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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI “ALDO MORO” Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza TESI DI LAUREA IN LEGISLAZIONE ANTIRICICLAGGIO E INVESTIGAZIONI FINANZIARIE SISTEMA BANCARIO E MISURE DI PREVENZIONE AL RICICLAGGIO DEL DENARO RELATORI: Magnifico Avv. Prof. Antonio Felice Uricchio Ch.mo Avv. Prof. Emanuele Fisicaro LAUREANDO: Alessio Castronuovo ANNO ACCADEMICO 2011/2012 18 Aprile 2013 SISTEMA BANCARIO E MISURE DI PREVENZIONE AL RICICLAGGIO DEL DENARO a Valentina SISTEMA BANCARIO E MISURE DI PREVENZIONE AL RICICLAGGIO DEL DENARO INDICE Capitolo I Il “fenomeno” del riciclaggio del denaro 1. 2. 3. 4. Il “fenomeno” del riciclaggio del denaro Globalizzazione e storicizzazione del fenomeno Ricerca di anonimato e paradisi “finanziari” Segreto bancario e disciplina antiriciclaggio 1 3 8 10 CAPITOLO II La configurazione del reato di riciclaggio 1. La fattispecie incriminatrice 2. La clausola di riserva “Fuori dei casi di concorso nel reato” 12 16 CAPITOLO III Evoluzione della disciplina antiriciclaggio 1. Premessa 2. Le origini della disciplina 2.1 La raccomandazione del Consiglio D’Europa 27 giugno 1980 2.2 La Dichiarazione di princìpi di Basilea 12 dicembre 1988 2.3 La Convenzione di Vienna 19 dicembre 1988 2.4 L’attività e le Raccomandazioni del GAFI/FATF 2.5 La Convenzione di Strasburgo 8 novembre 1990 19 20 20 21 23 23 26 2.6 La Convenzione di Palermo 15 dicembre 2000 3. La disciplina comunitaria 3.1 La Direttiva n. 91/308/CEE 3.2 La Direttiva n. 2001/97/CE 3.3 La Direttiva n. 2005/60/CE 3.4 Legge delega 25 gennaio 2006, n. 29 (legge comunitaria 2005) 27 28 29 30 31 33 4. Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 34 CAPITOLO IV La normativa antiriciclaggio nel sistema bancario 1. Premessa 2. Gli obblighi di adeguata verifica e registrazione 2.1.1 Il concetto di rischio 2.1.2 Obbligo di astensione 2.1.3 Obblighi semplificati e rafforzati di adeguata verifica della clientela 2.1.4 Obblighi di adeguata verifica della clientela da parte di terzi 2.2 Obblighi di registrazione: l’Archivio Unico Informatico 3. La segnalazione di operazioni sospette 3.1.La procedura di segnalazione all’interno di un intermediario 3.2.Il percorso esterno delle segnalazioni 3.3.Le indicazioni operative della Banca d’Italia sulle La segnalazione di operazioni sospette 3.4. I generatori di indici di anomalia: Gianos 4 Sistemi di pagamento e misure antiriciclaggio 4.1. La diffusione del denaro contante in Italia e i presìdi antiriciclaggio 4.2. La limitazione all’uso del denaro contante e dei titoli al Portatore 4.3. La causa di trasferimento 4.4. Le operazioni frazionate 4.5. La circolazione transfrontaliera dei capitali 4.6. La disciplina interna vigente 4.6.1 Princìpi generali 4.6.2. Autorità competenti 4.6.3. L’obbligo di dichiarazione 37 40 45 46 47 51 52 55 56 57 60 66 67 67 73 79 80 84 86 87 89 90 CAPITOLO V La responsabilità amministrativa degli intermediari finanziari e la disciplina Antiriciclaggio 1. 2. 3. 4. Premessa Elementi distintivi Analogie Profili di responsabilità 94 94 98 100 CAPITOLO VI Le conseguenze economiche del riciclaggio e la sua necessaria repressione 1. Gli effetti macro e microeconomici del riciclaggio del denaro 2. La collaborazione attiva in ragione dell’utilità sociale ex art.41 della Costituzione Italiana 3. La nuova anagrafe dei rapporti finanziari: fine del segreto bancario 4. Rapporto causa/effetto tra il fenomeno del riciclaggio e la crisi mondiale del 2008 102 104 106 109 CAPITOLO I IL FENOMENO DEL RICICLAGGIO DEL DENARO 1. Il “fenomeno” del riciclaggio del denaro Il riciclaggio è la tipica e necessaria conseguenza dell’agire delittuoso. È essenziale, per l’agire criminale, recidere - o cercare di recidere - il cordone ombelicale che lega il denaro, i beni o le altre utilità acquisiste, ai delitti commessi e che li hanno generati. Il riciclaggio, assume, così, la caratteristica di “fenomeno”, termine che, in una delle sue accezioni filosofiche più recenti, indica il “rivelarsi dell’oggetto in sé”1. L’oggetto in sé si presta ad analisi che pur salpando da diverse prospettive - quale la dimensione quantitativa, l’apparato preventivo e repressivo, la storicizzazione e l’estensione internazionale attuale del fenomeno - debbono approdare ad una considerazione unitarista dell’ humus del fenomeno. 1 Così P.L. Vigna ne il fenomeno criminale, in il Riciclaggio del denaro sporco. Il fenomeno, il reato, le norme di contrasto, a cura di E. Cappa – L.D. Cerqua, cit., Giuffrè, 2008. 1 Secondo il Fondo Monetario Internazionale il denaro sporco muove tra il 3 e il 5% del Pil del pianeta, pari ad una cifra che oscilla tra 600 e 1500 miliardi di dollari statunitensi, come dire: l’intera economia italiana. Di contro, in Italia, ogni giorno, l’industria del riciclaggio produce 410 milioni di euro, 17 milioni l’ora, 285mila euro al minuto, 4750 euro al secondo. Banca d’Italia stima che rappresenti da sola il 10 % del Pil, attestatosi di poco sopra a 1500 miliardi di euro. Con un fatturato di 150 miliardi di euro 2, dunque, la “holding” del riciclaggio è la prima azienda del Paese, davanti a un colosso come Eni, che con i suoi 120 miliardi è in cima alla classifiche della produzione italiana e tra le venti maggior imprese internazionali. La massa dei capitali sporchi stacca di quasi un terzo il primo polo bancario nazionale, Unicredit, fermo a 92 miliardi, ed è tre volte più grande di un’azienda di credito come Intesa San Paolo.3 Per comprendere tali epidermiche dimensioni, deve premettersi, che il “denaro sporco” è di per sé “poco liquido”, è spendibile senza difficoltà solo nello stesso circuito illegale (in una logica di reinvestimento criminale, ad esempio in cocaina o dazione di 2 3 Cfr. N. Pollari, Impatto dell’introduzione dell’euro, cit. P. Grasso, Soldi sporchi, Dalai editore, 2008. 2 tangenti). I proventi criminali hanno quindi un potere di acquisto solo “potenziale” che il riciclaggio ha la funzione di trasformare in effettivo. Sotto questo profilo si può dire che la possibilità di accedere a “servizi di riciclaggio” è, spesso, un elemento determinante nella stessa programmazione dei reati. Ad esempio, nei circuiti del narcotraffico, il riciclaggio è un momento fondamentale, programmato quasi in una logica imprenditoriale dal gruppo criminale; costituisce un’attività specializzata da affidare ad operatori di fiducia, spesso con modalità che può definirsi in “in outsourcing”4. 2. Globalizzazione e storicizzazione del fenomeno La pericolosità del riciclaggio è accresciuta dal fatto che esso è realizzato anche sfruttando, spesso più di quanto avviene nelle attività legali, tutte le opportunità offerte da un’economia globalizzata, in cui strumenti finanziari complessi e disponibilità di tecnologie informatiche avanzate consentono ai riciclatori di dissimulare più facilmente le identità coinvolte, di agire con maggiore velocità, di stratificare molteplici atti di trasformazione 4 Così il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola, nel maggio 2011, in occasione del Master “Etica nella Pubblica Amministrazione e contrasto alla corruzione”, presso la scuola Superiore dell’economia e delle finanze. 3 e trasferimento dei capitali, di operare a distanza in piazze diverse. Il riciclaggio, almeno nelle sue forme più rilevanti e insidiose, tende sempre più a svolgersi in un contesto internazionale, privilegiando i Paesi che, per negligenza o per mero calcolo economico, presentano normative meno rigorose in tema di identificazione della clientela e dei comportamenti sospetti. Utilizzando le piaghe della legislazione, le mafie e i white collars hanno scoperto la praticità di un riciclaggio in qualche modo statico, che non muove direttamente capitali, ma li tiene fermi in banche vincolate e/o dedite al segreto. Ciò attraverso l’utilizzo, tra gli altri, di strumenti quali: trust5; sistemi di sottofatturazione e/o sovrafatturazione, scambio fittizio di merci contro denaro nel cui squilibrio in alto o in basso, si crea la sacca per il denaro 5 Il trust è un rapporto giuridico che sorge per effetto della stipula di un atto tra vivi o di un testamento, con cui un soggetto (settlor o disponente) trasferisce ad un altro soggetto(trustee) beni o diritti con l’obbligo di amministrarli nell’interesse del disponente o di altro soggetto (beneficiario) oppure per il perseguimento di uno scopo determinato, sotto l’eventuale vigilanza di un terzo (protector o guardiano), secondo le regole dettate dal disponente nell’atto istitutivo di trust e dalla legge regolatrice dello stesso (che deve essere necessariamente straniera). L’atto istitutivo di regola prevede che, alla scadenza del trust, il fondo in trust venga trasferito al beneficiario del trust (che può anche essere lo stesso disponente). E’ anche possibile che il trust sorga per effetto di una dichiarazione unilaterale del disponente, che si dichiara trustee di beni o diritti nell’interesse di beneficiario o per il perseguimento di uno scopo (si parla in tal caso di trust c.d. autodichiarato o dichiarazione unilaterale di trust). 4 altrimenti ingiustificabile; costituzione di shell company6; utilizzo di “spalloni”7; servizi di money transfer; phishing8 mediante frodi informatiche; c.d. frode carosello9 ovvero lo schema tipico del mutuo a me stesso. Muovendo da quest’ultimo artificio finanziario, potrà rappresentarsi con più praticità: la storia, l’evoluzione ed i perché contingenti dell’ humus del “fenomeno” in esame, rassegnando, 6 Società di comodo costituite da un intermediario che le mantiene non operative e all’occorrenza le offre ai clienti, sempre dietro lo schermo dell’anonimato, con un duplice vantaggio: l’immediata disponibilità e l’”anzianità” della carica di amministratore che si fa risalire alla data di costituzione della società. Dettaglio importante, perché talvolta è richiesta come garanzia per le operazioni internazionali. 7 Tra i sistemi di occultamento delle somme di denaro, l’esperienza degli organi di controllo ha individuato molteplici forme, quali: la c.d. “polverizzazione” dei trasferimenti, ossia la ripartizione delle somme di proprietà di un soggetto tra più passeggeri prima di attraversare la frontiera, allo scopo di non eccedere il limite quantitativo stabilito dalla legge, per poi riacquisirne la disponibilità una volta passato il confine; il trasporto di denaro sulla persona (scarpe, calzini, slip, reggiseno, legati alla vita, in mezzo ai biglietti da viaggio, nella carta di imbarco e/o nei documenti portati a mano); il trasporto nel bagaglio o direttamente a bordo di autovetture, all’interno di vani quali cassetti, braccioli e schienali portaoggetti oppure in appositi doppifondi creati ad hoc, o ancora in pacchi di biscotti, cioccolata, pasta ed altri generi alimentari, libri o portafoto; l’occultamento di banconote all’interno di sigarette, preventivamente svuotate del tabacco o all’interno di salvaslip preventivamente separati e successivamente rincollati a caldo in modo da non lasciare segni evidenti di alterazione. S. TAMBURELLO, Tutti i trucchi per esportare valuta. In una valigetta? Sei milioni, in Corriere della Sera, 30 marzo 2012. 8 Lo schema base prevede che un hacker rubi l’identità del titolare di un conto e lo svuoti con un bonifico, dirottando la provvista su un altro conto intestato che fa da supporto. È quest’ultimo poi a prelevare il denaro e a spedirlo, solitamente con un money transfer, all’organizzatore della truffa. 9 Il sistema carosello si realizzata con delle combinazioni leziose, che consentono di creare "ingenti fittizi crediti Iva". 1) In primo luogo si realizza una serie di società 'A', tutte con sede all'estero nell'ambito dell'Unione Europea e di fatto create ad hoc per le operazioni delittuose, nonché una serie di società 'B', con sede in Italia e anch'esse di fatto create ad hoc". 2) 'A' cede fittiziamente a 'B' un valore pari a '100' di servizi, di solito traffico telefonico o materiale per adulti, senza pagare l'Iva poiché si tratta di cessione all'interno di Stati appartenenti all'UE. 3) 'B' cede fittiziamente alle società 'C' i medesimi servizi per un valore di '100' sul quale viene pagata da 'C' l'Iva per il 20%, poiché si tratta di una compravendita di servizi in Italia, con un esborso finale apparente per 'C' di '120'. 4) 'C', infine, rivende ad 'A' i medesimi servizi con il sistema 'intra' (come detto applicabile negli acquisti tra Stati Ue) al prezzo di '100' senza il pagamento dell'Iva. 5 sinteticamente, le criptiche gimcane poste in essere, su tutti, da Meyer Lansky. Quando Al Capone fu arrestato per evasione fiscale nel 1931, il suo socio, Meyer Lansky, si diede ad escogitare stratagemmi per far uscire il denaro della mafia degli Stati Uniti, con l’obiettivo di farlo poi certamente rientrare ripulito di tutto punto. Lansky iniziò nel 1932 con qualche operazione bancaria in Svizzera, perfezionando la tecnica del loan back, ovvero il c.d. mutuo a se stesso. Lo schema messo in atto prevedeva l’uscita dagli USA di valigie piene di contanti, diamanti, assegni circolari, azioni al portatore non tracciabili; sicchè il denaro veniva depositato su conti svizzeri cifrati, magari attraverso un Ansalt del Lichtenstein ( in una societè anonyme con un unico azionista non identificato) per maggior segretezza. La banca svizzera erogava quindi un prestito ad un “malavitoso” degli Stati Uniti e il denaro “tornava a casa ripulito”. Il beneficiario poteva persino dedurre il pagamento degli interessi dal reddito imponibile dell’impresa negli USA. Non solo, in quegli stessi anni la mafia italoamericana riuscì a rimuovere la “frontiera” della criminalità organizzata, sì da creare un centro di riciclaggio off shore dedito al business del 6 gioco d’azzardo, delle corse ippiche, della prostituzione e del traffico di droga. Dapprima a Cuba, seguitamente si adoperò a fare del Bahamas, colonia britannica, la principale giurisdizione segreta per il denaro sporco proveniente dall’America meridionale e settentrionale. Si costituì una così pregnante egemonia criminale tale da insinuarsi finanche nelle opzioni legislative. Ciò, culminò con la previsione del reato di violazione del segreto bancario, avente, viepiù, il bene placet del governo di “sua Maestà”. Lansky, riconosciuto mastermind del crimine internazionale, ebbe ad esclamare: <<Siamo più influenti Noi, della General Motors!>>. Il colonialismo così “infetto” si plasmò in criminalità economica transnazionale ante litteram. Orbene, tale digressione storica ben compendia le odierne tridimensionali componenti d’estensione del riciclaggio di black money: globalizzazione dei mercati; liaison Criminalità transnazionale - istituti bancari; riserbo bancario e “paradisi finanziari”. 7 3. Il Segreto Bancario e i paradisi “finanziari” Con l’espressione “segreto bancario” si è soliti intendere quella particolare riservatezza che tradizionalmente circonda i rapporti e le transazioni istituite tra le banche e i loro clienti. Come visto precedentemente, però, siffatto istituto più che mirare ad una riservatezza del singolo insita alla patrimonialità delle operazioni bancarie ha rappresentato vero e proprio usbergo attraverso cui celare manovre riciclative. Non solo, ma dal Bahamas di Lansky ad oggi si è registrato il propanarsi, sullo scenario internazionale, di quei Paesi definiti “Paradisi Fiscali” e “Paradisi Bancari”. Con la prima espressione si suole indicare quei Paesi che non prevedono l’imposizione fiscale sui redditi sia delle persone fisiche che delle società, ovvero che assoggettano questi redditi ad una tassazione minima, o comunque più bassa rispetto ad altri Stati; con la seconda espressione, invece, si individuano quei Paesi che applicano un rigido segreto bancario, garantendo così l’anonimato sulle operazioni poste in essere con l’ausilio delle banche domestiche. 8 Poiché il solo vantaggio fiscale non è più l’obiettivo primario della criminalità, ma ad esso si aggiunge la ricerca della garanzia al riserbo, che forse rappresenta l’aspetto più importante, sarebbe più opportuno l’utilizzo di un neologismo meglio esemplificativo come “paradisi finanziari”10. Nel tentativo di profilare codesti Paesi, classificati tra Paesi ad alto rischio e Paesi a medio/alto rischio11 , potrà scorgersi come essi abbiano origini, dinamiche e peculiarità comuni: i. si elevano in qualità di colonie europee; ii. rese indipendenti, si caratterizzano per la presenza di governi stabili, al più totalitari, che garantiscono continuità politica, economica e valutaria; iii. godono di una posizione geografica strategicamente favorevole, il più delle volte peninsulare. In definitiva, l’apparato off shore è l’elemento trainante della deregolamentazione finanziaria e della globalizzazione. L’ off shore ( letteralmente “fuori costa”) esiste solo in relazione a un “altrove”. 10 Così F. Toscano – R. Razzante, Il segreto bancario, cit.. 11 Tra i primi: Colombia, Isole Cayman, Messico, Nigeria, Panama, Tailandia e Venezuela); tra i secondi: Aruba, Bahamas, Brasile, Costa d’Avorio, Ecuador, India, Lichtenstein, Pakistan, Paraguay, Uruguay). 