rurouni kenshin -il passato di uno spadaccino dell

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rurouni kenshin -il passato di uno spadaccino dell
FANFICTION su KENSHIN SAMURAI VAGABONDO
RUROUNI KENSHIN -IL PASSATO DI UNO SPADACCINO
DELL'EPOCA MEIJI
9 capitoli (concluso)
Note: NC-18 -Lime Autrice: La Fallen Angel
ATTENZIONE: questa fanfiction tratta argomenti riservati ad un pubblico adulto. Se continui a leggere, ti
prendi la responsabilità di dichiararti con più di 18 anni.
-I personaggi di questa fanfiction sono tutti maggiorenni, e in ogni modo si tratta di un’opera di finzione che
non trova alcun riscontro nella realtà. –
-Introduzione -I personaggi –
Tratto dal manga: RUROUNI KENSHIN MEIJI KENKAKU ROMANTAN – KENSHIN SAMURAI
VAGABONDO Del maestro: NOBUHIRO WATSUKI Autrice: LA FALLEN ANGEL
1
HAJIME SAITO (3) (si pronuncia: Hàgime Sàito, l’acca è aspirata) Dall’inizio dell’epoca
Meiji, per nascondere la sua vera identità d’assassino, si faceva chiamare Goro Fujita ed
intraprese l’onesta professione di vicebrigadiere del corpo di polizia di Tokyo. Spadaccino dalla
forza straordinaria, amico-nemico di Kenshin da quattordici anni. Aveva 35 anni, era alto 1,72
cm e pesava 60 kg.
AOSHI SHINOMORI (si pronuncia: Àosci Scìnomori) Dapprima rivale poi alleato di
Kenshin. Era il giovane funereo e solitario capo degli Oniwabanshu (4) di Kyoto. All’epoca
aveva 26 anni, era alto 1,78 cm e pesava 67 kg.
MISAO MAKIMACHI (si pronuncia: Mìsao Màchimàci) Oniwabanshu di Kyoto. Per caso
s’imbatté in Kenshin e lo accompagnò sino a Kyoto. All’epoca aveva 16 anni, era alta 1,44
cm e pesava 38 kg.
OKINA (si pronuncia: Òchina) Anziano ninja Oniwabanshu. Nonostante l’età era ancora
molto abile e scaltro. Aveva sempre avuto un debole per le belle ragazze e per l’alcool. Fu di
grande aiuto a Kenshin. All’epoca aveva 64 anni, era alto 1,58 cm e pesava 56 kg.
OMASU E OKON: (si pronunciano: Omasù e Òcon) Due Oniwabanshu compagne di
Misao, Aoshi ed Okina, nonché cameriere del ristorante Aoiya. Omasu, all’epoca, aveva 19
anni, era alta 1,46 cm e pesava 42 kg; mentre Okon aveva 21 anni, era alta 1,48 cm e pesava 44
kg.
KURO E SHIRO (si pronunciano: Cùro e Scirò) Ninja Oniwabanshu compagni di Misao, Aoshi,
Okina, Omasu e Okon, nonché cuochi del ristorante Aoiya. Kuro, all’epoca, aveva 24 anni, era
alto 1,77 cm e pesava 80 kg; mentre Shiro aveva 23 anni, era alto 1,75 e pesava 63 kg.
HINABIKI SEKIGAWA (si pronuncia: Hìnabichi Sechigawà, l’acca è aspirata) Conosciuta con il soprannome di Tsuki
Hijin (si pronuncia: Tsukì Hìgin e significa “Spada della luna”), samurai donna amica di Kenshin, per il quale provava un
sincero amore sin dall’infanzia. Riprese a vagabondare dopo la recente morte prematura del marito. Aveva 25 anni, era
alta 1,46 cm e pesava 45 kg.
MAKOTO SHISHIO (si pronuncia: Màcoto Scìscio) Ex samurai ambizioso tradito dai suoi stessi compagni, che
cercarono di bruciarlo vivo. Assetato di potere e vendetta, con l’aiuto di un esercito di
spadaccini, cercò d’attuare un colpo di stato, ma Kenshin e compagni riuscirono a sconfiggerlo.
Shishio morì durante il combattimento. Aveva 35 anni, era alto 1,78 cm e pesava 64 kg.
2
Questo racconto è ispirato al fumetto (manga) “KENSHIN, SAMURAI VAGABONDO”
(“RUROUNI KENSHIN, MEIJI KENKAKU ROMANTAN”) del maestro NOBUHIRO WATSUKI.
I personaggi elencati qui sopra, fatta eccezione per Hinabiki Sekigawa, rispecchiano, salvo alcune variazioni, i
soggetti originali del maestro Watsuki. Il racconto è una libera interpretazione, anche per quel che riguarda certi
personaggi apparsi nella serie ma qui radicalmente rivisti, della storia originale.
NOTE:
1
SAMURAI: letteralmente significa “colui che serve”. Questo termine cominciò ad essere usato tra il nono e l’undicesimo secolo,
sostituendo la parola bushi “Nobiltà militare”. Erano guerrieri nati per proteggere i daimyo ma, col passare del tempo, divennero una vera e
propria classe sociale a se stante.
2
SPADA A LAMA INVERTITA: detta anche Sakabatou, è una spada particolare che ha la parte del taglio al posto del dorso e
viceversa. Kenshin l’imbraccia per poter combattere senza uccidere nessuno
3
HAJIME SAITO: personaggio realmente esistito. Era il capo della terza squadra dello Shinsengumi (vedi nota 41), acerrimo
nemico di Kenshin sin dai tempi della guerra civile. Per sconfiggere Makoto Shishio i due si sono alleati dimenticando, in quel frangente, il
loro odio reciproco.
4
ONIWABANSHU: speciale gruppo di ninja istituito con lo scopo di proteggere il castello dello Shogun durante la rivoluzione
Meiji. Un suo distaccamento si trovava a Kyoto, per spiare le mosse dei samurai ambiziosi.
-Capitolo 1: Jinchu, la sentenza pronunciata da un uomo
PROLOGO:
A partire dalla fine del XVIII secolo, il Giappone si trovò a dover risolvere gravi problemi di politica estera ed interna.
Le pressioni del governo americano misero lo Shogun Ieyasu Tokugawa di fronte ad un bivio: aprire il Giappone al
mondo occidentale o continuare ad isolarsi del resto del mondo. I samurai, guerrieri al suo servizio, indecisi sul da farsi
si divisero, grosso modo, in due gruppi: alcuni scelsero la via dell’isolamento restando fedeli allo Shogun, altri (detti
Ishin Shishi – Patrioti della Rivoluzione) si schierarono dalla parte dell’esercito americano con l’intento di modernizzare
il Giappone. Per quindici anni quelle due fazioni si scontrarono dando luogo a cruenti e sanguinosi scontri. All’interno
degli Ishin Shishi appartenenti all’esercito del feudo Choshu, si distinse la figura di un giovane assassino chiamato
Hitokiri Battosai. Fu la sua spada intrisa di sangue ad inaugurare l’era della modernizzazione, l’epoca Meiji. Con il
terminare degli scontri, Battosai sparì dalla circolazione, ma la sua leggenda d’assassino spietato rimase scolpita nel
cuore dei giapponesi. Battosai abbandonò il suo nome di battaglia, e, imbracciando una spada a lama invertita, si fece
chiamare Kenshin Himura. Dopo dieci anni di vagabondaggio per il Giappone, questi si fermò a Tokyo, dove conobbe la
giovane maestra spadaccina Kaoru Kamiya; un pargoletto assai determinato a voler divenire samurai, Yahiko Myojin;
un attaccabrighe ex seguace dei Sekihoutai, Sanosuke Sagara; l’affascinante dottoressa Megumi Takani; e ritrovò una
certa serenità. Solo l’indelebile cicatrice a forma di croce che portava sulla guancia sinistra, gli ricordava il suo passato
d’assassino. Per sconfiggere un pericoloso criminale che mirava ad attuare un colpo di stato, il governo chiese, ancora
una volta, l’aiuto di Himura. Questi accettò e si recò a Kyoto, la sua città natale nonché teatro delle più cruente lotte
dell’epoca precedente, dove il criminale Makoto Shishio ed il suo Esercito delle Dieci Spade seminavano il terrore. Lì
conobbe nuovi amici e ne incontrò di vecchi che l’aiutarono nel suo arduo compito. Tra questi vi erano gli Oniwabanshu
di Kyoto, Hinabiki Sekigawa e Hajime Saito. La lotta fra Himura e Shishio fu cruenta, ma, alla fine il samurai assassino
trionfò…
La stagione delle piogge era finita, e finalmente cominciava l’estate quando le ferite di Kenshin guarirono. Un mese
era ormai passato dal giorno della cruenta battaglia fra il samurai e Makoto Shishio. Per lui e per i suoi compagni era
tempo di tornare a casa. Quando Misao venne a sapere della loro imminente partenza, si rattristò e cercò con ogni
mezzo di convincere gli amici a restare ancora un po’ a Kyoto, ma Kaoru rifiutò gentilmente la sua richiesta. “Per
Kenshin Kyoto è la città dei brutti ricordi. Restare ulteriormente non farebbe altro che riaprire in lui vecchie e
dolorose ferite. Non voglio che soffra ancora.” così si giustificò la maestra spadaccina con la giovane kunoichi (4),
che dovette darle ragione. Non poteva negare l’evidenza. La mattina precedente la partenza, Kenshin, come di
consueto, si alzò di buon ora, saranno state le cinque o le sei del mattino. Si coprì la cicatrice con una benda adesiva
e, per la prima volta dopo tanto tempo, uscì dall’albergo, Aoiya, senza fare alcun rumore. Le strade dalla città
imperiale erano già ricche di gente, ed i negozi, con i loro eleganti stendardi ed insegne, riempivano le vie di colori
sgargianti. “Finalmente anche Kyoto, la città dove si svolsero i più cruenti e sanguinosi conflitti della fine dello
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shogunato, è diventato un luogo pacifico.” pensò Kenshin sorridendo sollevato. Vedere la sua città natale finalmente
libera dal sangue e dall’odio, era per lui un evento di gran gioia. Girovagò senza meta per qualche ora, poi si fermò
davanti ad un negozio di fiori e comprò degli splendidi crisantemi bianchi, oltre ad un secchio di legno di quelli che
si usavano per far visita alle tombe dei propri cari. Attraverso una stradina stretta di periferia, percorsa da poche
persone, il samurai giunse nel grande cimitero della città. C’erano molte tombe di samurai come lui, guerrieri che
conosceva o contro cui aveva combattuto. Nel riconoscere tutti quei nomi, scolpiti o incisi su lapidi di pietra o legno,
sentì il suo cuore sanguinare, stretto dalla dolorosa morsa di un tormento chiamato rimorso. Quando giunse dinnanzi
ad una piccola tomba, che sembrava abbandonata da anni, si fermò e scoprì la cicatrice. Non vi era inciso alcun
nome sulla lapide di pietra, ma Kenshin sapeva bene a chi apparteneva. Dopo aver posato i fiori, gettò l’acqua sulla
stele ed accese dei bastoncini d’incenso. Rimase lì, inginocchiato a pregare in silenzio sino al tramonto. “Vorrei
restare ancora, ma non posso far preoccupare i miei compagni. Scusami se non mi sono fatto vedere in questi dieci
anni, ma sappi che non ho mai smesso, nemmeno per un istante, di pensare a te.” si chinò a baciare la gelida lapide
che nemmeno il caldo sole estivo era riuscito a scaldare. “Ti prometto che tornerò l’anno prossimo, nel giorno dei
defunti.” affermò con dolcezza il samurai, mostrando un leggero sorriso, prima di allontanarsi da quel luogo ricco di
sofferenze. Tornando ad Aoiya, scoprì che Kaoru era rimasta sulla soglia ad aspettarlo per tutto il pomeriggio.
Questo lo portò a sorriderle con dolcezza, quando la vide corrergli incontro. Kenshin e compagni partirono subito
dopo aver cenato. Misao pianse calde lacrime nel salutarli, mentre il vecchio Okina, abbracciando in segno di saluto
Kaoru, non perse l’occasione per palparla, provocando le sue ire. Aoshi Shinomori non fece una piega, il suo viso
rimase funereo e scuro come al solito. La nave su cui s’imbarcarono era affollata, non c’erano cabine sufficienti per
tutti e quattro, così si trovarono a dormire tutti insieme in uno stanzino stretto e soffocante. Sanosuke s’addormentò
subito, mentre Kaoru e Kenshin aspettarono che gli attacchi di vomito di Yahiko si calmassero, prima di coricarsi. Il
sonno del samurai era agitato. Pensava di essere riuscito ad affrontare il suo passato, invece i sensi di colpa,
accompagnati da incubi che gli ricordavano nel modo più crudo i delitti di cui s’era macchiato, lo tormentarono per
tutta la notte. Alla fine si alzò di soprassalto, ansimante e con il volto madido. L’afa soffocante che si era creata
nello stanzino, non lo aiutava di certo a riprendersi. Aveva bisogno di prendere una bella boccata d’aria fresca per
schiarirsi le idee. Prestando attenzione a non svegliare i compagni, uscì dalla camera, recandosi sul ponte della nave.
