FEDERICO MARIA GIULIANI Professore a contratto nella Università

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FEDERICO MARIA GIULIANI Professore a contratto nella Università
Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet
FEDERICO MARIA GIULIANI
Professore a contratto nella Università del Piemonte Orientale
Avvocato in Milano
Riscatti parziali e cedole periodiche in prodotti “finanziari”
del ramo vita, alla luce di un recente interpello (1)
SOMMARIO: 1. Descrizione d’istanza d'interpello e di risposta della Pubblica Amministrazione: fatto
e diritto. - 2. Natura del contratto, delle cedole, e dei riscatti parziali. Liaisons tra diritto civile e diritto
tributario all’interno della materia assicurativa: a) parte prima. - 3. (Segue): b) parte seconda. – 4.
(Segue): c) parte terza. – 5. Esigenze di comparazione con altri prodotti assicurativi "vita con cedole",
simili e pur diversi rispetto a quello dell’interpello. Sinonimie, contrapposizioni, e relativa ragion
d'essere.- 6. Conclusioni.
1.- Con risoluzione n. 138/E del 17 novembre 2004, l’Agenzia delle Entrate ha fornito la soluzione a un
quesito posto, con istanza d'interpello, da una compagnia d'assicurazioni residente in Italia, facente
riferimento a una polizza sulla vita denominata "finanziaria con "titolo strutturato", distribuita nel
territorio italiano a persone fisiche anch’esse residenti .
L'interpello e la risoluzione sono di sicuro interesse teorico-operazionale, non tantum per i tratti
caratteristici della fattispecie concreta, sed etiam in una prospettiva di amplificazione/confronto, id est
in un'ottica - per così dire - comparativa con taluni prodotti assicurativi simili e pur diversi.
Il caso fatto oggetto d'interpello riguarda una tipologia contrattuale congegnata nel modo che segue: a)
all'atto della stipula il contraente paga un premio unico alla società assicurativa; b) questa si obbliga,
nei confronti del contraente medesimo, a versare al beneficiario a scadenza –cioè a termine fisso di sei
anni in sopravvivenza dell'assicurat o - una certa somma di denaro, ovvero in alternativa una diversa
1
Nota tecnico-esplicativa allegata a un parere pro veritate.
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entità pecuniaria – in altro modo calcolata - nella ipotesi in cui, prima di detta scadenza, l'assicurato
perisca; c) in pendenza di contratto, l’assicuratore si obbliga e erogare inoltre sei cedole annuali, pari al
5% (ciascuna) del valore nominale di un c.d. "titolo strutturato", cioè a dire un titolo sintetico nel quale,
a latere di una "componente obbligazionaria", sussiste una "componente derivativa" (o derivativa, che
dir si voglia) capace d'indicizzare anche la somma alla scadenza di cui sopra alla lettera b), sulla base
dell’andamento delle quotazioni di un predeterminato paniere di titoli (in altre parole il "sintetico" è
pari a: "obbligazionario + indice di paniere") ; d) la somma aritmetica delle prestazioni periodiche e del
capitale garantito a scadenza (decurtata della quota destinata alla copertura per il caso morte) è uguale
all’importo premio versato dal contraente.
L'assicuratore interpellante - il va sans dire - non si preoccupa punto, sul coté tributario della
imposizione sui redditi, della sorte dei beneficiari nella ipotesi di premorienza dell'assicurato; ciò,
ovviamente, alla luce della nota esenzione, ispirata motivi “sociali”, di cui all'art. 34, ult. cpv., d.p.R. n.
601/1973.
Piuttosto l’interpellante medesimo s'interroga -e interroga la Pubblica Amministrazione competente- in
ordine al caso vita sino alla scadenza, e più specificamente in ordine alla disciplina fiscale, in capo al
contraente/beneficiario, delle sei cedole annuali su menzionate. In particolare e in prima battuta domanda l'istante - costituiscono codeste cedole "rendite a tempo determinato ovvero capitali
dipendenti da contratti di assicurazione sulla vita" [c.vo e grass.tto aggiunti]?
Collocandosi nel primo corno del dilemma di fattispecie, evidentemente, si ricade sotto la disciplina dei
redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (art. 50, nuovo stile, TUIR), di guisa che il relativo
arricchimento concorre alla formazione reddito complessivo ai sensi dell'art. 52, nuovo stile, TUIR.
Collocandosi invece nel secondo corno del dilemma, si èvoca tosto il reddito di capitale derivante da
assicurazioni sulla vita e di capitalizzazione, ex art. 44, comma 1°, lett g-quater, TUIR]. Con il che poi
si tratta di andare a determinare la base imponibile alla luce dell'art. 45, comma 4°, a mente del quale come ognun sa- "i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di
capitalizzazione costituiscono reddito per la parte corrispondente alla differenza tra l'ammontare
percepito e quello dei primi pagati".
Ebbene, in presenza di un tale interrogativo di base, la società contribuente, nell'istanza d'interpello ex
art. 11, statuto del contribuente (obiettiva incertezza ermeneutica), opta per quello che qui, poco più
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sopra, abbiamo raffigurato come secondo corno del dilemma medesimo (capitali corrisposti in
dipendenza…); e ciò sulla scorta della sottolineatura giusta la quale le prestazioni cedolari
dell’assicuratore, per il loro stesso modo di atteggiarsi/strutturarsi all’interno del prodotto/contratto in
questione, non possono rientrare nel concetto stesso di rendita.
È liquidato così tout court, senz’argomenti ulteriori rispetto al mero richiamo alla nozione civilistica di
rendita,, il primo dilemma posto in punto di trattamento fiscale delle cedole annuali nella polizza con
cedole e componente finanziario derivativo. Direi che l’apparente tautologia è tollerabile e possiede un
fondo di verità tale, da non meritare peculiari approfondimenti in questa sede.
