De là del mur Poesia di Delio Tessa in milanese in buona parte

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De là del mur Poesia di Delio Tessa in milanese in buona parte
De là del mur
Poesia di Delio Tessa in milanese in buona parte riferita a Mombello.
Traduzione e commento di Gino Cervi
Come già è stato per La mort della Gussona anche la composizione di 383 versi di
De là del mur occuparono un tempo assai esteso nella vita del Tessa. I primi 75, che
corrispondono alla prima parte, vengono fatti risalire addirittura a prima del 1915;
molto più tarda è invece la stesura della II e della III parte, che dovettero impegnare il
Tessa dal 1931 – data che è apposta, anche con la menzione del mese di dicembre, a
chiusura di una redazione non ancora definitiva contenuta in un manoscritto – fino al
1933 o 1934, come testimonia la memoria di Fortunato Rosti, raccolta nelle note
dell‟edizione De Silva 1947. Questa poesia avrebbe dovuto prestare il titolo alla
raccolta di cinque poesie che Tessa aveva approntato intorno alla metà degli anni
Trenta: oltre a questa, erano previste I deslipp di Càmol, La poesia della Olga, On
mort in pee e infine il trittico Viv, articolato in un preludio (Pupin sul trii), a un
notturno (I cà) e a un finale (Grimett al sô). Il progetto abortì; scrive il Tessa nel
dicembre del 1935, in occasione di una lettura delle sue poesie per la Radio della
Svizzera italiana: «Già tutto era pronto ma poi vi ho rinunciato. Perché, mi son detto,
porgere al lettore un altro non desiderato specchio in cui debba mirare il suo volto
corrucciato? Aspetterò così che la bufera si plachi. Se la calma verrà rimarranno i
miei ultimi versi come il ricordo di un incubo notturno, ma se i tempi volgeranno al
peggio ancora una volta verrà dimostrato che poesia è sovente profezia». Fu infatti il
secondo caso.
Dapprincipio il tema si presenta nelle forme note della “passeggiata” come espediente
letterario per rappresentare il distacco dal quotidiano affanno, la scelta del
disimpegno, ma anche, d‟altro lato, l‟accettazione degli accadimenti casuali, non
programmatici: il girovagare lascia aperta la porta alle occasioni. È una struttura che
abbiamo già visto in Primavera, significativamente coeva (1911) ai primi versi di De
là del mur. Poi, con l‟inizio della seconda parte, avviene lo scarto, come al solito
dettato da un‟incoercibile presa di distanza da una realtà storica in cui non ci si
riconosce e che si rifiuta: la vita stentata dell‟avvocato di piccolo cabotaggio, il
traffico delle automobili… La gita fuori porta ha condotto il Tessa a Mombello, paese
dove si trova un noto manicomio: un prato, un muro e questo è il traguardo. Come
scrive Giuseppe Anceschi (Delio Tessa. Profilo di un poeta, p. 104 ) quello che è
posto de là del mur è «centro atteso e sinistro dell‟intera narrazione, giro di boa cui
tendere e da cui ripartire come una vera e propria metafora della vita». Da qui in poi,
e per tutta la seconda parte, la lirica si fa «esaltazione del potere illimitato della
parola» (Tessa) e rivela la profonda istanza anti-realistica della poetica tessiana: il
discorso si rifrange in brandelli di suoni, di visioni slabbrate, tenute insieme da
concatenazioni analogiche, o sconnesse da continui salti di scena – dalla campagna
milanese ai notturni interni di appartamento, agli allucinati spazi immaginati del
manicomio e dell‟ospizio. Pier Vincenzo Mengaldo sottolinea come proprio con De
là del mur Tessa diventi l‟unico poeta dialettale del Novecento «che sia giunto a un
uso propriamente surreale e onirico del dialetto: qui la frantumazione ed arbitrarietà
verbale raggiunge il suo culmine, giusta l‟impianto fantastico-allucinatorio della
“favola”, con la memorabile chiusa dello «struzz / viv, che me guarda» nel pieno
trambusto di Porta Volta». Il tema del bestiario filosofico tessiano che altrove
assumeva ancora il tono del bozzetto (El cavall de bara, El gatt del sur Pinin)
acquista qui un valore di disperata tragicità: nello sguardo dello struzzo, anch‟egli
vittima della violenza della modernità, il poeta, proprio come confessava nella prosa
del 1935, pare riconoscere come in uno specchio «il suo volto corrucciato».
A
P G V
D T1
1
A / P G V / D T: dedica cifrata da leggersi “A / P(ier) G(iorgio) V(anni) / D(elio) T(essa)”.
I.
Foeura de porta Volta
de paes in paes
a la longa di sces
pedalavi in la molta
5
de la Comasna2 vuna
de sti mattinn passaa:3 …
me seri dessedaa
con tant de grinta, in luna
sbiessa4 e in setton sul lett
10
pensavi: «cossa femm
incoeu?… l‟è festa… andemm…
aria!… de sti fodrett…
moeuvet! te sèntet no
la pendola? Madonna!
15
hin i noeuv or che sona
e sont in lett ammò!
Giò con sti gamb… coragg,
2
Foeura de porta Volta… de la Comasna: oltrepassati i bastioni di porta Volta, la direttrice prendeva in direzione della
strada Comacina, che attraversando la Brianza occidentale, si dirige verso Erba e da qui verso Como. L‟espansione
urbanistica a nord di Milano, che oggi rende praticamente indistinguibile la fine della città dai centri dell‟hinterland, era
ancora di là da venire negli anni del Tessa. Il fango, e più avanti la nebbia, sono indizi di un tardo autunno, o di
un‟incipiente stagione invernale. Nelle note di dizione viene raccomandato di insistere su «una nota unica, la monotonia
di questo viaggio domenicale» in cui «tutto è velato, tutto è melanconico intorno intorno».
3
vuna de sti mattinn passaa: probabile ricordo dell‟attacco del Miserere del Porta (vv. 1-2): «Vuna de sti mattinn
tornand indree / de la scoeura de lengua del Verzee».
4
tant de grinta, in luna sbiessa: un‟espressione rincara l‟altra: la grinta è la “faccia scura”, la luna sbiessa (che ai vv.
117-18 diventa stramba) è il malumore, la “luna storta”.
ciappa la porta e proeuva
la bicicletta noeuva!»5
20
A seri de vïagg
donca e de mja in mja
intant che pedalavi
quiettin… quiettin… vardavi
la campagna drevia,
25
vardavi i campi, i praa
noster chì de Milan,
qui cari patanflan
di noster praa, settaa
denter in la scighera,
30
denter a moeuj coi sò
fir de moron, coi sò
med de ganga… in filera
giò… giò… longa e longhera…
cassinn e cassinott,
35
paes e paesott
sgreg, pien de viran…6
5
Ciappa la porta… noeuva: è il tema della passeggiata che ritroviamo qui, dopo averlo già incontrato in Primavera e in
Caporetto 1917.
