regione campania scuola di polizia locale
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REGIONE CAMPANIA SCUOLA DI POLIZIA LOCALE CORSO DI ALTA FORMAZIONE ORGANIZZAZIONE E SVILUPPO DELLA SICUREZZA URBANA MODULO DI SOCIOLOGIA LA MICROCRIMINALITA’ ED IMPATTO SOCIALE NEL COMUNE DI PIGNATARO MAGGIORE (CE) RELATORI Prof. F. VESPASIANO PROFF.SSA E. MARTINI COMANDANTE POLIZIA L. Dott. Alberto Parente PREMESSA La ricerca intende analizzare il significando profondo di microcriminalità nel comune di Pignataro Maggiore (CE) evidenziando i relativi problemi di ritorno sociale, soffermandosi sull’effettiva importanza dell’attività di prevenzione e controllo delle forze di polizia presenti sul territorio. Lo studio, si avvale di una ricerca quali quantitativa, ovvero di un’analisi sia statistica dei dati raccolti che di ordine qualitativo allo scopo di ragionare e interrogarsi sull’individuazione delle soluzioni più appropriate per fronteggiare la forma di devianza trattata. IL COMUNE DI PIGNATARO MAGGIORE Pignataro Maggiore (C.A.P. 81052) appartiene alla provincia di Caserta e dista 40 chilometri da Caserta, capoluogo della omonima provincia. Pignataro Maggiore conta 6.485 abitanti (Pignataresi) e ha una superficie di 31,7 chilometri quadrati per una densità abitativa di 204,57 abitanti per chilometro quadrato. Sorge a 93 metri sopra il livello del mare. Il municipio è sito in Via Municipio tel. 0823 503411, . Cenni anagrafici: Il comune di Pignataro Maggiore ha fatto registrare nel censimento del 1991 una popolazione pari a 6.491 abitanti. Nel censimento del 2001 ha fatto registrare una popolazione pari a 6.485 abitanti, mostrando quindi nel decennio 1991 - 2001 una variazione percentuale di abitanti pari al 0,09%. Gli abitanti sono distribuiti in 2.305 nuclei familiari con una media per nucleo familiare di 2,81 componenti. Cenni geografici: Il territorio del comune risulta compreso tra i 9 e i 419 metri sul livello del mare. L'escursione altimetrica complessiva risulta essere pari a 410 metri. Cenni occupazionali: Risultano insistere sul territorio del comune 14 attività industriali con 857 addetti pari al 42,53% della forza lavoro occupata, 157 attività di servizio con 219 addetti pari al 10,87% della forza lavoro occupata, altre 100 attività di servizio con 707 addetti pari al 35,09% della forza lavoro occupata e 14 attività amministrative con 232 addetti pari al 11,51% della forza lavoro occupata. Risultano occupati complessivamente 2.015 individui, pari al 31,07% del numero complessivo di abitanti del comune. LA MICROCRIMINALITA’ La microcriminalità nei suoi molteplici aspetti è da ricollegarsi nel più ampio concetto di devianza. Infatti, tale piaga sociale può essere definita come ogni atto o comportamento che viola le norme della collettività o che di conseguenza va incontro a qualche forma di sanzione. La microcriminalità non comprende solo reati, ovvero comportamenti antigiuridici che ledono la legge penale ma anche illeciti amministrativi i quali si estinguono con il pagamento di una sanzione pecuniaria. Il grave fenomeno della microcriminalità non è nella sua interezza facilmente collocabile in una sola delle teorie empiriche che definiscono la criminalità, poiché a seconda della fattispecie criminosa esaminata può ritenersi valida ogni teoria scientificamente provata. Personalmente ritengo molto valide sia LA TEORIA DEL CONTROLLO SOCIALE che LA TEORIA DELL’ETICHETTAMENTO. Secondo la Teoria del controllo sociale: l’essere umano è moralmente debole e non commette reati solo se c’è un forte vincolo che lo obbliga a non farlo (controllo esterni, diretti ed indiretti). Secondo Trevor Hirschi, una persona commetterà un reato quanto più debole è il vincolo che lo lega alla società (attaccamento ai genitori o adulti significativi, impegno verso obiettivi convenzionali, credenze). Secondo la teoria dell’etichettamento: il reato è il prodotto dell’interazione tra coloro che creano e fanno applicare le norme, da una parte, e coloro che invece le infrangono, dall’altra parte (Howard Becher). In tal guisa, Edwind Lemert, distingue tra devianza primaria (i reati che si compiono hanno rilievo marginale e presto verranno dimenticati) e secondaria (l’atto compiuto suscita una reazione di condanna da parte degli altri, che lo considerano un deviante; da qui, questa persona