Claudia Benedettini Il libro di lettura che non c`è: una proposta

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Claudia Benedettini Il libro di lettura che non c`è: una proposta
Claudia Benedettini
Il libro di lettura che non c’è: una proposta che va controcorrente
INDICE
Introduzione - LA PROPOSTA DI UNA MAESTRA, SCATURITA DALLA PASSIONE PER LA LETTERATURA, PER LA CRITICA LETTERARIA E PER L’INSEGNAMENTO
Capitolo 1 - LE TENDENZE DELL’ATTUALE EDITORIA SCOLASTICA IN MERITO AL “LIBRO DI
LETTURA” PER LE ELEMENTARI
1. 1. Dai primi segnali di cambiamento degli anni Ottanta agli odierni “sussidiari dei linguaggi”
1. 2. La struttura tipica del sussidiario dei linguaggi: la presentazione delle “tipologie testuali” e il contorno
delle proposte di attività volte alla “vivisezione del testo
1. 3. La pubblicizzazione dei sussidiari dei linguaggi da parte delle case editrici
Capitolo 2 2. 1.
2. 2.
2. 3.
IL LIBRO DI LETTURA CHE NON C’È
Andando controcorrente
La scelta alternativa al libro di testo: da straordinaria a ordinaria
L’ideazione di una vera e propria antologia per la scuola primaria
BIBLIOGRAFIA GENERALE
BIBLIOGRAFIA DEI LIBRI DI TESTO
SITOGRAFIA
Introduzione
LA PROPOSTA DI UNA MAESTRA, SCATURITA DALLA PASSIONE PER LA LETTERATURA, PER LA
CRITICA LETTERARIA E PER L’INSEGNAMENTO
La letteratura per l’infanzia oggi dovrebbe funzionare, di per se stessa, da stimolo per un’idea di rinnovamento che
stravolga del tutto l’impostazione dei libri di testo dell’area linguistica per la scuola primaria.
L’idea mi era balenata già diversi anni fa, quando, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, mi è capitato di proporre a una
casa editrice, insieme a due colleghe, la realizzazione di un libro di lettura “nuovo”, che possa essere realmente definito
“antologia per la scuola primaria”.
La proposta era piaciuta, ma a tutt’oggi è rimasta tale: anche se è ancora ferma, comunque, non è detto che un giorno
non possa essere presa di nuovo in considerazione e, magari, partire per la sua strada…
Bisognerebbe rivedere, innanzitutto, gli scopi didattici di un’antologia per la scuola primaria: prioritario dovrebbe
essere quello di offrire agli alunni una rosa di testi degli autori per l’infanzia.
Porrei in secondo piano, anzi, eliminerei la preoccupazione di suddividere il libro in sezioni dedicate alle tipologie
testuali, per dare risalto, invece, agli stili di scrittura presenti nella letteratura italiana per l’infanzia: restituiamo
finalmente agli insegnanti il compito di organizzare come vogliono (e come, se vogliono, sanno fare) il materiale
dell’antologia, e diamo agli alunni la possibilità di conoscere e di riconoscere (anche sulle antologie) gli stili dei nostri
autori per l’infanzia. Parlo di letteratura italiana includendo tra gli autori anche i traduttori di libri stranieri.
Ma perché mi era venuta in mente un’idea del genere? E perché anche adesso mi ritrovo a proporla e a difenderla?
Principalmente, perché sono una maestra innamorata del suo mestiere, che nutre anche una forte passione sia per la
letteratura sia per la critica letteraria, e che cerca di trasmettere agli alunni tali passioni.
E allora, come si potrà facilmente comprendere da queste pagine, proprio non riesco più ad accettare il fatto che nelle
scuole ormai circolino quasi esclusivamente i libri di testo… i quali con il passare degli anni hanno offuscato del tutto
quello che una volta veniva chiamato “libro di lettura”: quest’ultimo, come vedremo, non esiste più; ha ceduto il posto
al “sussidiario dei linguaggi”, o al “libro per la prima classe”, o al “sussidiario per la seconda e terza classe”.
Di fatto, non esiste più un libro di testo per la scuola primaria che sia dedicato interamente e unicamente alla lettura
(senza ulteriori scopi): la mia proposta va decisamente controcorrente e, in più, presuppone una buona dose di coraggio
sia da parte del mondo editoriale sia da parte dei docenti, per essere accolta con favore e attuata.
CAPITOLO 1
LE TENDENZE DELL’ATTUALE EDITORIA SCOLASTICA IN
PER LE ELEMENTARI
MERITO AL “LIBRO DI LETTURA”
1.1. Dai primi segnali di cambiamento degli anni Ottanta agli odierni “sussidiari dei linguaggi”
Nell’anno scolastico 1987/’88 entrarono in vigore i Programmi didattici per la scuola primaria del 19851: è proprio a
partire dall’elaborazione stessa e dalla successiva emanazione di questi Programmi che nell’editoria scolastica si
cominciano a notare i primi segnali di cambiamento rispetto al passato; segnali che si fanno sempre più forti dal
momento in cui, nella seconda metà degli anni Ottanta, appunto, si verifica il passaggio ai Nuovi Programmi (così
vengono definiti, per sottolinearne il carattere di novità).
La lingua italiana, nei Nuovi Programmi, assume centralità all’interno del processo di apprendimento-insegnamento,
proprio in virtù degli aspetti interdisciplinari che la contraddistinguono: ciò significa che vengono riconosciute la
complementarietà e la continua interazione tra i diversi linguaggi espressivi2 con cui gli uomini, nel tempo, si sono
misurati e continuano a farlo. Ma non solo: da una lettura attenta dell’intero testo programmatico, sia della parte
introduttiva sia dei capitoli riguardanti ciascuna materia di studio, emerge una considerazione altrettanto alta nei
confronti dell’ambito logico-matematico, di quello scientifico e di quello antropologico.