Sì che, tosto, un ulteriore interrogativo – sub facie di triade - sorge e si pone nella esposizione
dell’interpello: a) le cedole sono un rendimento annuale da assoggettare in loto a imposta sostitutiva
del 12,5%? ; b) oppure le cedole stesse sono altrettanti riscatti parziali, in ciascuno dei quali si applica,
ai fini della determinazione della base imponibile, una detrazione proporzionale ai premi restituiti al
contraente per effetto del riscatto?; c) ovvero infine le cedole medesime sono da trattare come totali
restituzioni di una parte di premio versato?
Al cospetto di codesto trivio l'istante/interpellante argomenta come segue.
La soluzione sub a) impinge contro la lettera/"il principio” dell'art. 45, comma 4°, TUIR , là ove
"reddito" è il soltanto il "plusvalore" sprigionato dal contratto assicurativo. Adottando questa possibile
soluzione interpretativa/applicativa - tassando cioè la cedola in toto -, nel prodotto assicurativo in
parola potrebbe accadere che alla scadenza, in ragione dell'andamento del componente derivativo del
titolo strutturato, nulla riceva il contraente, più non potendo in tale situazione egli/ella recuperare
alcunché in deduzione, rispetto a quanto percepito/tassato lungo l’intiero svolgersi della polizza, in
ragione del (e in relazione al) premio pagato.
Quanto alla prospettata soluzione sub b), da un lato è vero che essa supera l'obiezione appena mossa
alla ipotesi di soluzione sub a), poiché la soluzione b), nel suo stesso enunciarsi, oltrepassa, in ciascun
"riscatto parziale" della polizza, la componente restitutiva - implicita nel pagamento che l'assicuratore
effettua a seguito di un tale riscatto -, pari alla quota-parte di premio in quel contesto (quello, cioè, del
riscatto parziale) restituito dall'assicuratore al contraente riscattante (una componente restitutiva
implicita, poiché essa va scorporata da un quantum omnicomprensivo il quale, in polizze a contenuto
finanziario, supera la mera quota restitutiva e vi aggiunge una quota di rendimento/reddito). Pur
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tuttavia, questa essendo la pars construens della soluzione sub b), a detta dell’interpellante essa non
manca di una evidente una pars destruens, costituita dall'osservazione per via della quale, nel prodotto
assicurativo in esame, le sei cedole previste non comportano alcun "disinvestimento" di premi
precedentemente "investiti".
Ciò detto - rectius scritto -, l'interpellante chiude s ùbito il quadro prospettando la valenza euristica
insita nella terza possibile interpretazione (quella, cioè, sub c), in virtù della quale ciascuna cedola altro
non sarebbe se non la restituzione - da parte dell'assicuratore al contraente - di una porzione di premio
la quale, antecedentemente (all’atto, cioè, del pagamento iniziale da parte del contraente) aveva
viaggiato in direzione esattamente invertita. E infatti - argomenta l'istant e -, se il titolo strutturato ha
mala sorte col suo indice di paniere, le cedole non bastano nemmeno a rinforzare l'intero premio
versato; il che a fortiori ne dimostra quanto meno - cioè nella migliore delle ipotesi per il contraente la natura meramente restitutiva (di quote) di premio.
Ergo -conclude l'interpellante- non vi può essere nessuna tassazione, in nessun caso, delle cedole in
capo al contraente; e tassazione invece deve esservi, in capo a quest'ultimo, sulla differenza - se
positiva - fra capitale erogato e premio iniziale, diminuito quest'ultimo degli importi delle cedole
precedentemente erogate. Differenza, questa, da ricondurre al citato art. 45, comma 4°, nuovo stile
TUIR; differenza, questa, sulla quale l'istante prospetta di andare ad applicare l'imposta sostituiva dal
12,5%.
La risposta dell'Agenzia delle Entrate può, a sua volta, essere descritta come appresso.
Dall'esame del contratto, e da quanto espone lo stesso istante, risulta che le cedole sono "una sorta di
anticipo del capitale che tipicamente viene corrisposto agli stessi beneficiari alla scadenza del
contratto o in caso al riscatto anticipato” (c.vo aggiunto).
Infatti - aggiunge l’Agenzia -, la polizza è tale per cui la somma delle cedole e del capitale garantito a
scadenza, decurtata della quota destinata alla copertura per il caso morte, deve sempre risultare pari al
premio versato dal contraente.
Allora - argomenta la P.A. medesima - il guadagno per il contraente è mera eventualità -la quale si
definisce all'esito del contratto-, e non può essere punto ciò che è mero premio.
Sì che tassare la cedola prima equivarrebbe a tassare il capitale, anziché il reddito dell'investimento.
D'altronde -insiste l'Agenzia- anche la lettera dell'art. 45, comma 4°, TUIR è chiaramente nel senso
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della tassazione del solo differenziale tra capitale percepito e premi pagati. E, sul piano della certezza,
soltanto alla scadenza della polizza ricorrerà questo elemento della fattispecie imponibile nel caso del
prodotto-vita in parola.
Gli è che - precisa infine la P.A. in risposta all' interpello - il "guadagno” per il contraente -peraltro
eventuale in questo caso- dipende soltanto dal risultato della componente derivativa del "titolo
strutturato"; e tale risultato si ha soltanto in presenza di riscatto anticipato o di scadenza del contratto.
Ergo si applica l'art 45, comma 4°, TUIR, in una con l'imposta sostitutiva ex art. 26-ter, d.p .R. n.
600/1973, la cui aliquota è fissata al 12,5%. Trattasi di un’ applicazione che può/deve intervenire
soltanto in presenza di un riscatto anticipato ovvero di scadenza; a meno che - aggiunge infine
l’Agenzia - alle scadenze periodiche (cedole) non sia determinabile con certezza un vero e proprio
rendimento finanziario della polizza medesima, il che di regola non risulta verificarsi nella polizza in
questione.