riorganizzerà i suoi comportamenti sulla base delle conseguenze prodotte dal suo atto). Per certi versi, dunque, l'inserimento nella cosiddetta categoria della microcriminalità, tende a far sì che generalmente si ometta di valutare quanto queste condotte influenzino la crescita del senso di insicurezza in una data comunità. In realtà è proprio la percezione di questo tipo di minaccia, suscettibile di tradursi in un evento che può colpire quotidianamente chiunque, a innescare un allarme sociale che spesso può essere anche maggiore alle attività del crimine organizzato le cui dinamiche appaiono gestite in modo più "professionale". Si tratta della differenza che corre tra una preoccupazione generica per i grandi problemi sociali (terrorismo, mafie, delitti economici) che bene si esprime nel termine inglese “concern”, ed il timore immediato, quotidiano, che condiziona gli stili di vita e viene definito come “fear of crime”, la paura concreta della delinquenza di strada, vista come minaccia diretta ai beni ed all'integrità personale. La microcriminalità è, dunque fonte manifesta di paura, una condizione psicologica che implica una ambigua, duplice valenza: funzionale e positiva, in quanto aiuta a prevedere e prevenire i reati; disfunzionale e negativa, in quanto distrae l'attenzione e compromette le attività della routine quotidiana, condizionando la qualità della vita dei cittadini. Il diffondersi della paura del crimine in una certa zona può risultare indipendente dal tasso effettivo di delittuosità ed essere piuttosto correlata con l'affermarsi di un clima sociale di insicurezza. Alcune analisi criminologiche hanno posto in rapporto la crescita dell'insicurezza nelle città con la comparsa dei c.d. segnali di incivility, vale a dire segni manifesti di disorganizzazione urbana e sociale. Si può trattare di indicatori fisici (aree ed edifici abbandonati, sporcizia nelle strade, segni frequenti di vandalismo, muri imbrattati da scritte e graffiti) e sociali (presenza di prostitute, di tossicodipendenti,) : si ritiene che essi comunichino la sensazione del venir meno delle regole e, quindi, della sicurezza in un determinato contesto. Anche le strategie comunicative dei mass media rivestono un ruolo importante, seppure controverso, nell'alimentare o contrastare l'affermarsi di uno stato di insicurezza e di allarme sociale diffusi (critiche esasperate che non si fermano al vero concetto di cronista ) . Le normali statistiche apparentemente possono incoerenti talvolta fornire sull'andamento dei indicazioni fenomeni di devianza. Occorre ricordare che le statistiche giudiziarie si basano sulla criminalità ufficiale, relativa soltanto ai delitti denunciati, i quali costituiscono mediamente non più di metà del totale di quelli realmente commessi, mentre sono soprattutto i "micro" reati che sfuggono alla rilevazione, in quanto più spesso non denunciati. Ed in effetti le modestissime prospettive di successo (secondo i dati ISTAT non più del 10% degli autori dei furti sono individuati) e la scarsa attenzione per la vittima non costituiscono certamente degli incentivi alla denuncia. Quindi una lettura della devianza basata esclusivamente su dati statistici potrebbe prestarsi al rischio di clamorosi fraintendimenti. Ad esempio, specialmente nel breve periodo, la crescita o il calo di un certo tipo di reati basata sull'aumento o la diminuzione delle denunce può configurare due interpretazioni del tutto contrastanti: a) da una parte, l'aumento delle denunce può indicare una maggiore vigilanza sociale ed un più efficiente intervento delle Forze di polizia, che portano alla luce una parte del fenomeno prima nascosto nel c.d. "numero oscuro"; si tratterebbe dunque di un segnale positivo; b) dall'altra, la diminuzione può essere il frutto di una sfiducia del cittadino, del timore di rappresaglie, di uno scarso interventismo delle Forze dell'ordine e costituire un segnale negativo. L'approccio statistico allo studio dei dati evidenzia dunque una realtà fenomenica in progressiva diminuzione. Ciò nonostante, la linea di azione prioritaria delle Forze di polizia è e resta il contrasto alla criminalità comune avente quale obiettivo primario l'accrescimento dell'incisività dell'azione nello specifico settore. In tale contesto occorre intensificare sempre più i servizi preventivi svolti dagli operatori