Ecco, dunque, come pian piano dalla scuola scompare il primato dell’insegnamento linguistico su quello delle altre
discipline: si comincia, infatti, a familiarizzare con i termini “ambiti” ed “aree”, che pongono l’accento sul carattere
unitario dell’insegnamento elementare. Anzi, l’insegnamento stesso viene anticipato dall’apprendimento: ciascun
alunno viene accolto a scuola “con” tutto il proprio bagaglio di conoscenze e di esperienze pregresse.
Sono anni di fermento culturale, in cui la didattica nelle scuole elementari si rinnova profondamente dietro spinte e
impulsi autorevoli: negli anni Ottanta, in modo particolare all’inizio del decennio, i pedagogisti erano presenti nel
panorama scolastico ed erano attivi nella ricerca-azione, se non altro per il fatto che erano stati proprio loro i promotori
dei Nuovi Programmi (e fecero poi parte della Commissione Fassino, che si occupò della stesura).
Uno di loro, Alberto Alberti, ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente durante il corso di formazione del mio
primo anno di ruolo; poi l’ho incontrato nuovamente più volte, in occasione di seminari e presentazioni di libri; era
stata avviata, intorno al 2000 (ma è durata davvero pochi anni), una lodevole opera di formazione per i docenti,
correlata strettamente alla didattica, che aveva trovato anche una sede fissa, e cioè un ambiente dedicato fatto di spazi
“reali” e accoglienti in cui ci si poteva incontrare per discutere assieme e per mettere in comune le esperienze, i percorsi
educativo-didattici… Si trattava della Città Educativa di via del Quadraro, qui a Roma, di cui Alberti era il
responsabile, delegato dal Comune per l’Assessorato alle politiche culturali: per mancanza di fondi è rimasta chiusa per
diversi anni fino allo scorso dicembre; ora però vi ha sede soltanto la Fondazione Mondo Digitale, anch’essa operante in
ambito scolastico (sul fronte delle nuove tecnologie).
Agli insegnanti che si recavano lì periodicamente per seguire una o più “settimane tematiche”3 è venuto a mancare uno
spazio significativo di incontri.
Vediamo, ora, in che modo l’editoria scolastica ha fatto fronte ai cambiamenti introdotti dai Programmi
dell’85.
Innanzitutto, si è verificata una scissione del vecchio sussidiario: fino ad allora questo aveva contenuto tutte le materie
di studio, dalla grammatica alla matematica, comprese le cosiddette “discipline orali” (definizione ancora in uso nel
linguaggio quotidiano condiviso dai docenti, coniata non so quando di preciso, ma molto riduttiva nei confronti della
storia, delle scienze, della geografia e degli studi sociali… la cui oralità non è altro che uno dei loro molteplici aspetti);
con l’entrata in vigore dei Nuovi Programmi la grammatica vorrebbe4 diventare, giustamente, “riflessione sulla lingua”,
ma viene trasportata dal sussidiario al libro di lettura. È esattamente da qui, da questo passaggio, che il libro di lettura
subisce progressivamente tutta una serie di cambiamenti, fino a ritrovarsi, oggi, nella condizione di non essere più un
“libro di lettura”.
1
Programmi che andavano finalmente a sostituire quelli ormai invecchiati del ’55 e che racchiudono tutta la portata
innovativa delle sperimentazioni didattiche del tempo pieno, avute luogo a partire dal 1971 (legge del 24 settembre) ma
comunque “figlie” delle esperienze già avviate negli anni Sessanta dai maestri aderenti al Movimento di Cooperazione
Educativa (tra cui i grandi Bruno Ciari e Mario Lodi).
2
A partire dal linguaggio corporeo, dalla cui rivalutazione deriva una sempre crescente attenzione verso le discipline
sportive e le attività teatrali.
3
Io ho seguito con grande interesse quella dedicata alla poesia, organizzata dallo stesso Alberti: proprio durante uno
degli incontri ho conosciuto anche Maria Luisa Bigiaretti, una maestra straordinaria che negli anni Sessanta, a sua volta,
ha avuto l’onore di conoscere e di incontrare più volte il grande Gianni Rodari. Avrò modo di parlare della Bigiaretti e
del suo modo di fare scuola più avanti. Ora chiudo questa nota aggiungendo una notizia: la settimana tematica della
poesia si era addirittura trasformata in un corso annuale sulla poesia e sulla didattica della poesia: purtroppo dopo il
primo incontro la Città Educativa ha dovuto chiudere…
4
Poco più avanti vedremo il motivo di questo verbo al condizionale.
Il motivo per cui si sia fatta traslocare la grammatica nel libro di lettura è da rintracciare, a mio avviso, in un
fraintendimento delle indicazioni programmatiche, le quali, è vero, ponevano l’accento su attività di riflessione che
partissero dal testo e che a questo tornassero, ma non si riferivano alla vivisezione e alla conseguente mortificazione del
testo letterario.
La riflessione linguistica
Il fanciullo ha le sue curiosità linguistiche. Altre curiosità possono essere stimolate in lui: è il momento della riflessione sulla lingua, una riflessione esplicita concepita come momento valido in sé e come strumento di conferma della
competenza e delle abilità linguistiche.
Dapprima e per lungo tempo la riflessione dovrebbe rivolgersi all'ambito del significato (di parole estratte dal contesto
o di unità superiori alla parola); questo aspetto della lingua non si può ridurre alla spiegazione episodica di una parola sconosciuta, né ad una meccanica consultazione del vocabolario, ma deve dar luogo ad un'attività programmata che
tenga conto del gusto del fanciullo di giocare con la lingua, di scoprire relazioni tra forme, tra significati, tra forme e
significati, di costruire catene di parole, di ripercorrere con l'aiuto dell'insegnante, anche "storie di parole".
La riflessione, poi, può diventare individuazione di certe fondamentali strutture sintetiche: predicati che esprimono la
caratteristica di un soggetto, predicati che mettono in relazione il soggetto, con un altro elemento. I rilievi morfologici
possono essere fatti sul testo e mostrare la funzionalità di certe "marche" formali che collegano tra loro parole o che
segnalano particolari rapporti.
