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STUDI E OPINIONI
Gli amministratori della s.p.a., il dovere di
organizzazione e la gestione della sicurezza
Chi è il datore di lavoro della s.p.a.? E’ possibile delegare ad un amministratore la
valutazione dei rischi per la sicurezza? A chi spetta la valutazione dei rischi in
presenza di più datori di lavoro? Sono domande con le quali tuttora ci si imbatte nel
costruire modelli di prevenzione ai sensi dei d. lgs. n. 81/2008 e 231/2001.
Il saggio prova ad affrontare questi fondamentali, controversi, quesiti.
di Andrea Giuseppe Morezzi
1. Il dovere di organizzare la sicurezza.
L’introduzione dell’illecito ex art. 25 septies d. lgs. n. 231/2001 ed il nuovo d.
lgs. n. 81/2008 (c.d. Testo Unico sull’igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro),
mostrano, con ancora maggiore evidenza dell’art. 2087 c.c. e dell’abrogato d. lgs. n.
626/1994, l’approccio sistemico organizzativo assunto dal legislatore. Agli occhi
dell’ordinamento, l’impresa si presenta con i connotati di un’organizzazione complessa,
all’interno della quale anche l’igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro costituisce una
componente (a sua volta sistemica) imprescindibile. La salute e la sicurezza
dell’ambiente di lavoro sono considerati più che una condizione di esercizio legittimo
dell’attività d’impresa, uno scopo che l’imprenditore deve perseguire armonicamente
insieme all’intento di profitto; finalità private e pubbliche si fondono in un modello
legale che valorizza l’autonomia organizzativa del soggetto tenuto alla gestione del
rischio che l’ordinamento legislativo intende prevenire1, sicché, in altre parole, la
conformità allo scopo di garantire la salubrità e la sicurezza dell’ambiente di lavoro è
trattata alla stregua di un parametro di adeguatezza dell’assetto organizzativo
dell’impresa sociale.
Questa prospettiva emerge con chiarezza dalla disciplina della valutazione dei
rischi per la sicurezza (artt. 28 e 29 d. lgs. n. 81/2008), ma soprattutto dalla scelta di
sanzionare l’ente in proprio ai sensi del d. lgs. n. 231/2001, in quanto trovato carente
nella sua organizzazione: il principio di colpevolezza sotteso alla responsabilità
dell’ente è stato, infatti, riconosciuto nella noncuranza per il rischio da reato, ovvero
nella inadeguata valutazione di quest’ultimo e/o nell’inefficace gestione e prevenzione
del medesimo2, elementi che si manifestano quali connotati dell’assetto organizzativo
1
MARRA, Prevenzione mediante organizzazione e diritto penale, Torino, 2009, p. 81.
PALIARO – PIERGALLINI, La colpa di organizzazione, in Resp. amm. soc. enti, 2008, n. 3, p.
167 ss.
2
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dell’ente3. La centralità del dato organizzativo emerge con particolare evidenza dall’art.
30 d. lgs. n. 81/2008, attraverso il quale il legislatore lega la costruzione di un efficiente
sistema di gestione della sicurezza all’organizzazione dell’impresa sociale e mostra
quest’ultima come un fattore di idoneità del modello, ai fini esimenti della
responsabilità dell’ente ai sensi del d. lgs. n. 231/2001. Il terzo comma è
particolarmente esplicito in questo senso, laddove si sancisce: “il modello organizzativo
deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni
dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri
le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e
controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato
rispetto delle misure indicate dal modello”. In dottrina si è anzi giunti ad affermare “la
sostanziale coincidenza, o quanto meno continuità, tra il complesso delle norme
cautelari stabilite dalla legge e i “modelli organizzativi” che siano stati adottati dagli
enti per fronteggiare eventuali responsabilità relative alla commissione dei delitti di
omicidio e lesioni colposi conseguenti alla violazione delle prime”4.
Se così è, allora si può anche dire che la rispondenza ai requisiti di legge a tutela
di questi interessi deve considerarsi rilevante anche ai fini dell’art. 2381 c.c. e, quindi,
oggetto di un preciso dovere degli amministratori anche nei confronti della società5. La
mancata adozione di un modello di prevenzione o l’adozione di un modello inadeguato
può dunque comportare la responsabilità degli amministratori, per la violazione
dell’obbligo di dotare l’ente di un adeguato assetto organizzativo6, anche ai fini del
controllo delle fonti di rischio per l’igiene e salute dei luoghi di lavoro. E’ ancora
recente la prima sentenza di condanna di un amministratore delegato per non aver
dotato la società del modello di organizzazione ex d. lgs. n. 231/20017. I primi
commentari della pronuncia sembrano convenire, se non si è male inteso, sul fatto che
3
Si consenta di richiamare quanto si è ritenuto di scrivere in proposito in Modelli organizzativi
ex d. lgs. n. 231/2001 e assetti adeguati ex art. 2381 c.c.: spunti di riflessione in tema di colpa
di organizzazione, in questa Rivista, 2008, n. 14, p. 37.
4
DE VERO, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in AA.VV., Trattato di Diritto
Penale, Milano, 2008, p. 281.
5
BUONOCORE, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381,
commi, terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, I, p. 5 ss.
6
IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005;
SFAMENI, Responsabilità da reato degli enti e nuovo diritto azionario: appunti in tema di
doveri degli amministratori ed organismo di vigilanza, in Riv. soc., 2007, p. 154.
7
Trib. Milano, 13.02.2008, n. 1774, in Giur. It., 2008, 2505, con nota di SANZO e in Società,
2008, 1505, con nota di BARTOLOMUCCI Amministratore diligente e facoltativa adozione del
compliance program ex d. lgs. n. 231/2001 da parte dell’ente collettivo, p. 2507.
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l’impianto normativo rappresentato dagli artt. 2380 bis8, 2392, 2381 c.c. impone agli
amministratori di dotare la società per azioni di “un congruo ed acconcio assetto
organizzativo della società , nonché nella cura e verifica continuativa – ad opera degli
organi onerati e nei limiti prefissati – della conformità della scelta adottata in ragione
dei caratteri soggettivi ed oggettivi della società” e nell’ambito di tale dovere è altresì
compreso quello di un’accurata valutazione del rischio da reato9.
A onore del vero, va dato atto che il commentatore citato assume espressamente
le distanze dall’orientamento interpretativo qui seguito, e sostiene l’autonomia delle
previsioni del d. lgs. n. 231/2001 rispetto al dettato del codice e l’assenza di un obbligo
degli amministratori di dotare la società o meno di compliance programs. A me pare
però che la questione debba piuttosto essere se gli amministratori siano tenuto o meno a
prendersi carico anche della gestione del rischio legale. Una volta riconosciuto che gli
amministratori hanno il dovere di valutare il rischio legale, ne discende altresì, a mio
avviso, il dovere di adeguare l’organizzazione dell’impresa sociale ai fini di
prevenzione e gestione di questo tipo di rischi, laddove se ne sia rilevata la presenza, e
quindi di dotare l’impresa sociale di un idoneo modello di organizzazione, gestione e
controllo ai sensi del d. lgs. n. 231/2001 ed un sistema di gestione della sicurezza,
quando opportuno.
1.1. Il datore di lavoro della s.p.a.
Mentre nel sistema della responsabilità delineato dal d. lgs. n. 231/2001 il
destinatario del precetto cautelare è la persona giuridica, se si ha riguardo alla
tradizionale prospettiva del diritto penale del lavoro, il principale destinatario dei
precetti cautelari è la persona fisica alla quale è attribuita la qualifica di “datore di
lavoro” e, come tale, è investita della posizione di garanzia a tutela della salute dei
soggetti che entrano in contatto con l’ambiente di lavoro10. La nozione di datore di
lavoro è contenuta alla lett. b) dell’art. 2. d. lgs. n. 81/2008: “il soggetto titolare del
rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e
l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la
responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i
poteri decisionali e di spesa”.