di Polizia, ovvero il contatto con il cittadino (vigile – poliziotto carabiniere di quartiere) con lo scopo di intensificare non solo l’azione di controllo ma migliorare il contatto con la popolazione. Una popolazione che, abbiamo detto, nel momento in cui viene violata nella privacy accresce esponenzialmente il proprio stato di allarme sociale, di insicurezza sociale percepita; l'insicurezza che la porta ad isolarsi per proteggersi costruendosi una permealizzazione al mondo esterno che deve rimanere fuori dalla propria quotidianità che, per poter sopravvivere, deve essere blindata ed impenetrabile. Più in generale, le medie statistiche mal si adattano a dipingere efficacemente una realtà "a macchia di leopardo" come è quella della microdelinquenza, che tende a concentrarsi in determinati contesti territoriali, come ad esempio le medie e piccole realtà urbane ove sono facilmente rilevabile le presenze di accampamenti di nomadi notoriamente specializzati nei furti in abitazioni. Per comprendere la diffusione del sentimento di insicurezza anche e soprattutto nei paesi e nelle cittadine, bisogna anche considerare le conseguenze della svalutazione del controllo sociale informale, vale a dire di quella rete di vigilanza comunitaria, di controllo reciproco fra le persone che si sviluppa soprattutto nelle relazioni familiari e di vicinato e che esprime la disapprovazione per una condotta con una serie di reazioni informali, che possono andare dal rimprovero amichevole sino al vero isolamento sociale. Questo genere di controllo, tipico delle società tradizionali fortemente coese ed organiche, è specialmente in termini di prevenzione - per molti aspetti più efficace di quello formale, costituito dalle leggi e dalle sanzioni legali. Ebbene la transizione troppo veloce da un modello solidaristico di civiltà agricola ad un sistema consumistico sradicato dai valori tradizionali, ha certamente posto in crisi la rete di controllo comunitario un tempo presente nelle piccole realtà urbane, proprio mentre l'organicità dell'identità sociale viene messa in discussione dal massiccio afflusso di immigrati extracomunitari, reso peraltro indispensabile dalle stesse dinamiche di sviluppo imprenditoriale, ma percepito da molti come una minaccia, una intrusione oscura, estranea e incomprensibile. Questi sono aspetti che vanno considerati, quando si vuole riflettere sulla crescita dell'insicurezza e dell'allarme sociale nelle comunità locali. Per i motivi descritti ovvero la mancanza di una effettiva e reale indicazione degli illeciti configurabili nella devianza della microcriminalità ( discordanza tra effettive denuncie e illeciti commessi), ho ritenuto opportuno avvalermi di una ricerca personale statistica dei dati raccolti di tipo quali-quantitativa ovvero di un analisi per capire se modi di agire, valutazioni e orientamenti culturali e valoriali assumono significato in rapporto alla situazione e al contesto in cui si inscrivono. A tal fine per la scelta dell’unità di analisi quantitativa, mi sono avvalso di un sondaggio di opinione, condotto direttamente dal sottoscritto relatore, durante il corso dell’anno 2005, su un campione di 200 cittadini residenti. Dall’intervista dei duecento cittadini (non coinvolti direttamente) è emerso che la microcriminalità, destava preoccupazione incondizionata per il 60 % degli intervistati; il 35 % dichiarava di sentirsi al sicuro; mentre solo il 5 % degli intervistati evidenziava di non sentirsi completamente al sicuro nelle strade del proprio paese (vedi grafico in allegato). Detti risultati confermano in parte, quanto emerge già da anni in ricerche di tipo simile. Infatti, un'indagine condotta nel 2000 dal Censis sul tema "le paure degli Italiani" aveva segnalato che l’ inquietudine per la delinquenza diffusa era cresciuta in misura percentualmente maggiore nei piccoli e medi centri rispetto alle grandi città. In precedenza, nel 1998, elementi analoghi erano stati raccolti in uno studio sulla percezione sociale della criminalità, condotto in collaborazione con esperti dell'Istat, mediante la somministrazione di centinaia di questionari anonimi, in Calabria e nell'Italia Nordorientale. Ad una domanda precisa, gli intervistati avevano risposto di considerare accresciuto il tasso di criminalità nella propria zona di residenza, in base all'esperienza