Era quasi l’alba, il cielo cominciava a schiarirsi all’orizzonte. Kyoto era ormai lontana. Kenshin si appoggiò, con
braccia incrociate, ad una sponda della barca, lasciando che una fresca brezza giocasse fra i suoi capelli di fiamma e
gli rinfrescasse il viso sudato. Pian piano, il suo respiro affannoso si calmò. Ad un tratto, un ragazzo, all’incirca della
sua stessa età, si fermò a guardarlo. Non era molto alto ma aveva delle grandi spalle. Indossava un kimono ricamato
con un motivo a rombi ed un paio di hakama (5) strisce. Calzava dei geta (6) e portava i capelli, lisci e corvini, legati
in una corta coda. Aveva il viso e le mani bagnate dopo essersi appena rinfrescato. Probabilmente si era svegliato da
poco. Profondi e lucidi occhi scuri, che riflettevano la rosata luce dell’alba, risaltavano sul suo viso leggermente
abbronzato. Incuriosito da quella piccola figura curva che gli sembrava di conoscere, il giovane s’avvicinò a
Kenshin. S’appoggiò alla medesima sponda. In confronto era di poco più alto di Kenshin, ma, in compenso, era
molto più muscoloso. Aveva sulla fronte una cicatrice orizzontale che cercava di nascondere con i capelli. Kenshin
si accorse subito della presenza del ragazzo, ma continuò a scrutare il calmo mare. “Siete mattiniero, signore.” cercò
di rompere il ghiaccio il misterioso giovanotto. “Anche voi.” si limitò a rispondergli Kenshin voltandosi verso di lui.
I loro sguardi s’incrociarono nello stesso istante. “Kenshin!” gridò l’uno :“Enishi (7)!” esclamò l’altro, entrambi con
volti inebetiti per lo stupore. Il giovane dai capelli scuri, raggiante di gioia, abbracciò il compagno ritrovato, quasi
stritolandolo. Kenshin si sentì mancare il fiato, mentre il petto, con i postumi della grave ferita inflittagli da Shishio,
gli faceva vedere le stelle per il dolore. Vedendo che il volto dell’amico cominciava a farsi paonazzo, Enishi lasciò
la presa, scusandosi con un inchino. Kenshin barcollò un po’ all’indietro, poi, tra alcuni colpetti di tosse, cercò di
sorridergli. “Kenshin Himura, caro compagno, sembra sia passato un secolo dall’ultima volta che ci siamo visti.”
affermò Enishi sospirando mentre tornava ad appoggiarsi al parapetto di legno. “Beh, dieci anni sono lunghi.
Talmente lunghi da poter cambiare la mente degli uomini, ma non abbastanza da permettere loro di porre rimedio
alle colpe di cui si sono macchiati.” sostenne Kenshin sorridendo nostalgico. Enishi capì subito che l’amico stava
parlando di se stesso, ma non lo diede a vedere e cercò di cambiare discorso. Nel passato di entrambi c’era stato un
incolmabile dolore che, anche a distanza di dieci anni, faceva ancora sanguinare i loro cuori. “Che ci fai da queste
parti? Stai ancora vagabondando?”chiese Enishi sforzandosi di sorridere. “No, ho smesso di viaggiare. Sto tornando
a Tokyo. Mi sono dovuto recare a Kyoto per risolvere un piccolo problema.” rispose Kenshin minimizzando
l’accaduto, la vicenda di Makoto Shishio doveva restare segreta anche ad un ex Ishin Shishi come Enishi. “Aha!
Torni a Tokyo, eh. E cosa ci vai a fare? Dì la verità, là c’è una bella donna che ti sta aspettando, vero?” l’incalzò
questi, malizioso, cingendogli le spalle con il robusto braccio sinistro. “No, no. Sei proprio fuori strada! A Tokyo mi
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sono fatto degli amici che mi hanno accompagnato nel mio viaggio. Ora vivo assieme a loro.” s’affrettò a rispondere
Kenshin. “E tu? Vivi ancora a Kyoto?” “Sì. Mi guadagno da vivere scortando carichi preziosi o rischiosi per il
governo. Mi trovo su questa nave per lavoro, sto conducendo dei criminali a Tokyo, dove verranno giustiziati.
Dannazione, proprio ora che mia moglie sta per partorire il mio terzo figlio!”. Kenshin spalancò gli occhi, stupito.
“Anche tu sei sposato?!” esclamò :“Certo! Da cinque anni ormai. Alla tua età anche tu avresti dovuto già mettere su
famiglia.” il volto scherzoso di Enishi si fece malinconico prima di continuare :“Però, visto ciò che ti è capitato,
forse la tua volontà di restar solo è ben giustificata .”. Kenshin si zittì, e, avvolto da un turbine di ricordi dolorosi,
s’accarezzò la cicatrice sulla guancia sinistra. “Non sei ancora riuscito a dimenticarla, vero? E, visto che la tua
cicatrice è ancora ben visibile dopo tutto questo tempo, penso che anche lei stia ancora pensando a te.” “Già. E di
certo il mio viaggio a Kyoto non ha migliorato le cose .”. Fra i due si stagliò un opprimente silenzio. Solo dopo
alcuni minuti, Enishi riprese a parlare :“Senti Ken, ora ho un po’ da fare, che ne dici di rivederci una volta sbarcati?
Sono proprio curioso di conoscere i tuoi nuovi compagni. Di certo saranno tipi stani. Che ne pensi?”propose
cercando di risollevare l’animo dell’amico, che capì le sue intenzioni e, per non deluderlo, si sforzò di sorridergli,
annuendo “D’accordo.” Ormai il sole era già sorto da un pezzo. I passeggeri della nave cominciarono a svegliarsi e
per Enishi era tempo di mettersi al lavoro. Kenshin, una volta congedatosi dall’amico, rimase ancora un po’ sul
ponte ad assaporare la frescura di una dolce brezza, poi, per non far preoccupare i compagni, decise di tornare in
cabina. Verso sera, finalmente, si cominciò ad intravedere il porto di Tokyo, sarebbero sbarcati il mattino seguente.
Appena giunto con i piedi sulla terra ferma, Yahiko si scoprì ad avere una fame clamorosa, in pratica, a causa del
mal di mare, sulla nave non aveva toccato cibo. I crampi l’attanagliavano. Kaoru si sentiva, invece, raggiante e
decise di offrire a tutti un ottimo pranzo al ristorante Akabeko, dove li aspettava una clamorosa accoglienza da parte
di Tae e Tsubame. Verso le cinque del pomeriggio, dopo aver festeggiato tra fiumi di sakè(12) ed ottimo
sukiyaki(13), varcarono la soglia della palestra Kamiya Kasshin. Per la prima volta dopo tanto tempo, Kenshin si
sentì nuovamente a casa. Uno strano senso di rassicurante calore gli avvolse il cuore. La palestra era ridotta in uno
stato pietoso, c’era polvere ovunque e, mentre Kaoru obbligò a suon di bastonate Yahiko ad aiutarla nelle pulizie,
Sanosuke e Kenshin andarono a fare la spesa. Tra la gente che affollava le vie della città, in festa per il giorno
festivo, l’occhio attento di Kenshin riconobbe Enishi intento a comprare ninnoli per la moglie e le figlie. Aveva un
daisho (14) legato al fianco destro. Il samurai gli si avvicinò e vide che teneva in mano due bamboline di legno.
“Sono per le tue figlie?” gli chiese, Enishi riconobbe all’istante la sua voce, ed allontanò la mano sinistra
dall’impugnatura della katana. “Kenshin dovresti stare più attento. Se non ti avessi riconosciuto, saresti finito
tagliato in due.” affermò il giovane con voce scherzosa, senza voltarsi :“Sapevo che mi avresti riconosciuto.” ribatté
Kenshin mostrando un sorriso più radioso del solito. “Siete amici?” domandò Sanosuke avvicinandosi ai due
samurai. Kenshin annuì e gli presentò l’ex compagno di spada. “Sapevo che eri un tipo strano, ma riuscire ad
amicarsi un Sekihoutai ha davvero dell’incredibile!” esclamò Enishi stupito, risalendo al passato di Sanosuke
osservando l’ideogramma che questi portava stampato sulla schiena. “Sono proprio curioso di conoscere gli altri.”
affermò sorridendo. Kenshin ricambiò ed accompagnò l’amico alla palestra, per fortuna Yahiko e Kaoru avevano
appena finito di pulire. Dopo le presentazioni si sedettero sugli zabuton (8), tutti in cerchio, mentre la padrona di
casa andò a preparare tè e pasticcini. Nell’attesa gli uomini parlarono del più e del meno. Enishi descrisse la moglie
e le due figlie, esprimendo il desiderio che il prossimo nascituro fosse un maschio. “Tu sì che ti dai da fare. Io
comincio a pensare che Kenshin o sia un mezzo finocchio e sia ancora un verginello. Da quando lo conosco non l’
ho mai visto in compagnia di una donna.” affermò Sanosuke facendo arrossire il samurai d’imbarazzo, mentre
Enishi scoppiò in una rumorosa risata. “Io lo conosco molto bene e, credimi, ti posso assicurare che nessuna delle
ipotesi che hai azzardato corrisponde a verità.” sostenne fra le risa. Kaoru udì benissimo il tema del discorso,
nonostante fosse in corridoio, ed affrettò il passo. Un misto di curiosità e gelosia le avvolse il cuore. “A proposito,
sai come ho chiamato la mia primogenita?”domandò in un sussurro Enishi a Kenshin, che scosse il capo. “Tomoe
(9).” rispose lo stesso samurai sorridendo nostalgico. Il compagno dalla cicatrice sul volto sentì un tuffo al cuore. In
quel mentre, Kaoru entrò nella stanza e posò il vassoio sul tatami (10). Enishi, dopo un leggero inchino di
ringraziamento, si lanciò sui pasticcini. Era sempre stato un gran goloso, sin da piccolo. Kenshin sorrise, nonostante
si sentisse ancora turbato, prendendo un bicchierino di tè fumante. “Non gli hai mai parlato di lei?” chiese Enishi
tornando serio, avvicinando la bocca all’orecchio di Kenshin :“No, e tanto meno del mio passato.” sibilò lui
nascondendo la bocca dietro al bicchiere di terracotta. In quel mentre, il sordo rumore di un’esplosione fece
sobbalzare tutti quanti. Kenshin sentì una gelida scossa scendergli giù per la spina dorsale. Conosceva quel
particolare rumore che tagliava l’aria. Anche Enishi fu colpito dallo stesso terribile sospetto. “Cosa è
stato?”domandò Kaoru ancora scossa :“Prove dei fuochi d’artificio?”ipotizzò Yahiko addentando un pasticcino.