6
A seri de viagg… pien de viran…: sempre dalle note del Tessa: «La dizione continua con un po‟ di fatica e sempre
monotona, si appoggia sulle accentuazioni di strofa come sui pedali della macchina per tirare innanzi, rinforza poi e
prende colore rappresentandoci la campagna umida (a moeuj) fitta di gelsi (de moron), pingue di letame (de ganga),
seminata di borgate rustiche zeppe di villani!». In particolare il senso ritmato, da pedalata scandita, è dato dalle
frequenti iterazioni dei vocaboli: de mja in mja (v. 21); quiettin… quiettin (v. 23); i praa noster… di noster praa (vv.
25-26 e 28); denter… denter (vv. 29-30); coi so… coi so (vv. 30-31); giò… giò… (v. 33); e dalla sequenza di variazioni
lessicali: «longa e longhera… / cassinn e cassinott, / paes e paesott» (vv. 33-35).
l‟era
ona mattina grisa
d‟ottober senza el vol
d‟on passer, senza sol!…
40
… L‟inverna… qui de Pisa…7
riven adess in troppa
e la terra per lor
la smonta de color!
(… un‟utomôbel… s‟cioppa!)
45
A manzina, chinscì,
che bella stradioeula!…
(… macchin… macchin8… la spoeula
fan…)… e voo giò de chì!
Gabb e gabbett9… firagn;
50
terra sutta… che gira
intorna al milla lira
la pertega… dagn
per mi che ghe n‟óo minga!10
7
L‟inverna… qui de Pisa: gioco di parole sul nome Pisa, che chiama per assonanza l‟appisolarsi, il dormire. È come
dire che con l‟inverno, arriva la stagione del sonno, quasi un esercito (riven adess in troppa) e con loro la campagna
smette (smonta) i suoi colori, che fino a poco tempo prima s‟incendiavano delle ultime tonalità autunnali.
8
macchin… macchin: reiterato a dare quasi un suono allo sfrecciare dei mezzi; ritorna, ancora più evidente nella sua
intenzione onomatopeica, ai vv. 329 («macchin… macchin… zam… zam…») e 366 («macchin… macchin… sott…
sott…»).
9
gabb: sono gli alberi scapitozzati, in particolar modo salici.
10
Dagn… minga: battuta sarcastica sul proprio stato che introduce la seguente lamentazione sullo scarso profitto
dell‟attività professionale. Il passo, anche per il successivo riferimento a una vita rustica come via di fuga dalle miserie
della città, richiama quello di Primavera (vv. 7-13 e 81-103): e se là era questione di fortuna, de cavicc (v. 122), qui
Anca a fa l‟avvocatt
55
aaah… te gh‟ee pocch de sbatt…
… client che te siringa,11
l‟Irma,12 el padron de cà,
la lus, el calorifer…
l‟è la storta del chiffer
60
che besogna trovà,
la tetta de tettà!…
Cantell13… cisto… Cantell…
Zappà patati… quell
magara l‟è de fà!
65
Torna come el Frigeri
alla scimma di scimm,
al caroeu dol Regimm…14
al Viro15… ai someneri
torna!
T‟el là ol Pà-Bolla16
bisognerebbe “trovare la curva del kipfel”, cioè la formula del far fortuna. Il Kipfel è un panino a mezza luna della
tradizione panificatrice austriaca, già noto a Milano ai tempi del Porta: rientra infatti, all‟interno di una tipica
elencazione, in una sestina del Meneghin biroeu di ex monegh (vv. 58-60: «on affar seri / che ha traa sott sora asee,
spiret, reliqui, / pret, ciccolatt, ex fraa, chiffer, devott»
11
te siringa: un espressionistico neologismo tessiano per “ti fregano”.
12
l‟Irma: Irma Salmini, la segretaria dello studio.
13
Cantell: Cantello, paese del Varesotto, nei pressi di Viggiù. L‟avvocato Catullo Frigerio (citato al v. 65) vi si era
ritirato dopo aver lasciato la professione, tornando alle origini («alla scimma di scimm», al principio dei principi).
Presso lo studio del Frigerio, in via Durini, il Tessa aveva iniziato il suo apprendistato legale.
14
al caroeu dol Regimm: il contadino, almeno nella retorica ufficiale di regime, era considerato un pilastro portante
della nazione fascista, il beniamino (caroeu, diminutivo di car).
15
Viro: è un‟invenzione lessicale del Tessa che adatta il termine viran (villano, contadino: v. 36) alla forma latina di vir,
l‟eroe romano eretto a modello antropologico dalla propaganda fascista.
70
su l‟uss ch‟al temp ol stròlega!
A battegh la cattolega
proeuvi d‟ona parolla!
«O vu Regiò17… disii
ch‟a paes l‟è cost chi?»
80
«A l‟è Mombell18… a l‟è!»
II.
Mombell…
… che strano effett
me fan certi paroll!…
… tra capp e coll
piómben e m‟insarzissen
85
lor!19
Per di or e di or
qui calavron che ronza
16
ol Pà-Bolla: la graduale immersione nel mondo contadino è segnata dall‟adozione di una fonetica di un milanese
rustico, “arioso”, che si connota attraverso le forme dei pronomi, degli articoli e delle preposizioni articolate: ol per el
(vv. 69 e 70), ch’al al posto di ch’el (v. 70), ch’a al posto di che (v. 70), cost chì per quest chì (v. 75) e la forma A l’è,
ripetuta due volte, al posto di L’è (v. 75).
17
Regiò: dal lat. rectorem, come il precedente Pà (v. 69) indica il capo della famiglia contadina, a cui ci si rivolge, per
rispettarne l‟autorità dandogli del vu, del voi.
18
Mombell: Mombello, tra Limbiate e Seveso, ospitava un manicomio. Andà a Mombell è locuzione popolare per
indicare l‟uscir di senno. Ma la forma fonetica del toponimo (nesso -nt- nasalizzato si confonde con -nd-) si presta a
risemantizzare la parola in mond bell, reazione al “mondo orrido” in cui la gente vive prigioniera e dal quale invano
cerca di trovare una via di fuga. È in questo punto, con il passaggio dal primo al secondo tempo della poesia, che si
rompe lo schema descrittivo della passeggiata e si entra in una diversa dimensione, nella riflessione sul valore delle
parole, tra il sogno e l‟allucinazione.