Importante, in tutti i casi, è che l'osservazione "grammaticale" emerga dal testo orale e scritto e serva per tornare ai
testi assicurandone una più precisa e consapevole interpretazione.
La grammatica va concepita come sollevamento a livello consapevole di fenomeni che l'alunno è già in grado di produrre e percepire. In questo concetto allargato di grammatica rientra la rielaborazione del testo, una delle operazioni
più produttive e capaci di sintetizzare le varie attività linguistiche.5
Ho evidenziato i due pezzi su cui i curatori dei libri di testo hanno un po’ troppo calcato la mano deformando le
indicazioni effettive: i testi orali e scritti da cui l’osservazione “grammaticale” debba emergere e a cui, poi, debba
tornare sono stati identificati (quasi esclusivamente, e poi lo vedremo) nei testi letterari, ossia in tutti quei brani
selezionati e tratti dai libri per bambini che occupano le pagine del libro di lettura; di conseguenza, anche la
rielaborazione del testo è stata intesa (anche qui, quasi esclusivamente) come rielaborazione del testo letterario.
La prima preoccupazione degli autori dei libri di testo, quindi, è stata quella di accorpare la parte dedicata alla
grammatica a quella dedicata alla lettura: ci si è, in pratica, fermati alla superficie delle parole espresse dai Programmi
e, senza sforzarsi di elaborare dei veri e propri nuovi percorsi di apprendimento-insegnamento della grammatica, si è
scivolati facilmente nell’approssimazione; in realtà, infatti, non è che la grammatica si sia davvero trasformata in
riflessione linguistica, perché a un confronto attento tra i libri vecchi e quelli “nuovi” appare evidente un ristagno della
grammatica normativa, mascherata dal tentativo frettoloso di diventare altro.
Due sono state le conseguenze negative di questa integrazione tra antologia e grammatica: aver messo in secondo piano
la letteratura per l’infanzia (che peraltro, in Italia, stava attraversando proprio allora il suo “periodo d’oro”6), alla quale
si relegava sempre di più un ruolo di “ancella della grammatica”; aver diffuso tra i docenti la falsa convinzione di essere
stati alleggeriti nel proprio lavoro quotidiano.
Il tentativo era quello di rendere unitari, e quanto più possibile correlati fra loro, i percorsi dell’educazione linguistica e
quelli dell’educazione letteraria: ma alla base c’era, come abbiamo visto, un fraintendimento.
È mancato, inoltre, un interessamento incrociato verso la questione, ossia un contributo costante e durevole di studi,
ricerche e sperimentazioni che provenisse da più fronti e che giungesse a conclusioni condivise: gli insegnanti (per
primi), le associazioni preposte alla formazione e all’aggiornamento, gli autori dei libri di testo e, dunque, anche gli
editori scolastici, e poi i linguisti, i pedagogisti e i critici letterari hanno operato perlopiù separatamente e (escludendo
gli editori scolastici) non su larga scala, chi in maniera molto affrettata, chi poco, chi addirittura per niente. Tutto il
fermento culturale della prima metà degli anni Ottanta, in effetti, è andato scemando, disperdendosi in iniziative isolate
di ricerca e di innovazione che ancora oggi devono trovare la maniera per fare sistema e imporsi, quindi, all’attenzione
del mondo scolastico, di quello accademico e di quello editoriale, a livello nazionale.
Con il passare degli anni, si è consolidato fra gli insegnanti un atteggiamento di accettazione quasi incondizionata nei
riguardi di tutto il materiale prodotto dall’editoria scolastica, la quale dal canto suo si è sempre più “prodigata” per
assecondare le richieste (a quel punto in aumento: la situazione creatasi sembra un cane che si morde la coda…) di
“facilitazione” della didattica provenienti dai collegi docenti delle scuole.
Ecco come oggi, perciò, ci si trova di fronte a una grande quantità di testi scolastici che, però, sono molto simili l’uno
all’altro e non costituiscono una vera alternativa di scelta. Oltre a ciò, da qualche anno, ormai, il libro di testo dell’area
linguistica si articola in più volumi offrendo agli insegnanti proposte operative che spaziano dalla riflessione sui
contenuti testuali alla scrittura e rielaborazione del testo (generalmente letterario), fino alla riflessione sull’arte
figurativa e sulla musica, passando per le strade (non veramente ricostruite, ma soltanto un po’ “ripulite” sul manto
superficiale) della grammatica: vi si trova di tutto… e purtroppo sono tanti gli insegnanti che, probabilmente per inerzia
e assuefazione, vi si sono adagiati.
5
Dai Programmi didattici per la scuola primaria, Ministero della Pubblica Istruzione, Roma, 1985.
Definizione data da Silvia Blezza Picherle: cfr. l’articolo “La qualità tra le pieghe del testo” in Pepe Verde, n.46
ottobre-dicembre 2010.
6
Per molti anni la grammatica (travestita da riflessione linguistica) ha occupato, e in diversi casi ancora occupa,
la parte conclusiva dell’antologia, accrescendone perciò le pagine. Oggi quasi tutti i testi suddividono in due volumi
distinti la parte antologica e quella grammaticale. Ma se le due parti, magari pur all’interno di un unico volume,
avessero mantenuto una propria autonomia, i danni sarebbero stati minimi, connessi solamente a ragioni formali (due
cose diverse nello stesso libro forse stonano… ) e pratiche (un libro assai lievitato nel numero delle pagine diventa poco
maneggevole e pesante): il fatto è che non ci si è limitati a un semplice accorpamento di pagine, ma si è via via arrivati
a realizzare una vera e propria fusione tra le due parti.
Infatti non abbiamo più a che fare con delle antologie, cioè con delle raccolte ragionate di testi per l’infanzia, ma con
dei “sussidiari dei linguaggi”7. A dare anche soltanto una prima occhiata sommaria a questi libri non se ne coglie la
funzione prevalente. Poi, analizzandoli bene, almeno una cosa è chiara: di certo non è l’amore per la lettura che se ne
vuole ricavare; viene a mancare lo scopo principale dell’antologia; agli occhi degli stessi alunni il libro di testo altro non
è che un eserciziario.