”No.”sostenne Kenshin alzandosi in piedi con gocce di gelido sudore che gli lambivano le guance pallide. “L’ hai
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riconosciuto anche tu?”gli chiese Enishi anch’egli alzandosi. “Sì. Una delle tre grandi armi da fuoco del Bakumatsu
(11) , il Cannone Armstrong (12)!”esclamò il samurai dalla cicatrice sul volto. Tutti i suoi compagni rimasero basiti
presi da una cupa paura. “Non è che ti sei lasciato prendere un po’ troppo dai ricordi? Mi sembra esagerato tirare in
ballo un’arma potente come il Cannone Armstrong.” sostenne Sanosuke dubbioso :“L’abbiamo riconosciuto in due,
non penso che si possa trattare solo del frutto della mia fantasia, anche se vorrei tanto che fosse così.” ribatté
Kenshin con una chiara espressione preoccupata. “Andiamo a controllare.” affermò Enishi pronto all’azione. Il
compagno annuì ed entrambi, seguiti da Sanosuke, uscirono dalla palestra. Yahiko voleva unirsi a loro ma Kaoru
riuscì ad impedirglielo. Mentre Kenshin e gli altri si trovavano di fronte al portone della scuola Kamiya, il suono del
martello sulla campana, seguito dalla corsa sfrenata di uno squadrone di poliziotti, fu la prova che qualcosa di grave
era effettivamente accaduto. Tra la miriade di forze dell’ordine, Kenshin riconobbe la figura minuta del commissario
Uramura che chiamò per domandargli spiegazioni. “C’è stato un bombardamento! Qualcuno ha sparato una granata
dalla collina di Ueno colpendo in pieno il ristorante Akabeko!” affermò il commissario trafelato. Kaoru e Yahiko,
sentendo la notizia, uscirono dalla palestra. “Io e tutti i poliziotti della zona ci stiamo recando sulla collina! State
attenti, potrebbero colpire ancora!”concluse il signor Uramura riprendendo a correre. “Presto! Enishi, Kaoru,
Yahiko! Voi andate all’Akabeko! Io e Sano aiuteremo i poliziotti!”dispose Kenshin senza perdere il sangue freddo,
tutti obbedirono. “Mio Dio, ti prego! Fa che Tae e Tsubame siano sane e salve!”pregò tra sé e sé Kaoru correndo a
più non posso. In breve lei, seguita da Enishi e Yahiko, giunse sul luogo del disastro. La trattoria era andata
totalmente distrutta. Facendosi largo fra la folla di curiosi, i tre compagni riuscirono a trovare Tae e Tsubame,
entrambe incolumi. Per fortuna avevano chiuso prima il locale per motivi famigliari, riuscendo a salvarsi appena in
tempo. Intanto, Kenshin, Sano e lo squadrone di poliziotti, giunsero sull’altura sovrastante Tokyo detta collina di
Ueno, campo di battaglia della terza guerra Boshin. Là trovarono solo un albero spezzato senza alcuna traccia del
supporto per il cannone. Un mistero che Kenshin riuscì a svelare osservando attentamente il terreno. C’erano delle
impronte di sandali molto profonde. “Probabilmente colui che ha sparato ha appoggiato la schiena contro
quest’albero, tenendo il cannone sulla spalla.” suppose :“Di certo doveva trattarsi di un uomo dalla possente stazza,
anche a giudicare dalle orme che ha lasciato.” affermò Sanosuke mettendosi le mani in tasca. In quel mentre
:“Signor Himura! Abbiamo trovato una traccia lasciata dal criminale!”esclamò il commissario Uramura tenendo in
mano un foglietto, che porse a Kenshin. Riportava degli ideogrammi scritti in bella grafia significanti la parola
Jinchu, e più in basso, scritto molto in piccolo, era riportata la frase :“I vendicatori faranno giustizia. Hitokiri
Battosai deve morire.” . Sia Sano che il commissario furono colpiti da un forte stupore misto ad ansia, entrambi
erano a conoscenza del passato di Kenshin e temevano per lui. Questi, invece, rimase impassibile. Non era la prima
volta che qualcuno cercava di vendicarsi. “Kenshin, che significa < Jinchu >? Non avranno sbagliato volendo
scrivere Tenchu?”domandò Sanosuke cercando di dissipare la tensione creatosi. “No, Tenchu indica la giustizia
pronunciata dal cielo. Era molto usata al tempo del Bakumatsu dai samurai ambizioni, soprattutto dagli assassini.
Voleva annunciare che loro erano dalla parte della ragione e pronunciavano le loro sentenze in nome del cielo.
Invece Jinchu sta per < se non sarà il cielo a punirlo, lo farò io >, una giustizia usata al contrario.” spiegò Kenshin
ardendo di rabbia. “Non sarà facile ma lo prenderemo, statene certo signor Himura.” affermò il commissario
tornando alle sue indagini. “Il Cannone Armstrong non è un’arma che si può reperire facilmente. Il colpevole non
può essere solo un samurai contrario al governo o un vendicatore qualsiasi. ” sostenne Kenshin dando voce a propri
pensieri: “Con questo cosa vuoi dire?” gli chiese Sanosuke con sguardo interrogativo :”Vedi, Sano per quanti delitti
io abbia commesso, il cielo non ha mai emesso una sentenza contro di me, nemmeno il governo l’ ha fatto. È
naturale che si formino dei gruppi pronti a tutto pur di vendicarsi di me. Ho avuto già a che fare con gente simile, ma
ora sento che è diverso. Questa non è una semplice vendetta ai miei danni. Ho paura che vogliano colpire tutti coloro
che sono a contatto con me. La scelta di colpire l’Akabeko non è stata sicuramente casuale.” rispose il samurai
alzando gli occhi al cielo che iniziava ad oscurarsi. Era preoccupato, chissà quale sarebbe stata la prossima vittima.
Intanto, in una zona di campagna nei pressi di Yokohama, in una casetta come tante, entrò un uomo dalla
corporatura possente. “Hai fatto presto .”affermò una voce d’uomo, nascosto nell’ombra della buia stanza. “Ci
vogliono solo cinquantaquattro minuti con la locomotiva a vapore da Tokyo a qui .”sostenne l’omone chiudendosi lo
shoji (13) alle spalle. “Allora, come è andata la prima fase del nostro Jinchu?”gli domandò l’uomo misterioso
:”Come previsto .” “Ottimo, i miei complimenti. Ah, ah! Battosai, finalmente è giunto il momento della
vendetta!”un d’occhio brillò d’una luce sinistra, circondato dall’oscurità. Il mattino seguente, Kenshin, Sanosuke ed
Enishi, che fu ospitato alla palestra Kamiya, guardando una mappa della città, cercarono di ipotizzare i possibili
obiettivi futuri di quei criminali misteriosi. “Alla fine la polizia non è riuscita a dare una spiegazione all’accaduto. In
fondo c’era da aspettarselo.” affermò Enishi, sorseggiando del tè :”Se è vero che vogliono vendicarsi di te, manca
ancora un luogo, escludendo la palestra Kamiya, che frequenti spesso: l’ambulatorio Oguni. Proteggere quella
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volpina di Megumi ed il dottor Oguni non sarà difficile .”sostenne Sanosuke riempiendosi la bocca con un generoso
cucchiaio di Yokan (14). “Speriamo che la loro vendetta si limiti a questo. Comunque è meglio non coinvolgere
Kaoru e Yahiko. Non voglio che si ripeta la vicenda di Kyoto.” concluse Kenshin con sguardo deciso, che non
ammetteva contraddizioni. Sanosuke annuì. “Mi spiace coinvolgerti, caro Enishi. Ti sto tenendo bloccato qui mentre
tua moglie è agli sgoccioli della gravidanza, perdonami .”si scusò il samurai, con un inchino :”Ah, stai tranquillo. Ti
aiuto volentieri, e poi la mia Saki (15) è una donna forte, riuscirà a cavarsela anche senza di me. Sono io a dovermi
scusare, vi sto dando disturbo abusando dell’ospitalità della tua amica .”ribatté Enishi, facendo segno al compagno
di alzarsi. “A proposito, la piccola Tsubame verrà a stare da noi finché l’Akabeko non verrà ricostruito .”intervenne
Sanosuke, stava quasi per dimenticarsi delle parole riferitagli poco prima da Kaoru. Verso sera, la piccola Tsubame
si presentò alla palestra e, per ricambiare l’ospitalità, preparò una squisita cenetta per tutti quanti. Dopo cena,
Yahiko pregò Kaoru di allenarlo ancora, nonostante lei e Kenshin l’addestrarono per l’intera giornata. Il ragazzino
era impaziente di essere iniziato ai segreti della scuola Kamiya Kasshin, per eguagliare la potenza di Kenshin e
Sanosuke. Kaoru capì all’istante il desiderio dell’allievo, ma concluse che era ancora troppo inesperto per attingere
all’antica saggezza della scuola. “Ti prego Kaoru! Sono stufo di essere sempre messo da parte per la mia
debolezza!” insistette il giovane spadaccino, ma la maestra non volle sentire ragioni :”Mi dispiace Yahiko, ma non
sei ancora pronto, non da un punto di vista fisico, ma mentale. Se devo essere sincera sei diventato molto forte, sei
anche riuscito a sconfiggere un membro dell’Esercito delle Dieci Spade (16), non devi sentirti debole. Kenshin e
Sanosuke sono ormai degli uomini, non puoi pretendere di eguagliare la loro potenza, hai solo dieci anni. Devi avere
pazienza .”gli rispose con un’insolita dolcezza, lasciandolo solo nella grande palestra. “Perché non vuoi
aiutarmi?!”si domandò lui furibondo, prendendo a pugni il tatami. Il sole calò ed una pallida luna piena sorse con il
suo mantello oscuro, tempestato di stelle. Iniziava il periodo più pericoloso, con l’ausilio dell’oscurità qualunque
criminale esperto poteva agire indisturbato. Kaoru, Yahiko e Tsubame andarono a dormire, mentre Kenshin ed
Enishi, senza che gli altri se ne accorsero, rimasero di guardia.Non potevano sapere quando la banda di vendicatori
sarebbe tornata a colpire. Dovevano tenersi pronti ad ogni evenienza. Undici di sera. All’improvviso un forte
rumore, come qualcosa che sbatteva contro il portone di legno della palestra. Kenshin ed Enishi impugnarono
saldamente le loro katana, mentre Kaoru e Yahiko, destati da quel fracasso, corsero fuori. “Kenshin, signor
Yukishiro (17)! Che cosa è stato quel rumore?”domandò Kaoru imbracciando la sua fida shinai (18). Enishi le fece
segno di tacere. “Allontanatevi da noi .”sussurrò Kenshin, teso come la corda di un koto (19). Ad un tratto un
gemito, seguito da parole pronunciate a fatica, giunsero dall’esterno del portone. “Vi prego…aprite …
presto…altrimenti la palestra Maekawa….”. Kenshin aprì subito la porta e, appoggiato ad essa, con sua grande
sorpresa, vi era un giovane, ferito in vari punti del corpo. “Che cosa ti è successo?”gli domandò Enishi, allentando la
presa dall’impugnatura della spada, mentre Kaoru cercava di medicare le numerose lesioni del malcapitato. “Un…un
uomo…fortissimo…ha attaccato la nostra palestra…dovete fermarlo o ucciderà tutti…”sussurrò lui prima di perdere
i sensi. Kenshin si voltò di scatto, pronto a dirigersi di corsa verso la palestra Maekawa. “Kenshin, vuoi andare da
solo?!” esclamò Enishi, preoccupato per la decisione presa dal compagno. “Enishi tu porta questo ragazzo
all’ambulatorio Oguni.” affermò senza voltarsi. “Vengo con te!” affermò Yahiko, ma :”No!”fu la secca risposta che
il samurai gli diede prima di correre via. Il ragazzino ci rimase molto male, era stato escluso di nuovo. Nel suo cuore
si combattevano rabbia e tristezza. Kenshin si mise a correre a più non posso. Doveva fare presto, troppi innocenti
rischiavano di morire. Durante il tragitto, incontrò Sanosuke in compagnia di due poliziotti feriti. “Ken, che è
successo?”domandò l’ex attaccabrighe, inducendo l’amico a fermarsi :”Hanno attaccato la palestra Maekawa!
Stanno facendo un massacro!”rispose lui lasciandosi prendere dalla rabbia :”La palestra Maekawa?!” ripeté il
giovane, stupito. Non aveva considerato il fatto che Kenshin, alcune volte, accompagnava Kaoru in quella palestra
per impartire lezioni private. Non gli era passato neanche per l’anticamera del cervello. Intanto, i due poliziotti al
suo fianco cominciarono ad agitarsi. “Accidenti! Proprio ora doveva sparire il commissario?!”si lamentò uno dei
due, quello con il braccio destro ferito. Kenshin spalancò gli occhi :”Come sarebbe a dire che il commissario è
sparito?” domandò preso dall’ansia :”Non riusciamo a trovarlo da nessuna parte. Abbiamo mandato anche un nostro
compagno a casa sua quasi un ora fa, ma non è ancora tornato .”rispose l’altro con la gamba sinistra fasciata. Un
terribile pensiero balenò nella mente di Kenshin. “Dannazione!”imprecò sottovoce, digrignando i denti :”Io vado a
casa del commissario! Sano, va tu alla palestra Maekawa!” dispose prima di voltarsi e correre via, come un
forsennato. Nel frattempo, Enishi e Kaoru avevano portato il malcapitato allievo della palestra Maekawa
all’ambulatorio Oguni, mentre Yahiko rimase a sorvegliare la palestra, doveva proteggere Tsubame. Le ferite dello
sfortunato spadaccino non erano gravi, fortunatamente. All’improvviso, un ninja piombò nella stanza sfondando il
tetto. Era un uomo basso ma snello, con muscoli ben allenati che trasparivano evidenti dalla scura tuta aderente.
