universita` degli studi di bari

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI
“ALDO MORO”
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
TESI DI LAUREA IN
LEGISLAZIONE ANTIRICICLAGGIO E INVESTIGAZIONI FINANZIARIE
SISTEMA BANCARIO E MISURE DI PREVENZIONE AL
RICICLAGGIO DEL DENARO
RELATORI:
Magnifico Avv. Prof. Antonio Felice Uricchio
Ch.mo Avv. Prof. Emanuele Fisicaro
LAUREANDO:
Alessio Castronuovo
ANNO ACCADEMICO 2011/2012
18 Aprile 2013
SISTEMA BANCARIO
E MISURE DI PREVENZIONE
AL RICICLAGGIO DEL DENARO
a Valentina
SISTEMA BANCARIO E MISURE DI PREVENZIONE
AL RICICLAGGIO DEL DENARO
INDICE
Capitolo I
Il “fenomeno” del riciclaggio del denaro
1.
2.
3.
4.
Il “fenomeno” del riciclaggio del denaro
Globalizzazione e storicizzazione del fenomeno
Ricerca di anonimato e paradisi “finanziari”
Segreto bancario e disciplina antiriciclaggio
1
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CAPITOLO II
La configurazione del reato di riciclaggio
1. La fattispecie incriminatrice
2. La clausola di riserva “Fuori dei casi di concorso nel reato”
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CAPITOLO III
Evoluzione della disciplina antiriciclaggio
1. Premessa
2. Le origini della disciplina
2.1 La raccomandazione del Consiglio D’Europa 27 giugno 1980
2.2 La Dichiarazione di princìpi di Basilea 12 dicembre 1988
2.3 La Convenzione di Vienna 19 dicembre 1988
2.4 L’attività e le Raccomandazioni del GAFI/FATF
2.5 La Convenzione di Strasburgo 8 novembre 1990
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2.6 La Convenzione di Palermo 15 dicembre 2000
3. La disciplina comunitaria
3.1 La Direttiva n. 91/308/CEE
3.2 La Direttiva n. 2001/97/CE
3.3 La Direttiva n. 2005/60/CE
3.4 Legge delega 25 gennaio 2006, n. 29 (legge comunitaria 2005)
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4. Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231
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CAPITOLO IV
La normativa antiriciclaggio nel sistema bancario
1. Premessa
2. Gli obblighi di adeguata verifica e registrazione
2.1.1 Il concetto di rischio
2.1.2 Obbligo di astensione
2.1.3 Obblighi semplificati e rafforzati di adeguata verifica della clientela
2.1.4 Obblighi di adeguata verifica della clientela da parte di terzi
2.2 Obblighi di registrazione: l’Archivio Unico Informatico
3. La segnalazione di operazioni sospette
3.1.La procedura di segnalazione all’interno di un intermediario
3.2.Il percorso esterno delle segnalazioni
3.3.Le indicazioni operative della Banca d’Italia sulle La segnalazione di
operazioni sospette
3.4. I generatori di indici di anomalia: Gianos
4 Sistemi di pagamento e misure antiriciclaggio
4.1. La diffusione del denaro contante in Italia e i presìdi antiriciclaggio
4.2. La limitazione all’uso del denaro contante e dei titoli al
Portatore
4.3. La causa di trasferimento
4.4. Le operazioni frazionate
4.5. La circolazione transfrontaliera dei capitali
4.6. La disciplina interna vigente
4.6.1 Princìpi generali
4.6.2. Autorità competenti
4.6.3. L’obbligo di dichiarazione
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CAPITOLO V
La responsabilità amministrativa degli intermediari finanziari e la disciplina
Antiriciclaggio
1.
2.
3.
4.
Premessa
Elementi distintivi
Analogie
Profili di responsabilità
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94
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CAPITOLO VI
Le conseguenze economiche del riciclaggio e la sua necessaria repressione
1. Gli effetti macro e microeconomici del riciclaggio del denaro
2. La collaborazione attiva in ragione dell’utilità sociale ex art.41 della
Costituzione Italiana
3. La nuova anagrafe dei rapporti finanziari: fine del segreto bancario
4. Rapporto causa/effetto tra il fenomeno del riciclaggio e
la crisi mondiale del 2008
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CAPITOLO I
IL FENOMENO DEL RICICLAGGIO DEL DENARO
1. Il “fenomeno” del riciclaggio del denaro
Il riciclaggio è la tipica e necessaria conseguenza dell’agire
delittuoso.
È essenziale, per l’agire criminale, recidere - o cercare di recidere
- il cordone ombelicale che lega il denaro, i beni o le altre utilità
acquisiste, ai delitti commessi e che li hanno generati.
Il riciclaggio, assume, così, la caratteristica di “fenomeno”,
termine che, in una delle sue accezioni filosofiche più recenti,
indica il “rivelarsi dell’oggetto in sé”1.
L’oggetto in sé si presta ad analisi che pur salpando da diverse
prospettive - quale la dimensione quantitativa, l’apparato
preventivo e repressivo, la storicizzazione e l’estensione
internazionale attuale del fenomeno - debbono approdare ad una
considerazione unitarista dell’ humus del fenomeno.
1
Così P.L. Vigna ne il fenomeno criminale, in il Riciclaggio del denaro sporco. Il
fenomeno, il reato, le norme di contrasto, a cura di E. Cappa – L.D. Cerqua, cit., Giuffrè,
2008.
1
Secondo il Fondo Monetario Internazionale il denaro sporco
muove tra il 3 e il 5% del Pil del pianeta, pari ad una cifra che
oscilla tra 600 e 1500 miliardi di dollari statunitensi, come dire:
l’intera economia italiana.
Di contro, in Italia, ogni giorno, l’industria del riciclaggio
produce 410 milioni di euro, 17 milioni l’ora, 285mila euro al
minuto, 4750 euro al secondo. Banca d’Italia stima che
rappresenti da sola il 10 % del Pil, attestatosi di poco sopra a
1500 miliardi di euro. Con un fatturato di 150 miliardi di euro 2,
dunque, la “holding” del riciclaggio è la prima azienda del Paese,
davanti a un colosso come Eni, che con i suoi 120 miliardi è in
cima alla classifiche della produzione italiana e tra le venti
maggior imprese internazionali.
La massa dei capitali sporchi stacca di quasi un terzo il primo
polo bancario nazionale, Unicredit, fermo a 92 miliardi, ed è tre
volte più grande di un’azienda di credito come Intesa San Paolo.3
Per comprendere tali epidermiche dimensioni, deve premettersi,
che il “denaro sporco” è di per sé “poco liquido”, è spendibile
senza difficoltà solo nello stesso circuito illegale (in una logica di
reinvestimento criminale, ad esempio in cocaina o dazione di
2
3
Cfr. N. Pollari, Impatto dell’introduzione dell’euro, cit.
P. Grasso, Soldi sporchi, Dalai editore, 2008.
2
tangenti). I proventi criminali hanno quindi un potere di acquisto
solo “potenziale” che il riciclaggio ha la funzione di trasformare
in effettivo. Sotto questo profilo si può dire che la possibilità di
accedere a “servizi di riciclaggio” è, spesso, un elemento
determinante nella stessa programmazione dei reati.
Ad esempio, nei circuiti del narcotraffico, il riciclaggio è un
momento fondamentale, programmato quasi in una logica
imprenditoriale dal gruppo criminale; costituisce un’attività
specializzata da affidare ad operatori di fiducia, spesso con
modalità che può definirsi in “in outsourcing”4.
2. Globalizzazione e storicizzazione del fenomeno
La pericolosità del riciclaggio è accresciuta dal fatto che esso è
realizzato anche sfruttando, spesso più di quanto avviene nelle
attività legali, tutte le opportunità offerte da un’economia
globalizzata, in cui strumenti finanziari complessi e disponibilità
di tecnologie informatiche avanzate consentono ai riciclatori di
dissimulare più facilmente le identità coinvolte, di agire con
maggiore velocità, di stratificare molteplici atti di trasformazione
4
Così il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola, nel maggio
2011, in occasione del Master “Etica nella Pubblica Amministrazione e contrasto alla
corruzione”, presso la scuola Superiore dell’economia e delle finanze.
3
e trasferimento dei capitali, di operare a distanza in piazze
diverse.
Il riciclaggio, almeno nelle sue forme più rilevanti e insidiose,
tende sempre più a svolgersi in un contesto internazionale,
privilegiando i Paesi che, per negligenza o per mero calcolo
economico, presentano normative meno rigorose in tema di
identificazione della clientela e dei comportamenti sospetti.
Utilizzando le piaghe della legislazione, le mafie e i white collars
hanno scoperto la praticità di un riciclaggio in qualche modo
statico, che non muove direttamente capitali, ma li tiene fermi in
banche vincolate e/o dedite al segreto. Ciò attraverso l’utilizzo,
tra gli altri, di strumenti quali: trust5; sistemi di sottofatturazione
e/o sovrafatturazione, scambio fittizio di merci contro denaro nel
cui squilibrio in alto o in basso, si crea la sacca per il denaro
5
Il trust è un rapporto giuridico che sorge per effetto della stipula di un atto tra vivi o di un
testamento, con cui un soggetto (settlor o disponente) trasferisce ad un altro
soggetto(trustee) beni o diritti con l’obbligo di amministrarli nell’interesse del disponente o
di altro soggetto (beneficiario) oppure per il perseguimento di uno scopo determinato, sotto
l’eventuale vigilanza di un terzo (protector o guardiano), secondo le regole dettate dal
disponente nell’atto istitutivo di trust e dalla legge regolatrice dello stesso (che deve essere
necessariamente straniera).
L’atto istitutivo di regola prevede che, alla scadenza del trust, il fondo in trust venga
trasferito al beneficiario del trust (che può anche essere lo stesso disponente).
E’ anche possibile che il trust sorga per effetto di una dichiarazione unilaterale del
disponente, che si dichiara trustee di beni o diritti nell’interesse di beneficiario o per il
perseguimento di uno scopo (si parla in tal caso di trust c.d. autodichiarato o dichiarazione
unilaterale di trust).
4
altrimenti ingiustificabile; costituzione di shell company6;
utilizzo di “spalloni”7; servizi di money transfer; phishing8
mediante frodi informatiche; c.d. frode carosello9 ovvero lo
schema tipico del mutuo a me stesso.
Muovendo
da
quest’ultimo
artificio
finanziario,
potrà
rappresentarsi con più praticità: la storia, l’evoluzione ed i perché
contingenti dell’ humus del “fenomeno” in esame, rassegnando,
6
Società di comodo costituite da un intermediario che le mantiene non operative e
all’occorrenza le offre ai clienti, sempre dietro lo schermo dell’anonimato, con un duplice
vantaggio: l’immediata disponibilità e l’”anzianità” della carica di amministratore che si fa
risalire alla data di costituzione della società. Dettaglio importante, perché talvolta è
richiesta come garanzia per le operazioni internazionali.
7
Tra i sistemi di occultamento delle somme di denaro, l’esperienza degli organi di controllo
ha individuato molteplici forme, quali: la c.d. “polverizzazione” dei trasferimenti, ossia la
ripartizione delle somme di proprietà di un soggetto tra più passeggeri prima di attraversare
la frontiera, allo scopo di non eccedere il limite quantitativo stabilito dalla legge, per poi
riacquisirne la disponibilità una volta passato il confine; il trasporto di denaro sulla persona
(scarpe, calzini, slip, reggiseno, legati alla vita, in mezzo ai biglietti da viaggio, nella carta
di imbarco e/o nei documenti portati a mano); il trasporto nel bagaglio o direttamente a
bordo di autovetture, all’interno di vani quali cassetti, braccioli e schienali portaoggetti
oppure in appositi doppifondi creati ad hoc, o ancora in pacchi di biscotti, cioccolata, pasta
ed altri generi alimentari, libri o portafoto; l’occultamento di banconote all’interno di
sigarette, preventivamente svuotate del tabacco o all’interno di salvaslip preventivamente
separati e successivamente rincollati a caldo in modo da non lasciare segni evidenti di
alterazione. S. TAMBURELLO, Tutti i trucchi per esportare valuta. In una valigetta? Sei
milioni, in Corriere della Sera, 30 marzo 2012.
8
Lo schema base prevede che un hacker rubi l’identità del titolare di un conto e lo svuoti
con un bonifico, dirottando la provvista su un altro conto intestato che fa da supporto. È
quest’ultimo poi a prelevare il denaro e a spedirlo, solitamente con un money transfer,
all’organizzatore della truffa.
9
Il sistema carosello si realizzata con delle combinazioni leziose, che consentono di creare
"ingenti fittizi crediti Iva".
1) In primo luogo si realizza una serie di società 'A', tutte con sede all'estero nell'ambito
dell'Unione Europea e di fatto create ad hoc per le operazioni delittuose, nonché una serie
di società 'B', con sede in Italia e anch'esse di fatto create ad hoc".
2) 'A' cede fittiziamente a 'B' un valore pari a '100' di servizi, di solito traffico telefonico o
materiale per adulti, senza pagare l'Iva poiché si tratta di cessione all'interno di Stati
appartenenti all'UE.
3) 'B' cede fittiziamente alle società 'C' i medesimi servizi per un valore di '100' sul quale
viene pagata da 'C' l'Iva per il 20%, poiché si tratta di una compravendita di servizi in Italia,
con un esborso finale apparente per 'C' di '120'.
4) 'C', infine, rivende ad 'A' i medesimi servizi con il sistema 'intra' (come detto applicabile
negli acquisti tra Stati Ue) al prezzo di '100' senza il pagamento dell'Iva.
5
sinteticamente, le criptiche gimcane poste in essere, su tutti, da
Meyer Lansky.
Quando Al Capone fu arrestato per evasione fiscale nel 1931, il
suo socio, Meyer Lansky, si diede ad escogitare stratagemmi per
far uscire il denaro della mafia degli Stati Uniti, con l’obiettivo di
farlo poi certamente rientrare ripulito di tutto punto.
Lansky iniziò nel 1932 con qualche operazione bancaria in
Svizzera, perfezionando la tecnica del loan back, ovvero il c.d.
mutuo a se stesso.
Lo schema messo in atto prevedeva l’uscita dagli USA di valigie
piene di contanti, diamanti, assegni circolari, azioni al portatore
non tracciabili; sicchè il denaro veniva depositato su conti
svizzeri cifrati, magari attraverso un Ansalt del Lichtenstein ( in
una societè anonyme con un unico azionista non identificato) per
maggior segretezza. La banca svizzera erogava quindi un prestito
ad un “malavitoso” degli Stati Uniti e il denaro “tornava a casa
ripulito”. Il beneficiario poteva persino dedurre il pagamento
degli interessi dal reddito imponibile dell’impresa negli USA.
Non solo, in quegli stessi anni la mafia italoamericana riuscì a
rimuovere la “frontiera” della criminalità organizzata, sì da
creare un centro di riciclaggio off shore dedito al business del
6
gioco d’azzardo, delle corse ippiche, della prostituzione e del
traffico di droga. Dapprima a Cuba, seguitamente si adoperò a
fare del Bahamas, colonia britannica, la principale giurisdizione
segreta
per
il
denaro
sporco
proveniente
dall’America
meridionale e settentrionale. Si costituì una così pregnante
egemonia criminale tale da insinuarsi finanche nelle opzioni
legislative. Ciò, culminò con la previsione del reato di violazione
del segreto bancario, avente, viepiù, il bene placet del governo di
“sua Maestà”.
Lansky, riconosciuto mastermind del crimine internazionale,
ebbe ad esclamare: <<Siamo più influenti Noi, della General
Motors!>>.
Il colonialismo così “infetto” si plasmò in criminalità economica
transnazionale ante litteram.
Orbene, tale digressione storica ben compendia le odierne
tridimensionali componenti d’estensione del riciclaggio di black
money:
 globalizzazione dei mercati;
 liaison Criminalità transnazionale - istituti bancari;
 riserbo bancario e “paradisi finanziari”.
7
3. Il Segreto Bancario e i paradisi “finanziari”
Con l’espressione “segreto bancario” si è soliti intendere quella
particolare riservatezza che tradizionalmente circonda i rapporti e
le transazioni istituite tra le banche e i loro clienti.
Come visto precedentemente, però, siffatto istituto più che mirare
ad una riservatezza del singolo insita alla patrimonialità delle
operazioni bancarie ha rappresentato vero e proprio usbergo
attraverso cui celare manovre riciclative.
Non solo, ma dal Bahamas di Lansky ad oggi si è registrato il
propanarsi, sullo scenario internazionale, di quei Paesi definiti
“Paradisi Fiscali” e “Paradisi Bancari”.
Con la prima espressione si suole indicare quei Paesi che non
prevedono l’imposizione fiscale sui redditi sia delle persone
fisiche che delle società, ovvero che assoggettano questi redditi
ad una tassazione minima, o comunque più bassa rispetto ad altri
Stati; con la seconda espressione, invece, si individuano quei
Paesi che applicano un rigido segreto bancario, garantendo così
l’anonimato sulle operazioni poste in essere con l’ausilio delle
banche domestiche.
8
Poiché il solo vantaggio fiscale non è più l’obiettivo primario
della criminalità, ma ad esso si aggiunge la ricerca della garanzia
al riserbo, che forse rappresenta l’aspetto più importante, sarebbe
più opportuno l’utilizzo di un neologismo meglio esemplificativo
come “paradisi finanziari”10.
Nel tentativo di profilare codesti Paesi, classificati tra Paesi ad
alto rischio e Paesi a medio/alto rischio11 , potrà scorgersi come
essi abbiano origini, dinamiche e peculiarità comuni:
i.
si elevano in qualità di colonie europee;
ii.
rese indipendenti, si caratterizzano per la presenza di
governi stabili, al più totalitari, che garantiscono continuità
politica, economica e valutaria;
iii.
godono di una posizione geografica strategicamente
favorevole, il più delle volte peninsulare.
In definitiva, l’apparato off shore è l’elemento trainante della
deregolamentazione finanziaria e della globalizzazione.