9 4. Segreto bancario e disciplina antiriciclaggio Lo schermo del riserbo bancario può assumere, dunque, anche nei rapporti tra Stati, notevole rilevanza nel tutelare la segretezza dell’operazione e nel garantire una esteriorità di legalità e trasparenza ad attività illecite. Il carattere transnazionale che riveste attualmente la problematica afferente al segreto bancario rende ormai indifferibile prevedere che le transazioni finanziarie avvengano nel modo più trasparente e scritturato possibile. Se è vero che il neologismo money laundering nasce nell’America dei gangster anni ’30, è, altrettanto vero che a livello internazionale e comunitario, solo a partire dagli anni ’80 hanno visto luce le prime ipotesi legislative, con denominatore comune l’attività di regolamentazione e di prevenzione del fenomeno del riciclaggio del denaro sporco: c.d. Anti-Money Laundering. La strategia condivisa - capovolgendo il principio “pecunia non olet” che tradizionalmente aveva caratterizzato l’agire di intermediari finanziari, operatori economici e perfino interi Stati “Tax Heaven” - mira a trasformare gli stessi da potenziali 10 strumenti di riciclaggio a parte integrante ed “attiva” dello stesso sistema di contrasto. Di conseguenza, si è prescritto agli stessi una serie di obblighi di collaborazione con le autorità competenti in materia, quali customer due diligence, segnalazione di operazioni sospette e adozione di adeguati assetti organizzativi, procedurali e misure di controllo interno meglio precisati nei capitoli successivi. 11 CAPITOLO II CONFIGURAZIONE DEL REATO DI RICICLAGGIO 1. La configurazione del reato di riciclaggio Prima di procedere ad un esame puntuale delle misure di prevenzione e contrasto del riciclaggio si necessita precisare cosa intenda il Legislatore con il termine “riciclaggio”, ma soprattutto quale estensione ascriva a tale incriminazione. Dal nostro Codice Penale il riciclaggio emerge come un reato concorsuale e associativo, nel senso che esso può essere commesso da un soggetto estraneo alla produzione della risorsa finanziaria, cioè che non concorre alla commissione del c.d. reato presupposto, ma si presenta solo nella fase di gestione della provvista. La fattispecie incriminatrice può, così, scindersi: - commissione del reato presupposto da parte di un soggetto qualunque, reato punito dalla legge con la reclusione o multa. In tale ambito, l’ipotesi delittuosa sottostante può essere di vario tipo, come: evasione fiscale, false fatturazioni, traffico 12 di stupefacenti, usura, reati contro la Pubblica Amministrazione, appropriazione indebita, truffa e/o reati contro il patrimonio in genere, estorsione, rapina, sequestro di persona, bancarotta fraudolenta, fino ai più moderni reati di market abuse; - intervento di un soggetto diverso dall’autore del reato presupposto, quale può essere, in genere, un congiunto ovvero una persona di fiducia ( prestanome o la più allegorica “testa di legno”), il quale, essendo a conoscenza dell’origine illecita della disponibilità, si preoccupa di gestire tale risorsa finanziaria, occultandone la provenienza e magari reinvestendo i proventi illeciti in un’attività perfettamente legale, rendendo così difficoltosa l’attività investigativa degli inquirenti. Il reato di riciclaggio è riconosciuto e punito, nel nostro ordinamento penale, dagli art.648-bis e ter, ma soltanto di guisa all’individuazione del reato presupposto, di cui sopra. L’ipotesi criminosa del delitto di <<riciclaggio>> è stata introdotta con l’art.648-bis fin dal 1978, con la legge n. 191, nella quale venivano individuate quattro tipologie di reato 13 presupposto: rapina aggravata, estorsione, sequestro di persona e traffico di stupefacenti. La tassatività dei reati di base comportava, però, problemi sia di natura interpretativa, sia di compatibilità con gli ordinamenti delle Organizzazioni Internazionali, ma soprattutto, si rilevava una riflessa criticità dal punto di vista operativo-accusatorio. Per ovviare a tali inconvenienti, la legge 9 agosto 1993, n.328, modificava l’art.648-bis12, eliminando la pregressa tassativa indicazione dei reati con un ampio e generale “qualsiasi delitto non colposo”. L’attuale fattispecie indugia, soprattutto, sull’aspetto della dissimulazione dell’origine delittuosa dei proventi che vengono sostituiti o trasferiti, o in relazione ai quali vengono compiute altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza. 12 Adeguandolo alle disposizioni della Convenzione di Strasburgo stipulata nel 1990, cui si dirà nel capitolo terzo. 14 Inoltre, affinché possa addivenirsi ad incriminazione occorre la sussistenza del c.d. “dolo generico”, dispensando, in sede di indagine probatoria , dell’accertamento del “dolo specifico13”. Di contro, l’art.648- ter, quale delitto a consumazione anticipata, è volto a contrastare e reprimere “l’impiego” di denaro, di beni o altre utilità di provenienza illecita, introdotto nel codice penale dalla legge n. 55/1990 e successivamente modificato, anch’esso, dalla legge n. 328/199314. Con tale fattispecie, dunque si è acuita, la intenzione del legislatore di soffermarsi sull’articolato processo di laundering dei capitali, cioè nella re-immissione sia nei circuiti finanziari che nei flussi illeciti. Sicchè, commette il delitto di << impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita>> colui il quale, fuori dei casi di 13 Accertare, cioè, che il soggetto abbia agito con l’intento di <<procurare a sé o ad altri un profitto o di aiutare dei delitti ad assicurarsi i profitti del reato>>. 14 La quale ha compiuto la medesima operazione effettuata sul tessuto dell’articolo 648bis, eliminandone l’indicazione tassativa dei reati-base con qualsiasi delitto, inserendo addirittura anche quelli di natura colposa. Quest’ultimo profilo, infatti, è stato oggetto di critiche da parte di diffusa dottrina, poiché dall’esame degli atti parlamentari non emerge alcun obiettivo politico-criminale tale la legittimare la introduzione, tra i reati presupposto anche quelli di natura colposa pertanto si è giunti al convincimento che si stato frutto di disattenzione legislativa, così : E. Fisicaro, in, Antiriciclaggio e terza direttiva UE. Obblighi a carico dei professionisti intermediari finanziari e operatori non finanziari alla luce del D.Lgs. 231/2007, Giuffrè, 2008. cit. p.33; Cfr. G. Amato, Il riciclaggio del denaro sporco, Laurus Robuffo, 1993; 15 concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis15 “impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto” ed agisca volontariamente e conscio della loro provenienza delittuosa. 2. La clausola di riserva “Fuori dei casi di concorso nel reato” Il reato di riciclaggio non si applica a chi ha commesso il reato presupposto: l’uso e l’occultamento dei proventi criminosi da parte degli individui che hanno commesso il reato che ha generato tali proventi, sono considerati come post-factum non punibile, ai sensi dell’art.81, cpv., del Codice Penale16. La struttura della fattispecie criminosa, di conseguenza, impedisce l’applicazione della sanzione di cui all’art.648-bis 15 rectius, Ricettazione e Riciclaggio. 16 r. Concorso formale. Reato continuato: “E’ punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo (…)chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”. 16 c.p.17, a chi, responsabile del reato presupposto, ne abbia successivamente riciclato gli illeciti proventi. L’ter logico da cui trae spunto la asserita non punibilità del postfatto del c.d. auto-riciclaggio è frutto anch’esso della non riflessiva equiparazione della fattispecie di cui all’art. 648bis c.p. a quella di cui all’art. 648 c.p. Ove, infatti, si individui il fondamento normativo della non punibilità della c.d. autoricettazione nella clausola “fuori dei casi di concorso nel reato” si deve concludere parimenti per la non punibilità del c.d. auto-riciclaggio, giacché l’art.648-bis esordisce con pedissequa clausola di riserva. In altri termini alla clausola di riserva in esame l’interpretazione che ne deriva è quella che in ogni fattispecie in cui è inserita, è come se dicesse “fuori dai casi in cui si sia commesso il reato presupposto”. La dottrina ha più volte tentato di dare letture diverse della norma18, tuttavia la clausola di riserva ha sempre prevalso. Si 17 Reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 1032 euro a 15493 euro, salvo circostanze aggravanti e/o attenuanti. 18 Cfr. L. Cerqua, Il delitto di riciclaggio dei proventi illeciti, ne Il riciclaggio del denaro. Il fenomeno, il reato, le nome di contrasto, a cura di Ermanno Cappa, Luigi Domenico Cerqua, p.90 e ss., Giuffrè, 2012.; M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, p.350, Giuffrè, 1997. 17 segnala, vieppiù, il monito del Fondo Monetario Internazionale di opzionare verso la punibilità del riciclaggio posto in essere dallo stesso autore che genera l’acquisizione illecita delle disponibilità finanziarie. In tal senso, lungimirante l’inserimento del reato di auto-riciclaggio nell’ordinamento giuridico francese, sull’assunto per il quale il bene leso dal reato di auto-riciclaggio, identificato nell’integrità del sistema economico-finanziario legale, sia sempre diverso dal bene leso dal reato presupposto e che, pertanto, le due condotte siano entrambi meritevoli di autonomo rilievo penale. 18 CAPITOLO III EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA ANTIRICICLAGGIO 1. Premessa Come anticipato nel primo capitolo, a partire dagli anni ’80, si è iniziato a predisporre un network di provvedimenti sovranazionali e comunitari tesi ad evitare che le risorse economiche-finanziarie appartenenti alla criminalità organizzata fossero introdotte all’interno della c.d. “economia legale”, sfruttando i navigli dell’intermediazione finanziaria. Successivamente, la normazione prodotta volse alla tutela dell’interesse generale nel preservare l’integrità dell’economia e dei mercati bancari e finanziari dall’inquinamento di capitali illeciti. Oggigiorno si assume il riciclaggio come un dato, ergendolo a “virus” letale19. Orbene, risulta ineludibile la predisposizione di misure eccezionali per il suo contrasto e, soprattutto, per la sua 19 Così R. Razzante, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, p. 27, 2012. 19 prevenzione, non solo a livello di sistema, ma sempre più a livello “micro”, con adattamenti alle più variegate realtà produttive ed economiche. Tutti gli apparati normativi seguitamente esposti sono improntati a logiche di prevenzione, non già di repressione. Posto che il riciclaggio è un reato, ed in quanto tale previsto dagli ordinamenti statali nelle relative legislazioni penali tra i reati “gravi”20, ciò che si necessita è uniformare le misure di prevenzione a livello “amministrativo”. In definitiva, oggetto e destinatario della disciplina in rassegna è il sistema economico-finanziario. 2. Le origini della disciplina 2.1. La raccomandazione del Consiglio D’Europa 27 giugno 1980 La raccomandazione del Consiglio D’Europa 27 giugno 1980 fu il primissimo documento, nel panorama internazionale, a evidenziare la problematica del riciclaggio del denaro. 20 Espressione utilizzata dalla Terza direttiva europea. 20 Tale Raccomandazione invitava i Legislatori nazionali ad intervenire sui sistemi bancari elevando misure idonee atte a prevenire l’ingresso dei capitali illeciti all’interno dei medesimi. Si richiedeva agli operatori finanziari, in sintesi, di: - controllare l’ identità dei propri clienti, sulla base di documenti ufficiali all’atto di instaurazione del rapporto, o nel caso di operazioni in contanti di importo superiore ad una certa quantità; - sviluppare la cooperazione in tema di scambio di informazioni, a livello nazionale e sovranazionale, con le autorità giudiziarie ed investigative. 2.2. La Dichiarazione dei Princìpi di Basilea 12 dicembre 1998 Uno dei più importanti contributi all’affermazione del postulato sulla prevenzione del riciclaggio si ha con la << Dichiarazione dei Princìpi concernenti la prevenzione all’uso criminale del sistema bancario ai fini di riciclaggio del denaro>>, adottata dal 21 Comitato di Basilea per le regolamentazioni bancarie e le pratiche di vigilanza.21 Essa, condensata in sei punti: ammoniva su come le banche possano essere utilizzate per il deposito o trasferimento di fondi criminali; esortava la necessaria cooperazione internazionale alla repressione del riciclaggio, stante la dimensione internazionale del crimine economico; evidenziava il ruolo delle autorità di vigilanza di guisa all’utilizzo delle banche da parte della criminalità; suggeriva l’adesione delle banche alle Best Practies ivi esplicitate ovvero alla predisposizione di procedure volte alla identificazione dei clienti; infine, si confermava l’impegno delle Autorità di vigilanza dei diversi Paesi membri ad adottare politiche e procedure coerenti con la stessa. Nonostante il contenuto della Dichiarazione di princìpi non avesse il carattere propriamente normativo vincolante, c.d. soft law, è stata recepita da un numero considerevole di Stati22. 21 Paesi membri: Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. 22 Tal accordo interbancario fu recepito in Italia dalla legge n.55/1990. 22 2.3. La Convenzione di Vienna 19 dicembre 198823 Per la prima volta, con la Convenzione di Vienna un organismo internazionale, l’Onu, si pronuncia con atto normativo e vincolante, sulla pertinenza di specifiche norme penali per reprimere il riciclaggio, sottolineando la stretta eziologia tra il contrasto al narcotraffico e la lotta allo stesso. La Convenzione impose agli Stati firmatari di adottare tutte le misure necessarie per introdurre, nelle legislazioni nazionali, reati dolosi che incriminassero la conversione o il trasferimento di beni derivanti da attività criminose con l’intento di nascondere o travisare la provenienza illecita, o di aiutare chiunque fosse implicato nella commissione di siffatti reati. 2.4. L’attività e le Raccomandazioni del GAFI/FATF Il GAFI, Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale24 altrimenti FATF, Financial Action Task Force - è l’unico 23 << Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope>>. Ratificata ed esecutiva in Italia con la legge n.328/1990. 24 Il Gafi nasce nel vertice del G7 tenutosi a Parigi nel 1989, durante il quale fu assunta la decisione di creare un gruppo di esperti con il compito di valutare i risultati ottenuti dalla collaborazione internazionale, al fine di prevenire l’utilizzazione per scopi di riciclaggio del 23 organismo che si occupa, in modo esclusivo e specialistico, dello sviluppo a livello internazionale di una strategia antiriciclaggio. Esso è un ente intergovernativo composto da esperti legali, penali e finanziari25, e la sua azione viene espletata essenzialmente mediante l’emanazione di “Raccomandazioni” che dovrebbero essere recepite dagli ordinamenti dei singoli Stati, predisponendo inoltre specifiche procedure volte ad incrementare ed a verificare l’attuazione delle stesse. Attualmente sono membri del GAFI 34 Paesi e numerose Organizzazioni internazionali26 . Al Gruppo furono affidati, sin dall’origine, le seguenti prerogative: - valutare i risultati della cooperazione già in atto tra i vari Stati per prevenire l’utilizzo del sistema bancario e finanziario a scopo di riciclaggio; sistema bancario e finanziario e di elaborare ulteriori misure in tale campo. Furono, inizialmente, invitati a prendere parte ai lavori del Gruppo, oltre i partecipanti del vertice del G7 ( Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti), la Commissione delle Comunità Europee ed altri Stati, caratterizzati dalla rilevanza dei loro sistemi finanziari ovvero dalle loro esperienze nel campo della lotta al riciclaggio / Australia, Austria, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera. 25 La delegazione italiana che ne prende parte è composta da rappresentanti del Ministero dell’ Economia e delle Finanze, dei dicasteri della Giustizia e dell’ Interno, della Guardia di Finanza, della Banca d’Italia e dell’Unità di Informazione Finanziaria. 26 Per la lista completa dei membri attuali del GAFI, vedasi il sito ufficiale: www.fatfgafi.org. In tema, M. Gara – A. Pavesi, il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI/FATF), in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, febbraio 2008. 24 - aggiornare costantemente le autorità nazionali e sovranazionali sugli sviluppi delle tecniche di riciclaggio e sulle possibili misure per contrastarle; - mantenere un programma di relazioni esterne tra i paesi aderenti al Gafi e quelli non aderenti, per favorire la massima diffusione possibile delle misure di contrasto al riciclaggio. Nel 1990 il GAFI ha elaborato un Rapporto contenente una complessiva valutazione del fenomeno del riciclaggio a livello mondiale e 40 <<Raccomandazioni>> antiriciclaggio. Queste ultime prendevano spunto, tra l’altro, anche dalla Dichiarazione di Princìpi del Comitato di Basilea e dalla Convenzione di Vienna. Suddette <<Raccomandazioni>> possono raggrupparsi in quattro segmenti, concernenti rispettivamente: a) gli ordinamenti giuridici dei vari Paesi (dalla 1 alla 3); b) le iniziative legislative necessarie per combattere il riciclaggio (dalla 4 alla 7); c) le misure per prevenire inquinanti del sistema finanziario (dalla 8 alla 29); d) il rafforzamento della cooperazione internazionale (dalla 30 alla 40). 25 Qualche anno dopo, nella consapevolezza che il riciclaggio di denaro fosse fenomeno in continua evoluzione, e che le modalità con cui esso si realizza possono mutare in modo significativo rispetto a quando le Raccomandazioni furono adottate, il GAFI le ha rivisitate ed integrate sia nel 1996, che nel 200327. 2.5. La Convenzione di Strasburgo 8 novembre 1990 Un ruolo determinante nella lotta al riciclaggio è stato assunto dalla Convenzione di Strasburgo dell’8 novembre del 1990 del Consiglio d’Europa28, giacché muove al perseguimento di politiche comuni a tutela dei consociati. In particolare, essa impegna i Paesi membri all’adozione di tutte le misure necessarie alla: i) confisca dei proventi del riciclaggio; ii) individuazione delle operazioni volte al trasferimento di tali proventi; 27 A seguito dei tragici episodi che hanno colpito gli Stati Uniti d’America nel 2001, le nuove Raccomandazioni sono integrate da 9 <<Raccomandazioni Speciali>>, giustappunto miranti ad una sinergica lotta al finanziamento del terrorismo. 