19
che strano effett… lor: nelle note di dizione si raccomanda di sussurrare la prima frase, di renderla a pena udibile, per
poi alzare il tono con la seconda, per ribadire la forza con cui penetrano a fondo (s’insarzissen).
règnen in del cozzon
tant che m‟insormentissen…20
90
… Nivol... fantasma… nebbi…
sit…
omen… ideij… on mond,
mi disariss ch‟intorna
tutt on mond ghe se forma,
95
rimm ghe ressònen… vuna
la ciama
l‟altra a campana e via
via te filet via
– vol de la fantasia! – …21
95
… Mombell!…
… Mombell!…22
dilla… redilla
quella parolla lì
e poeu tórnela a dì
e allora… te comincet
100
a s‟ciariss… a capì…
… bolla d‟aria nell‟aria
parolla solitaria…
20
Per di or… m‟insormentissen: le parole si aggirano nella testa come sciami di calabroni, e la tramortiscono. Si noti il
tessuto fonico che insiste sui suoni fricativi sonori (la z di insarzissen, ronza, cozzon) per rendere quasi il senso di
stordimento.
21
Nivol… de la fantasia: in dieci rapidi versi una sintetica esposizione di poetica. Tutto ha inizio dalle parole che danno
vita alle cose, che si richiamano l‟un l‟altra a comporre a un mondo – appunto un mond bell – che invita alla fuga («via /
via te filet via») lungo i sentieri della fantasia.
22
Mombell!: la dizione che prima, secondo le indicazioni dell‟autore, doveva essere «circolare, legata, concatenata» qui
torna a insistere, a levarsi, nella ripetizione della parola-magica (poco più sotto, vv. 96b-98: «dilla… redilla / quella
parolla lì / e poeu tórnela a dì»), di nuovo isolata dallo spazio bianco che il testo le lascia intorno. È così «rende visibile
il concetto, crea il paesaggio, genera l‟idea».
… ferma, che se colora…23
La te dà no l‟ideia
105
d‟on sit avert e voeuij?
te vèdet minga on praa?…24
Ma per vedell polid
Te gh‟ee de sarà i oeucc…
perché… l‟è on pradesell
110
quest… che te par comè
d‟avell gemò veduu
on‟altra volta ti…
…ah sì…
... a corda molla…25
… fra on bosch e ona muraja…
115
ona mattina… in sogn…
Me seri dessedaa
con tant de grinta, in luna
stramba e in setton sul lett,
cont ona gamba su
120
23
e l‟altra giò26… pensavi:
bolla d‟aria… se colora: è la personificazione della creatività verbale-intellettiva che sta all‟origine del fare poesia.
Come fa notare Isella le rime interne (bolla : parolla; aria : aria : solitaria) creano «una sorta di sospensione estatica,
ondulante», accentuata dall‟alternanza di toniche e atone tra la a (aria, solitaria)e la o (bolla, parolla, colora).
24
on sit… on praa: comincia a delinearsi il luogo che fuoriesce dalla memoria (meglio se rievocata a occhi chiusi, vv.
«Ma per vedell polid / te gh‟ee de sarà i oeucc»), da un‟esperienza pregressa, ma ancora indefinita se attinta dal reale o
dal sogno. E «così, per successivi stadi si va formando il fantasma poetico», come ancora si legge nelle note del Tessa.
25
a corda molla: soccorre in aiuto all‟interpretazione una nota di Gadda nell‟Adalgisa: «dicesi di una lunga strada che
avvalli e nobilmente risalga, descrivendo una catenaria […] la figura di equilibrio della catena sospesa per i due capi».
Qui si può adattare al lento declivio di un terreno, di un prato.
Oh tra la vuna e i do…
– Vanni! – 27
…qui pesciatoni
to… tutt a torna al lett…
par che te me rotólet
125
sul cô!
– disevi –
…tas ch‟el se quietta giò…
(forsi el mangia on limon…
o fors…)
…ma, no…
130
sent ch‟el se moeuv ammò,
ch‟el torna a camminà!28
L‟è in de quell fond de tomba
di so penser ch‟el luma,
el tasta
135
26
e come se l‟andass
Me seri dessedaa… e l‟altra giò: con una ripresa variata dei vv. 7-10 si scarta su un‟altra scena. Un‟interno di casa,
nel cuore della notte, svegliato dal rumore di passi che si sente al piano di sopra.
27
Vanni!: «una nuova parola è caduta, una nuova idea è nata, un nuovo fantasma si va formando…». È quello di Pier
Giorgio Vanni, l‟amico cui è dedicata – in sigla – la poesia. Insieme a Fortunato Rosti e a Elisabetta Keller, il Vanni –
che già compare nei versi di Primavera (vedi le note 7 e 8 a quel componimento) – fu tra gli amici più cari del Tessa.
Proprio insieme alla Keller, che sposò in seconde nozze, andò ad abitare a fine anni Venti in via Beatrice d‟Este 17,
dove da poco si era trasferito, in un appartamento esattamente al piano inferiore, il Tessa con la madre. Il Vanni era
ingegnere e si distinse in numerosi brevetti meccanici nel campo dei motori e delle macchine tessili.
28
sent… camminà: le testimonianze degli amici raccontano che il Vanni soffriva d‟insonnia e passava le notte girando
per casa, pensando a soluzioni tecniche per le sue invenzioni e prendendo appunti (i «numeritt / in su ona carta scritt»
dei vv. 141-42).
adree a ona nasta29…
… sèntel adess ch‟el va
in sala… de là.
Alla mattina poeu,
140
alla mattina dopo…
gh‟è lì di numeritt
in su ona carta scritt…
…«oooh… bell!…»
(…Nott… sogn…)
fiaa
de la mamma che dorma30…
145
Ma se „l plafon el scrizza31
(presonee che cammina…
cammína)32
disi che l‟è tornaa
de chì,
150
per dopo la mattina
quand el se desgarbia33
trovass in del ciffon
quell‟orinari ras
29
ona nasta: è l‟usta dei cani, il seguire il fiuto (nasta deriva dal tardo latino nasitare). Ma quel girovagare inquieto per
le stanze, sospinto dai pensieri scrutati come da un fondo di buio sepolcro («quell fond de tomba / di so penser ch‟el
luma») pare già un preannuncio delle scene di follia che prenderanno corpo nelle allucinate proiezioni a seguire. Una
simile rappresentazione la si trova ai vv. 45-50 de La mort della Gussona, con la descrizione della cugina Erminia
colpita da un cancro alla testa che la faceva vagare di notte in cucina come folle.
30
Nott… sogn: ripetuti anche più sotto ai vv. 154a e 159a quasi a scandire il tempo notturno, come il movimento di un
orologia a pendola, insieme al rumore del respiro della madre nel sonno.
31
scrizza: lo scricchiolio degli impiantiti a cannette delle vecchie case milanesi.
32
presonee che cammina… cammina: ancora un‟eco della Mort della Gussona (vv. II, 39-40 e III, 28).
33
desgarbia: ancora La mort della Gussona, v. III, 42: è il risveglio, il districarsi dall‟avvolgente matassa del sonno.
de pissa…
…«ooh… bell!!!…»
(Nott… sogn… nott…)
…i pee,
155
i pee…
sent qui pee… mi senti
sul cô
fintant che m‟indormenti
adree…
(…nott…sogn…)
…voo giò,
160
giò…
– tenebror de sepolcher! –34
(Vvanni!)
qui pesciatoni
to…
(VVVanni!)
