Caffè e Donna - caffè salute

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Caffè e Donna - caffè salute
Caffè e Donna
Caffè e Donna
Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione
Via Ardeatina, 546 - 00178 Roma
Tel. 06.514941
www.inran.it
Testi a cura di:
Amleto D'Amicis
Andrea Ghiselli
Laura Rossi
Stefania Sette
2005
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Introduzione
La sindrome premestruale
Il caffè è la più comune bevanda stimolante contenente
caffeina; insieme con il cacao e il tè fa parte del gruppo degli
alimenti nervini, ossia gli alimenti che sono in grado di
stimolare il sistema nervoso. Tale effetto è determinato dalla
presenza di caffeina, un alcaloide che si trova nel seme e nelle
foglie della pianta di caffè, ma anche di altre piante, come
appunto il tè, il cacao, il mate. La tipicità di azione della caffeina
è legata al fatto che provoca una sensazione di benessere o
euforia aumentando la resistenza alla fatica. La caffeina,
chimicamente parlando, appartiene alla famiglia delle
metilxantine, composti purinici che presentano diversi effetti
sui sistemi cellulari. Agiscono infatti inibendo la fosfodiesterasi
con incremento dell’AMP ciclico intracellulare; hanno effetti
diretti e indiretti sulla concentrazione di calcio intracellulare,
con un azione importante sulle proprietà contrattili della
muscolatura liscia, e sono antagonisti dei recettori per
l’adenosina. Soprattutto quest’ultima azione pare che sia
responsabile della maggior parte dei suoi effetti farmacologici.
La caffeina ha un’azione diuretica nonché un’azione stimolante
sul sistema cardiaco e respiratorio.
La sua attività farmacologica si esplica quindi non solo a livello
del sistema nervoso centrale, ma anche a livello dei sistemi
cardiovascolare, renale e respiratorio, con stimolazione del
muscolo cardiaco, aumento della produzione di urina e
broncodilatazione. Per tali attività, mentre dosaggi moderati
(abituale consumo di 3-5 tazzine al giorno) possono produrre
effetti benefici e favorevoli all’organismo, dosaggi più elevati
possono essere alla base di qualche effetto negativo,
specialmente negli individui più sensibili (Knight CA, et al., 2004).
Alcune tematiche inerenti il rapporto tra caffè e salute e alcune
specifiche patologie vengono trattate negli altri volumi di
questa serie. La presente monografia si focalizza, viceversa,
sugli effetti del consumo di caffè rispetto alla fisiologia
femminile mettendone in luce gli aspetti positivi, i punti
dibattuti e quelli sui quali c’è maggiore consenso.
Il termine “sindrome premestruale” definisce un quadro di
alterazioni di differente natura che tendono a manifestarsi, in
genere, alcuni giorni prima della comparsa del flusso mestruale.
Il quadro tipico della sindrome premestruale è caratterizzato da
tensione mammaria, gonfiore addominale, ritenzione di liquidi
e cefalea. Questi sintomi fisici sono spesso associati ad un
quadro psico-emozionale comprendente ansia, depressione e
irritabilità. Tale condizione riguarda circa il 40% delle donne in
età fertile e tra queste un 3-8% presenta una sintomatologia
più severa denominata “disordini disforici premestruali”. Studi
abbastanza recenti suggeriscono che la sindrome premestruale
sia associata a fluttuazioni della omeostasi del calcio e a una
cattiva regolazione dell’ormone paratiroideo (Cohen et al.,
2002; Hallbreich et al., 2003). La supplementazione con calcio
(1000-1300 mg/die) e con vitamina B6 (100 mg/die) è stata
testata in vari studi clinici di intervento e si è dimostrata
efficace ad alleviare buona parte della sintomatologia, inclusi
irritabilità, depressione e crampi (Thys-Jacobs, 2000; Ward &
Holimon, 1999; Wyatt et al., 1999).
Per contro supplementazioni con integratori contenenti mix di
vitamine e minerali non sembrano mostrare la stessa efficacia
(Bendich, 2002) così come la riduzione della assunzione di alcol,
sodio o caffeina non migliora, di fatto, il quadro clinico.