2. Come il lettore ha certamente già intuito, la materia è dotata di punti e spunti dialettici, collegamenti
concettuali e interdisciplinari, noché espansività ulteriore nei confronti di prodotti assicurativi simili ma
non identici, costruiti artigianalmente dall'ingegneria del c.d. bancassurance.
Cominciamo con il rilevare che qualche cosa – se così si può dire - non torna del tutto sul piano della
stretta natura del contratto.
Ben sappiamo che il contratto di assicurazione sulla vita, secondo ormai risalenti dettami dell'ISVAP,
può colorirsi di rendimenti finanziari indicizzati all'andamento di fondi (le c.d. unit linked policies); ma
sappiamo altresì che, per potere continuare a essere tale - cioè, appunto, un contratto di assicurazione e
non altro - detto negozio deve contemplare la principale prestazione dell'assicuratore come dipendente
dal c.d. rischio demografico, vale a dire l'incertezza della durata della vita umana in quanto tale, al di là
di ogni statistica basata sull’età, la professione, il sesso, ecc.
Ora pero, nel momento stesso in cui l'Azienzia della Entrate, nella risoluzione n. 138/E del 17
novembre 2004, afferma - come ci pare proprio affermare - che l'erogazione finale può esser pari a
zero in ragione del componente derivativo d el "titolo strutturato", la nostra impressione è che ciò
equivalga ad ammettere uno snaturamento della nozione, seppur moderna ed estesa, di contratto di
assicurazione sulla vita. E’, infatti, in giuoco un distacco concettuale che, se per avventura dovesse
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essere confermato, comporterebbe un mutamento radicale di prospettiva non soltanto in termini di
norme di riferimento del codice civile, ma altresì in termini più ampi di disciplina applicabile nel
diritto dell'economia, ivi inclusa l'individuazione del competente organo di controllo e dei soggetti
professionalmente autorizzati al collocamento del prodotto presso il pubblico.
Gli è che, in una certa ottica, codesto collocamento, posto in essere professionalmente da parte di
un assicuratore, potrebbe persino assumere i tratti dell'illegittimità sul coté amministrativo e forse
anche penale. Ciò ovviamente accadrebbe se ed in quanto, a taluno, venisse in mente di sostenere magari efficacemente- che un prodotto, quale quello esaminato nella risoluzione in questione, più che a
un assicurazione sulla vita dotata di una componente finanziario-derivativa, a uno "strumento"
finanziario - quale "prodotto" finanziario - deve essere assimilata. Certo, se da un lato il prodotto in
questione non è perfettamente aderente alla nozione di contratto di assicurazione sulla vita, dall'altro
lato non è facile nemmanco sussumerlo sotto una delle fattispecie di cui all'art 1, comma 2, d.lgs. n. 58
del 1998 (TUF); a meno di non invocare la lett. h) del comma medesimo, be sapendo però che essa è
stata formulata dal legislatore avendo riguardo a contratti diversi dai prodotti assicurativi derivativi (si
pensi, piuttosto, ai financial futures); tutto sta, in fondo, nel vedere quanto tale diversità sia strutturale e
quanto invece marginale.
Fatto sta che, fin quando si resta al di fuori della nozione di "strumenti finanziari" di cui all'art. 1 cpv.
TUF, il servizio professionale verso il pubblico, da parte di un'impresa di assicurazioni, non può
integrare gli estremi del reato di abusivismo di cui all’art. 166, TUF.
Sembra di trovarsi, comunque , in una no man’s land, tra ISVAP da un lato e Consob/Bankitalia
dall'altro lato: un'area sulla quale, ad ora, non appare risolutiva neppure la potestà di cui all'art. 18,
comma 5°, TUF, consistente nella individuazione di nuove categorie di strumenti finanziari da parte
del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Al riguardo -forse non a caso- l’Agenzia delle Entrate tace tout court nella risoluzione n. 138/E, non
entrando affatto nel merito della precisa natura del contratto costitutivo del “prodotto”.
Dopo questa osservazione preliminare, che ci pareva in qualche modo doverosa, occupiamoci però
adesso delle cedole e dei riscatti parziali.
Abbiamo visto che, nel prodotto costituente l’oggetto della risoluzione, le cedole sono pagamenti
dell’assicuratore aventi il carattere della annualità e quello della durata massima di sei anni con
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l’assicurato in vita: pagamenti –
si diceva - d’un importo variabile di volta in volta, a seconda del
corrente valore nominale del “titolo strutturato”.
Inoltre, ma indirettamente – per così dire –, le cedole sono ivi caratterizzate dal fatto d’essere poi
computate, alla scadenza della polizza, nel loro importo complessivamente erogato; e ciò in guisa tale
che – in ragione del congegno del prodotto – la somma di detto importo complessivo di cedole e del
capitale erogato a scadenza, una volta sottratta la quota accantonata per il caso-morte, sia pari al premio
pagato in toto dal contraente.
Sulla scorta di ciò viene da domandarsi che natura giuridica, in particolare, abbiano codeste cedole in
codesto prodotto e, di riflesso , più in generale nel settore assicurativo.
A proposito della categoria concettuale del riscatto parziale – la prima invero a balenare in mente in un
contesto siffatto -, viene in considerazione – proprio in materia di assicurazioni sulla vita – l’art. 1925
c.c., il quale al “riscatto” tout court e alla “riduzione” della polizza fa testuale riferimento, disponendo
che le polizze-vita debbono regolare tali due diritti del contraente in guisa tale che l’assicurato possa
sapere, in qualsiasi momento, quale sarebbe, nel momento medesimo, il valore di riscatto o di
riduzione, appunto, dell’assicurazione.
Qui occorre ben comprendere che cosa si debba intendere per “riduzione” nel contesto dell’art. 1925.
Ebbene, trattasi della ipotesi in cui, in un’assicurazione con pagamento di premi periodici, il contraente
decide in itinere di non versare più premio alcuno (in premessa di costituzione della riserva matematica
da parte dell’assicuratore), cosicché l’interruzione del premio produce, inevitabilmente, la riduzione
della polizza (DONATI & VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, quinta ed.,
Milano, 1999, p. 190).