Tale definizione non si discosta significativamente da quanto era già previsto dal
d. lgs. n. 626/1994, nella formulazione modificata dal d. lgs. n. 242/1996, se non
appunto per l’accentuazione sul dato organizzativo. Tra i commentatori del Testo
8
Ritengo che il riferimento possa anche farsi agli artt. 2409 novies e 2409 septiesdecies c.c., con
riguardo ai sistemi dualistico e monistico.
9
La citazione è tratta da BARTOLOMUCCI, Amministratore diligente, cit., p. 1510.
10
D’ARCANGELO, La responsabilità da reati degli enti per gli infortuni sul lavoro, in Resp.
amm. soc. enti, 2008, n. 3, p. 2ss.
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Unico, si osserva come si tratti di una nozione mutuata per l’appunto dalla scienza
dell’organizzazione che fa coincidere il soggetto garante della salubrità dei luoghi di
lavoro “con il soggetto che organizza con autonomia e pieni poteri l’attività dei
lavoratori”11. Vale forse la pena rimarcare come non vi sia riferimento alcuno alla
rappresentanza dell’ente; parrebbe di potersi rinvenire in ciò la volontà del legislatore di
veder superata la giurisprudenza12 e la prassi diffuse di imputare in primis la
responsabilità degli infortuni al rappresentante legale dell’ente, talora anche
indipendentemente dall’effettivo ruolo svolto nell’organizzazione dell’impresa13. E’ la
sussistenza di effettivi poteri – anche di fatto (art. 299 d. lgs. n. 81/2008) – di gestione
dell’organizzazione ad attribuire al vertice di quest’ultima la posizione di garante della
igiene e salubrità dei luoghi di lavoro.
Per individuare il soggetto garante, la nozione legislativa impone, dunque, di
fare al contempo riferimento all’ordinamento legislativo e a quello volontario ed
all’attività in concreto esercitata, cioè ai poteri in concreto rivestiti sull’organizzazione
dell’impresa e la tutela della salute. Avendo riguardo alle società per azioni, occorre
pertanto rifarsi alle disposizioni che disciplinano i diversi modelli di governance in
relazione all’esercizio del potere di gestione della società e, di nuovo, all’obbligo di
approntare assetti organizzativi adeguati.
Per le società che adottano il sistema cosiddetto tradizionale, sono gli artt. 2380
bis e 2381 c.c. ad attribuire in via esclusiva, al consiglio di amministrazione,
collettivamente inteso, ogni potere decisionale sulla operatività della società, ed a
collocare questo organo collegiale al vertice dell’impresa sociale. E’ quindi a questo
organo collegiale che la giurisprudenza attribuisce, in prima istanza, la qualifica di
datore di lavoro: “nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla
prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano
indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione”14.
Nelle società con sistema dualistico, il tenore dell’art. 2409 novies c.c. consente
di giungere alle medesime conclusioni anche per il consiglio di gestione. Un po’ più
complesso è il quadro all’interno del sistema monistico. Qui la comune appartenenza al
medesimo consiglio di amministrazione, dotato in via esclusiva dei poteri di gestione,
11
VENTURI, I datori di lavoro privati, in AA.VV., Il Testo Unico della salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro, Milano, 2008, p. 153ss.
12
Da ultimo, Cass. 4.07.2007 n. 28358, in DVD La Legge.
13
ANGELINI - CAMPIANI, La tutela penale della sicurezza sul lavoro, Napoli, 2007, p. 19, nt. 22.
A ben vedere però, anche la giurisprudenza qui criticata, nelle sue espressioni più recenti (Cass.
4.7.2007, cit.) individuava il garante della sicurezza dell’ambiente di lavoro nel legale
rappresentante, in quanto soggetto capace di esprimere all’esterno le politiche dell’ente, con ciò
avvicinandosi alla prospettiva oggi esplicitamente assunta dal legislatore.
14
Cass. 8.2. 2008, n. 6280, in DVD La Legge. Conforme: Cass., 14.11.2003, n. 988, in Cass.
Pen., 2004, p. 3765.
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anche dei membri del comitato per il controllo sulla gestione, ha portato gli interpreti a
ritenere che non vi sia in quest’organo una vera distinzione di funzioni, ma solo un
riparto di competenze15, e quindi la qualifica spetta all’intero organo.
Spetta, dunque, anzitutto, all’organo amministrativo delle società il dovere di
approntare un’organizzazione dell’impresa sociale confacente con la tutela degli
interessi protetti dall’ordinamento anche con riguardo all’igiene e sicurezza nei luoghi
di lavoro.
2. Le deleghe per la sicurezza nell’ambito dell’organo amministrativo
Il primo quesito che a questo punto si pone è a chi si debba attribuire la qualifica
di datore di lavoro, in caso di conferimento di deleghe gestorie e, di conseguenza, quali
siano i poteri e le responsabilità che residuano in capo agli amministratori privi di
deleghe gestorie, alla luce degli artt. 2381 e 2392 c.c. (e 40, comma 2, c.p.).
La giurisprudenza non sembra dare risposte chiare sotto il profilo definitorio a
questa domanda. Essa è, piuttosto, comprensibilmente caratterizzata da un’impronta
pragmatica. Essa riconosce la figura del garante, al quale attribuisce il titolo di “datore
di lavoro” nel soggetto effettivamente investito dei poteri decisionali e di spesa, purché
questi necessari e sufficienti ad una piena libertà di azione16. Tale conferimento di poteri
però non esonera l’organo amministrativo da un dovere di controllo sull’operato del
delegato: “la delega di gestione, in proposito conferita ad uno o più amministratori, se
specifica e comprensiva di poteri di deliberazione e spesa, può solo ridurre la portata
della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non
escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di
controllo sul generale andamento della gestione e di intervento, soprattutto nel caso di
mancato esercizio della delega”17.
Una sentenza di poco antecedente a quella testé citata, analizza con maggiore
dettaglio gli effetti all’interno dell’organo collegiale di governo del conferimento di
deleghe di gestione: “essendo la responsabilità penale personale, salva la
responsabilità amministrativa introdotta con il decreto legislativo 231 del 2001, nelle
ipotesi di amministrazione delegata, a norma dell'articolo 2381 c.c., degli illeciti
compiuti dagli amministratori delegati rispondono solo costoro. Il presidente del
consiglio d'amministrazione o gli altri consiglieri rispondono in concorso con l'autore
materiale dell'illecito, solo se abbiano dolosamente o colposamente omesso di vigilare
sull'andamento della gestione ovvero, pur essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli
per la società, abbiano dolosamente o colposamente omesso d'intervenire. Solo in tali
ipotesi, che non risultano nella fattispecie, sarebbe stata configurabile anche la
15
IRRERA, Assetti organizzativi, cit., p. 300 ss.
Cass., 14.11.2003, n. 988, cit.
17
Cass., 8.2.2008, n. 6280, cit.