Studi meno recenti (realizzati oltre 10 anni fa) hanno provato a
dimostrare una ipotetica relazione causale tra consumo di caffè
e maggiore insorgenza della sintomatologia premestruale.
Le conferme attese non sono state trovate e i pochi lavori che
hanno individuato delle relazioni presentavano delle grosse
limitazioni metodologiche (Rossignol & Bonnlander, 1990).
Allo stato attuale delle conoscenze, quindi, si ritiene che la
caffeina non possa essere additata come un peggiorativo della
sindrome premestruale, anche se non appare risolutiva quale
auto-medicamento per attenuarne i sintomi fisici o psicoemozionali.
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La gravidanza
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Lo studio degli effetti della caffeina sulla performance della
gravidanza, e, in generale, sul sistema riproduttivo femminile,
vengono portati avanti, da più di vent’anni, con fasi di alterno
entusiasmo e con conclusioni spesso non univoche.
La caffeina attraversa la placenta e quindi esplica i suoi effetti
farmacologici anche sul feto, sia sul suo sistema circolatorio (il
battito del feto può risultare accelerato del doppio rispetto al
normale) che su quello respiratorio (Briggs et al., 1994). Inoltre
il metabolismo della caffeina, durante la gravidanza, risulta
fortemente rallentato. Da ciò consegue un aumento della
biodisponibilità di caffeina la quale, permanendo in circolo per
un tempo più ampio, viene assorbita maggiormente. Gli studi
classici sulla farmacocinetica della caffeina nel sangue hanno
dimostrato che la sua emivita è di circa 2.5-4.5 ore in una
donna non incinta, mentre risulta di 7 ore in una gestante
intorno alla 20a settimana, fino a raggiungere le 10.5 ore
durante le ultime settimane di gravidanza (Brazier et al, 1983).
Quindi durante la gravidanza si osserva, per effetto della
riduzione del catabolismo della caffeina, un pronunciato
incremento della sua concentrazione ematica e, di
conseguenza, della sua attività farmacologica, senza che si
aumenti la assunzione dietetica di caffè. Sul neonato non si
hanno a disposizione moltissimi dati di farmacocinetica della
caffeina, benché alcune stime suggeriscano un catabolismo
ancora più lento che raggiunge i 4 giorni in neonati prematuri
o a termine (Aldridge et al., 1979). L’interesse riguardo gli effetti
della caffeina in periodo gravidico è legato alle possibili
implicazioni sulla salute pubblica e potrebbe trovare una
conferma della presunta interferenza della caffeina con una
buona performance di gravidanza. Una meta-analisi di 12 studi
sul rischio di aborto spontaneo e di basso peso alla nascita, in
donne che durante la gravidanza consumavano più di 150 mg
al giorno di caffeina, ha messo in evidenza i limiti di tali studi
tutti legati a fattori confondenti importanti. Infatti, fumo di
sigaretta e consumo di alcol non erano stati presi in
considerazione quali determinanti importanti della induzione
dell’aborto spontaneo (Fernandes et al., 1998). Un recente
studio prospettico effettuato su più di 18.000 parti, i cui
risultati sono stati controllati tenendo conto e correggendo per
la presenza di potenziali fattori confondenti, ha mostrato che il
rischio di morte fetale sembra in effetti aumentare
proporzionalmente all’incremento del numero di tazze di caffè
che vengono consumate durante la gravidanza. La relazione
sembra essere dose dipendente. Ingestioni di caffè pari a 1-3
tazze al giorno (con 100 mg di caffeina per tazza di caffè)
corrispondevano ad un esiguo rischio di morte fetale; il rischio
aumentava lentamente con consumi di caffè corrispondenti a
4-7 tazze al giorno, per raddoppiare nettamente con assunzioni
di caffè di 8 o più tazze al giorno (Wisborg et al., 2003).