L’ off shore ( letteralmente “fuori costa”) esiste solo in relazione
a un “altrove”.
10
Così F. Toscano – R. Razzante, Il segreto bancario, cit..
11
Tra i primi: Colombia, Isole Cayman, Messico, Nigeria, Panama, Tailandia e Venezuela);
tra i secondi: Aruba, Bahamas, Brasile, Costa d’Avorio, Ecuador, India, Lichtenstein,
Pakistan, Paraguay, Uruguay).
9
4. Segreto bancario e disciplina antiriciclaggio
Lo schermo del riserbo bancario può assumere, dunque, anche
nei rapporti tra Stati, notevole rilevanza nel tutelare la segretezza
dell’operazione e nel garantire una esteriorità di legalità e
trasparenza ad attività illecite.
Il carattere transnazionale che riveste attualmente la problematica
afferente al segreto bancario rende ormai indifferibile prevedere
che le transazioni finanziarie avvengano nel modo più trasparente
e scritturato possibile.
Se è vero che il neologismo money laundering nasce
nell’America dei gangster anni ’30, è, altrettanto vero che a
livello internazionale e comunitario, solo a partire dagli anni ’80
hanno visto luce le prime ipotesi legislative, con denominatore
comune l’attività di regolamentazione e di prevenzione del
fenomeno del riciclaggio del denaro sporco: c.d. Anti-Money
Laundering.
La strategia condivisa - capovolgendo il principio “pecunia non
olet” che tradizionalmente aveva caratterizzato l’agire di
intermediari finanziari, operatori economici e perfino interi Stati
“Tax Heaven” - mira a trasformare gli stessi da potenziali
10
strumenti di riciclaggio a parte integrante ed “attiva” dello stesso
sistema di contrasto.
Di conseguenza, si è prescritto agli stessi una serie di obblighi di
collaborazione con le autorità competenti in materia, quali
customer due diligence, segnalazione di operazioni sospette e
adozione di adeguati assetti organizzativi, procedurali e misure di
controllo interno meglio precisati nei capitoli successivi.
11
CAPITOLO II
CONFIGURAZIONE DEL REATO DI RICICLAGGIO
1. La configurazione del reato di riciclaggio
Prima di procedere ad un esame puntuale delle misure di
prevenzione e contrasto del riciclaggio si necessita precisare cosa
intenda il Legislatore con il termine “riciclaggio”, ma soprattutto
quale estensione ascriva a tale incriminazione.
Dal nostro Codice Penale il riciclaggio emerge come un reato
concorsuale e associativo, nel senso che esso può essere
commesso da un soggetto estraneo alla produzione della risorsa
finanziaria, cioè che non concorre alla commissione del c.d.
reato presupposto, ma si presenta solo nella fase di gestione della
provvista.
La fattispecie incriminatrice può, così, scindersi:
- commissione del reato presupposto da parte di un soggetto
qualunque, reato punito dalla legge con la reclusione o multa.
In tale ambito, l’ipotesi delittuosa sottostante può essere di
vario tipo, come: evasione fiscale, false fatturazioni, traffico
12
di
stupefacenti,
usura,
reati
contro
la
Pubblica
Amministrazione, appropriazione indebita, truffa e/o reati
contro il patrimonio in genere, estorsione, rapina, sequestro di
persona, bancarotta fraudolenta, fino ai più moderni reati di
market abuse;
- intervento di un soggetto diverso dall’autore del reato
presupposto, quale può essere, in genere, un congiunto ovvero
una persona di fiducia ( prestanome o la più allegorica “testa
di legno”), il quale, essendo a conoscenza dell’origine illecita
della disponibilità, si preoccupa di gestire tale risorsa
finanziaria,
occultandone
la
provenienza
e
magari
reinvestendo i proventi illeciti in un’attività perfettamente
legale, rendendo così difficoltosa l’attività investigativa degli
inquirenti.
Il reato di riciclaggio è riconosciuto e punito, nel nostro
ordinamento penale, dagli art.648-bis e ter, ma soltanto di guisa
all’individuazione del reato presupposto, di cui sopra.
L’ipotesi criminosa del delitto di <<riciclaggio>> è stata
introdotta con l’art.648-bis fin dal 1978, con la legge n. 191,
nella quale venivano individuate quattro tipologie di reato
13
presupposto: rapina aggravata, estorsione, sequestro di persona e
traffico di stupefacenti.
La tassatività dei reati di base comportava, però, problemi sia di
natura interpretativa, sia di compatibilità con gli ordinamenti
delle Organizzazioni Internazionali, ma soprattutto, si rilevava
una riflessa criticità dal punto di vista operativo-accusatorio.
Per ovviare a tali inconvenienti, la legge 9 agosto 1993, n.328,
modificava l’art.648-bis12, eliminando la pregressa tassativa
indicazione dei reati con un ampio e generale “qualsiasi delitto
non colposo”.
L’attuale fattispecie indugia, soprattutto, sull’aspetto della
dissimulazione dell’origine delittuosa dei proventi che vengono
sostituiti o trasferiti, o in relazione ai quali vengono compiute
altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della
provenienza.
12
Adeguandolo alle disposizioni della Convenzione di Strasburgo stipulata nel 1990, cui si
dirà nel capitolo terzo.
14
Inoltre, affinché possa addivenirsi ad incriminazione occorre la
sussistenza del c.d. “dolo generico”, dispensando, in sede di
indagine probatoria , dell’accertamento del “dolo specifico13”.
Di contro, l’art.648- ter, quale delitto a consumazione anticipata,
è volto a contrastare e reprimere “l’impiego” di denaro, di beni o
altre utilità di provenienza illecita, introdotto nel codice penale
dalla legge n. 55/1990 e successivamente modificato, anch’esso,
dalla legge n. 328/199314.
Con tale fattispecie, dunque si è acuita, la intenzione del
legislatore di soffermarsi sull’articolato processo di laundering
dei capitali, cioè nella re-immissione sia nei circuiti finanziari
che nei flussi illeciti.
Sicchè, commette il delitto di << impiego di denaro, beni o altre
utilità di provenienza illecita>> colui il quale, fuori dei casi di
13
Accertare, cioè, che il soggetto abbia agito con l’intento di <<procurare a sé o ad altri un
profitto o di aiutare dei delitti ad assicurarsi i profitti del reato>>.
14
La quale ha compiuto la medesima operazione effettuata sul tessuto dell’articolo 648bis, eliminandone l’indicazione tassativa dei reati-base con qualsiasi delitto, inserendo
addirittura anche quelli di natura colposa. Quest’ultimo profilo, infatti, è stato oggetto di
critiche da parte di diffusa dottrina, poiché dall’esame degli atti parlamentari non emerge
alcun obiettivo politico-criminale tale la legittimare la introduzione, tra i reati presupposto
anche quelli di natura colposa pertanto si è giunti al convincimento che si stato frutto di
disattenzione legislativa, così : E. Fisicaro, in, Antiriciclaggio e terza direttiva UE.
Obblighi a carico dei professionisti intermediari finanziari e operatori non finanziari alla
luce del D.Lgs. 231/2007, Giuffrè, 2008. cit. p.33; Cfr. G. Amato, Il riciclaggio del denaro
sporco, Laurus Robuffo, 1993;
15
concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis15
“impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o
altre utilità provenienti dal delitto” ed agisca volontariamente e
conscio della loro provenienza delittuosa.
2. La clausola di riserva “Fuori dei casi di concorso nel
reato”
Il reato di riciclaggio non si applica a chi ha commesso il reato
presupposto: l’uso e l’occultamento dei proventi criminosi da
parte degli individui che hanno commesso il reato che ha
generato tali proventi, sono considerati come post-factum non
punibile, ai sensi dell’art.81, cpv., del Codice Penale16.
La struttura della fattispecie criminosa, di conseguenza,
impedisce l’applicazione della sanzione di cui all’art.648-bis
15
rectius, Ricettazione e Riciclaggio.
16
r. Concorso formale. Reato continuato: “E’ punito con la pena che dovrebbe infliggersi
per la violazione più grave aumentata fino al triplo (…)chi con più azioni od omissioni,
esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più
violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”.
16
c.p.17, a chi, responsabile del reato presupposto, ne abbia
successivamente riciclato gli illeciti proventi.
L’ter logico da cui trae spunto la asserita non punibilità del
postfatto del c.d. auto-riciclaggio è frutto anch’esso della non
riflessiva equiparazione della fattispecie di cui all’art. 648bis c.p.
a quella di cui all’art. 648 c.p. Ove, infatti, si individui il
fondamento
normativo
della
non
punibilità
della
c.d.
autoricettazione nella clausola “fuori dei casi di concorso nel
reato” si deve concludere parimenti per la non punibilità del c.d.
auto-riciclaggio, giacché l’art.648-bis esordisce con pedissequa
clausola di riserva.
In altri termini alla clausola di riserva in esame l’interpretazione
che ne deriva è quella che in ogni fattispecie in cui è inserita, è
come se dicesse “fuori dai casi in cui si sia commesso il reato
presupposto”.
La dottrina ha più volte tentato di dare letture diverse della
norma18, tuttavia la clausola di riserva ha sempre prevalso. Si
17
Reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 1032 euro a 15493 euro, salvo
circostanze aggravanti e/o attenuanti.
18
Cfr. L. Cerqua, Il delitto di riciclaggio dei proventi illeciti, ne Il riciclaggio del denaro. Il
fenomeno, il reato, le nome di contrasto, a cura di Ermanno Cappa, Luigi Domenico
Cerqua, p.90 e ss., Giuffrè, 2012.;
M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, p.350, Giuffrè, 1997.
17
segnala, vieppiù, il monito del Fondo Monetario Internazionale
di opzionare verso la punibilità del riciclaggio posto in essere
dallo stesso autore che genera l’acquisizione illecita delle
disponibilità finanziarie. In tal senso, lungimirante l’inserimento
del reato di auto-riciclaggio nell’ordinamento giuridico francese,
sull’assunto per il quale il bene leso dal reato di auto-riciclaggio,
identificato nell’integrità del sistema economico-finanziario
legale, sia sempre diverso dal bene leso dal reato presupposto e
che, pertanto, le due condotte siano entrambi meritevoli di
autonomo rilievo penale.
18
CAPITOLO III
EVOLUZIONE
DELLA
DISCIPLINA
ANTIRICICLAGGIO
1.
Premessa
Come anticipato nel primo capitolo, a partire dagli anni ’80, si è
iniziato
a
predisporre
un
network
di
provvedimenti
sovranazionali e comunitari tesi ad evitare che le risorse
economiche-finanziarie appartenenti alla criminalità organizzata
fossero introdotte all’interno della c.d. “economia legale”,
sfruttando i navigli dell’intermediazione finanziaria.
Successivamente, la normazione prodotta volse alla tutela
dell’interesse generale nel preservare l’integrità dell’economia e
dei mercati bancari e finanziari dall’inquinamento di capitali
illeciti.
Oggigiorno si assume il riciclaggio come un dato, ergendolo a
“virus” letale19. Orbene, risulta ineludibile la predisposizione di
misure eccezionali per il suo contrasto e, soprattutto, per la sua
19
Così R. Razzante, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, p. 27,
2012.
19
prevenzione, non solo a livello di sistema, ma sempre più a
livello “micro”, con adattamenti alle più variegate realtà
produttive ed economiche.
Tutti gli apparati normativi seguitamente esposti sono improntati
a logiche di prevenzione, non già di repressione.
Posto che il riciclaggio è un reato, ed in quanto tale previsto dagli
ordinamenti statali nelle relative legislazioni penali tra i reati
“gravi”20, ciò che si necessita è uniformare le misure di
prevenzione a livello “amministrativo”.
In definitiva, oggetto e destinatario della disciplina in rassegna è
il sistema economico-finanziario.
2. Le origini della disciplina
2.1.
La raccomandazione del Consiglio D’Europa 27 giugno
1980
La raccomandazione del Consiglio D’Europa 27 giugno 1980 fu
il primissimo documento, nel panorama internazionale, a
evidenziare la problematica del riciclaggio del denaro.
20
Espressione utilizzata dalla Terza direttiva europea.
20
Tale Raccomandazione invitava i Legislatori nazionali ad
intervenire sui sistemi bancari elevando misure idonee atte a
prevenire l’ingresso dei capitali illeciti all’interno dei medesimi.
Si richiedeva agli operatori finanziari, in sintesi, di:
- controllare l’ identità dei propri clienti, sulla base di
documenti ufficiali all’atto di instaurazione del rapporto, o nel
caso di operazioni in contanti di importo superiore ad una
certa quantità;
- sviluppare
la
cooperazione
in
tema
di
scambio
di
informazioni, a livello nazionale e sovranazionale, con le
autorità giudiziarie ed investigative.
2.2.
La Dichiarazione dei Princìpi di Basilea 12 dicembre
1998
Uno dei più importanti contributi all’affermazione del postulato
sulla prevenzione del riciclaggio si ha con la << Dichiarazione
dei Princìpi concernenti la prevenzione all’uso criminale del
sistema bancario ai fini di riciclaggio del denaro>>, adottata dal
21
Comitato di Basilea per le regolamentazioni bancarie e le
pratiche di vigilanza.21
Essa, condensata in sei punti: ammoniva su come le banche
possano essere utilizzate per il deposito o trasferimento di fondi
criminali; esortava la necessaria cooperazione internazionale alla
repressione del riciclaggio, stante la dimensione internazionale
del crimine economico; evidenziava il ruolo delle autorità di
vigilanza di guisa all’utilizzo delle banche da parte della
criminalità; suggeriva l’adesione delle banche alle Best Practies
ivi esplicitate ovvero alla predisposizione di procedure volte alla
identificazione dei clienti; infine, si confermava l’impegno delle
Autorità di vigilanza dei diversi Paesi membri ad adottare
politiche e procedure coerenti con la stessa.
Nonostante il contenuto della Dichiarazione di princìpi non
avesse il carattere propriamente normativo vincolante, c.d. soft
law, è stata recepita da un numero considerevole di Stati22.
21
Paesi membri:
Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi
Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti.
22
Tal accordo interbancario fu recepito in Italia dalla legge n.55/1990.
22
2.3.
La Convenzione di Vienna 19 dicembre 198823
Per la prima volta, con la Convenzione di Vienna un organismo
internazionale, l’Onu, si pronuncia con atto normativo e
vincolante, sulla pertinenza di specifiche norme penali per
reprimere il riciclaggio, sottolineando la stretta eziologia tra il
contrasto al narcotraffico e la lotta allo stesso.
La Convenzione impose agli Stati firmatari di adottare tutte le
misure necessarie per introdurre, nelle legislazioni nazionali,
reati dolosi che incriminassero la conversione o il trasferimento
di beni derivanti da attività criminose con l’intento di nascondere
o travisare la provenienza illecita, o di aiutare chiunque fosse
implicato nella commissione di siffatti reati.
2.4.
L’attività e le Raccomandazioni del GAFI/FATF
Il GAFI, Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale24 altrimenti FATF, Financial Action Task Force - è l’unico
23
<< Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze
psicotrope>>. Ratificata ed esecutiva in Italia con la legge n.328/1990.
24
Il Gafi nasce nel vertice del G7 tenutosi a Parigi nel 1989, durante il quale fu assunta la
decisione di creare un gruppo di esperti con il compito di valutare i risultati ottenuti dalla
collaborazione internazionale, al fine di prevenire l’utilizzazione per scopi di riciclaggio del
23
organismo che si occupa, in modo esclusivo e specialistico, dello
sviluppo a livello internazionale di una strategia antiriciclaggio.
Esso è un ente intergovernativo composto da esperti legali, penali
e finanziari25, e la sua azione viene espletata essenzialmente
mediante l’emanazione di “Raccomandazioni” che dovrebbero
essere recepite dagli ordinamenti dei singoli Stati, predisponendo
inoltre specifiche procedure volte ad incrementare ed a verificare
l’attuazione delle stesse.
Attualmente sono membri del GAFI 34 Paesi e numerose
Organizzazioni internazionali26 .
Al Gruppo furono affidati, sin dall’origine, le seguenti
prerogative:
- valutare i risultati della cooperazione già in atto tra i vari Stati
per prevenire l’utilizzo del sistema bancario e finanziario a
scopo di riciclaggio;
sistema bancario e finanziario e di elaborare ulteriori misure in tale campo. Furono,
inizialmente, invitati a prendere parte ai lavori del Gruppo, oltre i partecipanti del vertice
del G7 ( Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti), la
Commissione delle Comunità Europee ed altri Stati, caratterizzati dalla rilevanza dei loro
sistemi finanziari ovvero dalle loro esperienze nel campo della lotta al riciclaggio /
Australia, Austria, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera.
25
La delegazione italiana che ne prende parte è composta da rappresentanti del Ministero
dell’ Economia e delle Finanze, dei dicasteri della Giustizia e dell’ Interno, della Guardia di
Finanza, della Banca d’Italia e dell’Unità di Informazione Finanziaria.
26
Per la lista completa dei membri attuali del GAFI, vedasi il sito ufficiale: www.fatfgafi.org.
In tema, M. Gara – A. Pavesi, il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI/FATF), in Quaderni
di ricerca giuridica della Banca d’Italia, febbraio 2008.
24
- aggiornare
costantemente
le
autorità
nazionali
e
sovranazionali sugli sviluppi delle tecniche di riciclaggio e
sulle possibili misure per contrastarle;
- mantenere un programma di relazioni esterne tra i paesi
aderenti al Gafi e quelli non aderenti, per favorire la massima
diffusione possibile delle misure di contrasto al riciclaggio.
Nel 1990 il GAFI ha elaborato un Rapporto contenente una
complessiva valutazione del fenomeno del riciclaggio a livello
mondiale e 40 <<Raccomandazioni>> antiriciclaggio. Queste
ultime prendevano spunto, tra l’altro, anche dalla Dichiarazione
di Princìpi del Comitato di Basilea e dalla Convenzione di
Vienna.