Aveva il volto ed il capo coperti da una sciarpa nera, solo gli occhi, sottili e scuri, erano scoperti. Aveva un braccio
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solo, il sinistro, con cui teneva una kusarikama (20). Enishi si preparò allo scontro, sapeva che quel ninja non aveva
intenzioni pacifiche. Kaoru strinse l’elsa della sua shinai, mentre Megumi ed il dottor Oguni cercavano di mettere al
riparo il paziente. Nello stesso momento, Sanosuke giunse alla palestra Maekawa. Quando varcò la soglia, vide un
vero e proprio massacro. Spadaccini e poliziotti riversi a terra, come a formare un tappeto di corpi attorno ad un
giovane della sua stessa età circa, alto e muscoloso. Molti avevano perso i sensi, forse non si sarebbero risvegliati
mai più. Altri gemevano, feriti gravemente, mentre il loro aguzzino si divertiva ad infierire sui loro corpi inermi.
Questo mandò Sano su tutte le furie :”Brutto bastardo .”sibilò digrignando i denti, guardando fisso il suo avversario,
che indossava solo un paio di hakama scuri. Il petto, nudo, era macchiato del sangue delle sue vittime. Portava i suoi
scuri capelli, lunghi sino alle spalle, sciolti. I suoi occhi brillavano di gioia nell’osservare lo scempio da lui stesso
provocato. Portava tatuato sulla schiena un grosso serpente. Intanto, anche Kenshin era giunto a destinazione,
dinnanzi allo shoji di casa Uramura. Sentì le urla del commissario e si precipitò all’interno della casa. Lì trovò la
signora Uramura e la figlia stese a terra, prive di sensi ma incolumi. Accanto a loro, un poliziotto gemeva, ferito
gravemente. Ma del commissario nessuna traccia. Kenshin si voltò indietro e scorse, nella stanza di fronte, la figura
dell’ufficiale inginocchiata a terra, con le mani trafitte da due katana. Sembrava ancora cosciente. Il samurai si
precipitò in suo aiuto, trovandosi di fronte un uomo di mezza età, indossante un elegante kimono. Aveva i capelli
molto corti, e sulla fronte portava una fascia di ferro. Aveva il viso tatuato con l’ideogramma della vendetta.
Kenshin, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordarsi di quell’uomo. Ma Tokyo non era la sola città ad essere
stata presa di mira. A Kyoto, sulla collina sovrastante la città, il bestione responsabile dell’attacco all’Akabeko, si
stava preparando a colpire, con il suo Cannone Armstrong poggiato su una spalla, un altro locale colpevole di aver
ospitato Battosai Himura, l’Aoiya. Mentre, in un piccolo tempio scintoista nei pressi di Fukishima, dove Hinabiki,
sotto richiesta dei monaci, si era fermata per qualche giorno, s’introdusse un ninja talmente agile e lesto da sembrare
invisibile, grazie anche al suo abito nero come la notte. Aveva il volto coperto da una maschera da gatto. Tutti i
monaci che cercarono di fermarlo furono o trafitti da affilate lame o malmenati per bene, ma, alla fine, l’invasore si
trovò dinnanzi la decisa e gelida figura di Hinabiki pronta a sguainare la sua fida katana. Cinque attacchi portati in
tre città distinte, cinque uomini fondamentalmente diversi sia nel fisico sia nell’anima, ma con un solo obiettivo, la
distruzione di tutti i luoghi e l’uccisione di tutte le persone che avevano avuto a che fare con il tanto odiato Hitokiri
Battosai. Vendetta o sfida, furia o pazzia, nessuno poteva immaginare quali pensieri avevano portato quei cinque
uomini a compiere tali misfatti, ma dietro di loro c’era sicuramente una mente fredda e spietata, pronta a tutto pur di
raggiungere il suo misterioso scopo. Enishi sguainò la sua katana chiedendo, con voce decisa e ferma, al suo
avversario :”Chi sei? Per quale motivo ci hai attaccati?”. Gli occhi del ninja sembrarono sorridere :”Enishi
Yukishiro, non sei tu il bersaglio della mia vendetta, ma la tua morte farà soffrire terribilmente il tuo amico Battosai
Himura!” “E’ su di lui che ti vuoi vendicare, vero? È stato lui a mozzarti il braccio destro .”affermò il samurai. Il suo
avversario cominciò a tremare, scosso dal furore :”Si. Ma quello che mi fa più rabbia non è la perdita del braccio,
quanto il fatto che quel bastardo mi abbia risparmiato la vita! Lasciandomi soffrire come un cane al quale hanno
tagliato tutte le zampe! Dovetti lottare contro le infezioni, la cancrena, il dolore. Con l’avvento della nuova epoca e
lo scioglimento degli Oniwabanshu persi il mio lavoro di spia e, con un braccio solo, qualsiasi lavoro onesto che
cercai mi fu negato. Rischiai di morire di fame, mentre cercavo di allenare il mio braccio sinistro .”nei suoi occhi,
anche a distanza di dieci anni, quei ricordi dolorosi erano ancora vivi e nitidi. “Giuro sul mio onore che io, Kurokage
(21), detto Kuraikama (22), farò soffrire Battosai come non ha mai sofferto in vita sua! Questa sarà la mia vendetta!
Preparati a morire, samurai ambizioso di Choshu, Enishi Yukishiro!” dicendo ciò cominciò a far roteare la catena
con il peso, dimostrando una grande abilità nell’uso della kusarikama. “Kenshin ha già perito abbastanza, non ti
permetterò di procurargli altro dolore! Fatti sotto dannato!”ribatté Enishi, mettendosi in posizione di guardia, pronto
a parare qualsiasi attacco nemico. Kaoru si fece da parte, sapeva di non poter competere con un guerriero di così alto
livello, e poi le sue rivelazioni l’avevano sconvolta nel profondo. Sapeva che il gentile Kenshin che conosceva una
volta vestiva i panni dello spietato assassino Battosai, ma si era sempre rifiutata di pensare alla violenza con la quale
si accaniva sulle sue vittime. Non riusciva quasi a credere a ciò che aveva udito. Intanto Sanosuke si preparava a
fronteggiare il responsabile dell’attacco alla palestra Maekawa. “Quale sfortuna, ed io che pensavo che fosse venuto
Battosai in persona. Invece mi è capitato uno stupido con la testa da gallo .”sbuffò il misterioso giovanotto,
passandosi una mano fra i folti capelli, peccando di superbia e superficialità. “Ti conviene smetterla di fare lo
sbruffone. Non sai con chi hai a che fare .”ribatté Sanosuke mostrando un sorrisetto arrogante, prima di presentarsi
:”Sono Sanosuke Sagara! Alleato e fedele amico di Kenshin Himura! A nome suo non ti permetto di fare tutto quello
che ti pare, damerino!”. “Ah! Interessante! E così adesso Battosai Himura si fa chiamare Kenshin. Ma, per quanto si
sforzi di nascondersi, non potrà mai sfuggire al mio Jinchu. Alla vendetta di Sasuke Seikaku (23), detto
Kamihukushuu (24)! Prima di Battosai concerò per le feste te, dannata testa da galletto .”controbatté il vendicatore,
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indicando il suo avversario che lo sfidò :”Vedremo se ne sarai capace!”mettendosi in guardia. Sasuke si mise a
correre verso Sanosuke, calpestando senza alcuna preoccupazione, i corpi delle sue vittime, poi balzò e sganciò un
violento calcio rotatorio contro il volto dello sfidante, colpendolo all’altezza dell’occhio destro. Egli ruzzolò
all’indietro, :”Bastardo!”l’insultò rialzandosi quasi subito, pronto a contrattaccare. Nello stesso momento, Kenshin,
una volta assicuratosi che il commissario non fosse ferito gravemente, invitandolo ad allontanarsi portando in salvo
anche la sua famiglia, si rivolse al suo avversario :”Immagino che tu conosca la mia identità, ma io non riesco a
ricordarmi di te, chi sei? E di chi ti vuoi vendicare su di me?”. L’uomo misterioso si voltò a guardarlo fisso negli
occhi :”Che perspicace, i miei complimenti! Hai già capito il motivo per cui ti ho provocato .”affermò con un sorriso
ironico :”Non penso che voi tutti usiate il termine Jinchu a caso .”ribatté Kenshin con occhi glaciali :”Ah, hai anche
capito che i tuoi nemici sono più di uno, ma bravo! Comunque, bando alle ciance, siccome non ti ricordi di me ti
rinfresco la memoria. Il mio nome è Takezo Shimada, tu non mi conosci direttamente, ma penso che ti ricorderai di
Hideki Tsunemoto, l’assassino assoldato dallo shogun in persona per ucciderti .”sostenne il sicario, aveva una voce
leggermente roca. Kenshin rivide quelle immagini nella sua mente. Un giovane assassino, un po’ più grande di lui,
lo sfidava. Era abile, ma non certo al suo livello. Con un rapido colpo gli mozzò il capo, senza la benché minima
ombra di rimorso. “Per ognuna delle persone che ho ucciso porto una ferita nel cuore. So di non poter porre rimedio
ai delitti che ho commesso, per cui accetto d’essere oggetto della tua vendetta, ma ti prego riferisci anche ai tuoi
compagni che li prego di non coinvolgere più persone innocenti. La loro vendetta riguarda soltanto me.” affermò il
samurai con uno sguardo carico di malinconia, sentendo il suo cuore gemere al solo ricordo di quante e quante
persone aveva ucciso e fatto soffrire nella sua esistenza. Quelle parole mandarono su tutte le furie Takezo che, preso
da un raptus d’ira, gli lanciò contro un peso legato ad una catena. Kenshin l’afferrò, ma la sua mano in breve prese a
gonfiarsi per la violenta botta. “Battosai! I tuoi sofismi mi mandano su tutte le furie! Anche se ti fingi dispiaciuto io
non ti tratterò con riguardo! Non mi lascio corrompere dai tuoi giochetti! Io ed Hideki eravamo amici d’infanzia!