165
qui cappelloni
negher… qui cascianivol…35
34
m‟indormenti… sepolcher: finalmente il sonno ha la meglio, e si cade nel buio più profondo, come in un sepolcro
(ma che assomiglia al fond de tomba del v. 132 in cui il Vanni insonne cerca i suoi pensieri).
… se podess regordamm!
ma poss no… ma poss no…
… on‟ideina gh‟óo,
170
on‟ideina appena36…
… e l‟è…
… quell de vèssom insognaa
ch‟el Gianetti… el Vanni e el Cros37
pascolaven in d‟on praa,
175
mutignaven38… (cru… cru… cru…)39
e savevi
che quell pradesell rapaa
l‟era giusta… e quella mura…
(… cru… cru…)
180
quella riga… bianca… longa…
… longa… e de qui trij
vun col pugn alla muraja…
– pumm… pumm…pumm… –
(al de là del mur cantaven!)40
35
VVanni!… cascianivol: ma l‟immagine dell‟amico ritorna in sogno. Al Vanni il Tessa dedica una delle più riuscite
sue prose, Lui e la lettera (in Ore di città, pp. 50-51); lo descrive nell‟inquieto suo andirivieni per la città: «Viene non si
sa da dove, l‟ingegnerone; pare da molto lontano, perché ha le scarpe impolverate e una cert‟aria afflosciata e stanca.
[…] Viene al suo vecchio studio come se un vento lo spinga. Naviga. Torna a quel piccolo porto ove ammainò il
soprabito per anni. Torna senza avvedersene quasi e a volte per niente. Entra. «Frr… frr…». Pende un po‟ di lato, una
mano gli trema… fa quel piccolo verso: «Frr…» frulla: è come un uccello che abbia un‟ala rotta.» Forse può spiegarsi
così, con un effetto sonoro che richiama il frullo, il fruscio strascinato del suo camminare nella notte, il rafforzamento
dell‟iniziale del nome. Vanni era solito calcarsi in testa dei neri cappellacci a larghe tese, che vengono qui
scherzosamente chiamati “caccianuvole”.
36
on‟ideina appena: di quell‟agitato sonno e dell‟incubo che lo ha abitato resta solo una minima idea, una larva di
memoria.
37
Gianetti… Cros: a parte il Vanni, degli altri due nomi non si ha alcuna notizia per identificarli; sono probabilmente
altri due amici.
38
mutignaven: «raspavano per terra con la bocca» chiosa il Tessa; qualcosa come brucare, ma che nel suono ricorda il
mugolio dei sordomuti, tra gli altri infermi che abitano il manicomio.
39
cru… cru… cru: onomatopea ribadita poi al v. 179, che risuona col rumore dei colpi battuti sul muro pumm…
pumm… pumm dei vv. 182 e 184a.
– pumm… pumm… –
… veder – tremor –
185
robetitt sul marmor…
… vos,
vos…
e qui colp…41
«Cossa te fottet?!»42
«Flitt43… flitt… pompa del flitt…»
190
Sent el panscia44 come el salta,
come el picca… «Flitt…
flitt…» l‟à vist on zanzaron!
L‟è in quel torbor de qui so
Penser ch‟el picca
195
«Flitt!…» … ch‟el picca alla stramezza,
par ch‟el voeubbia vegnì foeura45…
«Flitt…» on bus e vegnì foeura,
foeura… on bus «pompa del flitt!»
Pantopon… Calminn… gh‟óo via
200
40
mi do parolett per ti
al de la del mur cantaven: inciso che anticipa le scene interne al recinto del manicomio. Ma ormai l‟ordine logicosintattico dei discorso è sul punto di esplodere; il filo conduttore è soltanto quello delle parole, delle analogie.
41
Veder… colp: altro passaggio di scena e ritorno all‟interno notturno: i passi dell‟inquilino di sopra fanno vibrare i
vetri, fanno tremare i soprammobili poggiati sul comodino (robetitt sul marmor); e poi voci e colpi…
42
Cossa de fottet: “che cosa sbatti?”, impreca contro l‟amico di sopra che non lo lascia prender sonno. Ma è l‟avvio di
un altro ricordo, questa volta reale, dell‟amico alle prese con la caccia a una zanzara.
43
Flitt: fino al secondo dopoguerra il Flit era un popolare insetticida a forma di pompetta, che polverizzava nell‟aria un
veleno per mosche e zanzare (poi si scoprì non solo per loro… e venne ritirato dal commercio).
44
el panscia: il Vanni era di grossa corporatura tanto da venire chiamato “l‟ingegnerone”.
45
vegnì foeura: l‟immagine richiama quella in sogno dei matti che picchiano al muro. Ma si comincia a intuire che i
veri prigionieri (vv. 146-47 «presonee che cammina… cammina») stanno fuori dal manicomio.
ch‟hin on Sedobroll… on Dial46…
che te calma… che te mett
quiett…
… arbor – on pradesin
205
verd;
… arbor – varda – ona finestra
averta su qui primm
butt…47
Studi de Rugabella!
210
«Telefona la Costanza48
per savè cossa „l voeur
a mezz dì»
«Cottolett
frett49…
cottolett frett…»
215
responden da quella stanza.
«Cottolett frett…»
46
Pantopon… Dial: sono nomi commerciali di farmaci sedativi. Ma per il Vanni ci vogliono altri rimedi: e l‟amico ha
pronte due altre paroline magiche, come si vedrà poco sotto.
47
arbor… primm butt: gli alberi e il praticello verde richiamano un altro verde, quello che si vede dalle finestre del
pianterreno di via Rugabella, dove il Tessa e il Vanni avevano i loro studi professionali, l‟uno di avvocato, l‟altro
d‟ingegnere.
48
la Costanza: è la cameriera del Vanni.
49
Cottolett frett: è il piatto preferito dal Vanni. Come già per Mombell prima e per Vanni poi queste altre due parole
innescano altri mondi. Non sono allora i rimedi chimico-farmacologici che ci vogliono per calmare l‟inquietudine del
Vanni: si legge nelle note: «All‟amico esagitato offro a calmarlo le due strane parolette fredde e bianche…» che fanno
l‟effetto delle pezzuole ghiacciate che si mettono sulla fronte agli ammalati con febbre alta. Dette e ridette (ritornano
ben cinque volte nel corso di 14 versi, da 211b a 225).
Hin qui do parolett
chì…
ciar e che te res‟ciara…50
220
… che te padima51 lì…
Hin qui pezzoeu giazzaa
che cambien ai malaa
de la fever alta…
«Cottolett frett… cottolett
225
frett…»
Nun per sti parolett…
(incatèsem… deliri…)
passom quella muraja!!!…52
…Ona banca… ona pianta…
230
…ona banca… ona pianta,
ona cort stermenada
e di càmes a s‟cera…53
«È arrivato l’ambasciatore,
tantirom-lirom-lera…»
235
«Che cosa volete
tantirom-lirom-là?»