Lo studio si spinge oltre mostrando un aumento della mortalità
perinatale e nel primo anno di vita, a seguito dell’esposizione
intrauterina al caffè; ma in questo caso la correzione con il
fumo di sigaretta rende questa associazione inconsistente,
portando gli Autori a concludere che una strategia di salute
pubblica tesa alla riduzione della assunzione di caffè in
gravidanza non avrebbe un effetto sulla riduzione della
mortalità infantile. Benché abbastanza solido, questo studio
che invita ad una certa prudenza sul consumo elevato di
caffeina in gravidanza non è stato esente da dibattiti e
contestazioni. L’esistenza di una relazione causa-effetto tra
consumo di caffeina e tossicità riproduttiva è infatti ancora
ampiamente dibattuta nella letteratura scientifica.
Secondo alcuni autori (Lawson et al., 2004) tale associazione
sarebbe assolutamente artificiosa e legata ad altri aspetti della
gravidanza stessa. In particolare si ritiene che il consumo di
caffeina sia modulato e inversamente associato alla presenza
delle nausee responsabili di una riduzione spontanea del
consumo di caffè. Poiché la nausea è un indice di buona
performance della gravidanza, nel senso che è associata a
nascite a termine piuttosto che a perdita del feto, si arguisce
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che, più che una minore esposizione ad un agente tossico, vi
sia, in realtà, una spontanea riduzione della assunzione di caffè
in gravidanze che, in ogni caso, avrebbero avuto un esito
migliore. Di conseguenza le considerazioni sulla tossicità
riproduttiva della caffeina sarebbero fortemente influenzate da
un fattore confondente importante legato al fatto che la
riduzione di assunzione di caffé è, di per sé, un segnale
distintivo di una gravidanza più sana. D’altro canto, per
spiegare l’associazione tra consumo di caffeina e aumento del
rischio di morte fetale possono essere chiamati in causa vari
meccanismi. La caffeina, infatti, determina il rilascio di
catecolamine dalla corteccia renale, le quali possono indurre
vasocostrizione nella circolazione utero-placentare con
conseguente ipossia fetale (Kirkinen et al., 1983). Come già
accennato, inoltre, la caffeina può avere degli effetti diretti sul
sistema cardiovascolare del feto con induzione di tachicardia e
altre forme di aritmia (Resch & Papp, 1983).
Il primo trimestre di gravidanza, dunque, rappresenta un
momento di particolare suscettibilità all’esposizione alla
caffeina. Uno studio piuttosto convincente, effettuato su un
campione di donne molto ampio (più di 1500) e non
contestabile dal punto di vista della analisi statistica, dimostra
una associazione significativa tra ingestione di caffeina e
aborto spontaneo nel primo trimestre di gravidanza, anche
dopo correzione della distorsione indotta dalle nausee quale
sintomo di una gravidanza con più probabilità di successo
(Cnattingius et al., 2000). Gli Autori mettono in evidenza anche
la relazione esistente tra fumo di sigaretta e caffeina che risulta
essere ambigua, oltre che costituire un fattore confondente;
infatti gli studi di farmacocinetica della caffeina hanno già
evidenziato la riduzione del suo catabolismo nelle donne in
gravidanza e nel feto. Il fumo di sigaretta pare agisca come
attenuatore di questo effetto, determinando un incremento
della metabolizzazione della caffeina e riducendone quindi i
tempi di permanenza nel sangue delle gestanti, con
conseguente riduzione della sua biodisponibilità (Cook et al.,
1996). Questo meccanismo di “protezione” spiegherebbe il fatto
che la caffeina sia un fattore di rischio per l’aborto spontaneo,
in particolare per le non fumatrici, mentre l’esposizione
combinata fumo di sigaretta e caffeina non determinerebbe un
aumento del rischio di induzione di aborto spontaneo. Non per
questo ci si può spingere a consigliare il fumo, né in gravidanza
né in altre circostanze!
Il moderato consumo di caffè non incide sul ritardo di crescita
intrauterina e rischio di parto pretermine. Lo dimostrano i dati
riportati in uno studio dove si analizzano, attraverso un
questionario, consumatrici e non consumatrici di caffè. Lo
scostamento, infatti, fra le non consumatrici e le consumatrici
è irrilevante: la Odd Ratio nelle consumatrici di 4 o più tazzine
di caffè/die prima della gravidanza era 1.3 (95% confidence
interval, CI, 0,9-1,9), 1.2 (95% CI 0.8-1.8), 1.2 (95% CI 0.8-1.8)
e 0.9 (95% CI 0.6-1.4) per il consumo di tre o più tazzine di
caffè/die rispettivamente durante il primo, il secondo e il terzo
trimestre di gravidanza (Parazzini et al., 2005).