Il riscatto invece, menzionato anch’esso (come detto) dall’art. 1925, a differenza della riduzione
presuppone non soltanto che l’assicuratore abbia già costituito la riserva matematica, ma altresì che la
prestazione dell’assicuratore sia certa e che l’incertezza residuale riguardi soltanto l’individuazione del
momento in cui detta prestazione sarà dovuta (op. loc. ultt. citt.).
Ciò in quanto, col riscatto,
all’assicurato è anticipata la prestazione dell’assicuratore, ancorché ridotta a causa della interruzione
del pagamento del premio (ibidem).
In questa prospettiva l’interruzione del pagamento del premio
è un comune denominatore della
riduzione da un lato e del riscatto dell’altro lato. Ma il riscatto, qui, è la risoluzione del contratto su
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iniziativa del contraente e cagiona il pagamento del c.d. “valore di riscatto” da parte dell’assicuratore
(un valore ridotto), la qual cosa è consentita – osservano i commentatori - soltanto nelle assicurazioni
“caso morte a vita intera” e nelle assicurazioni “miste”; non già invece nelle assicurazioni “sulla vita
per il caso vita”, poiché il sopravvivere in futuro a tempo-data è, ex ante, incerto nell’an, né sussistono
parametri per stabilire – ex ante appunto - se la risoluzione del contratto comporterà o meno un
pagamento da parte dell’assicuratore (ibidem).
Questo, in sintesi, è il commento di Donati e Volpe all’art. 1925.
Più puntuale mi sembra, a dire il vero, chi osserva che la natura giuridica del “riscatto”, di cui all’art.
1925, è quella di un recesso (SALANDRA, Dell’assicurazione, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e
Branca, Bologna–Roma, 1966, sub art. 1925, ab ovo): ciò in quanto – osserva lo scrittore - nessuno dei
presupposti legali della risoluzione, quali emergono dagli artt. 1453 e seguenti c.c., sono rinvenibili
entro il perimetro disegnato dall’art. 1995. Piuttosto il recesso, che è istituto disciplinato dal dirit to
privato in via casistica, sembra trovare proprio nell’art. 1925 uno dei casi -appunto isolati e tipici - di
trattazione.
Ma al di là – o a latere – di questa notazione suggerita dal Salandra, resta ancora da capire come si
rapportino la “riduzione” e il “riscatto”, di cui all’art. 1925, a quel “riscatto parziale” evocato non
soltanto dall’interpello e dalla risoluzione in parola, ma altresì dalla diffusa prassi contrattuale in
materia assicurativa.
Gli è che il sintagma “riscatto parziale”, per lo meno a questo punto del cammino, assume i tratti
propri dell’ossimoro, se è vero – come è vero - che da un lato abbiamo visto in precedenza che il
riscatto - a differenza della riduzione - fa cadere (per risoluzione, rectius recesso) l’intero cont ratto,
mentre dall’altro lato l’attributo “parziale”, presente nel sintagma in questione (riscatto parziale,
appunto), si pone chiaramente in una prospettiva opposta (quella di una parte, anziché del tutto).
Una possibile soluzione logica, allora, è quel la in cui il riscatto parziale – così operazionalmente
denominato – sia sinonimo di quella “riduzione” che abbiamo rinvenuto nel dettato dell’ art. 1925. Pur
tuttavia, alla luce delle osservazioni dottrinali in punto d’art. 1925 (DONATI & VOLPE PUTZOLU,
op. loc. citt.), da un lato la riduzione interviene in itinere di pagamento di premi periodici e non
comporta alcuna restituzione di premi; dall’altro lato il riscatto parziale interviene, piuttosto, quando il
premio contrattualmente previsto è già stato pagato in toto e per l’effetto, similmente a quanto accade
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in una riduzione, “si riduce la polizza” in concomitanza con la restituzione, da parte dell’assicuratore,
di parte del premio già incassato.
Con il riscatto tout court, però, il riscatto parziale condivide
necessariamente la certezza della
prestazione dovuta dall’assicuratore al momento dell’esercizio del diritto da parte del contraente [donde
l’assenza del diritto al riscatto, e totale e parziale, nell’assicurazione per il solo caso di sopravvivenza],
poiché bisogna pensare che il contratto “si riduce” [si ricordi, in questo senso, la comunanza
concettuale con la riduzione] per quel segmento che appunto, in quanto riscatt ato, deve essere
“liquidato”, in restituzione di premi e del corrispondente capitale “maturato”, da parte dell’assicuratore.
3. Nel contesto di queste tematiche di characterisation di elementi negoziali (riscatto, riscatto parziale,
riduzione), seppure
implicitamente si colloca ovviamente l’interrogativo, formulato
dall’interpellante nel caso di specie (v., supra, par. 1), se le cedole annuali siano da reputare, in termini
appunto di classificazione, riscatti parziali o altro nella polizza di cui al quesito sottoposto all’Agenzia
delle Entrate.
Come sappiamo, la risposta dell’Amministrazione è quella per cui le cedole, il tal caso, non sono
riscatti parziali perché non sussiste “ disinvestimento”, vale a dire – ci sentiamo di potere ritenere –
manca, nel pagamento della cedola, qualsivoglia componente di restituzione di premi.
Ora, a parte la dispu ta se sia pensabile o meno un riscatto parziale (non tanto plurimo, ché se esso è
parziale può ben esser più d’ uno per la contraddizion che nol consente, quanto piuttosto)
predeterminato nell’an e nel quantum e nel quando [disputa alla quale, in linea di principio, sembra
doversi dare risposta positiva], mette conto il dire che, onde escludere che la cedola della risoluzione
abbia componente restitutiva, bisogna potere affermare che contrattualmente, alla scadenza finale della
polizza, l’assicuratore sia obbligato a erogare una somma, al cui computo concorrono tutti i premi
pagati dal contraente all’assicuratore e non già soltanto i premi pagati dal contraente all’assicuratore al
netto dei premi restituiti dall’assicuratore stesso al contraente a mezzo cedole.
