Caffè e Donna - caffè salute
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Caffè e Donna Caffè e Donna Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione Via Ardeatina, 546 - 00178 Roma Tel. 06.514941 www.inran.it Testi a cura di: Amleto D'Amicis Andrea Ghiselli Laura Rossi Stefania Sette 2005 2 Introduzione La sindrome premestruale Il caffè è la più comune bevanda stimolante contenente caffeina; insieme con il cacao e il tè fa parte del gruppo degli alimenti nervini, ossia gli alimenti che sono in grado di stimolare il sistema nervoso. Tale effetto è determinato dalla presenza di caffeina, un alcaloide che si trova nel seme e nelle foglie della pianta di caffè, ma anche di altre piante, come appunto il tè, il cacao, il mate. La tipicità di azione della caffeina è legata al fatto che provoca una sensazione di benessere o euforia aumentando la resistenza alla fatica. La caffeina, chimicamente parlando, appartiene alla famiglia delle metilxantine, composti purinici che presentano diversi effetti sui sistemi cellulari. Agiscono infatti inibendo la fosfodiesterasi con incremento dell’AMP ciclico intracellulare; hanno effetti diretti e indiretti sulla concentrazione di calcio intracellulare, con un azione importante sulle proprietà contrattili della muscolatura liscia, e sono antagonisti dei recettori per l’adenosina. Soprattutto quest’ultima azione pare che sia responsabile della maggior parte dei suoi effetti farmacologici. La caffeina ha un’azione diuretica nonché un’azione stimolante sul sistema cardiaco e respiratorio. La sua attività farmacologica si esplica quindi non solo a livello del sistema nervoso centrale, ma anche a livello dei sistemi cardiovascolare, renale e respiratorio, con stimolazione del muscolo cardiaco, aumento della produzione di urina e broncodilatazione. Per tali attività, mentre dosaggi moderati (abituale consumo di 3-5 tazzine al giorno) possono produrre effetti benefici e favorevoli all’organismo, dosaggi più elevati possono essere alla base di qualche effetto negativo, specialmente negli individui più sensibili (Knight CA, et al., 2004). Alcune tematiche inerenti il rapporto tra caffè e salute e alcune specifiche patologie vengono trattate negli altri volumi di questa serie. La presente monografia si focalizza, viceversa, sugli effetti del consumo di caffè rispetto alla fisiologia femminile mettendone in luce gli aspetti positivi, i punti dibattuti e quelli sui quali c’è maggiore consenso. Il termine “sindrome premestruale” definisce un quadro di alterazioni di differente natura che tendono a manifestarsi, in genere, alcuni giorni prima della comparsa del flusso mestruale. Il quadro tipico della sindrome premestruale è caratterizzato da tensione mammaria, gonfiore addominale, ritenzione di liquidi e cefalea. Questi sintomi fisici sono spesso associati ad un quadro psico-emozionale comprendente ansia, depressione e irritabilità. Tale condizione riguarda circa il 40% delle donne in età fertile e tra queste un 3-8% presenta una sintomatologia più severa denominata “disordini disforici premestruali”. Studi abbastanza recenti suggeriscono che la sindrome premestruale sia associata a fluttuazioni della omeostasi del calcio e a una cattiva regolazione dell’ormone paratiroideo (Cohen et al., 2002; Hallbreich et al., 2003). La supplementazione con calcio (1000-1300 mg/die) e con vitamina B6 (100 mg/die) è stata testata in vari studi clinici di intervento e si è dimostrata efficace ad alleviare buona parte della sintomatologia, inclusi irritabilità, depressione e crampi (Thys-Jacobs, 2000; Ward & Holimon, 1999; Wyatt et al., 1999). Per contro supplementazioni con integratori contenenti mix di vitamine e minerali non sembrano mostrare la stessa efficacia (Bendich, 2002) così come la riduzione della assunzione di alcol, sodio o caffeina non migliora, di