosso da
a cura di
in collaborazione con
udinèdesign
patrocinato da
Plexiglas
contemporaneo
in architettura e design (*)
Confindustria Udine - Palazzo Torriani, Largo Carlo Melzi 2
(*) Titolo originale: “Plexiglas. Werkstoff in Architektur und Design”, courtesy Museum Künstlerkolonie di Darmstadt
Con la partecipazione di: Kunsthaus Graz, Moroso, Museo Kartell, Spazio 900 Modernariato & Design
44
44
MAARTEN VAN SEVEREN, chaise longue “LCP”, 2000, prod. Kartell – Noviglio (MI)
Plastica
dimostrare come le conoscenze tecniche, la creatività
artistica e gli obiettivi pratico-culturali interagiscano
nella realizzazione del mondo in cui viviamo, e come
procedimenti chimici, ambiziosi processi realizzativi e
ideali di vita in continuo mutamento si compenetrino
vicendevolmente, dando vita ai più svariati contesti
culturali.4
Il fatto che questo materiale sintetico – il più nobile di
tutti – meriti particolare attenzione è dimostrato da non
ultimo dal grande interesse che gli hanno dedicato artisti
figurativi come Naum Gabo, Enrico Baj e Vera Röhm.5
Kai Buchholz (*)
NOTE
1 Cfr. ad esempio Wilhelm Kamlah, Philosophische Anthropologie,
Mannheim, Vienna, Zurigo 1973, pag. 33: “L’uomo, che parla e vede con
occhio volto al futuro, non è soltanto la creatura dotata di parola bensì
anche la creatura che produce ed impiega attrezzi, homo faber. ‘Accenni’
all’uso di utensili e alla produzione di attrezzi si individuano anche negli
animali. Ma soltanto l’uomo, dotato della capacità di parola, è in grado
di ideare, modificare e impiegare per scopi diversi gli attrezzi con occhio
volto al futuro”.
2 Cfr. ad esempio Paul Lorenzen, Lehrbuch der konstruktiven
Wissenschaftstheorie, Mannheim, Vienna, Zurigo 1987, pagg. 177-227;
Peter Janich Grenzen der Naturwissenschaft, Monaco 1992, pagg. 197213.
3 Sul valore estetico proprio dei materiali cfr. Thomas Raff, Die Sprache
der Materialien. Anleitung zu einer Ikonologie der Werkstoffe, Monaco
1994; Gernot Böhme, “Inszenierte Materialität”, in Daedalos 56 (1995),
pagg. 36-43; Dieter Mersch, “Deutsche Materialästhetik”, in Die
Lebensreform, edito da K. Buchholz, R. Latocha, H. Peckmann,
K. Wolbert, volume I, Darmstadt 2001, pagg. 267-269.
4 Sul ruolo culturale della chimica cfr. in questo contesto Peter
Janich, Grenzen der Naturwissenschaft, Monaco 1992, pagg. 63-85;
“Protochemie. Programm einer konstruktiven Chemiebegründung”, in
Konstruktivismus und Naturerkenntnis. Auf dem Weg zum Kulturalismus,
Francoforte 1996, pagg. 237-258.
5 Cfr. ad esempio Anca Arghir, Transparenz als Werkstoff. Acrylglas in der
Kunst, Colonia 1988; Vera Röhm, Colonia 2007.
WILHELM WAGENFELD, Sistema “Edition Prof. Wagenfeld” composto dal porta uovo, dal set sale – pepe
“Max und Moritz” e dal porta burro con coperchio in Plexiglas, 1952/54, prod. WMF – Geislingen/Steige
A differenza degli animali e delle piante l’uomo, per poter
sopravvivere, deve crearsi degli ambienti artificiali; in tal
modo fuoriesce dal suo habitat naturale e si trasforma in
un creatore di nuove dimensioni culturali. L’antropologia
filosofica ricorda a tale proposito che l’uomo non è soltanto
una creatura raziocinante (homo sapiens) bensì anche una
creatura dotata di capacità produttive (homo faber).1
Nel corso del tempo, le abilità produttive umane si
sono sviluppate e perfezionate in misura tale che,
considerando i gioielli di fattura minuziosa, i mobili
raffinati e gli ultramoderni macchinari intelligenti, oggi
non si può che parlare di una cultura della produzione
altamente sofisticata, che va ben oltre il necessario alla
sopravvivenza.2
Tutti gli artefatti si basano su materiali (ad esempio marmo,
gomma, rovere, oro, nylon, smeraldi) che, attraverso una
lavorazione manuale o meccanica, assumono una nuova
forma adeguata ai desideri e alle esigenze dell’uomo.
Nell’uso, tuttavia, la pura materialità compie spesso un
passo indietro rispetto alla funzione e all’aspetto estetico
globale.3
A ciò si aggiunge che soltanto un numero esiguo di
persone, in considerazione delle innumerevoli tecniche
di lavorazione particolari ormai esistenti, ha un’idea del
percorso che intercorre, di volta in volta, tra la materia
prima e l’oggetto d’uso finito.
Una visione esemplare di tali nessi risulta tuttavia
particolarmente preziosa poiché favorisce la percettività
individuale e la capacità pratica di giudizio.
Proprio nel mondo complesso di oggi vale la pena prestare
un occhio più attento ai materiali e alle loro diverse
possibilità di sagomatura.
Scegliendo l’esempio del vetro acrilico – meglio noto
con il nome del marchio PLEXIGLAS® – desideriamo
45
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Im Unterschied zu Tier und Pflanze muss sich der Mensch
künstliche Umwelten schaffen, um überleben zu können; damit
tritt er aus der Natur heraus und wird zum Schöpfer von Kultur.
Die philosophische Anthropologie weist an dieser Stelle darauf
hin, dass der Mensch nicht nur das vernunftbegabte Lebewesen
(homo sapiens), sondern auch das herstellungsbegabte
(homofaber) ist.1
Seine produktiven Fertigkeiten haben sich im Laufe der Zeit in
solchem Maße entwickelt und verfeinert, dass man an­gesichts
minutiös gearbeiteten Schmucks, raffinierter Möbel und
hochmoderner intelligenter Maschinen heute von einer enorm
ausgefeilten Herstellungskultur spre­chen kann, die weit über
das Lebensnotwendige hinaus­reicht.2
Grundlage aller Artefakte sind Stoffe (z. B. Marmor, Gummi,
Eichenholz, Gold, Nylon, Smaragde), die durch manuelle
oder maschinelle Bearbeitung eine neue, den menschlichen
Wünschen und Bedürfnissen angepasste Form erhalten. Im
Gebrauch tritt die blanke Stofflichkeit allerdings meist hinter
der Zweckfunktion und dem ästhetischen Gesamteindruck
zurück.3
Hinzu kommt, dass die wenigsten Menschen angesichts der
mittler­weile zahllosen speziellen Verarbeitungstechniken eine
angemessene Vorstellung davon haben, wie sich die Wege vom
Rohstoff zum fertigen Gebrauchsgegenstand im Einzelnen
vollziehen.
Ein exemplarischer Blick auf diese Zusammenhänge
ist aber besonders wertvoll, för­dert er doch das eigene
Wahrnehmungsvermögen und die praktische Urteilsfähigkeit.
Gerade in der kompli­zierten Welt von heute
lohnt es, Materialien und ihre unterschiedlichen
Formgebungsmöglichkeiten näher ins Auge zu fassen.
Am Beispiel des Werkstoffs Acrylglas - besser bekannt unter
dem Markennamen PLEXIGLAS® - wird hier gezeigt, wie
technisches Wissen, künstlerische Kreativität und praktischkulturelle Zielsetzungen bei der Umgestaltung unserer
Lebenswelt ineinandergreifen, wie sich chemische Verfahren,
anspruchsvolle Gestaltungs­prozesse und wandelnde Lebensideale
gegenseitig durchdringen und verschiedenste Kulturzusammen­
hänge entstehen lassen.4
Dass dieser edelste aller Kunst­stoffe besondere Aufmerksamkeit
verdient, belegt nicht zuletzt das große Interesse, das ihm
bildende Künstler wie Naum Gabo, Enrico Baj und Vera Röhm
entgegen­gebracht haben.5
PETER COOK, COLIN FOURNIER, Immagini e prospetti relativi
alla peculiare copertura della Kunsthaus di Graz, 2003. Courtesy
Universalmuseum Joanneum
Anmerkungen
1 Vgl. z. B. Wilhelm Kamlah: Philosophische Anthropologie. Mannheim,
Wien, Zürich 1973. S 33. „Der redend und sehend vorausblickende Mensch
ist nicht nur das Lebewesen, das Sprache hat, sondern auch das Lebewesen,
das Geräte herstellt und verwendet, homo faber . >Ansätze< von
Werkzeuggebrauch und Geräteherstellung gibt es auch bei Tieren Aber nur
der redende Mensch kann vorausblickend Geräte entwerfen, verändern, für
wechselnde Zwecke einsetzen.“
2 Vgl. z. B. Paul Lorenzen. Lehrbuch der konstruktiven Wissenschaftstheorie
Mannheim, Wien, Zürich 1987. S. 177-227; Peter Janich Grenzen der
Naturwissenschaft. München 1992, S. 197-213.
3 Zum ästhetischen Eigenwert von Materialien vgl. z. B. Thomas Raff. Die
Sprache der Materialien. Anleitung zu einer Ikonologie der Werkstoffe.
München 1994; Gernot Böhme‘ Inszenierte Materialität In: Daedalos.
56 (1995). S 36-43; Dieter Mersch: Deutsche Materialästhetik. In: Die
Lebensreform. Hg K. Buchholz, R. Latocha, H. Peckmann, K. Wolbert. Bd. i
Darmstadt 2001 S 267-269.
4 Zur kulturellen Rolle der Chemie vgl. in diesem Zusammenhang Peter
Janich: Grenzen der Naturwissenschaft. München 1992. S. 63-85; Ders,:
Protochemie. Programm einer konstruktiven Chemiebegründung. In: Ders.:
Konstruktivismus und Naturerkenntnis. Auf dem Weg zum Kulturalismus.
Frankfurt a. M 1996. S. 237-258.
5 Vgl. z. B. Anca Arghir: Transparenz als Werkstoff. Acrylglas in der Kunst.
Köln 1988; Vera Röhm. Köln 2007.
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(*) La mostra “Plexiglas contemporaneo. Plastica in architettura e design” è una selezione del più ampio progetto espositivo originale intitolato “Plexiglas. Werkstoff in Architektur und Design” e presentato al Museum
Künstlerkolonie di Darmstadt diretto da Ralf Beil (© 2007 Institut Mathildenhöhe Darmstadt, Wienand Verlag & Medien GmbH Köln, Kai Buchholz, Röhm GmbH Darmstadt). Il testo del Prof. Kai Buchholz è pubblicato per
gentile concessione della Wienand Verlag & Medien GmbH. Si ringraziano i Musei, le Aziende, i negozi e i collezionisti privati che hanno collaborato alla realizzazione dell’edizione italiana dell’esposizione.
ETTORE SOTTSASS, specchio “Ultrafragola”, 1970, prod. Poltronova – Montale (PT). Courtesy Del Fabro - Tricesimo (UD)
Che cos’è il vetro acrilico?
L’ambiente materiale in cui vive l’uomo è formato da
➝ atomi e legami di atomi, le cosiddette ➝ molecole. Il
vetro acrilico è un materiale plastico trasparente le cui
molecole sono composte da atomi di ➝ carbonio (C),
➝ idrogeno (H) e ➝ ossigeno (O). In chimica il vetro
acrilico è definito polimetilmetacrilato (PMMA), laddove
il prefisso “poli” indica che questo materiale è costituito
da catene multiarticolate, di diversa lunghezza, della
molecola metacrilato di metile (MMA). La sua struttura è
espressa dalla formula:
Was ist Acrylglas?
Die materielle Umwelt des Menschen baut sich
aus ➝ Ato­men und Atomverbindungen, so
genannten ➝ Molekülen, auf. Acrylglas ist ein
transparenter Kunststoff, dessen Mo­leküle aus
Atomen von ➝ Kohlenstoff (C), ➝ Wasserstoff
(H) und ➝ Sauerstoff (O) zusammengesetzt
sind. In der Che­mie bezeichnet man Acrylglas
als Polymethylmethacrylat (PMMA), wobei die
Vorsilbe „poly“ anzeigt, dass dieser Stoff aus
vielgliedrigen, unterschiedlich langen Ketten
des Moleküls Methylmethacrylat (MMA)
besteht. Seine Struk­turformel lautet:
La lettera n accanto alla parentesi quadra indica,
sinteticamente, che a sinistra e a destra dei due atomi C
centrali si legano altre molecole uguali in numero variabile
(n). La lunghezza delle catene molecolari influisce sulle
caratteristiche del rispettivo vetro acrilico: quanto più aumenta la
lunghezza delle catene, tanto più stabile e resistente agli agenti
chimici risulta il materiale. I residui puri di vetro acrilico si
possono triturare e riciclare integralmente, il che rappresenta un
vantaggio decisivo in considerazione della scarsità delle risorse.
Der kleine Buchstabe n an der eckigen Klammer
macht abkürzend deutlich, dass sich links und
rechts von den beiden mittleren C-Atomen
weitere gleichartige Moleküle variabler Anzahl
(n) anschließen. Die Länge dieser Mole­külketten
hat Einfluss auf die physikalischen Eigenschaf­ten
des jeweiligen Acrylglases: Je länger die Ketten,
desto stabiler und chemikalienbeständiger ist der
Werkstoff. Sortenreine Acrylglasabfälle können
gemahlen und voll­ständig recycelt werden, was
angesichts knapper werden­der Ressourcen ein
entscheidender Vorteil ist.
HANS GUGELOT, DIETER RAMS, WILHELM WAGENFELD,
Phonosuper SK 4, 1956, prod. Braun. Foto Koichi Okuwaki.
Courtesy Museum für Angewandte Kunst Frankfurt
ALEJANDRO RUIZ,
grattugia “Parmenide”, 1994, prod. Alessi – Crusinallo (VB)
PATRICIA URQUIOLA,
libreria modulare “B – side”, 2007, prod. Moroso – Cavalicco (UD)
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Vas-One Design Luisa Bocchietto
Forme
col DNA classico
ma con
il linguaggio
internazionale
outdoor / indoor
del XXI secolo
di Virginio
Briatore
COMUNE DI MUGGIA
Dove sbocciano le idee
50
Museo
d’Arte
Moderna
“Ugo Carà”
Flow Design Zaha Hadid
Nella storia dell’imprenditoria italiana Serralunga è un esempio raro di longevità e di capacità evolutiva. Quando nel 1889 inaugurarono
la Torre Eiffel l’azienda biellese festeggiava già 64 primavere. Oggi la società a conduzione familiare è giunta al terzo secolo di attività,
alla V generazione di imprenditori e vive una nuova giovinezza. Fondata nel 1825 come conceria passa poi, di pari passo con la diffusione dei
macchinari, a produrre manufatti di cuoio a scopi industriali, quali cinghie di trasmissione e simili. Nel Novecento aggiunge la lavorazione
della guttaperca prima e della plastica poi, specializzandosi in articoli industriali. Negli anni Ottanta importa dagli Stati Uniti il sistema
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La Regista Design Michel Boucquillon
di stampaggio della plastica a rotazione e per prima in Italia installa un impianto pilota, iniziando a produrre vasi. Il rotazionale è una tecnologia
innovativa, che consente di produrre oggetti cavi e con dimensioni che arrivano anche a 2.000 litri.I primi vasi esteticamente riprendono le
tradizionali forme del giardinaggio italiano e nel colore si richiamano al coccio. Sono però dotati di un’innovativa intercapedine che migliora
l’isolamento del terriccio, si possono fare grandi e in virtù della loro leggerezza trovano spazio anche sui terrazzi. Serralunga capisce che la
dimensione fuori scala è vincente. Il passo successivo è renderli belli, intriganti, sorprendenti. Il passaggio chiave è l’incontro progettuale ➡
52
52
New Pot Design Paolo Rizzatto
tra due biellesi, complici di vecchia data: Marco Serralunga laureato in Economia e Commercio, giovane imprenditore che eredita l’azienda
paterna e Luisa Bocchietto, designer e architetto, allieva di Marco Zanuso. La passione e il coraggio d’impresa del primo, uniti alla cultura
del design della seconda in 15 anni rivoluzionano l’azienda, proiettandola nella dimensione del linguaggio e del life style contemporaneo
d’avanguardia. I primi passi nella nuova direzione nascono dai workshop organizzati nelle università e dal dialogo con Paolo Rizzato, Alberto
Meda e Denis Santachiara, tre progettisti diversi ma accomunati dallo spirito di ricerca e dalla passione per la tecnologia. Nei dieci anni
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Bo - tanica Design Denis Santachiara
seguenti Marco Serralunga e Luisa Bocchietto, convinti assertori dell’humus culturale che gravita intorno al Design Made in Italy,
si confrontano con una ventina di designer internazionali e danno vita a una collezione spettacolare, sia per forme sia per nuove funzioni
d’uso, che diventa punto di riferimento e trend setter del settore. Il vaso è stato re-inventato sino a trasformarsi in scultura, lampada, land
mark, punto di incontro fra mondo vegetale, arredo e tecnologia. Il confine sempre più incerto e vitale fra indoor e outdoor è diventato il terreno
di ricerca per Serralunga, che in quanto azienda indipendente e verticalizzata è padrona della propria tecnologia, quindi può sperimentare, -
54
nninnovare, scegliere il percorso. Dalla ricerca aziendale e dal talento dei designer prendono corpo nuove tecnologia di prodotto: vasi lampada,
lampade vaso, lampade sculture, vasi sedute, vasi come foreste, divani indoor-outdoor, al tempo stesso rigidi e imbottiti. Dal 1825 ubicata
nello stesso luogo l’azienda produce totalmente in Italia, a Biella, in Via Serralunga, numero 9, in uno stabilimento di 12.000 mq che impiega
Biella 65 dipendenti e ne coinvolge circa il doppio nell’indotto. Qui vengono lavorate oltre 1.200 tonnellate di plastica all’anno, per un totale
di circa 200.000 pezzi prodotti. L’azienda è in continua crescita e il marchio Serralunga diventa un brand inconfondibile distribuito nel mondo.