diretta. I reati considerati più diffusi erano i furti e lo spaccio di droghe. Tra gli intervistati che avevano subito reati nei due anni precedenti il sondaggio, il 30% aveva sofferto furti, quasi il 14% atti di vandalismo o danneggiamenti. Eppure i dati ufficiali segnalano nell'ultimo periodo una complessiva riduzione della delinquenza sul territorio nazionale. Nel corso della citata indagine sociale, rispetto all'allarme per la microcriminalità è emerso che il cittadino dotato di titolo di studio inferiore (scuola media inferiore) ha fatto riferimento ad una richiesta di pene più severe, frutto, a sua volta, dell'impressione di una giustizia troppo lenta. Il cittadino dotato di titolo di studio superiore (Scuola media superiore e\o laurea) ha invece trasportato il ragionamento su altri piani, come quello della maggior presenza delle forze dell'ordine sul territorio, trasformando in realtà, tale affermazione, in una richiesta comune diretta alla realizzazione di due finalità: a) una funzione di vigilanza, prevenzione dei reati ed intervento rapido; b) una funzione di rassicurazione psicologica dei cittadini. In tal guisa, ritengo personalmente che la questione non si pone semplicemente solo sul concetto di aumento degli organici, ma piuttosto di un più razionale impiego delle risorse esistenti, in termini di coordinamento interforze ( tema annoso in una Nazione che vede la contestuale presenza di tante diverse Forze di polizia) e di collaborazione tra polizia locale e altre Forze dell'ordine. Infatti, in questi ultimi anni, si stanno diffondendo sempre più, conferenze di servizi e protocolli operativi fra Amministrazioni locali, Prefetture, Questure e Comandi dei carabinieri, che costituiscono esperienze promettenti in questo senso. Peraltro la presenza delle Forze dell'ordine sul territorio va gestita con equilibrio e disposta nei tempi e nei luoghi realmente opportuni, per evitare inutili sprechi e risultati controproducenti. Esiste, infatti, un sottile e talvolta incerto confine fra una presenza discreta ma visibile, che aumenta la fiducia ed il senso di protezione nella cittadinanza, ed una sorta di militarizzazione del territorio che rischia di inquietare e trasmettere il senso di minacce costantemente incombenti, accrescendo proprio quell'allarme che si vuole contrastare. In quest'ottica ha assunto maggiore interesse il moltiplicarsi delle sperimentazioni che negli ultimi anni, in Italia, hanno riguardato il tema della polizia di prossimità (traduzione letterale del termine francese "proximité" con il quale si intende indicare il tentativo di coniugare la necessità di riavvicinare le istituzioni ai cittadini). Dunque, l’obiettivo primario delle forse dell’ordine deve essere quello di recuperare la fiducia della gente che rappresenta la prima e fondamentale risorsa per meglio procedere all'attività tecnico investigativa per fronteggiare non solo il fenomeno della micoriminalità ma SICURAMENTE ANCHE QUELLO DELLA “MACROCRIMINALITA’”. In tale ottica occorre stimolare la partecipazione del cittadino (cosiddetto controllo informale), specie di coloro i quali svolgono attività in contesti in cui vengono a contatto con comportamenti antigiuridici, in ragione soprattutto delle loro attività professionali, con circostanze che riferite anche in modo vago ed approssimativo, possono concretizzarsi in indizi rilevanti. La realizzazione di un efficace servizio di "polizia di prossimità" mira appunto a far percepire alla popolazione un adeguato livello di "sicurezza avvertita", grazie ad una presenza costante ed amichevole sul territorio, realizzata mediante continui contatti con i negozianti, gli anziani, gli scolari, i giovani (anche attraverso visite presso le singole abitazioni), in generale con tutti i residenti per coinvolgerli nel dialogo, fornire consigli, dare e raccogliere informazioni, utili a prevenire e reprimere quei reati di natura predatoria che più direttamente inquietano il cittadino medio. Conseguentemente si assiste, nell'incremento delle politiche sulla sicurezza, allo sviluppo di un'attività di polizia che si fonda sulla diffusione ed il mantenimento della sicurezza quotidiana dei cittadini, caratterizzata da un orientamento attivo nei confronti della criminalità diffusa. Occorre far capire che La polizia di prossimità rappresenta, quindi, qualcosa di più