fatto, il quadro clinico. Studi meno recenti (realizzati oltre 10 anni fa) hanno provato a dimostrare una ipotetica relazione causale tra consumo di caffè e maggiore insorgenza della sintomatologia premestruale. Le conferme attese non sono state trovate e i pochi lavori che hanno individuato delle relazioni presentavano delle grosse limitazioni metodologiche (Rossignol & Bonnlander, 1990). Allo stato attuale delle conoscenze, quindi, si ritiene che la caffeina non possa essere additata come un peggiorativo della sindrome premestruale, anche se non appare risolutiva quale auto-medicamento per attenuarne i sintomi fisici o psicoemozionali. 3 La gravidanza 4 Lo studio degli effetti della caffeina sulla performance della gravidanza, e, in generale, sul sistema riproduttivo femminile, vengono portati avanti, da più di vent’anni, con fasi di alterno entusiasmo e con conclusioni spesso non univoche. La caffeina attraversa la placenta e quindi esplica i suoi effetti farmacologici anche sul feto, sia sul suo sistema circolatorio (il battito del feto può risultare accelerato del doppio rispetto al normale) che su quello respiratorio (Briggs et al., 1994). Inoltre il metabolismo della caffeina, durante la gravidanza, risulta fortemente rallentato. Da ciò consegue un aumento della biodisponibilità di caffeina la quale, permanendo in circolo per un tempo più ampio, viene assorbita maggiormente. Gli studi classici sulla farmacocinetica della caffeina nel sangue hanno dimostrato che la sua emivita è di circa 2.5-4.5 ore in una donna non incinta, mentre risulta di 7 ore in una gestante intorno alla 20a settimana, fino a raggiungere le 10.5 ore durante le ultime settimane di gravidanza (Brazier et al, 1983). Quindi durante la gravidanza si osserva, per effetto della riduzione del catabolismo della caffeina, un pronunciato incremento della sua concentrazione ematica e, di conseguenza, della sua attività farmacologica, senza che si aumenti la assunzione dietetica di caffè. Sul neonato non si hanno a disposizione moltissimi dati di farmacocinetica della caffeina, benché alcune stime suggeriscano un catabolismo ancora più lento che raggiunge i 4 giorni in neonati prematuri o a termine (Aldridge et al., 1979). L’interesse riguardo gli effetti della caffeina in periodo gravidico è legato alle possibili implicazioni sulla salute pubblica e potrebbe trovare una conferma della presunta interferenza della caffeina con una buona performance di gravidanza. Una meta-analisi di 12 studi sul rischio di aborto spontaneo e di basso peso alla nascita, in donne che durante la gravidanza consumavano più di 150 mg al giorno di caffeina, ha messo in evidenza i limiti di tali studi tutti legati a fattori confondenti importanti. Infatti, fumo di sigaretta e consumo di alcol non erano stati presi in considerazione quali determinanti importanti della induzione dell’aborto spontaneo (Fernandes et al., 1998). Un recente studio prospettico effettuato su più di 18.000 parti, i cui risultati sono stati controllati tenendo conto e correggendo per la presenza di potenziali fattori confondenti, ha mostrato che il rischio di morte fetale sembra in effetti aumentare proporzionalmente all’incremento del numero di tazze di caffè che vengono consumate durante la gravidanza. La relazione sembra essere dose dipendente. Ingestioni di caffè pari a 1-3 tazze al giorno (con 100 mg di caffeina per tazza di caffè) corrispondevano ad un esiguo rischio di morte fetale; il rischio aumentava lentamente con consumi di caffè corrispondenti a 4-7 tazze al giorno, per raddoppiare nettamente con assunzioni di caffè di 8 o più tazze al giorno (Wisborg et al., 2003). Lo studio si spinge oltre mostrando un aumento della mortalità perinatale e nel primo anno di vita, a seguito dell’esposizione intrauterina al caffè; ma in questo caso la correzione con il fumo di sigaretta rende questa associazione inconsistente, portando gli Autori a concludere che una strategia di salute pubblica tesa alla riduzione della assunzione di caffè in gravidanza non avrebbe un effetto sulla riduzione della mortalità infantile. Benché abbastanza solido, questo studio che invita ad una certa prudenza sul consumo elevato di caffeina in gravidanza non è stato esente da dibattiti e contestazioni. L’esistenza di una relazione causa-effetto tra consumo di caffeina e tossicità riproduttiva è infatti ancora ampiamente dibattuta nella letteratura scientifica. Secondo alcuni autori (Lawson et al., 2004) tale associazione sarebbe assolutamente artificiosa e legata ad altri aspetti della gravidanza stessa. In particolare si ritiene che il consumo di caffeina sia modulato e inversamente associato alla presenza delle nausee responsabili di una riduzione spontanea del consumo di caffè. Poiché la nausea è un indice di buona performance della gravidanza, nel senso che è associata a nascite a termine piuttosto che a perdita del feto, si arguisce 5 6 che, più che una minore esposizione ad un agente tossico, vi sia, in realtà, una spontanea riduzione della assunzione di caffè in gravidanze che, in ogni caso, avrebbero avuto un esito migliore. Di conseguenza le considerazioni sulla tossicità riproduttiva della caffeina sarebbero fortemente influenzate da un fattore confondente importante legato al fatto che la riduzione di assunzione di caffé è, di per sé, un segnale distintivo di una gravidanza più sana. D’altro canto, per spiegare l’associazione tra consumo di caffeina e aumento del rischio di morte fetale possono essere chiamati in causa vari meccanismi. La caffeina, infatti, determina il rilascio di catecolamine dalla corteccia renale, le quali possono indurre vasocostrizione nella circolazione utero-placentare con conseguente ipossia fetale (Kirkinen et al., 1983). Come già accennato, inoltre, la caffeina può avere degli effetti diretti sul sistema cardiovascolare del feto con induzione di tachicardia e altre forme di aritmia (Resch & Papp, 1983). Il primo trimestre di gravidanza, dunque, rappresenta un momento di particolare suscettibilità all’esposizione alla caffeina. Uno studio piuttosto convincente, effettuato su un campione di donne molto ampio (più di 1500) e non contestabile dal punto di vista della analisi statistica, dimostra una associazione significativa tra ingestione di caffeina e aborto spontaneo nel primo trimestre di gravidanza, anche dopo correzione della distorsione indotta dalle nausee quale sintomo di una gravidanza con più probabilità di successo (Cnattingius et al., 2000). Gli Autori mettono in evidenza anche la relazione esistente tra fumo di sigaretta e caffeina che risulta essere ambigua, oltre che costituire un fattore confondente; infatti gli studi di farmacocinetica della caffeina hanno già evidenziato la riduzione del suo catabolismo nelle donne in gravidanza e nel feto. Il fumo di sigaretta pare agisca come attenuatore di questo effetto, determinando un incremento della metabolizzazione della caffeina e riducendone quindi i tempi di permanenza nel sangue delle gestanti, con conseguente riduzione della sua biodisponibilità (Cook et al., 1996). Questo meccanismo di “protezione” spiegherebbe il fatto che la caffeina sia un fattore di rischio per l’aborto spontaneo, in particolare per le non fumatrici, mentre l’esposizione combinata fumo di sigaretta e caffeina non determinerebbe un aumento del rischio di induzione di aborto spontaneo. Non per questo ci si può spingere a consigliare il fumo, né in gravidanza né in altre circostanze! Il moderato consumo di caffè non incide sul ritardo di crescita intrauterina e rischio di parto pretermine. Lo dimostrano i dati riportati in uno studio dove si analizzano, attraverso un questionario, consumatrici e non consumatrici di caffè. Lo scostamento, infatti, fra le non consumatrici e le consumatrici è irrilevante: la Odd Ratio nelle consumatrici di 4 o più tazzine di caffè/die prima della gravidanza era 1.3 (95% confidence interval, CI, 0,9-1,9), 1.2 (95% CI 0.8-1.8), 1.2 (95% CI 0.8-1.8) e 0.9 (95% CI 0.6-1.4) per il consumo di tre o più tazzine di caffè/die rispettivamente durante il primo, il secondo e il terzo trimestre di gravidanza (Parazzini et al., 2005). Del resto, il consumo di caffè decaffeinato sembra porre ancor meno problemi nei confronti di parti pretermine o di basso peso alla nascita rispetto al consumo di caffè con caffeina (Eskenazi et al., 1999). Elevate dosi di caffeina (circa 500 mg/die) sono state associate a ritardo e difficoltà di concepimento in alcuni studi retrospettivi (Bolumar et al., 1997 - Nawrot et al., 2003 Barbieri 2001). Al momento le conoscenze sono troppo scarse e discordanti per mettere in relazione un aumentato rischio di sindrome da morte infantile del neonato a seguito di esposizione del feto a caffeina (Ford et al., 1998; Aim et al., 1999). Non ci sono studi su modello umano che abbiano evidenziato un legame tra assunzione di caffeina durante la gravidanza e difetti congeniti, anche se si è osservata, a dosi massive, una evidente teratogenicità della caffeina in esperimenti su modello animale (topi) (Marret et al., 1997). La tossicità della caffeina 7 L’allattamento per il sistema riproduttivo dimostrata sull’animale è di difficile trasposizione sull’uomo in quanto i quantitativi e le modalità di somministrazione spesso, nei due modelli, sono molto differenti. In conclusione, poiché non può essere completamente escluso un legame tra cattiva performance della gravidanza e assunzione di caffeina in elevate dosi, si preferisce, in via assolutamente prudenziale, raccomandarne una assunzione limitata ai 300 mg al giorno (Lynn Kaiser & Allen, 2002). 8 Il consumo di caffeina da parte della nutrice non determina cambiamenti nella composizione del latte materno in termini di qualità proteica, contenuto di lattosio e di acidi grassi. Per quanto riguarda il contenuto di micronutrienti bisogna distinguere: una assunzione di caffè che non ecceda le 3 tazzine al giorno (o meno) non influenza il contenuto di rame, magnesio e zinco del latte materno, mentre il suo quantitativo di ferro risulta ridotto di 1/3 rispetto al latte di una donna che non beve caffè (Munoz et al., 1987). A questo proposito va inoltre detto che in generale, e non solo nella nutrice o nel lattante, il consumo di caffè (ma anche quello del tè) in concomitanza con il pasto riduce l’assorbimento di ferro dagli alimenti, soprattutto di quello non-eme (Zijp et al., 2000). Il profilo del ferro della nutrice e del lattante sembra particolarmente suscettibile all’esposizione alla caffeina con una diminuzione dei livelli di emoglobina e di ematocrito e con una riduzione della capacità di mobilizzazione delle riserve epatiche di ferro in entrambi e favorendo, quindi, l’insorgenza di anemia in una fase nella quale già madre e bambino sono particolarmente suscettibili alle carenze di ferro. Anche se studi su modello animale hanno mostrato un aumento del volume di latte prodotto dopo esposizione cronica ad elevate dosi di caffeina (50 mg/kg/die), vista la peculiarità di tale modello è difficile estrapolare delle considerazioni applicabili all’uomo (Hart & Grimble, 1990). Il consumo di alimenti nervini in generale, e quindi anche di caffè, va controllato durante la gravidanza e l’allattamento (INRAN, 2003). Infatti gli alcaloidi in essi contenuti sono escreti con il latte materno in quantità non trascurabile e quindi il lattante è esposto, di fatto, ad un certo dosaggio di caffeina che ha su di esso gli stessi effetti farmacologici che ha sull’adulto, con aumento della sua irritabilità e insonnia (Nehlig & Debry, 1994). Qualora la rinuncia fosse difficile da affrontare, il consiglio nutrizionale in questo caso è quello di utilizzare prodotti decaffeinati. 9 10 La menopausa Che cosa significa consumo moderato Il ruolo della caffeina come fattore di rischio per l’insorgenza di osteoporosi è un argomento dibattuto e ancora controverso. Uno studio recente (Rapuri et al., 2001) mostra che in donne in post-menopausa un consumo di caffeina superiore a 300 mg al giorno è significativamente associato con una perdita di massa ossea e tale relazione permane anche dopo correzione per i possibili fattori confondenti, quali età, fumo di sigaretta, assunzione di alcol, assunzione di calcio. Ed è proprio la assunzione di calcio, che viene spesso chiamata in causa per spiegare gli effetti della caffeina sulla perdita di massa ossea: molti studi riportano effetti legati a un elevato consumo di caffeina che, associato a un basso consumo di calcio, possano avere una azione combinata sulla perdita di massa ossea. Va detto comunque che la massa ossea e la perdita di calcio sono solo un aspetto della osteoporosi, che è una malattia multifattoriale complessa nella quale entrano in gioco molti altri fattori legati alle abitudini alimentari, allo stile di vita ma anche alla predisposizione genetica. Un consumo moderato di caffè, valutato sulla quantità di caffeina introdotta, è pari a 300 mg/die di caffeina per l’individuo adulto, ovvero circa 4-5 mg di caffeina per kg di peso corporeo al giorno: es.: un uomo di 70 kg 4,5 x 70 = 315 mg (Nawrot P et al., 2003). Per avere un’idea di cosa significhi in termini di dosaggio, ecco i quantitativi di caffeina contenuti in alcune delle bevande più comuni (Coffee Science Information Centre e altre fonti). Prodotto 40-80 mg per tazzina Caffè americano 115-120 mg per tazza Istantaneo Decaffeinato Istantaneo decaffeinato Cappuccino Cioccolata (barretta di 60 gr) Tè Bevanda a base di cola Numerosi studi (vedi volume caffè e salute della stessa serie) mostrano che il consumo di caffeina è associato con una riduzione del rischio di insorgenza di malattia di Parkinson. Ciò si evidenzia più nei maschi che nelle femmine: questa differenza legata al sesso può essere messa in relazione ad una interazione tra caffeina e uso della terapia estrogenica sostitutiva in epoca postmenopausale. Infatti, nelle donne che non sono sottoposte a terapia estrogenica sostitutiva, il consumo di caffè risulta essere un fattore di protezione nei confronti del Parkinson. Per contro, gli estrogeni somministrati per attenuare i sintomi della menopausa costituiscono un fattore di rischio per la malattia, determinando, di conseguenza, una attenuazione degli effetti benefici della caffeina. I risultati di questi lavori hanno portato a sconsigliare fortemente nella pratica clinica la somministrazione combinata di caffeina e estrogeni (Ascherio et al., 2004). Quantitativo medio per porzione Espresso o moka Bibite energetiche (con caffeina o guaranà) 65-100 mg per tazza ≤5 mg per tazzina ≤5 mg per tazza 70-80 mg per tazza 30-40 mg 40-50 mg per tazza 35-50 mg per lattina 50-100 mg per lattina In conclusione possiamo dire che, anche nel caso degli stati fisiologici tipici della condizione femminile, la raccomandazione nutrizionale relativa al consumo di caffè non è tanto tesa alla proibizione ma alla moderazione delle quantità. Forse una particolare attenzione va dedicata al periodo della gravidanza, in cui la regola del non eccedere deve essere maggiormente osservata e le quantità particolarmente ridotte, così come durante l’allattamento. 11 Vero e falso su caffè e caffeina Di seguito vengono raccolte una serie di osservazioni e controversie che riguardano il caffè e la caffeina e i loro rapporti con la salute umana, con particolare attenzione alla salute della donna. non hanno messo in evidenza alcuna relazione tra il consumo abituale di caffè e il rischio di cancro (Stensvold, et al, 1994 – Galanis et al, 1998). La caffeina induce una perdita di calcio nelle urine Il caffè crea dipendenza FALSO: Il caffè, o meglio, la caffeina non crea dipendenza. Il consumo abituale di caffeina, se improvvisamente interrotto, può causare in alcuni soggetti mal di testa, stanchezza o sonnolenza. Normalmente questi sintomi hanno una durata di uno o due giorni e possono essere evitati se l’assunzione di caffè viene ridotta in modo graduale (Nehlig A. 1999). 12 Il caffè aumenta il rischio di malattie cardiache FALSO: Studi su larga scala hanno dimostrato che il consumo di caffè preparato come filtrato, moka o espresso non aumenta né il rischio di malattie cardiovascolari né i livelli di colesterolo nel sangue. In soggetti sensibili alla caffeina, è stato osservato un lieve e temporaneo aumento (effetto acuto) della pressione sanguigna in seguito all’assunzione di questa sostanza. Tuttavia, questo aumento è paragonabile a quello provocato da attività fisiche consuete come salire le scale. È opportuno che i soggetti con problemi di ipertensione consultino il medico per avere indicazioni su qual è il consumo di caffeina adeguato per la loro condizione. Il consumo moderato abituale si associa, invece, con un più basso livello di pressione a causa dell’effetto diuretico della bevanda e della presenza di potassio (Salvaggio et al., 1990 – Periti et al.,1987). Altri studi, tuttavia, non sembrano confermare questi risultati (James 2004 - Waring et al., 2003). La caffeina provoca il cancro FALSO: Comprovate ricerche scientifiche hanno dimostrato che la caffeina non aumenta il rischio di cancro. Due studi condotti in Norvegia e alle Hawaii su un numero elevato di persone e un’analisi di 13 studi che hanno coinvolto oltre 20.000 soggetti VERO: Alcuni studi indicano che un elevato consumo di caffeina può aumentare la perdita di calcio attraverso le urine. Tuttavia, è stato dimostrato che si tratta di una perdita minima e il consumo di caffeina a livelli moderati non sembra incidere sul livello di calcio o sulla densità ossea. Il fattore chiave è comunque il consumo di calcio: se si assume in quantità adeguata, è meno probabile che il consumo di caffeina interferisca e crei un danno alla salute scheletrica (cfr. anche il capitolo precedente “La menopausa”). Le donne in stato di gravidanza o che desiderano avere un figlio, dovrebbero evitare di bere caffè FALSO: Una grande quantità di studi ha osservato gli effetti delle bevande contenenti caffeina sui fattori riproduttivi. I dati raccolti mostrano che il consumo moderato di caffè non ha effetti negativi sulla salute della donna in stato di gravidanza e su quella del nascituro. I risultati di studi che hanno messo in relazione il consumo di caffeina con il tempo impiegato per il concepimento non hanno fornito alcuna prova concreta che il consumo di bevande contenenti caffeina possa ridurre la capacità di una donna di concepire. Due studi rilevanti compiuti negli Stati Uniti non hanno evidenziato alcuna relazione tra il consumo di caffeina e il numero di gravidanze o anomalie del parto (Leviton et al., Cowan 2002). Per quanto attiene alla morte fetale, il rischio, come dimostrato da recenti ricerche (Wisborg et al., 2003), sembra essere dose-dipendente: l’ingestione di circa 300 mg di caffeina (pari a 3 tazze di media grandezza di caffè) corrisponde infatti a un esiguo rischio di morte fetale. Il rischio aumenta lentamente con consumi fino a 7 tazze, per raddoppiare nettamente con consumi di 8 e più 13 tazze di caffè al giorno. Considerando che non sono ancora del tutto chiariti gli effetti della caffeina in dosi elevate, in fase gravidica, la Food Standards Agency, in Gran Bretagna, nelle linee guida emesse nell’Ottobre 2001, raccomanda, alle donne in gravidanza, di limitare il consumo di bevande e altri prodotti contenenti caffeina. L’agenzia suggerisce, appunto, di non oltrepassare i 300 mg di caffeina al giorno, equivalenti a 3-4 tazzine di Moka. Tale suggerimento è in linea con le raccomandazioni dell’EU Scientific Committee on Foodstuffs che aggiunge: “mentre il consumo di 300 mg di caffeina appare innocuo per la salute, resta però aperta la questione sul regolare consumo di oltre 300 mg e sui possibili effetti sulle donne in gravidanza e sulla loro prole”. 14 Il caffè stimola la digestione VERO: Nelle persone sane il caffè fa digerire con maggiore facilità perché stimola la produzione di saliva (favorendo la prima fase digestiva che avviene in bocca), la secrezione gastrica e la secrezione della bile prodotta dal fegato, necessaria alla digestione dei grassi; inoltre stimola la motilità intestinale. Una tazzina di caffè subito dopo avere mangiato attiva quindi alcuni meccanismi del tratto digerente (Boekema PJ, et al., 1999). Tuttavia le persone sofferenti di disturbi gastrici (gastrite, ulcera peptica) dovuti ad un’eccessiva secrezione gastrica oppure di disturbi infiammatori intestinali, dovrebbero limitare (o evitare nei casi più severi) l’assunzione di caffè, così come di altre bevande quali tè, birra e bevande gassate (Ehrlich A, et al., 1998 - Boekema PJ, et al., 1999). La caffeina incide sul sistema nervoso dei bambini VERO e FALSO: Generalmente i bambini hanno la stessa capacità degli adulti di metabolizzare la caffeina. Solo nel caso di bambini particolarmente sensibili, dosi elevate di caffeina possono causare effetti temporanei quali eccitabilità, irritabilità o ansietà come in qualunque individuo particolarmente suscettibile. La caffeina sembra produrre nei bambini normali solo effetti modesti e innocui (Castellanos & Rapoport , 2002), ed è stata addirittura proposta come trattamento della sindrome da iperattività (Schnackenberg, R.C., 1975). Bere caffè fa respirare meglio VERO: La caffeina (come le altre metilxantine, teofillina e teobromina) ha una modesta azione broncodilatatoria e migliora la funzione delle vie respiratorie nelle persone con asma fino a quattro ore dopo l’assunzione (Tilley SL, Boucher RC. 2005). Sono tuttavia necessarie ulteriori ricerche in questo campo prima di trarre delle conclusioni sui consumi moderati di caffeina. La caffeina nuoce alla salute degli ultrasessantenni La caffeina è in grado di migliorare il livello di attenzione VERO: La caffeina esercita un effetto stimolante moderato, agendo sul sistema nervoso centrale e migliorando il livello di attenzione. Inoltre, alcuni test hanno mostrato che la caffeina è in grado di accelerare del 10% la capacità di elaborare velocemente le informazioni nel cervello e che un caffè dopo pranzo aiuta a contrastare la normale sonnolenza postprandiale e a mantenere la capacità di concentrazione (Brice CF, Smith AP. 2002 ). VERO e FALSO: È vero che, gli anziani sono più sensibili alla caffeina (Blanchard J. 1982). Tuttavia un consumo moderato non ha effetti collaterali notevoli mentre può essere di aiuto per aumentare la performance psicologica, in quanto migliora l’attenzione e la capacità di concentrazione e velocizza il processo di immagazzinamento delle informazioni. Inoltre, il caffè consumato dopo il pasto riduce il fastidioso calo di pressione che spesso si riscontra negli anziani (Stisen AB, et al., 2005). 15 Il numero delle tazze consentite al giorno non dipende dalla quantità di caffeina di ogni tazzina La caffeina ha effetti diversi a seconda del momento della giornata in cui viene assunta FALSO: Naturalmente quello che conta non è il numero delle tazze consumate ma la quantità effettiva di caffeina assunta giornalmente, che è il principio farmacologicamente attivo del caffè. Il problema consiste nel fatto che valutare il consumo di caffè è semplice, mentre è molto più arduo stimare il consumo di caffeina, in quanto la presenza di caffeina nel caffè dipende da diversi fattori quali il tipo di miscela, la quantità di polvere di caffè o il metodo di preparazione. Nel caffè all’italiana (espresso o moka), il contenuto di caffeina per tazza varia dai 40 agli 80 mg (D’Amicis A., Viani RA. 1993). VERO: La caffeina non ha effetti particolari se assunta nella prima parte della giornata (fase up), mentre più forti sono i fenomeni di eccitabilità e nervosismo se consumata nel pomeriggio o alla sera (fase down). Tuttavia, le varie fasi up e down non sono riscontrabili nel medesimo periodo in tutti gli individui e ciò spiegherebbe il diverso effetto che si riscontra tra coloro che consumano caffè nel pomeriggio o tardo pomeriggio: alcuni stentano a prendere sonno, altri, invece, non risentono minimamente dell’effetto (Nehlig A. 1999 - Shilo L, et al., 2002). Le dosi consigliate sono uguali per tutti 16 Il caffè è controindicato a chi soffre di ansia e disturbi del sonno VERO: La caffeina è uno stimolante che è genericamente controindicato in questi casi (Shilo L, et al., 2002). E’ vero però, che l’effetto del caffè, e in particolare della caffeina, sulla qualità del sonno varia da individuo a individuo. In genere, solo nei soggetti particolarmente sensibili il caffè può generare un sonno disturbato, soprattutto nelle prime fasi del sonno che ne risente in termini di qualità più che di quantità (SanchezOrtuno M., et al, 2005). Gli effetti farmacologici del caffè sono particolarmente spiccati nel caso in cui il caffè venga consumato in dosi elevate e ravvicinate nel tempo VERO: L’effetto della caffeina dura solo qualche ora. Pertanto, per avere gli effetti farmacologici tipici, bisogna consumarne dosi molto elevate in un arco di tempo piuttosto ristretto (circa 300 mg, pari a 4-8 caffè, in un’unica dose). Al contrario, se la sua ingestione è frazionata durante la giornata, la caffeina non può determinare fenomeni di accumulo, in quanto viene demolita dal fegato ed eliminata con le urine. FALSO: Come tutte le sostanze farmacologicamente attive, gli effetti della caffeina sono basati su milligrammi di caffeina in rapporto al peso corporeo: mentre le persone di sana costituzione possono tranquillamente assumere una dose diaria di circa 4 milligrammi di caffeina per chilogrammo di peso (che per un individuo che pesa 75 Kg corrisponde a 300 mg, ovvero dalle 3 alle circa 4 tazzine di moka/giorno piuttosto che 6 tazzine di espresso/giorno), più le dimensioni corporee sono ridotte e più tale quantità si riduce. Tuttavia, chi non tollera la caffeina o chi ha avuto problemi cardiocircolatori deve attenersi a particolari prescrizioni mediche oppure consumare caffè decaffeinato. Esistono persone più sensibili di altre alla caffeina VERO: Oltre alla dose, esistono diverse variabili umane che possono modulare l'effetto della caffeina sull'organismo: la tolleranza, la personalità, l'età. Molte persone sperimentano gli effetti collaterali del caffè (ansia, insonnia , nervosismo) anche dopo una sola tazzina (Alsene K., et al., 2003). In questi casi si può optare per il caffè decaffeinato, che ha un contenuto bassissimo di caffeina, ma che garantisce lo stesso piacere di gustare un caffè. 17 Bibliografia Aim B, Wennergren G, Norvenius G, Skjaerven R, Oyen N, Helweg-Larsen K, Lagercransts H, Irgens LM. Caffeine and alcohol as risk factors for sudden infant death syndrome Nordic Epidemiological SIDS Study. Arch Dis Child 1999; 81:107-111. Aldridge A, Aranda JV, Neims AH. Caffeine metabolism in the newborn. Clin Pharmacol Ther 1979; 25:447–53. Alsene K, Deckert J, Sand P, de Wit H Association between A2a receptor gene polymorphisms and caffeine-induced anxiety. 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