16
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responsabilità del M. quale presidente del Consiglio d'amministrazione. Si può quindi
affermare il principio che nelle persone giuridiche e segnatamente nelle società di
capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari di poteri
decisionali e di spesa all'interno dell'azienda e quindi con i vertici dell'azienda stessa,
quali il presidente del consiglio d'amministrazione, l'amministratore delegato o un
componente del consiglio d'amministrazione al quale siano state attribuite le relative
funzioni o nel preposto ad un determinato stabilimento. Nell'eventualità di una
ripartizione di funzioni e di compiti nell'ambito del consiglio d'amministrazione ai sensi
dell'articolo 2381 c.c., dei fatti illeciti compiuti dall'amministratore delegato o dal
preposto ad un determinato stabilimento, risponde solo quest'ultimo, salvo che gli altri
amministratori abbiano dolosamente omesso di vigilare o, essendo a conoscenza di atti
pregiudizievoli per la società o dell'inidoneità del delegato, non siano intervenuti”18.
Sembrerebbe di poter così sintetizzare: nella prospettiva tracciata dalla
giurisprudenza, l’organo amministrativo è garante primario della buona organizzazione
dell’impresa sociale e, quindi, anche della igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro; con la
delega gestoria (purché abbia le caratteristiche anzidette) questi opera un trasferimento
dei poteri di controllo sulle fonti di pericolo per gli interessi protetti dall’ordinamento ed
il dovere generale di controllo dell’organo amministrativo si trasforma in dovere di
controllo sul soggetto formalmente ed effettivamente titolare di questi poteri, in ragione
della responsabilità di vertice dell’organizzazione, comunque mantenuta. In virtù di
questo dovere e dei poteri riconosciutigli dalla legge, l’organo amministrativo è tenuto
ad intervenire in sostituzione dell’amministratore delegato ed impedire l’evento che
l’ordinamento vuole prevenire.
Ora, però ,in presenza di un dettato legislativo che impone dei doveri
penalmente sanzionati in capo al “datore di lavoro”, questa impostazione, per quanto
ineccepibile, genera di fatto una certa confusione sul piano della prassi aziendale. Infatti
non sembra chiarire del tutto chi è in definitiva il soggetto tenuto agli adempimenti di
valutazione del rischio e redazione del relativo documento, e di nomina del responsabile
del servizio di prevenzione e prevenzione, decretati indelegabili dall’art. 17 d. lgs. n.
81/2008? Per quanto a mia conoscenza, l’impostazione prevalente nelle società di
attribuire tali doveri all’amministratore conferitario delle deleghe in materia di
sicurezza. Su questo però si tornerà nel corso della trattazione, ma solo dopo aver preso
in considerazione quanto previsto dai nuovi artt. 2381 e 2392 c.c.
2.1. Gli effetti della riforma del diritto societario
18
Cass., 1.4.2005, n. 12370, in DVD La Legge
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La giurisprudenza menzionata, benché recentissima, non sembra avere ancora
assimilato pienamente le conseguenze in ambito penalistico della riforma del diritto
societario del 200319.
Ferma restando la responsabilità solidale degli amministratori che “essendo a
conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il
compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” (art. 2392, comma 2,
c.c.), il dovere degli amministratori privi di deleghe di vigilare sull’andamento della
gestione (che in precedenza aveva portato al riconoscimento di una responsabilità
sostanzialmente oggettiva a loro carico20) è stato sostituito dal dovere di agire informati
e di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e il
generale andamento della gestione.
La riforma del diritto societario ha, infatti, chiarito il ruolo di primazia
dell’organo collegiale, attribuendo a questo in esclusiva i poteri di conferire e revocare
le deleghe al suo interno e di definirne i limiti. L’organo collegiale mantiene sulle
materie conferite un potere concorrente con quello dell’amministratore delegato, che si
esplica nelle facoltà di impartire direttive, e di avocare a sé le operazioni spettanti al
delegato (art. 2381 c.c.)21, attraverso le quali, appunto, gli amministratori non esecutivi
possono e debbono impedire il compimento di azioni pregiudizievoli, onde la
conservazione in capo ad essi di una posizione di garanzia rilevante anche ai sensi
dell’art. 40 comma 2 c.p. Il dovere di agire informati, va poi correlato con quello di
agire con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, sicché esso si traduce tanto nel
dovere di richiedere informazioni ed approfondimenti allorché emergano indizi che
facciano dubitare della completezza o veridicità delle informazioni trasmesse dagli
amministratori delegati, quanto in quello di dotarsi degli strumenti di comprensione
necessari allo scopo22.
Per quanto concerne l’assetto organizzativo dell’impresa sociale, del quale il
modello di organizzazione, gestione e controllo, ai sensi del d. lgs. n. 231/2001, ed il
19
Sul tema, tra gli altri: ABBADESSA, Profili topici della nuova disciplina della delega
amministrativa, in AA. VV., Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco
Campobasso, Torino, 2007, vol. 2, 490 ss., IRRERA, Assetti, cit.; MONTALENTI, sub art. 2381, in
AA. VV., Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004; MORANDI, sub. Art. 2381 c.c., in AA.VV.
Il nuovo diritto delle società. Commento sistematico al d. lgs. 17.01.2003, n. 6, aggiornato al d.
lgs. 28.12.2004, n. 310, Padova, 2005; MUSTI, I criteri per l’individuazione dei soggetti
responsabili nell’ambito societario, in AA.VV., Reati societari, Torino, 2005; TOFFOLETTO,
Amministrazione e controlli, in AA.VV. Diritto delle società [manuale breve], Milano, 2006, p.
210.
20
CRESPI, La giustizia penale nei confronti dei membri degli organi collegiali, in Riv. It. Dir.
Proc. Pen.¸ 1999, p. 1147ss.
21
IRRERA, Assetti, cit., p. 235 ss.
22
MUSTI, I criteri, cit., p. 31.
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sistema di gestione dell’igiene e della sicurezza dei luoghi di lavoro sono parte23, l’art.
2381, comma 5, c.c. dispone che spetti all’organo delegato curarne l’adeguatezza alla
natura e alle dimensioni dell’impresa sociale, ovverosia la progettazione,
l’implementazione, la manutenzione e l’adeguamento del medesimo24. All’organo
collegiale delegante è, invece, rimasto il dovere di valutazione.
Tale passaggio, come osservato in dottrina, ha comportato la distinzione tra il
momento dell’azione (in primo luogo, in capo ai delegati) e quello della valutazione
(sempre spettante al consiglio)25 ed ha un impatto diretto anche sulla ripartizione della
responsabilità tra gli amministratori operativi e quelli privi di deleghe gestorie: mentre,
infatti, la vigilanza richiesta dall’abrogato comma 2 dell’art. 2392 c.c. è un’attività
continuativa, esercitata attraverso poteri ispettivi appositi, all’occorrenza anche
preventivi, la valutazione è esame critico, interviene a posteriori, e soprattutto è
puntuale e periodica26. E’ pur vero, come s’è detto, che anche gli amministratori privi di
deleghe hanno sempre l’obbligo di agire informati, e che il consiglio di amministrazione
ha un forte potere di indirizzo e mantiene ampi poteri concorrenti con quelli dei
delegati, ma questi poteri e facoltà sono esercitati sulla scorta delle informazioni che, a
norma dell’art. 2381 c.c., di regola sono fornite dagli amministratori delegati e rivolte al
consiglio.
La posizione dell’amministratore privo di deleghe di fronte alla legge penale,
alla luce della riforma del codice civile del 2003, è stata oggetto di una recente
pronuncia della corte di cassazione in materia di reati societari che, pur riconoscendo
comunque l’esistenza di un dovere di impedimento dell’evento criminale, rilevante ai
fini dell’art. 40, comma 2, c.p. ed il diverso piano operativo e l’autonomia del diritto
penale, ha affermato che indubbiamente la riforma del diritto societario, essendo venuto
meno l’obbligo generale di vigilanza, sostituito con il dovere di agire informato, ed
essendo stati ridisegnati i canali informativi dall’art. 2381 c.c. nel senso già indicato, ha
portato ad una restrizione dell’ambito di responsabilità degli amministratori non delegati
anche in sede penale27. In mancanza di autonomi poteri d’indagine, quando in seno al
consiglio siano riferite notizie palesemente fuorvianti o insufficienti, gli amministratori
privi di deleghe avranno l’obbligo, attinente al dovere di diligenza, di richiedere gli
23
Si consenta il richiamo al precedente scritto Modelli organizzativi, cit.