28 Ratificata in Italia con la legge n. 328/1993. 26 iii) abolizione del segreto bancario nei confronti delle Autorità inquirenti; iv) adozione di provvedimenti legislativi necessari per prevedere il riciclaggio come reato29 nel proprio codice penale. 2.6. La Convenzione di Palermo 15 dicembre 2000 L’importanza strategica della Convenzione di Palermo - oltre alla sede di svolgimento dei lavori dell’Onu, simbolicamente quella della lotta alla mafia per eccellenza - è la declaratoria di <<reato transnazionale>> della fattispecie incriminatrice in discorso e, quindi, della collaborazione tra Stati nel perseguimento di quei delitti che vedano il posizionarsi delle condotte su vari territori. Comprova di ciò, lo si ha nell’art. 6 della Convenzione medesima, la quale “ribattezza” il reato di riciclaggio come 29 La Convenzione sancisce che costituisce reato di riciclaggio la commissione intenzionale delle seguenti azioni: a. la conversione o il trasferimento di valori patrimoniali, sapendo che essi sono proventi, allo scopo di occultare o dissimulare l’illecita provenienza dei valori patrimoniali stessi o aiutare persone coinvolte nella commissione del reato principale a sottrarsi alle conseguenze giuridiche dei loro atti; b. l’occultamento o la dissimulazione della natura, dell’origine, dell’ubicazione, di atti di disposizione o del movimento di valori patrimoniali, nonché dei diritti di proprietà e degli altri diritti ad essi relativi, sapendo che detti valori patrimoniali sono proventi; c. l’acquisizione, il possesso o l’uso di valori patrimoniali sapendo, nel momento in cui sono ricevuti, che essi sono proventi di reato. 27 crimine internazionale, esortando gli Stati tutti a prevederlo nelle loro legislazioni, se non ancora catalogato, tra i reati <<gravi>>30. E , ancora, di prevedere tra i reati <<presupposto>> del riciclaggio tutti quelli commessi sia all’interno che all’esterno dello Stato <<parte>>.31 Altresì, prevede una serie di opzioni volte all’istituzione di specifici controlli sugli intermediari finanziari, cooperazione tra Autorità amministrativamente preposte, financo efficaci controlli sui movimenti transfrontalieri di capitale. 3. La disciplina comunitaria La Comunità europea ha adottato una specifica azione al fine di tutelare l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi illeciti. La sua opera ha inizio, come detto in precedenza, con la Raccomandazione n. 80/10 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, proseguita con l’emanazione di tre Direttive comunitarie, prodotte rispettivamente nel 1991, nel 2001 e nel 2005, aventi come unico obiettivo la lotta al riciclaggio. 30 Intesi quelli per cui sia prevista una pena detentiva superiore ai 4 anni. 31 Cfr. R. Razzante, op.cit. 28 3.1. La Direttiva n.91/308/CEE Il testo della Direttiva32 del Consiglio dei ministri della CEE, 10 giugno 1991, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, è ispirato chiaramente sia alla Dichiarazione di Basilea del 1988, sia agli orientamenti del Consiglio d’Europa, che a quelli delle Nazioni Unite. L’insufficienza degli strumenti di natura penale (repressiva) per combattere il riciclaggio, constatata presso tutti i Paesi membri, ha fatto maturare la convinzione che sarebbe stato meglio “prevenire” tale fenomeno, rendendo necessaria quindi l’adozione, da parte degli intermediari33, di opportune cautele, quali: - l’ obbligo di identificare e di registrare determinate operazioni finanziarie compiute presso di essi; 32 La direttiva è stata pubblicata sulla G.U.C.E. il 28 giugno 1991. Il motivo per cui si è deciso di emanare una Direttiva, anziché un Regolamento , può rinvenirsi nel fatto che si interveniva nella disciplina di una materia che per i destinatari non aveva precedenti basi ed era quindi assolutamente nuova. Era necessario, dunque, concedere agli intermediari più tempo per uniformarsi a tali disposizioni, cosa che non sarebbe stata possibile con un Regolamento, il quale, di contro, si caratterizza per una valenza più stringente e per l’immediata applicazione del proprio contenuto. 33 La direttiva dispone che gli Stati membri possano estendere tale disciplina, a tutte quelle attività professionali che possono essere oggetto di utilizzo a fini di riciclaggio. 29 - l’ esame attento di quelle transazioni anomale e che possono destare sospetto; - l’ obbligo di restrizione del segreto bancario, al fine di favorire la più ampia cooperazione tra le Autorità. In sostanza, lo scopo di tale Direttiva è stato quello di prevedere una serie dettagliata di misure, da rendersi obbligatorie negli Stati membri mediante l’adozione di adeguati provvedimenti nazionali, che costituissero una disciplina minima uniforme34. 3.2. La Direttiva n. 2001/97/CE La prima Direttiva comunitaria nel corso del 2001, è stata oggetto di modifica, e di integrazione, da parte del Parlamento europeo, mediante la Direttiva n.2001/97/CE35. La c.d. seconda Direttiva comunitaria nasce, quindi, dalla convinzione che fosse giunto il momento di adeguare la precedente ai nuovi sviluppi assunti dal fenomeno del riciclaggio e, soprattutto, sulla spinta di una più incisiva lotta al terrorismo 34 Direttiva recepita in Italia con la legge n.197/1991 : <<Disposizioni urgenti per limitare l’uso del contante e di titoli al portatore nelle transazioni e per prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a fini di riciclaggio di proventi illeciti. Modificata, poi, con D.Lgs. 26 maggio 1997, n.153. 35 Approvata il 4 dicembre 2001 e pubblicata nella G.U.C.E. il 28 dicembre 2001. 30 internazionale: questione apparsa indispensabile dopo l’attentato terroristico dell’11 settembre a New York. Con tale Direttiva il legislatore comunitario: amplia il novero dei reati presupposto del riciclaggio; prevede obblighi particolari anche per le persone giuridiche e fisiche, quando agiscono nell’esercizio della loro attività professionale36; procede ad una ridefinizione degli obblighi di identificazione e registrazione delle operazioni sospette, cui, da sottolineare è l’obbligo di assicurare l’identificazione nelle cosiddette non-face-to-face transactions. 3.3. La Direttiva n.2005/60/CE La <<terza Direttiva antiriciclaggio>> 2005/60/CE37, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose è stata adottata dal Parlamento Europeo il 26 ottobre 2005. 36 Quali: revisori, contabili esterni, consulenti tributari, agenti immobiliari, notai, avvocati, commercianti di oggetti di elevato valore e le case da gioco. 37 Pubblicata in G.U.C.E. 25 novembre 2005. 31 La direttiva in rassegna oltre ad abrogare la Direttiva n. 91/308/CEE38, si presenta, recependo le Raccomandazioni GAFI così come riviste nel 2003, quale strumento moderno per contrastare le basi economiche della criminalità e del terrorismo internazionale volte all’instabilità e alla reputazione del settore finanziario, tali da minacciare il mercato unico europeo. Ne discende una rilevante analiticità circa i nuovi obblighi di adeguata verifica, vieppiù si impone l’obbligo di adeguata verifica dell’identità del cliente ed in particolare del “titolare effettivo” individuato sulla base di documenti, dati e informazioni ottenuti da fonte affidabile e indipendente, unitamente a informazioni sullo scopo e sulla prevista natura del rapporto d’affari. L’obbligo di adeguata verifica della clientela è, inoltre, rafforzato sulla base della nozione di rischio insito alle situazioni che, per loro natura, possono presentare una criticità più elevata di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Tutto ciò, prodromico ad un più efficace adempimento degli obblighi di segnalazione. La Direttiva in parola, ancora, prescrive agli enti creditizi e finanziari la predisposizione di sistemi efficaci, anche elettronici, 38 Già, tra l’altro, modificata dalla Direttiva 2001/97/CE. 32 proporzionati alla dimensione e alla natura degli affari, tali da rispondere pienamente e rapidamente alle richieste di informazioni riguardanti gli eventuali rapporti di affari intrattenuti con determinate persone e al connesso obbligo di conservare i dati, i documenti e le informazioni per un determinato periodo, decorrente dalla fine del rapporto di affari o, in altri casi, dall’esecuzione dell’operazione. 3.4. Legge delega 25 gennaio 2006, n. 29 (legge comunitaria 2005) In Italia, con la <<legge comunitaria>> 2005 (legge 25 gennaio 2006, n. 29)39, è stata data delega al governo ad adottare, entro 18 mesi dalla pubblicazione della predetta legge, uno o più decreti legislativi per dare organica attuazione alla Direttiva 2005/60/CE.40 39 pubblicata in G.U. l’8 Febbraio 2006. 40 La Commissione Ministeriale insediatasi il 3 maggio2007, presieduta dal già Procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, elaborò il testo del decreto di recepimento, ovverosia, il Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231. 33 4. Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 23141: Princìpi generali e definizioni. Il Decreto Legislativo n.231 del 2007, oltre ad ampliare la profondità della verifica della clientela da parte dei destinatari delle disposizioni normative in materia di antiriciclaggio, introduce un nuovo modus operandi circa l’interfacciarsi degli stessi con gli atti posti in essere dalla clientela. I quali, rapportati ad indici di anomalia, dovranno segnalarsi agli organi investigativi competenti, se sospetti. Posto quanto premesso, l’art 2 del Decreto Legislativo n. 231 del 2007 stabilisce che “se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio: a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o 1 "Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione ". Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 290 del 14 dicembre 2007 34 dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c) l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.” Il secondo comma, altresì, prevede che “il riciclaggio è considerato tale anche se le attività che hanno generato i beni da riciclare si sono svolte nel territorio di un altro Stato comunitario o di un Paese terzo”. 35 Seppur ultroneo, tuttavia si fa osservare che la legge antiriciclaggio dà un’ampia descrizione dell’elemento soggettivo del reato, ciò in ossequio al principio di tassatività, poiché nella valutazione della condotta devono rilevare l’elemento intenzionale ( rectius: coscienza e volontà), e soprattutto la finalità del riciclaggio del denaro (finalità della condotta per la realizzazione dell’evento), dedotti questi “ da circostanze di fatto obiettive”42. Al fine di prevenire l'utilizzo del sistema finanziario e di quello economico per finalità di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, il presente decreto detta misure volte a tutelare l'integrità di tali sistemi e la correttezza dei comportamenti. Siffatta finalità di prevenzione è svolta in coordinamento con le attività di repressione dei reati di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo43. 42 così E. Fisicaro, Antiriciclaggio e terza Direttiva UE, ed. 2008, Giuffrè. Risulta utile evidenziare che le definizioni indicate nell’articolo 2 del Decreto Legislativo n°231 del 2007 non coincidono con quella contenuta nel Codice Penale. Di fatti, l’incipit del citato articolo “ai soli fini del presente decreto” rende chiaro che la normativa non è diretta a incidere sulle ipotesi criminose regolate dal Codice Penale, ma si limita a individuare l’ambito di applicazione dei relativi obblighi. 43 36 CAPITOLO IV LA NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO NEL SISTEMA BANCARIO 1. Premessa Le connotazioni intrinseche all’attività bancaria arrischiano queste imprese, più di ogni altre, ad un uso strumentale e criminoso dei propri canali, sì da opacizzare l’eventuale provenienza delittuosa della provvista. Può, così, preliminarmente affermarsi che la banca, di guisa ad esigenze di carattere non solo giuspenalistiche ma soprattutto economico-finanziario, viene chiamata a collaborare con le autorità giudiziarie e di polizia nella repressione del riciclaggio del denaro sporco. Tale esigenza politica, muove dalla convinzione che gli intermediari finanziari e gli altri soggetti esercenti attività finanziaria, annoverati nell’art.11 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 23144, dispongono di un patrimonio di 44 Ai sensi dell’art.11: 1. Ai fini del presente decreto per intermediari finanziari si intendono: 37 informazioni, riguardanti gli utilizzatori dei loro prodotti e servizi, che pongono gli stessi in una posizione tale per cui risulta alquanto efficace, e necessario, che ad essi sia delegata una funzione di prevenzione, volta alla individuazione e segnalazione alle Autorità competenti di quelle operazioni che possono ritenersi effettuate con denaro di provenienza illecita45. Ad ogni buon conto l’adempimento degli obblighi antiriciclaggio comporta, per i destinatari dei medesimi, oltre ai costi tecnicoa) le banche; b) Poste italiane S.p.A.; c) gli istituti di moneta elettronica; c-bis) gli istituti di pagamento; d) le società di intermediazione mobiliare (SIM); e) le società di gestione del risparmio (SGR); f) le società di investimento a capitale variabile (SICAV); g) le imprese di assicurazione che operano in Italia nei rami di cui all'articolo 2, comma 1, del CAP; h) gli agenti di cambio; i) le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi; m) gli intermediari finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 106 del TUB; m-bis) le società fiduciarie di cui all’articolo 199, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; n) le succursali insediate in Italia dei soggetti indicati alle lettere precedenti aventi sede legale in uno Stato estero; o) Cassa depositi e prestiti S.p.A. 2. Rientrano tra gli intermediari finanziari altresì: a) le società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966 ad eccezione di quelle di cui all’articolo 199, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; b) i soggetti disciplinati dagli articoli 111 e 112 del TUB; c) i soggetti che esercitano professionalmente l’attività di cambiavalute, consistente nella negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta; 3. Ai fini del presente decreto, per altri soggetti esercenti attività finanziaria si intendono: a) i promotori finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 31 del TUF; b) gli intermediari assicurativi di cui all'articolo 109, comma 2, lettere a) e b) del CAP che operano nei rami di cui al comma 1, lettera g); c) i mediatori creditizi iscritti nell’elenco previsto dall’art. 128-sexies, comma 2, del TUB; d) gli agenti in attività finanziaria iscritti nell’elenco previsto dall’art. 128-quater, comma 2, del TUB e gli agenti indicati nell’art. 128 - quater , commi 6 e 7, del medesimo TUB. 45 Cfr. A.M.A. Carriero, La prevenzione ed il contrasto al riciclaggio, in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari a cura di E. Galanti, Cedam, 2008. 38 operativi o connessi all’adeguamento delle policy aziendali a nuove prassi di vigilanza, anche costi di matrice immateriale, ovverosia investimenti in comunicazione e immagine. Nell’alveo dei costi materiali spicca il perfezionamento degli AUI ( Archivio Unico Informatico), che, con le loro procedure di alimentazione e di raccordo con quelle già in essere a fini anagrafici, è di sicuro l’investimento più ingente. Stante, finanche, il costo di mantenimento. La registrazione delle operazioni a fini di riciclaggio può anche affidarsi a terzi46. Seppure ciò incida positivamente sui costi di impianto, deve considerarsi, tuttavia, che l’AUI deve essere consultabile presso l’intermediario47 e che, comunque, la responsabilità per errori od omissioni ricade sempre su quest’ultimo48. Tali oneri da sostenere per l’impresa creditizia “ritornano” sicuramente in termini di marketing, sia nella possibilità di garantire ai clienti un servizio bancario trasparente. In definitiva, l’obbligo di collaborazione prescritto dall’articolato in esame non può prescindere da efficaci ed efficienti capacità 46 Il c.d. outsourcing In caso di ispezione, le autorità vogliono accedere ai dati con facilità, senza troppi artifizi che ne vanifichino l’opera. Bisogna, quindi, stare attenti sia a realizzare opportuni collegamenti con l’outsourcer, sia a far “dialogare” puntualmente le procedure degli Archivi unici antiriciclaggio. 48 Tranne che il motivo non si dimostri essere squisitamente attribuibile al software. 47 39 professionali volti alla, quanto più prossima, conoscenza cristallina del cliente. Ciò detto, la regola della c.d. “KYC” (know your customer) risulta strumento essenziale ed ineludibile. 