In questa logica, però, le cose forse non tornano rispetto alla risoluzione dell’Agenzia.
Infatti, dal quesito d’interpello e dalla relativa risposta si evince, per quel prodotto assicurativo, la
seguente formula:
SC + CFG (-QCM) = SP,
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ove SC è l’importo complessivo delle cedole tra di loro sommate, CFG è il capitale finale garantito
(cui si aggiunge, se del caso, il componente derivativo) dovuto dall’assicuratore al beneficiario alla
scadenza, e QCM è la quota destinata alla copertura del caso morte, mentre SP – per parte sua - è la
somma dei premi.
Ergo
CFG(-QCM)=SP-SC
Ciò equivale a dire che, alla determinazione del capitale finale garantito, concorre la somma dei premi
al netto delle somme degli importi erogati dall’assicuratore, in itinere di polizza, quali cedole.
Ora, a noi pare che queste ultime siano proprio un disinvestimento di segmenti di premi già pagati dal
contraente. E anzi, talmente trattasi di disinvestimento, che si deve semmai parlare (e proprio questo,
semmai, è il punto peculiare) di mero ed esclusivo dis-investimento.
Le cedole, per come è strutturato questo prodotto del ramo-vita, smobilitano un segmento di premi e
significano un corrispondente recesso/riscatto da/di parte del contratto. Inoltre, la peculiarità estrema di
questo prodotto, per come esso è congegnato, consiste nel fatto che , alla restituzione di una quotapremio nel riscatto parziale, per il contraente non si aggiunge alcun rendimento proporzionale di
polizza. E ciò, del resto, in risposta al quesito l’Agenzia delle Entrate non ha mancato di evidenziare.
Sorge allora, a questo punto del nostro percorso, il seguente interrogativo: resta, codesta “cosa” (cioè
ciascuna cedola nel prodotto di cui all’interpello) un riscatto parziale?
E’ un valore di contratto ridotto, dice la dottrina (Donati & Volpe Putzolu, op. loc. ultt. citt.); ma è il
contratto stesso a doverci dire La domanda è una di quelle per le quali bisogna stare attenti a non
mordersi la coda (come accade, per esempio, con: “che cosa è un titolo di credito”?).
Senza pretesa di sorta, nel rispetto dell’equilibrio di spazi che questo scritto deve in qualche modo
avere, ci sembra che l’art. 1925 non imponga – tanto meno cogentemente – che il “valore di riscatto o
di riduzione” [e noi sappiamo che il c.d. riscatto parziale è un po’ riscatto e come si calcola
quest’ultima riduzione! (arg. ex art. 1925 c.c.).
Allora direi che, nel caso concreto di cui alla risoluzione n. 138/E, le cedole sono riscatti parziali
peculiari, i quali si esauriscono in restituzioni
di premi. E pure riscatti parziali –aggiungerei- dette
cedole, in tale ipotesi concreta, rimangono.
Questa è, a nostro avviso la characterization privatistica delle cedole, in quanto tali, in quella struttura
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negoziale. La Pubblica Amministrazione, nel rispondere all’interpello, per certi versi sfugge sul punto,
poiché deve – in certo qual modo - tagliare trasversalmente la questione della qualificazione civilistica
e piuttosto rispondere (partitamene) sul coté del diritto tributario.
4. Sul versante fiscale, la tematica del riscatto parziale nelle assicurazioni sulla vita, per quel che
concerne l’IRPEF del contraente si coagula intorno alla lettera dell’art. 45, comma 4°, TUIR. Ivi, come
è gia sopra stato ricordato, si dispone che i capitali corrisposti in dipendenza di assicurazioni sulla vita
(e di capitalizzazione) costituiscono reddito per la parte che corrisponde alla differenza tra l’ammontare
percepito e quello dei premi pagati.
Una volta assunto che la somma erogata dall’assicuratore in ragione di un riscatto parziale è comunque
-nel linguaggio delle norme sui redditi di capitale- un capitale, appunto, corrisposto in dipendenza di
contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione [assunto, questo, sul quale a essere sinceri non
abbiamo mai avuto dubbi particolari], la formulazione letterale afferente il computo della base
imponibile dà per scontato che il contratto sia andato a scadenza nella sua pienezza, ovvero che il
riscatto – per così dire – sia totale. In questa prospettiva l’interprete, dovendo affrontare una riduzione
o un riscatto parziale, si trova abbastanza a suo agio per ciò che concerne l’etichetta del reddito, ma
deve affrontare un dettato ermeneuticamente ostile della legge in punto di base imponibile.
Soccorre, al riguardo, un pronunciamento - ormai piuttosto risalente - dell’ANIA (circ. n. 226/1998,
Trib. 27, del 7 ottobre 1998, sub par. 2.2), ove si dice in buona sostanza che, nel caso di riscatto
parziale,
la norma del TUIR sulla determinazione del relativo reddito di capitale deve essere
interpretata/applicata secondo ragionevolezza, così pervenendo a un criterio proporzionale: nel
calcolare, cioè, la base imponibile del riscatto parziale, il sottraendo non corrisponde ai premi
complessivamente versati, bensì al rapporto tra capitale erogato e valore economico della polizza,
quest’ultimo inteso come ciò che sarebbe corrisposto se la polizza scadesse in toto il girono del
riscatto parziale. Ergo, in formula,
RCRP = SRP – SRP
_
VEP(RP)
dove RCRP è il reddito (finanziario) di capitale derivante dal riscatto parziale, SRP è la somma
pagata dall’assicuratore a fronte del riscatto parziale, e VEP(RP) è il valore economico della polizza
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(quanto essa “pagherebbe” se finisse tout court) alla data del riscatto parziale.