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English version on page 92
Scarlett Design Christophe Pillet
Rossimoda:
il potere della seduzione
Eccellenza nella scelta
dei materiali, perfetta calzabilità
e una creatività spregiudicata
che non conosce rivali:
ecco le tre parole chiave
fonte del successo che da sempre
accompagna Rossimoda
e che le ha permesso, nel corso
dei suoi oltre sessanta anni di attività,
di assurgere all’Olimpo
dei più grandi stilisti
del panorama internazionale
di
Federica Rossi
curatrice Museo Rossimoda della calzatura
Calzaturificio tra i più importanti del distretto della Riviera del
Brenta, sia per dimensione produttiva, che per livello qualitativo
dei prodotti, classificati “di lusso” e “griffati”, Rossimoda nasce
nel 1942 grazie all’intraprendenza di Narciso Rossi e prosegue dal
1956 con il figlio Luigino, affiancato per lungo tempo dai fratelli
Dino e Diego.
Dopo un inizio caratterizzato dal tentativo di imporre i propri
marchi e da una produzione artigianale, ma già con un certo grado
di ricercatezza, Luigino Rossi ha l’occasione di collaborare con
Charles Jourdan, azienda licenziataria per le calzature del marchio
Dior. Grazie a questa opportunità l’imprenditore intuisce che la
strada per il successo segue quella delle grandi “griffe”. Consapevole
delle abilità e competenze della sua azienda, maturate in tanti anni
di lavoro nel distretto del Brenta, propone il proprio know how al
giovane Yves Saint-Laurent, appena uscito dall’atelier di Dior e in
procinto di iniziare la sua gloriosa avventura. Sarà l’inizio di una
proficua collaborazione durata 38 anni (dal 1963 al 2000), basata
su una grande stima reciproca e segnata da molta soddisfazione
e crescente notorietà. Da questa prima esperienza ne seguiranno
altre: il contratto con Anne Klein, stilista americana pioniera dello
sportswer femminile; la collaborazione con Givenchy; Ungaro con
le sue fantasie sgargianti e i suoi eleganti drappeggi; l’avventura
con Ferdinand Alexander Porsche, nata quasi per gioco: creare
delle calzature unisex per guidare le sue auto sportive; e poi Genny,
Fendi, gli americani Richard Tyler, Vera Wang e Calvin Klein per
arrivare al 2001 con l’accordo con Christian Lacroix: il nuovo astro
dell’alta moda parigina.
E per ognuna di queste case di moda l’azienda riesce a creare
collezioni sempre nuove, tutte diverse fra loro, preservando con
maestria l’equilibrio tra esigenze in apparenza inconciliabili: lo
sforzo creativo, che per essere tale deve essere libero da vincoli, la
fattibilità industriale dell’oggetto e la sua commerciabilità, cioè la
possibilità di avere un riscontro effettivo sul mercato.
Nel 2001 si verifica la seconda svolta: il gruppo finanziario del
lusso LVMH, proprietario del marchio Lacroix, resta affascinato
dall’incontro con Rossimoda, sedotto dai suoi prodotti, frutto di
una manualità e di un buon gusto che le permettono un vantaggio
competitivo ineguagliabile rispetto ai concorrenti. Dopo un periodo
di conoscenza reciproca, viene siglato un accordo strategico, grazie
al quale il gruppo francese acquisisce il controllo del calzaturificio
brentano, aprendo nuovi orizzonti di sviluppo per l’azienda
che fanno leva su consistenti risorse finanziarie e la consolidata
esperienza e competenza di LVMH nel mondo del lusso.
La novità porta naturalmente anche nuove collaborazioni con case
di moda sotto l’egida della “grande famiglia” LVMH: da Emilio
Pucci e Givenchy nel 2001, alla linea Marc by Marc Jacobs e
Loewe l’anno seguente, seguite da Kenzo, Donna Karan e per
finire Celine.
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Da aprile a ottobre
Lunedì: 9.00-12.30
Martedì, mercoledì, giovedì e venerdì: 9.00-12.30; 14.30-18.00
Sabato: 14.00-18.00
Domenica e festivi: 14.30-18.00 solo visite guidate
Pasquetta, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno: aperto
15 agosto e domeniche di agosto: chiuso
Nei mesi di gennaio, febbraio, marzo, novembre, dicembre
da lunedì a venerdì: 9.00-13.00
Sabato, domenica e festivi: chiuso
Chiuso da Natale all’Epifania
Per maggiori informazioni
+ 0039 049 9801091
[email protected]
Via Doge Pisani 1/2 - 30039 Stra (Venezia)
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Il compito di narrare questa esperienza imprenditoriale di successo
è affidato al Museo Rossimoda della calzatura, il proprio museo
aziendale, aperto al pubblico nel 1995 su iniziativa di Luigino
Rossi e ospitato nel complesso seicentesco di Villa Foscarini,
una dimora storica, lungo le rive del fiume Brenta, dove i patrizi
veneziani amavano soggiornare.
In uno spazio di circa settecento metri quadri, suddiviso in
prestigiosi saloni, sono esposti oltre 1500 modelli di calzature
femminili di lusso, che raccontano il percorso imprenditoriale
della famiglia Rossi, i livelli qualitativi raggiunti dall’azienda,
sottolineandone il forte legame con il territorio.
Rossimoda rappresenta infatti, oramai da molti anni, l’azienda
leader del distretto calzaturiero della riviera del Brenta, famoso
in tutto il mondo per la produzione di scarpe femminili di lusso
e griffate. Con il suo museo, unico nella zona, l’azienda svolge
quindi anche il compito di divulgare i “saperi” del territorio e
di diffondere la conoscenza delle tradizioni di cui i calzaturieri
sono gli eredi.
Si narra infatti che le competenze acquisite di quest’area
vantino origini antiche, testimoniate sin dal 1260, con la
Scuola dei “Calegheri” veneziani, una confraternita di calzolai
di lusso, trasferitisi poi in terraferma durante le invasioni
napoleoniche.
Il cambiamento epocale per il territorio giunge nel 1898, quando
Giovanni Luigi Voltan torna in Riviera dopo aver lavorato a lungo
nelle fabbriche statunitensi ed essersi impadronito di tutti i piccoli
segreti delle nuove tecnologie produttive. Decide di aprire il
primo stabilimento meccanizzato per la produzione di massa di
calzature, grazie all’acquisto di impianti e macchinari all’estero.
Si realizza un grande successo: in pochi anni la piccola fabbrica
arriva ad avere 500 dipendenti e l’azienda sviluppa una gigantesca
organizzazione di vendita.
Voltan si dimostra un grande benefattore oltre che un imprenditore
lungimirante, organizzando corsi professionali per migliorare le
conoscenze dei suoi dipendenti, costruendo abitazioni salubri per
gli operai e istituendo una società di mutuo soccorso; iniziative
che portano benessere e prosperità in un territorio a lungo dilaniato
dalla carestia e dall’emigrazione.
La popolazione reagisce con entusiasmo ai nuovi stimoli, svelando
un talento nascosto per la nuova attività, una manualità e un gusto
affinato da secoli di dominazione veneziana, nei quali il senso
estetico della collettività ha subito l’influenza di un ambiente
circostante caratterizzato da armonia delle forme e salvaguardia
della tradizione, testimoniato soprattutto dalla civiltà delle Ville,
tuttora presenti a raccontarlo.
E da questa prima impresa del pioniere Voltan, con una specie di
reazione a catena ne nascono molte altre, frutto dell’intraprendenza
di bravi operai e coraggiosi capi reparto. Fra questi nel 1942
vi è anche Narciso Rossi, ma questa storia l’abbiamo già
raccontata…
59
© Fotografia Gasperi
Prosciuttificio Wolf di Sauris, Fantoni di Osoppo,
Snaidero di Majano, Prosciuttificio Morgante di San
Daniele del Friuli, Moroso di Cavalicco, Quality Food
Group di Martignacco, Tonutti di Remanzacco, Tonon
e Calligaris di Manzano, Gruppo Polo Le Ville Plus
di Cassacco e T&T Telematica e Trasporti di Ruda:
sono queste le undici aziende friulane che, da aprile a
novembre, apriranno straordinariamente le porte dei loro
stabilimenti e delle loro show-room ai turisti interessati
a conoscere la cultura e la tradizionale della nostra
Regione attraverso il mondo economico.
Il nuovo circuito industriale - attivato e ideato da
Confindustria Udine e sostenuto nella promozione dal
Sistema Friuli Venezia Giulia attraverso la Regione con
Turismo FVG, la Camera di Commercio di Udine e la
Provincia di Udine – è stato presentato a palazzo Torriani
nel corso del convegno dal titolo “Turismo 2.010 – Il
posizionamento del turismo industriale nel progetto
paese Italia”.
Nell’aprire i lavori, Adriano Luci, presidente di
Confindustria Udine, ha ricordato come “l’obiettivo
delle iniziative dell’Associazione, caratterizzate dal logo
Industria e Turismo: andata e ritorno e giunte alle soglie
60
della quarta edizione, si è connotato sempre dal duplice
valore di attrarre nuovi flussi turistici e di rafforzare nel
contempo l’immagine del prodotto industriale friulano.
Il comparto turistico è in questi anni sicuramente
cresciuto, ma certamente – ha aggiunto Luci - bisogna
crescere ancora soprattutto nella capacità di fare
sistema perché l’offerta turistica non si ferma solo
alla qualità recettiva, ma richiede anche un contorno
(eventi, manifestazioni, opportunità di incontro,
servizi) che operi in una logica sinergica per far sì che
l’attrazione, il senso del richiamo, riguardi l’ospitalità
nel suo complesso. Su questo bisogna lavorare, ma la
consapevolezza che occorre operare in questa direzione
ricercando le opportune forme di sinergia dimostra come
ci si sta avviando nella giusta direzione”.
Dal canto suo Marco Bruseschi, vice-presidente della
Camera di Commercio Udine, ha sottolineato “come
l’ente camerale abbia sposato pienamente l’idea di creare
un prodotto nuovo che può essere definito come
scelta innovativa e strategicamente coraggiosa
e che punta in modo forte alla valorizzazione
dell’economia locale passando attraverso
la conoscenza del mondo del lavoro e
delle sue imprese. Alla CCIAA, ponendosi al centro
dell’economia delle imprese del territorio e puntando
in modo forte agli scambi di tipo internazionale, è
sembrato naturale accompagnare Confindustria Udine in
questo percorso di crescita e di promozione del Friuli,
rispondendo ad una domanda crescente di imprenditori
e turisti”.
Dopo i saluti di Francesco Iannella, responsabile
Unicredit per il Friuli Venezia Giulia, istituto che sosterrà
le azioni di promozione e informazione con i propri
sportelli nei Paesi della Nuova Europa, il convegno è
entrato nel vivo con l’intervento di Marino Firmani,
delegato al Turismo Industriale Confindustria Udine
che ha parlato, nel dettaglio, del progetto di turismo
industriale per il Friuli industriale. “Per competere
sul mercato del turismo internazionale – ha spiegato
Firmani - il nostro territorio ha bisogno sempre più di
trovare nuove forme di cooperazione integrando anche il
mondo delle imprese alle attività turistiche e di ospitalità
del territorio. Da qui la relazionalità, le alleanze,
l’impegno del mondo dell’industria e dell’economia a
mettere in campo la propria capacità relazionale. E noi
di confindustria Udine ci siamo avvicinati al mondo del
turismo con gradualità e forte attenzione affrontando il
tema con le proprie modalità di pensiero progettando e
costruendo un servizio turistico prima per arrivare poi
al prodotto turistico . Un filo conduttore tra il mondo
dell’impresa e il mondo del turismo esiste ed è quello
che oggi come ieri e domani il prodotto creato dalle
industrie per entrare nell’immaginario del consumatore
deve creare emozione così come un viaggio, una
vacanza una permanenza presso un luogo noi tutti
vogliamo che crei un’emozione. Il turista sceglie una
meta dopo essere stato stimolato da una comunicazione
persuasiva, attraverso i media multimediali, tradizionali
e il passaparola e sceglie la meta turistica in funzione di
una gamma di servizi e prodotti che la meta offre. Noi
tutti scegliamo la spiaggia oppure la montagna, le città
storiche, il lago e attorno a queste destinazioni cerchiamo
la visita al museo, al castello della città al ristorante…
A tutto questo panorama esiste anche una domanda
da parte delle persone di visitare e di conoscere e
di scoprire l’economia del territorio attraverso la
conoscenza dello sviluppo imprenditoriale. Noi
desideriamo proporre un ampliamento della gamma
prodotti servizi turistici offerti dal territorio con l’offerta
oggi complementare dell’apertura di un circuito turistico
industriale con l’obiettivo di costruire una offerta di
turismo industriale capace di attirare il turista attraverso
il successo dei nostri brand”.
È poi seguita l’illustrazione di tre casi di successo
a cura di Valentina Doorly, marketing manager di
Guinness Storehouse (Irlanda), di Alessandro Chiarini,
di Grana Padano e Carolina Lussana, responsabile
Fondazione Dalmine e Consigliere Museimpresa. Quello
della Guiness Storehouse (un milione di visitatori
all’anno, 120 dipendenti ed un fatturato di 4 milioni di
euro), ad esempio, è un caso eclatante: la visita ai suoi
stabilimenti è la prima attrazione in Irlanda per numero
di visitatori e la terza nel mondo per quanto riguarda le
visite a brand industriali.
Quindi, è stata la volta del contributo di Giuliana
Quendolo, albergatrice e rappresentante della sezione
Turismo all’interno del Gruppo Terziario Avanzato
di Confindustria Udine, ha evidenziato il tentativo
andato in porta di avvicinare il mondo del turismo a
quello produttivo. “Mi piace sottolineare il dinamismo
propositivo che ha animato il progetto di Confindustria
Udine. Come sezione turismo ci siamo fatti propulsori
di questa iniziativa che ha poi trovato rispondenza
positiva nelle imprese del territorio che hanno deciso di
presentare le loro produzioni anche in chiave turistica.
Il turista si vuole avvicinare all’industria attraverso il
racconto innanzitutto da parte degli stessi imprenditori
dei segreti dei propri prodotti della loro storia di
generazioni di operosità delle sfide di ieri e oggi per
emergere e per affermare il valore del made in Italy di
radici friulane e che può divenire opportunità di business
per il territorio con l’avvio di nuove filiere”.
Intanto, sono già arrivate le risposte entusiaste delle
aziende: Carlo Tonutti, presidente Tonutti Group,
Franco Morgante ad Morgante, e Paolo Fantoni, ad
Fantoni, hanno raccontato l’approccio aziendale a questa
nuova esperienza.
In un contributo video, il presidente dell’ENIT, Matteo
Marzotto, nel dare il suo plauso a questa iniziativa
friulana, ha assicurato che l’Italia mantiene saldo il suo
appeal internazionale di brand unico al mondo. C’è però
lo spazio per crescere ancora, ma serve l’impegno di tutti,
dalla comunicazione alla cura nel minimo dettaglio nei
servizi erogati. “Come orgoglioso italiano – ha affermato
Marzotto - mi viene da pensare che il Friuli è una parte
fondamentale dello sviluppo del Nord-Est, fatto da
imprenditori che hanno consolidato lo sviluppo economico
del nostro Paese e che possono raccontare molto alle
nuove generazioni aprendosi con la propria storia e con le
proprie esperienze internazionali.
Il Circuito Turistico Industriale che avete presentato lo
considero un modello eccellente di fare turismo”.
In chiusura di convegno, Roberto Magliulo, vice
presidente di Confindustria Servizi Innovativi, e Gianfranco
Manetti, responsabile Iniziative Speciali Touring Editore si
sono soffermati sul progetto Paese Italia.
www.industriaeturismofvg.it
“Oliere designate”
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La località di Oleis, il cui toponimo riflette una voce latina
indicante l’ulivo, ha ospitato nella suggestiva cornice di Villa
Maseri il meglio della produzione olearia attiva sul territorio per celebrare questo alimento di complemento e le sue
caratteristiche. Attraverso convegni, lezioni di potatura e
coltivazione dell’ulivo, assaggi, oltre a un ricco calendario
di eventi collaterali (arte, design e musica), si sono confrontati gli operatori provenienti dal manzanese, da Trieste e da
Dignano d’Istria che, attraverso dei test sensoriali e degustazioni, hanno messo in evidenza le caratteristiche e le proprietà dei loro frantoi. L’appuntamento è stato organizzato
da Arc Oleis e Dintorni con la collaborazione del Comune
di Manzano (UD). Quest’ultima è una cittadina che ha legato fortemente il suo sviluppo artigiano e industriale alla
produzione delle sedute meritandosi l’appellativo di “Capitale della sedia”. In questo stretto rapporto fra qualità della
produzione locale (ditte spesso terziste rispetto ad aziende
di arredamento) con designer di rilievo internazionale (Gio
Ponti, Vico Magistretti, Jasper Morrison, Ilmari Tapiovaara,
Iosa Ghini, Philippe Starck, ecc.) nasce per volontà degli
organizzatori dell’iniziativa “Olio e Dintorni” la mostra “Oliere designate” prodotta dalla testata Juliet design magazine
con la preziosa collaborazione della compagnia aerea Air
Dolomiti-partner Lufthansa, della Katy House di Monfalcone (GO) e della Graphart di San Dorligo della Valle (TS). Un
percorso espositivo basato sul concetto di pertinenza derivata dal rapporto dell’oggetto esposto in questione con il
contesto in modo tale che possa essere divulgato presso
il largo pubblico, oltre a interessare gli esperti del settore.
