Amadeus

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Amadeus
Beethoven
Sinfonia n. 5
Lehár
Amadeus
REGISTRAZIONE
INEDITA DAL VIVO
Gold und Silber
Ponchielli
Danza delle ore
Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Antonio Pappano direttore
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Ludwig van Beethoven
(Bonn, batt. 17/12/1770 - Vienna, 26/3/1827)
Sinfonia n. 5 in do minore op. 67
1 Allegro con brio (7:28)
2 Andante con moto (9:24)
3 Allegro (5:08)
4 Allegro (10:26)
Dedica Principe Franz Joseph von Lobkowitz, Conte Andrey Razumovsky
Prima esecuzione 22 dicembre 1808, Theater an der Wien, Vienna
Prima edizione Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1809
Organico ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto, 2 corni,
2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Franz Lehár
(Komárom, 30/4/1870 - Bad Ischl, 24/10/1948)
5 Gold und Silber, Valzer op. 79 (9:12)
Dedica Principessa Pauline von Metternich-Sándor
Prima esecuzione 27 gennaio 1902, Sofiensaal, Vienna
Prima edizione Bosworth & Co., Lipsia, 1903
Organico ottavino, flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, sassofono contralto, sassofono tenore,
2 fagotti, 4 corni, 2 cornette, tre tromboni, timpani, percussioni, archi, arpa
Amilcare Ponchielli
(Paderno Fasolaro, 31/8/1834 - Milano, 16/1/1886)
6 Danza delle ore - da La Gioconda (atto III) (9:23)
Prima esecuzione 8 aprile 1876, Teatro alla Scala, Milano
Prima edizione Ricordi, Milano, 1876
Organico ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti in la, 2 fagotti, 4 corni, 2 cornette,
2 trombe, 3 tromboni, tuba, timpani, grancassa, glockenspiel, archi, 2 arpe
Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Antonio Pappano direttore
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guida all’ascolto
Beethoven, Lehár
e Ponchielli
to ma non nella grandezza per la moderna
cultura di massa, scolpito da quei quattro
rintocchi del “destino” sulla porta di ciascuno, profano o cultore che sia.
Sinfonia rivoluzionaria ma ineccepibile,
appassionata ma razionalmente costruita, dai grandi contrasti, tuttavia unificata
sotto l’egida del medesimo principio creatore: l’ormai proverbiale inciso di quattro
note con cui si apre in unisono l’Allegro
con brio 1, trionfo percussivo del ritmo
nell’incertezza di tempo e armonia, reiterato a formare il primo tema. I corni lo
chiosano decisi, introducendo il secondo
tema, cantabile, in maggiore, incalzato
dall’ostinato motto iniziale nei bassi fino
a un sereno Tutti dal motto derivato e in
un epilogo dove il motto stesso ritorna in
superficie. Lo sviluppo, poco dinamico e
stagnante intorno alla tonalità d’impianto,
viene presto scosso da violenti interventi
dell’intera orchestra. I violini propongono
un fugato, vanificato da un prolungato e
funereo scambio antifonale tra archi e fiati, che matura l’emancipazione degli ultimi, ora entità indipendenti e timbricamente determinanti e non più solo raddoppio
degli archi o riempitivo armonico. A con-
di Carlo Gandolfi
P
robabilmente nessuno, la sera di
quel 22 dicembre 1808, al termine
di una formidabile quanto estenuante rassegna di novità beethoveniane, funestata da un’esecuzione mediocre e accolta
dal pubblico con un gelo secondo solo a
quello improponibile del Theater an der
Wien, intravide il destino che la Quinta
sinfonia in do minore avrebbe in seguito
avuto. Tantomeno Lobkowitz, che, negando a Beethoven un contratto col teatro di
corte teso a riscattare il flop del Fidelio,
lo aveva “destinato” involontariamente a
riprendere gli spunti creativi che furono
alla base di un vero monumento sinfonico,
superamento dello stile classico e sua proiezione nel pieno degli ideali romantici per
i contemporanei, trasfigurato nel significa4
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ferma di ciò l’oboe solo che rischiara la ripresa con una lirica cadenza, dando inizio
a un gioco sui caratteri degli strumenti di
ironia tutta beethoveniana: a introdurre il
secondo tema è qui infatti il fagotto invece degli eroici corni, con risultato goffo
e canzonatorio (incoraggiando versioni
apocrife col corno a pistoni in raddoppio,
appena la tecnologia lo permise). A conclusione della ripresa alcuni episodi dello sviluppo, dai ribattuti aggressivi degli
archi, all’accenno di fugato, all’antifonia
tra le sezioni, si sovrappongono in un vigoroso climax che chiude il movimento
specularmente col motto su cui esso interamente s’incardina.
