regione campania scuola di polizia locale

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regione campania scuola di polizia locale
REGIONE CAMPANIA
SCUOLA DI POLIZIA LOCALE
CORSO DI ALTA FORMAZIONE
ORGANIZZAZIONE E SVILUPPO DELLA SICUREZZA URBANA
MODULO DI SOCIOLOGIA
LA MICROCRIMINALITA’ ED IMPATTO SOCIALE NEL
COMUNE DI PIGNATARO MAGGIORE (CE)
RELATORI
Prof. F. VESPASIANO
PROFF.SSA E. MARTINI
COMANDANTE POLIZIA L.
Dott. Alberto Parente
PREMESSA
La ricerca intende analizzare il significando profondo di microcriminalità nel
comune di Pignataro Maggiore (CE) evidenziando i relativi problemi di ritorno
sociale, soffermandosi sull’effettiva importanza dell’attività di prevenzione e
controllo delle forze di polizia presenti sul territorio.
Lo studio, si avvale di una ricerca quali quantitativa, ovvero di un’analisi sia
statistica dei dati raccolti che di ordine qualitativo allo scopo di ragionare e
interrogarsi sull’individuazione delle soluzioni più appropriate per fronteggiare la
forma di devianza trattata.
IL COMUNE DI PIGNATARO MAGGIORE
Pignataro Maggiore (C.A.P. 81052) appartiene alla provincia di Caserta e
dista 40 chilometri da Caserta, capoluogo della omonima provincia.
Pignataro Maggiore conta 6.485 abitanti (Pignataresi) e ha una superficie di
31,7 chilometri quadrati per una densità abitativa di 204,57 abitanti per
chilometro quadrato. Sorge a 93 metri sopra il livello del mare.
Il municipio è sito in Via Municipio tel. 0823 503411, .
Cenni anagrafici: Il comune di Pignataro Maggiore ha fatto registrare nel
censimento del 1991 una popolazione pari a 6.491 abitanti. Nel censimento del
2001 ha fatto registrare una popolazione pari a 6.485 abitanti, mostrando
quindi nel decennio 1991 - 2001 una variazione percentuale di abitanti pari al 0,09%.
Gli abitanti sono distribuiti in 2.305 nuclei familiari con una media per nucleo
familiare di 2,81 componenti.
Cenni geografici: Il territorio del comune risulta compreso tra i 9 e i 419
metri sul livello del mare.
L'escursione altimetrica complessiva risulta essere pari a 410 metri.
Cenni occupazionali: Risultano insistere sul territorio del comune 14 attività
industriali con 857 addetti pari al 42,53% della forza lavoro occupata, 157
attività di servizio con 219 addetti pari al 10,87% della forza lavoro occupata,
altre 100 attività di servizio con 707 addetti pari al 35,09% della forza lavoro
occupata e 14 attività amministrative con 232 addetti pari al 11,51% della
forza lavoro occupata.
Risultano occupati complessivamente 2.015 individui, pari al 31,07% del
numero complessivo di abitanti del comune.
LA MICROCRIMINALITA’
La microcriminalità nei suoi molteplici aspetti è da ricollegarsi nel più ampio
concetto di devianza. Infatti, tale piaga sociale può essere definita come
ogni atto o comportamento che viola le norme della collettività o che di
conseguenza va incontro a qualche forma di sanzione.
La microcriminalità non comprende solo reati, ovvero comportamenti
antigiuridici che ledono la legge penale ma anche illeciti amministrativi i
quali si estinguono con il pagamento di una sanzione pecuniaria.
Il grave fenomeno della microcriminalità non è nella sua interezza
facilmente collocabile in una sola delle teorie empiriche che definiscono la
criminalità, poiché a seconda della fattispecie criminosa esaminata può
ritenersi valida ogni teoria scientificamente provata.
Personalmente ritengo molto valide sia LA TEORIA DEL CONTROLLO
SOCIALE che LA TEORIA DELL’ETICHETTAMENTO.