Suddette <<Raccomandazioni>> possono raggrupparsi in quattro
segmenti, concernenti rispettivamente:
a) gli ordinamenti giuridici dei vari Paesi (dalla 1 alla 3);
b) le iniziative legislative necessarie per combattere il riciclaggio
(dalla 4 alla 7);
c) le misure per prevenire inquinanti del sistema finanziario
(dalla 8 alla 29);
d) il rafforzamento della cooperazione internazionale (dalla 30
alla 40).
25
Qualche anno dopo, nella consapevolezza che il riciclaggio di
denaro fosse fenomeno in continua evoluzione, e che le modalità
con cui esso si realizza possono mutare in modo significativo
rispetto a quando le Raccomandazioni furono adottate, il GAFI le
ha rivisitate ed integrate sia nel 1996, che nel 200327.
2.5.
La Convenzione di Strasburgo 8 novembre 1990
Un ruolo determinante nella lotta al riciclaggio è stato assunto
dalla Convenzione di Strasburgo dell’8 novembre del 1990 del
Consiglio d’Europa28, giacché muove al perseguimento di
politiche comuni a tutela dei consociati.
In particolare, essa impegna i Paesi membri all’adozione di tutte
le misure necessarie alla:
i)
confisca dei proventi del riciclaggio;
ii)
individuazione delle operazioni volte al trasferimento di
tali proventi;
27
A seguito dei tragici episodi che hanno colpito gli Stati Uniti d’America nel 2001, le
nuove Raccomandazioni sono integrate da 9 <<Raccomandazioni Speciali>>, giustappunto
miranti ad una sinergica lotta al finanziamento del terrorismo.
28
Ratificata in Italia con la legge n. 328/1993.
26
iii)
abolizione del segreto bancario nei confronti delle Autorità
inquirenti;
iv)
adozione di provvedimenti legislativi necessari per
prevedere il riciclaggio come reato29 nel proprio codice
penale.
2.6.
La Convenzione di Palermo 15 dicembre 2000
L’importanza strategica della Convenzione di Palermo - oltre alla
sede di svolgimento dei lavori dell’Onu, simbolicamente quella
della lotta alla mafia per eccellenza - è la declaratoria di <<reato
transnazionale>> della fattispecie incriminatrice in discorso e,
quindi, della collaborazione tra Stati nel perseguimento di quei
delitti che vedano il posizionarsi delle condotte su vari territori.
Comprova di ciò, lo si ha nell’art. 6 della Convenzione
medesima, la quale “ribattezza” il reato di riciclaggio come
29
La Convenzione sancisce che costituisce reato di riciclaggio la commissione
intenzionale delle seguenti azioni:
a. la conversione o il trasferimento di valori patrimoniali, sapendo che essi sono proventi,
allo scopo di occultare o dissimulare l’illecita provenienza dei valori patrimoniali stessi o
aiutare persone coinvolte nella commissione del reato principale a sottrarsi alle
conseguenze giuridiche dei loro atti;
b. l’occultamento o la dissimulazione della natura, dell’origine, dell’ubicazione, di atti di
disposizione o del movimento di valori patrimoniali, nonché dei diritti di proprietà e degli
altri diritti ad essi relativi, sapendo che detti valori patrimoniali sono proventi;
c. l’acquisizione, il possesso o l’uso di valori patrimoniali sapendo, nel momento in cui
sono ricevuti, che essi sono proventi di reato.
27
crimine internazionale, esortando gli Stati tutti a prevederlo nelle
loro legislazioni, se non ancora catalogato, tra i reati
<<gravi>>30. E , ancora, di prevedere tra i reati <<presupposto>>
del riciclaggio tutti quelli commessi sia all’interno che all’esterno
dello Stato <<parte>>.31
Altresì, prevede una serie di opzioni volte all’istituzione di
specifici controlli sugli intermediari finanziari, cooperazione tra
Autorità amministrativamente preposte, financo efficaci controlli
sui movimenti transfrontalieri di capitale.
3. La disciplina comunitaria
La Comunità europea ha adottato una specifica azione al fine di
tutelare l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio
dei proventi illeciti.
La sua opera ha inizio, come detto in precedenza, con la
Raccomandazione n. 80/10 del Comitato dei ministri del
Consiglio d’Europa, proseguita con l’emanazione di tre Direttive
comunitarie, prodotte rispettivamente nel 1991, nel 2001 e nel
2005, aventi come unico obiettivo la lotta al riciclaggio.
30
Intesi quelli per cui sia prevista una pena detentiva superiore ai 4 anni.
31
Cfr. R. Razzante, op.cit.
28
3.1.
La Direttiva n.91/308/CEE
Il testo della Direttiva32 del Consiglio dei ministri della CEE, 10
giugno 1991, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema
finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, è
ispirato chiaramente sia alla Dichiarazione di Basilea del 1988,
sia agli orientamenti del Consiglio d’Europa, che a quelli delle
Nazioni Unite.
L’insufficienza degli strumenti di natura penale (repressiva) per
combattere il riciclaggio, constatata presso tutti i Paesi membri,
ha fatto maturare la convinzione che sarebbe stato meglio
“prevenire”
tale
fenomeno,
rendendo
necessaria
quindi
l’adozione, da parte degli intermediari33, di opportune cautele,
quali:
- l’ obbligo di identificare e di registrare determinate
operazioni finanziarie compiute presso di essi;
32
La direttiva è stata pubblicata sulla G.U.C.E. il 28 giugno 1991.
Il motivo per cui si è deciso di emanare una Direttiva, anziché un Regolamento , può
rinvenirsi nel fatto che si interveniva nella disciplina di una materia che per i destinatari
non aveva precedenti basi ed era quindi assolutamente nuova. Era necessario, dunque,
concedere agli intermediari più tempo per uniformarsi a tali disposizioni, cosa che non
sarebbe stata possibile con un Regolamento, il quale, di contro, si caratterizza per una
valenza più stringente e per l’immediata applicazione del proprio contenuto.
33
La direttiva dispone che gli Stati membri possano estendere tale disciplina, a tutte quelle
attività professionali che possono essere oggetto di utilizzo a fini di riciclaggio.
29
- l’ esame attento di quelle transazioni anomale e che possono
destare sospetto;
- l’ obbligo di restrizione del segreto bancario, al fine di
favorire la più ampia cooperazione tra le Autorità.
In sostanza, lo scopo di tale Direttiva è stato quello di prevedere
una serie dettagliata di misure, da rendersi obbligatorie negli
Stati membri mediante l’adozione di adeguati provvedimenti
nazionali, che costituissero una disciplina minima uniforme34.
3.2.
La Direttiva n. 2001/97/CE
La prima Direttiva comunitaria nel corso del 2001, è stata
oggetto di modifica, e di integrazione, da parte del Parlamento
europeo, mediante la Direttiva n.2001/97/CE35.
La c.d. seconda Direttiva comunitaria nasce, quindi, dalla
convinzione che fosse giunto il momento di adeguare la
precedente ai nuovi sviluppi assunti dal fenomeno del riciclaggio
e, soprattutto, sulla spinta di una più incisiva lotta al terrorismo
34
Direttiva recepita in Italia con la legge n.197/1991 : <<Disposizioni urgenti per limitare
l’uso del contante e di titoli al portatore nelle transazioni e per prevenire l’utilizzo del
sistema finanziario a fini di riciclaggio di proventi illeciti. Modificata, poi, con D.Lgs. 26
maggio 1997, n.153.
35
Approvata il 4 dicembre 2001 e pubblicata nella G.U.C.E. il 28 dicembre 2001.
30
internazionale: questione apparsa indispensabile dopo l’attentato
terroristico dell’11 settembre a New York.
Con tale Direttiva il legislatore comunitario: amplia il novero dei
reati presupposto del riciclaggio; prevede obblighi particolari
anche per le persone giuridiche e fisiche, quando agiscono
nell’esercizio della loro attività professionale36; procede ad una
ridefinizione degli obblighi di identificazione e registrazione
delle operazioni sospette, cui, da sottolineare è l’obbligo di
assicurare l’identificazione nelle cosiddette non-face-to-face
transactions.
3.3.
La Direttiva n.2005/60/CE
La <<terza Direttiva antiriciclaggio>> 2005/60/CE37, relativa alla
prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio dei proventi di attività criminose è stata adottata dal
Parlamento Europeo il 26 ottobre 2005.
36
Quali: revisori, contabili esterni, consulenti tributari, agenti immobiliari, notai, avvocati,
commercianti di oggetti di elevato valore e le case da gioco.
37
Pubblicata in G.U.C.E. 25 novembre 2005.
31
La direttiva in rassegna oltre ad abrogare la Direttiva n.
91/308/CEE38, si presenta, recependo le Raccomandazioni GAFI
così come riviste nel 2003, quale strumento moderno per
contrastare le basi economiche della criminalità e del terrorismo
internazionale volte all’instabilità e alla reputazione del settore
finanziario, tali da minacciare il mercato unico europeo.
Ne discende una rilevante analiticità circa i nuovi obblighi di
adeguata verifica, vieppiù si impone l’obbligo di adeguata
verifica dell’identità del cliente ed in particolare del “titolare
effettivo” individuato sulla base di documenti, dati e informazioni
ottenuti da fonte affidabile e indipendente, unitamente a
informazioni sullo scopo e sulla prevista natura del rapporto
d’affari.
L’obbligo di adeguata verifica della clientela è, inoltre, rafforzato
sulla base della nozione di rischio insito alle situazioni che, per
loro natura, possono presentare una criticità più elevata di
riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Tutto ciò, prodromico
ad un più efficace adempimento degli obblighi di segnalazione.
La Direttiva in parola, ancora, prescrive agli enti creditizi e
finanziari la predisposizione di sistemi efficaci, anche elettronici,
38
Già, tra l’altro, modificata dalla Direttiva 2001/97/CE.
32
proporzionati alla dimensione e alla natura degli affari, tali da
rispondere
pienamente
e
rapidamente
alle
richieste
di
informazioni riguardanti gli eventuali rapporti di affari
intrattenuti con determinate persone e al connesso obbligo di
conservare i dati, i documenti e le informazioni per un
determinato periodo, decorrente dalla fine del rapporto di affari
o, in altri casi, dall’esecuzione dell’operazione.
3.4.
Legge delega 25 gennaio 2006, n. 29 (legge comunitaria
2005)
In Italia, con la <<legge comunitaria>> 2005 (legge 25 gennaio
2006, n. 29)39, è stata data delega al governo ad adottare, entro 18
mesi dalla pubblicazione della predetta legge, uno o più decreti
legislativi
per
dare
organica
attuazione
alla
Direttiva
2005/60/CE.40
39
pubblicata in G.U. l’8 Febbraio 2006.
40
La Commissione Ministeriale insediatasi il 3 maggio2007, presieduta dal già Procuratore
nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, elaborò il testo del decreto di recepimento,
ovverosia, il Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231.
33
4. Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 23141:
Princìpi generali e definizioni.
Il Decreto Legislativo n.231 del 2007, oltre ad ampliare la
profondità della verifica della clientela da parte dei destinatari
delle disposizioni normative in materia di antiriciclaggio,
introduce un nuovo modus operandi circa l’interfacciarsi degli
stessi con gli atti posti in essere dalla clientela. I quali, rapportati
ad indici di anomalia, dovranno segnalarsi agli organi
investigativi competenti, se sospetti.
Posto quanto premesso, l’art 2 del Decreto Legislativo n. 231 del
2007 stabilisce che “se commesse intenzionalmente, costituiscono
riciclaggio:
a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a
conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da
una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o
1
"Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del
sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di
finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di
esecuzione
".
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 290 del 14 dicembre 2007
34
dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare
chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle
conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
b) l'occultamento o la dissimulazione della reale natura,
provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei
beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che
tali beni provengono da un'attività criminosa o da una
partecipazione a tale attività;
c) l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a
conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni
provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a
tale attività;
d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere
precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di
perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a
commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.”
Il secondo comma, altresì, prevede che “il riciclaggio è
considerato tale anche se le attività che hanno generato i beni da
riciclare si sono svolte nel territorio di un altro Stato
comunitario o di un Paese terzo”.
35
Seppur ultroneo, tuttavia si fa osservare che la legge
antiriciclaggio dà un’ampia descrizione dell’elemento soggettivo
del reato, ciò in ossequio al principio di tassatività, poiché nella
valutazione
della
condotta
devono
rilevare
l’elemento
intenzionale ( rectius: coscienza e volontà), e soprattutto la
finalità del riciclaggio del denaro (finalità della condotta per la
realizzazione dell’evento), dedotti questi “ da circostanze di fatto
obiettive”42.
Al fine di prevenire l'utilizzo del sistema finanziario e di quello
economico per finalità di riciclaggio o di finanziamento del
terrorismo, il presente decreto detta misure volte a tutelare
l'integrità di tali sistemi e la correttezza dei comportamenti.
Siffatta finalità di prevenzione è svolta in coordinamento con le
attività di repressione dei reati di riciclaggio o di finanziamento
del terrorismo43.
42
così E. Fisicaro, Antiriciclaggio e terza Direttiva UE, ed. 2008, Giuffrè.
Risulta utile evidenziare che le definizioni indicate nell’articolo 2 del Decreto
Legislativo n°231 del 2007 non coincidono con quella contenuta nel Codice Penale. Di
fatti, l’incipit del citato articolo “ai soli fini del presente decreto” rende chiaro che la
normativa non è diretta a incidere sulle ipotesi criminose regolate dal Codice Penale, ma si
limita a individuare l’ambito di applicazione dei relativi obblighi.
43
36
CAPITOLO IV
LA NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO NEL SISTEMA
BANCARIO
1. Premessa
Le connotazioni intrinseche all’attività bancaria arrischiano
queste imprese, più di ogni altre, ad un uso strumentale e
criminoso dei propri canali, sì da opacizzare l’eventuale
provenienza delittuosa della provvista.
Può, così, preliminarmente affermarsi che la banca, di guisa ad
esigenze di carattere non solo giuspenalistiche ma soprattutto
economico-finanziario, viene chiamata a collaborare con le
autorità giudiziarie e di polizia nella repressione del riciclaggio
del denaro sporco.
Tale esigenza politica, muove dalla convinzione che gli
intermediari finanziari e gli altri soggetti esercenti attività
finanziaria, annoverati nell’art.11 del Decreto Legislativo 21
novembre 2007, n. 23144, dispongono di un patrimonio di
44
Ai sensi dell’art.11:
1. Ai fini del presente decreto per intermediari finanziari si intendono:
37
informazioni, riguardanti gli utilizzatori dei loro prodotti e
servizi, che pongono gli stessi in una posizione tale per cui risulta
alquanto efficace, e necessario, che ad essi sia delegata una
funzione di prevenzione, volta alla individuazione e segnalazione
alle Autorità competenti di quelle operazioni che possono
ritenersi effettuate con denaro di provenienza illecita45.
Ad ogni buon conto l’adempimento degli obblighi antiriciclaggio
comporta, per i destinatari dei medesimi, oltre ai costi tecnicoa) le banche;
b) Poste italiane S.p.A.;
c) gli istituti di moneta elettronica;
c-bis) gli istituti di pagamento;
d) le società di intermediazione mobiliare (SIM);
e) le società di gestione del risparmio (SGR);
f) le società di investimento a capitale variabile (SICAV);
g) le imprese di assicurazione che operano in Italia nei rami di cui all'articolo 2, comma 1,
del CAP;
h) gli agenti di cambio;
i) le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi;
m) gli intermediari finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 106 del TUB;
m-bis) le società fiduciarie di cui all’articolo 199, comma 2, del decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58;
n) le succursali insediate in Italia dei soggetti indicati alle lettere precedenti aventi sede
legale in uno Stato estero;
o) Cassa depositi e prestiti S.p.A.
2. Rientrano tra gli intermediari finanziari altresì:
a) le società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966 ad eccezione di quelle
di cui all’articolo 199, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
b) i soggetti disciplinati dagli articoli 111 e 112 del TUB;
c) i soggetti che esercitano professionalmente l’attività di cambiavalute, consistente nella
negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta;
3. Ai fini del presente decreto, per altri soggetti esercenti attività finanziaria si intendono:
a) i promotori finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 31 del TUF;
b) gli intermediari assicurativi di cui all'articolo 109, comma 2, lettere a) e b) del CAP che
operano nei rami di cui al comma 1, lettera g);
c) i mediatori creditizi iscritti nell’elenco previsto dall’art. 128-sexies, comma 2, del TUB;
d) gli agenti in attività finanziaria iscritti nell’elenco previsto dall’art. 128-quater, comma 2,
del TUB e gli agenti indicati nell’art. 128 - quater , commi 6 e 7, del medesimo TUB.
45
Cfr. A.M.A. Carriero, La prevenzione ed il contrasto al riciclaggio, in Diritto delle
banche e degli intermediari finanziari a cura di E. Galanti, Cedam, 2008.
38
operativi o connessi all’adeguamento delle policy aziendali a
nuove prassi di vigilanza, anche costi di matrice immateriale,
ovverosia investimenti in comunicazione e immagine.
Nell’alveo dei costi materiali spicca il perfezionamento degli
AUI ( Archivio Unico Informatico), che, con le loro procedure di
alimentazione e di raccordo con quelle già in essere a fini
anagrafici, è di sicuro l’investimento più ingente. Stante,
finanche, il costo di mantenimento.
La registrazione delle operazioni a fini di riciclaggio può anche
affidarsi a terzi46. Seppure ciò incida positivamente sui costi di
impianto, deve considerarsi, tuttavia, che l’AUI deve essere
consultabile presso l’intermediario47 e che, comunque, la
responsabilità per errori od omissioni ricade sempre su
quest’ultimo48.
Tali oneri da sostenere per l’impresa creditizia “ritornano”
sicuramente in termini di marketing, sia nella possibilità di
garantire ai clienti un servizio bancario trasparente.
In definitiva, l’obbligo di collaborazione prescritto dall’articolato
in esame non può prescindere da efficaci ed efficienti capacità
46
Il c.d. outsourcing
In caso di ispezione, le autorità vogliono accedere ai dati con facilità, senza troppi artifizi
che ne vanifichino l’opera. Bisogna, quindi, stare attenti sia a realizzare opportuni
collegamenti con l’outsourcer, sia a far “dialogare” puntualmente le procedure degli
Archivi unici antiriciclaggio.