Una mostra può essere dunque più o meno pertinente se
si considera il contesto di un tema, di un filone artistico o di
un ambiente circostante particolarmente connotato. Agire
in questo modo è distinzione di qualità, di interesse, di creatività e così di seguito. Per queste ragioni ideare e realizzare
un evento che ruota intorno al mondo del design, anche
se proposto fuori dai circuiti tradizionali, può diventare momento privilegiato e di confronto costruttivo. Ma veniamo
ai fatti e ai nomi, perché all’interno di questa pertinenza c’è
tutto un ventaglio qualitativo estremamente articolato. E allora, nell’immensa flora degli oggetti che ci circonda, ve n’è
uno –posto sempre al centro del tavolo- che ci accompagna durante il nostro rito quotidiano del nutrirsi. E poiché gli
oggetti sono anche immagini, e le immagini sono immagini
di oggetti e dunque immagini di immagini, questo oggetto ci può offrire, probabilmente molto più peculiarmente
di altri, il ritratto della nostra società ricca di connotazioni.
Questo oggetto, questa immagine, è l’oliera. Vestito con
decorazioni, svestito da orpelli, efficientizzato, estetizzato,
impreziosito, banalmente usato e, oggi, progettualmente
ammirato. È un oggetto di culto: per la sua portata dietetica
(terapeutico per mantenere sano il nostro corpo) e per il suo
spessore culturale (se il suo contenuto ha sempre unito le
genti e ha aperto le strade commerciali il contenitore non
è da meno e rappresenta il meglio del meglio del disegno
industriale italiano). Su questa tematica progettuale si sono
cimentati note firme del design sostenute da grandi aziende del comparto. Andrea Branzi, Achille Castiglioni, Stefano
Giovannoni, Michael Graves, LPWK-Marta Sansoni, Enzo
Mari, Furio Minuti, Nencioni Moleri, Marc Newson, Lorenzo
Piccione di Pianogrillo e Köbi Wiesendanger, Franco Sargiani e Eija Helander, Borek Sipek, Ettore Sottsass, Oscar
Tusquets, Paolo Ulian e Elisabeth Vidal hanno ideato per le
industrie Alessi, Driade, Fratelli Guzzini, Sambonet Paderno
Industrie e Zani&Zani. Un semplice filo d’olio ha unito la carica espressiva dei creativi all’interpretazione funzionale dei
costruttori di portacondimenti.
Eleonora Garavello e Alessio Curto
Nella pagina accanto: sopra, da sin verso dx, il logo
della manifestazione e la produzione Zani&Zani con linea
“Domestica” (1993) di Enzo Mari, linea “Family” (2003)
di Paolo Ulian e linea “Opasis” (1986) sempre di E. Mari;
al centro set di Achille Castiglioni in una illustrazione di
Steven Guarnaccia (courtesy Museo Alessi e Corraini
Editore); sotto la produzione Fratelli Guzzini con menage
linea “Bolli” (2007) di Elisabeth Vidal e oliera linea “Happy
Hour” (1998) di Fulvio Minuti più panoramica dell’Abbazia
di Rosazzo (sede del convegno). In questa pagina: sopra,
da sin verso dx, la produzione Alessi con il servizio “Zenit”
(2001) di Marc Newson, oliera “Mami” (2003) di Stefano
Giovannoni, servizio “FS05” (2005) di Franco Sargiani e Eija
Helander, oliera “MG31” (2000) di Michael Graves; sotto
porta-oli “Trattore” (2005) di Andrea Branzi, servizio “5070”
(1978) di Ettore Sottsass e uno scorcio dell’allestimento
della mostra ospitata a Villa Maseri
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Sopra e a dx il plastico del progetto
nelle foto di Vittorio Dozio;
sotto Emilio Vedova ai Magazzini del Sale di Venezia
ritratto nel 1972 da Gianni Berengo Gardin.
Courtesy Fondazione Emilio e Annabianca Vedova
[per Studio ell(E)gi]
di Gian Paolo Venier
FONDAZIONE
emilio e annabianca
VEDOVA Nell’immaginare lo spazio di Emilio Vedova nel Magazzino del Sale, uno dei nove Saloni
trecenteschi alle Zattere, lungo il grande Canale delle navi, Renzo Piano ha applicato
in modo paradigmatico questo principio che, come lui stesso ha detto, governa la sua
architettura: non ha toccato le volte, non ha toccato i solidi muri del gigantesco Salone,
eppure lo spazio risulta immaterialmente riempito da una sottile macchina leonardesca
che, concepita come un sistema meccanico-robotico di sofisticata tecnologia, strappa le
opere di Vedova alla fissità dei muri in un rimbalzo infinito di chiaroscuri.
Il progetto all’interno dei Magazzini salda un antico e fortissimo legame che Vedova
ha sempre avuto con questi spazi: hanno ospitato il suo studio dagli anni ’60 agli anni
’70, e li ha difesi strenuamente verso la metà degli anni ’70 da una proposta di progetto
che prevedeva di abbatterli per realizzare una piscina pubblica. Il progetto dello spazio
espositivo nasce certamente dall’ascolto della storia che negli anni ha legato Vedova ai
Magazzini. Il criterio espositivo proposto dal progetto viene direttamente da Vedova e
ripropone in un certo senso il suo universo di movimenti, oggetti, disequilibri, scarti e
asimmetrie.
Il progetto si basa su un’idea molto semplice e frugale: non tradire il carattere originario del
Magazzino e contemporaneamente invaderlo con un’azione espositiva dinamica e, in un
certo senso sorprendente. La forza di quest’idea non sta nella sua vastità, ma piuttosto nella
sua intensità. Lo spazio rimane ciò che è, mantenendo la sua originaria e sobria robustezza.
Sul pavimento in pietra viene appoggiato un impalcato in legno leggermente inclinato che
contribuisce a contrarre la percezione prospettica dello spazio. L’accesso, per chi arriva
dalla Fondamenta, costituisce una vera e propria introduzione all’esperienza espositiva,
un invito alla scoperta della scenografia interna. Ma anche una mediazione tra lo spazio
esterno e quello interno che hanno luce, rumori e atmosfere completamente differenti.
Dalla Fondamenta inondata di luce, attraverso il portone ligneo, si entra in uno spazio
introduttivo e da qui l’interno buio, squarciato da sapienti tagli luminosi: l’impalcato, il
sistema di illuminazione puntuale dall’alto, la profondità delle ombre dell’intorno, tutto
evoca l’atmosfera di una scena teatrale.
La visita al museo Vedova andrebbe accompagnata dalla conoscenza dei fatti storici che
hanno portato Piano a realizzare questo tipo di installazione, dove il progetto non è il solo
allestimento delle opere ma un unico insieme indistinto, che vede le opere, la macchina, il
movimento, l’assenza di luce e il magazzino come la rappresentazione del mondo e delle
atmosfere di Emilio Vedova, come un’opera d’arte totale.
La conoscenza del contesto storico e delle ragioni del progetto ci aiutano a superare il
disagio di visionare delle tele esposte molto in alto rispetto al punto di vista del fruitore, e a
dover rispettare i tempi della macchina che costringono il ritmo del visitatore a delle pause
precise. Il progetto per il nuovo museo permanente dedicato al maestro Emilio Vedova
esprime l’intimità e la conoscenza di lunga data tra l’artista e l’architetto: un gioco a due!
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La rivista Il Progetto nasce nel 1997. Architettura, arte, comunicazione e design i campi
disciplinari prescelti per indagare il contemporaneo, con un’attenzione particolare alla
sperimentazione e all’innovazione. Il taglio inclusivo e composito, figlio di un comitato di
redazione caratterizzato da diverse formazioni e scuole, ne ha fatto da subito un osservatorio
privilegiato sulle maggiori trasformazioni culturali in atto in ambito internazionale. Le stesse
scelte redazionali hanno spesso saputo anticipare tendenze e aspetti del divenire. Edita da
Logos, la rivista è bilingue (italiano e inglese), di formato 24 x 27 cm, in 6 sedicesimi,
stampata in bianco e nero, con una tiratura di 5.000 copie. A Maurizio Badaschia, direttore
responsabile del periodico trimestrale abbiamo posto alcune domande.
Puoi nominarci un autore di tua preferenza per ogni tematica affrontata da Il
Progetto?
Peter Eisenman per l’architettura. La copertina del primo numero, nel luglio del 1997 gli
fu dedicata non a caso. Per il resto, devo dire che non c’è un autore che in assoluto sta
sopra gli altri. In dodici anni abbiamo cercato di rappresentare un mondo condivisibile
anche se eteronomo, ogni tipo di avanguardia del nostro tempo… Ciò che mi interessa,
che ho cercato di raccontare, è quella zona di confine, di limite, tra mondi comunicanti, le
contaminazioni, le ibridazioni, le idee per così dire “in-between”, capaci di capovolgere
situazioni, di raccontare nuovi spazi, nuove progettualità.
Come colleghi la tua attività progettuale a quella editoriale?
Il Progetto è sperimentazione. I progetti, a tutte le scale, su cui lavoriamo, rappresentano
una sintesi, un esempio di come cerchiamo di affrontare i singoli, diversi temi ricercando
le migliori soluzioni a problemi complessi: ogni tema indagato può sempre essere visto da
angolature diverse, rappresentare risposte a quesiti dissimili, porre questioni non univoche.
Solo sperimentando e cercando di dare più soluzioni attraverso una risposta progettuale è
possibile risolvere la complessità di ciò che si affronta. L’atteggiamento è necessariamente
inclusivo, eteronomo, aperto al confronto, pluridisciplinare. Esattamente come nell’attività
Che cosa pensi della presenza di Yona Friedman alla Biennale di Daniel Birnbaum?
Una scelta eccellente, corretta, geniale, come l’ultima Biennale. Sì, è geniale la Ville
Spatiale – visualisation of an idea, di Yona Friedman, un’installazione che, rendendo attuali
le utopie radicali del passato (Ville spatiale, 1956) dell’architetto artista, indaga sul tema
dell’imprevedibilità e della non dominabilità dei processi costruttivi urbano architettonici.
Apre un dialogo su tecnologie obsolete, sulle cose che non hanno più significato, funzione,
che si fermano, dando forma a un nuovo surrealismo, una ricerca architettonica e visionaria,
modello per giovani artisti. Nella Venezia assolata del mese di giugno, che pareva rinata,
glamour, mondana, investitrice nel mercato globale attraverso la ricerca di una nuova
immagine multichannel, la Biennale curata da Daniel Birnbaum, mi ha sorpreso sin dal primo
istante. Per la sua “complessità e molteplicità” di visioni, diversissime, del costruire il futuro
del mondo attraverso, con l’arte. Fare Mondi, mi ha rimandato all’interrogazione estetica di
Nelson Goodman, ma concettualmente evoluta attraverso lo spazio inteso come installazione
visiva e tecnologica, l’artista che si occupa delle nuove reazioni e di intercettare i segnali
deboli. Poche le rappresentazioni pittoriche, frammenti di percorsi attraverso lo storytelling,
ogni installazione parlava, parla di storie di mondi multiculturali, multietnici, inclusivi,
pluralisti. Fotografia “povera”, minimale, anticelebrativa, ibridata e contaminata, dimessa e
insieme ricca di contenuti colti e sofisticati, una Biennale, specchio del nostro tempo. Non
più euroamericanocentrica. Riflessiva, concettuale, questa rassegna è tornata a pensare e a
fare pensare. Mi ha fatto pensare. È negli spazi dell’Arsenale che accade, come ogni volta,
ciò che più emoziona. La percezione è quella della creazione di mondi quasi “in diretta”, la
creazione di nuovi mondi che agiscono là dove i mondi già esistenti si incontrano. Fantastica
l’“apertura” dei giochi di Lygia Pape con quell’installazione scultorea di grandi dimensioni:
una rarefatta geometria di fili dorati nel buio della prima sala che riporta lo sguardo al soffitto
e alla base ricercando, dalle diverse angolazioni, il punto di partenza, di creazione dell’opera
insieme artistica e architettonica. Evocativi e straordinari anche gli specchi di Pistoletto,
immediatamente successivi, che attraverso l’opera Seventeen Less One fa dialogare
distruzione e rigenerazione della vita. Di grande effetto emozionale – mi è proprio piaciuto! il video (Schegge d’Incanto in Fondo al Dubbio) di Masbedo e C.P. Company, accompagnato
dalle musiche dei Marlene Kuntz all’interno del criticatissimo, a torto ritengo, Padiglione
Italia, una video-audio installazione raffigurante l’immane e inutile sforzo dell’uomo nel
cercare di superare il soprannaturale. Ai giardini ciò che mi ha colpito è stato il padiglione
delle Repubbliche Ceca e Slovacca (Roman Ondak), con il suo allestimento naturalistico,
replicante i viali dei giardini, in un continuum che anela all’infinito; ma anche quello olandese,
come sempre capace di catturare l’attenzione di moltissimi spettatori, il video di Fiona Tan
(Disorient) attraverso dualità temporali stratificate disorienta il visitatore portandolo in un
“non luogo” dove tempo e spazio si sovrappongono. Efficacissima anche la grande tela
di ragno di Tomas Saraceno, quell’enorme groviglio di fili capace di bloccare la fisicità
dell’attraversamento, non lo sguardo verso l’infinito e l’ignoto. Interessante il lavoro Coro
Spezzato, di Rosa Barba, ossimoro di un coro silenzioso rappresentato da frammenti di testo
proiettati da cineprese “antiche”. Esemplare il lavoro di Bruce Nauman (uno dei miei artisti
preferiti), Topological Gardens, che stupisce in modo magistrale perché riesce a collegare
spazi e suoni regalandoci nuove geografie emozionali da esplorare. Daniel Birnbaum, mi ha
convinto, mi hanno convinto le pluralita’ dei linguaggi presenti: le installazioni, i video e i
film, la scultura, le performance… quasi tutto, per la capacità di questa Biennale di fare vivere
l’esperienza dal vivo, proponendosi come un’accademia multidisciplinare dove l’artista, ma
anche lo spettatore, vanno in scena.
A cura di Roberto Vidali
Da sinistra verso destra: in piedi
Alessandro Mircovich, Federica La Rocca e
Stefano Longo; seduto Maurizio Bradaschia.
Fotografia di Fabio Rinaldi
Come nasce e come vengono scelti gli articoli de Il Progetto?
“In July 1997 the first issue of the magazine Il Progetto was published. The editing team
was composed of, among others, Maurizio Bradaschia, Livio Sacchi, Antonino Saggio,
Maurizio Unali and myself. The decision was made to put Peter Eisenman on the cover
because, at the time, he was in a very creative period. The issue was distributed at the
conference entitled “Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura” (Landscape
and the Zero Degree of Architectural Language) organized by Zevi in Modena in
september 1997. It was an event that must be read as the relaunching of justifications for
experimentation in Italy, both because it represented an opening towards environmental
isuue and because it declared the end of research focused exclusively on the typical
language of the 1980s. After much discussion, in the second issue, published in January
1998, the editors decided to place Massimiliano Fuksas on the cover. At the time Fuksas
was not so well known, largely as a result of his ostracism by academic culture. It was
precisely during these years that a new critical movement was born, mainly outside of
the universities”. Così scrive Luigi Prestinenza Puglisi nell’editoriale di Architectural
Design di maggio/giugno 2007 dedicato all’Italia, Italy: A New Architectural Landscape.
Era il 1995, agosto, e se ne discuteva; un anno dopo, con Livio Sacchi e Maurizio Unali
costituimmo un gruppo di 30, 40enni di diversa provenienza e formazione geografica, un
gruppo interdisciplinare, e fondammo la rivista. Una rivista che sottotitolava “quotidiano
trimestrale di architettura, arte, comunicazione e design”, a voler evidenziare la “freschezza”
e immediatezza dell’informazione nei campi più disparati del progetto. Divisa in sezioni:
La partita di scacchi, Architettura, Arte, Comunicazione, Design, Ibridazioni, Anteprima,
aveva, come in alcuni importanti quotidiani, la sezione/rubrica “terza pagina”, il luogo
dove dibattere e discutere di questioni culturali di primo piano. L’editoriale del n.1 così
recitava: “Il Progetto si occuperà di architettura, arte, comunicazione, design. Il nostro
obiettivo è avvicinare i problemi posti dalla scena contemporanea: la globalizzazione della
cultura, la dimensione etnica, l’interazione tra le arti, la sostenibilità tecnologica, il rapporto
natura/artificio. Indagheremo i linguaggi, ma anche le tecniche dell’architettura, dell’arte
e delle diverse forme di comunicazione, perché crediamo nella continuità dell’azioneprogetto, nella sua forza. Chiederemo alle punte più avanzate della nostra contemporaneità
di raccontarci le sperimentazioni in corso. Cercheremo inoltre di definire un punto di vista
da cui costruire architetture, proponendo una elaborazione progettuale dinamica, che
non solo conviva, ma sappia – come l’arte, il cinema, la musica, la letteratura – trarre
ispirazione poetica anche dal negativo, da condizioni generalmente definiti di “degrado”.
... “Una prospettiva che sappia indicare strade nuove; includere considerazioni eteronome.
Il coinvolgimento di collaboratori, clienti, fruitori, richiede infatti un pluralismo critico
reale e non di facciata. La comprensione della cultura contemporanea richiede un radicale
sforzo di inclusione, liberazione, adattamento e messa a punto di ogni modello di giudizio
precostituito: esclude l’esclusione. L’identità contemporanea è trans-territoriale e multi
linguistica. La nuova dimensione culturale è legata alla centralità dei marginalismi. Los
Angeles e New York non sono lontane da Hong Kong e Tokyo o da Amsterdam, Londra,
Berlino e Roma, città globali costrette a misurarsi con la società multietnica. Il paesaggio
contemporaneo è privo di inizio e di fine, di limiti e confini, è labirinto dell’accidentale.