50
che te res‟ciara: scrive nelle note il Tessa: «La visione si illumina, si purifica, la dizione è svagata, leggera, fresca,
trasparente, acquarellata…».
51
padima: da padimà, voce arcaica (usata dal Maggi, ad esempio), per mitigare, alleviare (l‟etimologia viene dal lat.
pathema).
52
Nun… passom quella muraja!!!: il potere evocativo della parola – quindi della poesia – è il lasciapassare per varcare i
confini del “mondo brutto”, che rende prigionieri, ed entrare nel “mondo bello”, quello della pazzia, della libertà dalle
costrizioni, dalle convenzioni.
53
Ona banca… a s‟cera: ecco la prima raffigurazione del mondo De là del mur. Canzoni senza senso, in libertà,
un‟allegria folle, che dilaga.
Canten i càmes bianch!54
«Vogliamo la più bella
tantirom-lirom-lella!»
240
«Che cosa ne farete
tantirom-lirom-là?»
Bèvela l‟alegria
Matta che se spampana!...
«che cosa volete
245
tantirom-lirom-lella…»
Voeurom on coo de gatt
per podè liberass
di penser… andà in oca55,
voeurom desmentegass
250
del Roveda56, di Edison
che tracolla57… la gent
balenga,58 i scagg de guerra59
tutto óo lassaa de là.
54
cames bianch: sono le camice di forza dei folli.
Voeurom… in oca: la soluzione è questa: dimenticarsi di tutto (andà in oca), svuotare la testa dai pensieri. Proprio
come fanno i gatti, sublimi e indifferenti al mondo che gira attorno (vedi El gatt del sciur Pinin, p. xxx).
56
del Roveda: probabilmente una banca, la “Roveda & C.”, attiva fino al 1931, e poi spazzata via dalle conseguenze
della crisi economica e finanziaria internazionale. Ricordiamo che l‟elaborazione della poesia fu molto complessa e
durò parecchi anni, a partire dal periodo prima della Grande Guerra, ma che venne di fatto condotta a termine nei primi
anni Trenta.
57
di Edison che tracolla: le quotazioni in Borsa della Edison che precipitano, sempre a causa della crisi.
58
la gent balenga: balenga sta per “quasi matta”, o perlomeno non clinicamente matta, ma altrettanto, se non di più,
folle di quelli che invece sono ricoverati come tali.
59
i scagg de guerra: le paure della guerra. La guerra, anche a distanza di anni dalla conclusione del conflitto mondiale,
resta per Tessa un motivo di sgomento, al punto che in alcuni momenti – e in particolar modo dalla seconda metà degli
anni Trenta – sembra scorgerne chiaramente in segni di un‟incombente riproposizione.
55
Mi seri fors «quell tescia»
255
del Milio, sceticasc
troia d‟on avvocatt
giudes conciliador?60…
chi se regorda ammò
alias de quell che seri?…
260
Mi, come l‟Arrigona,
(Mombell!) come el maester
Annon61, chì sont el Matt
– capìsset –
canti coi càmes bianch,
265
magni in di piatt de tolla,
caghi in del fazzolett.
Mi son el Matt e ti
(Cesan Boscon!62)
te set on patta molla,63
on navascee64 …
270
«Idioti
e semi idioti, scemi,
ciechi» – …t‟han miss in lista…
60
Mi seri fors… conciliador?: oltre il muro l‟identità è smarrita. Il Tessa qui si lascia alle spalle quello che era, il suo
carattere (sceticas troia, l‟inguaribile scettico), la sua professione (avvocatt giudes conciliador: il Tessa svolse per anni
quest‟ufficio presso il 7° mandamento del tribunale di Milano, prima che venisse sospeso dalle funzioni perché non in
possesso della tessera del partito fascista. Che sia stato per sua deliberata scelta, o per semplice dimenticanza (come
sostiene Carlo Linati nel suo famoso ritratto del poeta: El Tessa, in Il bel Guido e altri ritratti, Milano 1982), non si
hanno storiche documentazioni al riguardo. Chi egli sia, il poeta lo mette in bocca al Milio, ovvero a Emilio Maiocchi,
l‟ingegnere che abitava in via Olmetto 1, come la famiglia Tessa prima del trasferimento in via Beatrice d‟Este, e che lo
chiamava, storpiando apposta il cognome, «quell tescia».
61
L‟Arrigona… el maester Annon: tutti conoscenti del Tessa finiti in manicomio, secondo la testimonianza del Rosti. Il
secondo, maestro di musica, abitava al piano terreno dello stesso palazzo abitato dai Tessa in via Beatrice d‟Este al 17.
62
Cesan Boscon: l‟Ospizio della Sacra Famiglia, di Cesano Boscone, sobborgo a sud-ovest di Milano, e altro luogo di
ricovero per infermi. Forse il Tessa ne doveva avere avuta conoscenza in qualche modo diretta se, come afferma anche
ai vv.277-78, possiede un prospett, stampato sul retro di un‟immagine sacra (quella maistaa), forse un documento
distribuito ai benefattori dell‟istituto (come si deduce dalle note d‟autore), e che viene citato a mo‟ di elenco ai vv.
270b-275, 279-282 e 300-302a.
63
patta molla: letteralmente, una braghetta vuota; sprezzante termine per indicare gli impotenti, altra possibile
conseguenza di varie infermità mentali e non.
64
navascee: la navascia era il carro utilizzato dal servizio urbano di svuotamento e trasporto dei pozzi neri; ma qui è
utilizzato nel senso di chi è incontinente delle proprie funzioni corporali.
– «paralitici, vecchi
impotenti» – …in quell
275
prospett te see «dei nostri
ricoverati»
che gh‟óo in studi dedree
a quella maistaa…
– «Epilettici, infermi,
280
orfani di guerra;
Totale: Numer:
domilatresentses» –
T‟ee imparaa dalla monega
a fa i calzett, te fee
285
i pattinn di fer
e se ven la Lily
a trovatt, te ghe dee
quell che t‟ee faa in d‟on mes.65
Te gh‟ee mai „vuu per sort
290
on coo che lavorava?
(… grand-laminage?… sistema
Vanni?…
…motor?66 …)
65
T‟ee imparaa… on mes: nel sogno il Vanni è tra i ricoverati dell‟Ospizio, ai quali, per far passare il tempo, le suore
che li assistono, insegnano loro a fare dei lavoretti: fare le calze a maglia, oppure le presine da usare per impugnare il
ferro da stiro. Piccole cose che vengono date ai parenti in visita: a trovare il Vanni c‟è la Lily, l‟Elisabetta Keller, che lo
ha sposato in seconde nozze.