Secondo la Teoria del controllo sociale: l’essere umano è moralmente
debole e non commette reati solo se c’è un forte vincolo che lo obbliga a
non farlo (controllo esterni, diretti ed indiretti). Secondo Trevor Hirschi, una
persona commetterà un reato quanto più debole è il vincolo che lo lega alla
società (attaccamento ai genitori o adulti significativi, impegno verso
obiettivi convenzionali, credenze).
Secondo la teoria dell’etichettamento: il reato è il prodotto dell’interazione
tra coloro che creano e fanno applicare le norme, da una parte, e coloro che
invece le infrangono, dall’altra parte (Howard Becher).
In tal guisa, Edwind Lemert, distingue tra devianza primaria (i reati che si
compiono hanno rilievo marginale e presto verranno dimenticati) e
secondaria (l’atto compiuto suscita una reazione di condanna da parte degli
altri, che lo considerano un deviante; da qui, questa persona riorganizzerà i
suoi comportamenti sulla base delle conseguenze prodotte dal suo atto).
Per certi versi, dunque, l'inserimento nella cosiddetta categoria della
microcriminalità, tende a far sì che generalmente si ometta di valutare
quanto queste condotte influenzino la crescita del senso di insicurezza in
una data comunità. In realtà è proprio la percezione di questo tipo di
minaccia,
suscettibile
di
tradursi
in
un
evento
che
può
colpire
quotidianamente chiunque, a innescare un allarme sociale che spesso può
essere anche maggiore alle attività del crimine organizzato le cui dinamiche
appaiono gestite in modo più "professionale". Si tratta della differenza che
corre tra una preoccupazione generica per i grandi problemi sociali
(terrorismo, mafie, delitti economici) che bene si esprime nel termine
inglese “concern”, ed il timore immediato, quotidiano, che condiziona gli stili
di vita e viene definito come “fear of crime”, la paura concreta della
delinquenza di strada, vista come minaccia diretta ai beni ed all'integrità
personale. La microcriminalità è, dunque fonte manifesta di paura, una
condizione psicologica che implica una ambigua, duplice valenza: funzionale e positiva, in quanto aiuta a prevedere e prevenire i reati; disfunzionale e negativa, in quanto distrae l'attenzione e compromette le
attività della routine quotidiana, condizionando la qualità della vita dei
cittadini. Il diffondersi della paura del crimine in una certa zona può
risultare indipendente dal tasso effettivo di delittuosità ed essere piuttosto
correlata con l'affermarsi di un clima sociale di insicurezza. Alcune analisi
criminologiche hanno posto in rapporto la crescita dell'insicurezza nelle città
con la comparsa dei c.d. segnali di incivility, vale a dire segni manifesti di
disorganizzazione urbana e sociale. Si può trattare di indicatori fisici (aree
ed edifici abbandonati, sporcizia nelle strade, segni frequenti di vandalismo,
muri imbrattati da scritte e graffiti) e sociali (presenza di prostitute, di
tossicodipendenti,) : si ritiene che essi comunichino la sensazione del venir
meno delle regole
e, quindi, della sicurezza
in un determinato contesto.
Anche le strategie comunicative dei mass media rivestono un ruolo
importante, seppure controverso, nell'alimentare o contrastare l'affermarsi
di uno stato di insicurezza e di allarme sociale diffusi (critiche esasperate
che non si fermano al vero concetto di cronista ) .