2. Gli obblighi di adeguata verifica e registrazione L’art. 15 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 detta gli obblighi di adeguata verifica della clientela in capo agli intermediari e ai c.d. altri soggetti esercenti attività finanziaria. L’obbligo in rassegna deve riguardare, le ipotesi in cui vi sia: a) instaurazione dell’accensione di un del rapporto rapporto continuativo; (es. apertura all’atto conto, sottoscrizione polizza vita, ecc.) andrà obbligatoriamente richiesto al cliente di sottoscrivere, dopo averla debitamente compilata, la <<scheda>> per l’adeguata verifica, contenente tutte le informazioni prescritte dall’art. 18 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231; b) esecuzione di operazioni occasionali che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a euro 15000. Ciò vale sia se si tratti 40 di un’unica operazione, sia se si tratti di più operazioni che appaiono tra di loro collegate per realizzare un’operazione finanziaria; c) presenza di sospetto di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, a prescindere da qualsiasi limite, soglia o termine fissato; d) esistenza di dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati ottenuti precedentemente per l’identificazione di un cliente. L’articolo prevede anche che le banche, gli istituti di moneta elettronica e le Poste italiane S.p.A. osservino gli obblighi di adeguata verifica della clientela altresì qualora si comportino da meri <<soggetti tramite>> del trasferimento di denaro contante o titoli al portatore, effettuato in euro o in valuta estera, a qualsiasi titolo tra privati, che abbia un importo pari o superiore a euro 15000. L’obbligo della Customer due diligence consiste nelle seguenti attività: - identificazione del cliente e verifica dell’identità sulla base di documenti, dai o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente; 41 - identificazione dell’ <<titolare effettivo>> e verifica dell’identità; - reperimento di informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dal rapporto continuativo; - monitoraggio costante nel corso del rapporto continuativo, attraverso le analisi delle transazioni concluse durante tutta la durata di tale rapporto, onde verificarne la compatibilità con il suo profilo. Merita precipua attenzione la figura del titolare effettivo. In base al decreto, segnatamente, ai sensi dell’art.2 dell’allegato tecnico, il titolare effettivo può essere (oltre che la persona fisica per conto della quale è realizzata un’operazione o un’attività) una società o un’entità giuridica (fondazioni) o istituti giuridici (trust) che amministrano e distribuiscono fondi. Nel primo caso, è considerato titolare effettivo la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possieda o controlli un'entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto del 25% +1 delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica, anche tramite azioni al portatore ( a patto che non si tratti di una società ammessa alla 42 quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti), o la/le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un'entità giuridica. Oggi è acclarato che il limite di cui sopra sia da ritenersi riferibile al 25% più una azione. Qualora il titolare effettivo fosse un’entità o istituto giuridico, intenderemo la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25% o più del patrimonio di un’entità giuridica, se i futuri beneficiari siano già stati determinati; la categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l’entità giuridica, se i beneficiari non sono ancora stati determinati; la persona fisica o le persone fisiche che esercitano un controllo sul 25% o più del patrimonio di un’entità giuridica. L’identificazione e la verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo è svolto alla presenza dell’intermediario ovvero di un dipendente o collaboratore di quest’ultimo o della società di revisione e del cliente mediante un documento di identità non scaduto. All’atto di identificazione i clienti forniscono per iscritto, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni 43 necessarie per l’identificazione dei soggetti per conto del quale operano. Contestualmente all’identificazione del cliente, è effettuata l’identificazione e la verifica dell’identità del beneficial owner; è imposta, per le persone giuridiche, i trust e soggetti giuridici analoghi, l’adozione di misure adeguate e commisurate alla situazione di rischio per comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente. Al fine di agevolare l’identificazione e la verifica dell’identità del titolare effettivo, i destinatari di tale obbligo, possono ricorrere all’utilizzo di pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque contenenti informazioni sui titolari effettivi; possono chiedere ai propri clienti i dati pertinenti, o, comunque, ottenere le informazioni in altro modo. Va sottolineato che la figura del “titolare effettivo”, se ha come punto di riferimento una persona giuridica, un ente, un trust o simili, è riconducibile esclusivamente ad una o più persone fisiche, ma non a enti o persone giuridiche, dovendo l’obbligato, qualora il destinatario degli effetti risulti una persona giuridica, far luogo a ulteriori verifiche a ritroso sino ad arrivare alla persona fisica destinataria ultima degli effetti dell’atto e che in 44 ultima istanza esercita il potere di controllo e di direzione. All’esito delle verifiche in discorso potrà, comunque, emergere l’inesistenza di una persona fisica o più persone fisiche, che abbia un potere di direzione e controllo rispetto ad altri partecipanti all’entità giuridica, così come potrà accadere che l’obbligato non sia in grado, attraverso la visura dei pubblici registri ovvero con mezzi in suo possesso, di pervenire ad un’identificazione certa del beneficial owner . 2.1.1. Il concetto di rischio L’obbligo di adeguata verifica della clientela è connesso al concetto di risk based aproach (approccio basato sul rischio, art. 20 del decreto in esame)49, cioè, l’obbligo di ordinare l’attività di verifica della clientela, commisurandola al rischio di riciclaggio associato al tipo di cliente (profilo soggettivo), rapporto di affari, prodotto o transazione di cui trattasi (profilo oggettivo). Più esattamente, attiene al profilo soggettivo: la natura giuridica del cliente; la prevalente attività svolta; il comportamento tenuto al momento del compimento dell’operazione o dell’ 49 Cfr. P. Fratangelo, L’approccio basato sul rischio della normativa antiriciclaggio, in Bancaria, N.2, 2009. 45 instaurazione del rapporto continuativo, l’area geografica di residenza o sede del cliente o della controparte. Il profilo oggettivo, invece, concerne: la tipologia e modalità di svolgimento dell’operazione o rapporto continuativo posto in essere; l’ammontare del/della medesima; la frequenza delle operazioni e la durata del rapporto continuativo; la ragionevolezza dell’operazione o del rapporto continuativo in relazione all’attività svolta del cliente; l’area geografica di destinazione del prodotto, oggetto dell’operazione o del rapporto continuativo. 2.1.2. Obbligo di astensione All’art. 23 sono previsti i casi in cui gli enti o le persone fisiche soggette al decreto antiriciclaggio debbano astenersi dal porre in essere l’operazione o dal continuare il rapporto, per impossibilità ad adempiere all’ obbligo di adeguata verifica. L’astensione si verifica, primariamente, nel caso di sospetto di relazione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo e si verifica, indubbiamente, nel caso in cui l’intermediario sia incapace a recepire i dati identificativi del cliente. 46 L’obbligo di astensione non è tuttavia assoluto. Infatti, nei casi in cui l’astensione non sia possibile in quanto sussista un obbligo di legge di ricevere l’atto ovvero l’esecuzione dell’operazione non possa essere rinviata o l’astensione possa ostacolare le indagini, permane l’obbligo di immediata segnalazione di operazione sospette ai sensi dell’art.41.50 2.1.3. Obblighi semplificati e rafforzati di adeguata verifica della clientela L’articolato in analisi prevede casi in cui i soggetti obbligati non sono tenuti ad applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela, ovvero sono tenuti ad applicare gli obblighi semplificati di adeguata verifica, a determinate categorie di clienti e a determinate categorie di prodotti che presentano un basso rischio di riciclaggio di proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo. Di contro, i suddetti saranno obbligati ad applicare obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, in presenza di un rischio più elevato di riciclaggio. 50 Una deroga particolare all’obbligo di astensione è prevista per notai, liberi professionisti, revisori contabili, contabili esterni e consulenti tributari. Costoro, non sono, infatti, obbligati ad astenersi dal rapporto d’affari nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dall’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, ivi compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento: art. 23, comma 4. 47 Gli obblighi semplificati (art. 25) sono applicati se il cliente è: a) un intermediario finanziario o un soggetto equiparato; b) un ente creditizio o finanziario comunitario soggetto alla direttiva; c) un ente creditizio o finanziario situato in uno Stato extracomunitario, che imponga obblighi equivalenti a quelli previsti dalla direttiva e preveda il controllo del rispetto di tali obblighi. La disposizione giuridica in esame prevede che gli enti e le persone soggetti al decreto sono autorizzati a non applicare gli obblighi di adeguata verifica, in relazione a : - contratti di assicurazione-vita, il cui premio annuale non ecceda i 1.000 euro o il cui premio unico sia di importo non superiore a 2.500 euro; - forme pensionistiche complementari disciplinate dal decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, a condizione che esse non prevedano clausole di riscatto diverse da quelle di cui all'articolo 14 del medesimo decreto e che non possano servire da garanzia per un prestito al di fuori delle ipotesi previste dalla normativa vigente; 48 - regimi di pensione obbligatoria e complementare o sistemi simili che versino prestazioni di pensione, per i quali i contributi siano versati tramite deduzione dal reddito e le cui regole non permettano ai beneficiari, se non dopo il decesso del titolare, di trasferire i propri diritti; - moneta elettronica quale definita nell'articolo 1, comma 2, lettera h-ter), del TUB, nel caso in cui, se il dispositivo non è ricaricabile, l'importo massimo memorizzato sul dispositivo non ecceda i 250 euro, oppure nel caso in cui, se il dispositivo è ricaricabile, sia imposto un limite di 2.500 euro sull'importo totale trattato in un anno civile, fatta eccezione per i casi in cui un importo pari o superiore a 1.000 euro sia rimborsato al detentore nello stesso anno civile ai sensi dell'articolo 11 della direttiva 2009/110/CE ovvero sia effettuata una transazione superiore a 1.000 euro, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1781/2006. Per quanto concerne le operazioni di pagamento nazionali il limite di 250 euro di cui alla presente lettera è aumentato a 500 euro; - qualunque altro prodotto o transazione caratterizzato da uno basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo che soddisfi i criteri tecnici stabiliti dalla Commissione europea a 49 norma dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, se autorizzato dal Ministro dell'economia e delle finanze con le modalità di cui all'articolo 26. Quanto agli obblighi rafforzati ( art.28), questi vengono applicati: - qualora il cliente non sia fisicamente presente. In tal caso è necessario applicare una delle seguenti misure: accertare l'identità del cliente tramite documenti, dati o informazioni supplementari; adottare misure supplementari per la verifica o la certificazione dei documenti forniti; - in relazione a prestazioni professionali con persone politicamente esposte51. In tali casi , i destinatari del presente decreto devono: stabilire procedure adeguate basate sul rischio, al fine di determinare se il cliente sia o meno una persona politicamente esposta; 51 Si ritengono tali, ai sensi dell’art.1 dell’allegato tecnico del decreto: a) i capi di Stato, i capi di Governo, i Ministri e i Vice Ministri o Sottosegretari; b) i parlamentari; c) i membri delle corti supreme, delle corti costituzionali e di altri organi giudiziari di alto livello le cui decisioni non sono generalmente soggette a ulteriore appello, salvo in circostanze eccezionali; d) i membri delle Corti dei conti e dei consigli di amministrazione delle banche centrali; e) gli ambasciatori, gli incaricati d'affari e gli ufficiali di alto livello delle forze armate; f) i membri degli organi di amministrazione, direzione o vigilanza delle imprese possedute dallo Stato. In nessuna delle categorie sopra specificate rientrano i funzionari di livello medio o inferiore. Le categorie di cui alle lettere da a) a e) comprendono, laddove applicabili, le posizioni a livello europeo e internazionale. 50 assicurare costantemente un controllo sulla prestazione professionale. 2.1.4. Obblighi di adeguata verifica della clientela da parte di terzi L’art. 30 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 stabilisce che gli obblighi di customer due diligence si ritengono comunque assolti, anche se non in presenza del cliente, quando è fornita idonea attestazione da parte di uno dei soggetti seguenti, con i quali i clienti abbiano rapporti continuativi ed in relazione ai quali siano stati già identificati di persona: 1) intermediari finanziari presenti all’art. 11, comma 1, nonché le loro succursali insediate in Stati Extracomunitari che applicano misure equivalenti della Direttiva; 2) enti creditizi ed enti finanziari di Stati membri dell’Unione Europea; 3) banche aventi sede legale e amministrativa in Stati Extracomunitari che applicano misure equivalenti a quelle della Direttiva; 51 4) professionisti di cui all’art. 12, comma 1, ed art. 13, comma 1, lett. b), nei confronti di altri professionisti. 2.2. Obblighi di registrazione Gli intermediari finanziari hanno l’obbligo di conservare i documenti e registrare le informazioni che hanno acquisito per assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela affinché possano essere utilizzati per qualsiasi indagine su eventuali operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o per corrispondenti analisi effettuate dalla UIF o da qualsiasi altra Autorità competente. Giustappunto gli intermediari devono: - per quanto riguarda gli obblighi di adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo, conservare la copia o i riferimenti dei documenti richiesti, per un periodo di dieci anni dalla fine del rapporto continuativo; - per quanto riguarda le operazioni, i rapporti continuativi, conservare le scritture e le registrazioni, consistenti nei documenti originali o nelle copie aventi analoga efficacia probatoria nei procedimenti giudiziari, per un periodo di dieci 52 anni dall'esecuzione dell'operazione o dalla cessazione del rapporto continuativo. Sono stabilite anche le tipologie di informazioni che devono essere registrate: con riferimento ai rapporti continuativi: la data di instaurazione, i dati identificativi del cliente e del titolare effettivo, unitamente alle generalità dei delegati a operare per conto del titolare del rapporto e il codice del rapporto ove previsto; con riferimento a tutte le operazioni di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che si tratti di un'operazione unica o di più operazioni che appaiono tra di loro collegate per realizzare un’operazione frazionata: la data, la causale, l'importo, la tipologia dell'operazione, i mezzi di pagamento e i dati identificativi del soggetto che effettua l'operazione. Dette informazioni sono registrate tempestivamente, e comunque, non oltre il trentesimo giorno successivo al compimento dell’operazione ovvero all’apertura, alla variazione e alla chiusura del rapporto continuativo. 53 Dati e informazioni confluiscono, appunto, in un archivio (art.37): l’Archivio Unico Informatico. La gestione dell’ AUI ha lo scopo di assicurare la completezza, la chiarezza, e l’immediatezza delle informazioni, la conservazione di queste secondo criteri uniformi, il mantenimento della loro storicità, la possibilità di dedurre evidenze integrate e la facilità di consultazione. Per quegli intermediari che appartengono ad uno stesso gruppo, è prevista la tenuta e la gestione dei propri archivi attraverso un unico centro di servizio, comunque garantendo la separazione e la distinzione delle registrazioni relative a ciascun intermediario. In questo modo, un delegato può trarre facilmente evidenze integrate a livello di gruppo. I dati e le informazioni registrate sono resi disponibili entro tre giorni dalla richiesta da parte delle autorità. I dati e le informazioni devono essere conservati nell’archivio per dieci anni dalla conclusione del rapporto. Inoltre, è sancito l’obbligo di inoltrare mensilmente all’UIF i dati aggregati, utili per lo studio delle realtà territoriali, al fine di far emergere elementi validi all’individuazione di fenomeni che possono essere indice di attività di riciclaggio o finanziamento 54 del terrorismo: le cc.dd. Segnalazioni Antiriciclaggio Aggregate52. 3. La segnalazione di operazioni sospette La segnalazione di operazioni sospette rappresenta lo “zenit” della prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio. Sicché essa, come anticipato, solca uno iato sulla tradizionale operatività dell’intermediario, sia nell’ambito dei rapporti con la clientela sia in quello dei rapporti con le autorità. La procedura di segnalazione si può scomporre in due fasi, le cui specificità vanno tenute ben distinte: 3.1. Il percorso “interno” delle segnalazioni53 La segnalazione viene avviata dal responsabile del punto operativo che è direttamente a contatto con la clientela; secondo 52 Si evidenzia come il 23 dicembre 2010 la Banca d’Italia abbia emanato le nuove istruzioni sul contenuto delle segnalazioni S.A.R.A. Queste, infatti, dal giugno 2011, dovranno essere effettuate esclusivamente tramite la rete da parte di tutti gli intermediari destinatari della normativa. 53 Occorre sottolineare che la segnalazione non attribuisce al soggetto un potere-dovere di indagine, ma solo un poter-dovere di valutazione dei dati soggettivi e oggettivi dell’operazione ricavabili dalla stessa e dall’insieme dei dati conosciuti nell’ambito della normale operatività istituzionale. 