Del resto, il consumo di caffè decaffeinato sembra porre ancor
meno problemi nei confronti di parti pretermine o di basso peso
alla nascita rispetto al consumo di caffè con caffeina (Eskenazi
et al., 1999). Elevate dosi di caffeina (circa 500 mg/die) sono
state associate a ritardo e difficoltà di concepimento in alcuni
studi retrospettivi (Bolumar et al., 1997 - Nawrot et al., 2003 Barbieri 2001). Al momento le conoscenze sono troppo scarse e
discordanti per mettere in relazione un aumentato rischio di
sindrome da morte infantile del neonato a seguito di
esposizione del feto a caffeina (Ford et al., 1998; Aim et al.,
1999).
Non ci sono studi su modello umano che abbiano evidenziato
un legame tra assunzione di caffeina durante la gravidanza e
difetti congeniti, anche se si è osservata, a dosi massive, una
evidente teratogenicità della caffeina in esperimenti su modello
animale (topi) (Marret et al., 1997). La tossicità della caffeina
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L’allattamento
per il sistema riproduttivo dimostrata sull’animale è di difficile
trasposizione sull’uomo in quanto i quantitativi e le modalità di
somministrazione spesso, nei due modelli, sono molto
differenti.
In conclusione, poiché non può essere completamente escluso
un legame tra cattiva performance della gravidanza e
assunzione di caffeina in elevate dosi, si preferisce, in via
assolutamente prudenziale, raccomandarne una assunzione
limitata ai 300 mg al giorno (Lynn Kaiser & Allen, 2002).
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Il consumo di caffeina da parte della nutrice non determina
cambiamenti nella composizione del latte materno in termini di
qualità proteica, contenuto di lattosio e di acidi grassi. Per
quanto riguarda il contenuto di micronutrienti bisogna
distinguere: una assunzione di caffè che non ecceda le 3
tazzine al giorno (o meno) non influenza il contenuto di rame,
magnesio e zinco del latte materno, mentre il suo quantitativo
di ferro risulta ridotto di 1/3 rispetto al latte di una donna che
non beve caffè (Munoz et al., 1987). A questo proposito va
inoltre detto che in generale, e non solo nella nutrice o nel
lattante, il consumo di caffè (ma anche quello del tè) in
concomitanza con il pasto riduce l’assorbimento di ferro dagli
alimenti, soprattutto di quello non-eme (Zijp et al., 2000). Il
profilo del ferro della nutrice e del lattante sembra
particolarmente suscettibile all’esposizione alla caffeina con
una diminuzione dei livelli di emoglobina e di ematocrito e con
una riduzione della capacità di mobilizzazione delle riserve
epatiche di ferro in entrambi e favorendo, quindi, l’insorgenza
di anemia in una fase nella quale già madre e bambino sono
particolarmente suscettibili alle carenze di ferro. Anche se studi
su modello animale hanno mostrato un aumento del volume di
latte prodotto dopo esposizione cronica ad elevate dosi di
caffeina (50 mg/kg/die), vista la peculiarità di tale modello è
difficile estrapolare delle considerazioni applicabili all’uomo
(Hart & Grimble, 1990).
Il consumo di alimenti nervini in generale, e quindi anche di
caffè, va controllato durante la gravidanza e l’allattamento
(INRAN, 2003). Infatti gli alcaloidi in essi contenuti sono escreti
con il latte materno in quantità non trascurabile e quindi il
lattante è esposto, di fatto, ad un certo dosaggio di caffeina che
ha su di esso gli stessi effetti farmacologici che ha sull’adulto,
con aumento della sua irritabilità e insonnia (Nehlig & Debry,
1994). Qualora la rinuncia fosse difficile da affrontare, il
consiglio nutrizionale in questo caso è quello di utilizzare
prodotti decaffeinati.