Più marcatamente contrapposti invece
i due temi che si avvicendano, variati,
in tutto l’Andante con moto 2 – viole e
violoncelli il primo, in la bemolle, la più
oscura tra le tonalità maggiori, con intimi
richiami alla tradizione popolare; ottoni e
timpani il secondo, dominato da un’estroversa Marsigliese in do maggiore – sottostando a un’idea di sviluppo continuo
più che di ritornello cangiante. Cadenze
di interpunzione non affermative e frasi
di collegamento spezzano infatti la strut-
tura originaria dei temi nel susseguirsi
delle variazioni, privilegiando il primo,
tra diminuzioni fiorite, episodi quartettistici dei fiati trasognati e pastorali e una
modulazione in minore in un’atmosfera
rarefatta e lunare, per raggiungere con
veloci scale ascendenti la coda, interrotta
per un momento da un’ultima estatica rimembranza di primo tema.
I due movimenti si incontrano idealmente
nell’Allegro 3, con l’ineluttabile motto
percussivo e gli slanci subito inibiti del
primo e l’opposizione netta dei temi del
secondo, uno misterioso, furtivo e fluttuante, l’altro solenne, dall’incedere pesante,
introdotto da un immancabile unisono di
corni. Questo bipolarismo viene interrotto
da un Trio in do maggiore dal tema virtuoso, reso beffardo dagli ingombranti bassi e
fagotti, che risale la tessitura orchestrale in
veloci passaggi fugati. La sua tensione vitale si rabbuia nella ripresa, dove il fagotto
rimane protagonista e su un pizzicato vela
di nuovo mistero i temi, trasfigurati in un
sussurro sempre più annichilito fino a ridursi a scarna e funebre percussione di timpani, che con un ostinato pedale di do sentenzia il dominio invincibile del destino.
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Ma la visione del nulla è funzionale alla trionfale sorpresa dell’Allegro finale
4 che vince quell’oscurità primordiale.
«C’est l’Empereur, vive l’Empereur!», si
gridò con entusiasmo davanti a tale fanfara
vittoriosa, intrisa di rivoluzione nelle melodie d’ispirazione giacobina e nella tavolozza orchestrale notevolmente ampliata,
con ottavino, controfagotto e tre tromboni,
esclusivo organico operistico o militare
promosso finalmente a sinfonico. Mutuate
dai movimenti precedenti la percussività pronunciata e ostinata e l’utilizzo dei
corni che connotano di rinnovato eroismo
i motivi secondari dei due grossi gruppi
espositivi, lo sviluppo accoglie un nuovo
episodio, serio e imperioso, innestato nei
bassi sulle terzine spensierate del secondo
tema, e poi, in progressione, in tromboni,
fagotti e violini. Il teso tambureggiare di
ribattuti su un pedale di dominante sfocia
nell’ennesimo coup de théâtre: l’eco, eterea e incantata, del secondo tema del terzo
movimento, incupita e sospesa sul motto
fatale, ma ricondotta alla ripresa dal canto
isolato di un oboe, come nel primo movimento. Essa si risolve quindi nel lungo
epilogo, con un nuovo motivo leggero e
bucolico che dai fagotti attraversa l’orchestra e accelera nel Presto finale, dove gli
ottoni squillanti sulle ostinate triadi di do
concludono in gloria la sinfonia.