Era come un fratello minore per me! Ed a nome suo io ti ucciderò! Io, Takezo Shimada (25), detto Buki no
Majutsushi (26) sarò la tua morte!”urlò Shimada preso dalla furia, richiamando a sé la catena con il peso. Kenshin
sospirò, poi assunse un’espressione decisa ed i suoi occhi azzurri si fecero gelidi. Si mise nella classica posizione
della tecnica Batto, sfiorando l’elsa della sua katana inversa. Mentre tutto ciò accadeva a Tokyo, a Fukishima lo
scontro doveva ancora cominciare. “Hai una bella faccia tosta a presentarti qui facendo tutto questo baccano. Sei
capitato male, amico, hai appena incontrato colui che vendicherà le vite dei monaci che hai appena ucciso .”affermò
Hinabiki, con la solita lingua tagliente, senza scomporsi, sguainando la sua katana che brillò, illuminata dalla pallida
luce della luna. Uno scenario adatto a lei, conosciuta come Tsuki Hijin, la Lama della Luna. “Sono venuta sin qui
apposta per te, Tsuki Hijin. Guardami, mi riconosci?”le domandò l’avversario. Aveva una voce acuta, chiaramente
femminile e, togliendosi la maschera che le copriva il volto, mostrò all’avversaria una profonda cicatrice che le
partiva dalla fronte e le arrivava sino al termine della guancia destra. Era una bella ragazza dai capelli corvini,
raccolti in due codine che si univano a formarne una sola. Dal corpo aggraziato ed agile, non sembrava essere una
guerriera da quanto era bella, peccato per quella cicatrice che le sfigurava il viso. Hinabiki stentò a riconoscerla, non
era come Kenshin, non riusciva a ricordarsi di tutte le persone che aveva ucciso, ma di quella ragazza qualcosa riuscì
a rammentare. Si, le immagini della sua mente si facevano sempre più nitide. Un campo di battaglia, probabilmente
quello di una delle guerre di fine shogunato, alla quale aveva partecipato prima d’intraprendere la carriera
d’assassina a Kyoto. C’era anche Kenshin con lei. Come numero l’esercito dei Choshu, al quale apparteneva, era
nettamente inferiore all’esercito shogunale, ma riuscì a cavarsela ugualmente. Mentre agitava la sua spada cercando
di ferire il maggior numero di persone, Hinabiki colpì il volto d’un giovane vestito di nero, che stramazzò a terra
urlando prima di perdere i sensi. Lei pensava di averlo ucciso, e si occupò degli altri avversari. “Ah, allora eri tu
quello strano guerriero vestito di nero. Vedo con piacere che sei una donna. Sono proprio curioso di costatare come
sa combattere una femmina .”affermò Hinabiki, tornando con la mente al presente, mostrando un sorrisetto
arrogante. “Tsk! Smettila di fingerti un uomo, Hinabiki Sekigawa, samurai del Choshu. Secondogenita di Gènji
Sekigawa, detta Tsuki Hijin .”sostenne la kunoichi, movendo le labbra in una risatina soddisfatta nel vedere un
chiaro stupore negli occhi dell’avversaria. “Ti sei ben documentata, i miei complimenti. Però mi sembri un po’
maleducata, conoscere il nome degli altri senza nemmeno presentarsi, non è un buon comportamento e, inoltre, sei
venuta sin qui per vendicarti di me e della ferita che t’inflissi, sappi che non ti sarà facile eliminarmi .”ribatté
Hinabiki, fremente per l’eccitazione che precede la battaglia. “Dannata, mi stai forse prendendo per i fondelli?! Non
ti conviene ostentare superbia con me, Ayame Ukai (27), detta Shi no Hana (28)! Ti strapperò quella maledetta
lingua biforcuta e la darò in pasto ai lupi!” controbatté l’oscura guerriera, furente d’ira, mettendosi in guardia. “Ne
sarai capace? Io non credo!”scattò Hinabiki partendo all’attacco. Tonf! Un colpo violento. Sanosuke fu atterrato dal
suo avversario. Sembrava essere in seria difficoltà, non poteva ancora usare i suoi micidiali doppi colpi, poiché la
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sua mano destra non era ancora guarita. Non riusciva a contrattaccare, Sasuke era molto più agile e veloce di quanto
pensasse. Sano cadde ancora. Aveva il viso gonfio lambito dal sangue che gli scendeva giù dal sopracciglio destro e
dalle narici. Il petto, ammaccato dalla miriade di colpi subiti, sanguinava appena. Sembrava essere sfinito, e Sasuke
ne approfittò per dargli il colpo di grazia. “Muori! Hebitsuki (29)!”urlò sganciando un pugno velocissimo, sembrava
un serpente che si lanciava contro la sua preda. Poco prima di venir colpito, Sanosuke si riprese e, con un gesto
fulmineo, afferrò il polso nemico in una stretta d’acciaio. Sasuke non si scoraggiò, e cercò di colpirlo con l’altro
pugno, ma anche questo venne fermato. L’ex Sekihoutai sorrise vedendo una chiara espressione preoccupata
stampata sul volto dell’avversario. “Beccati questo!”urlò tirandosi su e lanciandosi contro il volto nemico,
colpendolo con una potente testata, fracassandogli il naso. “Ora ti restituisco tutto, e con gli interessi!” gridò Sano
che, senza lasciare la presa, colpì ripetutamente, con violenti calci e ginocchiate, il ventre ed il torace di Sasuke, che
non riusciva a liberasi. Quando Sanosuke mollò la presa, il suo avversario cadde a terra come un sacco vuoto,
perdendo i sensi. “Uff! Me la sono vista brutta!”sospirò sedendosi, sfinito e, guardandosi la mano destra ancora
fasciata, gli tornarono in mente le parole di Megumi :”Se usassi ancora una volta il tuo micidiale colpo prima che la
mano sia guarita, le tue ossa non riuscirebbero più a rimarginarsi, e perderai completamente l’uso dell’arto.
Ricordatelo bene, testa vuota!”. “Per fortuna sono riuscito a cavarmela anche senza usare il segreto dei doppi colpi.”
affermò tra gli affanni. Quando rialzò lo sguardo, però, si accorse, con suo grande stupore, che il corpo di Sasuke era
scomparso. “Ma cosa?! Dové sparito quel dannato?! Se avesse tentato di scappare l’avrei sentito, invece…”esclamò
preso dallo sgomento, guardandosi attorno. “Sei forte, Sanosuke Sagara. Ho commesso un errore a sottovalutarti. Per
oggi ti cedo la vittoria, ma la guerra è solo all’inizio. L’ora del Jinchu è giunta .”la voce del lottatore riecheggiò nella
palestra gravemente danneggiata, ma di lui nessuna traccia. “L’ora del Jinchu?!” ripeté Sanosuke pieno di dubbi,
non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Intanto Enishi era alle prese con la kusarikama di Kurokage. La catena
con il peso si era attorcigliata intorno alla sua katana. Contando sulla forza delle proprie braccia, il samurai, cercò di
tirare verso di se il ninja, per poi trafiggerlo con il wakizashi. Un buon piano, ma troppo ottimista, infatti Kurokage
non si mosse di un centimetro, era ben piantato per terra. Ad un tratto, questi scattò contro Enishi, attaccandolo con
la sua appuntita falce. Il samurai non si fece cogliere impreparato e parò il colpo sfoderando la spada corta. Le lame
cozzarono violentemente. Kaoru, vedendo che nessuno dei due riusciva a sbloccare la situazione, decise
d’intervenire. Corse alle spalle di Kurokage e :”Doo (30)!!” urlò assestandogli un violento colpo al fianco sinistro. Il
ninja gemette e diminuì la forza sulla sua falce. Enishi non si fece scappare l’occasione e cercò di colpirlo al petto,
ma questi non era uno sprovveduto e riuscì a schivare, per un pelo, l’attacco. Con una serie di balzi si allontanò dal
samurai, richiamò la sua catena e sparì così come era apparso. “Aspetta dannato!” urlò Enishi uscendo
dall’ambulatorio, cercando di raggiungerlo. Per le strade non lo vide, alzò lo sguardo e riuscì a scorgerlo. Era
appollaiato sul tetto di fronte a lui, sembrava aspettarlo. “Calmati caro Enishi ed attendi con impazienza l’ora del
Jinchu .”affermò prima di scomparire, con agili balzi, nell’oscurità. Enishi cercò di seguirlo, ma ormai era troppo
tardi. “L’ora del Jinchu .”anche lui come Sano si fermò a riflettere cercando di dare un senso a quella frase. Nel
frattempo, Kenshin e Takezo si stavano ancora scrutando, aspettando il momento opportuno per attaccare. Alla fine,
il vendicatore si decisa a partire per primo. “Assaggia questo. Hikaben (31)!”urlò allungando un braccio verso
Kenshin. Qualcosa di velocissimo uscì dalla sua manica, il samurai capì di cosa si trattava proprio all’ultimo
momento, riuscendo a schivarlo, riportando, però, una leggera abrasione sulla guancia destra. “La tecnica segreta
tanto vantata dalla scuola Mitsurugi Hiten (32), la capacità di leggere il pensiero degli avversari. Ti sei salvato per
un pelo .”affermò Takezo, riconoscendo la tecnica usata da Kenshin :”Già, forse senza di quella non sarei riuscito a
schivare il colpo. Devo ammettere che la tua idea di nascondere una pistola sotto la manica sinistra, è studiata bene.
Con la mano destra tiri un filo, collegato al grilletto della pistola ed il gioco è fatto. L’avversario pensa che si tratti di
un trucco magico, si stupisce e non riesce più a ragionare freddamente, finendo trafitto dal proiettile .”affermò il
samurai, comprendendo in un istante il trucco usato dal suo avversario, dimostrando, ancora una volta, di possedere
capacità straordinarie. “Giacché l’Hikaben non ha funzionato, ti farò vedere un’altra delle mie mortali armi segrete.
Questa volta non mi sfuggirai .”sostenne Takezo preparandosi ad usare chissà quale misteriosa arma. A giudicare
dall’espressione dei suoi occhi, Kenshin avrebbe sicuramente agito prima che l’avversario scagliasse un nuovo
attacco, ma…Uno strano sibilo simile ad un fischio, interruppe lo scontro. Takezo si voltò indietro per un istante, poi
tornò a guardare negli occhi il suo nemico. Sospirò :”Mi dispiace Battosai, ma è giunta l’ora del Jinchu. Non posso
trattenermi oltre. Spero di rivederti ancora vivo la prossima volta che c’incontreremo .”. Kenshin sembrò sorpreso ed
aggrottò le sopracciglia. Takezo sorrise e, puf! Dalla sua bocca uscì un intenso fumo bigio. Kenshin cercò di coprirsi
la bocca con l’avambraccio, ma, per lo stupore, respirò un po’ di quella misteriosa sostanza. Immediatamente i
muscoli delle gambe gli si bloccarono, e sentì un leggero formicolio alle mani. “Un veleno paralizzante. Per fortuna
non ne ho respirato molto, tra tre o quattro minuti potrò di nuovo muovere le gambe .”rifletté, mentre il fumo si
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dissipò. Nel medesimo istante, Hinabiki stava ancora lottando contro l’agile Ayame Otowa. La kunoichi riusciva a
parare i fendenti del samurai grazie alle bande di ferro che teneva, nascoste sotto la stretta maglia, sugli avambracci.
Dalle maniche spuntavano fuori due lunghi coltelli, che sapeva maneggiare con molta maestria. Inoltre i suoi esperti
colpi di kenpou (33) mettevano a dura prova l’agilità di Hinabiki. Alla fine, però, dopo l’ennesimo attacco andato a
vuoto, il samurai si spazientì. “Guarda che non solo i kenpuoka (34) sanno usare calci e pugni! Lo può fare
benissimo anche un samurai come me! Yhaaah!”urlò, piena di furore, caricando un violento pugno, che la kunoichi
schivò per un pelo. Hina non si scoraggiò e contrattaccò con un calcio velocissimo, questa volta Ayame venne
colpita in pieno ventre e si accasciò a terra, vomitando bile. A questo punto Hinabiki si lanciò come un fulmine
verso di lei, la sua katana scintillò, ma, proprio mentre stava per colpirla, lei lanciò una bomba fumogena, creando
una fitta coltre di fumo che disorientò il samurai e le permise di scappare. “Maledetta!”imprecò Hina, tossendo.
Misteriosamente come erano apparsi, i quattro vendicatori scomparvero rapidamente. Quando a Kyoto, il bestione
brandente il Cannone Armstrong, udì un lungo ed acuto fischio, che stava a significare chissà quale segnale, sparò
una granata contro Aoiya. Okina, ancora sveglio dopo metà della serata passata a bere ed a giocare d’azzardo,
riconobbe subito quel particolare suono che taglia l’aria ed urlando :”Uscite tutti!”, si lanciò giù da una finestra. Per
fortuna Omasu, Shiro, Kuro ed Okon, udirono il grido del vecchio e balzarono giù dalle finestre, salvandosi poco
prima che il locale esplodesse. “State tutti bene?”domandò Shiro rialzandosi subito in piedi. Tutti alzarono il capo.
Quando Omasu si tirò su lanciò un grido :”Misao!”. Tutti si guardarono attorno alla ricerca della ragazzina, ma di lei
nessuna traccia. Kuro corse verso le macerie e si mise a scavare. Shiro lo raggiunse subito. Nello stesso momento,
una serie di bombe esplosero a Tokyo. Una alla palestra Maekawa, una alla casa del commissario Uramura ed una
all’ambulatorio Oguni. Anche a Fukishima ci fu un’esplosione che coinvolse il tempio scintoista in cui alloggiava
Hinabiki. Un vero disastro. Gli ordigni distrussero completamente i loro obiettivi. Sanosuke, appena ripresosi dalla
batosta, corse subito a costatare le condizioni dei feriti della palestra Maekawa, sepolti sotto le macerie. Per fortuna,
in suo aiuto, in breve, arrivarono numerosi poliziotti. All’ambulatorio Oguni, Enishi, Kaoru, Megumi, il ferito ed il
dottor Oguni si salvarono appena in tempo. Hinabiki, grazie al suo sviluppato olfatto, sentì l’odore di polvere da
sparo e riuscì a mettere in salvo tutti i monaci, per fortuna non erano più di una ventina. Kenshin, al momento
dell’esplosione, non poteva ancora usare le gambe. L’effetto del veleno non era ancora svanito. Per fortuna sua, il
commissario Uramura, non vedendolo più uscire dall’abitazione, andò a cercarlo e riuscì a salvarlo pochi istanti
prima dell’esplosione. “Commissario Uramura, grazie, le devo la vita .”affermò il samurai, sedendosi a terra,
cominciava a sentire le gambe formicolare, forse il veleno stava svanendo. “Nulla, sono io a doverle la vita. Se lei
non fosse accorso, non solo io ma anche la mia famiglia avrebbe corso un grave rischio.” ricambiò l’ufficiale
sedendosi accanto a lui, sfinito e ferito in vari punti. Intanto, sua figlia si lasciò cadere in ginocchio e, guardando la
propria casa andare in fiamme, scoppiò a piangere. “Che cosa spietata…perché…perché deve succederci questo!