Ciascun testo viene letteralmente attorniato da tutta una serie di domande sui contenuti e, ancor peggio, da inviti a
sottolineare precise parti del discorso, a coniugare verbi, a fare analisi grammaticali e altre simili, “pensose”, anzi
“penose” (se calate in un contesto del genere), operazioni di vivisezione delle frasi e dei periodi.
Confrontiamo tra loro, a titolo esemplificativo, cinque libri di testo dell’area linguistica, rappresentativi delle
cinque fasi in cui si potrebbero suddividere gli ultimi trentacinque anni (più indietro non sono voluta né potuta andare)
dell’editoria scolastica per le elementari inerente al libro di lettura:
1. Oggi, classe IV, F. Enna, ed. Janus, Bergamo, 1977;
2. Il libronuovo, classe IV, B. Reggiani, A. Salvatore, ed. Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1981;
3. Progetto lingua italiana, classe III, M. Chiara, L. Zanchi, ed. Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1989;
4. Il cerchio delle parole, classe IV, L. Cima, A. Terzoli, ed. Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1996;
5. Binario magico, classe IV, A. Denzi, ed. Fabbri, Milano, 2009.
Oggi del 1977 (era il mio libro di lettura della classe quarta) è, esclusivamente, un’antologia: i brani selezionati si
susseguono pagina dopo pagina, accompagnati soltanto dalle immagini (illustrazioni, fotografie e disegni di bambini) e
raggruppati in sezioni definite “libri”8. Così si presentavano, più o meno, anche altri libri di lettura di quegli anni,
seppure con differenze, maggiori rispetto a quelle che possiamo cogliere oggi tra i tanti libri in uso, attinenti alla scelta
dei testi e agli intenti educativo-didattici.
In Oggi non si scorge neppure l’ombra di una proposta operativa; in altri libri di testo dello stesso periodo appaiono
timidamente e discretamente alcune proposte di scrittura creativa (che seguono la presentazione di un testo fantastico o,
ancora più di rado, realistico), di attività volte alla comprensione, alla discussione collettiva e alla riflessione sui
messaggi espliciti o impliciti.
In Oggi, inoltre, la selezione testuale risulta orientata in larga parte sulla produzione rodariana e su quella dell’autore
stesso del libro di testo, Francesco Enna, che in effetti (l’ho scoperto un paio d’anni fa) è uno scrittore di narrativa per
bambini (oltre a essere stato, anche lui, maestro elementare). E c’è un’altra particolarità: sono presenti, nel libro, anche
diversi testi scritti proprio dagli alunni delle scuole elementari di più città (Sassari: e si può ipotizzare un collegamento
con la scuola o le scuole frequentate da Enna; Vho: e si può immaginare una collaborazione con Mario Lodi; Firenze: e
mi viene in mente che un altro grande maestro, Bruno Ciari, era toscano…).
Siamo nella fase in cui ancora non si intravedono, ben definiti, i germi di quell’interpretazione frettolosa dei Nuovi
Programmi (lontani solo di pochi anni dalla loro stesura) che porterà in seguito ad avvicinare sempre di più l’antologia
alla grammatica.
Nel testo Il libronuovo del 1981 (utilizzato invece da mia sorella, più giovane di me di sei anni) è già evidente un passo
verso la trasformazione dell’antologia: compaiono, nella maggioranza delle pagine, le note a margine dei testi, che
invitano alla riflessione sui contenuti, alla conversazione con i compagni e con i familiari, alla scrittura o alla
rielaborazione di testi, alla ricerca di informazioni correlate agli argomenti affrontati nei testi.
In pratica, si sta facendo strada l’idea che i testi antologici possano mettere in moto attività di studio, di ricerca, di
scrittura, di riflessione sugli argomenti contenuti: l’antologia si sta modificando in qualcos’altro; siamo infatti nella fase
in cui già si parla molto, nelle scuole e nelle case editrici, della imminente sostituzione dei Programmi ministeriali; la
7
L’espressione è stata inaugurata nel 2003-2004, durante il ministero Moratti: ben si addice, comunque, al tipo di libro
confezionato, che unisce le proposte di lettura a quelle di “riflessione linguistica”, di scrittura e di riflessione sui
linguaggi dell’arte.
8
“IL LIBRO DELLE STORIE DIVERTENTI”, “IL LIBRO DELLE STORIE NATURALI”, “IL LIBRO DELLE
STORIE SENZA TEMPO”, “IL LIBRO DEI TEMPI MODERNI”, “IL LIBRO DELLE FIABE MODERNE”, “IL
LIBRO DEI POETI”. Nella presentazione del libro di testo l’autore scrive: “Nelle pagine che seguono, abbiamo
raggruppato in ‘libri’ i diversi generi letterari, ricercando in ciascuno i possibili legami con la realtà del nostro tempo”.
Commissione Fassino sta cominciando a mettere ordine tra i risultati delle sperimentazioni didattiche prese in esame, e
di lì a breve comincerà anche a riunirsi, periodicamente, per la stesura dei Programmi.
Ancora non è presente, comunque, l’assimilazione della parte grammaticale a quella antologica.
I primi forti cambiamenti, in effetti, arrivano dopo l’entrata in vigore dei Programmi: in Progetto lingua italiana del
1989 saltano agli occhi già dalla copertina, dove sotto al titolo compare il sottotitolo Letture attive – Grammatica dal
testo. Ed ecco che nel libro entra, in appendice, la parte grammaticale.
Ma le letture, viene specificato (e poi anche ribadito nella presentazione9), sono “attive”… come se invece fino ad allora
la lettura fosse stata passiva: al di là della nota ironica, è ovvio che gli autori, qui, hanno degli intenti ben precisi,
indirizzati all’analisi e alla comprensione testuale; intenti che si concretizzano nelle note a margine dei testi (le quali
solamente in otto pagine del libro sono assenti), ma che non deviano per le vie e i percorsi della grammatica (questo è
importante). Quest’ultima resta isolata nelle quaranta pagine conclusive.