Le
normali
statistiche
apparentemente
possono
incoerenti
talvolta
fornire
sull'andamento
dei
indicazioni
fenomeni
di
devianza. Occorre ricordare che le statistiche giudiziarie si basano
sulla criminalità ufficiale, relativa soltanto ai delitti denunciati, i
quali costituiscono mediamente non più di metà del totale di quelli
realmente commessi, mentre sono soprattutto i "micro" reati che
sfuggono alla rilevazione, in quanto più spesso non denunciati. Ed in
effetti le modestissime prospettive di successo (secondo i dati
ISTAT non più del 10% degli autori dei furti sono individuati) e la
scarsa attenzione per la vittima non costituiscono certamente degli
incentivi alla denuncia. Quindi una lettura della devianza basata
esclusivamente su dati statistici potrebbe prestarsi al rischio di
clamorosi fraintendimenti. Ad esempio, specialmente nel breve periodo,
la crescita o il calo di un certo tipo di reati basata sull'aumento o la
diminuzione delle denunce può configurare due interpretazioni del tutto
contrastanti: a) da una parte, l'aumento delle denunce può indicare una
maggiore vigilanza sociale ed un più efficiente intervento delle Forze di
polizia, che portano alla luce una parte del fenomeno prima nascosto nel
c.d. "numero oscuro"; si tratterebbe dunque di un segnale positivo; b)
dall'altra, la diminuzione può essere il frutto di una sfiducia del cittadino, del
timore di rappresaglie, di uno scarso interventismo delle Forze dell'ordine e
costituire un segnale negativo. L'approccio statistico allo studio dei dati
evidenzia dunque una realtà fenomenica in progressiva diminuzione. Ciò
nonostante, la linea di azione prioritaria delle Forze di polizia è e resta il
contrasto
alla
criminalità
comune
avente
quale
obiettivo
primario
l'accrescimento dell'incisività dell'azione nello specifico settore. In tale
contesto occorre intensificare sempre più i servizi preventivi svolti dagli
operatori di Polizia, ovvero il contatto con il cittadino (vigile – poliziotto carabiniere di quartiere) con lo scopo di intensificare non solo l’azione di
controllo ma migliorare il contatto con la popolazione. Una popolazione che,
abbiamo detto, nel momento in cui viene violata nella privacy accresce
esponenzialmente il proprio stato di allarme sociale, di insicurezza sociale
percepita; l'insicurezza che la porta ad isolarsi per proteggersi costruendosi
una permealizzazione al mondo esterno che deve rimanere fuori dalla
propria quotidianità che, per poter sopravvivere, deve essere blindata ed
impenetrabile. Più in generale, le medie statistiche mal si adattano a
dipingere efficacemente una realtà "a macchia di leopardo" come è quella
della microdelinquenza, che tende a concentrarsi in determinati contesti
territoriali, come ad esempio le medie e piccole realtà urbane ove sono
facilmente rilevabile le presenze di accampamenti di nomadi notoriamente
specializzati nei furti in abitazioni. Per comprendere la diffusione del
sentimento di insicurezza anche e soprattutto nei paesi e nelle cittadine,
bisogna anche considerare le conseguenze della svalutazione del controllo
sociale informale, vale a dire di quella rete di vigilanza comunitaria, di
controllo reciproco fra le persone che si sviluppa soprattutto nelle relazioni
familiari e di vicinato e che esprime la disapprovazione per una condotta
con una serie di reazioni informali, che possono andare dal rimprovero
amichevole sino al vero isolamento sociale. Questo genere di controllo,
tipico delle società tradizionali fortemente coese ed organiche, è specialmente in termini di prevenzione - per molti aspetti più efficace di
quello formale, costituito dalle leggi e dalle sanzioni legali. Ebbene la
transizione troppo veloce da un modello solidaristico di civiltà agricola ad un
sistema consumistico sradicato dai valori tradizionali, ha certamente posto
in crisi la rete di controllo comunitario un tempo presente nelle piccole
realtà urbane, proprio mentre l'organicità dell'identità sociale viene messa
in discussione dal massiccio afflusso di immigrati extracomunitari, reso
peraltro indispensabile dalle stesse dinamiche di sviluppo imprenditoriale,
ma percepito da molti come una minaccia, una intrusione oscura, estranea
e incomprensibile. Questi sono aspetti che vanno considerati, quando si
vuole riflettere sulla crescita dell'insicurezza e dell'allarme sociale nelle
comunità locali.