Lo spazio urbano è sostituito dalla simulazione, dall’agglomerazione multimediale,
dalla sovrapposizione incontrollabile e invisibile delle reti informatiche. La sua identità
è fluida, instabile, in continua ridefinizione. Chi progetta, nel dare forma a voci diverse,
traduce e interpreta la complessità di ciò che vede, legge, ascolta. In ambito estetico il
riconoscimento del molteplice come ibridazione, richiede l’esercizio della scoperta. Ma
prevede anche il compito di ripensare le condizioni stesse attraverso le quali apprezziamo
l’arte, comprendiamo l’architettura, ne tracciamo la storia”.
editoriale e pubblicistica, che io considero e chiamerei di promozione e divulgazione
culturale. Esiste un problema, di non comunicazione e comprensione, tra la società civile
e il mondo dell’architettura, della cultura architettonica. Ciò che appare essenziale agli
addetti ai lavori non lo è affatto per i non addetti. Le migliori architetture, ovunque, sono
osteggiate dalla pubblica opinione. In Italia, più che altrove. Il nostro compito è anche
quello di informare, di parlare di qualità. Penso che con voi di Juliet molti siano i punti in
commune: l’Architettura, l’Arte, il Design, sono parte della nostra quotidianità. Il nostro
compito, “loosiano”, per certi versi, è quello di informare, forse educare il gusto. Le riviste
sono uno strumento di politica culturale. L’architettura lo è. È rappresentativa di un luogo,
di una società, di una cultura. In ciò trovo assonanze tra ciò che progettiamo e il nostro
progetto culturale.
Maurizio Bradaschia (Trieste, 1962) si laurea in Architettura presso l’IUAV nel 1987. Consegue il Dottorato di
Ricerca presso l’Università La Sapienza di Roma, è professore associato a Trieste, dove insegna “Recupero e
Conservazione degli Edifici” e “Progettazione Architettonica” presso la Facoltà di Ingegneria. Ha tenuto seminari e
conferenze presso la Columbia University di New York, la Facoltà di Architettura di Las Palmas di Gran Canaria, la
Facoltà di Architettura dell’Obafemi Awolowo University di Ile Ife in Nigeria e nelle principali Università italiane;
ricercatore nel Settlement Upgrading Programme (SUP), United Nations Centre for Human Settlement (Habitat),
Informal Settlement Upgrading in the city of Ibadan (Nigeria); è stato componente il working team transnazionale
italiano nel progetto Vision Planet (UE Interreg IIC), progetto di sviluppo spaziale dell’area centro europea,
danubiana e adriatica. Bradaschia è stato componente del tavolo tecnico TEM (Trans European Motorway –
ECE-UN). È fondatore e Direttore della rivista internazionale di Architettura, Arte, Comunicazione e Design Il
Progetto. È autore di oltre centotrenta pubblicazioni scientifiche. Ha scritto per le riviste Domus, ab, Il Giornale
dell’Architettura, Il Progetto, d’Architettura, Neoclassico, Hise; suoi progetti sono stati pubblicati su Architécti, ab,
Architekt, Area, d’A, Il Giornale dell’Architettura, Costruire, Il Progetto, Anfione e Zeto, l’Architettura-cronache
e storia, World Architectural Review, Paesaggio Urbano, Architetti, Juliet, Hise, Escala, Oris. Ha fatto parte di
numerose giurie di concorsi nazionali e internazionali di architettura. È stato uno dei 65 architetti invitati alla
Mostra “Dal futurismo al futuro possibile nell’architettura italiana” in occasione delle manifestazioni per Italia
in Giappone 2001. È stato co-progettista del Master Plan per Trieste Expo 2008, progetto esposto alla 9a Mostra
Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia, Metamorph, 2004; è tra gli architetti italiani pubblicati nel
catalogo del Padiglione italiano della 10a Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia. Maurizio
Bradaschia ha fatto parte del gruppo dei selezionatori per la medaglia d’oro per l’architettura italiana nell’ambito
della XX Expo Internazionale della Triennale di Milano (2002/2003, 2005/2006, 2008/2009). È stato advisor per il
Premio In/Arch-Ance nel 2005 e nel 2006. È stato Assessore alla Pianificazione Territoriale del Comune di Trieste.
Andando a ritroso, è stata in una edizione del salone del mobile
di Colonia dove la Kartell, nota azienda per la lavorazione
delle plastiche, e Philippe Starck, superstar tra gli industrial
designer, hanno deciso di presentare insieme le loro novità e,
per la prima volta al pubblico internazionale, il nuovo libro
“kARTell - 150 items, 150 artworks”, Skira Editore, 21x29,7
cm, cartonato, 180 colori per un totale di 288 pagine. Concept
di Franca Sozzani e Art Direction di Luca Stoppini.
A dire la verità questo lavoro era già stato proposto alla
Triennale di Milano e, dunque, la terra teutonica è stata la
prima tappa all’estero della lunga marcia dei “150 modi, e più,
per dire e per essere Kartell”.
Il Flagship Store di Colonia si è inserito così nel circuito
“Passagen” con un evento unico nel suo genere perché ha
unito alla presentazione degli ultimi pezzi della produzione,
quella di una nuova proposta editoriale, unica nel suo genere in
virtù dell’utilizzo di linguaggi diversi e dell’unione di mondi
paralleli quali l’arte, la moda, la fotografia e le arti visive.
Kartell, dopo i suoi tanti anni di attività, ha espresso in questo
modo il desiderio di raccontarsi sotto una nuova forma, lasciando
la parola ad interpreti d’eccezione quali sono i centocinquanta
nomi dei fotografi di moda, artisti contemporanei e personaggi
selezionati, provenienti dal mondo culturale e sportivo, che
hanno rilasciato la loro testimonianza presentando una foto o
un testo.
Tra gli ospiti illustri, che non hanno voluto mancare a questo
innovativo dialogo, ricordiamo Gian Paolo Barbieri, Michel
Comte, Sante D’Orazio, marco Glaviano, Paolo Roversi,
Francesco Scavullo, Mario Testino, Vedova Mazzei, Francesco
Vezzoli, Ellen Von Unverth (altri nominativi li citeremo
quando parleremo più dettagliatamente della nuova proposta
espositiva).
Un’iniziativa in cui convergono molteplici punti di vista
espressi dalla nostra cultura contemporanea costruita su
contaminazioni, rimandi, slittamenti di senso e di ruolo.
In un elogio alla libertà d’espressione e alla creatività, gli
oggetti protagonisti di questi scatti -dai prodotti più recenti fino
ai casalinghi del passato- si spogliano della loro tradizionale
funzione e si ripropongono come icone contemporanee
trasversalmente condivise da tutti noi.
Ironici e, allo stesso tempo inevitabili, artistici o mondani: i
pezzi fotografati diventano simboli e segni di un mondo più
vasto, “un sommario di immagini e di interpretazioni artistiche
di oggetti e mobili di uso quotidiano” come dichiara Franca
Sozzani, direttore di Vogue Italia e curatrice dell’evento in
oggetto, dove “ogni singolo pezzo sfila in un gioco visuale
animato dalla magia della fotografia”.
In occasione del 60° anniversario dell’azienda il Museo
d’Arte “Ugo Carà” di Muggia (Trieste) ha richiesto al
Museo Kartell di Noviglio (Milano) diretto da Elisa Storace
la proposta espositiva e, in collaborazione con Juliet design
magazine, l’ha inserita nel ricco calendario della 5a edizione
del festival triestèfotografia.
La nuova versione della mostra è composta da immagini
firmate da autori di indubbia fama selezionati dal più ampio
corpus presente nelle pagine del libro; una selezione degli oltre
centocinquanta scatti realizzati per il volume e firmati dai più
grandi artisti contemporanei e fotografi del mondo che hanno
messo al centro delle loro opere i pezzi di design prodotti
da Kartell, rendendoli eroi di storie magiche, protagonisti di
mondi altri, visionari e inaspettati.
Sedie, tavoli, cassettiere e complementi unici nel loro genere,
progettati dai maestri del design italiano e internazionale, sono
posti in una luce inedita, estranea al loro essere oggetti d’uso
quotidiano e capace di farne risaltare, attraverso inconsueti
paesaggi domestici o territori onirici, la raffinatezza delle
forme e il potenziale scultoreo.
Le opere di David Lachapelle, Karl Lagerfeld, Peter Lindbergh,
David Bailey, Don Cunningham-Maurizio Cattelan, Armin
Linke-Vanessa Beecroft, Jean-Baptiste Mondino, Helmut
Newton, Virginia Del Giudice, Michelangelo Di Battista,
Fabrizio Ferri, David Ferrua, Luca Fregoso, Giovanni Gastel,
Piero Gemelli, Oberto Gili, Ranjit Grewal, Paolo Pagani, Nick
Scott e Bruce Weber documentano come si è evoluto uno spirito,
o meglio un gusto, che fa dei componenti Kartell presenze
rintracciabili nelle situazioni abitative poste a diverse latitudini
e tra i vari strati sociali. È la loro caratteristica ubiquitaria,
questa trasversalità che li rende oggetto dell’estro dell’artista,
per cui il posacenere, la lampada, la poltrona, la fluttuante
libreria sono protagonisti di rappresentazioni ora fantastiche,
o visionarie o ironiche di vita. Una capacità interpretativa che i
componenti Kartell hanno d’altra parte inscritta nel loro codice
genetico: perché è la loro semplicità, la duttilità delle loro
forme, la corposità dei loro colori a farli diventare, nelle mani
di persone estranee al mondo del design, come sono gli autori
di questo libro, gli interpreti di una scelta estetica, gli emblemi
di un approccio ironico e divertito alla realtà circostante.
Da rilevare infine che un’anteprima della mostra è stata
ospitata dallo Spazio Italia by Air Dolomiti, il gate privato
della nota compagnia aerea partner della Lufthansa (e sponsor
fondamentale per la realizzazione delle ultime quattro edizioni
del festival dello scatto d’autore), situato al Terminal 2 del
Münich Airport International.
Alessio Curto
Un’anima, 150 volti
Immagini dal libro kARTell. 150 Items. 150 Artworks
JULIET
Comune di
Muggia
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design magazine
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© Virginia Del Giudice
© Piero Gemelli
© Peter Lindbergh
© Karl Lagerfeld
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Perché un hotel 3 stelle
Un’analisi dei consumi attuali e delle strutture alberghiere esistenti in
Europa, considera come principale cliente da soddisfare colui che, per
cultura, livello sociale e reddito era abituato a frequentare hotel 4/5 stelle e
che oggi, per le condizioni economiche drasticamente modificate, ha a sua
disposizione un budget più contenuto. Questo soggetto, che viaggia sia per
lavoro che per turismo, ha di solito esigenze estetiche e di comfort molto
alte, che vorrebbe mantenere e, di conseguenza, soddisfare. È anche attirato
da luoghi non convenzionali o comunque ‘speciali’. Inoltre è chiaro che la
ripresa sarà molto favorevole agli hotel fortemente brandizzati perché il
consumatore sceglierà hotel più autentici e caratterizzati.
Perché un hotel sostenibile
La nostra presenza a fianco di clienti e di aziende, che lavorano con progetti
a scadenza decennale, ci dice che non si può più prescindere dal progettare
secondo nuove modalità più attente ai consumi e all’ambiente. Progettare
per primi (non esiste ad oggi in Italia un progetto simile) un hotel totalmente
sostenibile, certificato Leed, Itaca, Cened o Breem fin dall’approccio
progettuale, passando per quello costruttivo, fino alla sua gestione,
rappresenta, anche dal punto di vista della comunicazione, una grande
chance. Il nostro sarà un hotel di design con una forte identità progettuale,
adatto al vivere contemporaneo; i suoi valori ecologici e conviviali saranno
declinati secondo un modello decorativo semplice ma, negli spazi comuni,
di rottura rispetto ai codici spaziali tradizionali; non avrà le caratteristiche
di un hotel di lusso, ma sarà estremamente accattivante, sia per un pubblico
italiano che straniero.
Cosa significa ‘sostenibile’
L’esperienza dello Studio Blast Architetti, che da ormai diversi anni
si è misurato con il tema della sostenibilità, realizzando gli edifici per il
terziario e la ricerca scientifica del Comparto Carbon Zero in Kilometro
Rosso, ci permette di proporci come interlocutori seri e professionali.
Inoltre, ci avvaliamo della collaborazione di BMS Progetti, organismo di
progettazione specializzato nel campo delle strutture che ha sviluppato,
nel tempo, specifici know-how nelle diverse discipline e l’attitudine al
coordinamento tecnico ed alla integrazione delle diverse specialità con un
approccio multidisciplinare al progetto. E di Manens Intertecnica, società di
ingegneria fondata nel 1971 e costituita da sessanta specialisti nei vari settori
degli impianti generali destinati a complessi civili, industriali ed urbanistici.
Dalla sua nascita la società lavora secondo i criteri della progettazione
integrata e della sostenibilità. Dalla sua fondazione Manens Intertecnica è
socia del Green Building Council Italia e parte della Commissione Energia
del Leed Italia. Questo sapere ci sta guidando nella progettazione della
struttura architettonica, ingegneristica ed impiantistica, ma anche nella
definizione della gestione dell’albergo, che andrà di conseguenza. Oggi
l’aggettivo ‘sostenibile’ è profondamente abusato. Non basta usare carta
riciclata o materiale biodegradabile per definire una struttura ‘sostenibile’.
Sostenibile significa progettare pensando al minor impatto ambientale sin
dal cantiere: dunque un cantiere veloce, controllato e organizzato nella
qualità della manodopera, pulito e sicuro. Significa progettare l’albergo
valutando tutte le possibili fonti di risparmio energetico attraverso le
energie rinnovabili più adeguate, ma anche progettarlo in modo che la
manutenzione sia il più possibile ridotta e la gestione il più possibile rapida
ed efficiente. Significa arredarlo e decorarlo con materiali e prodotti di un
design non fine a sè stesso, ma funzionale col progetto. Significa pensare
ad una accoglienza semplice ma anche attenta alle esigenze del viaggiatore,
con poche ma precise offerte veramente utili ed efficaci.
Come pensiamo di costruire
La progettazione integrata permette attraverso software mutuati dal mondo
dell’industria di conoscere le prestazioni dell’edificio ancora prima di
costruirlo. Inoltre l’industrializzazione del processo produttivo del manufatto
architettonico consente un accurato controllo della filiera produttiva,
la garanzia che ogni componente sia già certificata all’origine tempi di
costruzione rapidi e noti, il montaggio e non la costruzione dell’edificio in
cantiere costi contenuti e certi. L’albergo sostenibile sarà costruito in tempi
rapidi, avrà costi di gestione minimi e produrrà energia.
e nelle parti comuni useremo un pavimento tessile a forte riduzione acustica
e realizzata in quadrotte facili da sostituire, dunque nessuna superficie
da smacchiare o lavare con prodotti speciali. Non ci sarà il frigo bar da
controllare e riempire perché, invece che un elemento per ogni stanza, ce
ne sarà uno, molto affascinante, piano per piano. La biancheria è studiata in
modo da essere lavata ma non stirata. Si evita così di entrare nelle grinfie
delle lavanderie, ma anche di consumare energia per lo stiraggio: il prodotto
avrà la qualità e l’immagine di sofisticati prodotti italiani.La prenotazione,
il check-in e il check-out saranno gestiti sia dal personale che da un sistema
informatizzato. Questo per offrire sia un rapporto diretto col cliente più
tradizionale che un sistema rapido e ormai necessario a chi viaggia per
lavoro. Il breakfast verrà servito solo nella sala colazione e sarà totalmente
self-service. La sala colazione sarà aperta 24 ore su 24 e ciascun cliente si
potrà servire per uno snack con cibi scelti ad hoc, in relazione ai vari presidi
Slow-Food legati al territorio.
Customizzazione
‘Customizzazione’ significa aver la possibilità di personalizzare il
progetto secondo il proprio gusto e le proprie esigenze. Il progetto di
H3hotel è diviso in due parti: l’Hard-ware e il Soft-ware. La parte Hardware riguarda la modalità costruttiva, ingegneristica ed impiantistica: è
un modello sofisticato che non può essere variato se non nelle esigenze di
produzione energetica legate alla collocazione geografica. La parte Software riguarda la decorazione d’interni e può essere personalizzata a patto
di mantenere le caratteristiche indicate nel modello base. La struttura è
flessibile e permette di essere realizzata sia su lotti urbani (in altezza)
che su lotti periferici (in larghezza). Le facciate sono pensate per essere
valorizzate secondo la loro esposizione, in sintonia con le esigenze di luce
e produzione energetica.
Cosa ci differenzia dagli altri hotel
La velocità dei tempi di costruzione che incidono positivamente
sull’investimento finanziario. La struttura totalmente sostenibile e dunque
costi energetici e di gestione certi e controllabili, oltre alla possibilità di
accedere al Conto Energia e ai finanziamenti governativi e regionali
destinati alla sostenibilità. Il decor moderno e di design. L’ampiezza delle
camere: 19 mq. contro i 14 mq delle catene straniere. L’offerta globale del
concept, che lo rende attuale ed unico nel suo genere. La customizzazione
che permette di personalizzare l’offerta al cliente.
A cura di Alessandra Mauri
Blast Architetti
Lo Studio Blast Architetti è stato fondato nel 2001 ed è attualmente
composto dai tre soci Luca Bombassei, Franz Siccardi, Simona Traversa
e da una ventina di professionisti. Blast ha sede a Milano e Bergamo,
all’interno del Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso. Da marzo
2008 sono operative anche una nuova sede ad Abu Dhabi, negli Emirati
Arabi e una a Bucarest, in Romania per lo sviluppo di progetti nell’Est
Europa. Dal 2001 lo Studio Blast ha lavorato al coordinamento progettuale
del Parco Scientifico Tecnologico dove ha progressivamente approfondito
la sperimentazione dell’architettura sostenibile con la progettazione del
Centro delle Professioni e del Centro per l’Innovazione dell’Università
degli Studi di Bergamo. In linea con questo orientamento sono anche i
più recenti progetti dello studio: l’E-motion park®, un innovativo format
commerciale dedicato al mondo dell’automotive, i Flagship store europei
di Skitsch®, nuovo marchio di design sostenibile, i Baby caring®, centri di
intrattenimento e gioco per bimbi e genitori, la Città dei Bambini WOW®,
un parco ludico-ricreativo con finalità pedagogiche e gli edifici turistici,
commerciali e per uffici attualmente in fase di studio in Romania. Il progetto
H3hotel è stato sviluppato da Blast in collaborazione con Alessandra Mauri
consulente per l’ideazione del concept, che ha selezionato le aziende partner
e coordinato il team di lavoro. All’interno dello studio, nella progettazione
di H3hotel, i soci di Blast Architetti sono stati affiancati da Michal Rucinski
(capo progetto), Francesca Ciuffreda, Prisco Ferrara, Chiara Petrillo e
Golnaz Salehi Mourkani.