48
Tranne che il motivo non si dimostri essere squisitamente attribuibile al software.
47
39
professionali volti alla, quanto più prossima, conoscenza
cristallina del cliente. Ciò detto, la regola della c.d. “KYC” (know
your customer) risulta strumento essenziale ed ineludibile.
2. Gli obblighi di adeguata verifica e registrazione
L’art. 15 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 detta
gli obblighi di adeguata verifica della clientela in capo agli
intermediari e ai c.d. altri soggetti esercenti attività finanziaria.
L’obbligo in rassegna deve riguardare, le ipotesi in cui vi sia:
a) instaurazione
dell’accensione
di
un
del
rapporto
rapporto
continuativo;
(es.
apertura
all’atto
conto,
sottoscrizione polizza vita, ecc.) andrà obbligatoriamente
richiesto al cliente di sottoscrivere, dopo averla debitamente
compilata, la <<scheda>> per l’adeguata verifica, contenente
tutte le informazioni prescritte dall’art. 18 del Decreto
Legislativo 21 novembre 2007, n. 231;
b) esecuzione di operazioni occasionali che comportino la
trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di
importo pari o superiore a euro 15000. Ciò vale sia se si tratti
40
di un’unica operazione, sia se si tratti di più operazioni che
appaiono tra di loro collegate per realizzare un’operazione
finanziaria;
c) presenza di sospetto di riciclaggio o finanziamento del
terrorismo, a prescindere da qualsiasi limite, soglia o termine
fissato;
d) esistenza di dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati
ottenuti precedentemente per l’identificazione di un cliente.
L’articolo prevede anche che le banche, gli istituti di moneta
elettronica e le Poste italiane S.p.A. osservino gli obblighi di
adeguata verifica della clientela altresì qualora si comportino da
meri <<soggetti tramite>> del trasferimento di denaro contante o
titoli al portatore, effettuato in euro o in valuta estera, a qualsiasi
titolo tra privati, che abbia un importo pari o superiore a euro
15000.
L’obbligo della Customer due diligence consiste nelle seguenti
attività:
- identificazione del cliente e verifica dell’identità sulla base di
documenti, dai o informazioni ottenuti da una fonte affidabile
e indipendente;
41
- identificazione
dell’
<<titolare
effettivo>>
e
verifica
dell’identità;
- reperimento di informazioni sullo scopo e sulla natura
prevista dal rapporto continuativo;
- monitoraggio costante nel corso del rapporto continuativo,
attraverso le analisi delle transazioni concluse durante tutta la
durata di tale rapporto, onde verificarne la compatibilità con il
suo profilo.
Merita precipua attenzione la figura del titolare effettivo.
In base al decreto, segnatamente, ai sensi dell’art.2 dell’allegato
tecnico, il titolare effettivo può essere (oltre che la persona fisica
per conto della quale è realizzata un’operazione o un’attività) una
società o un’entità giuridica (fondazioni) o istituti giuridici (trust)
che amministrano e distribuiscono fondi.
Nel primo caso, è considerato titolare effettivo la persona fisica o
le persone fisiche che, in ultima istanza, possieda o controlli
un'entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o
indiretto del 25% +1 delle partecipazioni al capitale sociale o dei
diritti di voto in seno a tale entità giuridica, anche tramite azioni
al portatore ( a patto che non si tratti di una società ammessa alla
42
quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi
di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a
standard internazionali equivalenti), o la/le persone fisiche che
esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un'entità
giuridica. Oggi è acclarato che il limite di cui sopra sia da
ritenersi riferibile al 25% più una azione.
Qualora il titolare effettivo fosse un’entità o istituto giuridico,
intenderemo la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del
25% o più del patrimonio di un’entità giuridica, se i futuri
beneficiari siano già stati determinati; la categoria di persone nel
cui interesse principale è istituita o agisce l’entità giuridica, se i
beneficiari non sono ancora stati determinati; la persona fisica o
le persone fisiche che esercitano un controllo sul 25% o più del
patrimonio di un’entità giuridica.
L’identificazione e la verifica dell’identità del cliente e del
titolare effettivo è svolto alla presenza dell’intermediario ovvero
di un dipendente o collaboratore di quest’ultimo o della società di
revisione e del cliente mediante un documento di identità non
scaduto. All’atto di identificazione i clienti forniscono per
iscritto, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni
43
necessarie per l’identificazione dei soggetti per conto del quale
operano.
Contestualmente all’identificazione del cliente, è effettuata
l’identificazione e la verifica dell’identità del beneficial owner; è
imposta, per le persone giuridiche, i trust e soggetti giuridici
analoghi, l’adozione di misure adeguate e commisurate alla
situazione di rischio per comprendere la struttura di proprietà e di
controllo del cliente. Al fine di agevolare l’identificazione e la
verifica dell’identità del titolare effettivo, i destinatari di tale
obbligo, possono ricorrere all’utilizzo di pubblici registri,
elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque contenenti
informazioni sui titolari effettivi; possono chiedere ai propri
clienti i dati pertinenti, o, comunque, ottenere le informazioni in
altro modo.
Va sottolineato che la figura del “titolare effettivo”, se ha come
punto di riferimento una persona giuridica, un ente, un trust o
simili, è riconducibile esclusivamente ad una o più persone
fisiche, ma non a enti o persone giuridiche, dovendo l’obbligato,
qualora il destinatario degli effetti risulti una persona giuridica,
far luogo a ulteriori verifiche a ritroso sino ad arrivare alla
persona fisica destinataria ultima degli effetti dell’atto e che in
44
ultima istanza esercita il potere di controllo e di direzione.
All’esito delle verifiche in discorso potrà, comunque, emergere
l’inesistenza di una persona fisica o più persone fisiche, che
abbia un potere di direzione e controllo rispetto ad altri
partecipanti all’entità giuridica, così come potrà accadere che
l’obbligato non sia in grado, attraverso la visura dei pubblici
registri ovvero con mezzi in suo possesso, di pervenire ad
un’identificazione certa del beneficial owner .
2.1.1. Il concetto di rischio
L’obbligo di adeguata verifica della clientela è connesso al
concetto di risk based aproach (approccio basato sul rischio, art.
20 del decreto in esame)49, cioè, l’obbligo di ordinare l’attività di
verifica della clientela, commisurandola al rischio di riciclaggio
associato al tipo di cliente (profilo soggettivo), rapporto di affari,
prodotto o transazione di cui trattasi (profilo oggettivo).
Più esattamente, attiene al profilo soggettivo: la natura giuridica
del cliente; la prevalente attività svolta; il comportamento tenuto
al
momento
del
compimento
dell’operazione
o
dell’
49
Cfr. P. Fratangelo, L’approccio basato sul rischio della normativa antiriciclaggio, in
Bancaria, N.2, 2009.
45
instaurazione del rapporto continuativo, l’area geografica di
residenza o sede del cliente o della controparte.
Il profilo oggettivo, invece, concerne: la tipologia e modalità di
svolgimento dell’operazione o rapporto continuativo posto in
essere; l’ammontare del/della medesima; la frequenza delle
operazioni
e
la
durata
del
rapporto
continuativo;
la
ragionevolezza dell’operazione o del rapporto continuativo in
relazione all’attività svolta del cliente; l’area geografica di
destinazione del prodotto, oggetto dell’operazione o del rapporto
continuativo.
2.1.2. Obbligo di astensione
All’art. 23 sono previsti i casi in cui gli enti o le persone fisiche
soggette al decreto antiriciclaggio debbano astenersi dal porre in
essere l’operazione o dal continuare il rapporto, per impossibilità
ad adempiere all’ obbligo di adeguata verifica. L’astensione si
verifica, primariamente, nel caso di sospetto di relazione con il
riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo e si verifica,
indubbiamente, nel caso in cui l’intermediario sia incapace a
recepire i dati identificativi del cliente.
46
L’obbligo di astensione non è tuttavia assoluto. Infatti, nei casi in
cui l’astensione non sia possibile in quanto sussista un obbligo di
legge di ricevere l’atto ovvero l’esecuzione dell’operazione non
possa essere rinviata o l’astensione possa ostacolare le indagini,
permane l’obbligo di immediata segnalazione di operazione
sospette ai sensi dell’art.41.50
2.1.3. Obblighi semplificati e rafforzati di adeguata verifica
della clientela
L’articolato in analisi prevede casi in cui i soggetti obbligati non
sono tenuti ad applicare gli obblighi di adeguata verifica della
clientela, ovvero sono tenuti ad applicare gli obblighi semplificati
di adeguata verifica, a determinate categorie di clienti e a
determinate categorie di prodotti che presentano un basso rischio
di riciclaggio di proventi di attività criminose o di finanziamento
del terrorismo. Di contro, i suddetti saranno obbligati ad
applicare obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela,
in presenza di un rischio più elevato di riciclaggio.
50
Una deroga particolare all’obbligo di astensione è prevista per notai, liberi professionisti,
revisori contabili, contabili esterni e consulenti tributari. Costoro, non sono, infatti,
obbligati ad astenersi dal rapporto d’affari nel corso dell’esame della posizione giuridica
del loro cliente o dall’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo
in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, ivi compresa la
consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento: art. 23, comma 4.
47
Gli obblighi semplificati (art. 25) sono applicati se il cliente è:
a) un intermediario finanziario o un soggetto equiparato;
b) un ente creditizio o finanziario comunitario soggetto alla
direttiva;
c) un ente creditizio o finanziario situato in uno Stato
extracomunitario, che imponga obblighi equivalenti a quelli
previsti dalla direttiva e preveda il controllo del rispetto di tali
obblighi.
La disposizione giuridica in esame prevede che gli enti e le
persone soggetti al decreto sono autorizzati a non applicare gli
obblighi di adeguata verifica, in relazione a :
- contratti di assicurazione-vita, il cui premio annuale non ecceda
i 1.000 euro o il cui premio unico sia di importo non superiore a
2.500 euro;
- forme pensionistiche complementari disciplinate dal decreto
legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, a condizione che esse non
prevedano clausole di riscatto diverse da quelle di cui all'articolo
14 del medesimo decreto e che non possano servire da garanzia
per un prestito al di fuori delle ipotesi previste dalla normativa
vigente;
48
- regimi di pensione obbligatoria e complementare o sistemi
simili che versino prestazioni di pensione, per i quali i contributi
siano versati tramite deduzione dal reddito e le cui regole non
permettano ai beneficiari, se non dopo il decesso del titolare, di
trasferire i propri diritti;
- moneta elettronica quale definita nell'articolo 1, comma 2,
lettera h-ter), del TUB, nel caso in cui, se il dispositivo non è
ricaricabile, l'importo massimo memorizzato sul dispositivo non
ecceda i 250 euro, oppure nel caso in cui, se il dispositivo è
ricaricabile, sia imposto un limite di 2.500 euro sull'importo
totale trattato in un anno civile, fatta eccezione per i casi in cui
un importo pari o superiore a 1.000 euro sia rimborsato al
detentore nello stesso anno civile ai sensi dell'articolo 11 della
direttiva 2009/110/CE ovvero sia effettuata una transazione
superiore a 1.000 euro, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 3, del
regolamento (CE) n. 1781/2006. Per quanto concerne le
operazioni di pagamento nazionali il limite di 250 euro di cui alla
presente lettera è aumentato a 500 euro;
- qualunque altro prodotto o transazione caratterizzato da uno
basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo che
soddisfi i criteri tecnici stabiliti dalla Commissione europea a
49
norma dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, se
autorizzato dal Ministro dell'economia e delle finanze con le
modalità di cui all'articolo 26.
Quanto agli obblighi rafforzati ( art.28), questi vengono applicati:
- qualora il cliente non sia fisicamente presente. In tal caso è
necessario applicare una delle seguenti misure:
 accertare l'identità del cliente tramite documenti, dati o
informazioni supplementari;
 adottare
misure
supplementari
per
la
verifica
o
la
certificazione dei documenti forniti;
- in
relazione a prestazioni professionali
con persone
politicamente esposte51. In tali casi , i destinatari del presente
decreto devono:
 stabilire procedure adeguate basate sul rischio, al fine di
determinare se il cliente sia o meno una persona politicamente
esposta;
51
Si ritengono tali, ai sensi dell’art.1 dell’allegato tecnico del decreto:
a) i capi di Stato, i capi di Governo, i Ministri e i Vice Ministri o Sottosegretari;
b) i parlamentari;
c) i membri delle corti supreme, delle corti costituzionali e di altri organi giudiziari di alto
livello le cui decisioni non sono generalmente soggette a ulteriore appello, salvo in
circostanze eccezionali;
d) i membri delle Corti dei conti e dei consigli di amministrazione delle banche centrali;
e) gli ambasciatori, gli incaricati d'affari e gli ufficiali di alto livello delle forze armate;
f) i membri degli organi di amministrazione, direzione o vigilanza delle imprese possedute
dallo Stato.
In nessuna delle categorie sopra specificate rientrano i funzionari di livello medio o
inferiore. Le categorie di cui alle lettere da a) a e) comprendono, laddove applicabili, le
posizioni a livello europeo e internazionale.
50
 assicurare costantemente un controllo sulla prestazione
professionale.
2.1.4. Obblighi di adeguata verifica della clientela da parte di
terzi
L’art. 30 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231
stabilisce che gli obblighi di customer due diligence si ritengono
comunque assolti, anche se non in presenza del cliente, quando è
fornita idonea attestazione da parte di uno dei soggetti seguenti,
con i quali i clienti abbiano rapporti continuativi ed in relazione
ai quali siano stati già identificati di persona:
1) intermediari finanziari presenti all’art. 11, comma 1, nonché
le loro succursali insediate in Stati Extracomunitari che
applicano misure equivalenti della Direttiva;
2) enti creditizi ed enti finanziari di Stati membri dell’Unione
Europea;
3) banche aventi sede legale e amministrativa in Stati
Extracomunitari che applicano misure equivalenti a quelle
della Direttiva;
51
4) professionisti di cui all’art. 12, comma 1, ed art. 13, comma 1,
lett. b), nei confronti di altri professionisti.
2.2.
Obblighi di registrazione
Gli intermediari finanziari hanno l’obbligo di conservare i
documenti e registrare le informazioni che hanno acquisito per
assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela affinché
possano essere utilizzati per qualsiasi indagine su eventuali
operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o per
corrispondenti analisi effettuate dalla UIF o da qualsiasi altra
Autorità competente.
Giustappunto gli intermediari devono:
- per quanto riguarda gli obblighi di adeguata verifica del
cliente e del titolare effettivo, conservare la copia o i
riferimenti dei documenti richiesti, per un periodo di dieci
anni dalla fine del rapporto continuativo;
- per quanto riguarda le operazioni, i rapporti continuativi,
conservare le scritture e le registrazioni, consistenti nei
documenti originali o nelle copie aventi analoga efficacia
probatoria nei procedimenti giudiziari, per un periodo di dieci
52
anni dall'esecuzione dell'operazione o dalla cessazione del
rapporto continuativo.
Sono stabilite anche le tipologie di informazioni che devono
essere registrate:
 con riferimento ai rapporti continuativi: la data di
instaurazione, i dati identificativi del cliente e del titolare
effettivo, unitamente alle generalità dei delegati a operare per
conto del titolare del rapporto e il codice del rapporto ove
previsto;
 con riferimento a tutte le operazioni di importo pari o
superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che si
tratti di un'operazione unica o di più operazioni che appaiono
tra di loro collegate per realizzare un’operazione frazionata: la
data, la causale, l'importo, la tipologia dell'operazione, i mezzi
di pagamento e i dati identificativi del soggetto che effettua
l'operazione.
Dette
informazioni
sono
registrate
tempestivamente,
e
comunque, non oltre il trentesimo giorno successivo al
compimento dell’operazione ovvero all’apertura, alla variazione
e alla chiusura del rapporto continuativo.
53
Dati e informazioni confluiscono, appunto, in un archivio
(art.37): l’Archivio Unico Informatico.
La gestione dell’ AUI ha lo scopo di assicurare la completezza, la
chiarezza, e l’immediatezza delle informazioni, la conservazione
di queste secondo criteri uniformi, il mantenimento della loro
storicità, la possibilità di dedurre evidenze integrate e la facilità
di consultazione.
Per quegli intermediari che appartengono ad uno stesso gruppo, è
prevista la tenuta e la gestione dei propri archivi attraverso un
unico centro di servizio, comunque garantendo la separazione e
la distinzione delle registrazioni relative a ciascun intermediario.
In questo modo, un delegato può trarre facilmente evidenze
integrate a livello di gruppo.
I dati e le informazioni registrate sono resi disponibili entro tre
giorni dalla richiesta da parte delle autorità.
I dati e le informazioni devono essere conservati nell’archivio per
dieci anni dalla conclusione del rapporto.
Inoltre, è sancito l’obbligo di inoltrare mensilmente all’UIF i dati
aggregati, utili per lo studio delle realtà territoriali, al fine di far
emergere elementi validi all’individuazione di fenomeni che
possono essere indice di attività di riciclaggio o finanziamento
54
del
terrorismo:
le
cc.dd.
Segnalazioni
Antiriciclaggio
Aggregate52.
3. La segnalazione di operazioni sospette
La segnalazione di operazioni sospette rappresenta lo “zenit”
della prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio.
Sicché essa, come anticipato, solca uno iato sulla tradizionale
operatività dell’intermediario, sia nell’ambito dei rapporti con la
clientela sia in quello dei rapporti con le autorità.
La procedura di segnalazione si può scomporre in due fasi, le cui
specificità vanno tenute ben distinte:
3.1.