Per i motivi descritti ovvero la mancanza di una effettiva e reale indicazione
degli illeciti configurabili nella devianza della microcriminalità ( discordanza
tra effettive denuncie e illeciti commessi), ho ritenuto opportuno avvalermi
di una
ricerca personale
statistica dei dati raccolti
di tipo quali-quantitativa ovvero di un analisi
per
capire se modi di agire, valutazioni e
orientamenti culturali e valoriali assumono significato in rapporto alla
situazione e al contesto in cui si inscrivono.
A tal fine per la scelta dell’unità di analisi quantitativa, mi sono avvalso di
un sondaggio di opinione, condotto direttamente dal sottoscritto relatore,
durante il corso dell’anno 2005, su un campione di 200 cittadini residenti.
Dall’intervista dei duecento cittadini (non coinvolti direttamente) è emerso
che la microcriminalità, destava preoccupazione incondizionata per il 60
% degli intervistati; il 35 % dichiarava di sentirsi al sicuro; mentre solo il 5
% degli intervistati evidenziava di non sentirsi completamente al sicuro
nelle strade del proprio paese (vedi grafico in allegato).
Detti risultati confermano in parte, quanto emerge già da anni in
ricerche di tipo simile. Infatti, un'indagine condotta nel 2000 dal
Censis sul tema "le paure degli Italiani" aveva segnalato che l’
inquietudine per la delinquenza diffusa
era cresciuta in misura
percentualmente maggiore nei piccoli e medi centri rispetto alle
grandi città. In precedenza, nel 1998, elementi analoghi erano stati
raccolti in uno studio sulla percezione sociale della criminalità,
condotto in collaborazione con esperti dell'Istat, mediante la
somministrazione di centinaia di questionari anonimi, in Calabria e
nell'Italia Nordorientale. Ad una domanda precisa, gli intervistati
avevano risposto di considerare accresciuto il tasso di criminalità
nella propria zona di residenza, in base all'esperienza diretta. I reati
considerati più diffusi erano i furti e lo spaccio di droghe. Tra gli
intervistati che avevano subito reati nei due anni precedenti il
sondaggio, il 30% aveva sofferto furti, quasi il 14% atti di
vandalismo o danneggiamenti. Eppure i dati ufficiali segnalano
nell'ultimo periodo una complessiva riduzione della delinquenza sul
territorio nazionale.
Nel
corso
della
citata
indagine
sociale,
rispetto
all'allarme
per
la
microcriminalità è emerso che il cittadino dotato di titolo di studio inferiore
(scuola media inferiore) ha fatto riferimento ad una richiesta di pene più
severe, frutto, a sua volta, dell'impressione di una giustizia troppo lenta.
Il cittadino dotato di titolo di studio superiore (Scuola media superiore e\o
laurea) ha invece trasportato il ragionamento su altri piani, come quello
della maggior presenza delle forze dell'ordine sul territorio, trasformando in
realtà, tale affermazione, in una richiesta comune diretta alla realizzazione
di due finalità:
a) una funzione di vigilanza, prevenzione dei reati ed intervento rapido;
b) una funzione di rassicurazione psicologica dei cittadini.
In tal guisa, ritengo personalmente che la questione non si pone
semplicemente solo sul concetto di aumento degli organici, ma piuttosto di
un più razionale impiego delle risorse esistenti, in termini di coordinamento
interforze ( tema annoso in una Nazione che vede la contestuale presenza di
tante diverse Forze di polizia) e di collaborazione tra polizia locale e altre
Forze dell'ordine. Infatti, in questi ultimi anni, si stanno diffondendo sempre
più, conferenze di servizi e protocolli operativi fra Amministrazioni locali,
Prefetture, Questure e Comandi dei carabinieri, che costituiscono esperienze
promettenti in questo senso. Peraltro la presenza delle Forze dell'ordine sul
territorio va gestita con equilibrio e disposta nei tempi e nei luoghi
realmente opportuni, per evitare inutili sprechi e risultati controproducenti.