Squisitamente melodica e in controtendenza rispetto agli accentuati ritmi di
danza allora dominanti è invece la natura
dei valzer dell’ungherese Franz Lehár, costretto a seguire le orme del padre come
maestro di cappella militare fino all’insperato successo della sua Vedova allegra nel
1905 e poi assurto a ultimo grande esponente dell’operetta, autentico fenomeno di
massa, star system “ante cinema” (per cui
egli stesso lavorò), genuina propagazione di un’epoca speranzosa e scintillante.
E d’oro e d’argento è il valzer Gold und
Silber 5 del gennaio 1902 per cui la principessa Pauline von Metternich richiese
la sua creativa tecnica di orchestrazione,
frutto di criticità e virtù dell’eterogenea
orchestra del reggimento, e la sua fluviale invenzione melodica, combinazione di
esotismo versatile ma non di maniera e
sapiente impalcatura drammatica.
Il pezzo, una catena di tre valzer, si apre
contemplativo e fuori dal tempo, presen6
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tando i colori dell’orchestra (evocativi
di contesti diversi, con sax ad libitum,
cornette, rullante, gong, glockenspiel) in
un’alternanza di cadenze su accordi tenuti che disorienta la percezione ritmica.
Quest’incertezza metrica, dopo una prima
esposizione del tema ricorrente, è ribadita
da una serie di emiolie che impediscono
il riconoscimento del già valzeristico tre
quarti suggerendo invece una risoluta
marcia binaria.
Per contrasto Lehár le fa seguire un valzer
da manuale, prima suadente e affabile sul
classico basso saltellante, poi bandistico,
più festoso e ritmato con l’intervento di
rullante, grancassa e ottavino, retaggio
del suo incarico nell’esercito. Un’altra
componente autobiografica colora di reminiscenze magiare il tema del secondo
valzer che a metà modula a uno struggente la minore, pronto a tornare giocoso nel
secondo ritornello con la ricomparsa del
tema ricorrente, allegro e infantile. Un
raccordo marziale introduce il terzo valzer, raffinato e vezzoso nei trilli dei fiati
su cromatismi, poi arioso e felice, rimbeccato da staccati di legni, arpa e triangolo.
Un fremito di mistero conduce improvvi-
samente alla coda, lo splendore luccicante
della sala da ballo soccombe al tema ricorrente che si staglia in minore sulla cupa
tensione di un pedale di dominante, risolvendosi però nella ripresa rassicurante del
primo valzer e quindi dello stesso tema,
tornato in maggiore. La placida tranquillità raggiunta viene scossa infine da ottoni e
percussioni che scandiscono impettiti una
breve fanfara, brillante fuoco d’artificio
che chiude trionfalmente le danze.
Anche Amilcare Ponchielli affrontò una
lunga gavetta come direttore di banda prima di realizzarsi con successi operistici
meritati e trasversali. Non gli arrise certo
quel particolare momento di transizione,
tra l’ingombrante eredità di un Verdi ancora in attività e il demone di innovazione
che da Bayreuth aveva invaso l’Europa, né
quelli successivi alla sua morte prematura, che videro le sue opere gradualmente
dimenticate. A tale sorte scampò La Gioconda: libretto di Arrigo Boito, barocco
e in conflitto tra un intreccio oscuro e lo
sfondo di una Venezia festante e variopinta, forte di una partitura spettacolare e
suggestiva nella molteplicità degli stili, ma
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soprattutto del ballabile del III Atto – convivio gioioso in grottesca opposizione col
presunto omicidio appena consumatosi –
che vive oggi di vita propria nei repertori
di corpi di ballo e orchestre (non da ultima
quella disneyana di Fantasia).