IRRERA, Assetti cit., p. 265; MORANDI, cit., p. 681.
25
TOFFOLETTO, Amministrazione e controlli, cit., p. 221.
26
IRRERA, Assetti, cit., 244s.
27
Cass., 19.06.2007, n. 23838, in Società, 2008, n. 7, p. 899ss. In dottrina, ROSSI, La
responsabilità penale degli organi dei componenti degli organi amministrativi e di controllo.
Brevi considerazioni generali sulla fattispecie concorsuale nei reati societari, in AA.VV., Reati
societari¸ cit., 62 ss.; D’ALESSANDRO, sub art. 40, in AA.VV., Codice Penale Commentato,
Milano, 2006, Vol. I. In ambito civilistico, SPIOTTA, sub 2392, in AA.VV., Il nuovo diritto, cit.,
p. 772ss.
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approfondimenti del caso, la cui violazione avrà rilievo penale solo per le ipotesi
colpose; in presenza, invece, di “segnali di allarme”, da ovunque provenienti, di
contenuto tale da trasferire sul consigliere una consapevolezza dell’evento lesivo
dell’interesse protetto, sufficiente ad integrare anche l’elemento soggettivo del reato, gli
amministratori avranno l’obbligo di impedire l’evento, del quale risponderanno a titolo
di colpa o dolo28.
2.2. Il dibattito sulla delega di organizzazione
Con riguardo alla distribuzione dei doveri inerenti agli assetti della società tra
organo collegiale delegante e organo delegato, si discute se il dovere di curare gli assetti
sia un obbligo di legge, comunque conseguente al conferimento della delega, o se
invece tali dovere debba comunque essere conferito dagli altri amministratori.
Si registrano tre posizioni a riguardo. Una prima appartiene a chi considera,
appunto, l’obbligo di cura un portato legislativo indefettibile, una volta conferita una
delega gestoria. In caso di delega parziale, il delegato dovrà comunque prendersi cura
degli assetti societari, indipendentemente dall’estensione delle delega29 e, si deve
supporre, anche dei poteri di spesa riconosciuti. Nel caso in cui sia conferite più
deleghe parziali, la cura degli assetti dovrebbe risultare dal coordinamento degli
amministratori delegati. Per un secondo orientamento il principio di libertà della delega
rimane un caposaldo della normativa in materia, per cui, nel caso di delega parziale,
questo rimarrà frazionato tra tutti i delegati, e se non esplicitato si potrà ritenere
conferito solo nel caso di attribuzione di poteri di gestione nella massima estensione
possibile30. La terza posizione, intermedia tra le due, è quella che più sembra avvicinarsi
all’impostazione data dalla cassazione penale. Da un lato, infatti, concorda con la
seconda nel ritenere la necessità di una visione unitaria dell’assetto organizzativo della
società, ma dall’altro se ne discosta ritenendo che nel caso di delega parziale l’obbligo
di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo rimanga in capo all’organo
delegante31. Riconosce, tuttavia, la possibilità di far ricorso al coordinamento dei
delegati in caso di deleghe frazionate.
A modesto avviso di chi scrive, però, potrebbe essere utile partire dalle finalità
della norma. Il legislatore attribuisce ai gestori l’obbligo di organizzare l’impresa
collettiva in modo tale da assicurare il perseguimento degli interessi ai quali la società
mira, interessi – lo si è scritto ma preme ribadirlo – non sono limitati alla massima
redditività economica e finanziaria dell’investimento rappresentato dal capitale
28
PULITANÒ, Amministratori non operativi e omesso impedimento di delitti commessi da altri
amministratori, in Società, 2008, n. 12, p. 902 ss.
29
IRRERA, Assetti, cit., p. 254ss.
30
MORANDI, sub 2031, cit., p. 682, TOFFOLETTO, Amministrazione, cit., p. 220.
31
ABBADESSA, Profili topici, cit.,p. 496.
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conferito, ma che ricomprendono il valore sociale dell’impresa (art. 41 Cost.) e la tutela
dei beni primari della persona, la sua dignità e la sua salute (art. 32 Cost.). In questo
quadro poi, la legge attribuisce a chi ha la gestione quotidiana dell’impresa compiti
differenti rispetto agli altri gestori, senza che però ciò possa far ritenere la sussistenza in
capo a questi ultimi di una posizione di garanzia di mero controllo; all’organo
amministrativo, infatti, sono riconosciuti poteri di direzione concorrenti con gli
amministratori delegati. Ne consegue che l’adeguatezza degli assetti è dovere comune
degli uni come degli altri, ancorché distinto nei ruoli. Ciò sta a dire che il conferimento
di deleghe gestorie è un uno strumento di adempimento del dovere di buona
organizzazione ed è, dunque, primario dovere dell’organo amministrativo distribuire al
suo interno deleghe tali da consentire una cura dell’assetto organizzativo adeguata alle
dimensioni e la natura dell’impresa sociale. Laddove questo non sia, allora, mi pare
evidente che questo dovere non possa che continuare a ricadere da chi originariamente
ne è il titolare. Altrettanto vale poi per il caso in cui le deleghe ci siano, ma non siano
esercitate o siano male esercitate. In ultima analisi, si tratta di un problema di
interpretazione della lettera delle deleghe conferite e di giudizio sull’adeguatezza
dell’assetto.
2.3. Il ruolo del presidente dell’organo amministrativo
L’articolazione di funzioni descritta non potrà non avere una sua corrispondenza
nell’architettura del modello organizzativo, sì da rendere effettivo il dovere di agire
informati e consentire la valutazione piena dell’assetto organizzativo adottato, anche
sotto il profilo della sicurezza e, ove necessario, l’esercizio dei poteri di revoca,
avocazione e sostituzione del delegato, da parte dell’organo collegiale: si sottolinea in
dottrina che nell’adempimento dell’obbligo di valutare l’adeguatezza degli assetti, “il
consiglio dovrà accertarsi che siano espressamente precisate le caratteristiche dei
modelli organizzativi e delle procedure, le verifiche in concreto effettuate per valutarne
l’adeguatezza, gli eventuali difetti riscontrati, i miglioramenti adottati”32.
E’ indubbio che alla distribuzione dei poteri all’interno dell’organo collegiale
debbano corrispondere i flussi informativi aziendali e all’interno del medesimo. Lo
snodo è regolato dal presidente dell’organo, il quale “convoca il consiglio di
amministrazione, ne fissa l'ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché
adeguate informazioni sulle materie iscritte all'ordine del giorno vengano fornite a tutti
i consiglieri” (art. 2381, comma 1, c.c.). Spetta cioè a costui l’obbligo di assicurare ai
consiglieri un’adeguata informazione sulle materie da trattare all’ordine del giorno.
Obbligo che, come si segnala in dottrina, si declina nel fornire direttive alle strutture
amministrative della società e nel coordinarsi con il dovere di informazione degli
32
MONTALENTI, Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principi generali, in AA.VV., Il nuovo
diritto, cit., Torino, 2007, vol. 2, p. 851.
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amministratori di delega, ed il potere-dovere di iniziativa spettante a ciascuno dei
componenti dell’organo collegiale33.