Esiste, infatti, un sottile e talvolta incerto confine fra una presenza discreta
ma visibile, che aumenta la fiducia ed il senso di protezione nella
cittadinanza, ed una sorta di militarizzazione del territorio che rischia di
inquietare e trasmettere il senso di minacce costantemente incombenti,
accrescendo proprio quell'allarme che si vuole contrastare. In quest'ottica
ha assunto maggiore interesse il moltiplicarsi delle sperimentazioni che negli
ultimi anni, in Italia, hanno riguardato il tema della polizia di prossimità
(traduzione letterale del termine francese "proximité" con il quale si intende
indicare il tentativo di coniugare la necessità di riavvicinare le istituzioni ai
cittadini). Dunque, l’obiettivo primario delle forse dell’ordine
deve essere
quello di recuperare la fiducia della gente che rappresenta la prima e
fondamentale risorsa per meglio procedere all'attività tecnico investigativa
per
fronteggiare
non
solo
il
fenomeno
della
micoriminalità
ma
SICURAMENTE ANCHE QUELLO DELLA “MACROCRIMINALITA’”. In
tale ottica occorre stimolare la partecipazione del cittadino (cosiddetto
controllo informale), specie di coloro i quali svolgono attività in contesti in
cui vengono a contatto con comportamenti antigiuridici, in ragione
soprattutto delle loro attività professionali, con circostanze che riferite
anche in modo vago ed approssimativo,
possono concretizzarsi in indizi
rilevanti. La realizzazione di un efficace servizio di "polizia di prossimità"
mira appunto a far percepire alla popolazione un adeguato livello di
"sicurezza avvertita", grazie ad una presenza costante ed amichevole sul
territorio, realizzata mediante continui contatti con i negozianti, gli anziani,
gli scolari, i giovani (anche attraverso visite presso le singole abitazioni), in
generale con tutti i residenti per coinvolgerli nel dialogo, fornire consigli,
dare e raccogliere informazioni, utili a prevenire e reprimere quei reati di
natura predatoria che più direttamente inquietano il cittadino medio.
Conseguentemente si assiste, nell'incremento delle politiche sulla sicurezza,
allo sviluppo di un'attività di polizia che si fonda sulla diffusione ed il
mantenimento della sicurezza quotidiana dei cittadini, caratterizzata da un
orientamento attivo nei confronti della criminalità diffusa.
Occorre far capire
che La polizia di prossimità rappresenta, quindi,
qualcosa di più di una ridislocazione delle forze sul terreno; essa, infatti, ha
quale fondamento ispiratore una concezione di intervento complessivo che
comporta l'adozione di modificate modalità quotidiane operative delle Forze
di polizia, orientate verso obiettivi nuovi e diversi che si fondano sul
principio della sussidiarietà. La polizia di prossimità si contraddistingue per
la sua forte connessa alla dimensione territoriale, di cui è resa responsabile
e per la sua capacità di intervenire sulla generalità ma soprattutto per la
sua
predisposizione
ad
un
approccio
collaborativo
continuato
e
compartecipato con le altre istituzioni ed ogni altro soggetto sociale ed
economico.
I suoi obiettivi primari sono la prevenzione di qualsiasi forma di criminalità
ed inciviltà, la conoscenza e la penetrazione del territorio e la costruzione di
un rapporto di fiducia profondo ed indissolubile con la comunità ove opera e
tutti i suoi componenti.
CONCLUSIONI
Tutto ciò premesso, ritengo fondamentale per l’analisi concreta del territorio
di Pignataro Maggiore (CE), di dare una giusta interpretazione al termine
"microcriminalità" - o, come viene definita oggi, "criminalità predatoria".