55 quanto previsto dall’art. 42, d.lgs. n. 231/2007, infatti, <<Il responsabile della dipendenza, dell'ufficio, di altro punto operativo, unità organizzativa o struttura dell'intermediario cui compete l'amministrazione e la gestione concreta dei rapporti con la clientela ha l'obbligo di segnalare senza ritardo al titolare dell'attività o al legale rappresentante o a un suo delegato le operazioni di cui all'articolo 41>>. Seguitamente, il comma 4 del medesimo articolo così dispone << Il titolare dell'attività, il legale rappresentante o un suo delegato esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le ritenga fondate tenendo conto dell'insieme degli elementi a sua disposizione, anche desumibili dall'archivio unico informatico, le trasmette54 alla UIF prive del nominativo del segnalante. >> Il soggetto incaricato ex art.42, comma 4, il c.d. responsabile antiriciclaggio, oltre alla specificità di quanto pervenutogli, aggiunge una valutazione individuale derivante sia dalle proprie competenze personali sia dalla propria esperienza sì da consentirgli di concludere sulla “sospettabilità” o meno dell’operazione. 54 Compilando una scheda di valutazione completa delle indicazioni previste dalla UIF, e le invia in busta sigillata. Come, anticipato, dal maggio 2011 le medesime saranno inoltrate solo tramite rete telematica. 56 3.2. Il percorso “esterno” delle segnalazioni Nella consapevolezza che la riservatezza della segnalazione è condizione essenziale per la sicurezza del personale del settore, essa giunge a destinazione priva di qualsivoglia riferimento all’operatore segnalante55. Ricevuta la segnalazione l’Unità di informazione finanziaria 56 è investito di una serie di oneri e facoltà: effettua necessari approfondimenti di carattere preliminare sulle segnalazioni di operazioni sospette ricevute; sviluppa gli approfondimenti sulle omissioni di segnalazioni di cui sia venuta conoscenza, svolgendo un’attività autonoma e di iniziativa. Per quanto attiene il primo dei suddetti compiti, l’UIF analizza le operazioni e le approfondisce sotto il profilo finanziario, 55 Presso l’UIF si saprà solo che essa perviene dalla banca <<X>> ovvero dalla compagnia <<Y>>, poiché le viene associato un codice che è quello assegnato all’intermediario all’atto del rilascio dell’apposito software. 56 L'Uif è la Financial Intelligence Unit per l'Italia; essa è stata istituita presso la Banca d'Italia il 1° gennaio 2008, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2007 emanato in attuazione della direttiva 2005/60/CE (cd. Terza Direttiva antiriciclaggio) il quale ha soppresso l'Ufficio Italiano dei Cambi che svolgeva precedentemente le funzioni di Financial Intelligence Unit . La UIF esercita le proprie funzioni in piena autonomia e indipendenza, avvalendosi di mezzi finanziari, risorse umane e tecniche attribuiti dalla Banca d'Italia. L'organizzazione e il funzionamento della UIF sono disciplinate con regolamento della Banca d'Italia. 57 avvalendosi anche di ulteriori notizie che può raccogliere da più fonti informative57. L’UIF, di propria iniziativa, su richiesta dell’intermediario o su richiesta degli organi investigativi, inoltre, può disporre anche la sospensione dell’operazione per un massimo di 5 giorni, svolgendo un compito, quindi, prettamente preventivo. Una volta analizzate ed approfondite adeguatamente sotto il profilo tecnico- finanziario le segnalazioni ricevute, salvo siano infondate, le trasmette contestualmente, opportunamente arricchite e corredate da una relazione tecnica, alla Direzione Nazionale Antimafia e al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, i quali ne informeranno il Procuratore Nazionale Antimafia, ove tali segnalazioni siano afferenti la criminalità organizzata58. Per l’esecuzione dei successivi approfondimenti investigativi, questi due organi operano in base ad uno specifico “protocollo d’intesa”, il quale prevede che la DIA debba provvedere all’approfondimento delle SOS che risultino ascrivibili a 57 Quali: i propri archivi; l’anagrafe dei conti e dei depositi; gli stessi soggetti segnalanti, ai quali può richiedere maggiori informazioni; gli archivi delle Autorità di vigilanza di settore ( Banca d’Italia, Consob, Isvap); le Autorità di altri Stati che svolgono compiti analoghi. 58 Cfr. U. Nuzzo, Gli obblighi antiriciclaggio delle categorie economiche a rischio, in “Riv.Gdf”, n.1, 2003. 58 fenomeni associativi di tipo mafioso; negli altri casi procede esclusivamente il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria. Nonostante la linearità, sul piano operativo, di questa procedura di segnalazione occorre, però rilevare che la maggior parte delle operazioni antiriciclaggio segue un percorso inverso, ossia prende avvio dagli organi investigativi che, in base ad accertamenti lunghi e dispendiosi, ricostruiscono il percorso seguito dalle operazioni illecite, fino a giungere agli intermediari mediante i quali esse sono state poste in essere. 3.3. Le indicazioni operative della Banca d’Italia sulle segnalazioni di operazioni sospette Le indicazioni operative della Banca d’Italia sono destinate a ridurre i margini di incertezza relativi alle valutazioni soggettive o ai comportamenti discrezionali da parte degli intermediari , così agevolando l’adempimento dell’obbligo legale di segnalazione. alle autorità preposte alla prevenzione del riciclaggio, affinché siano evitate comunicazioni indiscriminate o poco convinte. 59 In sostanza per dare omogeneità al comportamento degli intermediari abilitati, il 12 gennaio 2001 la Banca d’Italia ha emanato la prima versione delle Istruzioni operative per l’individuazione di operazioni sospette (c.d. Decalogo). Tali finalità sono ribadite anche nella “versione aggiornata” del Decalogo59. In esso si allocano una casistica esemplificativa, non già esaustiva, di indici di anomalia. Tali indici si riferiscono alla forma “oggettiva” di anomalia di un’operazione, in presenza dei quali l’intermediario deve valutare, integrando quest’ultimi con tutte le altre informazioni di cui dispone, se procedere o meno alla segnalazione all’UIF. Gli indici di anomali vengono suddivisi in cinque macrocategorie: i. Indici di anomali connessi al cliente: il cliente si rifiuta o si mostra riluttante a fornire le informazioni richieste, ovvero fornisce informazioni false o contraffatte 59 Reale denominazione <<Provvedimento recante gli indicatori di anomalia per gli intermediari>>, consultabile sul sito www.bancaditalia.it 60 ovvero varia ripetutamente e giustificazione le informazioni fornite; il cliente, senza fornire alcuna plausibile giustificazione, adotta un comportamento del tutto inusuale rispetto a quello comunemente tenuto dalla clientela; il cliente effettua operazioni in contanti di significativo ammontare ovvero con modalità inusuali quando è noto per essere stato sottoposto a procedimento penale, a misure di prevenzione o a provvedimenti di sequestro, ovvero quando è notoriamente contiguo (ad esempio familiare) a soggetti sottoposti a misure della specie ovvero effettua tali operazioni con controparti note per le medesime circostanze; il cliente risiede ovvero opera con controparti situate in Paesi o territori a rischio ed effettua operazioni di significativo ammontare con modalità inusuali, in assenza di plausibili ragioni. ii. Indici di anomalia connessi alle operazioni o ai rapporti: operazioni con configurazione illogica, soprattutto se economicamente o finanziariamente svantaggiose per il cliente, che non risultano in alcun modo giustificate; 61 operazioni che risultano inusuali rispetto alla prassi corrente di mercato ovvero sono effettuate con modalità e strumenti significativamente diversi da quelli utilizzati dagli altri operatori attivi nello stesso comparto, soprattutto se caratterizzate da elevata complessità ovvero dal trasferimento di somme di importo significativo, qualora non siano giustificate da specifiche esigenze; operazioni che risultano non coerenti - anche per gli strumenti utilizzati - con l’attività svolta ovvero con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del cliente ovvero, in caso di persona giuridica, del relativo gruppo di appartenenza, ove non siano adeguatamente giustificate dal cliente; operazioni effettuate frequentemente o per importi significativi da un cliente in nome o a favore di terzi ovvero da terzi in nome o a favore di un cliente qualora i rapporti personali, commerciali o finanziari tra le parti non risultino giustificati, soprattutto se volte a dissimulare il collegamento con altre operazioni. 62 iii. Indici di anomalia connessi ai mezzi di pagamento: utilizzo ripetuto e ingiustificato di denaro contante, specie se per importi rilevanti o qualora implichi il ricorso a banconote di elevato taglio; ricorso a tecniche di frazionamento dell’operazione con presumibili finalità elusive degli obblighi di adeguata verifica o di registrazione, in assenza di giustificate esigenze rappresentate dal cliente, soprattutto se volte a dissimulare il collegamento con altre operazioni; utilizzo di strumenti di pagamento (carte di debito, carte di credito, carte prepagate, moneta elettronica, nella loro evidenza fisica e virtuale) che, per modalità, ricorrenza o rilevanza economica, non risulta coerente con la normale operatività del cliente ovvero con l’operatività del distributore o dell’esercente (c.d. merchant); utilizzo ripetuto e per importi complessivi rilevanti dei servizi di pagamento nella forma dell’incasso e del trasferimento fondi (c.d. money transfer), laddove l’operatività risulti incoerente con le condizioni economiche e finanziarie del cliente e non sia adeguatamente giustificata. 63 iv. Indici di anomalia relativi alle operazioni in strumenti finanziari e ai contratti assicurativi: operazioni in strumenti finanziari incoerenti con il profilo economico, finanziario o patrimoniale del cliente ovvero, nel caso di persone giuridiche, del gruppo di appartenenza, oppure effettuate con modalità inusuali o illogiche, soprattutto se di ammontare complessivamente rilevante, non adeguatamente giustificate da specifiche esigenze; operazioni aventi a oggetto strumenti finanziari che si caratterizzano per l’intestazione a favore di terzi ovvero per l’intervento di soggetti diversi, qualora non siano in alcun modo giustificati dai rapporti tra le parti; operazioni frequenti o di importo significativo effettuate su strumenti finanziari non dematerializzati, soprattutto se al portatore, Stipula in di assenza polizze di assicurative plausibili vita o giustificazioni; di rapporti di capitalizzazione che risultano incoerenti con il profilo del cliente o che presentano modalità inusuali, specie se di ammontare rilevante, ove non giustificate da specifiche esigenze rappresentate dal cliente; 64 operazioni attinenti a polizze assicurative vita o a rapporti di capitalizzazione effettuate frequentemente o per importi rilevanti dal contraente in nome o a favore di terzi ovvero da terzi in nome o a favore del contraente, qualora i rapporti personali, commerciali o finanziari tra le parti non risultino giustificati; Pagamenti di premi relativi a polizze assicurative vita o a rapporti di capitalizzazione con modalità inusuali o illogiche, specie se di ingente ammontare, non giustificati da specifiche esigenze rappresentate dal cliente; Riscatto o liquidazione di polizze assicurative vita o di rapporti con modalità inusuali o illogiche, non giustificati da specifiche esigenze rappresentate dal cliente. v. Indici di anomalia relativi al finanziamento del terrorismo: operazioni che, per il profilo soggettivo di chi le richiede ovvero per le modalità inusuali della movimentazione, appaiono riconducibili a fenomeni di finanziamento del terrorismo; operazioni che, per le modalità inusuali della movimentazione o l’incoerenza con il profilo economico di chi le richiede, appaiono riconducibili all’abuso di organizzazioni non profit a scopo di finanziamento del terrorismo. 65 3.4. I generatori di indici di anomalia: Gianos Il sistema bancario italiano, oltre ad aver collaborato, per il tramite dell’ABI, alle realizzazione, da parte della Banca d’Italia, alle <<Istruzioni operative per la segnalazione di operazione sospette>>, ha anche sviluppato dei sistemi informatici innovativi volti ad aiutare i dipendenti bancari nell’attività di collaborazione attiva con le autorità inquirenti. Segnatamente, si è adottato l’utilizzo di GIANOS (acronimo di Generatore di Indici di Anomalia per Operazioni Sospette), che consiste in un programma che fornisce una procedura di rilevazione automatica di quelle operazioni anomale che, mediante tabelle algoritmiche, corrispondono alla casistica contenuta nel Decalogo. GIANOS consiste in un software che prende in esame tutte le registrazioni, anche quelle relative ad operazioni frazionate, contenute nell’Archivio Unico Informatico, costituito presso gli intermediari finanziari60. 60 V. F. Berghella, in AA.VV., Nuova guida agli adempimenti antiriciclaggio: manuale operativo per le banche e gli intermediari finanziari, Bancaria editrice, 1998. 66 4. Sistemi di pagamento e misure antiriciclaggio 4.1. La diffusione del denaro contante in Italia ed i presìdi antiriciclaggio Gli stretti profili di contiguità tra i fenomeni del riciclaggio e dell’evasione fiscale appaiono ancora più evidenti dall’analisi delle dinamiche connesse all’utilizzo del denaro contante, in quanto i trasferimenti effettuati utilizzando questo strumento non sono tracciati dai sistemi di prevenzione antiriciclaggio e le relative movimentazioni non possono essere ricostruite in sede investigativa. Consapevole della intrinseca pericolosità connessa all'utilizzo del denaro contante per scopi di riciclaggio, già con la legge n. 197/1991 il Legislatore italiano introdusse una disposizione con cui veniva vietato il trasferimento di denaro contante, di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in lire o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire fosse stato complessivamente superiore a 20 milioni di lire. Tale soglia è stata più volte modificata, dapprima per adeguare l’importo in lire alla nuova moneta unica, elevandola a 12.500 67 euro, per poi ridurla a 5.000 con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2007. Successivamente, dopo un ritorno al più elevato limite di 12.500 euro, la soglia è stata progressivamente ridotta negli anni 2010 e 2011, fino ad arrivare al limite attuale di 1.000 euro, introdotto dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Sebbene la disposizione sulla limitazione dell’uso del contante sia finalizzata a prevenire il fenomeno del riciclaggio, le ragioni della sensibile rimodulazione verso il basso vanno ricercate principalmente nelle esigenze di contrastare l’evasione fiscale, nel presupposto che quanto più basso è il limite per utilizzare legittimamente il denaro contante per eseguire transazioni commerciali, tanto maggiore dovrebbe essere la spinta a regolare i rapporti economici facendo ricorso al canale bancario o comunque a strumenti tracciabili, con la conseguenza di indurre gli operatori a dichiarare ai fini fiscali il valore reale delle operazioni poste in essere. In linea di continuità con la precedente normativa, il d.lgs. n. 231/2007 ha previsto ulteriori disposizioni finalizzate a limitare l’uso del contante in favore di strumenti che consentano la tracciabilità dell’operazioni, tra i quali si evidenziano quelli 68 relativi alla emissione dei moduli di assegni bancari e postali già muniti della clausola di non trasferibilità, confermando – per quelli di importo pari o superiore alla soglia – l’obbligo di indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità, nonché il divieto di detenere libretti di deposito bancari o postali al portatore con un saldo di importo pari o superiore alla soglia. Le ragioni dell’elevato utilizzo del denaro contante in Italia solo in parte possono essere riconducibili a fattori culturali ed alla difficoltà di alcune fasce della popolazione ad utilizzare forme di pagamento “elettroniche”, quali le carte di credito e i servizi telematici di home banking. In realtà, il permanere del rilevante utilizzo del contante è principalmente da ascriversi all’elevato livello di evasione fiscale e alla necessità di regolare transazioni illecite da parte della criminalità comune ed organizzata, proprio perché l’utilizzo del contante garantisce l’anonimato. A tale proposito, si pone in evidenza che il ricorso ad operazioni in contante per eseguire operazioni di riciclaggio è desumibile anche dall’analisi delle causali delle segnalazioni di operazioni sospette che i soggetti tenuti agli obblighi di collaborazione attiva sono tenuti ad inoltrare, ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 69 231/2007, all’UIF quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Proprio in considerazione dell'elevato numero di segnalazioni sospette connesse all’operatività in denaro contante, il legislatore ha ritenuto opportuno integrare le disposizioni contenute nell’art. 41, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007, secondo cui il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura del l’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico. Infatti, per effetto dell’art. 36, comma 1, lett. b), del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è stato specificato che costituisce elemento di sospetto, ai fini dell’inoltro delle segnalazioni, il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti previ sto dall’art. 49 dello stesso d.lgs. n. 231/2007, e, 70 in particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro. Ulteriori indicatori sull'utilizzo del denaro contante per scopi di riciclaggio e di evasione possono essere individuati nei rapporti con l’estero. Secondo alcune stime61, in Italia circola mediamente il 20% di denaro contante in più rispetto al resto