2.4. Il dovere di valutazione dei rischi e di nomina del RSPP
Tutto ciò però richiede di confrontarsi con il dovere di valutazione
dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo predisposto anche ai fini della sicurezza. La
valutazione dei rischi per la sicurezza, oggi definita in chiave procedimentale nel
metodo e specificata nell’oggetto, anche in funzione preventiva e migliorativa, dagli
artt. 28 e 29 d. lgs. n. 81/2008, è certamente uno degli architravi della struttura di
prevenzione. Essa è, infatti, la premessa logica necessaria di ogni azione diretta alla
gestione di questi, e quindi anche alla programmazione ed adozione delle misure volte
alla loro eliminazione, riduzione o prevenzione, siano esse di carattere generale o
particolare34. Basta una lettura anche superficiale del titolo primo del d. lgs. n. 81/2008
per rendersi conto come la progettazione, implementazione, manutenzione ed
evoluzione del sistema di gestione della sicurezza ed igiene dei luoghi di lavoro, in ogni
sua componente, prenda le mosse da tale valutazione. Ed è per questo motivo che è
posta (oggi dall’art. 17 d. lgs. n. 81/2008, in precedenza dall’art. 4, comma 3, d. lgs.
626/1994) in capo al datore di lavoro vertice dell’impresa, anche nella sua dimensione
programmatica, unitamente alla sua manifestazione esterna, contenuta nel documento di
cui all’art. 28 d. lgs. n. 81/2008. Ed è per lo stesso motivo che la violazione di questi
obblighi incontra non solo una sanziona penale per il datore di lavoro, ma comporta
anche per l’ente l’applicazione di sanzioni più gravi. Si legge a riguardo in dottrina: “sul
piano delle posizioni di garanzia, la disposizione sugli adempimenti non delegabili
staglia il dovere del vertice come dovere di buona organizzazione, del quale la
valutazione del rischio è il presupposto necessario (…) tutto il resto è delegabile, anzi
tendenzialmente da delegare, nella misura in cui una adeguata ripartizione di compiti e
responsabilità è elemento fondamentale della organizzazione della sicurezza”35.
Il quesito che ora si pone è se, alla luce di quanto si è avuto modo di scrivere,
l’organo collegiale delegante possa esimersi dal compiere una sua valutazione dei rischi,
ancorché si sia proceduto alla nomina di un amministratore delegato con le
caratteristiche anzidette.
Come giustamente è stato osservato36, il potere-dovere di valutare, implica
quello di approvare. La valutazione sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, impone
33
SANFILIPPO, Il presidente del consiglio di amministrazione nelle società per azioni, in
AA.VV., Il nuovo diritto delle società, cit., p. 467-473.
34
Con riferimento a quanto già previsto dal d. lgs. n. 626/1994, PULITANÒ, Igiene e sicurezza
del lavoro (tutela penale), in Dig. Disc. Pen. Agg., Torino, 2000, p. 390.
35
PULITANÒ, Igiene e sicurezza, cit., p. 394
36
IRRERA, Assetti, cit., 265
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dunque all’organo amministrativo altresì di approvarne la capacità di prevenzione degli
eventi che la legge intende prevenire. I criteri di idoneità dei modelli organizzativi, ai
fini di esenzione della responsabilità dell’ente, e quindi anche di adeguatezza
dell’assetto organizzativo sotto questo profilo, sono oggi codificati nell’art. 30 del d.
lgs. n. 81/2008. Esso richiede, oltre alla predisposizione “in ogni caso” di un
organigramma con le caratteristiche sopra già indicate, che sia assicurato “un sistema
aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi”, tra l’altro, “alle
attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e
protezione conseguenti” (lett. b)). L’organo amministrativo dovrà, pertanto, sulla scorta
di quanto riferito dagli amministratori delegati, ma anche operando gli approfondimenti
del caso ove questi si manifestino necessari, assicurarsi che siano stati rispettati appieno
gli obblighi di metodo e merito sanciti dagli artt. 28 e 29 d. lgs. 81/2008.
Quindi, per quanto estesa, la delega gestoria non vale a escludere la sussistenza
in capo all’organo amministrativo del dovere di operare quella valutazione dei rischi
implicita nel dovere di valutare l’operato di quest’ultimo.
Lo stesso si potrebbe scrivere della nomina del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione, anch’essa posta nella mani esclusive del datore di lavoro.
Anche questa nomina è una componente essenziale del sistema di gestione della
sicurezza e, quindi, dell’assetto della società, e pertanto essa è destinata ad essere
sottoposta al vaglio di approvazione dell’organo amministrativo.
3. Questioni (problematiche) intorno alle “deleghe di funzione”.
All’art. 16 del d. lgs. n. 81/2008 si legge: “1. La delega di funzioni da parte del
datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e
condizioni: a) che essa risulti da atto scritto recante data certa; b) che il delegato
possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura
delle funzioni delegate; c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di
organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni
delegate; d) che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo
svolgimento delle funzioni delegate; e) che la delega sia accettata dal delegato per
iscritto. 2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva
pubblicità. 3. La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore
di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni
trasferite. La vigilanza si esplica anche attraverso i sistemi di verifica e controllo di cui
all’articolo 30, comma 4”37. Il successivo art. 17 vieta al datore di lavoro di delegare ad
37
Lo schema di decreto legislativo correttivo del Testo Unico presentato al C.d.M. del
31/3/2009 prevede che l’art. 16, comma 3, sia sostituito dal seguente “l’obbligo di cui al
precedente capoverso si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello
di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4”
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altri la valutazione dei rischi e la redazione del relativo documento, nonché la nomina
del RSPP.
Gli articoli citati riprendono quanto elaborato dalla giurisprudenza per sopperire
all’assenza di previsioni normative che regolassero un fenomeno costante nell’ambito
delle organizzazioni: l’articolazione di poteri, compiti e responsabilità al loro interno.
All’interno delle organizzazioni complesse, la tutela penale di interessi primari è operata
attraverso l’individuazione di garanti destinatari del precetto sanzionatorio, “in quanto
nella posizione di potenziali offensori degli interessi protetti, per essere tali interessi in
qualche modo collegati ed 'esposti' alla loro sfera d'azione e di potenziale controllo.
Appunto perciò i soggetti appartenenti a quella data categoria sono resi destinatari di
particolari doveri (penalmente sanzionati), a tutela di interessi specificamente collegati
alla loro sfera d'azione o di signoria”38; si corre spesso il rischio però che
l’articolazione organizzativa costruisca un diaframma tra l’individuazione legale del
soggetto garante e la sua concreta possibilità di prevenzione dell’evento, in ragione
della sua lontananza dai fattori prossimi di produzione del medesimo. In questo
contesto, la ricostruzione giurisprudenziale compiuta ha teso proprio a superare questo
divario tra i principi di legalità e di personalità della responsabilità penale39. Il diritto
vivente così creato ha poi avuto un primo riconoscimento implicito da parte del
legislatore con il d. lgs. 242/1996, che ha innovato il d. lgs. n. 626/1994, e solo ora è
stato recepito nella più compiuta disciplina sopra illustrata.
Si riscontra una larga convergenza tra gli interpreti nel differenziare la delega
all’interno dall’organo amministrativo dal fenomeno del trasferimento di poteri inerenti
ad una posizione di garanzia in capo a chi originariamente ne era sprovvisto, e nel
riferirsi a quest’ultimo fenomeno con l’espressione “delega di funzione”40.
Il legislatore però non ha fornito una definizione per chiarire cosa egli intenda
per “delega di funzioni” all’interno del d. lgs. n. 81/2008, né questa espressione
compariva nel d. lgs. 626/1994. Essa, invece, trova un riscontro all’art. 2392 del codice
civile, laddove si scrive di “attribuzione” di “funzioni” riferendosi espressamente agli
amministratori e alla distribuzione delle responsabilità e, quindi è da ritenere anche alle
deleghe, in seno all’organo amministrativo.