Quindi nella parte antologica le proposte operative riguardano esclusivamente la comprensione, l’analisi e
l’interpretazione testuale: si rimane nell’ambito dell’esplorazione dei testi nella struttura, nel lessico, nelle tecniche
narrative, descrittive e poetiche; e a tutto ciò vengono correlate alcune proposte di scrittura e di rielaborazione dei testi;
ho anche trovato apprezzabili alcuni inviti a esprimere opinioni sui brani antologici provando a spiegarne le
motivazioni, e altri a rivivere il testo proposto avvicinandolo alle esperienze personali.
In definitiva, qui stiamo parlando di un libro di testo che dichiara in modo esplicito il suo scopo: accompagnare i
bambini nella scoperta dei meccanismi della scrittura dei testi; non è un libro ideato e realizzato per alimentare e
sviluppare il piacere “sensuale” della lettura, bensì un libro che va a collocarsi su un piano più specifico… un piano,
però, che a voler essere precisi dovrebbe essere di stretta competenza del docente.
Si sta insinuando, pertanto, quel capovolgimento di ruoli che oggi è ormai dilagante, se non imbarazzante.
Il cerchio delle parole del 1996 si colloca in una fase di pieno fraintendimento delle indicazioni programmatiche: è
rappresentativo della grande quantità di libri di testo che ormai si pongono come “contenitori” di nozioni e, al tempo
stesso, di proposte operative.
Anche qui troviamo nella parte finale la grammatica, stavolta, però, intenzionalmente travestita da “riflessioni sulla
lingua”… e “che riflessioni”! Le pagine ad esse dedicate si articolano in tre parti, delle quali già le definizioni stesse
generano un bel po’ di confusione: “comunicazione”; “analisi logica”; “grammatica” (si intende per grammatica, qui,
solamente l’aspetto morfologico della lingua, al quale è correlato il riconoscimento delle diverse parti del discorso).
Ma la grammatica scivola con disinvoltura all’interno delle pagine contenenti i testi, con inviti a sottolineare verbi,
nomi e compagnia bella; così come del resto anche nell’appendice, più propriamente ad essa dedicata, vengono inseriti
sistematicamente brani letterari.
La parte “antologica” (ma ha ancora senso definirla così?) lascia facilmente trapelare una classificazione in testi
descrittivi, testi narrativi e testi poetici, con richiami espliciti alla costruzione delle abilità di produzione scritta.
Vanno a condire il tutto, qua e là, alcuni inserti di educazione stradale (molto in voga negli anni Novanta) e di
educazione all’immagine.
Ci troviamo, dunque, nella fase preliminare a quella odierna: da qui in poi, soprattutto, si noterà l’assenza di un
interesse condiviso verso il libro di testo dell’area linguistica per la scuola primaria e verso la sua ristrutturazione e
riqualificazione. Invece di fermarsi e fare il punto della situazione, per poi capire “cosa prendere e cosa lasciare” e come
muoversi per raggiungere livelli accettabili di qualità, ci si è lasciati andare in una corsa sfrenata verso la quantità.
Binario magico del 2009 può rappresentare proprio la fase attuale che stiamo vivendo, contrassegnata dalla ricerca della
maggiore quantità possibile di materiale didattico da offrire agli insegnanti (i “sussidiari dei linguaggi”, appunto);
materiale che va anche incontro all’evoluzione delle nuove tecnologie10, ma che, in fin dei conti, si rivela eccessivo,
anzi soffocante nei riguardi della personale attività di ideazione e programmazione dell’insegnante.
Ma c’è un altro aspetto di cui mi preme parlare ora (rinviando al paragrafo successivo il discorso sulla particolare
struttura assunta dal libro di testo dell’area linguistica), che si riferisce ai testi: ormai questi vengono “ospitati”
all’interno del libro, perché non sono più loro i “padroni” delle pagine; la selezione antologica (sebbene aggiornata e
varia) è diventata uno “sfondo integratore” e non riesce più ad andare oltre, pare, a questo ruolo limitativo che le è stato
assegnato.
In Binario magico, così come negli altri sussidiari dei linguaggi pubblicati dalla stessa e dalle altre case editrici, il testo
letterario ha perso del tutto la sua caratteristica peculiare, ossia la letterarietà: compare soltanto come “pretesto per…”:
per parlare, discutere, riflettere (e non è che senza tutto il contorno di inviti a riflettere alla letteratura venga poi meno
9
La stessa presentazione del volume prende il titolo, significativo, di Obiettivi della lettura attiva: qui vengono
estrapolate dai Nuovi Programmi, e riportate, soltanto le parole utilizzate in favore dei processi cognitivi di
comprensione della lettura; è palesemente ignorata, invece, tutta la parte dei Programmi relativa al piacere della lettura.
10
Su un sito apposito sono disponibili, a corredo del progetto editoriale, molti materiali digitali, usufruibili sia dagli
alunni, per approfondimenti e attività aggiuntive, sia dai docenti per sviluppare lezioni con l’ausilio della LIM…
Peccato, però, che il Ministero non abbia provveduto ad attualizzare gli ambienti educativi di apprendimento, e cioè le
aule scolastiche, dove ancora sono la vecchia lavagna di ardesia e il gesso ad avere l’esclusiva (assieme a banchi, sedie
e cattedre divenuti stanchi testimoni, ma spesso anche tristi “ripetitori”, di schemi e modelli di insegnamento superati,
ormai, da dinamiche di gruppo in continua trasformazione)…
quel suo, oltretutto forte, potenziale implicito volto proprio al “dialogo” con il lettore… anche perché… “l’insegnante
che ci sta a fare?”); per scrivere (e ancora: “l’insegnante che ci sta a fare?”); per capire e carpire i segreti della scrittura
(sarò anche ripetitiva, lo so, ma… l’insegnante? E non solo: ma non è più bello, più affascinante e più degno di
soddisfazione costruirsi ognuno il “proprio” percorso di analisi, e dunque di conoscenza, dei testi letterari? … Non è, in
effetti, proprio all’insegnante che spetta il ruolo di guidare ciascun bambino nella conquista progressiva delle
conoscenze facendo un uso sempre più consapevole dello spirito critico, della divergenza e della creatività?).