d’Europa, e il 90% delle transazioni avviene in contante, a differenza del 69% della Francia e del 78% della Germania e del 70% della media europea. Proprio per queste ragioni, è stato osservato62 che l’utilizzo dei corrieri per il trasporto all’estero di denaro contante “rappresenta la tecnica più antica e più artigianale ma allo stesso tempo è ancora una delle più usate per riciclare capitali illeciti”. I cosiddetti “spalloni” sono tuttora utilizzati anche per far rientrare in Italia le disponibilità finanziarie illecitamente costituite all’estero. Peraltro utilizzando banconote di grosso taglio, quali quelle da 500 euro, è possibile trasportare in una normale valigetta “24 ore” fino a 6 milioni di euro. A comprova di ciò si evidenzia che – secondo uno studio riservato dell’UIF risalente al mese di giugno 2009, il quale a sua 61 riportate da M. CARBONE - M. TOLLA, Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, cit., 292 62 P. GRASSO, Soldi sporchi, cit., 147 ss. 71 volta riprende i dati diffusi dalla Banca Centrale Europea – il 36% del valore delle banconote in circolazione nell’area euro nel mese di aprile 2009 era costituito da quelle da 500 euro, che alla fine del 2002, cioè ad un anno dall’adozione della moneta unica, costituivano il 23% del valore delle banconote in circolazione. La crescita esponenziale della domanda di banconote del taglio più elevato, peraltro scarsamente utilizzate per le transazioni ordinarie, è difficilmente riconducibile nell’ambito di un utilizzo fisiologico del denaro contante, soprattutto ove si consideri che da detto studio emerge che in Italia nell’anno 2008 le banconote da 500 euro erano principalmente concentrate presso alcune province transfrontaliere, quali Como, Lecco, Forlì-Cesena e Rimini, ubicate in prossimità del confine con piazze estere sensibili in termini di attrazione di capitali, quali la Svizzera e la Repubblica di San Marino. Sebbene non sussistano statistiche ufficiali sull’impiego di banconote da 500 euro nell’ambito dell’economia illegale, la crescita della domanda di questa tipologia di banconote e la loro concentrazione in particolari aree geografiche del nostro Paese fanno ragionevolmente presumere 72 un loro mirato utilizzo quale strumento di riciclaggio e di evasione fiscale63 4.2. La limitazione all’uso del denaro contante e dei titoli al portatore Pur mantenendo l’impostazione di base introdotta dall’art. 1 della legge n. 197/ 1991, la nuova disciplina sulla limitazione dell’uso del contante, contenuta nel l’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007, è caratterizzata da alcune differenze sostanziali rispetto alla previgente formulazione. In primo luogo, il testo originario dell’art. 49 aveva abbassato la soglia relativa alla circolazione del denaro contante, degli assegni e dei libretti al portatore da 12.500 a 5.000 euro, nella prospettiva di ridurre sensibilmente l’ambito delle operazioni che fuoriuscivano dal sistema di tracciamento garantito dal sistema finanziario. In tal modo, ponendo il vincolo del monitoraggio di tutte le transazioni finanziarie di importo superiore a 5.000 euro, di fatto, si è ampliata la sfera di applicabilità delle disposizioni in tema di adeguata verifica e di registrazione delle informazioni 63 in proposito, v. M. CARBONE - M. TOLLA, Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio. 73 riguardanti l’autore, la natura, l’importo ed il mezzo di paga mento utilizzato. Detto importo fu, tuttavia, riportato a 12.500 euro dal d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, per poi essere nuovamente ridotto, per ragioni essenzialmente connesse al rafforzamento della lotta all’evasione fiscale, nell’arco di poco più di un anno, dapprima a 5.000 euro, dal d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per essere ulteriormente abbassato, per effetto delle manovre di correzione dei conti pubblici emanate nel 2011, dapprima a 2.500 euro dal d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per poi essere portato alla vigente soglia di 1.000 euro, introdotta dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Ulteriore elemento di novità introdotto dal d.lgs. n. 231/2007 riguarda le modalità con cui possono essere effettuati i trasferimenti di contante per importi superiori alla soglia. Infatti, secondo la vigente disposizione, tali movimentazioni continuano a poter essere effettuate non più tramite gli “intermediari abilitati”, ma unicamente mediante banche, Poste Italiane S.p.a. e gli istituti di moneta elettronica. Questa modifica 74 è da porre in relazione alla rinnovata architettura del sistema di prevenzione antiriciclaggio che ha eliminato il riferimento alla nozione di “intermediario abilitato” a ricevere ed effettuare operazioni sopra soglia, proprio nella prospettiva di ridurre il novero dei soggetti che potevano legittimamente trasferire contante per importi superiori alla soglia. Questa scelta ha determinato la circostanza per cui, ad esempio, il pagamento del premio di una polizza assicurativa ad una compagnia assicurativa, eseguito in denaro contante per un importo superiore alla soglia, costituisce ora violazione alla disposizione contenuta nell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007 e sanzionata dall’art. 58, comma 1, del medesimo provvedimento legislativo. L’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007 ha altresì confermato la disciplina sull’utilizzo degli assegni bancari e postali, prevedendo che quelli di importo pari o superiore alla soglia devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Analogamente, anche gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari sono emessi con l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità; tuttavia, 75 l’emissione di quelli di importo inferiore alla soglia può essere richiesta, per iscritto, dal cliente senza la clausola di non trasferibilità. Anche la disciplina degli assegni contenuta nel d.lgs. n. 231/2007 si caratterizza per alcune novità rispetto a quella contenuta nella legge n. 197/1991. Infatti, al fine di incentivare l’utilizzo di strumenti tracciabili che consentano l’identificazione dell’avente causa, è stato previsto: - il divieto di emissione degli assegni all’ordine del traente, salva la possibilità di un tale forma di emissione per girare gli assegni stessi a una banca o a Poste Italiane S.p.a. per l’incasso. Con questa disposizione viene posto un limite significativo alla prassi che consentiva di fatto una circolazione “al portatore” di titoli all’ordine, che venivano principalmente utilizzati per pagare prestazioni o acquisiti di merce in evasione fiscale, tenuto conto che l’assegno emesso “a me medesimo” o “a sé stessi” rappresenta una delle modalità per pagare “in nero” fornitori o prestatori di servizi. In tal modo, infatti, il traente si pro cura una somma di denaro contante con cui paga le prestazioni o i 76 beni ricevuti, con la conseguenza di rendere difficoltoso individuare, in sede investigativa, chi sia il soggetto che ha effettivamente incassato le somme; - che i moduli di assegni bancari e postali siano rilasciati dalle banche e da Poste Italiane S.p.a. già muniti della clausola di non trasferibilità. Tuttavia, il cliente può richiedere, per iscritto, il rilascio di moduli di assegni bancari e postali in forma libera. Inoltre, allo scopo di disincentivare l’utilizzo degli assegni non recanti la clausola di non trasferibilità, l’art. 49, comma 10, del d.lgs. n. 231/ 2007 ha previsto che il richiedente corrisponda, a titolo di imposta di bollo, la somma di 1,50 euro per ciascun modulo di assegno bancario o postale richiesto in forma libera fin dall’origine ovvero per ciascun assegno circolare o vaglia postale o cambiario rilasciato senza l’apposizione di detta clausola. L’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007 ha altresì confermato le disposizioni riguardanti il divieto di detenere libretti di deposito bancari o postali al portatore con un saldo di importo pari o superiore alla soglia di 5.000 euro. Quelli che alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2007 avessero avuto un saldo 77 superiore, dovevano essere estinti dal portatore ovvero il loro saldo deve essere ridotto a una somma non eccedente il predetto importo entro il 30 giugno 2009. L’ultima significativa novità introdotta dal d.lgs. n. 231/2007 ha riguardato la specifica limitazione all’utilizzo del denaro contante da parte degli agenti in attività finanziaria che svolgono l’attività di incasso e trasferimento fondi (money transfer). Le specifiche limitazioni dell’uso del contante da parte dei money transfer sono state abrogate, con decorrenza dal 17 settembre 2011, dall’art. 2, comma 4-bis, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Conseguentemente, a decorrere da questa data, i trasferimenti di denaro contante effettuati presso i money transfer sono soggetti alla disciplina generale, per cui detti operatori non potranno ricevere dai clienti denaro contante per importi pari o superiori a 1.000 euro. Tutte le disposizioni riguardanti la limitazione all’utilizzo del denaro contante, contenute nell’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007 sono entrate in vigore in data 30 aprile 2008, in epoca successiva 78 all’entrata in vigore delle rimanenti disposizioni del decreto antiriciclaggio64. 4.3 . La causa di trasferimento Ai fini dell’applicazione della disposizione sulla limitazione dell’uso del contante, non rileva la causa del trasferimento, in quanto il divieto si applica per i trasferimenti effettuati “a qualsiasi titolo”. La limitazione opera, pertanto, indipendentemente dalla natura lecita o illecita dell’operazione alla quale il trasferimento si riferisce, trattandosi di un divieto “oggettivo”, in cui non rilevano, ai fini della configurabilità della violazione, le ragioni che hanno determinato il trasferimento del denaro contante. Proprio il carattere oggettivo del divieto determina che l’inosservanza della disposizione non comporta l’invalidità o l’annullamento dell’operazione posta in esse re, che quindi 64 . In proposito, M. KROGH, Le nuove limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore introdotte dal d.lgs. 231 del 2007 e la tracciabilità dei pagamenti, cit., osserva che il differimento temporale dell’entrata in vigore delle nove regole sulla limitazione dell’uso del contante “è verosimilmente giustificato dal forte e generalizzato impatto che queste disposizioni avranno sulle ricorrenti prassi commerciali ed abitudini sociali”. 79 rimane salva65, comportando unicamente la sussistenza dell’illecito amministrativo previsto dal citato art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007. 4.4 . Le operazioni frazionate Il limite dell’utilizzo del denaro contante opera anche in presenza più trasferimenti, singolarmente di importo inferiore a 1.000 euro, ma riferibili ad una operazione economica di valore unitario superiore alla soglia; l’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007 sancisce, infatti, che “il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati”. A tale proposito, si evidenza che l’art. 1, comma 2, lett. m), del d.lgs. n. 231/2007 qualifica come frazionata “l’operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere at traverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in 65 In senso conforme, vgs. A. MENGALI, Antiriciclaggio, Violazioni di natura amministrativa, cit. Al riguardo, si evidenzia che, nel disciplinare le violazioni alle disposizioni sulla limitazione del l’uso del denaro contante, l’art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007 fa espressamente salva l’efficacia degli atti di trasferimento. 80 sette giorni ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale”. Conseguentemente, in linea di principio e sulla base di una interpretazione lettera le della disposizione, i trasferimenti di denaro contante effettuati oltre il suddetto limite temporale di sette giorni non sono riferibili alla medesima operazione e, quindi, non configurano una operazione frazionata. Tuttavia, la nozione contenuta nel provvedimento antiriciclaggio prevede altresì che una operazione possa considerarsi frazionata anche quando ricorrano elementi per ritenerla tale. Questa “clausola di salvaguardia” consente di evitare facili aggiramenti del divieto di utilizzo del denaro contante, mediante l’esecuzione di singoli trasferimenti sotto soglia riconducibili alla medesima operazione in un arco temporale anche di poco più ampio rispetto a sette giorni. A tale riguardo, gli organi di controllo dovranno dimostrare che comportamento sia stato posto in essere al solo scopo di eludere le disposizioni riguardanti il divieto in esame. In proposito, la Corte di Cassazione66 ha ritenuto illegittime le operazioni di trasferimento di denaro contante, singolarmente di importo inferiore alla soglia, ma riconducibili ad una unica 66 Corte di Cassazione, Sez. II, 10 aprile 2007, n. 8698. 81 operazione, eseguite da una società senza ricorrere agli intermediari abilitati. In tale occasione la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che “con la nozione di trasferimento si intende non solo l’effettuazione di un determinato atto, ma l’insieme di tutti gli atti che siano tra loro funzionalmente collegati per realizzare una unica operazione di movimentazione di valuta. Ne consegue che non possono di per se ritenersi legittime le operazioni di trasferimento di una pluralità di somme per essere l’importo di ciascuna di esse inferire al limite previsto dal d.l. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, potendo la conformità di esse alla disciplina antiriciclaggio essere riconosciuta soltanto quando sia da escludere che i diversi trasferimenti rappresentino delle operazioni frazionate riconducibili ad un unico importo superiore a lire 20.000.000 (ora euro 12.500) trasferito o da trasferire al di fuori dei canali istituzionalizzati”. Il citato orientamento è stato confermato più di recente dalla stessa Corte di Cassazione67, che ha precisato, in relazione ad un acquisto di un immobile pagato in maniera frazionata mediante assegni bancari e denaro contante versati con importo non superiori a 20 milioni di lire, che “in tema di sanzioni 67 Corte di Cassazione, Sez. II, 22 giugno 2010, n. 15103. 82 amministrative per violazione della normativa antiriciclaggio, il divieto posto dall’art. 1, primo comma, del d.l. n. 143 del 1991, conv. in legge n. 197 del 1991, di trasferire denaro contante e titoli al portatore per importi superiori a lire 20.000.000 (ora euro 12.500) senza il tramite di intermediari abilitati, fa riferimento al valore dell’intera operazione economica alla quale il trasferimento è funzionale e si applica anche quando detto trasferimento si sia realizzato mediante il compimento di varie operazioni, ciascuna di valore inferiore o pari al massimo consentito”. 4.5 . La circolazione transfrontaliera dei capitali Il controllo dei flussi monetari ha sempre costituito uno dei principali sistemi con cui ogni Stato ha regolato le transazioni finanziarie, disciplinato i movimenti di capitali, nonché stabilizzato e corretto gli eventuali squilibri economici con gli altri Paesi. L’esame della disciplina della circolazione dei capitali e dei vincoli che a questa possono essere imposti deve essere, pertanto, 83 affrontato nella più ampia prospetti va internazionale, con particolare riguardo a quella comunitaria. Nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea, firmato a Roma il 25 marzo 1957,la limitazione ai movimenti di capitali rappresentava uno degli osta coli esistenti tra gli Stati membri da rimuovere per realizzare una libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi in ambito comunitario. Tra le quattro “libertà fondamentali” sancite dal Trattato, l’effettiva liberalizzazione dei movimenti di capitali è quella che ha avuto il cammino più difficile e travagliato, tenuto conto che la particolare materia veniva spesso ad interferire – se non addirittura a coincidere – con le scelte di politica economica e monetaria degli Stati membri. Successivamente all'emanazione della direttiva 88/361/CEE, la libertà dei movimenti di capitali è stata definitivamente sancita dal Trattato di Maastricht che ha perfezionato e razionalizzato la disciplina, unificando le nozioni di capitali e pagamenti fino ad allora disciplinati in settori diversi68. 68 Dal 1° gennaio 1994, gli attuali articoli da 56 a 60 hanno definitivamente sostituito gli artt. 67 73 del Trattato, nonché le disposizioni dedicate ai pagamenti, prima comprese tra le disposizioni sulla politica economica e monetaria, a loro volta radicalmente modificate dal Trattato di Maastricht. 84 Il capo IV del Trattato, che ricalca il tenore della direttiva 88/361/CEE, è infatti dedicato a “Capitali e pagamenti”, in cui viene sancito, all’art. 56, n. 1, che “nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Paesi terzi”69. Il principio, sancito dall’art. 56 – che come chiarito dalla Corte di Giustizia in più occasioni18 è provvisto di efficacia diretta – è che tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti tra Stati membri e tra questi e Stati terzi (anche le restrizioni indirette o dissimulate in misure in apparenza indistintamente applicabili) sono abolite. Alla originaria finalità di garantire la libera circolazione dei capitali, la normativa comunitaria ha progressivamente ampliato la portata della disciplina in argomento, estendendola anche alla prevenzione del riciclaggio, tenuto conto che la rimozione delle barriere tra i Paesi membri poteva costituire un fattore che poteva essere utilizzato dalla criminalità economica per reinvestire proventi derivanti da attività illecite. 