Le disposizioni degli artt. 16 e 17 d. lgs. n. 81/2008 sono dunque da applicarsi
anche a quest’ultimo caso? La domanda potrebbe forse sembrare non del tutto peregrina
se si considerano alcuni elementi che di seguito si prova ad illustrare.
38
PULITANÒ, L’articolazione delle posizioni di garanzia all’intero di organizzazioni
complesse”, reperibile all’indirizzo http://appinter.csm.it/relaz/9266.pdf, p. 3.
39
Sul tema, ancora, diffusamente, PULITANÒ, L’articolazione, cit.
40
Tra gli altri: VITARELLI, Delega di funzioni e responsabilità penale, Milano, 2006; BRUSCO,
La delega di funzioni alla luce del d. lgs. n. 81 del 2008 sulla tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro”, in Giur. merito, n. 11, 2008, p. 2767 ss.
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Si è già visto come la cura dell’organizzazione non sia da intendere come un
contenuto legale inerente la funzione assunta, ma oggetto della delega gestoria e che,
quindi, almeno sotto questo profilo, le due fattispecie sono assimilabili.
Ritengo poi che la necessità logica di distinguere le due ipotesi sia dovuta al
problema di giustificare l’imputazione di responsabilità penali su soggetti, in relazione
ai quali occorreva ricostruire gli estremi della fattispecie di cui all’art. 40, comma 2,
c.p., in assenza di espressi riferimenti normativi, allo scopo di rendere compatibile
l’applicazione del principio di personalità della responsabilità penale con quello di
legalità. Occorreva, quindi, anzitutto poter riconoscere le condizioni di legittimità del
fenomeno, prima di trarne le conclusioni sugli effetti in punto riferibilità del precetto
penale, sulla scorta del ricostruito legame del soggetto in questione con la tutela
interesse protetto. Tale problema non sussisteva per le deleghe interne all’organo
amministrativo, già disciplinate dal codice civile. In presenza dell’art. 16 citato, questa
necessità logica è venuta meno e, quindi, anche quella di tenere nettamente distinte,
sotto questo profilo, le deleghe interne all’organo amministrativo da quello rilasciate a
soggetti diversi. Così come formulato l’art. 16 citato si pone come una norma generale
ed imperativa, della quale sia legittimo prospettare l’applicazione a tutti i casi rientranti
nella materia disciplinata dal d. lgs. n. 81/2008.
Se, infine si pongono a confronto la disciplina dei rapporti tra delegante e
delegato “di funzioni” emergente dall’art. 16 con quella dei rapporti interni all’organo
amministrativo sopra illustrata, si nota una sostanziale coincidenza41.
Si può infatti osservare che la delega gestoria deve essere nominativa ed
accettata ed è soggetta a pubblicità legale presso il registro delle imprese e quindi anche
alla data certa; essa poi, si è visto, per avere efficacia traslativa, deve conferire i poteri
necessari e sufficienti allo scopo, poteri che devono risultare dall’atto di conferimento.
Occorre spendere qualche parola in più sui requisiti richiesti per il delegato. La
giurisprudenza elaborata prima del d. lgs. 81/2008 non è di immediato aiuto nel
comprendere esattamente quali debbano essere questi profili di professionalità. Si
trovano, infatti, numerose pronunce con le quali si richiede al datore di lavoro di
delegare le proprie funzioni a persona “idonea”, in taluni casi precisando che deve
trattarsi di persona “tecnicamente qualificata”, cioè dotata di competenze in materia
antinfortunistica42. Accanto a queste, si possono però leggere sentenze che
esplicitamente si discostano da questo orientamento, e che richiedono, invece, che il
41
E forse questo non è un caso, se il legislatore ha attinto dalla giurisprudenza formatasi come si
è detto, poiché questa si è mossa sulla falsariga di quanto previsto per il diritto societario. Crf.
VITARELLI, Delega di funzioni, cit., p. 18
42
Da ultimo: Cass. 13.11.2007 n. 7709, in DVD La Legge. Per altri riferimenti, si veda
ANGELINI – CAMPIANI, La tutela, cit., 84
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delegato del datore di lavoro sia persona in grado di svolgere il compito affidatogli
abbia capacità organizzative e sia dotato di autonomia gestionale e finanziaria43.
La mia opinione è che si possono cogliere spunti utili a partire dal riferimento
contenuto nella disposizione citata alla funzione esercitata dal delegato come parametro
della perizia richiesta per quest’ultimo. Mi sembra, infatti, che il legislatore abbia
inteso, per questa via, indicare all’interprete che i parametri di idoneità richiesti per il
delegato non siano sempre i medesimi, ma si debbano valutare in ragione, tra l’altro,
della posizione assunta dal delegato all’interno dell’organigramma, del ruolo svolto, dei
poteri assunti. Tra questi, per quanto qui interessa, viene in risalto la cura di un adeguato
assetto organizzativo dell’impresa sociale, anche per quanto riguarda gli aspetti inerenti
all’igiene e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, affidata all’amministratore delegato. La
dottrina maggioritaria e la giurisprudenza non mancano di segnalare come il legislatore
non richiede all’amministratore una perizia particolare: ciò che si vuole è che ponderi le
sue decisioni e che di fronte alle proprie lacune si avvalga delle competenze di terzi.
Risponderà delle sue scelte per le procedure ed i criteri usati, alla luce anche delle sue
personali specifiche competenze44. Qui mi sembra di trovare il punto di saldatura tra le
citate previsioni del codice e del d. lgs. 81/2008: ciò che si chiede all’amministratore,
anche nella qualità di delegato del datore di lavoro, è quella di curare un’organizzazione
dell’impresa che assicuri anche le finalità di tutela della salute delle persone a contatto
con l’ambiente di lavoro con professionalità; in altre parole, che agisca con cognizione
di causa (informato), cioè avvalendosi della migliore scienza ed esperienza disponibile,
e non di possedere queste nozioni egli stesso.
Altro problema è posto dalla previsione contenuta al comma 3 dell’art. 16 d. lgs.
n. 81/2008. Il legislatore, nel probabile intento di recepire l’orientamento maggioritario
espresso dalla giurisprudenza in materia (formatosi, si noti, sotto la vigenza del
precedente art. 2392 c.c.), ha stabilito che la delega di funzioni in materia di sicurezza
dei luoghi di lavoro “non esclude l’obbligo di “vigilanza” in capo al datore di lavoro in
ordine corretto espletamento delle funzioni traferite”. Si è già vista la sostanziale
differenza con il dovere di “valutazione”. Così formulato il comma potrebbe condurre
ad interpretazioni eccessivamente severe e, di fatto, impeditive della facoltà riconosciuta
di ridistribuire l’esercizio di gran parte delle funzioni spettanti al datore di lavoro
all’interno dell’organigramma aziendale45, con il rischio oltretutto di nuove lesioni al
43
Cass., 3.08.2000, n. 8978, in www.fmb.unimore.it, voce Salute e sicurezza sul lavoro
(sentenze).
44
Sul tema: CONFORTI, La responsabilità degli amministratori delle società, Tomo I,Torino
2003, 359ss.; SPIOTTA, sub. 2392, in AA.VV., Il nuovo diritto societario, cit., 762 ss. La
citazione è tratta da MONTALENTI, Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principi generali, in
AA VV, Il nuovo diritto delle società, cit., 839.
45
ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona. Art. 2087, in AA. VV.
Codice civile commentato, Milano, 2008, 186.