66
Te gh‟ee mai… motor?: la domanda dell‟amico che gli chiede se si ricorda più di avere avuto una testa pensante («un
coo che lavorava») suscita solo labili e confusi ricordi della propria attività di progettista: un brevetto di filatura (grandlaminage) denominato sistema Vanni, e un motore (anche in Primavera, a v. 44, si accenna al progetto di un motore a
due tempi).
Te gh‟avèvet quaidun
ti che te cognossevet?
295
(………Maman?67………)
Te fee la tomma in terra!68
Vess come la gallina
sull‟era, el boeu in stalla!
Te giughet a la balla!
300
– «Idioti e semi idioti,
amputati, rachitici,
infermi…» –
Su ona banca
de preia come on sacch
de strasc, insemenii69…
305
(Viganon?… Casablanca?70…)
… te rimiret el sô
che tramonta…
67
Te gh‟avevet… Maman?: allo stesso modo, sollecitato a pensare a qualcuno a lui un tempo vicino, riemerge,
vaghissimo, e quasi annegato nei puntini di sospensione, il nome di Maman: Pier Giorgio Vanni era infatti figlio di una
signora francese, la signora Lucie.
68
Te fee la tomma in terra: è il preambolo all‟ambita identificazione (vess come… v. 297) con la condizione bestiale,
quella della gallina che razzola nell‟aia, o del bue nella stalla.
69
Insemenii: instupidito, rinscemito; come nota Isella voce di area veneta: insemenìo.
70
Viganon?… Casablanca?: altri incerti nomi e luoghi che affiorano indistinti nella memoria.
- paralitici, sordo
muti… -
i rusen in cà
310
l‟è l‟ora del mangià,
brugissen71 come besti!
… ariomvia…
al limet di groann…72
«chichinscì l’è sempru festa,
315
leraj!
col ciondol
leraj!73…»
…da ona quaj ostaria
sponta on fil de canzon…
…………………………
III.
……………………………………
320
… «chichinscì l’è sempru festa,
liriliraj!»
71
brugissen: come il mutignaven del v. 175 indica la condizione degradata degli infermi, quasi bestie, che vengono
sospinte dentro l‟edificio per l‟ora dei pasti. Brugì è qualcosa di più del muggire, è il verso dell‟animale che urla di
sofferenza. Si chiude qui la lunga, allucinata scena del manicomio e dell‟ospizio degli infermi, che ha sovrapposto e
confuso, tra memoria e sogno, due distinti luoghi: Mombello e Cesano Boscone. Gli ultimi versi della seconda parte
introducono alla terza e ultima: il ritorno verso la città.
72
Ariomvia… groann: di lontano, dalle parti delle Groane. Le Groane sono una distesa di brughiera, dalla bassa
vegetazione – oggi area naturale protetta – che si trova a nord di Milano, sul confine occidentale della Brianza, tra
Bollate e Saronno.
73
Chichinsì… leraj: è una canzone che esce da un‟osteria; ricompaiono i suoni del dialetto rustico (sempru).
Mombell,
Vared74… cassinn…paes…
a la longa di sces
pedalavi bell bell
325
vegnèndes a Milan…
«Sô che se volta indree
– disevi – acqua ai pee;75
scometti che doman…»
Macchin… macchin… zam…zam…
330
Motociclett che sgatta…
– Noeuva… Cassina Matta –
e l‟oggiatton del tram!76
Dopo i dì de laô
sira della domènega.77
335
«chichinscì l’è sempru festa
leraj,
col ciondol
leraj…»
74
Vared: Varedo, lungo la strada che da Mombello ritorna a Milano.
Sô… ai pee: proverbio popolare che predice il maltempo nel giorno seguente quando il sole fa capolino tra le nubi
che lo hanno oscurato per tutta la giornata poco prima di tramontare.
76
Macchin… tram!: l‟approssimarsi alla città è indicato dall‟intensificarsi del traffico (ritornano le macchine, che già
avevano disturbato la passeggiata in bicicletta ai v. 44 e 47); e infine la comparsa del tram, con il suo grande faro
centrale, segnala l‟ingresso nell‟area metropolitana raggiunta dai trasporti urbani. Noeuva è Nova Milanese, mentre
Cassina Matta, ora Cascina Amata – secondo una nobilitazione toponomastica dell‟italiano – è una frazione di Paderno
Dugnano.
77
Dopo i dì… domènega: le voci rustiche dei viran escono della osterie alla fine della giornata di festa. Qui e altrove
forme lessicali rustiche, di un milanese di campagna: laô per lavor; domènega per domènica; negan per neghen; zô per
sô; tipicamente contadine sono le bestemmie isto-vacca, cramentu e isto-d’ona-madonna. Come già nella prima scena
dell‟incontro col viran sull‟uscio che scruta il cielo, ol Pà-Bolla del v. 69, anche qui l‟io poetante si mimetizza
linguisticamente con le voci rustiche, e solo la presenza del virgolettato consente di distinguere le provenienze.
75
«i botteglion a negan
340
i magon…»78
«chichinscì l’è sempru festa
liriliraj…»
«… ol zô
al par on marenghin
isto-vacca!» i a sentu
345
hin i viri, cramentu!
«Bœtta-scià on careghin79
isto-d‟ona-madonna!»
«chichinscì l’è sempru festa
liriliraj!»
350
Disi che quand ven nott
l‟unega hin i grappott…
…la surbuij… la rentrona…
la piola… «ses… cinqu…» «…butta
scià…» «…briscola da Re…»
355
78
«cinqu…ses…» «…giò…giò…che l‟è
i botteglion… magon: anche i viri aspirano all‟evasione, alla stesse smemoratezza cercata oltre il muro del
manicomio. I loro “lasciapassare” per la follia sono però i botteglion e i grappott (v. 351: voce, quest‟ultima, “raccolta”
e fatta propria dal poeta).
79
Boetta-scià on careghin: dalle osterie il vociare dei giocatori di carte. Boetta-scià è forma prettamente brianzola, più
di quella successiva dei vv. 354-55: butta scià. Alle grida del tavolo di briscola (careghin, briscola da Re) si
confondono quelle del gioco della morra.
bona…» «…cinqu…sett…ses…tutta!»
Vundes chilometritt
al dazi…ona mezz‟ora
e ghe semm…80
«vott…sett…mora!!»
360
somenza de lumitt,
de ciaritt per la piana
intorna…intorna…albor
che monta là…s‟ciaror
della Cittaa lontana81…
365
Camïons…side-car
…macchin…macchin…sott…sott82
che se rusen adoss!…
rómben e in quell caldar
piómben de tutt i part!
370
Úlulen83 e con questi
rivi, tant che me pesti
80
Vundes… ghe semm: il ciclista va di buon passo, quasi un moderno cicloturista che pedala a una media di oltre 20
km/h. Il dazi, le porte del dazio, dove un tempo venivano riscossi i tributi di transito commerciale, segnano i confini
della città (vedi anche Caporetto 1917, vv. 154-55: «se sent gemò el canon / foeura di dazi!.