69 La stessa formula è utilizzata anche per i pagamenti (art. 56, n. 2). 85 4.6 . La disciplina interna vigente In attuazione della delega contenuta nell’art. 15 della legge n. 34/2008 è stato emanato il d.lgs. 19 novembre 2008, n. 195, che a decorrere dal 1° gennaio 2009, ha sostituito la precedente normativa nazionale sulla circolazione transfrontaliera di capitali in entrata o in uscita dall’Italia, per allinearla a quanto prescritto dal regolamento CE n. 1889/2005 del 26 ottobre 2005 e che costituisce ora la disciplina base nazionale in materia di circolazione transfrontaliera di capitali al seguito, in sostituzione della previgente normativa fissata dal d.l. n. 167/199070. Il provvedimento ha messo sostanzialmente ordine nella normativa valutaria, raccogliendo in un unico atto normativo la disciplina dei trasferimenti di denaro contante dall’Italia verso paesi dell’Unione europea ed extra-comunitari. 4.6.1. Princìpi generali In conformità a quanto previsto dal regolamento (CE) n. 1889/2005, le misure contenute nel d.lgs. n. 195/2008 sono 70 Per approfondimenti, vgs. E. FISICARO, Denaro transfrontaliero: obbligo di dichiarazione, in Guida ai controlli fiscali, n. 4/2009. 86 finalizzate a contrastare l’introduzione dei proventi di attività criminose nel sistema economico e finanziario a protezione dello sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e del corretto funzionamento del mercato interno, attraverso l’istituzione di un sistema di sorveglianza sui movimenti transfrontalieri di denaro contante che consenta, attraverso l’obbligo della dichiarazione, di monitorare i trasferimenti di capitali in entrata e in uscita dal nostro Paese. In questa prospettiva, l’obbligo della dichiarazione assolve anche al compito di prevenire il riciclaggio dei proventi criminali ed il finanziamento del terrorismo intercettando, mediante l’effettuazione dei controlli doganali alla frontiera ed i servizi di vigilanza dinamica pianificati sul territorio nazionale, i capitali che si intendono occultare e trasferire al seguito per le predette finalità illecite. Per questa ragione, il d.lgs. n. 195/2008 è stato coordinato con la disciplina di prevenzione dell’uso del sistema finanziario per scopi di riciclaggio e di finanzia mento del terrorismo – contenuta nel d.lgs. 22 giugno 2007, n. 109 e nel d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, con cui è stata recepita la direttiva 2005/60/CE del Parla mento e del Consiglio del 26 ottobre 2005 87 – prevedendo un sistema di scambio di informazioni, di dati e di notizie tra le Autorità competenti italiane e quelle degli altri Stati membri della Comunità europea. A tal fine, l’art. 1 del d.lgs. n. 195/2008 richiama “finanziamento del le nozioni di terrorismo”, già “riciclaggio” previste e ai di fini amministrativi dal d.lgs. n. 231/2007. Ciò comporta che, nel caso di trasferimento al seguito di denaro contante o di valori a questo assimilati dall’art. 1 del d.lgs. n. 195/2008, anche di importo inferiore a 10.000 euro, per i quali sussistano elementi tali da far ritenere che la movimentazione da o verso l’estero possa costituire una possibile tecnica di riciclaggio, le Autorità di controllo sono tenute ad informare l’UIF, anche se colui che le sta trasferendo è lo stesso soggetto che ha commesso il delitto presupposto. 4.6.2. Autorità competenti Al fine di controllare l’adempimento degli obblighi di dichiarazione, il regola mento n. 1889/2005 prevede che i funzionari delle Autorità competenti dei paesi membri possano sottoporre a controllo, alle condizioni previste dalle legislazioni 88 nazionali, le persone fisiche, i loro bagagli ed i mezzi di trasporto utilizzati. L’art. 2 del regolamento n. 1889/2005 stabilisce che le Autorità competenti sono le autorità doganali degli Stati membri o altre autorità autorizzate dagli Stati membri ad applicare il presente regolamento. In linea con questa definizione, l’art. 1, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 195/2008 individua, in conformità alla cornice istituzionale nazionale, le Autorità preposte a tutela del sistema di sorveglianza nazionale sui movimenti transfrontalieri di valuta nell’Agenzia delle Dogane e nella Guardia di Finanza, cui attribuisce poteri di controllo, accertamento e contestazione delle violazioni connesse agli obblighi dichiarativi di cui trattasi, in virtù delle rispettive norme di riferimento. 4.6.3. L’obbligo di dichiarazione L’art. 3 del d.lgs. n. 195/2008 prevede che ogni persona fisica che entra nel territorio nazionale o ne esce e trasporta denaro contante di importo pari o superiore a 10.000 euro deve dichiarare tale somma all’Agenzia delle Dogane. Ciò comporta 89 che la disciplina dei movimenti transfrontalieri di denaro contante si applica sia per i passaggi intracomunitari di persone dirette dall’Italia verso un altro Paese dell’Unione europea, e viceversa, sia per quelli extracomunitari dei soggetti che varcano la frontiera dello Stato italiano da e verso un Paese non appartenente alla Comunità europea. L’obbligo di dichiarazione trova applicazione per ogni viaggiatore che entra o esce per via aerea, stradale, ferroviaria o marittima, a prescindere dal motivo del viaggio, così come non rileva la qualifica di proprietario del denaro, per cui se una persona fisica trasporta denaro per conto di una persona giudica o per un altro soggetto, tale persona deve effettuare la dichiarazione indicando il nome della persona giuridica o dell’altro soggetto. Per le persone fisiche che viaggiano in gruppo, il limite di 10.000 euro si applica singolarmente a ciascuna persona71. Ai fini della configurabilità dell’adempimento in questione, non rilevano le concrete modalità di trasporto del denaro contante, che possono essere sia palesi (ad esempio, nel portafogli, nel bagaglio a mano o da stiva) sia occulti (ad esempio, nascosta in doppi fondi di borse, 71 . L’obbligo di dichiarazione all’Agenzia delle Dogane sussiste anche per le somme trasportate da minori, fermo restando che l’adempimento dichiarativo grava in capo ai genitori o alle persone che ne esercitano la patria potestà. 90 autovetture, biciclette, nella biancheria intima, in pacchetti di sigarette o derrate alimentari)72. Le disposizioni sui movimenti di valuta oltre frontiera non si applicano ai trasferimenti di vaglia postali o cambiari, ovvero di assegni postali, bancari o circolari, tratti o emessi da banche o Poste Italiane S.p.a. che rechino l’indicazione del nome del beneficiario e la clausola di non trasferibilità, in quanto strumenti tracciabili dal sistema bancario. In questo senso, restano, in ogni caso, applicabili le disposizioni contenute nell’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007 in materia di circolazione del denaro contante e degli altri mezzi di pagamento, con particolare riguardo a quelle riguardanti il divieto di trasferimento, effettuato a qualsiasi titolo fra soggetti di versi, di denaro contante, di libretti al portatore o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta, quando il valore dell’operazione è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro, l’obbligo di emettere assegni bancari, 72 Tra i sistemi di occultamento delle somme di denaro, l’esperienza degli organi di controllo ha individuato molteplici forme, quali: la c.d. “polverizzazione” dei trasferimenti, ossia la ripartizione delle somme di proprietà di un soggetto tra più passeggeri prima di attraversare la frontiera, allo scopo di non eccedere il limite quantitativo stabilito dalla legge, per poi riacquisirne la disponibilità una volta passato il confine; il trasporto di denaro sulla persona (scarpe, calzini, slip, reggiseno, legati alla vita, in mezzo ai biglietti da viaggio, nella carta di imbarco e/o nei documenti portati a mano); il trasporto nel bagaglio o direttamente a bordo di autovetture, all’interno di vani quali cassetti, braccioli e schienali portaoggetti oppure in appositi doppifondi creati ad hoc, o ancora in pacchi di biscotti, cioccolata, pasta ed altri generi alimentari, libri o portafoto; l’occultamento di banconote all’interno di sigarette, preventivamente svuotate del tabacco o all’interno di salvaslip preventivamente separati e successivamente rincollati a caldo in modo da non lasciare segni evidenti di alterazione. S. TAMBURELLO, Tutti i trucchi per esportare valuta. In una valigetta? Sei milioni, in Corriere della Sera, 30 marzo 2012. 91 postali e circolari, vaglia postali e cambiari di importo pari o superiori alla predetta soglia con l’indicazione del beneficiario e la clausola di non trasferibilità e la possibilità di girare unicamente all’incasso ad una banca o a Poste Italiane S.p.a. gli assegni bancari e postali emessi all’ordine del traente. 92 CAPITOLO QUINTO LA RESPONSABILITÀ INTERMEDIARI AMMINISTRATIVA FINANZIARI E LA DEGLI DISCIPLINA ANTIRICICLAGGIO 1. Premessa Il Decreto Legislativo del 21 novembre 2007, n. 231, ha introdotto un raccordo tra la disciplina antiriciclaggio e quella sulla responsabilità amministrativa degli enti prevista dal Decreto Legislativo del 8 giugno 2001, n. 231. Entrambi i decreti perseguono il fine comune di preservare l’impresa dal coinvolgimento in attività illecite e di evitare effetti distorsivi per la concorrenza e per l’ordine economico nel suo complesso. 2. Elementi distintivi Gli scopi specifici dei due plessi normativi sono differenti. Nel caso del d.lgs. 231 del 2001, si tratta di evitare che il personale dell’impresa commetta determinati reati nell’interesse 93 o a vantaggio dell’impresa stessa. Le norme del decreto si applicano, a prescindere dall’attività svolta, sia agli enti dotati di personalità giuridica sia alle associazioni che ne sono prive73. La disciplina antiriciclaggio dettata dal d.lgs. 231 del 2007, invece, mira principalmente a evitare che, per l’attività svolta, determinate categorie di soggetti siano anche inconsapevolmente utilizzate dai propri clienti per riciclare beni di provenienza illecita. Queste differenze si riflettono sul ruolo della banca che è interessata da entrambi i sistemi di norme. Ai sensi del decreto del 2001, la banca viene in considerazione come impresa ed è responsabile se i reati previsti vengono commessi dai propri vertici o dai dipendenti nell’interesse o a vantaggio della banca stessa, salvo che ricorrano i presupposti per l’esenzione dalla responsabilità. In applicazione del decreto del 2007 la banca, al pari degli altri soggetti obbligati, è invece chiamata a svolgere una funzione inquadrabile tra i doveri civici di collaborazione con i pubblici poteri, ai fini della prevenzione e repressione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. 73 Restano esclusi solo gli enti pubblici territoriali, quelli non economici e gli enti con funzioni di rilievo costituzionale. 94 Anche la nozione di riciclaggio presa in considerazione dalle due normative è differente. L’art. 25-octies del d.lgs. 231/2001 - introdotto nel decreto stesso dall’art. 63, comma 3, del decreto legislativo emanato con lo stesso numero d’ordine nel 2007 - ha esteso la responsabilità amministrativa degli enti ai reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (artt. 648, 648-bis e 648-ter c.p.). Tali reati si aggiungono, pertanto, ad altri reati “economici” già previsti dal Decreto del 200174 come presupposto della responsabilità amministrativa degli enti di appartenenza, qualora siano commessi, nell’interesse o a vantaggio di questi (art. 5), da soggetti in posizione tanto apicale quanto subordinata (artt. 6 e 7)75. Considerata la struttura complessa del reato di riciclaggio, la cui consumazione presuppone la provenienza dei beni da riciclare da un precedente reato, l’estensione della responsabilità quasi penale degli enti ai reati riciclativi ha prodotto indirettamente l’effetto di attrarre nell’ambito di applicazione delle norme di esonero dalla responsabilità previste dal d.lgs. 231/01 anche i 74 Tra i quali la truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche; i reati societari dal falso in bilancio al falso in prospetto; gli abusi di mercato. 75 Il novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti è venuto progressivamente allargandosi per effetto di successivi interventi normativi. Inizialmente i reati presupposto erano solo tre: corruzione, concussione e truffa. 95 “delitti non colposi” che, in base al diritto penale vigente, possono tutti costituire presupposto del riciclaggio. Di ciò deve tenersi conto nel predisporre un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione di condotte riciclative, avuto in particolare riguardo alla necessità di individuare anche le aree nel cui ambito possono essere commessi i reati presupposto. Come si è detto, la nozione di riciclaggio introdotta dal d.lgs. 231/2007 ai soli fini dell'applicazione del decreto stesso differisce da quella alla base dei reati riciclativi di cui all’art. 25octies del d.lgs. 231/2001. Tale nozione si caratterizza per una maggiore ampiezza nella definizione delle condotte e nell’individuazione dei presupposti oggettivi e soggettivi che fanno scattare l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette. In particolare, in un contesto che trascende l'ambito nazionale, essa comprende anche le attività di auto-riciclaggio, come noto, non punite autonomamente dal diritto penale vigente nel nostro Paese in quanto considerato post-factum non punibile, ai sensi dell’art.81, cpv. del Codice Penale76. 76 r. Concorso formale. Reato continuato :“E’ punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo (…)chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”. 96 3. Analogie Comune a entrambe le normative è il ruolo fondamentale attribuito agli strumenti organizzativi e di controllo interno delle imprese. Tanto i requisiti del modello facoltativo di esonero dalla responsabilità previsto dal d.lgs. 231/01, quanto le disposizioni imperative dettate dal d.lgs. 231 del 2007 in materia di procedure organizzative e controlli interni a fini antiriciclaggio, inducono gli enti a individuare e presidiare le aree più esposte al rischio; a verificare e adeguare nel continuo l’idoneità dei modelli organizzativi e delle procedure; a curare la formazione del personale. Sussiste una sostanziale coincidenza di approccio fra le due discipline “231”, che muovono entrambe dal convincimento che efficaci assetti organizzativi e di governo costituiscono condizione essenziale per prevenire e mitigare i fattori di rischio aziendali e, in particolare, i rischi di condotte riciclative. In base al d.lgs. 231/01, l’ente è esonerato dalla responsabilità per i reati commessi dai propri vertici o dipendenti, qualora abbia 97 adottato ed efficacemente attuato modelli organizzativi e di controllo idonei a evitare tali reati (artt. 6 e 7)77. Nell’ambito dei presidi organizzativi e di controllo, assume prioritario rilievo l'apposito Organismo di Vigilanza , al quale competono in autonomia funzioni di verifica dell’efficienza e del buon funzionamento dei modelli organizzativi. L’idoneità del modello organizzativo va valutata ex ante, verificando che l’ente abbia fatto il possibile per evitare che un reato della specie di quello realizzato potesse essere commesso78. Una visione realistica ed economica dell’azienda richiede che nella valutazione si tenga conto delle dimensioni, dell'organizzazione, della natura dell’attività svolta e della stessa storia dell’ente. 77 L’articolo 6, comma 2 del d.lgs. 231/01 indica i requisiti ai quali il modello deve rispondere: 1) individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi reati (cd. “mappatura” del rischio); 2) programmi di formazione e individuazione delle modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati; 3) obblighi di informazione nei confronti dell’Organismo di Vigilanza; 4) un sistema disciplinare per la violazione delle regole contenute nel modello stesso. 78 L’articolo 63, comma 3, del d.lgs. 231/07 attribuisce infatti alla UIF il compito di formulare un parere al Ministero della Giustizia circa l’idoneità teorica dei “modelli di organizzazione e di gestione” previsti dall’art. 6 del d.lgs. 231/2001, a esentare l'ente dalla responsabilità amministrativa per i reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. 98 4. Profili di responsabilità Per gli intermediari bancari e finanziari i rischi legali e reputazionali connessi a condotte di riciclaggio poste in essere da dirigenti o dipendenti, che agiscano nell’interesse o a vantaggio dell’ente, sono rilevanti. Tuttavia, essendo il riciclaggio un delitto doloso, è importante ricordare che esso si concretizza soltanto nell’ipotesi in cui l’autore abbia la consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni oggetto dell’operazione. Di converso, ex d.lgs. 231/07, le condotte omissive relative all’adeguata verifica della clientela, alla registrazione delle relative informazioni e alla comunicazione delle infrazioni ex art. 52, salvo che concretizzino ipotesi di concorso nel reato di riciclaggio, sono suscettibili di sanzioni penali lievi solo a norma dell’art. 55 del d.lgs. 231/07. La loro eventuale integrazione da parte dell’operatore bancario, ancorché, in ipotesi, nell’interesse o vantaggio della banca, non comporta responsabilità ai sensi del d.lgs. 231/01, non essendo detti reati compresi nell’elenco tassativo dei reati presupposto di cui agli articoli 24 e ss. del medesimo decreto. 