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La menopausa
Che cosa significa consumo moderato
Il ruolo della caffeina come fattore di rischio per l’insorgenza di
osteoporosi è un argomento dibattuto e ancora controverso.
Uno studio recente (Rapuri et al., 2001) mostra che in donne in
post-menopausa un consumo di caffeina superiore a 300 mg al
giorno è significativamente associato con una perdita di massa
ossea e tale relazione permane anche dopo correzione per i
possibili fattori confondenti, quali età, fumo di sigaretta,
assunzione di alcol, assunzione di calcio. Ed è proprio la
assunzione di calcio, che viene spesso chiamata in causa per
spiegare gli effetti della caffeina sulla perdita di massa ossea:
molti studi riportano effetti legati a un elevato consumo di
caffeina che, associato a un basso consumo di calcio, possano
avere una azione combinata sulla perdita di massa ossea. Va
detto comunque che la massa ossea e la perdita di calcio sono
solo un aspetto della osteoporosi, che è una malattia
multifattoriale complessa nella quale entrano in gioco molti
altri fattori legati alle abitudini alimentari, allo stile di vita ma
anche alla predisposizione genetica.
Un consumo moderato di caffè, valutato sulla quantità di
caffeina introdotta, è pari a 300 mg/die di caffeina per
l’individuo adulto, ovvero circa 4-5 mg di caffeina per kg di
peso corporeo al giorno: es.: un uomo di 70 kg 4,5 x 70 = 315
mg (Nawrot P et al., 2003). Per avere un’idea di cosa significhi
in termini di dosaggio, ecco i quantitativi di caffeina contenuti
in alcune delle bevande più comuni (Coffee Science
Information Centre e altre fonti).
Prodotto
40-80 mg per tazzina
Caffè americano
115-120 mg per tazza
Istantaneo
Decaffeinato
Istantaneo decaffeinato
Cappuccino
Cioccolata (barretta di 60 gr)
Tè
Bevanda a base di cola
Numerosi studi (vedi volume caffè e salute della stessa serie)
mostrano che il consumo di caffeina è associato con una
riduzione del rischio di insorgenza di malattia di Parkinson. Ciò
si evidenzia più nei maschi che nelle femmine: questa
differenza legata al sesso può essere messa in relazione ad una
interazione tra caffeina e uso della terapia estrogenica
sostitutiva in epoca postmenopausale. Infatti, nelle donne che
non sono sottoposte a terapia estrogenica sostitutiva, il
consumo di caffè risulta essere un fattore di protezione nei
confronti del Parkinson. Per contro, gli estrogeni somministrati
per attenuare i sintomi della menopausa costituiscono un
fattore di rischio per la malattia, determinando, di
conseguenza, una attenuazione degli effetti benefici della
caffeina. I risultati di questi lavori hanno portato a sconsigliare
fortemente nella pratica clinica la somministrazione combinata
di caffeina e estrogeni (Ascherio et al., 2004).
Quantitativo medio per porzione
Espresso o moka
Bibite energetiche
(con caffeina o guaranà)
65-100 mg per tazza
≤5 mg per tazzina
≤5 mg per tazza
70-80 mg per tazza
30-40 mg
40-50 mg per tazza
35-50 mg per lattina
50-100 mg per lattina
In conclusione possiamo dire che, anche nel caso degli
stati fisiologici tipici della condizione femminile, la
raccomandazione nutrizionale relativa al consumo di caffè non
è tanto tesa alla proibizione ma alla moderazione delle
quantità. Forse una particolare attenzione va dedicata al
periodo della gravidanza, in cui la regola del non eccedere deve
essere maggiormente osservata e le quantità particolarmente
ridotte, così come durante l’allattamento.
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Vero e falso su caffè e caffeina
Di seguito vengono raccolte una serie di osservazioni e
controversie che riguardano il caffè e la caffeina e i loro
rapporti con la salute umana, con particolare attenzione alla
salute della donna.
non hanno messo in evidenza alcuna relazione tra il consumo
abituale di caffè e il rischio di cancro (Stensvold, et al, 1994 –
Galanis et al, 1998).