Noi non abbiamo fatto nulla di male…perché deve succederci questo?!”sussurrò fra i singhiozzi. I coniugi Uramura
le si strinsero attorno, cercando di consolarla, mentre Kenshin abbassò il capo, venendo assalito da un incolmabile
senso di colpa. Appena si fu completamente ripreso, il samurai corse a costatare le condizioni della palestra
Maekawa. I feriti più gravi erano già stati portati via, sul luogo rimanevano solo i feriti lievi, quasi tutti sotto shock,
ed i morti, numerosi morti. Questo non giovò all’animo di Kenshin, già oppresso dai sensi di colpa. Non rispose
neanche a Sanosuke che lo chiamava. “Scusami, non sono riuscito a salvarli tutti. Quel bastardo era molto forte e poi
l’esplosione mi ha colto del tutto impreparato. Mi dispiace .”affermò l’ex Sekihoutai, avvicinandosi all’amico, che
non lo degnò di uno sguardo. “Non affliggerti Sano, non è stata colpa tua .”sostenne lui e, voltando le spalle al
compagno, s’incamminò verso chissà quale meta. Non sapeva dove andare, voleva soltanto restare un po’ solo.
Sanosuke capì i suoi sentimenti e lo lasciò andare senza chiedergli nulla. Erano le due del mattino, il cielo era ancora
scuro e tempestato di stelle. Megumi ed il dottor Oguni, aiutati da Enishi e Kaoru, lavorarono per tutta la notte. I
feriti erano stati stesi nel cortile dell’ambulatorio, sopra dei futon (35) e coperte di fortuna. I poliziotti continuavano
ad arrivare portando altri feriti. Sembravano non finire mai. Intanto, a Kyoto, Shiro, Kuro e gli altri Oniwabanshu, ai
quali si era aggiunto anche Aoshi Shinomori, rientrato dal tempio in cui si era recato a pregare, stavano ancora
scavando tra le macerie alla ricerca di Misao. Ad un tratto, una piccola mano bianca spuntò fuori dai detriti. Ben
presto si cominciarono ad intravedere anche le gambe ed i capelli della ragazzina. Fu Aoshi a tirarla fuori. Aveva
perso i sensi, ma non sembrava in pericolo di vita. Teneva ben strette tra le braccia le scatole contenenti i costumi da
ninja dei suoi compagni. Probabilmente, prima dell’esplosione si era attardata a recuperarle, non riuscendo a fuggire.
Per fortuna, però tutto era finito bene.
11
NOTE:
1
SHOGUN: governatore militare del Giappone, in sostanza un dittatore a capo del Bakufu (il governo militare).
2
HITOKIRI BATTOSAI: letteralmente significa “l’ammazza uomini che pratica la tecnica Batto” (stile di lotta con la spada). Si
pronuncia: Hìtokiri Bàttosai.
3
SEKIHOUTAI: la Squadra dei Messaggeri Rossi. Squadrone costituito da civili, si costituì nel 1868 e precedette l’esercito ufficiale
della restaurazione. I Sekihoutai si occuparono di sollecitare la collaborazione da parte del popolo alla formazione del nuovo governo, e
parteciparono, anche, attivamente all’attacco al castello dello shogun. La loro fine fu drammatica, il nuovo governo, infatti, dopo aver
ordinato ai Sekihoutai di spargere la voce di un dimezzamento imminente dei tributi, si accorse di non possedere abbastanza fondi da
mantenere la promessa. Non potendo ammettere l’errore, il governo scaricò le colpe sui Sekihoutai, marchiandoli come traditori, nonostante
la fedeltà che avevano dimostrato. Venne ordinato, così, ai samurai ambiziosi di sterminare tutti i Messaggeri Rossi.
4
KUNOICHI: ninja donna.
5
HAKAMA: pantaloni svasati dai fianchi ampi
6
GETA: tradizionali zoccoli di legno. Su una base piana e rettangolare sollevata da terra da due regoletti trasversali, sono inseriti
due cordoni di seta o velluto che formano l’infradito.
7
ENISHI: si pronuncia: Ènisci.
8
ZABUTON: cuscini usati al posto delle sedie.
9
TOMOE: si pronuncia: Tòmoe
10
TATAMI: stuoie imbottite di paglia compressa e rivestite di giunchi intrecciati. Sono fissate su una cornice di legno ed ornate da
un bordo di passamaneria. Costituiscono il pavimento delle case giapponesi.
11
BAKUMATSU: la fine del Bakufu, quindi anche dello shogunato.
12
IL CANNONE ARMSTRONG: una delle tre grandi armi del Bakumatsu come lo Stone Wall ed il Gatling Gun. Era una
sottospecie di mortaio ma di dimensioni ridotte.
13
SHOJI: porta scorrevole che separa l’interno dall’esterno della casa, costituita da un grigliato di legno rivestito con carta di riso.
14
YOKAN: gelatina dolce di pasta di fagioli, una sottospecie di budino.
15
SAKI: si pronuncia Sàki
16
ESERCITO DELLE DIECI SPADE: banda di spadaccini e combattenti d’alto livello al servizio di Makoto Shishio. Durante la
battaglia fra Kenshin e questi, Yahiko, Kaoru e gli Oniwabanshu di Kyoto vennero attaccati da alcuni membri dell’Esercito delle Dieci
Spade. Yahiko, contro ogni aspettativa, riuscì a sconfiggere uno di loro.
17
YUKISHIRO: si pronuncia Yùkishirò
18
SHINAI: spada di bambù che si usa durante gli allenamenti del kendo o kenjutsu (l’arte della spada).
19
KOTO: strumento a corde giapponese
20
KUSARIKAMA: arma composta di una falce collegata ad una catena munita di peso.
21
KUROKAGE: si pronuncia Kùrokàge.
22
KURAIKAMA: significa, letteralmente, “Falce Oscura” e si pronuncia Kùraìkàma.
23
SASUKE SEIKAKU: si pronuncia Sàsuke Sèikakù.
24
KAMIHUKUSHUU: significa “Vendetta Divina” e si pronuncia Kàmihùshuù.
25
TAKEZO SHIMADA: si pronuncia Takèzo Shìmadà
26
BUKI NO MAJUTSUSHI: significa “Mago delle Armi” e si pronuncia Bukì No Màjutsushì.
27
AYAME UKAI: si pronuncia Àyame Ùkaì
28
SHI NO HANA: “Fiore della Morte” e si pronuncia Shì No Hàna.
29
HEBITSUKI: “Pugno del Serpente”, si pronuncia Hèbitsukì.
30
DOO: tecnica della scherma giapponese per colpire un’armatura o al busto
31
HIKABEN: “Petalo di Fuoco”.
32
SCUOLA MITSURUGI HITEN: arcaica e leggendaria scuola di spada (“Mitsurugi” era l’antico nome della katana mentre “Hiten”
significa “volare in cielo”) i quali insegnamenti sono praticati da Kenshin
33
KENPOU: antica arte marziale giapponese.
34
KENPOUKA: praticante di kenpou.
35
FUTON: l’insieme di materasso e trapunta che costituisce il letto giapponese. Si stende solo di notte e, di giorno, viene riposto in
appositi armadi a muro.
12
-Capitolo 2: Ferite nel cuore –
A Tokyo, Kenshin vagabondò senza meta fino all’alba. Sembrava essere in trans. “Alla fine, anche rinunciando ad essere
Battosai, ho ucciso delle persone innocenti. La loro unica colpa era di essere venute in contatto con me. Ma la prossima
volta giuro sul mio onore che impedirò il verificarsi di altri massacri come quello di questa notte! Solo che dopo cosa
dovrò fare? In questa battaglia non devo soltanto abbattere i miei nemici, dovrò anche fare i conti con il mio passato.
Ricordare tutti quegli avvenimenti che la mia mente cercava di reprimere. Non esiste proprio nessun modo per farmi
perdonare? Scusarmi? Offrire loro la mia vita?”. Alzò gli occhi al cielo, che iniziava a schiarirsi, come a chiedere
consiglio ed aiuto a qualcuno :”Tomoe. Aiutami tu, cosa posso fare? Cosa devo fare? Tomoe. Alla fine non sono riuscito
a mantenere la promessa che ti feci.” sussurrò con occhi supplichevoli, come quelli di chi implora un perdono che mai gli
sarà concesso. Ad un tratto, i suoi occhi furono attratti da una figura contro luce che gli si stagliava di fronte. A causa
della luce del sole che l’abbagliava, non riusciva a riconoscerlo. Pian, piano i suoi occhi si abituarono e riuscì a scorgere
alcuni particolari di quell’uomo misterioso. Portava una maschera mostruosa, rappresentante un oni (1) infuriato, sul
volto. Indossava un kimono semplice, sovrastato, nonostante la calda aria estiva, da un mantello scuro. Dietro di lui
cominciavano a farsi visibili due uomini vestiti di nero, di cui uno era senza il braccio destro, e l’altro indossava una
maschera da gatto. “Battosai, mi fa molto piacere vedere che sei sopravvissuto ai nostri attacchi .”affermò l’uomo
con il mantello, Kenshin sobbalzò :”Allora sei tu il fautore di tutta questa catena di violenze. Chi sei e cosa ti ha
spinto a compiere dei gesti tanto assurdi?”domandò. “E’ normale che tu non mi riconosca, mi credevi morto. Invece
sono tornato dall’inferno per vendicarmi e vendicare la donna che tanto amavo, l’unica donna che avessi mai amato
in tutta la mia vita, la donna che mi era stata promessa e che tu mi portasti via .”sostenne il misterioso uomo
evitando di rispondere al quesito postagli. Kenshin spalancò gli occhi, mentre un brivido lo scosse. Intanto l’uomo
misterioso si tolse, lentamente, la maschera. Il naso era stato tagliato di netto, come anche la parte sinistra delle
labbra. L’occhio sinistro era cieco, segnato da una vecchia cicatrice. Sembrava un demone. “A..Azuma!?! Kiyosato
Azuma! (2) …”sibilò Kenshin, inebetito per lo stupore, sovrapponendo l’immagine di un giovane samurai a quella
del suo interlocutore sfregiato. A parte i capelli tagliati rozzamente e quell’orribile cicatrice, le due immagini
combaciarono, si trattava della stessa persona. “Nonostante tutto ti ricordi il mio nome, eh, ne sono lusingato
.”affermò lui, mostrando un sorriso arrogante :”Azuma Kiyosato, hai organizzato questi attentati solo per vendicarti
di me.” sibilò Kenshin, quasi scioccato. “Non c’è bisogno di chiederlo, la risposta è ovvia. Inoltre ho riunito alcune
tra le più potenti persone che continuano ad odiarti. Come il ninja Kurokage e la kunoichi Ayame Otowa .”sostenne
Azuma facendo segno a suoi due compagni di venire accanto a lui. La ragazza, alla sua destra, si tolse la maschera
da gatto. “Il tuo passato ti si sta rivoltando contro, Battosai .”aggiunse, Kenshin abbassò lo sguardo. “Lo so, ma sono
pronto a scontare i miei delitti. Il tuo, anzi, il vostro desiderio di vendetta lo comprendo, ma vi prego, smettetela di
coinvolgere degli innocenti .”. Gli occhi di Ayame Otowa s’infiammarono d’ira :”Come osi definirli innocenti?!
Sono tutti colpevoli, tutti! Anche coloro che ti hanno solo rivolto la parola! Dovevano emarginarti, odiarti per il
resto dei loro giorni! Anche tu, come noi, ti sei sporcato le mani di sangue! Ma la gente non ti odia, anzi ti considera
un eroe solo perché stavi dalla parte dei samurai ambiziosi! Invece noi, i protettori dello shogunato, anche in
quest’epoca di modernizzazione siamo perseguitati, odiati e costretti a nasconderci come topi! A sopportare
umiliazioni e guadagnarci da mangiare svolgendo i lavori più sporchi! Tu sei un assassino, non meriti il privilegio di
essere benvoluto dalla gente!”scattò, pronta ad aggredire il samurai, ma Kiyosato la fermò, invitandola a mantenere
la calma. “Non c’è bisogno di sprecare fiato per uno come lui. Per oggi basta, ti abbiamo già dato anche troppe
spiegazioni. Resta tranquillo, Battosai, aspetta pazientemente il momento in cui sarai ucciso dalla sofferenza, dal
dolore, dal nostro Jinchu!”concluse lui voltando le spalle al samurai, allontanandosi lentamente, seguito dai suoi
compagni, ridendo come un pazzo. Intanto, Kaoru ed Enishi tornarono alla palestra Kamiya, dopo l’intera notte
passata ad aiutare Megumi e quella mole di feriti che aumentava di minuto in minuto. Con loro grande stupore
trovarono, in piedi dinnanzi al portone con indosso ancora il kimono per la notte, Yahiko. “Yahiko! Che ci fai
ancora lì?”gli chiese Kaoru sorpresa e preoccupata. Avvicinandosi al ragazzino, vide che gli tremavano le spalle.
Stava piangendo. Enishi comprese i motivi del suo sconforto e gli si avvicinò, inginocchiandosi di fronte a lui.
“Yahiko, capisco che tu ti senta triste per essere stato escluso da questa battaglia, ma devi capire che Kenshin non si
comporta così perché ti ritiene debole, lo fa solo per proteggerti. Sei giovane, troppo giovane per sporcarti le mani di
sangue. La nuova epoca non ha più bisogno di guerrieri o assassini, ma di uomini saggi e coraggiosi che siano pronti
a difendere la pace senza usare le armi. Ricordati che l’odio genera soltanto altro odio.” sostenne cercando di
risollevare il morale del ragazzino :”Lasciami in pace! Non so che farmene dei tuoi consigli!”ribatté lui in modo
molto scortese, fuggendo via. Kaoru cercò di seguirlo, ma Enishi la fermò. ”Lascialo andare. Ha bisogno di restare
13
solo per risanare il suo orgoglio ferito.” affermò aprendo il portone. Appena varcata la soglia i due si trovarono
dinnanzi la piccola Tsubame che era rimasta lì ad attendergli. Appena vide Kaoru le si gettò fra le braccia con le
lacrime agli occhi. “Oh, Kaoru! Ho avuto tanta…tanta paura! Tutte quelle esplosioni, le urla, il fumo…oh, mio Dio!
Meno male che sei tornata!”singhiozzò, mentre l’amica le accarezzò il capo, cercando di tranquillizzarla. Enishi
sorrise, quella scena gli ricordò la moglie e le tanto amate figlie. “Speriamo che stiano bene.” sospirò alzando gli
occhi al cielo. Intanto i singhiozzi di Tsubame si stavano calmando. “Signorina Kamiya, vorrei riposarmi un po’,
sono proprio sfinito .”annunciò Enishi con gentilezza, Kaoru annuì :”Certo, certo. Faccia pure come se fosse a casa
sua, signor Yukishiro .”si sentiva un po’ in imbarazzo, non era abituata a sentirsi dare del lei. Il samurai la ringraziò
con un inchino, e si stava già incamminando verso la palestra, quando Tsubame lo fermò. “Aspetti signor Yukishiro.
Se gradisce ho scaldato l’acqua per il bagno e preparato la colazione.” bisbigliò, timida ed insicura come al solito,
asciugandosi le lacrime con una manica del kimono. Il giovane uomo le sorrise teneramente e si chinò ad
accarezzarle, amorevolmente, il capo. “Grazie, signorina Sanjo. Sono lieto di poter assaggiare le squisitezze da lei
preparate.” disse con bontà e dolcezza. La ragazzina gli sorrise, raggiante e lo accompagnò all’interno
dell’abitazione a lato della palestra. Kaoru sorrise guardandoli, ma, appena si furono allontanati, la gioia scomparve
dal suo volto :”Kenshin, Sano…tornate presto, vi prego .”pensò quasi implorando.
Verso mezzogiorno, Sanosuke tornò alla palestra e, poco dopo, arrivò anche Kenshin. Quest’ultimo sembrava sfinito
sia fisicamente sia mentalmente. Tutti si stupirono nel vederlo rientrare in quello stato quasi di trans. A Kaoru si
strinse il cuore nel vederlo così giù, ma si sforzò, per non farlo preoccupare ulteriormente, di comportarsi come
sempre. “Bentornato Kenshin. Vuoi mangiare qualcosa o preferisci riposarti? Sembri molto stanco .”disse tentando
di sorridergli e lui, senza neanche alzare lo sguardo gli rispose, con un filo di voce :”Vorrei dormire un po’ .”e si
avviò verso la propria stanza. La giunto stese il futon e, appena toccò il cuscino, cadde in un sonno profondo. Sognò
di trovarsi in un luogo desolato, circondato da montagne di ossa bianche. “Questo è l’inferno?”si domandò
guardandosi, spaurito, attorno. “Questo luogo desolato sarà aperto anche a me, un giorno .”pensò, una volta ripresosi
dallo stupore. Si passò una mano fra i capelli, sospirando :”Azuma Kiyosato ed i suoi seguaci. Per loro e per i
parenti ed amici di tutte le persone che ho ucciso, sono soltanto un assassino che merita di morire fra mille
sofferenze. Quello che mi ha detto quella ragazza, Otowa, non è affatto vero. La gente odia anche me, anche se in
modo diverso. Infondo anche se ho usato la spada per la creazione di un’epoca di pace e serenità, non ho fatto altro
che far soffrire molte persone. Sono davvero un ipocrita .”. Ad un tratto, in quel panorama desolato, sulla sommità di
una catasta di ossa, il samurai riconobbe il viso sfregiato di Azuma Kiyosato, accanto a lui c’era una donna col viso
nascosto dall’ombra delle nuvole. “Guarda bene, Battosai!”affermò l’uomo deforme facendo avanzare la fanciulla in
modo da rendere visibile il suo volto. Era una splendida ragazza dai lunghi capelli scuri, legati in una bassa coda di
cavallo. La sua pelle era candida come la neve e sembrava soffice come la buccia d’una pesca. Aveva lucidi ed
immensamente profondi occhi scuri, somiglianti, in modo incredibile, a quelli di Enishi. Kenshin la riconobbe
all’istante, urlando, in preda all’angoscia, il suo nome :”Tomoe!”. “E’ inutile che ti sgoli, ormai Tomoe appartiene
solo a me, come avrebbe sempre dovuto essere. Rassegnati, oramai lei ti odia!”sostenne Azuma scoppiando in una
convulsa risata, mentre la fanciulla lo abbracciò con sguardo carico d’amore. A quel punto Kenshin si svegliò di
soprassalto. Aveva il volto madido e gli occhi sgranati. Non riusciva ancora a distinguere il sogno dalla realtà.
Intanto, ai bordi di un fiume, alla periferia della città, Yahiko se ne stava seduto con lo sguardo perso nel vuoto. Ad
un tratto, qualcuno gli giunse alle spalle. Il ragazzino stette sul chi vive, stringendo l’elsa della sua shinai. “Ah!
Yahiko! Avevo giusto bisogno di qualcuno che mi facesse da guida .”affermò una voce a lui conosciuta. Si voltò di
scatto, trovandosi di fronte Hinabiki Sekigawa. “Hinabiki?!”esclamò stupito, lei gli sorrise :”Ciao!”. “Che ci fai
qui?” “Beh, volevo parlare con Kenshin. Potresti accompagnarmi da lui? Sai io non conosco molto bene Tokyo,
rischierei di perdermi subito .”. La ragazza inventò una scusa per non far allarmare il ragazzino, che si offrì di farle
da guida, tanto cominciava ad avere fame. Nel giro di un quarto d’ora, i due giunsero alla palestra Kamiya. Varcata
la soglia videro che lo shoji della casa era aperto e lasciava intravedere Kaoru, Tsubame, Sanosuke ed Enishi che
pranzavano. Vedendoli, Hinabiki li chiamò, salutandoli con la mano. Kaoru le corse subito incontro, Sanosuke restò
per un istante immobile, rapito da un turbine di gioia mista a stupore. Gli veniva quasi da piangere per la felicità,
pensava di non riuscire a rivedere Hinabiki mai più, ed invece lei era proprio lì, davanti ai suoi increduli occhi, più
bella che mai. Anche Enishi e Tsubame andarono ad accoglierla. Il samurai subito non riuscì a riconoscerla poi,
quando le giunse dinnanzi, notò l’inconfondibile cicatrice che le solcava la gola, esclamando, esterrefatto :”Tsuki
Hijin!”. Hina, che stava parlando con Kaoru, si voltò verso di lui, riconoscendolo all’istante. “Yukishiro?! Enishi
Yukishiro! Cavoli! Questa sì che si chiama coincidenza! Cosa ci fai da queste parti?”gli chiese mostrando un radioso
sorriso. “Beh, all’inizio ero venuto per lavoro, poi ho incontrato Kenshin ed adesso eccomi qui. Tu piuttosto, qual
buon vento ti porta?” “Più che buono direi infausto .”pensò la guerriera ma tenne tale pensiero per sé :”Sono venuta
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a trovare i miei amici .” e si limitò a ripetere la stessa scusa usata con Yahiko che, nel frattempo, si era lanciato sugli
ottimi manicaretti preparati di Tsubame. “Venuta?!”esclamò Enishi dubbioso, non sapeva della vera identità del
samurai :”E’ una lunga storia .”disse lei, ridacchiando :”Potrete raccontarvela davanti ad una tazza di tè .”affermò
Kaoru invitando l’amica ad accomodarsi. Dopo essersi presentata alla piccola Tsubame, Hinabiki raccontò la sua
bizzarra storia ad Enishi. “Che cosa?! Tu, uno dei più grandi assassini del Bakumatsu in realtà sei una donna?!”
scattò lui inebetito per lo stupore :”So che ti sembrerà assurdo ma è così .”le assicurò lei sorseggiando il tè fumante,
nonostante la calda giornata estiva. “A proposito, Kenshin? Come mai non si è fatto ancora vedere?”domandò
posando la tazzina sul tavolo, il viso di Kaoru s’incupì :”Sta riposando. Sai, questa notte c’è stato un po’ di
trambusto e non è riuscito a dormire .”rispose, sforzandosi di sorridere, ma Hinabiki capì subito che nascondeva
qualcosa. “Hanno attaccato anche lui .”pensò cercando di mantenere la calma nonostante una cupa rabbia e sete di
vendetta le scorressero nelle vene. In quel mentre ecco arrivare il diretto interessato. Aveva uno sguardo spento ed
ancora il viso ed il kimono sporchi di fuliggine. I suoi occhi però si rianimarono, illuminandosi di chiaro stupore
quando riconobbe la figura di Hinabiki. Lei gli sorrise, salutandolo cordialmente, anche se, nel vederlo in quello
stato, provò una fitta al cuore. Anche Kaoru si sentiva nello stesso stato. “Sembri stravolto. Allora non mi sbagliavo,
quei bastardi hanno attaccato anche te .”affermò Hinabiki con espressione dura. “Cosa?! Questo vuol dire che hanno
preso di mira anche te?!”scattò Sanosuke, alzandosi in piedi, lei annuì senza fare una piega. “Che bastardi!”imprecò
l’ex Sekihoutai con occhi furenti di collera. “Dove ti trovavi quando sei stata attaccata? Eri qui nelle vicinanze?”
domandò Kenshin, la compagna scosse il capo, bevendo un sorso di tè :”No, ero a Fukishima, ospitata da alcuni
monaci. In piena notte è arrivata una certa Ayame Otowa, dicendo di volersi vendicare sia di me che di te. Abbiamo
combattuto per un bel po’, poi lei è sparita e, subito dopo, è scoppiata una bomba che ha distrutto l’intero tempio.