Il percorso “interno” delle segnalazioni53
La segnalazione viene avviata dal responsabile del punto
operativo che è direttamente a contatto con la clientela; secondo
52
Si evidenzia come il 23 dicembre 2010 la Banca d’Italia abbia emanato le nuove
istruzioni sul contenuto delle segnalazioni S.A.R.A. Queste, infatti, dal giugno 2011,
dovranno essere effettuate esclusivamente tramite la rete da parte di tutti gli intermediari
destinatari della normativa.
53
Occorre sottolineare che la segnalazione non attribuisce al soggetto un potere-dovere di
indagine, ma solo un poter-dovere di valutazione dei dati soggettivi e oggettivi
dell’operazione ricavabili dalla stessa e dall’insieme dei dati conosciuti nell’ambito della
normale operatività istituzionale.
55
quanto previsto dall’art. 42, d.lgs. n. 231/2007, infatti, <<Il
responsabile della dipendenza, dell'ufficio, di altro punto
operativo, unità organizzativa o struttura dell'intermediario cui
compete l'amministrazione e la gestione concreta dei rapporti
con la clientela ha l'obbligo di segnalare senza ritardo al titolare
dell'attività o al legale rappresentante o a un suo delegato le
operazioni di cui all'articolo 41>>.
Seguitamente, il comma 4 del medesimo articolo così dispone <<
Il titolare dell'attività, il legale rappresentante o un suo delegato
esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le ritenga
fondate tenendo conto dell'insieme degli elementi a sua
disposizione, anche desumibili dall'archivio unico informatico, le
trasmette54 alla UIF prive del nominativo del segnalante. >>
Il soggetto incaricato ex art.42, comma 4, il c.d. responsabile
antiriciclaggio, oltre alla specificità di quanto pervenutogli,
aggiunge una valutazione individuale derivante sia dalle proprie
competenze personali sia dalla propria esperienza sì da
consentirgli di concludere sulla “sospettabilità” o meno
dell’operazione.
54
Compilando una scheda di valutazione completa delle indicazioni previste dalla UIF, e le
invia in busta sigillata. Come, anticipato, dal maggio 2011 le medesime saranno inoltrate
solo tramite rete telematica.
56
3.2.
Il percorso “esterno” delle segnalazioni
Nella consapevolezza che la riservatezza della segnalazione è
condizione essenziale per la sicurezza del personale del settore,
essa giunge a destinazione priva di qualsivoglia riferimento
all’operatore segnalante55.
Ricevuta la segnalazione l’Unità di informazione finanziaria
56
è
investito di una serie di oneri e facoltà:
 effettua necessari approfondimenti di carattere preliminare
sulle segnalazioni di operazioni sospette ricevute;
 sviluppa gli approfondimenti sulle omissioni di segnalazioni
di cui sia venuta conoscenza, svolgendo un’attività autonoma
e di iniziativa.
Per quanto attiene il primo dei suddetti compiti, l’UIF analizza le
operazioni e le approfondisce sotto il profilo finanziario,
55
Presso l’UIF si saprà solo che essa perviene dalla banca <<X>> ovvero dalla compagnia
<<Y>>, poiché le viene associato un codice che è quello assegnato all’intermediario all’atto
del rilascio dell’apposito software.
56
L'Uif è la Financial Intelligence Unit per l'Italia; essa è stata istituita presso la Banca
d'Italia il 1° gennaio 2008, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2007 emanato in
attuazione della direttiva 2005/60/CE (cd. Terza Direttiva antiriciclaggio) il quale ha
soppresso l'Ufficio Italiano dei Cambi che svolgeva precedentemente le funzioni di
Financial Intelligence Unit . La UIF esercita le proprie funzioni in piena autonomia e
indipendenza, avvalendosi di mezzi finanziari, risorse umane e tecniche attribuiti dalla
Banca d'Italia. L'organizzazione e il funzionamento della UIF sono disciplinate
con regolamento della Banca d'Italia.
57
avvalendosi anche di ulteriori notizie che può raccogliere da più
fonti informative57.
L’UIF, di propria iniziativa, su richiesta dell’intermediario o su
richiesta degli organi investigativi, inoltre, può disporre anche la
sospensione dell’operazione per un massimo di 5 giorni,
svolgendo un compito, quindi, prettamente preventivo.
Una volta analizzate ed approfondite adeguatamente sotto il
profilo tecnico- finanziario le segnalazioni ricevute, salvo siano
infondate,
le
trasmette
contestualmente,
opportunamente
arricchite e corredate da una relazione tecnica, alla Direzione
Nazionale Antimafia e al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria
della Guardia di Finanza, i quali ne informeranno il Procuratore
Nazionale Antimafia, ove tali segnalazioni siano afferenti la
criminalità organizzata58.
Per l’esecuzione dei successivi approfondimenti investigativi,
questi due organi operano in base ad uno specifico “protocollo
d’intesa”, il quale prevede che la DIA debba provvedere
all’approfondimento delle SOS che risultino ascrivibili a
57
Quali: i propri archivi; l’anagrafe dei conti e dei depositi; gli stessi soggetti segnalanti, ai
quali può richiedere maggiori informazioni; gli archivi delle Autorità di vigilanza di settore
( Banca d’Italia, Consob, Isvap); le Autorità di altri Stati che svolgono compiti analoghi.
58
Cfr. U. Nuzzo, Gli obblighi antiriciclaggio delle categorie economiche a rischio, in
“Riv.Gdf”, n.1, 2003.
58
fenomeni associativi di tipo mafioso; negli altri casi procede
esclusivamente il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria.
Nonostante la linearità, sul piano operativo, di questa procedura
di segnalazione occorre, però rilevare che la maggior parte delle
operazioni antiriciclaggio segue un percorso inverso, ossia
prende avvio dagli organi investigativi che, in base ad
accertamenti lunghi e dispendiosi, ricostruiscono il percorso
seguito dalle operazioni illecite, fino a giungere agli intermediari
mediante i quali esse sono state poste in essere.
3.3.
Le indicazioni operative della Banca d’Italia sulle
segnalazioni di operazioni sospette
Le indicazioni operative della Banca d’Italia sono destinate a
ridurre i margini di incertezza relativi alle valutazioni soggettive
o ai comportamenti discrezionali da parte degli intermediari ,
così
agevolando
l’adempimento
dell’obbligo
legale
di
segnalazione. alle autorità preposte alla prevenzione del
riciclaggio, affinché siano evitate comunicazioni indiscriminate o
poco convinte.
59
In sostanza per dare omogeneità al comportamento degli
intermediari abilitati, il 12 gennaio 2001 la Banca d’Italia ha
emanato la prima versione delle Istruzioni operative per
l’individuazione di operazioni sospette (c.d. Decalogo).
Tali finalità sono ribadite anche nella “versione aggiornata” del
Decalogo59.
In esso si allocano una casistica esemplificativa, non già
esaustiva, di indici di anomalia. Tali indici si riferiscono alla
forma “oggettiva” di anomalia di un’operazione, in presenza dei
quali l’intermediario deve valutare, integrando quest’ultimi con
tutte le altre informazioni di cui dispone, se procedere o meno
alla segnalazione all’UIF.
Gli indici di anomali vengono suddivisi in cinque macrocategorie:
i.
Indici di anomali connessi al cliente:
il cliente si rifiuta o si mostra riluttante a fornire le informazioni
richieste, ovvero fornisce informazioni false o contraffatte
59
Reale denominazione <<Provvedimento recante gli indicatori di anomalia per gli
intermediari>>, consultabile sul sito www.bancaditalia.it
60
ovvero varia ripetutamente e giustificazione le informazioni
fornite;
il cliente, senza fornire alcuna plausibile giustificazione, adotta
un comportamento del tutto inusuale rispetto a quello
comunemente tenuto dalla clientela;
il cliente effettua operazioni in contanti di significativo
ammontare ovvero con modalità inusuali quando è noto per
essere stato sottoposto a procedimento penale, a misure di
prevenzione o a provvedimenti di sequestro, ovvero quando è
notoriamente contiguo (ad esempio familiare) a soggetti
sottoposti a misure della specie ovvero effettua tali operazioni
con controparti note per le medesime circostanze;
il cliente risiede ovvero opera con controparti situate in Paesi o
territori a rischio ed effettua operazioni di significativo
ammontare con modalità inusuali, in assenza di plausibili ragioni.
ii.
Indici di anomalia connessi alle operazioni o ai rapporti:
operazioni
con
configurazione
illogica,
soprattutto
se
economicamente o finanziariamente svantaggiose per il cliente,
che non risultano in alcun modo giustificate;
61
operazioni che risultano inusuali rispetto alla prassi corrente di
mercato ovvero sono effettuate con modalità e strumenti
significativamente diversi da quelli utilizzati dagli altri operatori
attivi nello stesso comparto, soprattutto se caratterizzate da
elevata complessità ovvero dal trasferimento di somme di
importo significativo, qualora non siano giustificate da specifiche
esigenze;
operazioni che risultano non coerenti - anche per gli strumenti
utilizzati - con l’attività svolta ovvero con il profilo economico,
patrimoniale o finanziario del cliente ovvero, in caso di persona
giuridica, del relativo gruppo di appartenenza, ove non siano
adeguatamente
giustificate
dal
cliente;
operazioni effettuate frequentemente o per importi significativi
da un cliente in nome o a favore di terzi ovvero da terzi in nome
o a favore di un cliente qualora i rapporti personali, commerciali
o finanziari tra le parti non risultino giustificati, soprattutto se
volte a dissimulare il collegamento con altre operazioni.
62
iii.
Indici di anomalia connessi ai mezzi di pagamento:
utilizzo ripetuto e ingiustificato di denaro contante, specie se per
importi rilevanti o qualora implichi il ricorso a banconote di
elevato taglio;
ricorso a tecniche di frazionamento dell’operazione con
presumibili finalità elusive degli obblighi di adeguata verifica o
di registrazione, in assenza di giustificate esigenze rappresentate
dal cliente, soprattutto se volte a dissimulare il collegamento con
altre operazioni;
utilizzo di strumenti di pagamento (carte di debito, carte di
credito, carte prepagate, moneta elettronica, nella loro evidenza
fisica e virtuale) che, per modalità, ricorrenza o rilevanza
economica, non risulta coerente con la normale operatività del
cliente ovvero con l’operatività del distributore o dell’esercente
(c.d. merchant);
utilizzo ripetuto e per importi complessivi rilevanti dei servizi di
pagamento nella forma dell’incasso e del trasferimento fondi
(c.d. money transfer), laddove l’operatività risulti incoerente con
le condizioni economiche e finanziarie del cliente e non sia
adeguatamente giustificata.
63
iv.
Indici di anomalia relativi alle operazioni in strumenti
finanziari e ai contratti assicurativi:
operazioni in strumenti finanziari incoerenti con il profilo
economico, finanziario o patrimoniale del cliente ovvero, nel
caso di persone giuridiche, del gruppo di appartenenza, oppure
effettuate con modalità inusuali o illogiche, soprattutto se di
ammontare complessivamente rilevante, non adeguatamente
giustificate da specifiche esigenze;
operazioni aventi a oggetto strumenti finanziari che si
caratterizzano per l’intestazione a favore di terzi ovvero per
l’intervento di soggetti diversi, qualora non siano in alcun modo
giustificati dai rapporti tra le parti;
operazioni frequenti o di importo significativo effettuate su
strumenti finanziari non dematerializzati, soprattutto se al
portatore,
Stipula
in
di
assenza
polizze
di
assicurative
plausibili
vita
o
giustificazioni;
di
rapporti
di
capitalizzazione che risultano incoerenti con il profilo del cliente
o che presentano modalità inusuali, specie se di ammontare
rilevante,
ove
non
giustificate
da
specifiche
esigenze
rappresentate dal cliente;
64
operazioni attinenti a polizze assicurative vita o a rapporti di
capitalizzazione effettuate frequentemente o per importi rilevanti
dal contraente in nome o a favore di terzi ovvero da terzi in nome
o a favore del contraente, qualora i rapporti personali,
commerciali o finanziari tra le parti non risultino giustificati;
Pagamenti di premi relativi a polizze assicurative vita o a
rapporti di capitalizzazione con modalità inusuali o illogiche,
specie se di ingente ammontare, non giustificati da specifiche
esigenze rappresentate dal cliente;
Riscatto o liquidazione di polizze assicurative vita o di rapporti
con modalità inusuali o illogiche, non giustificati da specifiche
esigenze rappresentate dal cliente.
v.
Indici di anomalia relativi al finanziamento del terrorismo:
operazioni che, per il profilo soggettivo di chi le richiede ovvero
per le modalità inusuali della movimentazione, appaiono
riconducibili a fenomeni di finanziamento del terrorismo;
operazioni che, per le modalità inusuali della movimentazione o
l’incoerenza con il profilo economico di chi le richiede, appaiono
riconducibili all’abuso di organizzazioni non profit a scopo di
finanziamento del terrorismo.
65
3.4.
I generatori di indici di anomalia: Gianos
Il sistema bancario italiano, oltre ad aver collaborato, per il
tramite dell’ABI, alle realizzazione, da parte della Banca d’Italia,
alle <<Istruzioni operative per la segnalazione di operazione
sospette>>, ha anche sviluppato dei sistemi informatici
innovativi volti ad aiutare i dipendenti bancari nell’attività di
collaborazione attiva con le autorità inquirenti.
Segnatamente, si è adottato l’utilizzo di GIANOS (acronimo di
Generatore di Indici di Anomalia per Operazioni Sospette), che
consiste in un programma che fornisce una procedura di
rilevazione automatica di quelle operazioni anomale che,
mediante tabelle algoritmiche, corrispondono alla casistica
contenuta nel Decalogo.
GIANOS consiste in un software che prende in esame tutte le
registrazioni, anche quelle relative ad operazioni frazionate,
contenute nell’Archivio Unico Informatico, costituito presso gli
intermediari finanziari60.
60
V. F. Berghella, in AA.VV., Nuova guida agli adempimenti antiriciclaggio: manuale
operativo per le banche e gli intermediari finanziari, Bancaria editrice, 1998.
66
4. Sistemi di pagamento e misure antiriciclaggio
4.1.
La diffusione del denaro contante in Italia ed i presìdi
antiriciclaggio
Gli stretti profili di contiguità tra i fenomeni del riciclaggio e
dell’evasione fiscale appaiono ancora più evidenti dall’analisi
delle dinamiche connesse all’utilizzo del denaro contante, in
quanto i trasferimenti effettuati utilizzando questo strumento non
sono tracciati dai sistemi di prevenzione antiriciclaggio e le
relative movimentazioni non possono essere ricostruite in sede
investigativa.
Consapevole della intrinseca pericolosità connessa all'utilizzo del
denaro contante per scopi di riciclaggio, già con la legge n.
197/1991 il Legislatore italiano introdusse una disposizione con
cui veniva vietato il trasferimento di denaro contante, di libretti
di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in
lire o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti
diversi,
quando
il
valore
da
trasferire
fosse
stato
complessivamente superiore a 20 milioni di lire.
Tale soglia è stata più volte modificata, dapprima per adeguare
l’importo in lire alla nuova moneta unica, elevandola a 12.500
67
euro, per poi ridurla a 5.000 con l’entrata in vigore del d.lgs. n.
231/2007. Successivamente, dopo un ritorno al più elevato limite
di 12.500 euro, la soglia è stata progressivamente ridotta negli
anni 2010 e 2011, fino ad arrivare al limite attuale di 1.000 euro,
introdotto dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge
22 dicembre 2011, n. 214.
Sebbene la disposizione sulla limitazione dell’uso del contante
sia finalizzata a prevenire il fenomeno del riciclaggio, le ragioni
della sensibile rimodulazione verso il basso vanno ricercate
principalmente nelle esigenze di contrastare l’evasione fiscale,
nel presupposto che quanto più basso è il limite per utilizzare
legittimamente il denaro contante per eseguire transazioni
commerciali, tanto maggiore dovrebbe essere la spinta a regolare
i rapporti economici facendo ricorso al canale bancario o
comunque a strumenti tracciabili, con la conseguenza di indurre
gli operatori a dichiarare ai fini fiscali il valore reale delle
operazioni poste in essere.
In linea di continuità con la precedente normativa, il d.lgs. n.
231/2007 ha previsto ulteriori disposizioni finalizzate a limitare
l’uso del contante in favore di strumenti che consentano la
tracciabilità dell’operazioni, tra i quali si evidenziano quelli
68
relativi alla emissione dei moduli di assegni bancari e postali già
muniti della clausola di non trasferibilità, confermando – per
quelli di importo pari o superiore alla soglia – l’obbligo di
indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la
clausola di non trasferibilità, nonché il divieto di detenere libretti
di deposito bancari o postali al portatore con un saldo di importo
pari o superiore alla soglia.
Le ragioni dell’elevato utilizzo del denaro contante in Italia solo
in parte possono essere riconducibili a fattori culturali ed alla
difficoltà di alcune fasce della popolazione ad utilizzare forme di
pagamento “elettroniche”, quali le carte di credito e i servizi
telematici di home banking. In realtà, il permanere del rilevante
utilizzo del contante è principalmente da ascriversi all’elevato
livello di evasione fiscale e alla necessità di regolare transazioni
illecite da parte della criminalità comune ed organizzata, proprio
perché l’utilizzo del contante garantisce l’anonimato.
A tale proposito, si pone in evidenza che il ricorso ad operazioni
in contante per eseguire operazioni di riciclaggio è desumibile
anche dall’analisi delle causali delle segnalazioni di operazioni
sospette che i soggetti tenuti agli obblighi di collaborazione attiva
sono tenuti ad inoltrare, ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n.
69
231/2007, all’UIF quando sanno, sospettano o hanno motivi
ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state
compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento
del terrorismo.
Proprio in considerazione dell'elevato numero di segnalazioni
sospette connesse all’operatività in denaro contante, il legislatore
ha ritenuto opportuno integrare le disposizioni contenute nell’art.
41, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007, secondo cui il sospetto è
desunto dalle caratteristiche, entità, natura del l’operazione o da
qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni
esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e
dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi
a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività
svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico. Infatti,
per effetto dell’art. 36, comma 1, lett. b), del d.l. 31 maggio
2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è stato
specificato che costituisce elemento di sospetto, ai fini
dell’inoltro
delle
segnalazioni,
il
ricorso
frequente
o
ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione
dei limiti previ sto dall’art. 49 dello stesso d.lgs. n. 231/2007, e,
70
in particolare, il prelievo o il versamento in contante con
intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro.