di una ridislocazione delle forze sul terreno; essa, infatti, ha quale fondamento ispiratore una concezione di intervento complessivo che comporta l'adozione di modificate modalità quotidiane operative delle Forze di polizia, orientate verso obiettivi nuovi e diversi che si fondano sul principio della sussidiarietà. La polizia di prossimità si contraddistingue per la sua forte connessa alla dimensione territoriale, di cui è resa responsabile e per la sua capacità di intervenire sulla generalità ma soprattutto per la sua predisposizione ad un approccio collaborativo continuato e compartecipato con le altre istituzioni ed ogni altro soggetto sociale ed economico. I suoi obiettivi primari sono la prevenzione di qualsiasi forma di criminalità ed inciviltà, la conoscenza e la penetrazione del territorio e la costruzione di un rapporto di fiducia profondo ed indissolubile con la comunità ove opera e tutti i suoi componenti. CONCLUSIONI Tutto ciò premesso, ritengo fondamentale per l’analisi concreta del territorio di Pignataro Maggiore (CE), di dare una giusta interpretazione al termine "microcriminalità" - o, come viene definita oggi, "criminalità predatoria". Lo studio dei dati statistici evidenzia come questa si confermi tra i fenomeni delinquenziali che possono condizionare significativamente la sicurezza pubblica. In verità si tratta di dinamiche devianti ritenute di "basso profilo": come borseggi, furti in appartamento, scippi, danneggiamenti, vandalismi, ma anche rapine di entità modesta e di scarsa preparazione. Ai margini della categoria stanno poi altre condotte, quali il piccolo spaccio, le risse, certe infrazioni stradali. Ma in realtà, in ordine alla pericolosità potenziale e concreta di tali condotte, si può correttamente usare il termine "microcriminalità"? Per rispondere a tale interrogativo ritengo fondamentale soffermasi sulle seguenti osservazioni: Il reato contro la proprietà può tradursi in reato contro la persona se la vittima sorprende l'autore e reagisce. La rapina improvvisata dal balordo può sfociare in un omicidio. Molta "delinquenza minore" può essere collegata in misura più o meno diretta con reti criminali organizzate. si pensi allo spaccio minuto di stupefacenti, ai furti commessi (caso frequentissimo nel territorio dei piccoli e medi comuni dell’Italia) da minori rom gestiti da clan slavi di recente immigrazione, nonché della grave piaga sociale della prostituzione. In effetti molte volte queste condotte, in modo fortuito e del tutto imprevedibile, possono tradursi in eventi gravi e, di conseguenza, venire promosse "sul campo" a "grande criminalità". Sembra quindi evidente che il termine non rappresenta una categoria ben determinata, ma un'espressione utilizzata forse per rendere meno preoccupante un vero problema sociale. Infatti, l’etimologia del termine ("micro") potrebbe indurre ad una presumibile scarsa entità del danno subito dalla parte offesa, eppure, per molte vittime le vicende vissute non sono state affatto trascurabili. A parte la relatività delle valutazioni sul danno economico (ad es., per un pensionato dal modesto reddito, un "banale" borseggio può determinare problemi seri), generalmente non si considerano le ricadute psicologiche di questi reati. Le ricerche criminologiche degli ultimi decenni hanno evidenziato come, al di là del danno immediato, la maggior parte dei reati causino nelle vittime sofferenze psicologiche a breve e medio termine; questo non si verifica soltanto con delitti particolarmente traumatici – ad esemp. il caso della violenza sessuale - ma anche in seguito ad eventi apparentemente banali, come furti, scippi o borseggi. Pure in questi casi emergono sentimenti di ansia, insicurezza, depressione, paure improvvise ed immotivate, che talvolta si protraggono per mesi e mesi dopo il fatto. Particolarmente insidiose sono le conseguenze di un furto in appartamento, che si riverberano sia come attacco alla sicurezza sia come violazione della privacy. La vittima, sotto il primo profilo, avverte lo smarrimento che deriva dal constatare come le mura domestiche non siano state in grado di proteggerla da un'intrusione esterna; sotto il secondo aspetto, soffre per la contaminazione dei suoi spazi intimi e delle cose personali, manipolati e "sporcati" da mani estranee. Molto spesso gli oggetti sottratti dalle abitazioni