99 La banca potrà invece incorrere nella responsabilità solidale per gli illeciti amministrativi previsti dagli artt. 57 e 58 del medesimo d.lgs. 231 del 2007. Con particolare riguardo all’omessa segnalazione di operazioni sospette (art. 57, comma 4, in relazione all’art. 41), si potrebbe ipotizzare che la violazione dell’obbligo di segnalazione possa considerarsi condotta idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene e, dunque, astrattamente rilevante ai fini della violazione dell’art. 648 bis c.p.79 79 Una tale interpretazione comporta però il rischio di sanzionare penalmente comportamenti che possono essere imputati a mera colpa, laddove invece, ai fini della sussistenza del reato di riciclaggio, è richiesto il dolo. Ove peraltro il dipendente dell’intermediario, omettendo la segnalazione, abbia inteso scientemente occultare la provenienza delittuosa del bene, potrà ben essere chiamato a rispondere di riciclaggio se ha agito in concorso con il cliente, nella consapevolezza dell’illecita origine dei beni. L'eventuale concorso alla commissione del reato presupposto esclude peraltro - come si è detto - la punizione del responsabile anche per riciclaggio. 100 CAPITOLO SESTO LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DEL RICICLAGGIO E LA SUA NECESSARIA REPRESSIONE 1. Gli effetti macro e microeconomici del riciclaggio del denaro La maggiore facilità con cui il black money può essere polverizzato e occultato determina significativi effetti distorsivi a livello sia macroeconomico che microeconomico. Sotto il primo profilo, la disponibilità di capitali di origine illecita e la sottrazione di risorse all’erario è in grado di80: - alterare i meccanismi di regolamentazione dei mercati, le regole della leale concorrenza tra le imprese e la corretta allocazione delle risorse; - rallentare la crescita economica, in quanto la ricchezza generata dalle risorse reimpiegate da organizzazioni criminali non viene 80 Cfr. M. Condemi - F. De Pasquale, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale n. 60 della Banca d’Italia, 2008. 101 reimmessa nel circuito economico, ma rimane nella disponibilità di queste; - contrarre il gettito tributario ed aumentare la pressione fiscale sulle categorie di contribuenti, quali i titolari di reddito di lavoro dipendente, che non sono in grado di evadere; - alterare i criteri di ripartizione della spesa pubblica a causa di un’errata valuta zione del reddito e della ricchezza; - incrementare la volatilità dei tassi di cambio e di interesse a causa di trasferimenti di fondi transfrontalieri non previsti. A livello microeconomico, la possibilità di disporre e di impiegare capitali “a costo zero”, derivanti da evasione fiscale o dal presso banche e i salari dei lavoratori dipendenti, che possono essere remunerati in tutto o in parte in nero con somme di provenienza illecita, ovvero investire i capitali sporchi, precedentemente fatti affluire nelle casse delle società mediante l’alterazione delle scritture contabili, direttamente nell’acquisto di materie prime o in altri fattori della produzione. 102 2. La collaborazione attiva in ragione dell’utilità sociale ex art. 41 Cost. Ben a ragione, dunque, la nostra Carta Costituzionale, nel Titolo riservato ai <<Rapporti economici>>, pone alla libertà dell’iniziativa economica privata inderogabili limiti, affermando che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, demandando poi alla legge ordinaria la previsione degli opportuni controlli perché l’attività economica , sia pubblica che privata “possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (art. 41). In proposito è da notare che, secondo l’interpretazione del Giudice delle leggi, il concetto di “utilità sociale”, di ampia estensione, ricomprende anche la prevenzione dei reati. Nella norma costituzionale appena citata sembrerebbero annidarsi le fondamenta dell’intera normativa antiriciclaggio. In particolare, l’ottemperanza dei destinatari della stessa all’obbligo di “collaborazione attiva”.81 81 Così P.L. Vigna, op.cit. 103 Prescrivere la cooperazione in ragione dell’utilità sociale è lo strumento opzionato dall’ ordinamento giuridico italiano avente quale obiettivo l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53 della Costituzione). Solo muovendo da tali valori precettati nella Carta fondamentale possono dispiegarsi le ragioni a fondamento di talune misure cogenti e “invasive” predisposte dal Legislatore a tutela di un sistema economico finanziario saturo e “drogato”. Sicché, istituti quali il segreto bancario debbono definitivamente abdicare in virtù di esigenze pubblicistiche contingenti ed ineludibili, non solo dinanzi ad una richiesta dell’ Autorità Giudiziaria penale. 104 3. La nuova anagrafe dei rapporti finanziari: fine del segreto bancario Con l’emanazione del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 20182, c.d. “decreto Salva-Italia”, banche ed intermediari finanziari dovranno rendicontare entro 31 ottobre 2013 all'Agenzia delle Entrate tutti i dati sui conti correnti, le movimentazioni degli stessi, gli investimenti, l'utilizzo delle carte di credito e perfino delle cassette di sicurezza dei propri clienti riferiti al 2011. Per quelli riferiti al 2012 il termine è il 31 marzo 2014 mentre per gli anni 2013 e seguenti le comunicazioni dovranno avvenire entro il 20 aprile dell'anno successivo. Per rendere contezza della portata copernicana della nuova Anagrafe dei Rapporti Finanziari, basti dire che prima di essa l’Amministrazione finanziaria aveva accesso solo ai dati identificativi del conto corrente e poteva chiedere maggiori informazioni previa apertura di un accertamento formale a carico di un contribuente specifico. Ne conseguirà la conoscenza di ogni singolo rapporto finanziario esistente (compresi i saldi iniziali e 82 << Disposizioni urgenti per la crescita, l' equità e il consolidamento dei conti pubblici>>. Pubblicato in G.U. n.284 del 6 dicembre del 2011. 105 finali dell'anno); gli importi totali delle movimentazioni distinte tra accrediti e bonifici; tutti i dati riferiti ai conti deposito titoli e obbligazioni, buoni fruttiferi, contratti delle gestioni risparmio e patrimoniali; importo totale degli acquisti con la carta di credito; le ricariche per quelle prepagate; il numero di accessi alle cassette di sicurezza; gli incrementi di valore o i riscatti relativi alle polizze assicurative; gli acquisti e le vendite di oro. Incrociando questi dati con le dichiarazioni dei redditi l'Agenzia delle Entrate compilerà delle liste di contribuenti sottoponibili a controlli fiscali laddove vi si palesasse una discrasia tra li stessi83. In conclusione, potrà affermarsi come l’intero sistema bancario italiano debba necessariamente sacrificare l’intrinseca circospezione dei rapporti tra essa ed il cliente sull’altare della trasparenza pubblica, in ragione del proprio osservatorio privilegiato. Giova rimarcare, infatti, che il primo dei tre stadi84 83 Essa dovrà attestarsi al 20%. Ad esempio, se un contribuente dichiara 30 mila euro, ma con la carta di credito fa acquisti nello stesso anno per decine di migliaia di euro senza intaccare i risparmi o senza avere entrate straordinarie e magari sostiene anche una serie di spese elevate (vacanze esclusive, auto di lusso, eccetera) sarà sottoponibile ad accertamento. 84 Il secondo stadio è il c.d. laundering. Con esso si dissociano i guadagni dalla fonte illecita. Eliminandone ogni traccia contabile, ricorrendo a trasferimenti elettronici o riconversione in denaro contante. Il terzo stadio: integration, consiste nell’immissione del denaro nel sistema legale con modalità apparentemente lecite. 106 cui consta il riciclaggio del denaro sporco sia l’ immersion, detta anche fase di collocamento, ovverosia la trasformazione del denaro contante – o suoi surrogati – di origine delittuosa in “moneta scritturale”, cioè in un complesso di saldi attivi, talvolta frazionati o con l’accensione di più conti, proprio presso gli intermediari finanziari. Dunque, essi, per ben ottemperare agli adempimenti volti alla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a fini di riciclaggio di proventi illeciti debbono cementificare presìdi specifici quali: la previsione ed istituzione di una apposita funzione incaricata di sovrintendere all’impegno di prevenzione e gestione dei rischi, coinvolgimento operativo degli organi societari85; la creazione di una funzione ad hoc, avente tra le sue attribuzioni, oltre che di coadiuvo consultivo ai soggetti apicali, l’individuazione di compliance finalizzati alla prevenzione ed il controllo dei rischi di riciclaggio e verificarne nel continuo il loro grado di efficacia. In definitiva, di guisa all’attuazione “indifferibile” di interessi costituzionalmente tutelati, la banca – con l’adeguata verifica 85 Il provvedimento del 10 marzo 2011 di Banca d’Italia definisce come organi aziendali : <<L’organo con funzione di supervisione strategica>> (il Consiglio di amministrazione); << l’organo con funzione di gestione>> (gli organi del consiglio di amministrazione con funzioni esecutive); <<l’organo con funzione di controllo>> (il Collegio sindacale). 107 della clientela, la registrazione/conservazione dei documenti e la segnalazione di operazione sospetta - da torre d’avorio assolutamente impenetrabile86 , diviene collaboratore “attivo” dell’ Autorità Pubblica. 4. Rapporto causa/effetto tra il fenomeno del riciclaggio e la crisi del 2008 “Siamo affondati in un enorme pantano, per aver commesso un errore nel controllo di una macchina delicata di cui non comprendiamo il funzionamento. Separare le reali operazioni di un’impresa dai suoi proprietari è, in periodi di difficoltà, intollerabile: io non sono responsabile di ciò che posseggo e coloro che gestiscono la mia proprietà non sono responsabili nei miei confronti […] ma l’esperienza mostra come il distacco di cui sopra provocherà, nel lungo periodo, tensioni e antagonismi, facendo fallire il calcolo finanziario. Sarebbe più facile realizzare opportune manovre interne di politica economica se potesse essere impedito il fenomeno 86 Così Pollari, Tecnica delle inchieste patrimoniali per la lotta alla criminalità organizzata, cit. Laurus Robuffo, 1995 108 conosciuto come ‘fuga di capitali’. […] I controlli sui capitali sarebbero stati più efficaci se i destinatari dei capitali in fuga avessero contribuito all’applicazione dei controlli, condividendone le informazioni. Il lavoratore salariato comune e il piccolo commerciante non fanno ricorso ad artifizi di questo tipo. L’elusione legalizzata o l’evasione fiscale da parte dei cosiddetti ‘leader del mondo degli affari’ […] scaricano un ulteriore fardello sui membri della comunità che sono meno in grado di sopportarlo e che già si fanno carico volenterosamente della loro parte. La finanza deve essere al servizio della società e non il contrario.” Così, John Maynard Keynes, nella ricerca di un futuribile ordine economico a margine della Grande Depressione.87 Parole di raggelante preveggenza se parafrasate al mondo moderno, in cui derivati di credito e altre forme di ingegneria 87 Per gran parte del Diciannovesimo secolo, il dibattito economico fu dominato dai fautori del libero scambio: si sosteneva che il libero commercio generasse prosperità e favorisse la pace accentuando, così, le connessioni economiche tra le nazioni e creando interdipendenze pacifiche. La grande Depressione, iniziata nel 1929, fu il punto di arrivo di un lungo periodo di deregolamentazione e libertà economica e di un prolungato rialzo dei mercati, fondato su un peregrino indebitamento e su un’incredibile disuguaglianza economica. J.M. Keynes, La Grande Depressione del 1930, Esortazione e profezie, il Saggiatore e Autosufficienza Nazionale. 109 finanziaria criminale hanno scatenato il caos economico: la crisi globale, e globalizzata, del 2008. Essa insalda le sue radici in complesse dinamiche finanziarie a livello internazionale, nel deficit di regolamentazione e dell’azione di vigilanza di alcuni settori dei mercati finanziari che, nel tempo, hanno agevolato la circolazione di ingenti flussi di capitali, anche di origine illecita, incidendo negativamente sulla distribuzione della ricchezza e sulla stabilità, efficienza e competitività del sistema finanziario. La crescita esponenziale delle opportunità di transazioni sul mercato non ha seguitato un proporzionale adeguamento della qualità e dell’estensione dei controlli, ragione per cui la criminalità economica ha potuto più agevolmente cogliere le opportunità connesse al mutato scenario per diversificare le proprie attività illecite. La crescente integrazione dei mercati ha progressivamente ampliato il divario tra dimensione economica, ormai globalizzata, e sovranità degli Stati, per sua natura esercitabile sul solo territorio nazionale. Questa asimmetria ha generato un deficit di tutela, in virtù della limitata efficacia delle misure adottate dai 110 singoli Stati sulle dinamiche del mercato globale, che viene sfruttato dalla criminalità per gestire i traffici illeciti e il conseguente reimpiego dei proventi da questi ottenuti, creando imprese multinazionali ed utilizzando strumentalmente i paradisi fiscali (il 60% dei movimenti finanziari nel mondo avviene attraverso le società offshore dei tax heaven). Conseguentemente, il rischio che enormi masse di denaro gestite dal crimine transnazionale si riversino nei circuiti bancari e finanziari internazionali per essere riciclate si è notevolmente amplificato. Proprio il ricordato gap tra sovranità nazionale e transnazionalità del crimine, a fortiori in un periodo di crisi economica, pone in rilievo l’ ineludibilità di una uniformazione ed armonizzazione dei presìdi a tutela dell’integrità del sistema economicofinanziario a livello globale. Su tale intendimento Il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA)88. Tale articolato segna un’ innovazione epocale, ovverosia, estende la possibilità di una due diligence del clientecontribuente anche fuori dai confini domestici per contrastare il fenomeno del riciclaggio e della evasione fiscale off shore. Esso prevede il coinvolgimento di banche, istituzioni finanziarie, 88 Adottata dagli Stati Uniti il 18 marzo 2010 come emendamento all’Hiring Incentives to Restore Employment (HIRE) Act. 111 brokers e compagnie di assicurazione straniere, al fine di eseguire una pregnante adeguata verifica su eventuali americani tra i loro clienti e consegnare informazioni sui loro conti all’Internal Revenue Service (IRS), l’amministrazione fiscale USA (o ad un governo straniero, se questo ha un accordo di scambio con gli Stati Uniti). L’obiettivo del FATCA, tuttavia, è quello di ottenere la comunicazione delle informazioni riguardanti i clienti americani, adottando un approccio intergovernativo finalizzato ad estendere il più possibile l’applicazione della normativa in esso contenuta ed a migliorare la compliance fiscale internazionale. A loro volta, in una prospettiva di collaborazione, gli Stati Uniti si impegnano – attraverso accordi bilaterali - ad effettuare, su base di reciprocità, l’acquisizione e lo scambio automatico di informazioni relative a conti detenuti in istituzioni finanziarie statunitensi da residenti di altri Paesi.89 Su tale direttrice, nell’estate 2012, il joint agreement tra L'Italia, la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Spagna e gli Stati 89 In questo modo verrà eliminata la necessità per le istituzioni finanziarie interessate di ricorrere a singoli accordi contrattuali con le autorità fiscali statunitensi e si semplificheranno le procedure di adempimento. L’eventuale non adesione a FATCA da parte di un Intermediario finanziario comporterà una tassazione “punitiva” alla fonte del 30% sui proventi di origine USA destinati a tutti i suoi clienti, sia americani che non. Si tratta di una misura molto penalizzante che, nelle intenzioni del Governo americano, ha l’obiettivo di costituire un disincentivo all’eventuale non adesione all’accordo da parte degli Intermediari. 112 Uniti. Da esso ne discende lo scambio automatico di informazioni in due direzioni (da e verso gli Stati Uniti) - scevro da qualsivoglia richiesta specifica – e l’impegno alla collaborazione nel lungo termine sì da raggiungere standard comuni in materia di obblighi dichiarativi, reporting comune e di due diligence90. Mentre si scrive, vari negoziati sono in essere volti alla realizzazione di un accordo Fatca. Svizzera, Australia, Jamaica, Taiwan, Canada, accomunati dal desiderio o dall’esigenza di una trasparenza del sistema bancario tendente alla correttezza fiscale. Lo iato tracciato dal Facta sembra godere della fiducia degli Stati firmatari. Anzi, l’auspicio degli stessi, segnatamente dei cinque Paesi europei, è che Fatca divenga modello comune di scambio di informazioni tale da estenderne la delineata collaborazione agli altri Paesi europei, e all’area Ocse. In conclusione, le misure politiche volte alla prevenzione del sistema economico-finanziario sembrerebbero convogliare in un apparato collaborativo a doppia intensità. Se da un lato i singoli Stati prescrivono tutta una serie di forme di collaborazione agli 90 così il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, Mario Monti ne “Dichiarazione Congiunta in merito ad un Approccio Intergovernativo finalizzato a migliorare la Compliance Fiscale Internazionale e ad applicare la normativa FATCA” dell’ 8 febbraio 2012”. 113 intermediari finanziari, dall’altro, gli Stati stessi, per una totalizzante politica preventiva al fenomeno del riciclaggio del denaro, dovranno cooperare in modo sinergico con gli altri Stati. Se la criminalità ha ascritto alla transnazionalità carattere indisponibile volto all’egemonia economica, ciò che necessita, in special modo nella contingente congettura economica, è la genesi di una legalità transnazionale. 114 BIBLIOGRAFIA - G. AMATO, Il riciclaggio del denaro sporco, Laurus Robuffo, 1993 - D. AMMIRATI, Il delitto di riciclaggio nel sistema bancario e finanziario interno ed internazionale, Cedam, 1994 - M. ARENA – R. 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