Questo, a dire il vero, ci è sempre parso un ragionamento serio, ancorché temessimo talune obiezioni
formalistico-letterali da parte dell’Amministrazione.
Non deve perciò sfuggire che, nella risoluzione n. 138/E, seppure in modo non argomentativo ma
piuttosto implicito, l’Agenzia delle Entrate, con riguardo al caso-limite di cedole quali quelle del
prodotto assicurativo di cui all’interpello, nulla ha scritto contro l’adozione del criterio proporzionale
nella determinazione della base imponibile di quei redditi di capitale che sono originati da riscatti
parziali, all’interno di polizze di assicurazioni sulla vita.
Del resto, come correttamente puntualizza l’istante nell’interpello dal quale prendono le mosse queste
riflessioni, il tentare una sussunzione delle-cedole/dei-riscatti-parziali sotto le norme della imposizione
reddituale sulle rendite, costituirebbe operazione logico-ermanentica assai falotica e , siccome tale,
destinata all’insuccesso.
Piuttosto -a questo punto del percorso- è lapalissiano che, nel caso del prodotto assicurativo costituente
oggetto di risoluzione n. 138/E, l’applicazione del criterio proporzionale [quello dell’ANIA, per
intenderci] alle cedole ivi contemplate, conduce, per le cedole stesse, a un reddito di capitale pari a
zero. Del resto quelle cedole , altrimenti, non si esaurirebbero in mere restituzioni di segmenti di
premi.
E invece, che soltanto di premi “in ritorno” si tratti, risulta – e risalta - ancora dal passaggio qui
appresso. Abbiamo visto (supra, par. 3) che
SC+CFG(-QCM)=SP
ergo
SC= SP- CFG(+QCM)
il che significa che la somma delle cedole è pari alla differenza tra la somma dei premi e il capitale
finale garantito. Insomma, quel che non torna al contraente in forma di cedola, torna al medesimo in
forma di capitale garantito, alla fine. Ogni “di più “ - ogni gain, verrebbe da dire - è rinviato alla fine,
e dipende dal componente derivativo della polizza. Così
CF = CFG + CFD
ove il capitale erogato alla scadenza è pari al capitale garantito alla scadenza più l’importo –
potenzialmente eguale anche a zero– rimesso all’andamento dell’indice d’un paniere di titoli azionari,
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che appunto costituice la componente finanziario-derivativa della polizza.
Perciò, sulla incapacità della cedola in parola (quella di cui all’interpello) a originare reddito di capitale
imponibile -incapacità condivisa da società interpellante e dall’ente ente interpellato-, direi che si debba
esprimere una sostanziale condivisione.
5. Salutata con una certa soddisfazione da parte degli investitori in prodotti assicurativi e -riserve
tecniche a parte- di riflesso dalle compagnie assicurative emittenti, la risoluzione n. 138/E del 17
novembre 2004 ha, pur tuttavia –e fra l’altro-, immediatamente posto taluni interrogativi di confine – se
così si può dire -, in ordine alla propria sfera di riferibilità.
Tanto è accaduto, anzitutto e per lo più, alla luce di –e con riferimento a– altre polizza di assicurazione
sulla vita (per lo più miste), dotate anch’esse di “cedole” annuali o comunque periodiche, e collocate in
Italia presso contraenti/persone-fisiche residenti nel nostro Paese.
A tale riguardo, occorre prestare attenzione - onde non incorrere in soluzioni analogiche corrive ed
erronee - al puntuale contenuto giuridico di ciò che il dato operazionale, senza nessuna (ovviamente)
rilevanza formale, denomina “cedola”.
Ecco che, allora, un esempio concreto può soccorrere a illustrazione di questa esigenza comparativa.
Prendiamo in considerazione un prodotto assicurativo “vita con cedola”, distribuito in Italia e pur non
coincidente con quello fatto oggetto di interpello.
La struttura di tale ulteriore prodotto è tale per cui
CP = SP – SRP + CFD
laddove il capitale erogato alla fine (CP) è uguale alla somma dei premi pagati dal contraente (SP),
meno la somma dei premi retrocessi per effetto di riscatti parziali (RSP), più il componente finanziarioderivativo che alla peggio può essere uguale a zero (ergo non può mai essere di segno algebrico
negativo).
Si noti che, in questo prodotto, i riscatti parziali (cui SRP supra si riferisce) sono tenuti ben distinti dal
componente cedolare (SC ) alla scadenza del contratto. In altre parole, in questo contesto negoziale i
riscatti parziali sono cosa altra rispetto alle erogazioni periodiche (annuali) di somme di danaro
predeterminate, effettuate dall’assicuratore a vantaggio del contraente-beneficiario.
Ora, assumendo – come mi pare si debba fare – che, anche nel prodotto di cui alla risoluzione n. 138/E
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dell’autunno 2004, CFD non possa mai essere inferiore a zero, se noi confrontiamo i due prodotti
assicurativi -questo, cioè, e quello dell’interpello-, ci avvediamo tosto del fatto che, quando nella
polizza esaminata dall’Agenzia CFD è uguale a zero, allora (v., supra, par. 4)
CF =CFG,
dove CFG = SP – SC [+QCM],
e dunque CF = SP-SC
Dunque, fuor di simbologia, nella polizza sottoposta a interpello il capitale erogato a scadenza è la
somma dei premi ridotta degli importi complessivamente sborsati quali cedole. Questo valore è sempre
maggiore di zero, poiché le cedole non erodono mai, per contratto, tutti i premi.
Diversamente, se nel prodotto “alternativo” (rispetto a quello della risoluzione) CFD è uguale a zero,
allora (v., supra,, in questo par.)
CF = SP – SRP
cioè a dire il capitale finale è pari alla somma dei premi iniziali, depurata della somma dei premi
impliciti restituiti al contraente per effetto dei riscatti parziali. Qui, fuor di simbologia, il capitale
erogato a scadenza puo’ essere eguale a zero, se i riscatti parziali hanno determinato la restituzione di
tutti i premi.