Cosa offriamo al gestore
Innanzitutto una struttura che avrà costi energetici molto bassi, con un
sistema di controllo intuitivo ed efficace. E che, pur mantenendo una
grande qualità nel servizio, permetterà di lavorare con meno personale che
un normale 3 stelle.
I materiali scelti sono tutti di facile manutenzione. Le camere non avranno
lampade a piantana o da comodino, nessun cassetto. Il consumo di una
camera è ulteriormente ridotto a 168 watt (rispetto ai 200 watt di un 3 stelle
di recente progettazione), ma non cambierà l’atmosfera, che sarà calda
e funzionale. Nei bagni, rivestiti da lastre di Kerlite, rubinetti e doccia
garantiscono un risparmio d’acqua pari al 30% e il riciclo delle acque grigie
potrebbe portare a salvare più di tre milioni di litri in un anno. Nei corridoi
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design magazine
Luca Nichetto “Venti4 Set”, 2010
prod. Italesse - Trieste
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Casa Brutus è una rivista dedicata agli appassionati di architettura e alle persone interessate a tutto quello che sta succedendo nel campo del visual design in Giappone.
Ha un’identità molto marcata frutto del lavoro espresso dal suo art director Yasushi Fujimoto di Cap. La cover è dell’extra issue dedicata a Charles-Edouard Jeanneret-Gris, in arte Le Corbusier. Per maggiori info: http://magazineworld.jp/casabrutus
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Per presentare i nuovi prodotti dolciari Togo, l’Agenzia Nadler Larimer & Martinelli ha ideato uno spot dove una sensuale donna è colta in un momento intimo serale dedicata a se stessa e, naturalmente, a Togo. Il tutto con il key-visual del brand: la chaise-longue LC4 di Le Corbusier.
“Il tuo appuntamento quotidiano con il piacere” è il tema copy della campagna firmata da Dario Primache e Niccolò Martinelli. La regia è di Anderes Hallberg. Courtesy Brwfilmland
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François Pinault ritratto nel suo Centro d’arte contemporanea Punta della Dogana a Venezia attorniato dalle opere di Maurizio Cattelan (il cavallo impagliato) e le resine di Rachel Whiteread.
Il restauro dello storico complesso del XVII secolo è di Tadao Ando. La prima esposizione è stata curata da Alison Gingeras e Francesco Bonami. Ph. Luc Castel. Courtesy Palazzo Grassi Spa – Paola C. Manfredi Studio
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Maria Vittoria Backhaus con la direzione artistica di Natalia Corbetta firmano la campagna pubblicitaria per Flexform, industria per l’arredamento di Meda (MB). Nella foto d’autore è ‘ritratto’ il modello Cestone disegnato da Antonio Citterio. Courtesy dell’azienda
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Designer della Tonon & C. spa di Manzano (UD). Da sin verso dx e dall’alto in basso: T. Althaus, G. Appeltshauser, G. Assmann + A. Kleene, M. Ballendat, E. e P. Ciani, Demackerdesign, F. Di Bartolomei, Guggenbichlerdesign. St. Heiliger, C. Heimberger, B. Leniger e G. Raible,
Lepper – Schmidt – Sommerlade, P. Maly, P. Mourgue, E. Nanni, P. Nava, F. Poli, M. Rexforth, D. Ross, J. Sohn, K. Weigel. Non sono presenti in foto ma collaborano con l’azienda anche L. Bellini, A. Lang , O. Tusquets Blanca e il gruppo Wiege
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Quartiere generale Vitra Weil am Rhein (Germania). Dopo che nel 1981 un incendio distrusse gli stabilimenti produttivi, venne chiamato Grimshaw per progettare la prima nuova fabbrica. Nel 1986 un altro stabilimento è stato realizzato da Siza. Nel 1989 Gehry progettò
il Vitra Design Museum. Nel 1993 Hadid disegnò la caserma dei pompieri e Ando il padiglione per conferenze. Infine con Herzog e de Meuron il Campus si è arricchito di una nuova icona dell’architettura contemporanea. Fotografia di Paola de Petri. Courtesy © Vitra
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Nel 2001 lo studio Numen + For use è stato insignito
dalla Croatian Design Society del premio sia per il
Graphic che per il Product Design. Un riconoscimento
che sottolinea la qualità del lavoro del gruppo di
giovani professionisti che si nasconde sotto il nome
comune. Numen + For use spazia dalla progettazione
di libri e cataloghi, al disegno di oggetti d’arredo, alla
organizzazione di eventi. È nato dalla collaborazione di
Sven Jonke con Cristopher Katzler e Nikola Radeljkovic.
Mostre, fiere e allestimenti sono fatti con Toni Uroda
e Jelenko Hercog. Tutti hanno studiato alla Facoltà di
Architettura dell’Università di Zagabria tranne Cristopher
Katzel che si è laureato alla Scuola di Arti Applicate di
Vienna. Tra le realizzazioni più significative del gruppo:
“HPL”, prod. CAPPELLINI spa - Arosio (CO)
NUMEN
+
“SMLX”, prod. ZANOTTA spa - Nova Milanese (MI)
il lay-out e la grafica del 34mo Salone di Zagabria per
l’Associazione Croata dell’Arte (1999); il concetto spaziale
per l’evento di musica elettronica mensile Stereo Studio
per l’anno 2000; lo stand per S-ECO, leader croato
nella commercializzazione di legno tropicale (2004);
recentemente per Cappellini hanno disegnato il sistema
di tavolini con cassetti HPL e la seduta FU-05; i modelli
di sedia FU-06 e FU-09 sono in produzione presso MDF
Italia, mentre SMLX è prodotta da Zanotta.
Il lavoro di Numen + For use è contrassegnato da una
cifra stilistica che riporta al rigore del moderno. Rigore
che supera il formalismo minimalista – o modernismo
di poliestere, come è stato definito -, nella percepibile
tensione ad integrare concetti quali innovazione e
identità. Forma e contenuto si coniugano per dare
vita ad un oggetto – sia un manifesto, una sedia o
un allestimento – dove la qualità del progetto viene
costantemente riaffermata. Nel panorama culturale della
Croazia, il gruppo ha dato un contributo al processo di
rigenerazione della produzione contemporanea della
grafica e del design del prodotto.
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FOR
USE
“FU-09”, prod. MDF ITALIA srl – Milano
Qing Yue, textile designer
con la natura, intesa come ordine cosmico, in cui fluttuano i
soggetti e simboli di Qing Yue: cavalli, grilli, draghi, anatre,
pesci, farfalle, icone classiche dell’immaginario orientale sono
sostenute da un sottile contrappunto cromatico. Nei suoi ultimi
lavori Qing Yue utilizza il corpo come tela, dipingendo i suoi
soggetti sulla pelle, e fotografando il risultato con attenzione. Il
prodotto finale è un’opera contemporanea, incisiva, composta
da una fotografia e un dipinto.
Doppia
Felicità,
Shuangxi,
NELLE
TEXTURE
di QING YUE
Storia delll’ideogramma Shuangxi
Wang Anshi (1021-1086) era un celebre poeta e riformatore
dell’epoca dei Song del Nord. All’età di 20 anni, mentre si recava
nella capitale per presentarsi agli esami imperiali, passò per
Maqizhen e vide incollata sulla porta di una famiglia ricca la prima
metà di un duilian, un distico, che diceva: “Nella lanterna dei cavalli
che galoppano (nome originale della lanterna delle ombre cinesi) si
vedono correre dei cavalli; questi si fermano quando la lanterna si
spegne”.
“Ecco la prima parte di un duilian, si disse Wang Anshi, perché non
comporre la seconda?”. Ma, al pensiero che doveva presentarsi agli
esami, decise che l’avrebbe composta al suo ritorno.
Giunto alla capitale, Wang sostenne gli esami e l’ultima prova
consisteva proprio nel completare un duilian. Sentendo l’esaminatore
capo leggere: “Sullo stendardo della tigre alata si vede volare la tigre;
questa si nasconde quando lo stendardo si arrotola”; Wang Anshi,
improvvisamente ispirato, rispose senza esitare “Nella lanterna dei
cavalli che galoppano si vedono correre dei cavalli; questi si fermano
quando la lanterna si spegne”. Terminati quindi gli esami, Wang
Anshi raggiunse nuovamente Maqizhen e scrisse a fianco del primo
verso del duilian: “Sullo stendardo della tigre alata si vede volare la
tigre; questa si nasconde quando lo stendardo si arrotola”.
Il padrone della casa fu molto soddisfatto di questo verso di Wang
Anshi, e gli spiegò che questo era stato uno stratagemma da lui
ideato per trovare un genero.
Poiché Wang Anshi aveva dato la giusta risposta, il padrone gli
chiese di sposare al più presto la figlia. Nello stesso momento giunse
la notizia che il nome di Wang Anshi figurava sulla lista dei promossi
agli esami imperiali. Felicissimo, il padrone dichiarò: “Ecco una
felicità che si aggiunge ad un’altra”.
Wang Anshi, ancora più felice di lui, prese il pennello, scrisse un
grande carattere di Shuangxi cioè “Doppia felicità” e diede l’ordine
di incollarlo sulla porta.
Qing Yue (Luna Chiara) è nata a Macao da padre triestino,
ufficiale della marina mercantile italiana, e da madre cinese,
discendente da una famiglia della nobiltà mandarina. Ha
vissuto a Macao, Hong Kong, Mumbai e e Trieste dove oggi
risiede e lavora. Frutto dell’unione tra due culture estremamente
distanti, che s’intersecano con misura ed equilibrio nei suoi
lavori, il suo operare artistico testimonia le radici eclettiche
della sua famiglia e le diverse culture incontrate nel corso della
sua vita. Ha al suo attivo numerose partecipazioni a mostre
sia in Italia e che all’estero; è operatrice culturale nell’ambito
di un’organizzazione dell’ONU dove si occupa del settore
culturale-espositivo ed è membro dell’Accademia United
Nations of the Arts, UNA, di Trieste.
La dicotomia oriente/occidente, poesia/pragmatismo, dolcezza/
fermezza, yin/yang, sono significativamente rappresentati nelle
sue texture rendendone graffiante la presenza nel panorama
artistico. Il ritmo silenzioso del mistero e il fascino che Qing
Yue declina elegantemente su stoffe preziose e scintillanti
oppure sui corpi di giovani modelli, ci fa ripensare con lievità
alla divulgazione della cifra orientale in Europa dopo la metà
del XIX secolo. Il ritmo incalzante e, al tempo stesso, delicato
dei motivi zoomorfi impressi dalle matrici create espressamente
dall’autrice per le sue opere ricorda proprio la ripetitività dei
soggetti e l’assenza di prospettiva nell’antica arte cinese. Al
contempo, i suoi lavori rappresentano il sogno di armonia
e libertà che s’identificano nel felice connubio dell’uomo
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JULIET
contemporaneamente centro federale trieste
H2Open space
“Proust”, serie Digital Print, prod. Abet Laminati; disegno di Alessandro Mendini; fotografia di Cesare Genuzio
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“click-switch”
“L’interruttore Switch
è tra gli oggetti che io
amo di più”
Achille Castiglioni
Click-switch è il famoso interruttore rompifilo disegnato nel 1968 da Achille e
Pier Giacomo Castiglioni per la VLM
di Buccinasco (Milano). “L’oggetto di
cui sono più orgoglioso? L’interruttore
rompitratta, disegnato con mio fratello.
Prodotto in grande numero, è acquistato
per le sue qualità formali e nessuno, nei
negozi di materiale elettrico, ne conosce
l’autore. È piacevole da tenere in mano,
ha un bel rumore… e spesso quando entro in una camera d’albergo in giro per
il mondo, e allungo la mano per cercare
l’interruttore dell’abat-jour, trovo il nostro
rompitratta”. Dagli studiosi è considerato
il progetto più ‘ideologico’ firmato dal
grande maestro del design italiano.
Paolo Ferrari, Achille Castiglioni,
Electa, Milano 1984, pp. 132-133;
Silvia Giacomoni e Attilio Marcolli,
Designer italiani, Idealibri, Milano
1988, pp. 135, 141; Enrico Arosio (a
cura di), Achille Castiglioni: gli interni? Impossibile, in “Abitare”, 1993,
323, novembre, p. 130; Beppe Finessi
(a cura di), Interruttore rompitratta,
in “Abitare”, 1998, 375, luglio, p. 98;
Paola Antonelli, Steven Guarnaccia,
Achille Castiglioni, Maurizio Corraini,
Mantova 2000; Sergio Polano, Achille
Castiglioni. Tutte le opere 1938 - 2000,
Electa, Milano 2001, p. 252; Francesca
Appiani (a cura di), Design interviews.
Achille Castiglioni, Museo Alessi –
Maurizio Corraini 2007, p. 17,-18.
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e-mail
Caro Philippe Starck,
voglio iniziare questa mia nuova rubrica scrivendo una lettera proprio a te, che sei il designer
più famoso del mondo.
Ti scrivo per dirti che non sei il mio designer preferito, ma ho comprato tre lampade progettate
da te. Non mi piace tanto quando a tutti i costi cerchi una cifra stilistica, imponendo un segno
(il tuo corno, per esempio) su ogni cosa. Mi piace moltissimo, al contrario, quando rileggi
l’estetica di un oggetto del passato in chiave contemporanea. Come non ricordare che sei stato
tu a inaugurare il filone del neo – tradizionale nel Design, oggi tanto popolare,
almeno due decadi fa?
Ho comprato Miss Sissi, Miss K T e Walla Walla. Le ho acquistate perché, quando le ho viste
in negozio, tra mille altre, è stato come scoprire un oggetto in un Charity Shop,
o in un mercatino. Dentro mi ha vibrato la corda rassicurante della tradizione.
Simultaneamente trillava il campanello dell’innovazione.
Due suoni diversi che insieme facevano un accordo armonioso.
Walla Walla, addirittura, era in svendita, e l’ho pagata davvero poco. Mi è sembrato
di fare un affare: un’applique moderna, fantasma di una vecchia lampada a muro
plissettata, geniale nella sua semplicità costruttiva! Ha un grande valore aggiunto:
è frutto di studio, esperienza, professionalità. In poche parole, dietro c’è un progetto.
Di primo acchito mi verrebbe da dire che sono tutte uguali, tutte ispirate al medesimo
archetipo di abat-jour vittoriana, e che tu replichi te stesso all’infinito.
Invece devo dire che hai declinato l’archetipo in tante maniere diverse,
inserendo in ognuna degli elementi di sorpresa.
Ti confesso che le ho comprate spinta dal più banale dei comportamenti d’acquisto:
l’impulso.
Pur sentendomi tanto originale perché anch’io sono una designer, mi sono accorta
di essere tale e quale ai milioni di normalissime persone che hanno acquistato un
oggetto disegnato da te. Molte forse lo hanno acquistato perché pensano che i
tuoi oggetti siano degli status symbol. Io no. Quindi, in un certo senso,
è ancora peggio: il mio acquisto è stato davvero sincero.
Non posso dire altro che sei bravo. Sei un grande professionista.
Anna Lombardi
gennaio 2010
Allegati:
Miss K T, 2003-2004,
produzione Flos
Lampada da tavolo a luce
diffusa. Corpo in PMMA
(polimetilmetacrilato)
trasparente stampato
ad iniezione.
Diffusore interno e esterno
in policarbonato stampati ad
iniezione.
Finitura interna con processo
di alluminatura sottovuoto
Packaging di Miss Sissi,
1991, produzione Flos
Lampada da tavolo
a luce diretta e diffusa.
Corpo lampada,
diffusore e
supporto diffusore
stampati ad iniezione in
policarbonato colorato
Campagna pubblicitaria
di Walla Walla,
1994, produzione Flos
Lampada a parete
in tecnopolimero
85
REPRINt
Tratto da / taken from: Juliet n. 15,1984, p. 9
INTERVISTA AD ADOLFO NATALINI
Architetto Natalini, attualmente
in quali progetti è impegnato?
Atualmente mi sto dedicando ad
alcuni grandi progetti per diverse
città, in particolare per due piazze
a Firenze e per altre città europee.
Non è un fatto casuale. In fondo
sono sempre stato interessato
all’architettura contestuale, cioè
legata soprattutto alla città antica.
Mi stimola molto questo rapporto
con le tracce stratificate delle
memoria, i miei progetti hanno
sempre teso a questa integrazione
con la città. E poi vorrei
puntualizare che sto cercando
di limitare un po’ il mio campo
di operazione. Una volta amavo
molto la dissoluzione dei confini
disciplinari, cercando di fare
design, arte, architettura, interni,
eccetera. Ora preferisco una
collocazione disciplinare più dura,
cioè sono un architetto che fa
architettura.
A proposito di collocazioni, si
sente più vicino ai neo-moderni o
ai post-moderni?
Onestamente non riesco a
collocarmi in nessuna di queste
categorie, perché non mi interessa
la nozione di moderno, che è molto
ambigua, e quindi non riesco a
collocarmi all’interno di qualcosa
che assume questa nozione come
una fondazione anche se poi la
supera, la contesta, eccetera.
Questo rapporto con il moderno è
molto riduttivo. Mi interessa invece
l’architettura nella sua estensione
più vasta possibile. Se proprio devo
collocarmi in qualche segmento,
allora mi colloco in quello
dell’architettura contestuale,
oppure posso dichiarare certi
miei interessi per un’architettura
di fattura artigianale. Credo in
un’architettura che si fa con certi
mezzi, che sono fondamentalmente
mezzi tradizionali, e che si
fa usufruendo di un sapere
antichissimo, nel quale l’idea
86
86
di moderno e di contemporaneo
giocano un ruolo, ma un ruolo
abbastanza limitato.
Lei ha affermato che
l’architettura è l’arte del tempo
e della memoria. Che cosa
significa?
Si è trattato di una affermazione
lievemente provocatoria, dato
che la mia generazione è stata
invece turbata dall’idea che
“l’architettura è l’arte dello
spazio”. Se l’architettura fosse
veramente l’arte dello spazio,
forse sarebbe stata risola
definitivamente già da molto
tempo. Io penso invece che
l’architettura, come tutte le arti,
ha più a che fare col tempo e con
la memoria che con lo spazio.
La capacità del ricordare è la
capacità di incidere sul tempo,
del riuscire a progettare un
tempo. L’architettura è quindi
un’operazione che non si basa nel
presente, che è un punto e per di
più in movimento, ma affonda le
proprie radici e i propri strumenti
nel passato, nel tentativo di
modificare il futuro, nel tentativo di
creare un futuro possibile.
D’altronde penso che senza
memoria non esisterebbe nessuna
possibilità di comunicazione e
quindi nessuna possibilità di vita.
Lei ha pure affermato che
l’archetipo dell’architettura è la
foresta...
Questa della foresta è
un’immagine presente in una
quantità enorme di architetture e in
fondo esiste tutta una serie di storie
che riconducono l’architettura
a delle sue mitiche origini
vegetali. è anche un’immagine
che ritroviamo in continuazione
in tutta la letteratura, dalla
Divina Commedia di Dante al
sogno di Polifilo. è un archetipo
dello stato oscuro attraverso cui
passa il sognatore, o comunque
l’individuo, per arrivare ad uno
stato di illuminazione. Diciamo
quindi che ho collegato l’immagine
dell’architettura all’immagine
della foresta per cercare da un lato
una rassicurazione in un passato
arboricolo, naturale, e dall’altro
per sottolineare lo stato ambiguo
e oscuro dell’architettura. Perché
l’architettura non consegna delle
certezze, si limita tuttalpiù ad
additare degli stati di illuminazione
al di là di una situazione che
è sempre abbastanza oscura.
Per questo è difficile spiegare
un’architettura. Se un’architettura
è tutta spiegabile allora è un puro
fenomeno di restituzione di dati,
una tautologia.
Perché le sue architetture sono
spesso cariche di elementi e di
riferimenti simbolici?
Io penso che tutti i progetti sono
carici di riferimenti simbolici,
proprio per evitare di diventare
pure tautologie. Magari la mia
architettura usa in maniera
molto massiccia dei riferimenti
letterari. Questo perché mi sento
per formazione più vicino a certi
scrittori o a certi poeti che non alla
maggior parte degli architetti. Ma
soprattutto perché l’architettura
è un linguaggio e il suo scopo è
appunto quello di convincere, di
raccontare, di spiegare, usando
quindi degli strumenti analoghi a
quelli letterari, come la retorica.
Usando la retorica usa figure
retoriche, come l’allegoria e
la metafora. I miei progetti
sono molto spesso chiaramente
allegorici e metaforici anche
perché non hanno la saldezza e la
presenza dell’oggetto costruito.
Devo cercare di comunicare il più
possibile usando degli artifici, che
poi al momento della costruzione
potrei anche in gran parte
abbandonare. L’oggetto costruito
riesce a parlare da solo.
Martino Ghermandi
REPRINt
Tratto da / taken from: Juliet n. 32, 1987, p. 25
INTERVISTA A mario botta
In ogni caso rispetto
alla modernità lei
come si pone?
La modernità sono i miei
genitori e come ogni figlio nutro
verso di lei sentimenti di
odio-amore.
Io mi sono formato alla scuola
del movimento moderno, ho
vissuto la morte di tutti i maestri
del movimento moderno, sono
grato a questo straordinario
movimento, che ha posto sul
tavolo del vivere di oggi taluni
problemi essenziali.
Il moderno è il territorio, è
l’eredità culturale sulla quale
noi dobbiano agire.
è un patrimonio che ci è dato
e che dev’essere interpretato,
almeno per tutto quanto
riguarda i suoi aspetti positivi.
Evidentemente ci sono state
delle degenerazioni al moderno,
ma sarebbe un po’ ipocrita e
storicamente ingiusto attribuire
tutti i demeriti dell’attuale
disordine, dell’attuale
confusione, agli insegnamenti
del movimento moderno.
Quale ritiene che siano,
in architettura,
il valore e la funzione
della citazione?
Sono critico.
Io non credo che in
architettura convenga fare della
citazione.
C’è qualcuno che poeticamente
può permetterselo, ma quando
c’è poesia ci si può
permettere tutto.
Però la citazione in pietra
mi fa paura.
L’alibi degli architetti che
citano il passato, che trattano
il linguaggio della pietra come
un linguaggio parlato, per
cui fanno dei riferimenti con
l’ironia, con il gioco, secondo
me non regge, non mi sembra
che la casa si presti a
queste cose.
Vede, l’architettura ha delle sue
leggi etiche all’interno, che non
è possibile tradire. Innanzitutto
bisogna rispettarle.
Poi, se qualcuno ha qualcosa
in più, può anche citare, può
anche fare il verso all’antico,
non è certo un delitto.
Però assumere la citazione
come parametro di
giustificazione progettuale mi
sembra per lo meno azzardato.
Qualcuno l’ha definita
architetto-artigiano.
Lei come interpreta
questo binomio?
A me non fa male.
Mi farebbe più male se
mi dicessero che sono un
architetto-industriale.
Il fatto che mi dicano che
sono un architetto-artigiano
mi fa semmai piacere, perché
conosco nella natura del lavoro
dell’architetto una struttura
mentale artigiana, per cui si
deve provar piacere a far bene
le cose, come succedeva agli
artigiani, al di là dei problemi
di produzione, dei tempi,
dei costi.
Si deve ritrovare quell’umiltà
del lavoro, quel piacere del
lavoro, che è implicito al lavoro
Martino Ghermandi
stesso.
Mario Botta “Shogun terra” 1986, prod. Artemide – Pregnana Milanese (MI)
Aria mite, lampo di genio
negli occhi, quarantaquattro
anni che sembrano il doppio
o la metà.
Mario Botta parla del suo
lavoro con calma, con fede,
con risolutezza carismatica,
illustrando alchimie di cui non
svelerò mai il segreto.
è l’architetto del momento,
la nuova star della
progettazione.
In lui scorgiamo l’ansia
di ritrovare l’archetipo,
la tensione all’inesplorato; alle
sue spalle resta però
il richiamo dei maestri:
i fantasmi
di Carlo Scarpa, di
Le Corbusier,
di Louis Kahn.
Architetto, una volta
lei si è definito
“post-antico”.
Cosa vuol dire?
Era una battuta polemica
contro il post-moderno, perché
io credo che l’architetto viva sì
un momento dopo il moderno,
ma anche un momento dopo
l’antico, dato che prima del
moderno c’è l’antico.
Il fatto di aver detto, con una
battuta, di sentirmi ‘post-antico’
è perché mi sento più vicino ai
debiti culturali dell’antichità
che non a quelli della
modernità.
87
SPRAY
l La Galleria Fragile di Milano con
Alessandro Padoan, in collaborazione con la
Brian Kish Gallery di New York ha prodotto,
con pezzi di Mario Catizone e propri, una
retrospettiva sul design di Franco Albini
e Franca Helg, che spazia dalla ricostruzione delle balestre della struttura del letto della
VII Triennale (“Criteri per la casa d’oggi”)
fino alla ciottola in argento della San Lorenzo
(1970). L’operazione, sull’ala della qualità
dei prodotti, frammenti e prototipi, supera il
semplice intento celebrativo dell’occasione
dell’ultimo Salone del Mobile, per divenire
vera e propria indagine sull’interlocuzione finale con il produttore per le possibili varianti.
Nel catalogo il testo di Daniel Sherer approfondisce e aggiorna la tesi di Manfredo Tafuri
del “surrealismo così acuto nel suo realizzarsi
in un vocabolario tecnicamente impeccabile”,
con risultati alterni nell’estensione del tentativo
di ricostruzione ambientale alle architetture,
ma complessivamente positivi nell’intendere la definizione albiniana degli “ambienti in
ambienti” quale sintesi del rapporto ragioneimmaginazione. Le foto di Stefano Galuzzi
restituiscono, attraverso il gioco delle ombre,
la “raffinatezza e persino sensualità” evocata
da Vittoriano Viganò, “l’aura” femminile di
Luisa, Margherita e Fiorenza, esito di un “magistero accademico e professionale unitario”,
testimoniato da Aurelio Cortesi, allora giovane
disegnatore del carrello portavivande CR20.
La dimensione di preparazione “domestica”
all’architettura, riferita nella precedente lettura
di Maurizio Fagiolo ai piccoli oggetti da tavolo
dell’anteguerra, lascia così il posto a un’unica
ricerca di forme vitali attraverso l’industria
post-bellica, “nell’analogia tra lo spazio domestico e quello della mostra” (Federico Bucci),
dove attraverso la diversificazione delle specifiche destinazioni, la ricorrente distinzione dei
ruoli, tra strutture in elevazione e piani di contenimento del corpo, si riafferma la necessità
per il progetto moderno, più che di una, a torto,
celebrata ricerca sull’assenza di gravità, di una
primaria indagine sulla presenza della ragione
nel confronto con le condizioni tecniche e produttive del presente: il Razionalismo, appunto.
Stefano Cusatelli
l In occasione del convegno “Turismo 2.010
– Il posizionamento del turismo industriale nel
progetto paese Italia” organizzato da Confindustria di Udine è stata presentata la nuova
edizione della guida Touring Turismo industriale in Italia, realizzata su progetto e con la
collaborazione dell’Associazione Museimpresa. La creazione e l’apertura al pubblico in Italia di archivi storici aziendali e musei d’impresa
costituisce un fenomeno che dal secondo dopoguerra in poi ha assunto una rilevanza sempre
maggiore nell’ambito di una storia comparata
della cultura. Sono infatti in continua crescita
su tutto il territorio nazionale le strutture archivistico-museali così classificabili, che hanno
per oggetto documenti cartacei, materiali pubblicitari, fotografie, video, manufatti, macchinari, attrezzi per produrre. La Guida permette
di conoscere i più celebri patrimoni di questa
memoria collettiva che conservano, valorizzano, comunicano ed espongono le testimonianze
materiali dell’attività economica di un’impresa,
di un distretto, di una tradizione produttiva. Da
Alessi a Barilla, da Ducati e Ferrari ad Alfa Romeo, dall’Archivio Pirelli a quello dei Fratelli
Alinari, da Olivetti alla Fondazione Dalmine,
41 esposizioni sono descritte dettagliatamente;
aggiungono una gradevole nota turistica 64 itinerari proposti nei dintorni, con informazioni di
argomento artistico, paesaggistico, culturale ed
enogastronomico.
l La collezione delle porcelane firmate dalla
ex-manifattura Jugokeramika/Inker in Croazia è una dalle poche produzioni sopravvisute
alla recente amnesia collettiva e inaugura il
rispetto per la storia culturale del periodo socialista nella ex-Yugoslavia. La mostra, ospitata
nel Museo delle arti applicate di Zagabria
88
(www.muo.hr), mette in luce gli oggetti in porcellana di uso quotidiano ideati e prodotti nel
periodo 1953-1991. Un allestimento molto ben
articolato e composto dall’archivio dei bozzetti,
degli esecutivi e delle fotografie di alto interesse
documentaristico. Questa posizione acquisisce
ancora più valore ricordando la partecipazione
della Yugoslavia alla XI Triennnale di Milano
dove le due designer Marta Sribar e Stella Skopal hanno ricevuto il Premio d’argento. L’iniziativa espositiva ci fa scoprire il lato estetico dei
vasi, delle caffettiere, delle ciottole monocromi
dalla forma ancora molto attuale. Inoltre recuperano la memoria collettiva evocata dai piatti
e dalle coppe con la striscia blu usati da tutti
gli enti pubblici, dalle scuole, dagli ospedali,
come trademark della uniformità e ugualianza
trasmesso dall’ideale socialista negli anni 70.
Branka Benčić
l Due buone notizie dal Friuli Venezia Giulia. Primo: il Comune di Monfalcone (GO)
ha siglato un accordo tra la Galleria d’Arte
Contemporanea e l’industria Moroso. La collaborazione in oggetto si delinea come un innovativo progetto di cooperazione fra pubblico e
privato: non più un modello di sponsorizzazione secondo il quale investire in cultura vuol dire
azioni fine a se stesse, ma bensì un programma
strutturato, che vuole essere una risorsa competitiva in grado di costruire un’identità forte e riconoscibile, di produrre benefici per il territorio
e la collettività. Un “salto culturale” che intende
dare risultati di alto livello formativo. Il progetto prevede un intervento fattivo che si sviluppa
attraverso tre momenti: la realizzazione della
mostra A Basic Human Impulse art & design
a cura di Andrea Bruciati; l’assegnazione del
PREMIO MOROSO per l’arte contemporanea
concepito per documentare, valorizzare e sostenere gli artisti emergenti under 45 che vivono e
lavorano in Italia, dando la possibilità ai tre artisti vincitori di realizzare un progetto site specific con residenza presso gli showroom Moroso
a New York, Londra e Milano; la reiterarazione
della rassegna VIDEOREPORT ITALIA.
Secondo: corale è stata la partecipazione raccolta anche quest’anno dal concorso internazionale di Design ONLY FOR WOMEN per la
regia di Anna Lombardi: infatti ben 448 sono
stati i progetti sottoposti alla giuria. Moltissimi
dall’estero. Il titolo “Una sedia nel verde”, indicava la doppia sfida colta da Area Declic di
Manzano: richiamare al verde della natura per
trovare progetti originali inerenti al contract da
esterni, ma anche promuovere una riflessione
sul “green” dell’impegno ambientale, stimolando a disegnare delle sedute da esterno con
caratteristiche sostenibili.
l Durante la Food and Art Week di Doha, lo
Chef Bellodi e lo Chef Vigotti hanno presentato un menù ‘influenzato’ dalle opere dell’artista Fabrizio Trabucco. L’evento si è svolto
nell’ambito dei festeggiamenti per il quinto
anniversario del Four Seasons Hotel di Doha
e per celebrare la città, designata come Capitale
della Cultura Araba 2010 (iniziativa promossa
dall’Unesco per promuove la cultura e incoraggiare la cooperazione negli Stati). Trabucco
famoso per l’uso di materiali insoliti, racconta
attraverso i suoi quadri una storia da assaporare
come in Campi Arabesque, dove su un pannello
di legno combina farine italiane e spezie mediorientali, acciaio invecchiato e resina, ricreando l’incontro tra le due culture. In passato Trabucco e Vigotti avevano già collaborato realizzando una ‘gustosa’ proposta espositiva ospitata
al ristorante Novecento di Meina (NO).
l In un mondo sempre più interconnesso e
veloce, una rivista può imporre di rallentare i
ritmi e diventare uno spazio di riflessione e di
approfondimento. È la scelta che illycaffè ha
fatto con illywords, che da alcuni anni ferma
sulla carta dialoghi, opinioni e punti di vista su
temi che stanno a cuore a un’impresa che vive
con curiosità, partecipazione e responsabilità
nel mondo contemporaneo: il valore della conoscenza, il concetto di azienda civile, lo spazio, il
coraggio, il sogno, la multiculturalità, la consapevolezza, il caos, il nomadismo del sapere. Le
parole di illywords sono di persone che appartengono a differenti paesi, culture, professioni,
e che fanno parte della rete umana e professionale di illycaffè in tutto il mondo. Tanti sguardi,
opinioni e punti di vista che non spiegano e non
riducono la complessità, ma la raccontano attraverso il linguaggio e le esperienze di lavoro e di
vita di ciascun autore. Ogni numero (direttore
responsabile Ariella Risch, direttore artistico
Carlo Bach, progetto grafico Piero Corraini /
corrainiStudio) è illustrato dalle immagini di
studenti di scuole d’arte e design di tutto il mondo, che ne fanno il loro laboratorio di creatività
personale e collettiva. Il numero 29, dedicato al
tema “Di che colore sei?”, è stato realizzato con
le immagini della Bilgi University di Istanbul.
Il periodico di informazione aziendale viene distribuito durante gli eventi, nei principali book
shop del mondo a cura della Maurizio Corraini
e nei luoghi che illycaffè progetta e sostiene
con la stessa passione con cui produce il caffè.
Dopo il successo al department store KaDeWe
di Berlino, illycaffè ha portato la nuova edizione di Galleria illy a Istanbul, città crocevia e
punto di incontro tra diverse culture, come la
Trieste di inizio secolo in cui è nata l’azienda. Come location per Istanbul è stata scelta
la Galleria Işık Teşvikiye della Fondazione
Feyziye Mektepleri nel quartiere di Nişantaşı,
centro della vita culturale ed economica della
città che quest’anno è “Capitale Europea della
Cultura”. All’interno di Galleria illy è stata realizzata un’area bar in cui artisti internazionali
creeranno un salotto culturale, alternando performance a momenti di dialogo con il pubblico.
Tra i protagonisti il designer e architetto Aldo
Cibic, il food designer spagnolo Martí Guixé,
il producer Ali Yorgancioglu, il fotografo Harry
Cruyaert e il designer Erdem Akan. Sarà possibile seguire l’evento via web su facebook.com/
illy che riporterà le novità del programma, il
making of, le interviste ai protagonisti e un live
report in diretta dalla città. l Ines Kaag e Désirée Heiss sono BLESS, un
binomio operante dal 1997 tra Berlino e Parigi
sulla scena del design e della moda. Superando
di gran lunga i rigidi concetti di stile e di moda,
le due artiste hanno perseguito piuttosto che
il branding di oggetti quotidiani un “de-branding”, per disegnare ‘a dovere’ capi e oggetti
sulla spinta di una motivazione di durabilità.