Lo studio dei dati statistici evidenzia come questa si confermi tra i fenomeni
delinquenziali che possono condizionare significativamente la sicurezza
pubblica. In verità si tratta di dinamiche devianti ritenute di "basso profilo":
come borseggi, furti in appartamento, scippi, danneggiamenti, vandalismi,
ma anche rapine di entità modesta e di scarsa preparazione. Ai margini
della categoria stanno poi altre condotte, quali il piccolo spaccio, le risse,
certe infrazioni stradali. Ma in realtà, in ordine alla pericolosità potenziale e
concreta
di
tali
condotte,
si
può
correttamente
usare
il
termine
"microcriminalità"?
Per rispondere a tale interrogativo ritengo fondamentale soffermasi sulle
seguenti osservazioni:
Il reato contro la proprietà può tradursi in reato contro la persona se la
vittima sorprende l'autore e reagisce. La rapina improvvisata dal balordo
può sfociare in un omicidio. Molta "delinquenza minore" può essere
collegata in misura più o meno diretta con reti criminali organizzate. si pensi
allo spaccio minuto di stupefacenti, ai furti commessi (caso frequentissimo
nel territorio dei piccoli e medi comuni dell’Italia) da minori rom gestiti da
clan slavi di recente immigrazione, nonché della grave piaga sociale della
prostituzione.
In effetti molte volte queste condotte, in modo fortuito e del tutto
imprevedibile, possono tradursi in eventi gravi e, di conseguenza, venire
promosse "sul campo" a "grande criminalità". Sembra quindi evidente che il
termine non rappresenta una categoria ben determinata, ma un'espressione
utilizzata forse per rendere meno preoccupante un vero problema sociale.
Infatti,
l’etimologia
del
termine
("micro")
potrebbe
indurre
ad
una
presumibile scarsa entità del danno subito dalla parte offesa, eppure, per
molte vittime le vicende vissute non sono state affatto trascurabili. A parte
la relatività delle valutazioni sul danno economico (ad es., per un
pensionato dal modesto reddito, un "banale" borseggio può determinare
problemi seri), generalmente non si considerano le ricadute psicologiche di
questi
reati.
Le
ricerche
criminologiche
degli
ultimi
decenni
hanno
evidenziato come, al di là del danno immediato, la maggior parte dei reati
causino nelle vittime sofferenze psicologiche a breve e medio termine;
questo non si verifica soltanto con delitti particolarmente traumatici – ad
esemp. il caso della violenza sessuale - ma anche in seguito ad eventi
apparentemente banali, come furti, scippi o borseggi. Pure in questi casi
emergono sentimenti di ansia, insicurezza, depressione, paure improvvise
ed immotivate, che talvolta si protraggono per mesi e mesi dopo il fatto.
Particolarmente insidiose sono le conseguenze di un furto in appartamento,
che si riverberano sia come attacco alla sicurezza sia come violazione della
privacy. La vittima, sotto il primo profilo, avverte lo smarrimento che deriva
dal constatare come le mura domestiche non siano state in grado di
proteggerla da un'intrusione esterna; sotto il secondo aspetto, soffre per la
contaminazione dei suoi spazi intimi e delle cose personali, manipolati e
"sporcati" da mani estranee. Molto spesso gli oggetti sottratti dalle
abitazioni hanno un valore affettivo e sentimentale ben superiore a quello
economico e, in questo senso, concretizzano una perdita irreparabile: si
pensi a un gioiello di famiglia tramandato da generazioni, al dono di una
persona cara o al ricordo di chi non c'è più. In questo caso le parti lese
soffrono di un danno che - secondo le più recenti dottrina e giurisprudenza ben si può definire "esistenziale". Eppure, il fatto di aver subito un "micro"
crimine pone questi soggetti in una fascia assolutamente marginale nella
categoria delle vittime del crimine.