Ulteriori indicatori sull'utilizzo del denaro contante per scopi di
riciclaggio e di evasione possono essere individuati nei rapporti
con l’estero. Secondo alcune stime61, in Italia circola mediamente
il 20% di denaro contante in più rispetto al resto d’Europa, e il
90% delle transazioni avviene in contante, a differenza del 69%
della Francia e del 78% della Germania e del 70% della media
europea. Proprio per queste ragioni, è stato osservato62 che
l’utilizzo dei corrieri per il trasporto all’estero di denaro contante
“rappresenta la tecnica più antica e più artigianale ma allo stesso
tempo è ancora una delle più usate per riciclare capitali illeciti”. I
cosiddetti “spalloni” sono tuttora utilizzati anche per far rientrare
in Italia le disponibilità finanziarie illecitamente costituite
all’estero. Peraltro utilizzando banconote di grosso taglio, quali
quelle da 500 euro, è possibile trasportare in una normale
valigetta “24 ore” fino a 6 milioni di euro.
A comprova di ciò si evidenzia che – secondo uno studio
riservato dell’UIF risalente al mese di giugno 2009, il quale a sua
61
riportate da M. CARBONE - M. TOLLA, Elementi normativi internazionali e nazionali
in materia di riciclaggio, cit., 292
62
P. GRASSO, Soldi sporchi, cit., 147 ss.
71
volta riprende i dati diffusi dalla Banca Centrale Europea – il
36% del valore delle banconote in circolazione nell’area euro nel
mese di aprile 2009 era costituito da quelle da 500 euro, che alla
fine del 2002, cioè ad un anno dall’adozione della moneta unica,
costituivano il 23% del valore delle banconote in circolazione. La
crescita esponenziale della domanda di banconote del taglio più
elevato, peraltro scarsamente utilizzate per le transazioni
ordinarie, è difficilmente riconducibile nell’ambito di un utilizzo
fisiologico del denaro contante, soprattutto ove si consideri che
da detto studio emerge che in Italia nell’anno 2008 le banconote
da 500 euro erano principalmente concentrate presso alcune
province transfrontaliere, quali Como, Lecco, Forlì-Cesena e
Rimini, ubicate in prossimità del confine con piazze estere
sensibili in termini di attrazione di capitali, quali la Svizzera e la
Repubblica di San Marino. Sebbene non sussistano statistiche
ufficiali sull’impiego di banconote da 500 euro nell’ambito
dell’economia illegale, la crescita della domanda di questa
tipologia di banconote e la loro concentrazione in particolari aree
geografiche del nostro Paese fanno ragionevolmente presumere
72
un loro mirato utilizzo quale strumento di riciclaggio e di
evasione fiscale63
4.2. La limitazione all’uso del denaro contante e dei titoli al
portatore
Pur mantenendo l’impostazione di base introdotta dall’art. 1 della
legge n. 197/ 1991, la nuova disciplina sulla limitazione dell’uso
del contante, contenuta nel l’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007, è
caratterizzata da alcune differenze sostanziali rispetto alla
previgente formulazione.
In primo luogo, il testo originario dell’art. 49 aveva abbassato la
soglia relativa alla circolazione del denaro contante, degli assegni
e dei libretti al portatore da 12.500 a 5.000 euro, nella prospettiva
di
ridurre
sensibilmente
l’ambito
delle
operazioni
che
fuoriuscivano dal sistema di tracciamento garantito dal sistema
finanziario. In tal modo, ponendo il vincolo del monitoraggio di
tutte le transazioni finanziarie di importo superiore a 5.000 euro,
di fatto, si è ampliata la sfera di applicabilità delle disposizioni in
tema di adeguata verifica e di registrazione delle informazioni
63
in proposito, v. M. CARBONE - M. TOLLA, Elementi normativi internazionali e
nazionali in materia di riciclaggio.
73
riguardanti l’autore, la natura, l’importo ed il mezzo di paga
mento utilizzato.
Detto importo fu, tuttavia, riportato a 12.500 euro dal d.l. 25
giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
per poi essere nuovamente ridotto, per ragioni essenzialmente
connesse al rafforzamento della lotta all’evasione fiscale,
nell’arco di poco più di un anno, dapprima a 5.000 euro, dal d.l.
31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n.
122, per essere ulteriormente abbassato, per effetto delle
manovre di correzione dei conti pubblici emanate nel 2011,
dapprima a 2.500 euro dal d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per poi essere portato alla
vigente soglia di 1.000 euro, introdotta dal d.l. 6 dicembre 2011,
n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Ulteriore elemento di novità introdotto dal d.lgs. n. 231/2007
riguarda le modalità con cui possono essere effettuati i
trasferimenti di contante per importi superiori alla soglia.
Infatti, secondo la vigente disposizione, tali movimentazioni
continuano a poter essere effettuate non più tramite gli
“intermediari abilitati”, ma unicamente mediante banche, Poste
Italiane S.p.a. e gli istituti di moneta elettronica. Questa modifica
74
è da porre in relazione alla rinnovata architettura del sistema di
prevenzione antiriciclaggio che ha eliminato il riferimento alla
nozione di “intermediario abilitato” a ricevere ed effettuare
operazioni sopra soglia, proprio nella prospettiva di ridurre il
novero dei soggetti che potevano legittimamente trasferire
contante per importi superiori alla soglia.
Questa scelta ha determinato la circostanza per cui, ad esempio,
il pagamento del premio di una polizza assicurativa ad una
compagnia assicurativa, eseguito in denaro contante per un
importo superiore alla soglia, costituisce ora violazione alla
disposizione contenuta nell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n.
231/2007 e sanzionata dall’art. 58, comma 1, del medesimo
provvedimento legislativo.
L’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007 ha altresì confermato la disciplina
sull’utilizzo degli assegni bancari e postali, prevedendo che
quelli di importo pari o superiore alla soglia devono recare
l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e
la clausola di non trasferibilità.
Analogamente, anche gli assegni circolari, vaglia postali e
cambiari sono emessi con l’indicazione del nome o della ragione
sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità; tuttavia,
75
l’emissione di quelli di importo inferiore alla soglia può essere
richiesta, per iscritto, dal cliente senza la clausola di non
trasferibilità.
Anche la disciplina degli assegni contenuta nel d.lgs. n. 231/2007
si caratterizza per alcune novità rispetto a quella contenuta nella
legge n. 197/1991. Infatti, al fine di incentivare l’utilizzo di
strumenti tracciabili che consentano l’identificazione dell’avente
causa, è stato previsto:
- il divieto di emissione degli assegni all’ordine del traente,
salva la possibilità di un tale forma di emissione per girare
gli assegni stessi a una banca o a Poste Italiane S.p.a. per
l’incasso. Con questa disposizione viene posto un limite
significativo alla prassi che consentiva di fatto una
circolazione “al portatore” di titoli all’ordine, che venivano
principalmente utilizzati per pagare prestazioni o acquisiti
di merce in evasione fiscale, tenuto conto che l’assegno
emesso “a me medesimo” o “a sé stessi” rappresenta una
delle modalità per pagare “in nero” fornitori o prestatori di
servizi. In tal modo, infatti, il traente si pro cura una
somma di denaro contante con cui paga le prestazioni o i
76
beni ricevuti, con la conseguenza di rendere difficoltoso
individuare, in sede investigativa, chi sia il soggetto che ha
effettivamente incassato le somme;
- che i moduli di assegni bancari e postali siano rilasciati
dalle banche e da Poste Italiane S.p.a. già muniti della
clausola di non trasferibilità. Tuttavia, il cliente può
richiedere, per iscritto, il rilascio di moduli di assegni
bancari e postali in forma libera. Inoltre, allo scopo di
disincentivare l’utilizzo degli assegni non recanti la
clausola di non trasferibilità, l’art. 49, comma 10, del d.lgs.
n. 231/ 2007 ha previsto che il richiedente corrisponda, a
titolo di imposta di bollo, la somma di 1,50 euro per
ciascun modulo di assegno bancario o postale richiesto in
forma libera fin dall’origine ovvero per ciascun assegno
circolare o vaglia postale o cambiario rilasciato senza
l’apposizione di detta clausola.
L’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007 ha altresì confermato le
disposizioni riguardanti il divieto di detenere libretti di deposito
bancari o postali al portatore con un saldo di importo pari o
superiore alla soglia di 5.000 euro. Quelli che alla data di entrata
in vigore del d.lgs. n. 231/2007 avessero avuto un saldo
77
superiore, dovevano essere estinti dal portatore ovvero il loro
saldo deve essere ridotto a una somma non eccedente il predetto
importo entro il 30 giugno 2009. L’ultima significativa novità
introdotta dal d.lgs. n. 231/2007 ha riguardato la specifica
limitazione all’utilizzo del denaro contante da parte degli agenti
in attività finanziaria che svolgono l’attività di incasso e
trasferimento fondi (money transfer).
Le specifiche limitazioni dell’uso del contante da parte dei
money transfer sono state abrogate, con decorrenza dal 17
settembre 2011, dall’art. 2, comma 4-bis, del d.l. 13 agosto 2011,
n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Conseguentemente, a decorrere da questa data, i trasferimenti di
denaro contante effettuati presso i money transfer sono soggetti
alla disciplina generale, per cui detti operatori non potranno
ricevere dai clienti denaro contante per importi pari o superiori a
1.000 euro.
Tutte le disposizioni riguardanti la limitazione all’utilizzo del
denaro contante, contenute nell’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007
sono entrate in vigore in data 30 aprile 2008, in epoca successiva
78
all’entrata in vigore delle rimanenti disposizioni del decreto
antiriciclaggio64.
4.3 . La causa di trasferimento
Ai fini dell’applicazione della disposizione sulla limitazione
dell’uso del contante, non rileva la causa del trasferimento, in
quanto il divieto si applica per i trasferimenti effettuati “a
qualsiasi
titolo”.
La
limitazione
opera,
pertanto,
indipendentemente dalla natura lecita o illecita dell’operazione
alla quale il trasferimento si riferisce, trattandosi di un divieto
“oggettivo”, in cui non rilevano, ai fini della configurabilità della
violazione, le ragioni che hanno determinato il trasferimento del
denaro contante.
Proprio il carattere oggettivo del divieto determina che
l’inosservanza della disposizione non comporta l’invalidità o
l’annullamento dell’operazione posta in esse re, che quindi
64
. In proposito, M. KROGH, Le nuove limitazioni all’uso del contante e dei titoli al
portatore introdotte dal d.lgs. 231 del 2007 e la tracciabilità dei pagamenti, cit., osserva che
il differimento temporale dell’entrata in vigore delle nove regole sulla limitazione dell’uso
del contante “è verosimilmente giustificato dal forte e generalizzato impatto che queste
disposizioni avranno sulle ricorrenti prassi commerciali ed abitudini sociali”.
79
rimane
salva65,
comportando
unicamente
la
sussistenza
dell’illecito amministrativo previsto dal citato art. 58, comma 1,
del d.lgs. n. 231/2007.
4.4 . Le operazioni frazionate
Il limite dell’utilizzo del denaro contante opera anche in presenza
più trasferimenti, singolarmente di importo inferiore a 1.000
euro, ma riferibili ad una operazione economica di valore
unitario superiore alla soglia; l’art. 49, comma 1, del d.lgs. n.
231/2007 sancisce, infatti, che “il trasferimento è vietato anche
quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che
appaiono artificiosamente frazionati”.
A tale proposito, si evidenza che l’art. 1, comma 2, lett. m), del
d.lgs. n. 231/2007 qualifica come frazionata “l’operazione
unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai
limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere at traverso più
operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in
momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in
65
In senso conforme, vgs. A. MENGALI, Antiriciclaggio, Violazioni di natura
amministrativa, cit. Al riguardo, si evidenzia che, nel disciplinare le violazioni alle
disposizioni sulla limitazione del l’uso del denaro contante, l’art. 58, comma 1, del d.lgs. n.
231/2007 fa espressamente salva l’efficacia degli atti di trasferimento.
80
sette giorni ferma restando la sussistenza dell’operazione
frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale”.
Conseguentemente, in linea di principio e sulla base di una
interpretazione lettera le della disposizione, i trasferimenti di
denaro contante effettuati oltre il suddetto limite temporale di
sette giorni non sono riferibili alla medesima operazione e,
quindi, non configurano una operazione frazionata.
Tuttavia, la nozione contenuta nel provvedimento antiriciclaggio
prevede altresì che una operazione possa considerarsi frazionata
anche quando ricorrano elementi per ritenerla tale. Questa
“clausola di salvaguardia” consente di evitare facili aggiramenti
del divieto di utilizzo del denaro contante, mediante l’esecuzione
di singoli trasferimenti sotto soglia riconducibili alla medesima
operazione in un arco temporale anche di poco più ampio rispetto
a sette giorni. A tale riguardo, gli organi di controllo dovranno
dimostrare che comportamento sia stato posto in essere al solo
scopo di eludere le disposizioni riguardanti il divieto in esame.
In proposito, la Corte di Cassazione66 ha ritenuto illegittime le
operazioni di trasferimento di denaro contante, singolarmente di
importo inferiore alla soglia, ma riconducibili ad una unica
66
Corte di Cassazione, Sez. II, 10 aprile 2007, n. 8698.
81
operazione, eseguite da una società senza ricorrere agli
intermediari abilitati. In tale occasione la Corte di Cassazione ha
avuto modo di precisare che “con la nozione di trasferimento si
intende non solo l’effettuazione di un determinato atto, ma
l’insieme di tutti gli atti che siano tra loro funzionalmente
collegati per realizzare una unica operazione di movimentazione
di valuta. Ne consegue che non possono di per se ritenersi
legittime le operazioni di trasferimento di una pluralità di somme
per essere l’importo di ciascuna di esse inferire al limite previsto
dal d.l. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, potendo la conformità
di esse alla disciplina antiriciclaggio essere riconosciuta soltanto
quando sia da escludere che i diversi trasferimenti rappresentino
delle operazioni frazionate riconducibili ad un unico importo
superiore a lire 20.000.000 (ora euro 12.500) trasferito o da
trasferire al di fuori dei canali istituzionalizzati”.
Il citato orientamento è stato confermato più di recente dalla
stessa Corte di Cassazione67, che ha precisato, in relazione ad un
acquisto di un immobile pagato in maniera frazionata mediante
assegni bancari e denaro contante versati con importo non
superiori a 20 milioni di lire, che “in tema di sanzioni
67
Corte di Cassazione, Sez. II, 22 giugno 2010, n. 15103.
82
amministrative per violazione della normativa antiriciclaggio, il
divieto posto dall’art. 1, primo comma, del d.l. n. 143 del 1991,
conv. in legge n. 197 del 1991, di trasferire denaro contante e
titoli al portatore per importi superiori a lire 20.000.000 (ora euro
12.500) senza il tramite di intermediari abilitati, fa riferimento al
valore
dell’intera
operazione
economica
alla
quale
il
trasferimento è funzionale e si applica anche quando detto
trasferimento si sia realizzato mediante il compimento di varie
operazioni, ciascuna di valore inferiore o pari al massimo
consentito”.
4.5 . La circolazione transfrontaliera dei capitali
Il controllo dei flussi monetari ha sempre costituito uno dei
principali sistemi con cui ogni Stato ha regolato le transazioni
finanziarie, disciplinato i movimenti di capitali, nonché
stabilizzato e corretto gli eventuali squilibri economici con gli
altri Paesi.
L’esame della disciplina della circolazione dei capitali e dei
vincoli che a questa possono essere imposti deve essere, pertanto,
83
affrontato nella più ampia prospetti va internazionale, con
particolare riguardo a quella comunitaria.
Nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea,
firmato a Roma il 25 marzo 1957,la limitazione ai movimenti di
capitali rappresentava uno degli osta coli esistenti tra gli Stati
membri da rimuovere per realizzare una libera circolazione delle
merci, delle persone e dei servizi in ambito comunitario. Tra le
quattro “libertà fondamentali” sancite dal Trattato, l’effettiva
liberalizzazione dei movimenti di capitali è quella che ha avuto il
cammino più difficile e travagliato, tenuto conto che la
particolare materia veniva spesso ad interferire – se non
addirittura a coincidere – con le scelte di politica economica e
monetaria degli Stati membri.
Successivamente all'emanazione della direttiva 88/361/CEE, la
libertà dei movimenti di capitali è stata definitivamente sancita
dal Trattato di Maastricht che ha perfezionato e razionalizzato la
disciplina, unificando le nozioni di capitali e pagamenti fino ad
allora disciplinati in settori diversi68.
68
Dal 1° gennaio 1994, gli attuali articoli da 56 a 60 hanno definitivamente sostituito gli
artt. 67 73 del Trattato, nonché le disposizioni dedicate ai pagamenti, prima comprese tra le
disposizioni sulla politica economica e monetaria, a loro volta radicalmente modificate dal
Trattato di Maastricht.
84
Il capo IV del Trattato, che ricalca il tenore della direttiva
88/361/CEE, è infatti dedicato a “Capitali e pagamenti”, in cui
viene sancito, all’art. 56, n. 1, che “nell’ambito delle disposizioni
previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai
movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e
Paesi terzi”69.
Il principio, sancito dall’art. 56 – che come chiarito dalla Corte di
Giustizia in più occasioni18 è provvisto di efficacia diretta – è
che tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti tra
Stati membri e tra questi e Stati terzi (anche le restrizioni
indirette o dissimulate in misure in apparenza indistintamente
applicabili) sono abolite.
Alla originaria finalità di garantire la libera circolazione dei
capitali, la normativa comunitaria ha progressivamente ampliato
la portata della disciplina in argomento, estendendola anche alla
prevenzione del riciclaggio, tenuto conto che la rimozione delle
barriere tra i Paesi membri poteva costituire un fattore che poteva
essere utilizzato dalla criminalità economica per reinvestire
proventi derivanti da attività illecite.