Cose della vita quotidiana come un cavo per
computer vengono testate quanto a resistenza
e ricompaiono successivamente con effetto ornamentale dopo essere state ridefinite in forme
chiare e autonome. La loro opera tematizza le
metamorfosi e gli adattamenti di oggetti quotidiani per usi non convenzionali e di oggetti
particolari per uso quotidiano. Incoraggiati
dai buoni risultati conseguiti in passato con
mostre in tema di design (Living in Motion e
Joe Colombo) la Kunsthaus Graz, ospitando i
lavori delle due autrici per la curatela di Katrin
Bucher Trantow, ha voluto per la prima volta
dare vita ad una produzione propria, che faccia
riferimento direttamente all’edificio e al suo
contesto museale. Le due artiste hanno infatti
utilizzato l’intero spazio del piano superiore e
le risorse di tutte le collezioni dell’Universalmuseum Joanneum per dare un’interpretazione
dei propri lavori. L’iniziativa espositiva rientrava nel ricco calendario degli appuntamenti
di Designmonat Graz 2010. A seguire SOGNI
DI ROBOT in coproduzione con il Museo Tinguely di Basilea e in collaborazione con steirischer herbst.
l Architetto, designer e artista, Alessandro
Mendini è nato a Milano nel 1931. L’architettura non era un suo sogno di ragazzo. In realtà
desiderava fare il cartoonist o forse anche il pittore, fatto sta che nel 1959 si ritrova laureato
in architettura. Lo Studio Nizzoli Associati è il
suo primo luogo di lavoro. Nel 1970 abbandona la progettazione architettonica per dedicarsi
al giornalismo specializzato in architettura e
design. Dirige la rivista Casabella dal 1970 al
1976 e l’anno successivo fonda Modo che guida
fino al 1979. È Giò Ponti, quello stesso anno, a
consegnargli la direzione di Domus incarico che
prosegue sino al 1985. A distanza di 25 anni,
da aprile 2010 riprende la direzione della rivista. Nel 1979 gli viene assegnato il Compasso
d’Oro per la sua attività di approfondimento
teorico. Nel 1981 vince con Alchimia un altro
Compasso d’Oro per la realizzazione del Mobile Infinito. Nel 1989 apre, con il fratello Francesco, l’Atelier Mendini a Milano operando in diversi paesi progettando, tra l’altro, le fabbriche
Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica
a Trieste, alcune stazioni della metropolitana e
il restauro della Villa Comunale a Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa Amistà a Verona, il Museo
di Groningen in Olanda. Attualmente, in Corea,
sta coordinando il progetto Milan Design City,
con vari edifici fra i quali la nuova Fiera di Incheon e la sede della Triennale di Milano. Intensa è dunque l’attività del celebre creativo e così
fioccano antologiche a lui dedicate oppure è
Mendini stesso a celebrare aziende con le quali
ha collaborato. Per esempio il MARCA di Catanzaro apre le porte al design e all’architettura
organizzando un’ampia retrospettiva dedicata
a Mendini. “Alchimie. Dal Controdesign alle
Nuove Utopie” è il titolo della rassegna curata
da Alberto Fiz, direttore artistico del istituzione museale. Sono oltre 70 le opere esposte in
un percorso che comprende dipinti, sculture,
mobili, oggetti, schizzi e progetti con alcune
testimonianze inedite o mai viste prima d’ora
in Italia. Il progetto, poi, ha tra le sue peculiarità
quella di sottolineare le collaborazioni tra Mendini e gli altri protagonisti del mondo dell’arte,
in particolare Bruno Munari, Gio Ponti, Luigi
Veronesi, Denis Santachiara, Bob Wilson, Peter
Halley e tutti gli artisti della Transavanguardia.
Divisa in quattro sezioni, la rassegna propone le
tappe salienti di un’indagine iniziata nella prima metà degli anni Settanta quando Mendini è
stato tra gli artefici di una contestazione radicale
nei confronti del funzionalismo che lo ha condotto nel 1973 a fondare Global Tools, scuola
di architettura e design controcorrente avvicinabile all’esperienza dell’arte povera. In seguito
al Controdesign, la mostra si concentra sulla
determinante fase del Redesign che nasce dalla
rielaborazione semiologica di oggetti già noti
di cui viene stravolto il significato e la finalità.
Nel 1979 Mendini entra nello studio Alchimia
per sviluppare una delle esperienze più significative e intense della sua carriera. Nell’ultima
sezione della mostra dedicata alle Nuove Utopie
Mendini esprime in maniera compiuta l’idea
di una trasformazione permanente delle cose
allargando l’orizzonte di riferimento creativo.
Alla Neue Sammlung di Monaco di Baviera
(una seconda tappa è prevista al Philadelphia
Art Museum) viene proposta invece la mostra
ideata e curata da Mendini “Oggetti e progetti.
Alessi: storia e futuro di una fabbrica del design
italiano”. È un invito a percorrere i trent’anni di
storia di una delle più importanti aziende che
hanno saputo influenzare il mondo del design
a livello internazionale. Nella foto, di sin verso
dx: A. Mendini, A. Alessi e F. Hufnagl, Direttore del Museo Arti applicate di Monaco.
Antica
Azienda Agraria
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Un successo italiano in Europa
Air Dolomiti è oggi la più importante realtà di trasporto aereo regionale in Italia ed è parte del Gruppo Lufthansa. Una storia importante che
da tre Dash 8 300 iniziali è arrivata ai giorni nostri con una crescita
intelligente e ponderata, in modo da riuscire a rafforzarsi nel mercato
di competenza e ad essere un brand conosciuto e riconosciuto dagli
ormai molti passeggeri che la scelgono.
Fondata nel 1989 dal Gruppo Leali, Air Dolomiti ha fatto della qualità il suo valore principale: qualità per Air Dolomiti significa grande
attenzione alla puntualità, all’affidabilità e naturalmente al servizio
a bordo, da sempre fiore all’occhiello della Compagnia. A proposito
di servizio ai passeggeri, Air Dolomiti ha voluto sottolineare quanto
conti il rapporto col passeggero creando un vero e proprio brand di
accoglienza dal nome “Settimocielo” che dal 1996 colora l’atmosfera
a bordo e ricerca eccellenza nell’ospitare.
Ma qualità significa anche poter offrire un servizio mirato ed attento
alle esigenze dei passeggeri ed è per questo che uno dei punti forza
del vettore sono oggi le frequenze plurigiornaliere dagli scali serviti
e l’attenzione alla puntualità e alla regolarità operativa. Nel 2005
Air Dolomiti riceve la certificazione IOSA (International Operations
Standard Audit), confermata a luglio 2007, che rappresenta la più importante attestazione di qualità nel campo operativo di una Compagnia:
Air Dolomiti, promossa a pieni voti, è riuscita a dimostrare di possedere una struttura capace di assicurare elevati standard nella sicurezza.
Nel gennaio 2007 la certificazione UNI EN ISO 9001:2000 è stata
estesa alla manutenzione aeromobili da parte di DNV: un’ulteriore
conferma dell’impegno di Air Dolomiti nella ricerca di eccellenza in
tutti gli aspetti che la compongono. La certificazione è stata confermata a luglio 2009.
A testimonianza della qualità globale sono oggi moltissimi i premi e
riconoscimenti internazionali ricevuti dal vettore.
In questi anni di attività Air Dolomiti ha costantemente rinnovato e
potenziato la propria flotta. Da febbraio 2009 Air Dolomiti opera con
l’Embraer 195 di cui è launch customer per l’Italia: Air Dolomiti rag-
90
giunge così la storica evoluzione dei 100 posti. L’E195 è un gioiello
della tecnologia, un aeromobile all’avanguardia estremamente flessibile e dinamico, dal design innovativo.
I 5 nuovi Embraer si affiancano alla flotta ATR 72 -212a composta da
14 macchine.
Attualmente Air Dolomiti serve 22 destinazioni di cui 16 in Italia:
Milano Malpensa – Perugia, Milano Malpensa-Salerno, RiminiMonaco, Rimini Vienna e Verona-Salerno sono i voli introdotti lo
scorso anno e confermati anche nel time-table estivo del 2010. La
Compagnia offre così ai propri passeggeri collegamenti regionali creati su misura seguendo l’impostazione storica del vettore orientata alla
strategia di marketing territoriale.
All’estero Air Dolomiti vola a Monaco di Baviera, Francoforte e
Vienna, importanti hub di Star Alliance in Europa e collega lo scalo
bavarese con alcune importanti città europee.
Air Dolomiti, consapevole dell’importanza di internet come strumento
di interazione con i propri utenti, vanta una presenza articolata sul web
composta da tre siti: www.airdolomitit.it, www.spazioitalia.it, www.
aeroportodimonaco.it.
Il nuovo www.airdolomiti.it nasce nel 2007: novità principale riguarda
il concetto di ‘Catchment Area’: per ogni destinazione scelta viene
visualizzata non solo la città ma tutta l’area circostante per avere informazioni utili del territorio. Regional assume così il significato di realtà
radicata sul territorio.
Nello stesso anno si rinnova www.spazioitalia.com: il restyling della
home page permette di navigare facilmente tra le sezioni del sito; nel
2008 viene aggiornata la sezione Shopping, il negozio virtuale del sito
grazie al quale i visitatori possono acquistare facilmente i prodotti.
Sempre nel 2008 nasce www.aeroportodimonaco.it, il portale dell’aeroporto di Monaco, un sito in lingua italiana che fornisce informazioni
utili sui servizi offerti dalla struttura aeroportuale.
Piero Zecchini
English version on page 92
ENGLISH tEXt
THE ARTIST
Painter, sculptor, designer and architect: certainly
the most legendary artist who ever lived, the
most admired, respected and feared. And yet
very few people know his name and even less
can recognize his masterpieces.
His works are found all over the world and
there are so many that they cannot be kept in
museums, and although museums own plenty
of them, there are many more outside, in the
cities, pubic and private buildings, gardens and
countryside. It is easier to find them in simple,
humble and poor places, where nobody expects
to keep everything clean and shiny, intact and
unchanging, all the time.
He is a reserved character, not very often seen
in public, who never attends meetings and
assemblies and is absolutely never to be found at
parties and celebrations. He arrives afterwards,
apparently late, but in actual fact on time and
more reliable than anybody else in the world:
never an excuse, an absence, a failure to turn up
or an illness.
He works untiringly, all the time. Nobody has
ever seen him at a loose end: he spends all the
hours of the day and night scraping, etching,
colouring and creating, and not necessarily in
silence, at times even to the accompaniment of
deafening bangs, volcanic eruptions, thunder
and lightning.
He draws on the help of the most amazing
atmospheric agents: under his majestic guidance,
dampness, rain, wind, snow, ice, dryness and
heat all work at absolute levels of perfection,
most definitely in control of themselves and their
own talent, incapable of making mistakes.
He is not afraid of being criticized, judged or
attacked by anybody. He is humble and tolerant,
more patient than anything else in the world:
he knows how to wait calmly and meticulously,
persistent but not insistent, his genius is
inscrutable and unpredictable and he is well
aware of his power over people and nature.
It is Time passing. If you meet it, admire it and
be dazzled by its splendour.
Michele De Lucchi
Angera, 5thAugust 2005
SEIZING THE MARKET CHALLENGES
AND TURNING THEM INTO SUCCESS
by Alessandro Calligaris,
President Calligaris spa and President
Confindustria Friuli Venezia Giulia Region
From a small craft carpentry workshop, founded
in 1923 in Manzano (Udine province) in the heart
of the “chair triangle”, to leading company in the
world of the furniture. The history of Calligaris is
a success story, made of capacity to innovate and
courage to invest.
With that same inclination for innovation that in
the sixties led the company of my family to design
the first straw machine for chairs, today through
innovative strategies that over the years have
revolutionized the functions of marketing and
logistics, Calligaris has succeeded to overcome
even these months of general difficulty closing the
year 2009 with a consolidated turnover at a level of
about 150 million Euro. After all when things go
well, you work a lot, when they go relatively bad
- as they do now - you have to work much more.”
The crisis is affecting the whole economic
system, particularly the manufacturing sector,
sometimes unevenly distributed but, in general,
everyone is involved. In recent years a relativly
ease in transferring money has created a very
sharp increase in consumption, leading to
overproduction in the market, followed then by
a reduction in the amount of consumption and
thus of the production inputted in the market. For
this I am convinced that the more structured and
capitalized companies will resist, or even those
with less economic resources, but with human
capital, design and product.
The experience of our industry can and should
set an example to the territory, because despite
the difficulties still under way, employers will be
able to hook up to the re-launch if they are able
to aim at new management strategies, all round
innovation, but also on increased confidence in
the future.
Calligaris, and the whole district, grew up with
wood that has long been the only raw material
92
used for each piece. The design of the nineties
started to use other materials such as plastic, metal,
leather and glass. All materials brought together
by one common denominator: innovation.
Innovation is the main factor that led us to
success. Innovation of product and materials, but
also of management and logistics, leaving back
in the years the idea of a verticalised company to
acquire that of a reality that designs, produces and
manages the production logistics of components
in outsourcing.
We decided to focus all our attention on two
important fronts: the logistics of production and
the distribution.
For production, the use of different materials and
different lines requires internal specialization
and it is not possible to be competent in all
technologies of different materials.
So we have given an identity of assembling of
metal and plastic components to each plant.
At present three hundred and sixty are the people
working in Manzano’s factory and in the head
office over 50% are white collars.
The company’s features have changed from the
past: today at Calligaris we design, produce, plan
marketing and sell.
The second strong point is the distribution
policy meant as proximity to markets. This is a
fundamental aspect for our company: today a store
buyer wants to have at once what purchased.
An Italian store has an average of four hundred
square metres of space and needs to hand over
a table and four chairs as soon as possible.
Thus warehouses were created in such a way to
distribute products quickly.
There is also the conviction that the added value
of the Made in Italy lies both in the creation,
design and production phases, while allowing the
relocation of certain phases of production, without
affecting the Italian identity of the product.
It is also essential to place a strong focus on
communication: one must be present at trade
exhibitions, give consumer the opportunity to
know what the company does.
One has to work hard on the website by providing
an electronic catalogue with business information
and product’s technical characteristics; it is an
important tool because the consumer needs to
know the producer and have information to
choose with awareness.
In the last year Calligaris is going through an
important period of change: looking to the future
by investing in an important project for the value
and positioning of their brand.
The universe of Calligaris brand wants to be a
living, warm universe and, in short, an accessible
one.
The first Calligaris brand was born spontaneously
almost forty years ago: with the development
of products, catalogue and distribution we
understood that the “brand name” was absolutely
necessary. Today we want to take it, through a
carefully thought out action, to a precise role:
we want to express, with its sheer force, contents
and values of our company. We want people to
know that behind this symbol there is passion for
work, that is, for things done well, there is the
expertise gained in eighty-five years of history,
there is research, all Italian one, beautiful and
harmonious shapes, without ever overdoing,
there is the principle, all Friulian, of parsimony
and balanced approach to market.
Access is the value we want to pursue not only
with reference to the price (the “affordable
luxury” as a goal, because an affordable product
must still make a consumer dream), but broadly
as close to everyday life, with an extensive
distribution network, an accessible website, a
clear and understandable offer in terms of style,
price, beautiful but functional design: in a phrase
“design to live for today’s house”
This means becoming the reference brand of
accessible Italian design for those who love
quality decor and design but also smart purchases,
for those who love to create their own universe of
life, contemporary and alive, mixing styles and
colors.
We renewed the coordinated image that on one
hand will give greater recognition to the universe
of Calligaris brand made of products, services,
communication activities, web presence and
retail, on the other hand will help to convey the
identity of our brand and its values.
The new logo, which maintains the historic
Calligaris red, develops into a more modern
lettering and a new payoff: “Italian Home Design
since 1923”. Next to the logo a winning symbol
has been introduced, a stylized woodpecker,
to enhance the impact and distinctiveness of
the brand name, making it more visible and
memorable especially in those international
markets, where it does not necessary need to be
read to be recognized and remembered.
If on one side the new payoff represents attention
to colors, styles and trends, the comprehensive
offer of the day and night house offer, underlines
the value of its own past (producer since 1923,
with a specific history related to wood and
chairs) on the other side the woodpecker recalls
the values of reliability (in terms of products
and services), intellectual ability (for instance
functionality of its tables) and the hard work,
typical also of Calligaris.
AIR DOLOMITI: AN ITALIAN SUCCESS
STORY IN EUROPE
Air Dolomiti was founded in 1989 by the Leali
steel group and it started business in 1991 in the
regional air transport segment with three Dash
8-300 and the objective of developing direct flight
services in Europe from airports in business or
tourism oriented towns and cities with mediumsized populations.
From the start, a customer-oriented approach
was the kingpin of the vision of Air Dolomiti.
Attention to excellence has been the added
value in the decision to be different made by
the Company from the start and it thus forms an
integral part of its mission “Settmocielo by Air
Dolomiti”, the registered trademark denoting
the airline’s inboard hospitality and a range of
exclusive products.
The total quality of the service offered by Air
Dolomiti is confirmed by the main recognitions
won in the course of its activity; the latest is the
‘Travelchannel.de award’ which is the result of an
inquire on German passengers (January 2008).
During these twenty years of business Air
Dolomiti has constantly renewed and increased
its fleet.
Since 2009 it has been introducing the new
Embraer 195 for which it is the launch customer
in Italy: the Company undertakes the historic
evolution of 100-seater range.
The E195 is a vanguard, extremely flexible,
dynamic aircraft with innovative design. It
was designed from scratch using virtual reality
technology and optimized specifically for the 70
to 120-seat equipment segment.
The new E195 will operate together the ATR fleet
made by 14 ATR 72 -212a.
Air Dolomiti flies from/to 22 destinations,
16 within Italy. Abroad the Company flies to
Munich, Frankfurt and Wien, important Star
Alliance hubs in Italy.
In 2005 Air Dolomiti received the IOSA
certification (International Operations Standard
Audit) which represents one of the highest
certification in the world for airline operational
safety; IOSA was confirmed in July 2007. With
Air Dolomiti achieving IOSA Registration it
positively positions itself amongst the world’s
leading airlines, demonstrating that it provides an
operation that can deliver operational safety and
efficiency.