Vediamo brevemente, ora, dove e come viene collocata la riflessione sulla lingua (alias grammatica) in Binario magico:
è evidente la separazione tra quest’ultima e il sussidiario dei linguaggi. C’è un volume a parte di “riflessione
linguistica”, suddiviso in due sezioni: una per la classe quarta e l’altra per la quinta. Nel volume sono utilizzati brani
letterari per diverse esercitazioni; nello stesso tempo, comunque, sono utilizzati testi non letterari (ma costruiti “ad hoc”
esclusivamente per scopi grammaticali) sia a supporto delle spiegazioni sia per gli esercizi.
Nel volume dedicato al sussidiario dei linguaggi non compaiono domande sulla grammatica: per questo motivo, il corso
Binario magico si distingue da altri suoi “contemporanei” che, invece, ancora conservano la tendenza ad accogliere
esercitazioni grammaticali nel volume contenente i brani letterari.
1.2. La struttura tipica del sussidiario dei linguaggi: la presentazione delle “tipologie testuali” e il contorno delle
proposte di attività volte alla “vivisezione del testo”
Abbiamo visto come negli anni sia avvenuta una trasformazione del libro di lettura, che da raccolta antologica è
diventato sussidiario dei linguaggi: il che significa che accanto al tradizionale sussidiario ne è stato creato un altro
unicamente per l’area linguistico-espressiva.
Va aggiunto, però, che tale sussidiario dei linguaggi è rivolto unicamente alle classi quarte e quinte. Per le classi prime
la nuova dotazione libraria della scuola primaria prevede un unico volume, denominato “libro della prima classe”,
mentre per le classi seconde e terze un “sussidiario” articolato in due volumi distinti, uno per l’area linguisticoespressiva e l’altro per l’area logico-matematica (ma non scindibili in termini di adozione). Oltre a tali volumi sono
previsti, per ognuna delle cinque classi, un libro d’inglese e uno di religione.
Il cardine attorno al quale ruota l’attenzione dell’editoria scolastica non è più la lettura, ma è l’apprendimento: oggi ci
troviamo di fronte alla totale assenza di libri di testo pensati e pubblicati soltanto per essere “letti” dagli alunni; il libro
di lettura, lasciando il posto ad altro, è praticamente scomparso.
Tutto il contorno di proposte operative correlate ai testi presenti nei sussidiari dei linguaggi (così come nei volumi
dell’area linguistico-espressiva dei sussidiari di seconda e terza e nei libri della prima classe) è diventato, con gli anni,
talmente pesante da schiacciare e appiattire il gusto della lettura: la letteratura è al servizio della didattica e non ha la
possibilità, per adesso, di rientrare tra le pagine dei testi scolastici “solamente per quello che è”.
Se da una parte sta diminuendo (a partire da una decina d’anni fa, circa) la prassi di mescolare la grammatica ai
brani letterari, dall’altra si evidenzia sempre più, comunque, l’aspetto di secondarietà dell’educazione letteraria nei
confronti dell’educazione linguistica, di quella artistica e musicale e, non ultima, dell’educazione alla convivenza
civile.
I curatori dei sussidiari dei linguaggi, infatti, si preoccupano di offrire ai docenti una quantità sempre maggiore di “piste
di lavoro”: i differenti linguaggi espressivi acquisiscono la dovuta considerazione anche all’interno dei libri scolastici,
tant’è vero che aumentano le proposte operative inerenti l’educazione all’immagine, l’educazione musicale e il teatro; si
nota, inoltre, un eccessivo interesse verso la riflessione “forzata” sui contenuti testuali, la quale a lungo andare influisce
negativamente sul piacere della lettura.
Gli alunni vengono invitati in ogni pagina a scomporre il testo e a farne l’autopsia: le domande poste a margine, o
talvolta addirittura a cornice, del testo letterario distolgono la concentrazione dalla “lettura vera e propria”, e cioè da
quel dialogo assolutamente unico tra lettore e autore che si viene a instaurare ogni volta che lo sguardo di una persona si
va a posare, e poi scorre, sulle parole sistemate ad arte sulla carta da un’altra persona.
Bisogna riconoscere, d’altro canto, che in alcuni sussidiari dei linguaggi certe proposte di lavoro inerenti il curricolo di
scrittura risultano aggiornate per quanto riguarda le “tecniche” da insegnare ai bambini: si può obiettare il fatto che
restano comunque delle proposte “libresche”, e cioè che non scaturiscono dalla reale vita scolastica quotidiana di
ciascun gruppo classe; ma il tentativo di andare incontro a una didattica nuova e rinnovata c’è. I vari “quaderni di
scrittura” facenti parte del “pacchetto” offerto dai sussidiari dei linguaggi (al di là dell’uso “sconsiderato” di cui
possono farne gli insegnanti) costituiscono, di fatto, un prodotto editoriale che ha dietro alla sua ideazione e alla sua
realizzazione un preciso scopo: quello di accompagnare docenti e alunni nel processo di apprendimento-insegnamento
dei meccanismi della scrittura. Le intenzioni sono buone.
Quindi gli insegnanti con che cosa si trovano ad avere a che fare, concretamente, quando adottano un sussidiario dei
linguaggi per la propria classe? Generalmente con tre volumi:
•il “sussidiario dei linguaggi” vero e proprio, che contiene una selezione di testi tratti dalla letteratura per l’infanzia,
attraverso cui, come abbiamo visto, si snoda tutto un percorso sulla comprensione, sulla riflessione e sulla connessione
con gli altri linguaggi espressivi (l’arte figurativa, la musica, spesso il teatro);
•il volume di “riflessione linguistica”, che alterna spiegazioni (ma più spesso definizioni) a esercizi applicativi;
•il volume di “scrittura”, che contiene proposte di analisi testuale e di scrittura, che in molti casi sono accompagnate
da altre riguardanti l’ascolto, l’attenzione, l’educazione all’immagine, e che rimandano ad alcuni brani presenti nel
sussidiario dei linguaggi.