81
somenza de lumitt… Cittaa lontana: è tutto un gioco di luci quello che accoglie il rientro in città. Dapprima lumitt (v.
360), ciaritt (v. 361), e poi via via, approssimandosi alla metropoli, un più vasto albor (v. 362), un abbagliante s’ciaror
(v. 363), contro il quale, stordito dai rumori e dal ribollente (in quell caldar v. 368) movimento del traffico, il ciclista
finisce quasi per andare a sbattere («tant che me pesti / a la contra qui ciar» vv. 371-72) come una falena contro a un
lampione.
82
sott… sott: oltre al senso di accumulo di auto, è evidente anche l‟intenzione onomatopeica di rendere i suoi dei
clacson (si veda il passo assai simile di El bell maghetta, vv. 62-69).
83
rómben… piómben… Úlulen: crescendo di frastuono sonoro e dinamico; sono tutti termini peraltro mediati
dall‟italiano, quasi a sottolineare l‟estraneità del dialetto – e del suo mondo “superato” – alla modernità caotica della
città. Ma proprio per questo motivo sono elementi di fortissima espressività.
a la contra qui ciar.
Rivi… ghe sont…e lì,
scolta mo, cossa vedi!
375
Matta puttana! vedi
on struzz a porta Volta!84
Reclam del Trader-horn85
del Film-miracol, chì
tra duu tram, incazzii86
380
troeuvi on struzz… t‟ee capii?!87
Sotta a on barocc-reclam
gh‟è on struzz
viv, che me guarda!!88
Al di là del muro || I. Fuori di Porta Volta, di paese in paese, lungo le siepi, pedalavo
nel fango | della strada Comacina una di queste mattine passate:… | mi ero svegliato
storto, con la luna | di traverso e seduto sul letto pensavo: «cosa facciamo oggi?… è
festa… andiamo… aria!… da queste federe… | muoviti! non senti la pendola?
Madonna! suonano le nove e sono ancora a letto! | giù con „ste gambe… coraggio,
prendi l‟uscio e prova la bicicletta nuova!» | Ero in viaggio | dunque e di miglio in
miglio mentre pedalavo pianino… pianino… guardavo intorno la campagna, |
guardavo i campi, i prati nostri qui di Milano, quei cari paciocconi di nostri prati,
seduti | dentro alla nebbia, dentro a mollo con le loro fila di gelsi, con i loro mucchi di
letame… in fila | giù… giù… che sembrano non finire mai… cascine e casolari, paesi
84
on struzz a porta Volta: apparizione sconvolgente, nel pieno traffico cittadino, la figura di uno struzzo, animale
esotico quanto mai.
85
Trader-horn: è il titolo del film (1931) del regista W. Van Dyke, già assistente di regia di Griffith. Si tratta di uno dei
primi kolossal della produzione americana. Per le strade di Milano viene fatta pubblicità al film portando in giro uno
struzzo. Non è cosa inconsueta, come trovata pubblicitaria: sempre negli anni Trenta si ricorda come, al seguito della
carovana del Giro d‟Italia, un anno venne portato nientemeno che un leone in gabbia, a reclamizzare i film della MetroGoldwin Mayer, la cui famosa sigla ha per protagonista un leone ruggente.
86
incazzii: il frastuono delle macchine non doveva certo tranquillizzare l‟animale.
87
t‟ee capii?!: stupore, incredulità, a evidenziare la dimensione allucinata della visione.
88
viv, che me guarda!!: un altro animale nel repertorio del simbolico bestiario tessiano. E quel suo sguardo
nervosamente interrogativo è forse di nuovo allusivo di una condizione di irrimediabile cattività rappresentata, per
rovescio delle parti, non dallo stato coatto dei malati mentali, ma da quelli (la gent balenga) che sta al di qua del muro.
e villaggi rustici, pieni di villani… | era | una mattina di grigia di ottobre, senza il volo
di un passero, senza sole!… | … L‟inverno … quelli che dormono… arrivano adesso
in folla e la terra per loro cambia di colore! (… un‟automobile… scoppia!» | A
sinistra, qui vicino, che bella stradina!… (auto… auto… fanno la spola) e vado per di
qua! | Salici scapitozzati, grandi, piccoli… filari; terra asciutta… che si aggira intorno
alle mille lire la pertica… peggio | per me che non ne ho! Anche a far l‟avvocato
aaah… hai poco da sbatterti… clienti che ti siringano, | l‟Irma, il padrone di casa, la
luce, il riscaldamento… è la storta del chiffl che bisogna trovare, | la tetta da tettare!
Cantello… cribbio… Cantello… zappare patate… quello forse è da fare! | Ritorna
come il Frigerio al principio delle cose, al beniamino del Regime, al Viro… ritorna |
alle semine! Eccolo là il Pà-Bolla, sull‟uscio che indovina il tempo! provo a
chiedergli il favore di una parola! «Ehi capo, dico a voi… ditemi che paese è questo
qui?» «È Mombello… è!»
II. Mombello… che strano effetto mi fanno certe parole!… | … tra capo e collo
piombano e m‟incastrano, loro! | Per ore e ore quei calabroni ronzanti la fanno da
padrone nella mia testa tanto che mi stordiscono… Nuvole… fantasmi… nebbie…
luoghi… uomini… idee… un mondo, io direi che intorno tutto un mondo gli si
forma, rime che risuonano… una chiama l‟altra come le campane e via, via scappi via
– volo della fantasia! - … | …Mombello!!… Mombello!!… | dilla… ridilla | quella
parola lì e poi torna a dirla e allora… incominci a schiarirti… a capire… | bolla d‟aria
nell‟aria, parola solitaria… ferma, che si colora… | Non ti dà l‟idea di un posto aperto
e vuoto? non vedi un prato?… | Ma per vederlo bene devi chiudere gli occi…
perché… è un praticello questo… che ti sembra come di averlo già visto un‟altra
volta, tu… ah sì… | giù in lento declivio… fra un bosco e una muraglia… una
mattina… in sogno… | Mi ero svegliato di traverso, con la luna storta e seduto sul
letto, con una gamba su e una giù… pensavo: Oh tra l‟una e le due… | - Vanni! - | …
quei tuoi piedoni… tutt‟intorno al letto… | sembra che mi rotoli sulla testa! – dicevo … taci che adesso si calma… | (forse mangia un limone… o forse…) | … ma, no…
senti che si muove ancora, che torna a camminare! | È in quel fondo di tomba dei suoi
pensieri che lui scruta, tasta e come se andasse dietro a un‟usta… sentilo adesso che
va in sala… di là. | Alla mattina, poi, la mattina dopo… ci sono dei numerini scritti su
una carta… | «ooh… strano!…» (… notte… sonno…) respiro della mamma che
dorme… | Ma se il soffitto scricchiola (prigioniero che cammina… cammina) dico
che è tornato di qua, per poi, la mattina quando si risveglia trovarsi nel comodino
quell‟orinale pieno raso di piscia… | «oh… strano!!» (notte… sonno…notte…) | i
piedi, i piedi… senti quei piedi… me li sento sulla testa fintanto che non mi appisolo
via… | (… notte … sonno) | … vado giù, giù… - tenebrore di sepolcro! - | (VVanni!)