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principio di personalità della responsabilità penale. Fintanto che lasciato alla libertà
dell’interprete, il contenuto del potere e dovere del delegante di esercizio della propria
supremazia avrebbe potuto, infatti, costruirsi alla stregua del parametro della
valutazione, ben più adatto al mantenimento dell’equilibrio tra la conservazione della
posizione di garanzia e della funzione preminente del delegante e l’onere di non
ingerenza nell’operato del delegato, in ossequio ai principi di legalità e personalità della
responsabilità penale. E’ stato così suggerito in dottrina46 di perseguire il temperamento
voluto facendo ricorso alla possibilità riconosciuta dal medesimo comma 3 dell’art. 16
d. lgs. 81/2008 di adempiere al suddetto obbligo anche facendo ricorso “ai sistemi di
verifica e controllo previsti dall’art. 30, comma 4”47. Si tratta del sistema di controllo
sull’attuazione del modello organizzativo previsto dal combinato disposto del d. lgs.
231/2001 e dell’art. 30 d. lgs. 81/2008. Per questa via, sembra cioè possibile accedere
ad un’interpretazione della norma in esame per la quale il datore di lavoro è tenuto,
proprio in quanto responsabile dell’organizzazione, a dotare l’impresa di un “apparato
organizzativo che sappia far emergere situazioni patologiche all’interno della
complessiva gestione della sicurezza”48. Sembrerebbe, cioè, possibile dire, con altre
parole, che l’organo delegante è tenuto ad assicurarsi della presenza di flussi di
informazioni dell’impresa in modo tale da poter agire informato anche sulle modalità di
esercizio dei poteri delegati.
Se questo basta a riferire il disposto dell’art. 16 d. lgs. n. 81/2008 alle deleghe in
materia di sicurezza rilasciate anche in seno all’organo amministrativo, allora potrebbe
essere altrettanto corretto concludere per l’estensione a queste deleghe delle limitazioni
dell’art. 17 del decreto. Forse si potrebbe far leva anche solo sul dato letterale di questa
disposizione che parla di delega del datore di lavoro senza alcuna specificazione. Ma a
me pare che il collegamento sistematico tra le due disposizioni sia tale che si debbano
riferire entrambe alle medesime ipotesi.
Sicché, in presenza di un adeguato conferimento di poteri, l’amministratore
delegato sarò tenuto ad avere cura dell’assetto, anche dando corso alle restanti deleghe
in materia di igiene e sicurezza, mentre l’organo collegiale manterrà comunque l’ultima
parola sulla nomina dell’RSPP e sulla valutazione dei rischi. D’altronde l’organo
collegiale dovrà avvalersi del flusso informativo proveniente dall’amministratore
46
ALBI, op. cit, 186 e BRUSCO, La delega di funzioni, cit.,p. 2783, Della stessa opinione, ma
prescindendo dal riferimento all’art. 30 d. lgs. n. 81/2008, anche PULITANÒ, L’articolazione,
cit., p. 28s.
47
Lo schema di decreto legislativo all’esame del C.d.M. 31/3/2009 sul punto prevede la
seguente modifica: “L’obbligo di cui al precedente capoverso si intende assolto in caso di
adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma
4”.
48
RUSSO, La delega di funzioni e gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, in AA.VV., Il
Testo Unico, cit., p. 218
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delegato e potrà, per suo tramite, avvalersi dell’apporto delle strutture della società o di
consulenti esterni49.
In conclusione ritengo che l’applicazione degli artt. 16 e 17 d. lgs. n. 81/2008
anche alle deleghe interne all’organo amministrativo sia rispondente alla lettera della
legge e compatibile con le previsioni del codice civile.
Le ricadute di questa tesi interpretativa non sembrano peraltro collidere con il
principio di colpevolezza. L’adempimento dei doveri di buona organizzazione passa
anche attraverso la strutturazione di adeguati flussi informativi e si già visto anche come
la riforma del diritto societario abbia operato sul piano della colpevolezza degli
amministratori privi di deleghe, consentendo di imputare loro il mancato impedimento
dell’evento penalmente sanzionato in ragione conoscenza o colpevole ignoranza di
quest’ultimo. Anzi, la centralità del dato organizzativo ai fini di tutela dell’igiene e
sicurezza dell’ambiente di lavoro fa sì che l’organo amministrativo si trovi ad avere
l’ultima parola sul sistema di prevenzione.
4. La compresenza di più unità produttive autonome
Fuori dall’ambito del fenomeno della delega, in senso stretto, si pone il caso
della presenza di unità produttive autonome.
La qualifica di datore di lavoro, infatti, deriva direttamente dalla collocazione
(anche di fatto) al vertice di un’organizzazione, ivi comprese le unità produttive
autonome, definite come uno “stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di
beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”
(art. 2 lett. t) d. lgs. n. 81/2008). Si tratterà per lo più di dipendenti con qualifica
dirigenziale, dotati di un proprio budget di spesa ed ai quali sono stati conferiti poteri
gestionali caratterizzati anche di fatto da ampia discrezionalità ed autonomia
dall’organo amministrativo. La sua nomina, peraltro, nella maggior parte dei casi, sarà
dovuta ad un atto dell’amministratore delegato, nell’ambito dei doveri di cura
dell’assetto organizzativo dell’impresa sociale.
In un’ipotesi del genere c’è da chiedersi se gli obblighi indicati dall’art. 17 d.
lgs. 81/2008 spettino solo al datore di lavoro dell’unità produttiva, o anche all’organo
amministrativo e/o all’amministratore delegato. Come si osserva in dottrina, infatti, il
datore di lavoro dell’unità produttiva, pur avendo tale qualifica, è pur sempre un
“delegato”, ed in capo al delegante residueranno pur sempre poteri e doveri tipici di
quest’ultimo50 e non credo possano sussistere dubbi sul fatto che il datore di lavoro
dell’unità autonoma è tenuto alla valutazione dei rischi e alla nomina dell’RSPP,
proprio in tale veste. Tuttavia, come trattare il caso in cui questi non adempia ai predetti
doveri?
49
50
Cass., 6.2.2004, n. 4981, in ww.giur.uniroma3.it/Themes/forense/materiale/procedura_penale
PULITANÒ, Igiene e sicurezza, cit., p. 392
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La struttura dell’impresa sociale è retta da un impianto unitario, come si può
osservare sotto i profili economico, patrimoniale e finanziario, che trovano espressione
sintetica nel bilancio sociale, anche qualora la società si doti di patrimoni separati, ma
anche sotto i profili organizzativo e gestionale, come si può dedurre dalle espressioni
usate nell’art. 2381 c.c., che parla di “assetto”. D’altronde, l’organo amministrativo
collegiale è posto per legge, inderogabilmente, al vertice dell’organizzazione dell’intera
impresa sociale, della quale le unità produttive fanno parte: l’organizzazione della
sicurezza di queste unità non potrà essere sottratta al vaglio di approvazione dell’organo
collegiale e non è neppure immaginabile che il datore di lavoro dell’unità autonoma non
sia sostituibile o revocabile o che non sussistano in capo all’organo collegiale poteri
concorrenti con quelli del gerente dell’unità produttiva. Sicché a quest’organo spetterà
altresì il dovere di assumere gli opportuni provvedimenti, laddove riscontri delle
manchevolezze.