Ciò che manca è un volume antologico vero e proprio, che abbia il solo intento di “intrattenere” i bambini con la lettura.
Vediamo, ora, qual è la struttura tipica del sussidiario dei linguaggi.
•Innanzitutto, si nota una selezione testuale aggiornata e ampia: tanti autori di letteratura per l’infanzia, italiani ma
anche stranieri, però “poco” di tanti (nel secondo capitolo avanzerò una proposta che mira, al contrario, ad un
ampliamento della selezione testuale da proporre per ciascun autore).
•La seconda caratteristica che salta agli occhi riguarda la sistemazione dei brani scelti all’interno delle pagine: questa
segue un criterio ormai entrato nella “mentalità” dei curatori dei sussidiari dei linguaggi, ossia quello della suddivisione
dei brani per “tipologie testuali”.
Quella delle “tipologie testuali” è diventata con gli anni una “moda” in voga nelle scuole, introdotta appunto
dall’editoria scolastica e originata, probabilmente, da un’interpretazione un po’ forzata dei Nuovi Programmi: qui, in
effetti, si danno indicazioni ai docenti in merito alla didattica della scrittura, che deve tener conto dei diversi generi
testuali (si dice che gli alunni debbano saper “produrre testi di tipo descrittivo, narrativo e argomentativo”).
Le case editrici scolastiche hanno, così, concentrato sempre di più i loro sforzi per realizzare libri che mostrassero ai
bambini, con evidenza e immediatezza, le caratteristiche peculiari dei testi di tipo descrittivo, narrativo e argomentativo,
passando anche per quelle dei testi poetici, dei testi informativi e dei testi regolativi.
Ecco che sono entrate in scena, quindi, le “tipologie testuali”: la selezione dei testi da inserire nel sussidiario dei
linguaggi viene fatta in base all’esigenza di “catalogare” i testi stessi, o meglio, di etichettarli. Ne consegue un’opera di
riduzione e, soprattutto, di adattamento, che ritaglia dai libri della letteratura per l’infanzia soltanto quei pezzi (o
descrittivi o narrativi o argomentativi) che “servono” per far vedere (e non scoprire) ai bambini quali siano le tecniche
utili a descrivere, a narrare e ad argomentare.
Dalla lettura alla scrittura: è proprio questo il passaggio dell’attenzione editoriale e scolastica che purtroppo si è
verificato.
Ci si preoccupa essenzialmente dell’apprendimento della scrittura, fin dalla prima classe della scuola primaria: ma
prima di imparare a scrivere i bambini dovrebbero imparare a leggere; non è naturale il fatto che l’insegnamento della
scrittura preceda (come invece, ormai, troppo spesso accade) il processo di apprendimento-insegnamento della lettura.
Per imparare a leggere si dovrebbe attraversare tutta una serie di stimoli motivanti, che di certo non risiedono nelle
premature esercitazioni di scrittura, o di sillabazione, solitamente fatte “eseguire” dagli insegnanti agli alunni: ci si
dovrebbe rivolgere direttamente alla letteratura per l’infanzia, alle storie e alle filastrocche dei libri e degli albi illustrati;
si dovrebbe dare rilievo alla lettura espressiva e animata fatta dagli insegnanti e, quindi, all’ascolto, ma anche al gusto
per la scoperta che passa per il gioco linguistico e per l’invenzione…
Altro imperativo a cui rispondono gli attuali sussidiari dei linguaggi (ma, lo ripeto, anche i volumi linguistici dedicati
alle prime, seconde e terze classi) è quello dell’immediatezza: qui un ruolo fondamentale è giocato dalla grafica, che
mira a mettere in evidenza il più possibile e subito ciò che, invece, sarebbe opportuno che l’alunno scoprisse pian piano
in un autentico processo di apprendimento-insegnamento, in cui le forze del bambino e quelle dell’adulto si fondono per
dare colore e vita alle attività didattiche.
Nel caso specifico dei sussidiari dei linguaggi è proprio la suddivisione delle tipologie testuali ad essere messa in
risalto, tramite espedienti grafici che creano delle sezioni dedicate per ciascuna tipologia: il ruolo della titolazione
diventa perciò molto importante.
Rimando al secondo capitolo ulteriori riflessioni sull’uso/abuso di queste tipologie testuali; mi soffermo, invece, sulle
riflessioni di Lia Cappelletti, facente parte della redazione Atlas per la scuola primaria, la quale ha gentilmente risposto
a due mie domande (che ho inviato a una decina di case editrici scolastiche… ma le risposte le ho ricevute soltanto da
lei).
Le domande sono le seguenti:
1. Quali sono le priorità che seguite per la realizzazione dei sussidiari dei linguaggi per la scuola primaria? Mi spiego
meglio: a quali caratteristiche questi testi scolastici non possono rinunciare?
2. Siete soddisfatti, globalmente, dei sussidiari dei linguaggi da voi finora realizzati? Oppure avete in mente delle
modifiche sostanziali?
Ecco le “riflessioni” (la stessa Lia Cappelletti ha così denominato il file inviatomi lo scorso dicembre) ricevute in
risposta alla mia mail: le trascrivo integralmente, evidenziando però in giallo le parole su cui subito dopo intendo porre
l’accento.
Prima di tutto stiamo parlando dei sussidiari dei linguaggi, quindi delle classi del secondo biennio della scuola primaria,
le classi 4a e 5a.