69
La stessa formula è utilizzata anche per i pagamenti (art. 56, n. 2).
85
4.6 . La disciplina interna vigente
In attuazione della delega contenuta nell’art. 15 della legge n.
34/2008 è stato emanato il d.lgs. 19 novembre 2008, n. 195, che a
decorrere dal 1° gennaio 2009, ha sostituito la precedente
normativa nazionale sulla circolazione transfrontaliera di capitali
in entrata o in uscita dall’Italia, per allinearla a quanto prescritto
dal regolamento CE n. 1889/2005 del 26 ottobre 2005 e che
costituisce ora la disciplina base nazionale in materia di
circolazione transfrontaliera di capitali al seguito, in sostituzione
della previgente normativa fissata dal d.l. n. 167/199070.
Il provvedimento ha messo sostanzialmente ordine nella
normativa valutaria, raccogliendo in un unico atto normativo la
disciplina dei trasferimenti di denaro contante dall’Italia verso
paesi dell’Unione europea ed extra-comunitari.
4.6.1. Princìpi generali
In conformità a quanto previsto dal regolamento (CE) n.
1889/2005, le misure contenute nel d.lgs. n. 195/2008 sono
70
Per approfondimenti, vgs. E. FISICARO, Denaro transfrontaliero: obbligo di
dichiarazione, in Guida ai controlli fiscali, n. 4/2009.
86
finalizzate a contrastare l’introduzione dei proventi di attività
criminose nel sistema economico e finanziario a protezione dello
sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività
economiche e del corretto funzionamento del mercato interno,
attraverso l’istituzione di un sistema di sorveglianza sui
movimenti transfrontalieri di denaro contante che consenta,
attraverso l’obbligo della dichiarazione, di monitorare i
trasferimenti di capitali in entrata e in uscita dal nostro Paese.
In questa prospettiva, l’obbligo della dichiarazione assolve anche
al compito di prevenire il riciclaggio dei proventi criminali ed il
finanziamento
del
terrorismo
intercettando,
mediante
l’effettuazione dei controlli doganali alla frontiera ed i servizi di
vigilanza dinamica pianificati sul territorio nazionale, i capitali
che si intendono occultare e trasferire al seguito per le predette
finalità illecite.
Per questa ragione, il d.lgs. n. 195/2008 è stato coordinato con la
disciplina di prevenzione dell’uso del sistema finanziario per
scopi di riciclaggio e di finanzia mento del terrorismo –
contenuta nel d.lgs. 22 giugno 2007, n. 109 e nel d.lgs. 21
novembre 2007, n. 231, con cui è stata recepita la direttiva
2005/60/CE del Parla mento e del Consiglio del 26 ottobre 2005
87
– prevedendo un sistema di scambio di informazioni, di dati e di
notizie tra le Autorità competenti italiane e quelle degli altri Stati
membri della Comunità europea. A tal fine, l’art. 1 del d.lgs. n.
195/2008
richiama
“finanziamento
del
le
nozioni
di
terrorismo”,
già
“riciclaggio”
previste
e
ai
di
fini
amministrativi dal d.lgs. n. 231/2007.
Ciò comporta che, nel caso di trasferimento al seguito di denaro
contante o di valori a questo assimilati dall’art. 1 del d.lgs. n.
195/2008, anche di importo inferiore a 10.000 euro, per i quali
sussistano elementi tali da far ritenere che la movimentazione da
o verso l’estero possa costituire una possibile tecnica di
riciclaggio, le Autorità di controllo sono tenute ad informare
l’UIF, anche se colui che le sta trasferendo è lo stesso soggetto
che ha commesso il delitto presupposto.
4.6.2. Autorità competenti
Al fine di controllare l’adempimento degli obblighi di
dichiarazione, il regola mento n. 1889/2005 prevede che i
funzionari delle Autorità competenti dei paesi membri possano
sottoporre a controllo, alle condizioni previste dalle legislazioni
88
nazionali, le persone fisiche, i loro bagagli ed i mezzi di trasporto
utilizzati.
L’art. 2 del regolamento n. 1889/2005 stabilisce che le Autorità
competenti sono le autorità doganali degli Stati membri o altre
autorità autorizzate dagli Stati membri ad applicare il presente
regolamento.
In linea con questa definizione, l’art. 1, comma 1, lett. a), del
d.lgs. n. 195/2008 individua, in conformità alla cornice
istituzionale nazionale, le Autorità preposte a tutela del sistema
di sorveglianza nazionale sui movimenti transfrontalieri di valuta
nell’Agenzia delle Dogane e nella Guardia di Finanza, cui
attribuisce poteri di controllo, accertamento e contestazione delle
violazioni connesse agli obblighi dichiarativi di cui trattasi, in
virtù delle rispettive norme di riferimento.
4.6.3. L’obbligo di dichiarazione
L’art. 3 del d.lgs. n. 195/2008 prevede che ogni persona fisica
che entra nel territorio nazionale o ne esce e trasporta denaro
contante di importo pari o superiore a 10.000 euro deve
dichiarare tale somma all’Agenzia delle Dogane. Ciò comporta
89
che la disciplina dei movimenti transfrontalieri di denaro
contante si applica sia per i passaggi intracomunitari di persone
dirette dall’Italia verso un altro Paese dell’Unione europea, e
viceversa, sia per quelli extracomunitari dei soggetti che varcano
la frontiera dello Stato italiano da e verso un Paese non
appartenente alla Comunità europea.
L’obbligo di dichiarazione trova applicazione per ogni
viaggiatore che entra o esce per via aerea, stradale, ferroviaria o
marittima, a prescindere dal motivo del viaggio, così come non
rileva la qualifica di proprietario del denaro, per cui se una
persona fisica trasporta denaro per conto di una persona giudica o
per un altro soggetto, tale persona deve effettuare la
dichiarazione indicando il nome della persona giuridica o
dell’altro soggetto. Per le persone fisiche che viaggiano in
gruppo, il limite di 10.000 euro si applica singolarmente a
ciascuna
persona71.
Ai
fini
della
configurabilità
dell’adempimento in questione, non rilevano le concrete modalità
di trasporto del denaro contante, che possono essere sia palesi (ad
esempio, nel portafogli, nel bagaglio a mano o da stiva) sia
occulti (ad esempio, nascosta in doppi fondi di borse,
71
. L’obbligo di dichiarazione all’Agenzia delle Dogane sussiste anche per le somme
trasportate da minori, fermo restando che l’adempimento dichiarativo grava in capo ai
genitori o alle persone che ne esercitano la patria potestà.
90
autovetture, biciclette, nella biancheria intima, in pacchetti di
sigarette o derrate alimentari)72.
Le disposizioni sui movimenti di valuta oltre frontiera non si
applicano ai trasferimenti di vaglia postali o cambiari, ovvero di
assegni postali, bancari o circolari, tratti o emessi da banche o
Poste Italiane S.p.a. che rechino l’indicazione del nome del
beneficiario e la clausola di non trasferibilità, in quanto strumenti
tracciabili dal sistema bancario. In questo senso, restano, in ogni
caso, applicabili le disposizioni contenute nell’art. 49 del d.lgs. n.
231/2007 in materia di circolazione del denaro contante e degli
altri mezzi di pagamento, con particolare riguardo a quelle
riguardanti il divieto di trasferimento, effettuato a qualsiasi titolo
fra soggetti di versi, di denaro contante, di libretti al portatore o
postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta,
quando il valore dell’operazione è complessivamente pari o
superiore a 1.000 euro, l’obbligo di emettere assegni bancari,
72
Tra i sistemi di occultamento delle somme di denaro, l’esperienza degli organi di
controllo ha individuato molteplici forme, quali: la c.d. “polverizzazione” dei trasferimenti,
ossia la ripartizione delle somme di proprietà di un soggetto tra più passeggeri prima di
attraversare la frontiera, allo scopo di non eccedere il limite quantitativo stabilito dalla
legge, per poi riacquisirne la disponibilità una volta passato il confine; il trasporto di denaro
sulla persona (scarpe, calzini, slip, reggiseno, legati alla vita, in mezzo ai biglietti da
viaggio, nella carta di imbarco e/o nei documenti portati a mano); il trasporto nel bagaglio o
direttamente a bordo di autovetture, all’interno di vani quali cassetti, braccioli e schienali
portaoggetti oppure in appositi doppifondi creati ad hoc, o ancora in pacchi di biscotti,
cioccolata, pasta ed altri generi alimentari, libri o portafoto; l’occultamento di banconote
all’interno di sigarette, preventivamente svuotate del tabacco o all’interno di salvaslip
preventivamente separati e successivamente rincollati a caldo in modo da non lasciare segni
evidenti di alterazione. S. TAMBURELLO, Tutti i trucchi per esportare valuta. In una
valigetta? Sei milioni, in Corriere della Sera, 30 marzo 2012.
91
postali e circolari, vaglia postali e cambiari di importo pari o
superiori alla predetta soglia con l’indicazione del beneficiario e
la clausola di non trasferibilità e la possibilità di girare
unicamente all’incasso ad una banca o a Poste Italiane S.p.a. gli
assegni bancari e postali emessi all’ordine del traente.
92
CAPITOLO QUINTO
LA
RESPONSABILITÀ
INTERMEDIARI
AMMINISTRATIVA
FINANZIARI
E
LA
DEGLI
DISCIPLINA
ANTIRICICLAGGIO
1. Premessa
Il Decreto Legislativo del 21 novembre 2007, n. 231, ha
introdotto un raccordo tra la disciplina antiriciclaggio e quella
sulla responsabilità amministrativa degli enti prevista dal Decreto
Legislativo del 8 giugno 2001, n. 231. Entrambi i decreti
perseguono il fine comune di preservare l’impresa dal
coinvolgimento in attività illecite e di evitare effetti distorsivi per
la concorrenza e per l’ordine economico nel suo complesso.
2. Elementi distintivi
Gli scopi specifici dei due plessi normativi sono differenti.
Nel caso del d.lgs. 231 del 2001, si tratta di evitare che il
personale dell’impresa commetta determinati reati nell’interesse
93
o a vantaggio dell’impresa stessa. Le norme del decreto si
applicano, a prescindere dall’attività svolta, sia agli enti dotati di
personalità giuridica sia alle associazioni che ne sono prive73.
La disciplina antiriciclaggio dettata dal d.lgs. 231 del 2007,
invece, mira principalmente a evitare che, per l’attività svolta,
determinate categorie di soggetti siano anche inconsapevolmente
utilizzate dai propri clienti per riciclare beni di provenienza
illecita.
Queste differenze si riflettono sul ruolo della banca che è
interessata da entrambi i sistemi di norme.
Ai sensi del decreto del 2001, la banca viene in considerazione
come impresa ed è responsabile se i reati previsti vengono
commessi dai propri vertici o dai dipendenti nell’interesse o a
vantaggio della banca stessa, salvo che ricorrano i presupposti
per l’esenzione dalla responsabilità.
In applicazione del decreto del 2007 la banca, al pari degli altri
soggetti obbligati, è invece chiamata a svolgere una funzione
inquadrabile tra i doveri civici di collaborazione con i pubblici
poteri, ai fini della prevenzione e repressione del riciclaggio e del
finanziamento del terrorismo.
73
Restano esclusi solo gli enti pubblici territoriali, quelli non economici e gli enti con
funzioni di rilievo costituzionale.
94
Anche la nozione di riciclaggio presa in considerazione dalle due
normative è differente.
L’art. 25-octies del d.lgs. 231/2001 - introdotto nel decreto stesso
dall’art. 63, comma 3, del decreto legislativo emanato con lo
stesso numero d’ordine nel 2007 - ha esteso la responsabilità
amministrativa degli enti ai reati di ricettazione, riciclaggio e
impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (artt. 648,
648-bis e 648-ter c.p.). Tali reati si aggiungono, pertanto, ad altri
reati “economici” già previsti dal Decreto del 200174 come
presupposto della responsabilità amministrativa degli enti di
appartenenza, qualora siano commessi, nell’interesse o a
vantaggio di questi (art. 5), da soggetti in posizione tanto apicale
quanto subordinata (artt. 6 e 7)75.
Considerata la struttura complessa del reato di riciclaggio, la cui
consumazione presuppone la provenienza dei beni da riciclare da
un precedente reato, l’estensione della responsabilità quasi
penale degli enti ai reati riciclativi ha prodotto indirettamente
l’effetto di attrarre nell’ambito di applicazione delle norme di
esonero dalla responsabilità previste dal d.lgs. 231/01 anche i
74
Tra i quali la truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di
erogazioni pubbliche; i reati societari dal falso in bilancio al falso in prospetto; gli abusi di
mercato.
75
Il novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti è venuto progressivamente
allargandosi per effetto di successivi interventi normativi. Inizialmente i reati presupposto
erano solo tre: corruzione, concussione e truffa.
95
“delitti non colposi” che, in base al diritto penale vigente,
possono tutti costituire presupposto del riciclaggio. Di ciò deve
tenersi conto nel predisporre un modello organizzativo idoneo a
prevenire la commissione di condotte riciclative, avuto in
particolare riguardo alla necessità di individuare anche le aree nel
cui ambito possono essere commessi i reati presupposto.
Come si è detto, la nozione di riciclaggio introdotta dal d.lgs.
231/2007 ai soli fini dell'applicazione del decreto stesso
differisce da quella alla base dei reati riciclativi di cui all’art. 25octies del d.lgs. 231/2001. Tale nozione si caratterizza per una
maggiore
ampiezza
nella
definizione
delle
condotte
e
nell’individuazione dei presupposti oggettivi e soggettivi che
fanno scattare l’obbligo di segnalazione delle operazioni
sospette. In particolare, in un contesto che trascende l'ambito
nazionale, essa comprende anche le attività di auto-riciclaggio,
come noto, non punite autonomamente dal diritto penale vigente
nel nostro Paese in quanto considerato post-factum non punibile,
ai sensi dell’art.81, cpv. del Codice Penale76.
76
r. Concorso formale. Reato continuato :“E’ punito con la pena che dovrebbe infliggersi
per la violazione più grave aumentata fino al triplo (…)chi con più azioni od omissioni,
esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più
violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”.
96
3. Analogie
Comune a entrambe le normative è il ruolo fondamentale
attribuito agli strumenti organizzativi e di controllo interno delle
imprese.
Tanto i requisiti del modello facoltativo di esonero dalla
responsabilità previsto dal d.lgs. 231/01, quanto le disposizioni
imperative dettate dal d.lgs. 231 del 2007 in materia di procedure
organizzative e controlli interni a fini antiriciclaggio, inducono
gli enti a individuare e presidiare le aree più esposte al rischio; a
verificare e adeguare nel continuo l’idoneità dei modelli
organizzativi e delle procedure; a curare la formazione del
personale.
Sussiste una sostanziale coincidenza di approccio fra le due
discipline “231”, che muovono entrambe dal convincimento che
efficaci assetti organizzativi e di governo costituiscono
condizione essenziale per prevenire e mitigare i fattori di rischio
aziendali e, in particolare, i rischi di condotte riciclative.
In base al d.lgs. 231/01, l’ente è esonerato dalla responsabilità
per i reati commessi dai propri vertici o dipendenti, qualora abbia
97
adottato ed efficacemente attuato modelli organizzativi e di
controllo idonei a evitare tali reati (artt. 6 e 7)77.
Nell’ambito dei presidi organizzativi e di controllo, assume
prioritario rilievo l'apposito Organismo di Vigilanza , al quale
competono in autonomia funzioni di verifica dell’efficienza e del
buon funzionamento dei modelli organizzativi.
L’idoneità del modello organizzativo va valutata ex ante,
verificando che l’ente abbia fatto il possibile per evitare che un
reato della specie di quello realizzato potesse essere commesso78.
Una visione realistica ed economica dell’azienda richiede che
nella
valutazione
si
tenga
conto
delle
dimensioni,
dell'organizzazione, della natura dell’attività svolta e della stessa
storia dell’ente.
77
L’articolo 6, comma 2 del d.lgs. 231/01 indica i requisiti ai quali il modello deve
rispondere: 1)
individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi reati (cd. “mappatura”
del rischio); 2) programmi di formazione e individuazione delle modalità di gestione delle
risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati; 3) obblighi di informazione
nei confronti dell’Organismo di Vigilanza; 4) un sistema disciplinare per la violazione delle
regole contenute nel modello stesso.
78
L’articolo 63, comma 3, del d.lgs. 231/07 attribuisce infatti alla UIF il
compito di formulare un parere al Ministero della Giustizia circa l’idoneità teorica dei
“modelli di organizzazione e di gestione” previsti dall’art. 6 del d.lgs.
231/2001, a esentare l'ente dalla responsabilità amministrativa per i reati di
ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.
98
4. Profili di responsabilità
Per gli intermediari bancari e finanziari i rischi legali e
reputazionali connessi a condotte di riciclaggio poste in essere da
dirigenti o dipendenti, che agiscano nell’interesse o a vantaggio
dell’ente, sono rilevanti.
Tuttavia, essendo il riciclaggio un delitto doloso, è importante
ricordare che esso si concretizza soltanto nell’ipotesi in cui
l’autore abbia la consapevolezza della provenienza delittuosa dei
beni oggetto dell’operazione.
Di converso, ex d.lgs. 231/07, le condotte omissive relative
all’adeguata verifica della clientela, alla registrazione delle
relative informazioni e alla comunicazione delle infrazioni ex art.
52, salvo che concretizzino ipotesi di concorso nel reato di
riciclaggio, sono suscettibili di sanzioni penali lievi solo a norma
dell’art. 55 del d.lgs. 231/07. La loro eventuale integrazione da
parte dell’operatore bancario, ancorché, in ipotesi, nell’interesse
o vantaggio della banca, non comporta responsabilità ai sensi del
d.lgs. 231/01, non essendo detti reati compresi nell’elenco
tassativo dei reati presupposto di cui agli articoli 24 e ss. del
medesimo decreto.