| quei piedoni tuoi… | (VVVanni!) | quei cappelloni neri… quegli scaccianuvole… |
se potessi ricordarmi! ma non posso… ma non posso… ho una vaga idea, appena una
vaga idea… … ed è… | … che mi sono sognato che il Giannetti… il Vanni e il Croci
pascolavano in un prato, brucavano… (cru… cru… cru…) e sapevo… che quel
praticello spelacchiato era proprio… e quel muro… (…cru… cru…) quella riga…
bianca… lunga… … lunga… e di quei tre uno col pugno contro il muro – pumm…
pumm… pumm… - (al di là del muro cantavano!) – pumm… pumm… - | …vetri –
tremolii – piccole cose sul marmo… … voci, voci… quei colpi… | «Cosa sbatti?!» |
«Flitt… flitt… pompa del flitt…» Senti il pancia come salta, come picchia… «Flitt…
flitt…» ha visto una grossa zanzara! È nel torpore di quei suoi pensieri che picchia
«Flitt!…» … che picchia alla tramezza, sembra che voglia venir fuori… «Flitt…» un
buco e venir fuori, fuori… un buco «pompa del flitt!» | Pantopon… Calminn… ho
qui apposta per te due parolette che sono un Sedobroll… un Dial… che ti calmano…
che ti mettono quieto… | … alberi – pensa – un praticello verde; … alberi – guarda –
una finestra aperta sui quei primi getti… | Studio di Rugabella! | «Telefona la
Costanza per sapere che cosa vuole a mezzo giorno» | «Cotolette fredde… cotolette
fredde…» | rispondono da quella stanza. | «Cotolette fredde» | Sono quelle due
paroline qui… chiare e che ti rischiarano… che ti quietano lì… Sono quelle pezzuole
ghiacciate che cambiano ai malati con la febbre alta… | «Cotolette fredde… cotolette
fredde…» | Noi per queste paroline… (incantesimo… delirio…) passiamo quella
muraglia!!… | … Una panca… una pianta… una panca… una pianta, un cortile
immenso e una schiera di camici… | «È arrivato l‟ambasciatore, tantirom-liromlera…» «Che cosa volete tantirom-lirom-là?» | Cantano i camici bianchi! | «Vogliamo
la più bella tantirom-lirom-lella!» «Che cosa ne farete tantirom-lirom-là?» | Bevila
l‟allegria matta che si spande!… | «Che cosa volete tantirom-lirom-là?» | Vogliamo
una testa da gatto per poterci liberare dai pensieri… andare in oca, vogliamo
dimenticarci del Roveda, delle Edison che tracollano… la gente un po‟ matta, le
paure della guerra tutto ho lasciato di là. Ero forse «quel Tescia» che diceva l‟Emilio,
quel gran scettico, quella troia di un avvocato giudice conciliatore?… chi si ricorda
ancora di quello che ero un tempo?… Io, come la Arrigoni, (Mombello!), come il
maestro Annoni, qui sono il Matto – capisci – canto coi camici bianchi, mangio nei
piatti di latta, cago nel fazzoletto. Io sono il Matto e tu (Cesano Boscone!) sei una
patta vuota, un cagasotto… - «Idioti e semi idioti, scemi, ciechi» - … ti hanno messo
in lista… - «paralitici, vecchi impotenti» - … in quel prospetto sei «dei nostri
ricoverati» che tengo in studio stampato dietro a quell‟immagine sacra… «Epilettici, infermi, orfani di guerra: Totale: numero: duemilatrecentosei» - | Hai
imparato dalla suora a fare le calzette, fai le presine per i ferri da stiro e se viene la
Lily a trovarti le dai quello che hai fatto in un mese. Non hai mai avuto per caso una
testa che lavorava? | (grand-laminage?… sistema Vanni?… motori ?) | Avevi
qualcuno tu, che conoscevi? | (….. Maman?….) | Fai una toma per terra! | Esser come
la gallina sull‟aia, il bue nella stalla! | Giochi con la palla! | - «Idioti e semi idioti,
amputati, rachitici, infermi…» - | Su una panca di pietra come un sacco di stracci,
instupidito… | (Viganone?… Casablanca?…) | … fissi il sole che tramonta… | paralitici, sordo muti… - | li spingono in casa è l‟ora di mangiare, mandano versi
come bestie! | … non si sa da dove …sul limite delle Groane… | «chichinscì l’è
sempru festa, leraj! col ciondol leraj!…» | … da una qualche osteria esce un filo di
canzone…
III. «chichinscì l’è sempru festa, leraj! col ciondol leraj!…» | Mombello, Varedo…
cascine… paesi… lungo le siepi pedalavo bel bello | tornandomene a Milano… «Sole
che si volta indietro – dicevo – acqua ai piedi; scommetto che domani…» |
Macchine… macchine… zam… zam… motociclette che scappano via… - Nuova…
Cascina Matta – e il grande occhio del tram! | Dopo i giorni di lavoro sera della
domenica. | «chichinscì l’è sempru festa, leraj! col ciondol leraj!…» | «i bottiglioni
annegano i magoni» | «chichinscì l’è sempru festa, liriliraj…» | «… il sole sembra n
marenghino, cisto-vacca!», li sento, sono i viri, sacramento! «Butta qui un carico,
cisto di una madonna!» | «chichinscì l’è sempru festa, liriliraj!» | Dico che quando
viene notte l‟unica sono i bicchierotti di grappa… sobbolle… rintrona… | la bettola…
«sei… cinque...» «…butta giù…» «briscola di re…» «cinque… sei…» «… giù…
giù… che è buona…» «cinque… sette… sei… tutta!» | Undici chilometrini al
dazio… una mezz‟ora e ci siamo… «otto… sette… morra!!» | una semina di lumini, |
di lucette per la pianura tutt‟intorno… albore che sale di là… chiarore della città
lontana… | Camion… side-car… macchine… macchine… sotto… sotto che si
accalcano una sull‟altra!… rombano in quel calderone | piombano da tutte le parti!
Ululano e insieme a questi arrivo, tanto che mi trovo di colpo addosso a quelle luci. |
Arrivo… ci sono… e lì, ascolta mo‟, cosa vedo! Matta puttana! Vedo uno struzzo a
porta Volta! | Réclame del Trader-horn del film-miracolo, qui tra due tram, incazzato
trovo uno struzzo… hai capito ?! | Sotto a un carrozzone pubblicitario c‟è uno struzzo
vivo, che mi guarda!!