Diciamo che negli ultimi anni esiste una struttura del sussidiario dei linguaggi che, nonostante vari e diversi tentativi
(peraltro poco convincenti), si è consolidata attraverso un percorso per tipologie testuali. Quindi la proposta didattica si
plasma all’interno dei diversi tipi di testo, come lei sicuramente avrà già sperimentato nella sua esperienza di
insegnante.
Lei chiede quali sono gli aspetti irrinunciabili nella realizzazione di un sussidiario dei linguaggi affinché possa essere
considerato un valido strumento sia per l’alunno sia per l’insegnante. Una risposta apparentemente semplice potrebbe
essere la chiarezza all’interno di una proposta di difficoltà progressiva per guidare il ragazzo all’appropriazione stabile
delle abilità fondamentali.
L’acquisizione di “buone abitudini” nell’esercizio delle quattro abilità della lingua è di fondamentale importanza, ancor
prima della memorizzazione di termini specifici o dell’elaborazione di categorie del pensiero astratto, operazioni che
vengono comunque mutuate dall’uso via via più consapevole degli strumenti della comunicazione.
Quello che ci preme essenzialmente (e qui implicitamente rispondiamo alla sua seconda domanda) è mettere a fuoco
sempre di più nel percorso educativo i nodi cruciali intorno ai quali ruota l’acquisizione delle abilità linguistiche
fornendo occasioni per la riflessione dell’alunno sui propri progressi e per la valutazione oggettiva degli stessi.
Parola chiave per noi è attivare:
nella lingua parlata
attivare automatismi secondo le regole sociali nel rispetto dei vari toni e registri comunicativi;
attivare la padronanza del metodo per esporre;
attivare l’uso di parole nuove attraverso l’arricchimento del vocabolario personale.
Nell’ascolto
attivare abitudini finalizzate alla fruizione attiva;
attivare atteggiamenti di rispetto secondo le convenzioni sociali;
attivare la conoscenza di strategie per ricordare.
Nella lettura
attivare modalità diverse secondo lo scopo;
attivare strategie per la comprensione e l’analisi dei testi;
attivare l’interesse rispetto ai diversi generi testuali.
Nella scrittura
attivare la conoscenza di strategie di autocorrezione;
attivare l’acquisizione di modelli;
attivare le capacità di intervenire sui modelli secondo i propri scopi e la propria sensibilità per modificarli e adattarli alle
esigenze e alle capacità comunicative personali.
Tutto questo non deve però prescindere dallo scopo per noi principe: il piacere della lettura.
Una scelta antologica nuova e una proposta grafica allettante sono imprescindibili per gli occhi dei ragazzi ormai
abituati a proposte iconiche molto sofisticate e diversificate insieme all’attenzione per i materiali on line o su supporti
multimediali per attivare (ecco che ritorna la nostra parola chiave) l’interesse degli alunni.11
Tali riflessioni confermano quanto finora detto in merito alla radicale trasformazione del libro di lettura in sussidiario
(sebbene “dei linguaggi”… sempre di “sussidiario” si tratta): c’è un dato di fatto che dovrebbe imporsi all’attenzione
stessa del mondo dell’editoria scolastica, per funzionare poi da stimolo verso il miglioramento, ed è proprio lo
spostamento dell’asse attorno cui, oggi, ruota l’attività editoriale per la scuola primaria.
Quest’ultima, infatti, ormai da un ventennio, si dà da fare per creare percorsi educativo-didattici, offrendo proposte
operative precise e ben mirate: essenzialmente, l’editoria scolastica (non so con quanta consapevolezza) si sta
sostituendo alla scuola.
Quando si parla esplicitamente di “proposta didattica” che mira a “guidare il ragazzo all’appropriazione stabile delle
abilità fondamentali”, affermando di voler “attivare l’interesse degli alunni”, in fondo si vorrebbe fare la parte del
docente: credo sia esattamente questo l’errore principale da evitare; il libro di testo, a mio avviso, dovrebbe essere uno
dei tanti strumenti di cui sia gli alunni sia gli insegnanti possano usufruire.
Lia Cappelletti riporta le quattro abilità fondamentali della lingua italiana (parlare, ascoltare, leggere, scrivere) quali
centri d’interesse su cui concentrare le proposte operative del sussidiario dei linguaggi: si vuole che gli alunni
“facciano”, “operino”, e quindi ascoltino, parlino, leggano, scrivano… Ma non si considera il fatto che tutto ciò a scuola
si debba fare “in situazione”: racchiudendo in un libro uguale per tutti le attività che, invece, devono scaturire
dall’effettiva esperienza quotidiana di ciascuna classe, e di ciascun alunno all’interno della classe, non si fa altro che
preconfezionare l’insegnamento e l’apprendimento.
Tutto quello di cui parla Lia Cappelletti è giusto soltanto se rapportato alla vita scolastica, unica e irripetibile, di ogni
classe: ecco perché, allora, i sussidiari dei linguaggi, così come sono, non hanno ragione di esistere…
Quello che da lei stessa (ma in calce) viene indicato come “lo scopo principe” del sussidiario dei linguaggi, ossia il
piacere della lettura, non può essere trasmesso da un libro di testo che fa domande e che riduce il testo letterario a
facilitatore dell’acquisizione delle abilità fondamentali della lingua.
11
Risposta ricevuta via e-mail da Lia Cappelletti, della redazione per la scuola primaria Atlas, il giorno 30 dicembre
2011.
3. La pubblicizzazione dei sussidiari dei linguaggi da parte delle case editrici
In questo paragrafo passo la parola, quasi interamente, alle case editrici scolastiche: le varie pubblicizzazioni dei
sussidiari dei linguaggi, ma anche degli altri volumi dell’area linguistico-espressiva, che si possono facilmente trovare
in rete e che entrano nelle scuole anche su supporti cartacei, svolgono in maniera egregia una funzione di sostegno della
mia tesi. Già di per sé, infatti, non fanno che avvalorare l’idea che il libro di testo voglia svolgere in pieno le funzioni di
mediazione che spettano al docente. Qualsiasi ulteriore commento appare superfluo, ridondante.
Dal sito della casa editrice Raffaello: