Innovare il sitema italiano di istruzione e formazione

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Innovare il sitema italiano di istruzione e formazione
INNOVARE IL SISTEMA ITALIANO DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE
PROFESSIONALE A TUTTI I LIVELLI
1. L’EVIDENZA DEL BISOGNO DI UN FORTE SISTEMA UNITARIO
L’orizzonte del lavoro professionale, assieme all’autonomia personale e alla cittadinanza
attiva, è naturalmente iscritto nello statuto costitutivo di un sistema unitario di istruzione e
formazione secondario e terziario, la VET, Vocational Education and Training, definizione
densa di significato e di effettività in Europa, riscontrabile in Italia, solo al livello di prima
formazione e in forma incerta e disuguale sul territorio nazionale, nell’IeFP. In Europa si
ritiene comunemente che i sistemi formativi maggiormente rispondenti a questo approccio
siano quelli work based, soprattutto nella forma del sistema duale.
Al di là delle forme particolari, legate alla storia e ai contesti culturali e socio-economici
locali, risulta essere determinante un’azione di attori istituzionali, sociali e economici
congiunta e capace di anticipare, accompagnare e seguire le dinamiche dei sistemi educativi
e dei processi culturali, sociali ed economici e, conseguentemente, di dare forma operativa
stabile e compiuta all’orientamento al lavoro professionale di tutto il sistema educativo e
a uno specifico sistema di istruzione e formazione professionale. In gioco non sono solo il
funzionamento meccanico del mercato e la quantità di occupazione, ma anche il valore del
lavoro professionale, storicamente vettore e ordinatore di emancipazione, mobilità e
coesione sociale, di conoscenza, di cittadinanza attiva, quindi, anche di democrazia.
In Italia, abbiamo ancora un sistema formativo debole, poco permeato dalla cultura del
lavoro, pur con lodevoli eccezioni in alcuni territori, settori e livelli, poco presidiato nella
qualità dei servizi offerti, con percorsi scolastici troppo lunghi rispetto agli altri Paesi dell’Ue,
ancora troppo rigido negli ordinamenti e nell’uso delle risorse professionali, logistiche e
finanziarie per rispondere ad esigenze locali molto differenziate sia per la struttura
orografica del territorio sia per gli storici squilibri regionali, ancora centrato sulle discipline
piuttosto che sui risultati dell’apprendimento, poco efficiente nella capacità di integrare le
risorse pubbliche e private disponibili, caratterizzato da riforme incompiute o da rivedere,
incapace di rispondere alle profonde trasformazioni della struttura sociale del Paese in un
tempo di perdurante difficoltà economica. A ciò si aggiunga il fatto che, nella crisi
occupazionale, è insito anche lo svilimento del lavoro, della conoscenza e della
professionalità (non proposte, non richieste, non riconosciute), fenomeno devastante per le
carriere lavorative dei giovani, per l’educazione e per la convivenza civile.
L’evidenza di limiti accumulati nel tempo trova ulteriore conferma nella difficoltà italiana a
contrastare i negativi effetti occupazionali della crisi e a recuperare i deficit educativi.
L’emergenza della disoccupazione giovanile e la diffusa scarsa qualità del lavoro dei giovani
occupati dipendono, ovviamente, soprattutto dallo stato della nostra economia, ma hanno
anche una stretta relazione con i limiti del complessivo sistema scolastico e formativo. E’
importante evidenziare che questa emergenza non riguarda solo i giovanissimi fino a 24
anni, ai quali si riferisce l’impressionante tasso di disoccupazione superiore al 40%, ma anche
le classi di età immediatamente superiori, queste ultime in modo forse più drammatico per il
crescente rischio di cronicizzazione dell’esclusione dal lavoro.
Gli stessi limiti sono, almeno in parte, all’origine dei bassi livelli di competenze di base e
trasversali e dei bassi livelli ISCED della popolazione attiva del nostro Paese. Lo si evince dalle
rilevazioni comparative internazionali, dalle quali emerge anche che i Paesi dotati di forti
sistemi di formazione professionale sono meglio posizionati dell’Italia anche per livelli di
scolarità e di possesso delle competenze di base.
Del resto, nel nostro Paese queste problematicità continuano ad essere alimentate da una
ancora troppo elevata dispersione scolastica, che si era ridotta in modo significativo nello
scorso decennio, anche per un decisivo contributo della formazione professionale regionale,
in quegli anni in espansione. Un recente documento del MIUR1segnala che “la maggiore
concentrazione di alunni che si disperdono durante il percorso della scuola secondaria si
registra negli istituti professionali, negli istituti tecnici e nell’area dell’istruzione artistica” e
conferma il ruolo della formazione professionale regionale affermando che “l’elevata uscita
dal percorso scolastico degli alunni iscritti agli istituti professionali potrebbe tuttavia rivelarsi
meno consistente, ove si consideri che una parte (più o meno consistente nelle varie realtà
territoriali) potrebbe essere transitata nel sistema regionale di istruzione e formazione
professionale”.
2. LE OPPORTUNITA’ OFFERTE DALLE PROGRAMMAZIONI EUROPEE 2014-2020
Il richiamo all’Europa talvolta è retorico. Questa volta un quadro europeo di riferimento e di
supporto ci sarà davvero utile, non solo per un uso mirato delle risorse economiche europee.
D’altra parte tra pochi mesi proprio l’Italia avrà il turno di Presidenza Europea e dovrà
mostrare un alto profilo anche nel settore dell’istruzione e della formazione.
La delusione per il mancato raggiungimento degli obiettivi della Strategia di Lisbona ha
indotto l’Europa a un’inedita attenzione ai sistemi educativi e formativi nazionali. E’ del 2009
il “Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della
formazione” e per la prima volta nel dicembre 2010 il Consiglio Europeo ha dedicato una
sessione esclusivamente alla VET, conclusa con il “Comunicato di Bruges”. Lo scopo
essenziale del quadro strategico europeo è incoraggiare il miglioramento dei sistemi
d'istruzione e di formazione nel loro complesso, con riferimento esplicito a tutti i sistemi di
1
MIUR Focus “La dispersione scolastica in Italia”, giugno 2013
formazione. Forse per la prima volta, con il Comunicato di Bruges, i sistemi formativi
regionali italiani hanno avuto un riconoscimento sostanziale che non ha riscontri in Italia.
L’auspicato miglioramento dei sistemi d'istruzione e di formazione si è poi specificato
nell’orientamento al work based training, al quale si ispira l’Alliance for apprenticeship,
lanciata dalla Commissione Europea lo scorso anno a Lipsia in occasione delle Olimpiadi dei
mestieri.
Il seguito è la programmazione 2014-2020, che in tutte le sue articolazioni considera la
formazione come elemento trasversale. Ma è principalmente il FSE ad assumere tra le sue
priorità l’aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro e il finanziare in tutta l’UE
iniziative volte a migliorare l’istruzione e la formazione e ad assicurare che i giovani
completino il loro percorso formativo e ottengano competenze in grado di renderli più
competitivi sul mercato del lavoro.
Si auspica che anche la programmazione italiana dei fondi strutturali abbia le stesse priorità
e la stessa visione dei sistemi educativi e formativi degli altri Paesi europei. Pe questo
bisogna considerare anche il ruolo dei IeFP che concorrono all’assolvimento dell’obbligo di
istruzione presso gli enti formativi accreditati. Questo non è avvenuto nella precedente
programmazione dei fondi strutturali, anche perché i nuovi ordinamenti del sistema
educativo di istruzione e formazione sono entrati in vigore a partire dall’anno scolastico
2010/2011.
Le opportunità offerte dall’Ue andrebbero, inoltre, esplorate tutte, anche nel quadro dei
programmi che sostengono la collaborazione con i Paesi dell’area euro mediterranea e con
quelli dell’Europa dell’Est, perché le istituzioni scolastiche e formative nazionali possono
sostenere l’immagine e il ruolo dell’Italia, soprattutto attraverso la diffusione della cultura
tecnica e della formazione professionale, anche con positive ricadute a sostegno dello
sviluppo economico del nostro sistema produttivo e dell’occupazione nel mercato globale,
come fanno, da molti anni, altri Paese europei, in primis, la Germania.
3. IL PUNTO DI PARTENZA: ESPERIENZE, RISORSE E CRITICITA’
3.1. L’IeFP
Il sistema ordinamentale dell’IeFP è, a livello di formazione iniziale (IVET – Initial Vocational
Education and Training), quanto ci sia di più vicino ai migliori sistemi formativi europei, in
termini di integrazione tra istruzione generale e specifica formazione professionale e di
integrazione tra formazione teorica e pratica sia nei laboratori dell’istituto formativo sia
nelle imprese. Inoltre l’IeFP è anche un modello di sistema unitario, con un impianto
metodologico e standard di prestazione formativa comuni per i centri regionali accreditati e
per gli istituti professionali in regime di sussidiarietà complementare.
A conferma della bontà dell’impianto IeFP basti ricordare gli esiti formativi e occupazionali
dei giovani qualificati, eccellenti anche in questi anni di crisi, come riferisce la ricerca
dell’ISFOL al riguardo2, un po’ datata, ma confermata da più recenti osservazioni empiriche
sul campo. In questa ricerca si evidenzia anche che le migliori prestazioni si riscontrano nei
centri regionali; ma anche negli istituti professionali in regime di sussidiarietà i risultati sono
migliori di quelli degli istituti non integrati nell’IeFP. Anche per queste ragioni l’IeFP,
soprattutto nella versione dei centri regionali promossi da enti formativi accreditati, non è
solo l’ultima possibilità e il ripiego per chi abbandona la scuola; essa è sempre più
frequentemente la prima scelta dei giovani in uscita dal primo ciclo di istruzione (ex scuola
media inferiore).
Ma l’IeFP si è sviluppato nella pienezza del suo impianto e delle sue articolazioni in modo
sufficientemente sistemico solo nelle Regioni del Nord, in alcune realtà locali del Centro e
sporadicamente nel Sud, anche perché il MIUR non ha sinora esercitato i suoi poteri di
controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni da parte delle Regioni, con
l’emanazione del regolamento previsto dal decreto legislativo n. 226/2005, art. 15. Questa
geografia corrisponde a quella delle fragilità delle politiche regionali oltre che della diversità
delle economie locali. Ma ad essa negli anni scorsi non hanno mancato di dare il loro
contributo negativo politiche nazionali dell’istruzione e del lavoro tiepide, se non del tutto
indifferenti alla formazione professionale, soprattutto per pigrizia intellettuale nella
comprensione della realtà. Il risultato è che negli ultimi anni Piemonte, Lombardia e Veneto
offrono la metà dei percorsi IeFP esistenti sull’intero territorio nazionale. Sud e Isole
raccolgono appena il 20,4% degli iscritti del totale nazionale, pur avendo il 41% del primo
triennio della secondaria superiore. A tutto ciò è da aggiungere che nel Centro e nel Sud i
percorsi IeFP sono offerti prevalentemente dagli Istituti Professionali, ma non nella forma
piena della sussidiarietà complementare. In realtà in Sicilia il sistema regionale era fino a
poco fa molto esteso, almeno per numero di addetti. Da tempo esso non è più un sistema
formativo. E’ urgente una sua ricostruzione e una rimozione di tutte le storture che l’hanno
portato al fallimento.
Il sistema di IeFP va, inoltre, articolato, come previsto dall’ordinamento vigente, nel suo
sviluppo verticale, che prevede non solo le qualifiche triennali, ma anche i diplomi
professionali, di durata quadriennale, e la possibilità di realizzare percorsi brevi di
specializzazione tecnica superiore (IFTS)nonché corsi annuali di preparazione per l’accesso
all’università, previo superamento degli esami di Stato per il conseguimento di diplomi di
istruzione professionale.
3.2. I sistemi regionali, gli enti accreditati e gli Istituti Professionali
Nella geografia della qualità IeFP sopra accennata gli enti formativi accreditati hanno non
solo una presenza quantitativamente prevalente, ma anche una funzione trainante.
2
ISFOL, D'Arcangelo, A., Scalmato, V., Marsilii, SWG/IARD, Gli esiti formativi e occupazionali dei percorsi
triennali, 2011
L’offerta formativa di questi enti è cresciuta costantemente fino al 2011, fino a quando la
graduale riduzione dei finanziamenti regionali ha bloccato l’espansione dell’offerta, a
fronte di una crescente domanda.
Questi enti sono parte di un sistema regionale pubblico, in alcune Regioni in modo decisivo
per la stessa esistenza del sistema. Allo stesso titolo degli istituti professionali in regime di
sussidiarietà essi partecipano a un sistema ordinamentale pubblico cogestito dal Ministero
dell’Istruzione e dalle Regioni e garantiscono l’assolvimento dell’obbligo di istruzione dei loro
allievi. Essi sono oggettivamente in una situazione di parità formativa, rafforzata
dall’accreditamento e dalla procedura dei bandi pubblici. Nonostante questa piena
integrazione in un sistema pubblico, la spesa regionale della formazione professionale è
sottoposta ai vincoli del Patto di Stabilità e a trattamenti fiscali contraddittori. Tra l’altro, il
costo allievo/anno della formazione professionale regionale non supera i 5.000 Euro
(compresa la copertura dei costi dell’assolvimento dell’obbligo scolastico alla quale da
alcuni anni Il MIUR non contribuisce più), molto meno del costo degli istituti Professionali,
che supera gli 8.000 Euro.
Le restrizioni dei bilanci regionali potrebbero presto mettere in discussione la stessa
esistenza dei migliori sistemi regionali. Le vicende dell’IeFP e della formazione professionale
non fanno notizia e, anche per questo, gli enti formativi accreditati possono essere
rimpiazzati dagli Istituti Professionali.
La riforma del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, entrata in
vigore dal 2010/2011, sta mostrando sempre più le contraddizioni, ancora non risolte del
suo impianto generale, che non ha ridefinito chiaramente l’identità e la funzione degli
istituti professionali perché non siano né la versione minore degli istituti tecnici né la
versione scolastica della formazione professionale. La direzione di una loro riforma è
inevitabilmente quella della formazione tecnica in uno specifico settore dei servizi
all’industria, all’artigianato e al commercio, che si aggiunga, con una propria autonomia ai
due settori, tecnologico ed economico, degli istituti tecnici. Per gli istituti di questo nuovo
settore va prevista la possibilità di avere un ordinamento speciale, molto flessibile per
rispondere alle esigenze locali e nell’uso delle risorse professionali, con la salvaguardia dei
posti di lavoro e la valorizzazione dei docenti che vi operano. Questo consentirebbe loro di
interconnettersi facilmente con gli enti di formazione professionale accreditati per la
massima personalizzazione dei percorsi di istruzione e formazione, in modo da non lasciare
indietro nessuno e favorire l’accesso dei giovani al lavoro. Le iscrizioni 2013-14 al primo
anno del ciclo secondario superiore confermano che circa un quarto dei giovani scelgono gli
Istituti Professionali (18%, compresa l’opzione IeFP) e i centri regionali (8%). La ripartizione
geografica non è omogenea: in alcuni contesti del Nord le iscrizioni superano il 15% e nel
Centro Sud talvolta sono gli Istituti Professionali a prevalere nettamente.
Al nord la possibilità di scegliere sembra premiare i centri regionali, confermando
l’attrattività della formazione professionale regionale e dell’impianto IeFP nella sua versione
. Nell’insieme si confermano anche una tendenza ad una infelice dualità geografica,
l’urgenza di una riforma degli istituti professionali e l’ovvia necessità di mantenere l’offerta
degli enti formativi accreditati e consolidati. Per completezza varrebbe la pena di favorire il
reinsediamento nel Centro Sud degli enti formativi.
Se, come si può presumere, le dimensioni della domanda complessiva di istruzione e
formazione professionale restassero invariate almeno nel medio periodo, qualsiasi riduzione
dell’offerta degli enti formativi si risolverebbe in aumento dell’offerta, più costosa, degli
Istituti Professionali o in aumento dell’abbandono scolastico. E, comunque, il patrimonio
formativo dei sistemi regionali e la tradizione più scolastica di molti Istituti Professionali non
sono interscambiabili.
La non interscambiabilità è dovuta anche al valore aggiunto dei centri regionali consistente
in un’ampia gamma di servizi, che solitamente si accompagnano all’offerta di formazione
professionale, quali, tra gli altri, orientamento formativo e professionale, consulenza
professionale, certificazione delle competenze e servizi per il lavoro.
4. LE POSSIBILI EVOLUZIONI: SISTEMA DUALE, FORMAZIONE SUPERIORE, SERVIZI PER
IL LAVORO
Il riferimento al work based training e, anche più specificamente, al sistema duale ispira le
raccomandazioni europee volte a migliorare i sistemi di istruzione e di formazione, gli
orientamenti delle programmazioni europee 2014-2020 e, quindi, anche gli indirizzi di spesa
delle risorse europee.
E’ una ispirazione da accogliere senza esitazioni e da tradurre in dispositivi praticabili a breve
termine nei nostri contesti, costruendo nel contempo le condizioni per una loro rapida
estensione a forme compiute. Infatti, il sistema duale nelle forme, comunque molto simili,
praticate in Germania, in Austria e in Svizzera non può essere tout court e immediatamente
introdotto in Italia.
Bisogna sgomberare il terreno da possibili equivoci circa la trasformazione in sistema duale
del nostro apprendistato professionalizzante, che di fatto si colloca nel campo delle misure
di sostegno all’inserimento lavorativo e non in quello formativo. Si richiederebbe una
trasformazione radicale. Qualche possibilità di innovazione si può intravedere per
l’apprendistato per la qualifica e per quello di alta formazione, entrambi, comunque,
esperienze ancora limitate. Potrebbe essere più utile e di più immediato impatto introdurre
percorsi in forma duale, soprattutto in uscita dalla qualifica triennale e per la realizzazione
dei percorsi brevi di specializzazione tecnica superiore (IFTS) per giovani disoccupati ormai
lontani da tempo dai circuiti formativi. Questi percorsi dovrebbero collocarsi nell’ottica della
costruzione di una carriera professionale già nel corso della transizione scuola/lavoro e
sfruttare la valenza – propria del sistema duale - di selezione/formazione/fidelizzazione dei
collaboratori da parte delle imprese.
Gli elementi che definiscono strutturalmente il sistema duale sono: a) anzitutto “duale”
significa che la formazione si svolge in due luoghi, nell’istituzione formativa e in azienda e
non si riferisce ad una mera alternanza di momenti di formazione e momenti di lavoro, b) tra
il giovane e l’azienda si stipula un contratto di formazione, non di lavoro, e il salario
dell’apprendista è un reddito di formazione, c) l’azienda deve essere certificata come
impresa formativa e avere formatori aziendali, tecnici che hanno ricevuto una formazione
pedagogica, la stessa qualificazione dei docenti dell’istituzione formativa, d) spesso la
formazione in piccole aziende è integrata da una struttura terza, normalmente un centro di
formazione del settore di riferimento, quindi con una configurazione a tre, invece che a due,
e) la formazione è basata su un dispositivo che descrive in modo dettagliato il profilo
professionale per competenze, la qualifica perseguita, il curriculum, i contenuti della
formazione, le prove d’esame e le modalità di certificazione della qualifica, f) l’interesse
dell’impresa di formazione consiste, oltre che nel prestigio sociale, nella selezione,
formazione e fidelizzazione dei futuri dipendenti.
Le questioni principali da affrontare nel nostro contesto sono due, la formazione in impresa
e il reddito di formazione. Per la prima si possono ipotizzare la creazione di una rete di centri
regionali e istituti professionali IeFP dotati della expertise settoriale necessaria per assistere
le imprese nella formazione dei giovani e per sviluppare percorsi di formazione pedagogica
per i loro tecnici. La seconda questione è più complessa, perché bisogna trovare risorse –
FSE? – per il reddito di formazione prima di mettere a regime il sistema con la partecipazione
delle imprese.
Il modello delle Fondazioni degli Istituti Tecnici superiori (ITS) sta producendo esperienze di
eccellenza, da potenziare anche con un più forte ruolo degli Enti formativi accreditati. Gli
ITS, che si caratterizzano soprattutto come scuole speciali di tecnologia, da soli, però, non
bastano a creare un’offerta formativa che soddisfi la ben più ampia domanda, presente e
futura, di tecnici con una qualificazione di livello terziario non universitario. Il livello terziario
di formazione dovrebbe assorbire anche la domanda di aggiornamento e specializzazione
delle imprese e degli occupati, che può essere rappresentata dai percorsi brevi di
specializzazione tecnica superiore (IFTS), da parte del sistema di IeFP; questo è il momento
di mettere in agenda questa prospettiva, cominciando a concepirla già nella forma duale,
magari con la cooperazione di Università tecniche e degli stessi ITS.
Infine, l’IeFP, deve proiettarsi nella gestione della transizione scuola/lavoro sviluppando i
richiesti servizi orientativi, formativi e consulenziali ed interagendo con i servizi per
l’impiego. I centri regionali IeFP hanno già una consolidata esperienza in questo campo. Ma
bisogna che un’uguale evoluzione tocchi anche gli Istituti Professionali integrati nell’IeFP.
5. CONCLUSIONI
La costruzione di un forte sistema unitario di istruzione e formazione professionale richiede
due interventi prioritari:
1) la semplificazione degli ordinamenti del secondo ciclo del sistema educativo di
istruzione e formazione, entrato in vigore dal 2010/2011, eliminando le
sovrapposizioni e le ambiguità tra i percorsi degli istituti professionali e quelli di
IeFP offerti dagli enti formativi accreditati, che fanno parte a pieno titolo del
sistema riformato in linea con le indicazioni dell’Ue in tema di IVET. A questo fine,
gli istituti professionali andrebbero collocati nell’ambito dell’istruzione tecnica, di
cui storicamente sono una “costola”. L’identità della loro missione formativa
potrebbe essere salvaguardata dall’istituzione di un terzo settore nell’istruzione
tecnica, accanto ai due già previsti (tecnologico ed economico), denominato
“servizi per l’industria, l’artigianato ed il commercio”, con un ordinamento speciale,
che elimini le rigidità dell’attuale assetto nella durata dei percorsi e nella loro
organizzazione didattica, ne valorizzi la capacità di interconnessione con i sistemi
produttivi territoriali e gli enti di formazione accreditati per la massima
personalizzazione dei percorsi formativi e un rapido accesso dei giovani al mondo
del lavoro, cogliendo tutte le opportunità offerte dalla diffusione dei percorsi in
apprendistato. Senza un ordinamento speciale, questi istituti non possono avere
gli strumenti per contrastare efficacemente la dispersione scolastica, come
dimostrano i dati rilevati nel tempo. Nell’ambito delle iniziative urgenti di
semplificazione degli ordinamenti, è necessario intervenire sulla durata dei percorsi
del secondo ciclo, che non dovrebbero superare i 4 anni, in modo che i giovani del
nostro Paese non debbano conseguire il diploma con un anno di ritardo rispetti ai
coetanei di altri Paesi dell’Ue. Ciò consentirebbe di liberare risorse, professionali e
finanziarie, da utilizzare per favorire l’ accesso dei giovani al mondo del lavoro, alla
specializzazione tecnica superiore e all’università senza maggiori oneri a carico
delle finanze pubbliche;
2) la completa realizzazione dell’ordinamento dei percorsi di IeFP per la qualifica e il
diploma professionale in tutte le regioni. A questo fine il MIUR deve cominciare ad
esercitare i poteri di controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni da
parte delle Regioni, che la legge gli attribuisce, a partire dall’emanazione del
relativo regolamento (d.lgs n. 226/2005, articolo 15). Vanno adottate misure che
rendano possibile lo sviluppo di tali percorsi anche nell’ambito del PON istruzione
2014/2020 e degli altri programmi cofinanziati dai fondi strutturali a titolarità del
Ministero del lavoro e delle Regioni, in modo da sostenere il progressivo
consolidamento degli enti formativi accreditati. Lo sviluppo di un forte sistema di
IeFP richiede, inoltre, la completa attuazione del sistema di istruzione e formazione
tecnica superiore, non solo con il potenziamento degli Istituti Tecnici Superiori, ma
anche dei percorsi IFTS, in modo da cominciare ad affermare il ruolo, a livello
terziario, degli enti di formazione accreditati per tale livello, anche nel quadro delle
politiche attive del lavoro di competenza del Ministero del lavoro e delle Regioni
per il rientro degli adulti nel mercato del lavoro.
La revisione della riforma degli Istituti Professionali e il completo sviluppo del sistema di IeFP
con il consolidamento degli enti formativi accreditati, che hanno costruito l’esperienza dei
sistemi formativi regionali, sono non solo due priorità, ma due decisioni da prendere con
l’urgenza richiesta dalle emergenze della crisi e dal rischio di collasso dell’IeFP, che ha
dimostrato, nei fatti, di essere uno strumento molto valido per contrastare la dispersione
scolastica e favorire, nel contempo, l’occupazione dei giovani.
Sono diversi gli attori delle decisioni e dei processi che a esse seguiranno. Il sistema di IeFP fa
parte, però, del nuovo ordinamento del sistema educativo di istruzione e formazione, di cui
il MIUR e le Regioni sono gli attori chiave. Considerata la rilevanza nazionale dei due
interventi prioritari segnalati, il MIUR ne costituisce, però, il motore principale.