Due sottraendi diversi, dunque, nel computo del capitale finale nei due prodotti. Nel caso della
risoluzione, si sottrae [da SP, cioè dalla somma dei premi] la somma lorda della cedola erogata;
diversamente, nel prodotto alternativo, si sottrae la somma netta (implicita) dei premi riscattati.
A questo punto un nuovo interrogativo è formulabile come appresso: può la tesi di non-tassabilità tout
court della cedola, avanzata dall’Agenzia delle Entrate nel caso della risoluzione n. 138/E, estendersi
anche -a rigor di logica- ai riscatti parziali di cui al prodotto “alternativo” con cedole?
Si osservi, al riguardo, che non si può, a rigore, darsi – a una siffatta domanda - risposta negativa
dicendo semplicemente che la cedola da un lato e il riscatto parziale dall’altro lato costituiscono due
cose diverse, essendo la prima per sua natura priva di quella componente restituiva (di premi), insita
invece –per sua stessa natura- nel secondo. Non si può così tentare di argomentare perché – come
abbiamo già visto (supra, par. 4) – ciò costituirebbe mera suggestione del nostro pensare, per
consuetudine, alle cedole azionarie/obbligazionarie, quali dividendi/frutti imponibili tout court,
laddove invece il linguaggio operazionale assicurativo chiama “cedola” anche taluni riscatti parziali, i
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quali infatti imponibili tout court non sono stante la loro base imponibile contraddistinta dalla
componente negativa costituita dal segmento di premio riscattato. Che poi questi ultimi possano non
essere originativi di reddito per il riscattante, sol perché la corrispondente erogazione da parte
dell’assicuratore – in ragione delle pattuizioni contrattuali – si esaurisce nella restituzione di premi [v.,
supra, alla fine del par.4], è questione diversa, attinente all’esito di computo di una base imponibile.
Sbagliato altresì sarebbe il dire che, nelle cedole siccome tali – in codeste polizza vita finanziarioderivative – manca tout court (e “a monte”) qualsivoglia componente restituivo, ché, semmai, nel caso
concreto di cui alla alla risoluzione dell’Agenzia, abbiamo visto che le cedole sono
soltanto
restituzione, per effetto e in ragione della quale cosa – osserva l’Agenzia medesima - codeste cedole
non originano materia imponibile.
Piuttosto, credo sì che si debba rispondere negativamente alla domanda circa l’ applicabilità o meno
dell’assunto di non-tassazione, delle cedole del prodotto di cui alla risoluzione n.138/E , ai riscatti
parziali del prodotto alternativo. Ma credo altresì che si debba ciò affermare con un ragionamento
quale quello che segue.
Prendiamo le mosse dal fatto che la risoluzione n. 138/E non asserisce che le “cedol e” in quanto tali
non originano materia imponibile, bensì ci fa comprendere che, di volta in volta, bisogna verificare se
un pagamento, in corso di polizza-vita da parte dell’assicuratore, possieda o meno una componente di
restituzione e, in caso positivo, se tale componente assorb a o meno, per intiero, il pagamento
medesimo.
Ebbene, in quest’ottica, le cedole del prodotto di raffronto, nonostante portino seco la medesima
etichetta operazional-contrattuale (quella di cedola, appunto), sono esattamente l’opposto delle
omonime cedole del prodotto assicurativo della risoluzione n. 138/E. Queste ultime – come abbiamo
visto (supra, par. prec. e presente) – sono non soltanto restitutive, ma faddirittura restituzione in toto,
laddove invece le cedole del prodotto alternativo non sono restitutive affatto! Non sono restitutive tout
court poiché, a parità d'assenza d'un rendimento finale del componente finanziario-derivativo [v. supra,
in questo par.], sono date per acquisite, definitivamente e totalmente, da parte del beneficiario nel
computo di quanto l'assicuratore deve erogare alla scadenza.
Questo è il punto che proprio la risoluzione n. 138/E ci induce a prendere in debita considerazione ai
fini reddituali, e che mi pare conduca all'esito appena evidenziato.
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Del resto non è un caso che, nel prodotto -per così dire- alternativo, le cedole appunto, a differenza dei
riscatti parziali, sono lasciate completamente fuori nel computo del quantum dovuto dall'assicuratore
alla scadenza. Queste cedole del secondo prodotto (quello alternativo, per intenderci), a differenza delle
omonime della risoluzione, sono definitivamente e completamente acquistate dal beneficiario al
momento del loro "stacco"/pagamento.
Dopodiché è proprio, ancora una volta, la risoluzione n. 138/E, a indicarci la strada logicointerpretativa da percorrere.
Questo pagamento dell'assicuratore, effettuato in presenza del termine finale della polizza, non cade a
mio avviso nella sfera applicativa del criterio impositivo proporzionale dei riscatti parziali, così come
descritto dall'ANIA argomentando sull’art. 45, comma 4°, TUIR; e ciò poiché manca tout court
qualsivoglia componente (per usare il sostitutivo dell'Agenzia) di disinvestimento sotto il profilo dei
premi.
D'altronde, costituendo codeste cedole pur sempre l’erogazione di una somma di denaro in dipendenza
d'un contratto d'assicurazione sulla vita [a meno di non snaturare quest’ultimo, direi], la fattispecie di
appropriata sussunzione risulta essere quella di cui all'art. 44, comma 1°, lett. g -quater, TUIR, ove
sappiamo farsi riferimento ai redditi compresi nel capitale corrisposti in dipendenza di contratti di
assicurazione sulla vita e di capitalizzazione.
Certamente il reddito è quello"compreso" nella erogazioni, ché infatti la base imponibile ha un
sottraendo di premio ex art. 45, comma 4°. Pur tuttavia gli è che, se i premi riferibili alla singola
erogazione periodica sono -nella struttura e funzione del singolo prodotto- eguali a zero, il reddito di
capitale non può avere altra base imponibile se non quella pari alla totalità delle erogazioni
dell'assicuratore a vantaggio dell'assicurato.