La quadripartita Danza delle ore 6 è
un’allegoria grandoperistica delle fasi di
una giornata. Dopo che l’arpa ha scandito come una pendola i secondi, “le ore
dell’aurora” accolgono il risveglio della
natura con cristallini tremoli sussurrati
dai violini, intercalati da richiami pastorali dei fiati che presentano il semplice
inciso tematico in apertura verso l’alto
fino al crescendo solare con cui “sortono
le ore del giorno”.
Con un desueto Minuetto, la leggiadra
“danza delle ore del giorno” ondeggia
prima sull’inciso tematico per poi aggiungere ai frivoli mordenti dei violini un
ostinato salto d’ottava del flauto. Nel Trio
“sortono le ore della sera”, trasportando
la danza in un ombroso do diesis minore,
ma conservando in sé, trasfigurata, la luce
del sole, che tramonta con la ripresa.
I vespertini violoncelli e clarinetti in la
salutano “le ore della notte” con un lan-
guido tema in mi minore, reinterpretando
l’inciso tematico in sospiranti appoggiature. Un misterioso ostinato discendente
che sfocia in cadenzali arpeggi dell’arpa
e in accordi eterei e soprannaturali degli
archi, apostrofati dal glockenspiel che
rintocca le sei, conduce a un secondo
episodio in la minore, sempre affidato ai
violoncelli ma più tenebroso e tragico,
che vira poi al nostalgico, contrappuntato da un mormorio di mordenti e da improvvisi sforzati, e si rischiara progressivamente nel rassicurante la maggiore di
un lento valzer appassionato, rasserenando una sera buia solo per un istante.
Il glockenspiel rintocca le nove, una placida coda si avvia a concludere la danza
con il torpore del sonno… ma esplode un
galop scatenato che rievoca come in un
sogno vari istanti della giornata trascorsa gettandoli nel vortice frenetico di una
città Belle époque che non dorme mai.
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gli interpreti
ternazionali. Con Pappano, l’Orchestra e
il Coro sono stati ospiti dei maggiori festival: Proms di Londra, Festival di Lucerna,
Festival di Salisburgo, e delle più prestigiose sale da concerto, tra cui Philharmonie di Berlino, Musikverein e Konzerthaus
di Vienna, Concertgebouw di Amsterdam,
Royal Albert Hall di Londra, Salle Pleyel
di Parigi, Scala di Milano, Suntory Hall di
Tokyo, Semperoper di Dresda.
L’attività discografica, dopo una lunga
collaborazione con alcune delle più celebri etichette internazionali che ha prodotto memorabili testimonianze ormai
storiche, è stata in questi ultimi anni molto intensa; tra le ultime incisioni segnaliamo l’Aida di Verdi (con Anja Harteros, Jonas Kaufmann, Erwin Schrott), il
Concerto n. 1 di Čajkovskij e il Concerto
n. 2 di Prokof’ev con Beatrice Rana, il
Concerto per violino di Brahms con Janine Jansen, Nessun Dorma, The Puccini
Album con il tenore Jonas Kaufmann e
il Concerto per pianoforte di Schumann
con Jan Lisiecki alla tastiera.
Orchestra dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia
L’
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è stata
la prima in Italia a dedicarsi
esclusivamente al repertorio sinfonico,
promuovendo prime esecuzioni di importanti capolavori del Novecento. Dal
1908 a oggi l’Orchestra ha tenuto circa
15.000 concerti collaborando con i maggiori musicisti del secolo: è stata diretta,
tra gli altri, da Mahler, Debussy, Strauss,
Saint-Saëns, Stravinskij, Sibelius, Hindemith, Toscanini, Furtwängler, De Sabata
e Karajan. I suoi direttori stabili sono
stati Bernardino Molinari, Franco Ferrara, Fernando Previtali, Igor Markevitch,
Thomas Schippers, Giuseppe Sinopoli,
Daniele Gatti e Myung-Whun Chung.
Dal 1983 al 1990 Leonard Bernstein ne
è stato il Presidente Onorario; dal 2005
Antonio Pappano è il Direttore Musicale.
Grazie a Sir Antonio Pappano, il prestigio
dell’Orchestra dell’Accademia di Santa
Cecilia ha avuto uno slancio straordinario,
ottenendo importanti riconoscimenti in9
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il Coro di Santa Cecilia ha inciso diversi
cd. Fra le incisioni più recenti l’Aida di
Verdi, il Primo concerto per pianoforte di
Čajkovskij e il Secondo di Prokof’ev con
Beatrice Rana alla tastiera, un cd Decca
con il Concerto per violino di Brahms e il
Primo Concerto di Bartók interpretati da
Janine Jansen e il Concerto per pianoforte
di Schumann con Jan Lisiecki (DGG). Di
prossima pubblicazione un cd con Arie di
Puccini, Cilea e Giordano eseguite dal soprano Anna Netrebko (DGG).
Il 16 aprile 2007 Sir Antonio Pappano è
stato nominato Accademico Effettivo di
Santa Cecilia. Nel 2012 la regina Elisabetta lo ha nominato Cavaliere per i servizi
resi alla musica; nello stesso anno è stato
anche nominato Cavaliere di Gran Croce
dell’Ordine al Merito della Repubblica
Italiana. Nel 2015 gli è stata conferita la
Laurea honoris causa in Musica e Spettacolo dall’Università Tor Vergata di Roma
e successivamente ha ricevuto a Londra la
Medaglia d’oro dalla Royal Philharmonic
Society, una delle onorificenze più importanti nel mondo della musica.
Antonio Pappano
È
Direttore Musicale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dal
2005; dal 2002 è Music Director
del Covent Garden di Londra.
Nato a Londra nel 1959 da genitori italiani, ha studiato pianoforte, composizione e
direzione d’orchestra negli Stati Uniti. Fra
le tappe più prestigiose della sua carriera
sono da ricordare i debutti alla Staatsoper di Vienna nel 1993, al Metropolitan
di New York nel 1997 e al Festival di
Bayreuth nel 1999.
Pappano ha diretto molte tra le maggiori
orchestre del mondo, tra cui New York
Philharmonic, Wiener e Berliner Philharmoniker, Concertgebouw di Amsterdam,
Symphonieorchester des Bayerischen
Rundfunks, London Symphony Orchestra. Nell’aprile 2014 ha debuttato alla
Scala di Milano con Les Troyens di Berlioz, produzione premiata con il Premio
Abbiati della Critica Musicale Italiana
come “migliore spettacolo”.
Sir Antonio Pappano registra in esclusiva
per Warner Classics e con l’Orchestra e
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n. 322 (9/2016)
Periodico registrato al Tribunale di Milano 186/19-03-1990
𝖯 2016 ANSC
𝖢 2016 Bel Vivere s.r.l.
Direttore responsabile Gaetano Santangelo
Responsabile artistico Andrea Milanesi
Grafica e impaginazione Dario Codognato
Registrazione dal vivo 5 gennaio 2005 (Beethoven) e 22 dicembre 2008
(Lehár e Ponchielli), Sala Santa Cecilia, Auditorium Parco della Musica. Roma
Consulente musicale Riccardo Mori
Tecnico del suono ed editing Marco Diodato
In copertina e sulla custodia Antonio Pappano (foto di Musacchio&Ianniello)
N.B.: È possibile scaricare questo booklet in formato digitale
all'indirizzo www.amadeusonline.net/books/201609.pdf
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Ludwig van Beethoven
(Bonn, batt. 17/12/1770 - Vienna, 26/3/1827)
Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 (32:26)
1 Allegro con brio
2 Andante con moto
3 Allegro
4 Allegro
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Franz Lehár
(Komárom, 30/4/1870 - Bad Ischl, 24/10/1948)
5 Gold und Silber, Valzer op. 799:12
Amilcare Ponchielli
(Paderno Fasolaro, 31/8/1834 - Milano, 16/1/1886)
5 Danza delle ore (da La Gioconda, atto III)
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Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Antonio Pappano direttore
NON IN VENDITA SEPARATAMENTE DA AMADEUS
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