hanno un valore affettivo e sentimentale ben superiore a quello economico e, in questo senso, concretizzano una perdita irreparabile: si pensi a un gioiello di famiglia tramandato da generazioni, al dono di una persona cara o al ricordo di chi non c'è più. In questo caso le parti lese soffrono di un danno che - secondo le più recenti dottrina e giurisprudenza ben si può definire "esistenziale". Eppure, il fatto di aver subito un "micro" crimine pone questi soggetti in una fascia assolutamente marginale nella categoria delle vittime del crimine. Il ruolo dell’ amministrazione locale, sempre presente nelle strategie sin qui richiamate, diviene centrale quando si tratta di promuovere in vari modi la richiamata "sicurezza di comunità". Per questo motivo, negli ultimi anni, si è sviluppato in Italia il principio della collaborazione di tutti gli attori presenti sul territorio allo svolgimento di programmi ed attività in materia di sicurezza e prevenzione della criminalità, con l'obiettivo unico di aumentare la fiducia della cittadinanza nei confronti delle Forze dell'ordine e delle istituzioni. È stato dimostrato infatti che l'insicurezza diminuisce se aumenta la fiducia nelle forze dell'ordine . In questo campo può essere assai utile adottare politiche di sensibilizzazione ed informazione dei cittadini adatte a ricostruire quella rete di controllo informale un tempo presente ed oggi gravemente compromessa. Le iniziative possono riguardare incontri, conferenze e veri e propri percorsi formativi, da tenersi in sedi comunali, associazioni, palestre ecc.. Tali riunioni o conferenze potranno trattare diversi contenuti, quali: 1) l'apprendimento delle più utili strategie comportamentali di prevenzione e difesa, con attenzione alle categorie più vulnerabili quali anziani e minori; 2) la promozione di reti di vigilanza e di assistenza reciproca fra i residenti di un paese, di un quartiere, di un condominio; 3) l'incontro con esponenti delle Forze dell'ordine, 4) il confronto interculturale con le comunità straniere; 5) fenomenologia un'informazione della devianza corretta presente e non sul allarmistica territorio ( sulla incontro e collaborazione con i giornalisti). A quest'ultimo comunicazione riguardo dovrà è essere fondamentale indirizzata tenere alla presente rassicurazione che ed la alla valorizzazione delle risorse esistenti, evitando assolutamente contenuti minacciosi ed un'inutile amplificazione dei pericoli. 6) assistenza alle vittime dei reati sotto l'aspetto economico, giuridico ma anche psicologico. Si potrebbero a tal fine, realizzare convenzioni assicurative che consentano ai residenti, con il pagamento di piccole somme, di garantirsi l'erogazione gratuita di una serie di utili servizi nel caso subiscano, ad es., un furto in appartamento: possono così contare, fra l'altro, sull'immediato intervento di un fabbro, di un vetraio di un elettricista di un muratore nonchè sull'aiuto di una collaboratrice domestica per riordinare l'appartamento messo a soqquadro ecc. ecc. Infine si dovrebbe come obiettivo primario sviluppare politiche urbanistiche e territoriali utili a prevenire fattori di devianza, secondo parametri anche di tipo architettonico, relativi all'illuminazione, alla telesorveglianza, alla creazione di aree controllabili di aggregazione sociale (soprattutto giovanile), all'eliminazione dei c.d. "spazi interstiziali", ossia quelle porzioni di territorio sottratte alla vigilanza pubblica e privata ed abbandonati a se stessi, ovvero senza manutenzione (erbacce, rovi, ville comunali non curate, buche stradali non riparate, pubblica illuminazione non funzionante, assenza di cestini per i rifiuti, scritte sui muri non cancellati immediatamente, segnali rotti o divelti. Tutti questi fattori che sembrerebbero di importanza trascurabile, tendono ad attrarre attività devianti o marginali in tutti i comuni come ad es. spaccio di droga, eventuali bande giovanili ecc. Ritengo fondamentale evidenziare, sulla scorta di esperienze professionali che il punto di riferimento per la lotta a tale forma di devianza, studi di criminologia ambientale, sono gli sulla scia delle esperienze di urbanisti, sociologi, esperiti nel settore del controllo del territorio, il tutto in una fattiva e coordinata integrazione fra le attività dei diversi organi di polizia operanti sul territorio.