E per quanto concerne l’amministratore delegato? A quest’ultimo sono
trasferibili il dovere di cura dell’assetto organizzativo (quindi il potere di nominare il
gerente), al quale si accompagna l’obbligo di informazione all’organo amministrativo
collegiale (quindi il dovere di controllare l’operato del gerente), e gli obblighi relativi
alla sicurezza, con esclusione (se si accede alla tesi sopra prospettata) degli
adempimenti di cui all’art. 17 d. lgs. n. 81/2008: l’amministratore delegato non potrà
quindi avocare a sé questi adempimenti, poiché sarebbe privo dei relativi poteri. Dovrà,
però informare l’organo collegiale e procedere, in virtù dei suoi poteri gerarchici
all’interno della struttura, a sanzionare e rimuovere il gerente dell’unità produttiva,
sostituendolo o meno. Nel caso di mancata nomina di un nuovo gerente, l’unità
produttiva perderebbe il carattere di autonomia dall’organo collegiale e, quindi, questo
riassumerebbe le funzioni di datore di lavoro dell’unità produttiva.
4.1. Un caso particolare: il gestore indipendente
Per le imprese che operano, anche attraverso strumenti di controllo societario,
contemporaneamente come distributori e produttori o trasportatori di energia elettrica o
gas è stato introdotto con le direttive comunitarie n. 2003/54/CE e n. 2003/55/CE un
modello di organizzazione e di governance largamente derogatorio di quello dettato dal
codice civile. Le direttive sono state recepite dal legislatore italiano attraverso il d.l.
73/2007, il quale ha demandato all’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG) la
disciplina di settore. L’Autorità ha provveduto con una serie di delibere (n. 11/07,
253/07, 132/08), che hanno immediatamente suscitato da parte degli operatori il ricorso
ai giudici amministrativi. Il Consiglio di Stato si è recentemente pronunciato sui
numerosi rilievi con una serie di sentenze fotocopia (sent. nn. 699/2009, 701/2009,
702/2009, 703/2009, 778/2009, 785/2009), con le quali, tra l’altro ha affermato il
carattere auto-esecutivo delle direttive citate e, come tali, la loro capacità di innovare il
diritto nazionale, la legittimità di larghissima parte delle delibere dell’Autorità, laddove
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STUDI E OPINIONI
AMMINISTRATORI DOVERE DI ORGANIZZARE E TUTELA DELLA SICUREZZA
hanno operato come strumento di armonizzazione dell’ordinamento interno alle
modifiche importate dal diritto comunitario.
Le direttive comunitarie hanno lo scopo di ottenere un modello di governance
(di gestione tecnico-amministrativo) della società e di quella parte delle strutture
aziendali di queste ultime dedite al trasporto e distribuzione di gas ed energia elettrica
(che nell’ambito nazionale prendono il nome di “gestore indipendente”) che preservi
l’indipendenza di quest’ultimo, attraverso l’applicazione dei criteri di organizzazione e
gestione (cfr. Relazione Tecnica alla delibera n. 11/2007) recepiti delle delibere
indicate51.
51
1) sono garantite al gestore indipendente le risorse necessarie per l’implementazione del piano
di investimenti (art. 11, comma 1 lettera a)), comunque soggetto ad approvazione da parte
dell’AEEG. La società integrata definisce l’ammontare dell’investimento totale annuo, i limiti
di indebitamento e gli obiettivi di redditività dell’attività, mentre il gestore indipendente,
nell’ambito di detti vincoli, oltre ad occuparsi della propria gestione quotidiana, definisce e
mette in opera gli investimenti che ritiene più convenienti per massimizzare i profitti del proprio
ramo di attività, come se si trattasse di un’impresa separata; 2) il gestore non può essere
vincolato ad acquisire beni o servizi all’interno del gruppo (art. 11 comma 1 lettera c)); 3) i
componenti del gestore indipendente sono scelti tra persone dotate di requisiti di onorabilità e in
condizioni di indipendenza dall’impresa verticalmente integrata (art. 11, comma 3); 4) devono
essere tenuti in considerazione gli interessi professionali dei componenti del gestore
indipendente, non ponendo alcun tipo di incentivo che possa comprometterne l’indipendenza
(art. 11, comma 4, lett. a), specificando nel contratto le cause del licenziamento (art. 11, comma
4. lett. b) e lasciandolo libero di scegliere i propri collaboratori; 5) nei contratti d’impiego il
gestore indipendente pone vicoli di riservatezza a copertura dei dati di gestione dei quali si
possa venire a conoscenza nel corso dell’attività; 6) ai sensi dell’art. 11 commi 5 e 6 della
delibera, ai fini della ottemperanza agli obblighi di separazione funzionale, in parziale deroga a
quanto previsto all’articolo 11, comma 2, lettera a), l’esercente può prevedere che non tutti gli
amministratori siano componenti del gestore indipendente purché: a) sia incluso nello statuto
sociale, quali finalità dell’impresa, quanto previsto all’art. 2, comma 1, della delibera (cioè la
gestione separata); b) gli amministratori dell’impresa oggetto di separazione funzionale che non
soddisfano i criteri di indipendenza previsti all’art. 11, comma 3 della delibera non rivestano
ruoli operativi e/o decisionali in attività verso le quali è prevista la separazione funzionale di cui
all’art. 4 comma 1 lett. g), h) ed s) della delibera; c) sia prevista una apposita struttura
organizzativa, parte del gestore indipendente, che esprime parere vincolante per tutte le
decisioni del consiglio di amministrazione che riguardano aspetti gestionali e organizzativi
dell’attività separata funzionalmente, nonché per l’approvazione del piano di sviluppo di cui al
punto 11.1 b), punto i. La struttura organizzativa di cui all’art. 11, comma 5, lettera c) può
assumere la figura di a) comitato esecutivo formato da consiglieri di amministrazione diversi
dagli amministratori non indipendenti di cui al comma 11.5 lettera b); b) amministratore
delegato; 7) il gestore indipendente organizza i proprio flussi informativi e le banche dati in
modo da evitare il transito di informazioni ai rami d’attività non separati, ed è nominato un
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STUDI E OPINIONI
AMMINISTRATORI DOVERE DI ORGANIZZARE E TUTELA DELLA SICUREZZA
In sintesi, si può dire il gestore indipendente in seno alla società verticalmente
integrata rappresenta un ramo di attività dotato di un vertice che si distingue da quello
della società ed interagisce con quest’ultimo allo scopo dichiarato di assicurare
l’indipendenza del gestore. una propria capacità di erogazione di servizi e di una propria
organizzazione, con una sua catena di comando, costi e ricavi ad esso direttamente ed
unicamente riferibili, una gestione economica e finanziaria (in gran parte) autonoma,
una propria gestione degli acquisti e del personale.
Il gestore indipendente si configura come “unità produttiva” ai sensi e per gli
effetti dell’art. 2 lett. t), autonoma rispetto al resto della struttura societaria. Il suo
vertice, proprio in quanto dotato di pieni poteri decisionali e di spesa nel proprio ambito
di operazioni, si qualifica correlativamente come datore di lavoro, distinto da quello
della società di appartenenza, in virtù della stabilita incompatibilità funzionale tra le
cariche di gestore della società e responsabile del gestore indipendente e della necessità
di conferimento di distinte deleghe gestorie.
E’ tuttavia complesso valutare la sussistenza e l’ampiezza di doveri di controllo
dell’organo amministrativo sull’operato in materia del vertice del gestore indipendente.
Se anche non pare si possa giustificare una deroga all’esclusività del potere dell’organo
amministrativo di conferimento delle deleghe gestorie, la spiccata autonomia conferita
al vertice del gestore indipendente e la disciplina dell’assetto di quest’ultimo dettata
dalle norme comunitarie sembrano, infatti, portare ad escludere la compresenza di poteri
concorrenti dell’organo collegiale delegante in materia di organizzazione.
garante della corretta gestione delle informazioni trattate nell’ambito del gestore indipendente;
8) il gestore deve tenere una propria contabilità separata per le proprie attività.
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