99
La banca potrà invece incorrere nella responsabilità solidale per
gli illeciti amministrativi previsti dagli artt. 57 e 58 del medesimo
d.lgs. 231 del 2007. Con particolare riguardo all’omessa
segnalazione di operazioni sospette (art. 57, comma 4, in
relazione all’art. 41), si potrebbe ipotizzare che la violazione
dell’obbligo di segnalazione possa considerarsi condotta idonea a
ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene
e, dunque, astrattamente rilevante ai fini della violazione dell’art.
648 bis c.p.79
79
Una tale interpretazione comporta però il rischio di sanzionare penalmente
comportamenti che possono essere imputati a mera colpa, laddove invece, ai fini della
sussistenza del reato di riciclaggio, è richiesto il dolo. Ove peraltro il dipendente
dell’intermediario, omettendo la segnalazione, abbia inteso scientemente occultare la
provenienza delittuosa del bene, potrà ben essere chiamato a rispondere di riciclaggio se ha
agito in concorso con il cliente, nella consapevolezza dell’illecita origine dei beni.
L'eventuale concorso alla commissione del reato presupposto esclude peraltro - come si è
detto - la punizione del responsabile anche per riciclaggio.
100
CAPITOLO SESTO
LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DEL RICICLAGGIO
E LA SUA NECESSARIA REPRESSIONE
1. Gli effetti macro e microeconomici del riciclaggio del
denaro
La maggiore facilità con cui il black money può essere
polverizzato e occultato determina significativi effetti distorsivi a
livello sia macroeconomico che microeconomico. Sotto il primo
profilo, la disponibilità di capitali di origine illecita e la
sottrazione di risorse all’erario è in grado di80:
- alterare i meccanismi di regolamentazione dei mercati, le regole
della leale concorrenza tra le imprese e la corretta allocazione
delle risorse;
- rallentare la crescita economica, in quanto la ricchezza generata
dalle risorse reimpiegate da organizzazioni criminali non viene
80
Cfr. M. Condemi - F. De Pasquale, Lineamenti della disciplina internazionale di
prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, in Quaderni di
ricerca giuridica della consulenza legale n. 60 della Banca d’Italia, 2008.
101
reimmessa nel circuito economico, ma rimane nella disponibilità
di queste;
- contrarre il gettito tributario ed aumentare la pressione fiscale
sulle categorie di contribuenti, quali i titolari di reddito di lavoro
dipendente, che non sono in grado di evadere;
- alterare i criteri di ripartizione della spesa pubblica a causa di
un’errata valuta zione del reddito e della ricchezza;
- incrementare la volatilità dei tassi di cambio e di interesse a
causa di trasferimenti di fondi transfrontalieri non previsti.
A livello microeconomico, la possibilità di disporre e di
impiegare capitali “a costo zero”, derivanti da evasione fiscale o
dal
presso banche e i salari dei lavoratori dipendenti, che
possono essere remunerati in tutto o in parte in nero con somme
di provenienza illecita, ovvero investire i capitali sporchi,
precedentemente fatti affluire nelle casse delle società mediante
l’alterazione delle scritture contabili, direttamente nell’acquisto
di materie prime o in altri fattori della produzione.
102
2. La collaborazione attiva in ragione dell’utilità sociale ex
art. 41 Cost.
Ben a ragione, dunque, la nostra Carta Costituzionale, nel Titolo
riservato ai <<Rapporti economici>>, pone alla libertà
dell’iniziativa economica privata inderogabili limiti, affermando
che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana”, demandando poi alla legge ordinaria la previsione degli
opportuni controlli perché l’attività economica , sia pubblica che
privata “possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (art.
41).
In proposito è da notare che, secondo l’interpretazione del
Giudice delle leggi, il concetto di “utilità sociale”, di ampia
estensione, ricomprende anche la prevenzione dei reati.
Nella
norma
costituzionale
appena
citata
sembrerebbero
annidarsi le fondamenta dell’intera normativa antiriciclaggio. In
particolare, l’ottemperanza dei destinatari della stessa all’obbligo
di “collaborazione attiva”.81
81
Così P.L. Vigna, op.cit.
103
Prescrivere la cooperazione in ragione dell’utilità sociale è lo
strumento opzionato dall’ ordinamento giuridico italiano avente
quale obiettivo l’adempimento di doveri inderogabili di
solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese
pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53
della Costituzione).
Solo muovendo da tali valori precettati nella Carta fondamentale
possono dispiegarsi le ragioni a fondamento di talune misure
cogenti e “invasive” predisposte dal Legislatore a tutela di un
sistema economico finanziario saturo e “drogato”.
Sicché, istituti quali il segreto bancario debbono definitivamente
abdicare in virtù di esigenze pubblicistiche contingenti ed
ineludibili, non solo dinanzi ad una richiesta dell’ Autorità
Giudiziaria penale.
104
3. La nuova anagrafe dei rapporti finanziari: fine del segreto
bancario
Con l’emanazione del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 20182,
c.d. “decreto Salva-Italia”, banche ed intermediari finanziari
dovranno rendicontare entro 31 ottobre 2013 all'Agenzia delle
Entrate tutti i dati sui conti correnti, le movimentazioni degli
stessi, gli investimenti, l'utilizzo delle carte di credito e perfino
delle cassette di sicurezza dei propri clienti riferiti al 2011. Per
quelli riferiti al 2012 il termine è il 31 marzo 2014 mentre per gli
anni 2013 e seguenti le comunicazioni dovranno avvenire entro il
20 aprile dell'anno successivo.
Per rendere contezza della portata copernicana della nuova
Anagrafe dei Rapporti Finanziari, basti dire che prima di essa
l’Amministrazione finanziaria aveva accesso solo ai dati
identificativi del conto corrente e poteva chiedere maggiori
informazioni previa apertura di un accertamento formale a carico
di un contribuente specifico. Ne conseguirà la conoscenza di ogni
singolo rapporto finanziario esistente (compresi i saldi iniziali e
82
<< Disposizioni urgenti per la crescita, l' equità e il consolidamento dei conti
pubblici>>. Pubblicato in G.U. n.284 del 6 dicembre del 2011.
105
finali dell'anno); gli importi totali delle movimentazioni distinte
tra accrediti e bonifici; tutti i dati riferiti ai conti deposito titoli e
obbligazioni, buoni fruttiferi, contratti delle gestioni risparmio e
patrimoniali; importo totale degli acquisti con la carta di credito;
le ricariche per quelle prepagate; il numero di accessi alle
cassette di sicurezza; gli incrementi di valore o i riscatti relativi
alle polizze assicurative; gli acquisti e le vendite di oro.
Incrociando questi dati con le dichiarazioni dei redditi l'Agenzia
delle Entrate compilerà delle liste di contribuenti sottoponibili a
controlli fiscali laddove vi si palesasse una discrasia tra li stessi83.
In conclusione, potrà affermarsi come l’intero sistema bancario
italiano
debba
necessariamente
sacrificare
l’intrinseca
circospezione dei rapporti tra essa ed il cliente sull’altare della
trasparenza pubblica, in ragione del proprio osservatorio
privilegiato. Giova rimarcare, infatti, che il primo dei tre stadi84
83
Essa dovrà attestarsi al 20%. Ad esempio, se un contribuente dichiara 30 mila euro, ma
con la carta di credito fa acquisti nello stesso anno per decine di migliaia di euro senza
intaccare i risparmi o senza avere entrate straordinarie e magari sostiene anche una serie di
spese elevate (vacanze esclusive, auto di lusso, eccetera) sarà sottoponibile ad
accertamento.
84
Il secondo stadio è il c.d. laundering. Con esso si dissociano i guadagni dalla fonte
illecita. Eliminandone ogni traccia contabile, ricorrendo a trasferimenti elettronici o
riconversione in denaro contante.
Il terzo stadio: integration, consiste nell’immissione del denaro nel sistema legale con
modalità apparentemente lecite.
106
cui consta il riciclaggio del denaro sporco sia l’ immersion, detta
anche fase di collocamento, ovverosia la trasformazione del
denaro contante – o suoi surrogati – di origine delittuosa in
“moneta scritturale”, cioè in un complesso di saldi attivi, talvolta
frazionati o con l’accensione di più conti, proprio presso gli
intermediari finanziari.
Dunque, essi, per ben ottemperare agli adempimenti volti alla
prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a fini di
riciclaggio di proventi illeciti debbono cementificare presìdi
specifici quali: la previsione ed istituzione di una apposita
funzione incaricata di sovrintendere all’impegno di prevenzione e
gestione dei rischi, coinvolgimento operativo degli organi
societari85; la creazione di una funzione ad hoc, avente tra le sue
attribuzioni, oltre che di coadiuvo consultivo ai soggetti apicali,
l’individuazione di compliance finalizzati alla prevenzione ed il
controllo dei rischi di riciclaggio e verificarne nel continuo il loro
grado di efficacia.
In definitiva, di guisa all’attuazione “indifferibile” di interessi
costituzionalmente tutelati, la banca – con l’adeguata verifica
85
Il provvedimento del 10 marzo 2011 di Banca d’Italia definisce come organi aziendali :
<<L’organo con funzione di supervisione strategica>> (il Consiglio di amministrazione);
<< l’organo con funzione di gestione>> (gli organi del consiglio di amministrazione con
funzioni esecutive); <<l’organo con funzione di controllo>> (il Collegio sindacale).
107
della clientela, la registrazione/conservazione dei documenti e la
segnalazione di operazione sospetta - da torre d’avorio
assolutamente impenetrabile86 , diviene collaboratore “attivo”
dell’ Autorità Pubblica.
4. Rapporto causa/effetto tra il fenomeno del riciclaggio e la
crisi del 2008
“Siamo affondati in un enorme pantano, per aver commesso un
errore nel controllo di una macchina delicata di cui non
comprendiamo il funzionamento.
Separare le reali operazioni di un’impresa dai suoi proprietari è,
in periodi di difficoltà, intollerabile: io non sono responsabile di
ciò che posseggo e coloro che gestiscono la mia proprietà non
sono responsabili nei miei confronti […] ma l’esperienza mostra
come il distacco di cui sopra provocherà, nel lungo periodo,
tensioni e antagonismi, facendo fallire il calcolo finanziario.
Sarebbe più facile realizzare opportune manovre interne di
politica economica se potesse essere impedito il fenomeno
86
Così Pollari, Tecnica delle inchieste patrimoniali per la lotta alla criminalità
organizzata, cit. Laurus Robuffo, 1995
108
conosciuto come ‘fuga di capitali’. […] I controlli sui capitali
sarebbero stati più efficaci se i destinatari dei capitali in fuga
avessero
contribuito
all’applicazione
dei
controlli,
condividendone le informazioni.
Il lavoratore salariato comune e il piccolo commerciante non
fanno ricorso ad artifizi di questo tipo. L’elusione legalizzata o
l’evasione fiscale da parte dei cosiddetti ‘leader del mondo degli
affari’ […] scaricano un ulteriore fardello sui membri della
comunità che sono meno in grado di sopportarlo e che già si
fanno carico volenterosamente della loro parte. La finanza deve
essere al servizio della società e non il contrario.”
Così, John Maynard Keynes, nella ricerca di un futuribile ordine
economico a margine della Grande Depressione.87
Parole di raggelante preveggenza se parafrasate al mondo
moderno, in cui derivati di credito e altre forme di ingegneria
87
Per gran parte del Diciannovesimo secolo, il dibattito economico fu dominato dai fautori
del libero scambio: si sosteneva che il libero commercio generasse prosperità e favorisse la
pace accentuando, così,
le connessioni economiche tra le nazioni e creando
interdipendenze pacifiche. La grande Depressione, iniziata nel 1929, fu il punto di arrivo di
un lungo periodo di deregolamentazione e libertà economica e di un prolungato rialzo dei
mercati, fondato su un peregrino indebitamento e su un’incredibile disuguaglianza
economica.
J.M. Keynes, La Grande Depressione del 1930, Esortazione e profezie, il Saggiatore e
Autosufficienza Nazionale.
109
finanziaria criminale hanno scatenato il caos economico: la crisi
globale, e globalizzata, del 2008.
Essa insalda le sue radici in complesse dinamiche finanziarie a
livello internazionale, nel deficit di regolamentazione e
dell’azione di vigilanza di alcuni settori dei mercati finanziari
che, nel tempo, hanno agevolato la circolazione di ingenti flussi
di capitali, anche di origine illecita, incidendo negativamente
sulla distribuzione della ricchezza e sulla stabilità, efficienza e
competitività del sistema finanziario.
La crescita esponenziale delle opportunità di transazioni sul
mercato non ha seguitato un proporzionale adeguamento della
qualità e dell’estensione dei controlli, ragione per cui la
criminalità economica ha potuto più agevolmente cogliere le
opportunità connesse al mutato scenario per diversificare le
proprie attività illecite.
La crescente integrazione dei mercati ha progressivamente
ampliato il divario tra dimensione economica, ormai globalizzata,
e sovranità degli Stati, per sua natura esercitabile sul solo
territorio nazionale. Questa asimmetria ha generato un deficit di
tutela, in virtù della limitata efficacia delle misure adottate dai
110
singoli Stati sulle dinamiche del mercato globale, che viene
sfruttato dalla criminalità per gestire i traffici illeciti e il
conseguente reimpiego dei proventi da questi ottenuti, creando
imprese multinazionali ed utilizzando strumentalmente i paradisi
fiscali (il 60% dei movimenti finanziari nel mondo avviene
attraverso le società offshore dei tax heaven). Conseguentemente,
il rischio che enormi masse di denaro gestite dal crimine
transnazionale si riversino nei circuiti bancari e finanziari
internazionali per essere riciclate si è notevolmente amplificato.
Proprio il ricordato gap tra sovranità nazionale e transnazionalità
del crimine, a fortiori in un periodo di crisi economica, pone in
rilievo l’ ineludibilità di una uniformazione ed armonizzazione
dei presìdi a tutela dell’integrità del sistema economicofinanziario a livello globale.
Su tale intendimento Il Foreign Account Tax Compliance Act
(FATCA)88.
Tale articolato segna un’ innovazione epocale,
ovverosia, estende la possibilità di una due diligence del clientecontribuente anche fuori dai confini domestici per contrastare il
fenomeno del riciclaggio e della evasione fiscale off shore.
Esso prevede il coinvolgimento di banche, istituzioni finanziarie,
88
Adottata dagli Stati Uniti il 18 marzo 2010 come emendamento all’Hiring Incentives to
Restore Employment (HIRE) Act.
111
brokers e compagnie di assicurazione straniere, al fine di
eseguire una pregnante adeguata verifica su eventuali americani
tra i loro clienti e consegnare informazioni sui loro conti
all’Internal Revenue Service (IRS), l’amministrazione fiscale
USA (o ad un governo straniero, se questo ha un accordo di
scambio con gli Stati Uniti).
L’obiettivo del FATCA, tuttavia, è quello di ottenere la
comunicazione delle informazioni riguardanti i clienti americani,
adottando un approccio intergovernativo finalizzato ad estendere
il più possibile l’applicazione della normativa in esso contenuta
ed a migliorare la compliance fiscale internazionale.
A loro volta, in una prospettiva di collaborazione, gli Stati Uniti
si impegnano – attraverso accordi bilaterali - ad effettuare, su
base di reciprocità, l’acquisizione e lo scambio automatico di
informazioni relative a conti detenuti in istituzioni finanziarie
statunitensi da residenti di altri Paesi.89
Su tale direttrice, nell’estate 2012, il joint agreement tra L'Italia,
la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Spagna e gli Stati
89
In questo modo verrà eliminata la necessità per le istituzioni finanziarie interessate di
ricorrere a singoli accordi contrattuali con le autorità fiscali statunitensi e si
semplificheranno le procedure di adempimento. L’eventuale non adesione a FATCA da
parte di un Intermediario finanziario comporterà una tassazione “punitiva” alla fonte del
30% sui proventi di origine USA destinati a tutti i suoi clienti, sia americani che non. Si
tratta di una misura molto penalizzante che, nelle intenzioni del Governo americano, ha
l’obiettivo di costituire un disincentivo all’eventuale non adesione all’accordo da parte
degli Intermediari.
112
Uniti. Da esso ne discende lo scambio automatico di
informazioni in due direzioni (da e verso gli Stati Uniti) - scevro
da qualsivoglia richiesta specifica –
e l’impegno
alla
collaborazione nel lungo termine sì da raggiungere standard
comuni in materia di obblighi dichiarativi, reporting comune e
di due diligence90.
Mentre si scrive, vari negoziati sono in essere volti alla
realizzazione di un accordo Fatca. Svizzera, Australia, Jamaica,
Taiwan, Canada, accomunati dal desiderio o dall’esigenza di una
trasparenza del sistema bancario tendente alla correttezza fiscale.
Lo iato tracciato dal Facta sembra godere della fiducia degli Stati
firmatari. Anzi, l’auspicio degli stessi, segnatamente dei cinque
Paesi europei, è che Fatca divenga modello comune di scambio
di informazioni tale da estenderne la delineata collaborazione
agli altri Paesi europei, e all’area Ocse.
In conclusione, le misure politiche volte alla prevenzione del
sistema economico-finanziario sembrerebbero convogliare in un
apparato collaborativo a doppia intensità. Se da un lato i singoli
Stati prescrivono tutta una serie di forme di collaborazione agli
90
così il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, Mario Monti ne “Dichiarazione
Congiunta in merito ad un Approccio Intergovernativo finalizzato a migliorare la
Compliance Fiscale Internazionale e ad applicare la normativa FATCA” dell’ 8 febbraio
2012”.
113
intermediari finanziari, dall’altro, gli Stati stessi, per una
totalizzante politica preventiva al fenomeno del riciclaggio del
denaro, dovranno cooperare in modo sinergico con gli altri Stati.
Se la criminalità ha ascritto alla transnazionalità carattere
indisponibile volto all’egemonia economica, ciò che necessita, in
special modo nella contingente congettura economica, è la genesi
di una legalità transnazionale.
114
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