Tale ci pare proprio il caso delle cedole del prodotto che, in concomitanza di pagamenti in itinere di
polizza denominati tali – cioè appunto “cedole” -, abbiamo paragonato all’altro prodotto, di cui alla
risoluzione n.138/E dell'Agenzia delle Entrate recante data 17 novembre 2004.
Ne risulta che siamo in presenza, nonostante l’omonimia dello strumento “cedola”, a due situazioni per
certi versi opposte. In un caso vi sono erogazion i cedolari per nulla imponibili in capo al precettore;
nell’altro caso vi sono erogazioni cedolari imponibili in toto - cioè senza nessun sottraendo nel
computo della base imponibile - in capo al percettore medesimo.
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Del resto, come ultima riprova della correttezza del ragionamento - e della sua tenuta proprio alla luce
della risoluzione n.138/E -, si consideri quel che segue.
Assoggettando, in tutto o in parte, a tassazione le cedole del prodotto di cui alla menzionata
risoluzione, alla scadenza della polizza il beneficiario può -nella ipotesi di un componente derivativo
pari a zero - ritrovarsi a non potere dedurre, ai fini determinazione del proprio reddito da assoggettare a
imposta sostitutiva, alcun importo di premi già pagati e giammai dedotti in altro frangente.
Diversamente, assoggett ando a tassazione in toto - cioè senza deduzione di sorta nel computo della
base imponibile - le cedole di cui al prodotto assicurativo di comparazione, anche nel caso in cui il
rendimento finale del componente finanziario-derivativo sia eguale alla scadenza della polizza, in
quello stesso frangente il beneficiario si trova a poter dedurre, dal il capitale percepito, tutti i premi non
ancora dedotti nel computo della base imponibile dei pregressi/eventuali riscatti parziali..
Questa è la differenza, nella sua essenza che supera l’omonimia cedolare.
Nel primo caso,
CF=SP-SC
laddove invece, nel secondo caso,
CF=SP-SRP.
Questo mi pare il modo acconcio di ragionare
by distinctions
(si direbbe in common law),
valorizzando fra l’altro quella risoluzio ne dell’Agenzia delle Entrate del novembre scorso, dalla quale
si è attinto lo spunto di riflessione iniziale delle presenti note.
6. Mi pare che si possa/debba, pur senza dilungarsi, svolgere talune considerazioni finali e di sintesi.
Il linguaggio operazionale e la prassi del settore del c.d. bancassurance conoscono il frequente ricorso a
taluni dati peculiari delle polizze-vita, denominati cedole, riscatti parziali, recessi, e componenti
derivati(vi).
Con riguardo a questi aspetti, abbiamo avuto modo di rilevare che le cedole spesso costituiscono –
nella struttura/funzione della figura negoziale - il recesso/riscatto parziale dal contratto di
assicurazione sulla vita. In quanto tale, il recesso/riscatto parziale comporta, in capo all’assicuratore,
l’obbligazione di restituire al contraente un segmento di premio; tale componente può essere
quantitativamente inferiore o persino eguale (</=) all’impor to di restituzione-premio, a seconda del
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contesto – e per effetto - delle statuizioni della singola polizza.
Sul versante della imposizione sui redditi del soggetto (persona fisica non imprenditore) il quale
percepisce la c.d. cedola, il combinato disposto di cui agli artt. 44, comma 1°, lett. g-quater e 45,
comma 4°,TUIR, fa sì che la base imponibile, originata dalla cedola medesima, sia –a seconda dei
singoli contratti- eguale o maggiore (=/>) a/di zero.
Prestando, però, la dovuta attenzione al contenuto effettivo delle cose aventi una valenza giuridica –
senza corrivamente, e dunque erroneamente, assimilare tra loro i dati sulla scorta della mera omonimia
prassistica -, ci si avvede ben del fatto che, nell’agere operazionale, la cedola di una polizza-vita può
anche essere una erogazione periodica completamente destituita d’ogni componente restituiva di premi.
Ciò significa che, in siffatti casi, le c.d. cedole non costituiscono recesso/riscatto parziale.
Ora, quando la figura contrattuale è così fatta, sul versante tributario noi tendiamo comunque a ritenere
che il provento sia egualmente sussumibile sotto l’art. 44, comma 1°, lett. g-quater, TUIR. In codesti
casi, però, la base imponibile può anche essere priva d’un sottraendo, alias d’un segmento-premio di
riferimento: ciò non accade necessariamente per il solo fatto che manca una componente restituiva di
premi (quella componente che è propria del riscatto/recesso parziale), ma si verifica quando - in
aggiunta e in particolare - il meccanismo contrattuale è tale per cui, alla cedola, non si può/deve riferire
alcun segmento di premio abbinabile. In altre parole, può accadere che la cedola sia imponibile al cento
per cento senza deduzione di sorta; e ciò in ragione del fatto che, per effetto della singola struttura
negoziale, la detrazione della totalità dei premi, a vantaggio del soggetto percettore del capitale erogato
dall’assicuratore, è completamente rinviata all’atto del pagamento della somma alla scadenza della
polizza.
In un tale contesto, l’osservazione del dato operazional-settoriale ci induce a sottolineare/aggiungere
che, a incidere sulla polizza nel senso della presenza o meno (marcata) di una componente restituiva di
premio all’interno delle c.d. cedole, sono due fattori, ai quali dunque è bene prestare attenzione in via
interpretativa/applicativa: a) l’esatto ruolo del meccanismo derivato (o derivativo) incluso nella polizza
medesima; b) la presenza o meno, nelle condizioni contrattuali di polizza, di riscatti parziali
isolatamente presi, cioè distintamente congegnati e autonomamente funzionanti rispetto alle cedole di
cui alla lett. a).
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