La caffeina induce una perdita di calcio nelle urine
Il caffè crea dipendenza
FALSO: Il caffè, o meglio, la caffeina non crea dipendenza. Il
consumo abituale di caffeina, se improvvisamente interrotto,
può causare in alcuni soggetti mal di testa, stanchezza o
sonnolenza. Normalmente questi sintomi hanno una durata di
uno o due giorni e possono essere evitati se l’assunzione di
caffè viene ridotta in modo graduale (Nehlig A. 1999).
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Il caffè aumenta il rischio di malattie cardiache
FALSO: Studi su larga scala hanno dimostrato che il consumo di
caffè preparato come filtrato, moka o espresso non aumenta né
il rischio di malattie cardiovascolari né i livelli di colesterolo nel
sangue. In soggetti sensibili alla caffeina, è stato osservato un
lieve e temporaneo aumento (effetto acuto) della pressione
sanguigna in seguito all’assunzione di questa sostanza. Tuttavia,
questo aumento è paragonabile a quello provocato da attività
fisiche consuete come salire le scale. È opportuno che i soggetti
con problemi di ipertensione consultino il medico per avere
indicazioni su qual è il consumo di caffeina adeguato per la loro
condizione. Il consumo moderato abituale si associa, invece, con
un più basso livello di pressione a causa dell’effetto diuretico
della bevanda e della presenza di potassio (Salvaggio et al., 1990
– Periti et al.,1987). Altri studi, tuttavia, non sembrano
confermare questi risultati (James 2004 - Waring et al., 2003).
La caffeina provoca il cancro
FALSO: Comprovate ricerche scientifiche hanno dimostrato che
la caffeina non aumenta il rischio di cancro. Due studi condotti
in Norvegia e alle Hawaii su un numero elevato di persone e
un’analisi di 13 studi che hanno coinvolto oltre 20.000 soggetti
VERO: Alcuni studi indicano che un elevato consumo di
caffeina può aumentare la perdita di calcio attraverso le urine.
Tuttavia, è stato dimostrato che si tratta di una perdita minima
e il consumo di caffeina a livelli moderati non sembra incidere
sul livello di calcio o sulla densità ossea. Il fattore chiave è
comunque il consumo di calcio: se si assume in quantità
adeguata, è meno probabile che il consumo di caffeina
interferisca e crei un danno alla salute scheletrica (cfr. anche il
capitolo precedente “La menopausa”).
Le donne in stato di gravidanza o che desiderano avere
un figlio, dovrebbero evitare di bere caffè
FALSO: Una grande quantità di studi ha osservato gli effetti
delle bevande contenenti caffeina sui fattori riproduttivi. I dati
raccolti mostrano che il consumo moderato di caffè non ha
effetti negativi sulla salute della donna in stato di gravidanza e
su quella del nascituro. I risultati di studi che hanno messo in
relazione il consumo di caffeina con il tempo impiegato per il
concepimento non hanno fornito alcuna prova concreta che il
consumo di bevande contenenti caffeina possa ridurre la
capacità di una donna di concepire. Due studi rilevanti compiuti
negli Stati Uniti non hanno evidenziato alcuna relazione tra il
consumo di caffeina e il numero di gravidanze o anomalie del
parto (Leviton et al., Cowan 2002). Per quanto attiene alla
morte fetale, il rischio, come dimostrato da recenti ricerche
(Wisborg et al., 2003), sembra essere dose-dipendente:
l’ingestione di circa 300 mg di caffeina (pari a 3 tazze di media
grandezza di caffè) corrisponde infatti a un esiguo rischio di
morte fetale. Il rischio aumenta lentamente con consumi fino a
7 tazze, per raddoppiare nettamente con consumi di 8 e più
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tazze di caffè al giorno. Considerando che non sono ancora del
tutto chiariti gli effetti della caffeina in dosi elevate, in fase
gravidica, la Food Standards Agency, in Gran Bretagna, nelle
linee guida emesse nell’Ottobre 2001, raccomanda, alle donne
in gravidanza, di limitare il consumo di bevande e altri prodotti
contenenti caffeina. L’agenzia suggerisce, appunto, di non
oltrepassare i 300 mg di caffeina al giorno, equivalenti a 3-4
tazzine di Moka. Tale suggerimento è in linea con le
raccomandazioni dell’EU Scientific Committee on Foodstuffs
che aggiunge: “mentre il consumo di 300 mg di caffeina appare
innocuo per la salute, resta però aperta la questione sul regolare
consumo di oltre 300 mg e sui possibili effetti sulle donne in
gravidanza e sulla loro prole”.
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Il caffè stimola la digestione
VERO: Nelle persone sane il caffè fa digerire con maggiore
facilità perché stimola la produzione di saliva (favorendo la
prima fase digestiva che avviene in bocca), la secrezione
gastrica e la secrezione della bile prodotta dal fegato,
necessaria alla digestione dei grassi; inoltre stimola la motilità
intestinale. Una tazzina di caffè subito dopo avere mangiato
attiva quindi alcuni meccanismi del tratto digerente (Boekema
PJ, et al., 1999). Tuttavia le persone sofferenti di disturbi gastrici
(gastrite, ulcera peptica) dovuti ad un’eccessiva secrezione
gastrica oppure di disturbi infiammatori intestinali, dovrebbero
limitare (o evitare nei casi più severi) l’assunzione di caffè, così
come di altre bevande quali tè, birra e bevande gassate (Ehrlich
A, et al., 1998 - Boekema PJ, et al., 1999).
La caffeina incide sul sistema nervoso dei bambini
VERO e FALSO: Generalmente i bambini hanno la stessa
capacità degli adulti di metabolizzare la caffeina. Solo nel caso
di bambini particolarmente sensibili, dosi elevate di caffeina
possono causare effetti temporanei quali eccitabilità, irritabilità
o ansietà come in qualunque individuo particolarmente
suscettibile. La caffeina sembra produrre nei bambini normali
solo effetti modesti e innocui (Castellanos & Rapoport , 2002),
ed è stata addirittura proposta come trattamento della
sindrome da iperattività (Schnackenberg, R.C., 1975).
Bere caffè fa respirare meglio
VERO: La caffeina (come le altre metilxantine, teofillina e
teobromina) ha una modesta azione broncodilatatoria e
migliora la funzione delle vie respiratorie nelle persone con
asma fino a quattro ore dopo l’assunzione (Tilley SL, Boucher
RC. 2005). Sono tuttavia necessarie ulteriori ricerche in questo
campo prima di trarre delle conclusioni sui consumi moderati
di caffeina.
La caffeina nuoce alla salute degli ultrasessantenni
La caffeina è in grado di migliorare
il livello di attenzione
VERO: La caffeina esercita un effetto stimolante moderato,
agendo sul sistema nervoso centrale e migliorando il livello di
attenzione. Inoltre, alcuni test hanno mostrato che la caffeina
è in grado di accelerare del 10% la capacità di elaborare
velocemente le informazioni nel cervello e che un caffè dopo
pranzo aiuta a contrastare la normale sonnolenza
postprandiale e a mantenere la capacità di concentrazione
(Brice CF, Smith AP. 2002 ).
VERO e FALSO: È vero che, gli anziani sono più sensibili alla
caffeina (Blanchard J. 1982). Tuttavia un consumo moderato
non ha effetti collaterali notevoli mentre può essere di aiuto
per aumentare la performance psicologica, in quanto migliora
l’attenzione e la capacità di concentrazione e velocizza il
processo di immagazzinamento delle informazioni.
Inoltre, il caffè consumato dopo il pasto riduce il fastidioso
calo di pressione che spesso si riscontra negli anziani (Stisen
AB, et al., 2005).
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Il numero delle tazze consentite al giorno non dipende
dalla quantità di caffeina di ogni tazzina
La caffeina ha effetti diversi a seconda del momento
della giornata in cui viene assunta
FALSO: Naturalmente quello che conta non è il numero delle
tazze consumate ma la quantità effettiva di caffeina assunta
giornalmente, che è il principio farmacologicamente attivo del
caffè. Il problema consiste nel fatto che valutare il consumo di
caffè è semplice, mentre è molto più arduo stimare il consumo
di caffeina, in quanto la presenza di caffeina nel caffè dipende
da diversi fattori quali il tipo di miscela, la quantità di polvere
di caffè o il metodo di preparazione. Nel caffè all’italiana
(espresso o moka), il contenuto di caffeina per tazza varia dai
40 agli 80 mg (D’Amicis A., Viani RA. 1993).
VERO: La caffeina non ha effetti particolari se assunta nella
prima parte della giornata (fase up), mentre più forti sono i
fenomeni di eccitabilità e nervosismo se consumata nel
pomeriggio o alla sera (fase down). Tuttavia, le varie fasi up e
down non sono riscontrabili nel medesimo periodo in tutti gli
individui e ciò spiegherebbe il diverso effetto che si riscontra tra
coloro che consumano caffè nel pomeriggio o tardo pomeriggio:
alcuni stentano a prendere sonno, altri, invece, non risentono
minimamente dell’effetto (Nehlig A. 1999 - Shilo L, et al., 2002).
Le dosi consigliate sono uguali per tutti
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Il caffè è controindicato a chi soffre di ansia e disturbi
del sonno
VERO: La caffeina è uno stimolante che è genericamente
controindicato in questi casi (Shilo L, et al., 2002). E’ vero però,
che l’effetto del caffè, e in particolare della caffeina, sulla
qualità del sonno varia da individuo a individuo. In genere, solo
nei soggetti particolarmente sensibili il caffè può generare un
sonno disturbato, soprattutto nelle prime fasi del sonno che ne
risente in termini di qualità più che di quantità (SanchezOrtuno M., et al, 2005).
Gli effetti farmacologici del caffè
sono particolarmente spiccati nel caso in cui il caffè
venga consumato in dosi elevate e ravvicinate
nel tempo
VERO: L’effetto della caffeina dura solo qualche ora. Pertanto,
per avere gli effetti farmacologici tipici, bisogna consumarne
dosi molto elevate in un arco di tempo piuttosto ristretto (circa
300 mg, pari a 4-8 caffè, in un’unica dose). Al contrario, se la
sua ingestione è frazionata durante la giornata, la caffeina non
può determinare fenomeni di accumulo, in quanto viene
demolita dal fegato ed eliminata con le urine.
FALSO: Come tutte le sostanze farmacologicamente attive, gli
effetti della caffeina sono basati su milligrammi di caffeina in
rapporto al peso corporeo: mentre le persone di sana
costituzione possono tranquillamente assumere una dose
diaria di circa 4 milligrammi di caffeina per chilogrammo di
peso (che per un individuo che pesa 75 Kg corrisponde a 300
mg, ovvero dalle 3 alle circa 4 tazzine di moka/giorno piuttosto
che 6 tazzine di espresso/giorno), più le dimensioni corporee
sono ridotte e più tale quantità si riduce. Tuttavia, chi non
tollera la caffeina o chi ha avuto problemi cardiocircolatori
deve attenersi a particolari prescrizioni mediche oppure
consumare caffè decaffeinato.
Esistono persone più sensibili di altre alla caffeina
VERO: Oltre alla dose, esistono diverse variabili umane che
possono modulare l'effetto della caffeina sull'organismo: la
tolleranza, la personalità, l'età. Molte persone sperimentano gli
effetti collaterali del caffè (ansia, insonnia , nervosismo) anche
dopo una sola tazzina (Alsene K., et al., 2003). In questi casi si
può optare per il caffè decaffeinato, che ha un contenuto
bassissimo di caffeina, ma che garantisce lo stesso piacere di
gustare un caffè.
17
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23
Sommario
24
25
Introduzione
La sindrome premestruale
La gravidanza
L’allattamento
La menopausa
Che cosa significa consumo moderato
Vero e falso su caffè e caffeina
Bibliografia
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3
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9
10
11
12
18
Coordinamento editoriale
Weber Shandwick Italia
Grafica e impaginazione
Café - Grafica e Comunicazione
Stampa
Litogramma
Stampato in Giugno 2005