Il ruolo dell’ amministrazione locale, sempre presente nelle strategie sin qui
richiamate, diviene centrale quando si tratta di promuovere in vari modi la
richiamata "sicurezza di comunità". Per questo motivo, negli ultimi anni, si è
sviluppato in Italia il principio della collaborazione di tutti gli attori presenti
sul territorio allo svolgimento di programmi ed attività in materia di
sicurezza e prevenzione della criminalità, con l'obiettivo unico di aumentare
la fiducia della cittadinanza nei confronti delle Forze dell'ordine e delle
istituzioni.
È stato dimostrato infatti che l'insicurezza diminuisce se aumenta la
fiducia nelle forze dell'ordine .
In
questo
campo
può
essere
assai
utile
adottare
politiche
di
sensibilizzazione ed informazione dei cittadini adatte a ricostruire quella rete
di
controllo
informale
un
tempo
presente
ed
oggi
gravemente
compromessa. Le iniziative possono riguardare incontri, conferenze e veri e
propri percorsi formativi, da tenersi in sedi comunali, associazioni, palestre
ecc..
Tali riunioni o conferenze potranno trattare diversi contenuti, quali: 1)
l'apprendimento delle più utili strategie comportamentali di prevenzione e
difesa, con attenzione alle categorie più vulnerabili quali anziani e minori; 2)
la promozione di reti di vigilanza e di assistenza reciproca fra i residenti di
un paese, di un quartiere, di un condominio; 3) l'incontro con esponenti
delle Forze dell'ordine, 4) il confronto interculturale con le comunità
straniere;
5)
fenomenologia
un'informazione
della
devianza
corretta
presente
e
non
sul
allarmistica
territorio
(
sulla
incontro
e
collaborazione con i giornalisti).
A
quest'ultimo
comunicazione
riguardo
dovrà
è
essere
fondamentale
indirizzata
tenere
alla
presente
rassicurazione
che
ed
la
alla
valorizzazione delle risorse esistenti, evitando assolutamente contenuti
minacciosi ed un'inutile amplificazione dei pericoli.
6) assistenza alle vittime dei reati sotto l'aspetto economico, giuridico
ma anche psicologico.
Si potrebbero a tal fine, realizzare convenzioni assicurative che consentano
ai residenti, con il pagamento di piccole somme, di garantirsi l'erogazione
gratuita di una serie di utili servizi nel caso subiscano, ad es., un furto in
appartamento: possono così contare, fra l'altro, sull'immediato intervento di
un fabbro, di un vetraio di un elettricista di un muratore nonchè sull'aiuto
di una collaboratrice domestica per riordinare l'appartamento messo a
soqquadro ecc. ecc.
Infine
si
dovrebbe
come
obiettivo
primario
sviluppare
politiche
urbanistiche e territoriali utili a prevenire fattori di devianza, secondo
parametri
anche
di
tipo
architettonico,
relativi
all'illuminazione,
alla
telesorveglianza, alla creazione di aree controllabili di aggregazione sociale
(soprattutto giovanile), all'eliminazione dei c.d. "spazi interstiziali", ossia
quelle porzioni di territorio sottratte alla vigilanza pubblica e
privata ed
abbandonati a se stessi, ovvero senza manutenzione (erbacce, rovi, ville
comunali non curate, buche stradali non riparate, pubblica illuminazione non
funzionante, assenza di cestini per i rifiuti, scritte sui muri non cancellati
immediatamente, segnali rotti o divelti.
Tutti questi fattori che sembrerebbero di importanza trascurabile,
tendono ad attrarre attività devianti o marginali in tutti i comuni come ad
es. spaccio di droga, eventuali bande giovanili ecc.
Ritengo fondamentale evidenziare, sulla scorta di esperienze professionali
che il punto di riferimento per la lotta a tale forma di devianza,
studi di criminologia ambientale,
sono gli
sulla scia delle esperienze di urbanisti,
sociologi, esperiti nel settore del controllo del territorio, il tutto in una
fattiva e coordinata integrazione fra le attività dei diversi organi di polizia
operanti sul territorio.