In 2000 Air Dolomiti obtained the fullest Quality
Certification UNI EN ISO 9001 issued by Det
Norske Veritas;
it concerns the whole chain of the planning and
provision of the service. In January 2007 the
certification was expanded to the maintenance:
an important goal for Air Dolomiti that proves
to operate regards the strong standard of Det
Norske Veritas. It was confirmed on July 2009.
Air Dolomiti is deeply present on the web by
offering three websites to catch all targets: www.
airdolomiti.it which was completely renewed in
February 2007 to make customer service even
more efficient: the revision of the structure and
the new graphic frame makes surfing simple
and intuitive. Thanks to the new catchment
areas passengers can have further information
regarding destinations and their surroundings.
In the same year www.spazioitalia.com was
also renewed: the new portal structure allows
customers to surf easily among web sections.
In 2008 the shopping page, the virtual shop
of the site, was restyled and new prestigious
products have been included in the selection
list. www.aeroportodimonaco.it was born in
2008: this is the Munich Airport portal for
Italian customer, a web site in Italian language
which gives all information and services
offered by the most modern European hub.
Piero Zecchini
SERRALUNGA
In the history of Italian enterprise, Serralunga
is a rare example of long-life and capacity for
ongoing evolution.
When the Eiffel Tower was unveiled in 1889 the
Biella-based company was already 64 years old.
This family-run firm has now come to its
third century in business, the V-generation of
entrepreneurs and is living a second youth.
After its establishment in 1825 as a tannery, in
line with the diffusion of machinery, it started
manufacturing leather items for industrial
purposes, such as driving belts and similar
products. In the 1900s, it starter processing
guttapercha and later plastic, specialising in the
manufacture of industrial articles.
In the 1980s, the company imported a rotating
plastic injection moulding system from the
U.S.A. and was the first in Italy to install a pilot
system, with which it started to manufacture
flower vases.
The rotating system boasts highly innovative
technology, making it possibile to manufacture
hollow articles with sizes of up to 2000 litres. The
first vases took on the classic forms of the Italian
gardening tradition and the colour was similar to
terracotta. However, these feature an innovative
hollow space that improves soil insulation, they
can be manufactured in extra large formats and
because of their lightness, they are also ideal for
use on balconies and terraces.
Serralunga understood that the oversize dimension
was the ace up its sleeve.
The next step was to make them beautiful,
intriguing and surprising.
The key step was the creative encounter between
two Biella-born friends: Marco Serralunga an
economics graduate and young businessman,
who inherited the company from his father and
Luisa Bocchietto, designer and architect and
disciple of Marco Zanuso.
The passion and business courage of the former
combined with the creative flair of the latter
revolutionised the company over a 15-year
period, projecting it towards the dimension of
cutting-edge modern language and lifestyle.
The first steps in the new direction originated
from the workshops organised in universities
and the dialogue established with Paolo Rizzato,
Alberto Meda and Denis Santachiara, three very
different designers who share the same spirit of
research and passion for technology.
In the ten years that followed, Marco Serralunga
and Luisa Bocchietto, staunch upholders of the
cultural fertility that characterises Italian design,
worked with twenty or so international designers
to create a collection with spectacular shapes and
new purposes that has become a benchmark and
trendsetter in its sector.
The flower vase has been reworked to become
a sculpture, a lamp, a landmark, a meeting
point between the plant kingdom, furniture and
technology.
The increasingly fragile and vital divide between
indoor and outdoor has become the area of
research explored by Serralunga, which, as an
independent and verticalised business, owns its
own technology, which allows it to experiment,
innovate and choose the way forward.
The company’s research combines with the talent
of its designers to create new product types:
flower vase-lamp, lamp-flower vases, sculpture
lamps, flower vase-seats, forest-like flower vases,
indoor-outdoor sofas that are rigid yet padded.
Since 1825, the company has manufactured all
its products in Italy, at the same address: Via
Serralunga 9, Biella in a 12,000-square metre
site with 65 direct employees and involves about
double in related. Here over 1,200 tonnes of
plastic are processed every year to make about
200,000 product pieces.
The company is constantly growing. Serralunga
the mark becomes an unmistakable brand
distributed throughout the world.
Virginio Briatore
BACINO DI UtENZA
ADI
Associazione per il Disegno
Industriale
Via Bramante, 29
20154 Milano
T +39 33103083
www.adi-design.org
[email protected]
ADI – Delegazione
territoriale del FVG
T +39 3459279851
www.adifvg.org
[email protected]
AGENZIA TURISMO
FRIULI VENEZIA GIULIA
Piazza 1° Maggio, 7
33100 Udine
T +39 0432295972
www.turismofvg.it
[email protected]
www.industriaeturismofvg.it
[email protected]
AIR DOLOMITI
Via Paolo Bembo, 70
37062 Dossobuono di
Villafranca (VR)
T +39 0458605211
www.airdolomiti.it
customer-relations@
airdolomiti.it
Spazio Italia
Terminal 2 dell’aeroporto di
Monaco di Baviera
www.spazioitalia.com
ALESSI
Via Privata Alessi, 6
28882 Crusinallo (VB)
T +39 0323868611
www.alessi.com
[email protected]
ANTICA AZIENDA
AGRARIA CURTO
Via Galilei, 4
97014 Ispica (RG)
T +39 0323868611
www.curto.it
[email protected]
AREA DECLIC
Via A. Volta, 8
33044 Manzano (UD)
T +39 0432937065
www.areadeclic.com
ASDI SEDIA
Agenzia per lo Sviluppo
del Distretto Industriale
della Sedia
Via Trieste, 9/6
33044 Manzano (UD)
T +39 0432755550
www.asdisedia.com
[email protected]
BLAST
Via Compagnoni, 13
20129 Milano
T +39 0289655650
www.blastarchitetti.com
[email protected]
BRAUN COLLECTION
Westerbachstrasse 23C
D 61476 Kronberg
T +49 (0)6173302244
www.braun.com
[email protected]
CAPPELLINI CAP DESIGN
Via Milano, 28
22066 Mariano Comense CO)
T +39 031759111
www.cappellini.it
[email protected]
FLEXFORM
Via L. Einaudi, 23/25
20036 Meda (MB)
T +39 03623991
www.flexform.it
[email protected]
ILLYCAFFÈ
Via Flavia, 110
34147 Trieste
T +39 0403890111
www.illy.com
[email protected]
MUSEO MARCA
Via Alessandro Turco, 63
88100 Catanzaro
T +39 0961746797
www.museomarca.com
[email protected]
SERRALUNGA
Via Serralunga, 9
13900 Biella
T +39 0152435711
www.serralunga.com
[email protected]
CLASSIC RADIO
COLLECTION
Viale della Stazione, 35
35013 Cittadella (PD)
T +39 0499404432
www.classicradiocollection.com
[email protected]
FLOS
Via A. Faini, 2
25073 Bovezzo (BS)
T +39 03024381
www.flos.com
[email protected]
INSTITUT FÜR NEUE
TECHNISCHE FORM
Friedensplatz 10
D – 64283 Darmstadt
T +49 (0)6151 48008
www.intef.de
[email protected]
MUSEO “UGO CARÀ”
Via Roma, 9
34015 Muggia (TS)
T +39 0403360340
ufficio.cultura@
comunedimuggia.ts.it
SPAZIO CUMINI CASA
Via San Daniele, 1
33013 Gemona del Friuli (UD)
T +39 0432982546
www.cumini.it
[email protected]
INSTITUT
MATHILDENHÖHE
Olbrichweg 13
D – 64287 Darmstadt
T +49 (0)6151 132778
www.mathildenhoehe.info/
[email protected]
MUSEUM FÜR
ANGEWANDTE KUNST
Schaumainkai 17
D – 60594 Frankfurt
T +49 69 212 31 286
www.angewandtekunstfrankfurt.de
[email protected]
SPAZIO900
MODERNARIATO
& DESIGN
Via Campania, 51 (interno)
20133 Milano
T +39 0270125737
Corso Garibaldi, 42
20121 Milano
T +39 0272001775
www.spazio900.com
[email protected]
CONFINDUSTRIA UDINE
Largo Carlo Melzi, 2
33100 Udine
T +39 0432276259
www.confindustria.ud.it
[email protected]
CONCILIO EUROPEO
DELL’ARTE
S. Polo, 2964
30125 Venezia
T +39 0415236728
concilioeuropeodellarte
@gmail.com
www.concilioeuropeodellarte.org
Paradiso Gallery
Giardini della Biennale,
Venezia
T +39 0412413972
www.inparadiso.net
MAURIZIO CORRAINI
Via Ippolito Nievo, 7/a
46100 Mantova
T +39 0376322753
www.corraini.com
[email protected]
COWORKING UDINE
Centro Città Fiera – Area
direzionale
Via Antonio Bardelli, 4
33035 Torreano di Martignacco
(UD)
T +39 0432544660
www.coworkingudine.it
[email protected]
DEGUSSA DIV.
PLEXIGLAS
www.plexiglas.de
[email protected]
distributore per l’Italia
Röhm Italia
Via XX Settembre, 38
20024 Garbagnate Milanese (MI)
T +39 02990705
www.roehmitalia.it
[email protected]
DEL FABRO
Via Nazionale, 11
33019 Tricesimo (UD)
T +39 0432851170
www.delfabro.com
[email protected]
DIREZIONE REGIONALE
PER I BENI CULTURALI
E PAESAGGISTICI DEL
FRIULI VENEZIA GIULIA
Piazza della Libertà, 7
34135 Trieste
T +39 0404194811
www.friuliveneziagiulia.
beniculturali.it
[email protected]
FONDAZIONE EMILIO E
ANNABIANCA VEDOVA
Dorsoduro, 42
30123 Venezia
T +39 0415226626
www.fondazionevedova.org
[email protected]
FOUR SEASONS HOTEL
DOHA
The Corniche
Doha - Qatar
T +974 4494 8888
www.fourseasons.com/doha/
FRAGILE
Via Rutilia, 11
20141 Milano
T +39 0236661161
www.fragilemilano.com
[email protected]
FRATELLI GUZZINI
C.da da Mattonata, 60
62019 Recanati (MC)
T +39 0719891
www.fratelliguzzini.com
[email protected]
GALERIJA ULUPUH
Tkalciceva 14
Zagreb - Croatia
T +385 (0)1 4813746
www.ulupuh.hr
[email protected]
GC.AC
Galleria d’Arte
Contemporanea
Piazza Cavour, 44
34074 Monfalcone (GO)
T +39 0481494360
www.galleriamonfalcone.it
[email protected]
GOETHE-INSTITUT
TRIEST
Via Beccaria, 6
34133 Trieste
T +39 040635763
www.goethe.de/trieste
[email protected]
GRAPHART
Via Josip Ressel, 5
34018 San Dorligo della Valle
+39 0408325150
www.graphart.it
[email protected]
GRUPPO CAMPARI
Via Sacchetti. 20
20099 Sesto San Giovanni (MI)
T +39 0262251
www.camparigroup.com
H2OPEN SPACE
contemporaneamente
centro federale trieste
Passeggio Sant’Andrea, 8
34143 Trieste
T +39 040306024
DISTILLERIE FRANCOLI
C.so Romagnano, 20
28074 Ghemme (NO)
T +39 0163844711
www.francoli.it
[email protected]
HANSGROHE
S. Statale 10 km 24,400
14019 Villanova d’Asti (AT)
T +39 0141931111
www.hansgrohe.it
[email protected]
CALLIGARIS
Via Trieste, 12
33044 Manzano (UD)
T +39 0432748211
www.calligaris.it
[email protected]
DRIADE
Via Padana Inferiore, 12
29012 Fossadello di Corso (PC)
T +39 0523818618
www.driade.com
[email protected]
HOTEL CLOCCHIATTI &
NEXT
Via Cividale, 29
33100 Udine
T +39 0432505047
www.hotelclocchiatti.it
[email protected]
CEI
Central European Initiative
Via Genova, 9
34121 Trieste
T +39 0407786777
www.ceinet.org
ENNEZERO
Via delle Crede, 8
33170 Pordenone
T +39 0434571482
www.ennezero.it
[email protected]
IL PROGETTO
Via Ponchielli, 3
34122 Trieste
T +39 040364510
www.ilprogetto.it
[email protected]
BRW FILMLAND
Via Savona, 97
20144 Milano
T +39 02424121
www.brwfilmland.com
[email protected]
94
ITALESSE
Via dei Templari, 6
34015 Muggia (TS)
T +39 0409235555
www.italesse.it
[email protected]
KARTELL
Via delle Industrie, 1
20082 Noviglio (MI)
T +39 0290012.1
www.kartell.it
[email protected]
Museo Kartell
[email protected]
KUNSTHAUS GRAZ
Lendkai 1
A - 8020 Graz
T +43 316 8017-9200
www.museum-joanneum.at
[email protected]
LACIE ITALY
Milano Business Park –
Edificio B1
Via dei Missaglia, 97
20142 Milano
www.lacie.com
[email protected]
LAGOSTINA
Via IV Novembre, 45
28887 Omegna (VB)
T +39 03236521
www.lagostina.it
[email protected]
LAST MINUTE MARKET
Viale G. Fanin, 50
40127 Bologna
T +39 0512096150
www.lastminutemarket.it
[email protected]
LAURETANA
Frazione Campiglie, 56
13895 Graglia (BI)
T +39 0152442811
www.lauretana.com
[email protected]
MORGANS HOTEL
GROUP
ST MARTINS LANE
45 St. Martin’s Lane London
WC2N 4HX
T +44 (0)2073005500
www.stmartinslane.com
MOROSO
Via Nazionale, 60
33010 Cavalicco (UD)
T +39 0432577111
www.moroso.it
[email protected]
MUSEIMPRESA
Via Pantano, 9
20122 Milano
T +39 0258370502
www.museimpresa.com
[email protected]
MUSEO DELLA
CALZATURA
VILLA FOSCARINI ROSSI
Via Doge Pisani, 1/2
30039 Stra (VE)
T +39 0499801091
www.villafoscarini.it
[email protected]
MUZEJ ZA UMJETNOST
I OBRT
Trg maršala Tita 10
1000 Zagreb - Hrvatska
T +385 (0)1/4882-111
www.muo.hr
[email protected]
NADLER LARIMER
& MARTINELLI
Via Boccaccia, 39
20123 Milano
T +39 0248194857
www.nadler.it
[email protected]
OLIVARI
Via Matteotti, 140
28021 Borgomanero (NO)
T +39 0322835080
www.olivari.it
[email protected]
ONFALÓS
Smartech Italia
Via Alessandro Volta, 11
33082 Azzano Decimo (PN)
T +39 0434423111
www.onfalos.com
www.smartechitalia.com
[email protected]
PALAZZINA GRASSI
San Marco, 3247
30124 Venezia
T +39 0415284644
www.palazzinagrassi.it
[email protected]
PINAKOTHEK DER
MODERNE
Barer Strasse 40
D – 80333 München
T +49 89 2 38 05-360
www.pinakothek.de
[email protected]
Die Neue Sammlung
www.die-neue-sammlung.de
[email protected]
PORSCHE DESIGN
Flugplatzstrasse 29
A – 5700 Zell am See
T +43 (0)6542-57227-0
www.porsche-design.com
[email protected]
PRAMAC
Località II Piano
53031 Casole d’Elsa (SI)
T +39 05779651
www.revolutionair-pramac.com
[email protected]
PUNTA DELLA DOGANA
François Pinault Foundation
Dorsoduro, 2
30123 Venezia
T +39 0415231680
www.palazzograssi.it
[email protected]
SAMBONET PADERNO
INDUSTRIE
S.R. 11 – km 84
28060 Orfengo (NO)
T +39 0321879711
www.sambonet.it
[email protected]
TASCHEN
Hohenzollernring 53
D – 50672 Köln
T +49 221201800
www.taschen.com
[email protected]
TONON & C.
Via Diaz, 22
33044 Manzano (UD)
T +39 0432740740
www.tononitalia.com
[email protected]
TOURING EDITORE
Milanofiori
20090 Assago (MI)
T +39 02575471
www.touringclub.com
iniziative.speciali
@touringclub.it
TRIESTE
CONTEMPORANEA
Via del Monte, 2/1
34121 Trieste
T +39 040639187
www.triestecontemporanea.it
[email protected]
UDINÈDESIGN
Centro Città Fiera
Area direzionale
Via Antonio Bardelli, 4
33035 Torreano
di Martignacco (UD)
T +39 0432544660
www.udinedesign.it
[email protected]
VITRA INTERNATIONAL
Klünenfeldstrasse 22
CH – 4127 Birsfelden
T +41 (0)613770000
www.vitra.com
[email protected]
distributore per l’Italia
Molteni&C.
Via Rossini, 50
20034 Giussano (MB)
T +39 03623591
www.molteni.it
[email protected]
VITRA DESIGN MUSEUM
Charles-Eames-Str. 1
D – 79576 Weil am Rhein
T +49 (0)7621 7023200
www.design-museum.de
[email protected]
VLM
Via dei Lavoratori, 14
20090 Buccinasco (MI)
T +39 02488551
www.vlm.it
[email protected]
ZANI & ZANI
Via del Porto, 51/53
Toscolano Maderno (BS)
T +39 0365641006
www.zaniezani.it
[email protected]
MASSINI
Direzione Regionale
per i Beni Culturali
e Paesaggistici del
Friuli Venezia Giulia
ASSOCIAZIONE
J U L I E T
Salone Piemontese
di Palazzo Economo
Trieste
presentazione del libro d’arte
“Massini Trieste”
Massimiliano Forza
Marzia Vidulli Torlo
Pietro Valle
Roberto Vidali
relatori:
TRIESTE
96
Disegno di Serginho Cartoons - Sergio Cascavilla, 2001
TESTO, DISEGNO E FOTO TRATTI DAL LIBRO “12 RACCONTI CON CASETTE” DI MICHELE DE LUCCHI (PH. PICO DE LUCCHI). COURTESY CORRAINI EDIZIONI - MANTOVA
JULIET
design magazine
GARAVELLO EDITORE
vol. 3/4
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