Per fortuna non ci sono state vittime, solo qualche ferito .”spiegò :”Vorrei sbagliarmi ma, purtroppo se le cose
stanno così, penso che anche Aoiya sia stato attaccato .”affermò Kenshin, sudando freddo. “A Kyoto c’è anche la
sua famiglia del signor Yukishiro. Potrebbe esser stata presa di mira .”costatò Kaoru, Enishi scattò in piedi :”Non
dirlo neanche per scherzo!”urlò preso dalla disperazione, facendo sobbalzare la ragazza. Rendendosi poi conto di
aver perso le staffe, il samurai tornò a sedersi e, scusandosi, cercò di recuperare il controllo. Bevve un bicchierino di
sakè tutto d’un fiato. “Scusi signorina Kamiya, ho esagerato .”. “Per ogni evenienza è meglio che avverta tua
moglie, Enishi. Bisogna dirle di stare attenta e di farsi vedere in giro il meno possibile. Chiederò, inoltre, al signor
Okina di sorvegliarla di nascosto. Vorrei affidarla al maestro, ma non credo che lui accetterebbe. La cosa migliore
sarebbe quella di farle venire tutte qui, ma per una donna incinta il viaggio sarebbe troppo rischioso .”sostenne
Kenshin, passandosi una mano fra i capelli. “Signorina Kaoru, portami da scrivere, dobbiamo agire tempestivamente
.”chiese alla compagna che annuì. “Ken, non penso che quei bastardi abbiano agito da soli, probabilmente c’è
qualcuno dietro di loro. Hai qualche sospetto?”domandò Hinabiki massaggiandosi il mento, il samurai sospirò :”So
perfettamente di chi si tratta. Mentre stavo tornando qui, questa mattina, chi ha organizzato tutto questo mi si è parati
dinnanzi. Subito non l’ho riconosciuto ma si tratta di Azuma Kiyosato .”rispose bevendo un lungo sorso di tè che gli
sembrò stramente amaro. Hina ed Enishi sgranarono gli occhi nell’udire l’infausto nome, pensavano, come Kenshin
del resto, che fosse morto. “Non è possibile! Non l’avevi ucciso?!”esclamò la guerriera, piena di stupore :”Scusate,
chi sarebbe questo Azuma Kiyosato?”domandarono, in coro, Yahiko e Sanosuke con ingenuità. Al loro quesito
rispose Enishi :”Era una delle guardie del corpo del prefetto di Kyoto, Jubei Shigekura, durante il periodo della
guerra civile .”. In quel mentre tornò Kaoru, portante alcuni fogli di carta di riso ed un pennello intinto in un vasetto
pieno di inchiostro di china. Porse tutto a Kenshin che, dopo averla ringraziata con un inchino, iniziò a scrivere. “Era
il promesso sposo di Tomoe, di sicuro vorrà vendicarla .”affermò Hinabiki abbassando il capo, Enishi annuì ad occhi
chiusi :”Lo penso anche io. Anche se non sembrava le voleva molto bene, e, per un breve periodo anche lei lo aveva
amato .” Hinabiki abbassò il capo, sentì il suo cuore sanguinare nel ricordare quegli avvenimenti. Intanto Kenshin
continuava a scrivere con la sua pessima grafia simile a quella di un bambino, mentre ascoltava il discorso. Cercava
di mostrarsi indifferente, ma i suoi occhi, terribilmente tristi e lucidi di lacrime, lo tradivano. “Se la domanda mi è
lecita, vorrei sapere chi sia questa fantomatica Tomoe. Compare spesso nei vostri discorsi, e poi, ho sentito Kenshin
urlare il suo nome nel sonno .”affermò Kaoru con un leggero imbarazzo e Kenshin sgranò gli occhi. “Non avrei
dovuto lasciarmi sfuggire il suo nome, non mi sento ancora pronto a raccontarle di lei .”si sentì avvolgere da una
gelida tristezza. “Tomoe Yukishiro…” iniziò Hinabiki, ma Enishi l’interruppe :”Era mia sorella. Morì durante la
guerra civile .”. La guerriera lo guardò sorpresa ed un po’ irritata, ma lui le avvicinò le labbra ad un orecchio,
sussurrandole :”Scusami, avresti potuto dire cose compromettenti. Per ora è meglio non aggiungere altro al riguardo.
Kenshin non è ancora pronto a parlar loro di lei. Quando se la sentirà sarà lui a continuare la storia .”. Hina capì ed
annuì con un’espressione un po’ dispiaciuta. In quell’istante, Kenshin terminò la lettera e chiese a Yahiko di recarsi
all’ufficio postale per spedirla. Lui obbedì, si vestì in tutta fretta, ed uscì di corsa.
15
Era già pomeriggio inoltrato, senza accorgersene avevano chiacchierato per molto tempo tra fiumi di tè e sakè.
“Senti Hinabiki, dove ti sistemerai per questa notte? Sarei lieta di ospitarti, ma, purtroppo, la casa è quella che è, e
non ho più neanche una stanza libera. Mi dispiace .”sostenne Kaoru, inchinandosi in segno di scuse. La guerriera le
fece segno di alzarsi. Non doveva preoccuparsi, avrebbe trovato un altro posto, tanto non contava di fermarsi alla
palestra. Stare così vicina a Kenshin senza poterlo amare liberamente, era per lei fonte di grande sofferenza. “Stai
tranquilla Kaoru .” “Già, perché questa notte Hinabiki dormirà a casa mia .”scattò Sanosuke cogliendo la palla al
balzo, sorprendendo prima la stessa Hinabiki e poi tutti gli altri. “Perché, tu hai una casa?”gli domandò Kaoru,
scettica :”Certo! Non è un granché ma è pur sempre una casa .”ribatté l’ex Sekihoutai con orgoglio, Hinabiki sorrise,
lasciandosi convincere dall’intraprendenza del ragazzo. Il sole calò. Anche Sano e Hinabiki si fermarono a cenare
alla palestra Kamiya e, verso le nove, s’incamminarono diretti alla casa dell’ex Sekihoutai. L’aria era tiepida e le
lucciole brillavano per le vie della città. In breve giunsero in una zona periferica, dove erano state costruite alcune
povere abitazioni. Sanosuke si avvicinò ad una di esse, aprendo lo shoji che scricchiolò. Non era neanche sbarrato.
“Scusa il disordine, ma sai non sono abituato a ricevere ospiti .”affermò invitando Hinabiki ad entrare. Mentre Sano
accese una lanterna, lei si chiuse lo shoji alle spalle. Era davvero una casa minuscola, composta da una sola stanza.
Non c’era neanche un tavolo, probabilmente l’ex Sekihoutai mangiava direttamente sul tatami di legno grezzo. C’era
qualche ciotola sporca sparsa qua e là, un futon stropicciato e bende, tante bende sparse ovunque, tutte sporche di
sangue. Appesi ad una parete, accanto alla finestra piena di spifferi, c’erano due nishikie, entrambe rappresentavano
Sozou Sagara, il comandante dei Sekihoutai. Mentre Hinabiki si fermò a guardare le due opere, dipinte dal famoso
pittore Tsunan Tsukioka, Sanosuke raccoglieva le mille cose sparse qua e là e rimise in ordine il futon. “Ti va un po’
di sakè?”chiese, all’improvviso trovando una vecchia bottiglia di liquore. Lei annuì e si sedette in mezzo alla stanza.
Sanosuke si mise di fronte a lei, porgendole un bicchierino pieno di liquore, che la ragazza trangugiò tutto d’un fiato.
Aveva acquisito, a furia di bere come un uomo, un’incredibile resistenza all’alcool. Era capace di mandar giù
bicchieri su bicchieri di sakè senza mai perdere la lucidità. “Giacché ho un solo futon, te lo cedo. Io dormirò sul
tatami .”affermò l’ex Sekihoutai trangugiando la sua dose di sakè :”Non ho certo bisogno di tutte queste premure.
Non sai quante notti ho passato all’addiaccio nella mia vita, di certo non morirò a dormire sul un caldo tatami. Il
futon è tuo, è giusto che sia tu ad usarlo .”ribatté Hina posando sul pavimento il suo bicchierino, ormai vuoto. “Non
se ne parla nemmeno. Ricordati che l’ospite è sacro .” “A proposito, perché, pur sapendo di non avere una casa
adatta ad ospitare un’altra persona, hai insistito perché mi fermassi qui? In fondo ti creo un sacco di problemi. Non
avrei avuto difficoltà a trovare un’altra sistemazione .”. Sano restò per un istante in silenzio, pensando a cosa
risponderle. Avrebbe dovuto inventare una scusa o parlarle dei suoi sentimenti? Alla fine, giunto ad una conclusione
dopo numerosi secondi di silenzio, sospirò e posò la sua mano calda sopra quella fresca della guerriera, che lo
guardò, sorpresa, non capendo. “Tu non mi crei alcun problema, anzi. Vedi, io volevo aiutarti. Sapevo che Kaoru
non sarebbe riuscita ad ospitarti e, se anche fosse riuscita a farlo, tu non avresti accettato. Stare accanto a Kenshin di
certo non ti avrebbe aiutata a dimenticare il sentimento che provi per lui. Non potevo lasciarti sola in una città a te
sconosciuta, senza sapere come e dove avresti passato la notte, con dei nemici spietati alle costole che non esitano a
compiere assurdi delitti pur di vendicarsi. E poi…” s’inumidì le labbra :”Da quando ti ho persa di vista, mi sono
sentito solo. Questa piccola bettola in cui vivo da anni non mi era mai sembrata così grande e desolata. Avrei voluto
che tu restassi al mio fianco invece te ne sei andata chissà dove, senza dire nulla. Temevo di non riuscire più a
rivederti .”parlava con il cuore in mano, non era mai stato così sincero in tutta la sua vita. Il viso di Hinabiki si
addolcì e le sue labbra si schiusero in un caldo sorriso mentre Sanosuke le strinse teneramente la mano. “Permettimi
di aiutarti a dimenticare Kenshin. Riversa in me le tue sofferenze. Permettimi di risanare le tue ferite .”le si avvicinò
lentamente e lei lo guardò con occhi dolci :”Sano, le tue parole mi commuovono, ma non sono ancora pronta
per…”non riuscì a terminare la frase, un bacio improvviso la bloccò. “Tu non vuoi far soffrire un altro uomo, lo so,
ma devi smetterla di rimproverarti. Se il tuo sposo è morto, non è stato per colpa tua.” Esordì il ragazzo quando
staccò le labbra da quelle dell’amata, tenendole il viso tra le grandi e forti mani piene di tagli e ferite. “Ti prego,
permettimi di amarti, anche solo per questa notte! Da quando sono venuto a Tokyo ho fatto l’amore con molte,
moltissime donne, ma non ho mai capito cosa volesse dire amare veramente qualcuno. Ora che l’ ho finalmente
scoperto, non mi liquidare così .”sostenne con tono quasi implorante, era un fiume in piena, mai era stato così
sincero con qualcuno e lei capì che i sentimenti che provava quel ragazzo, all’apparenza così impenetrabile ed
introverso, erano autentici. Non sapeva proprio che fare. Da una parte non se la sentiva di lasciarsi andare tra le
braccia di un uomo nemmeno ad un anno di distanza dalla morte del marito, però non voleva neanche deluderlo. Se
doveva essere sincera, si sentiva un po’ attratta da quel ragazzo dal carattere così adulto, ed il suo corpo fremeva.
Non poteva mentire a se stessa.
Così, con un sospiro disse :”D’accordo, ma solo per questa notte .”. Forse facendo così sarebbe riuscita finalmente a
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dimenticare Kenshin, il quale non avrebbe mai potuto ricambiare il suo amore. Sanosuke sorrise, raggiante e le
sussurrò :”Grazie .”. Hinabiki sentendo il calore del suo dolce fiato, che sapeva un po’ d’alcool, non riuscì a
trattenere l’impulso di baciarlo. Si lasciarono andare, coricandosi l’uno acanto all’altra sul tatami. Lei lo strinse a sé
e, riprendendo a baciarlo, gli sfilò la casacca e lui, con infinita lentezza, l’aiutò a togliersi la giacca del largo
kimono. Lei rimase con indosso solo le bende che le coprivano dal petto sin nelle parti più intime. Sanosuke prese a
toglierle, scoprendo, pian piano, il prosperoso seno ed il resto del suo corpo. In quel punto, sempre rimasto coperto
dalle fasce, la sua pelle era talmente candida da sembrare trasparente. Aveva una piccola luna con la gobba rivolta a
levante, tatuata sul seno sinistro, l’inconfondibile segno marchiato a fuoco degli allievi della leggendaria Scuola
della Luna Calante. Sul ventre la ferita, riportata durante lo scontro con Soujiro Seta, si era rimarginata, ma aveva
lasciato una lunga cicatrice orizzontale. Di certo non era l’unica, sul corpo della giovane combattente ce n’erano
altre ma quei piccoli particolari non facevano sfiorire la usa bellezza, per Sanosuke, ineguagliabile. Era eccitato
come non mai e, preso dal calore, si tolse i pantaloni, prima di abbracciare l’amata. Fecero l’amore per tutta la notte,
senza preoccuparsi dell’incombente pericolo di venire attaccati.
L’alba stava rischiarando l’oscuro cielo ed i deboli raggi di un sole nascente, che coloravano di calde tinte rosate
tutto ciò che toccavano, scoprirono Sanosuke nudo, serenamente addormentato sul seno di Hinabiki. Questa si
svegliò quando la luce le illuminò il rilassato il viso. Si guardò attorno, i loro vestiti erano sparsi ovunque, poi
abbassò lo sguardo, vedendo i folti capelli di Sano. Con un sorriso glieli accarezzo appena e, facendo attenzione a
non svegliarlo, si alzò. Era completamente nuda, ma non sentiva freddo, si rimise le fasce e rivestì solo per una
questione di pudore. Si sentiva stranamente serena, come se tutti i suoi dolori e preoccupazioni fossero usciti dal suo
corpo assieme alle grida di piacere. “Tutto merito di Sano? Mah, forse .”pensò con un sorriso, mentre si pettinava i
lunghi capelli, che parevano come una cascata di diamanti scuri luccicanti ai raggi solari. Sembrava proprio una
donna pettinata così. “In fondo sono ancora giovane .”rifletté accarezzandosi la chioma :”Potrei anche impegnarmi
seriamente con un altro uomo. La vita che conducevo insieme ad Ushizo non era male, anzi mi piaceva. Perché non
riprovarci? Ormai le guerre sono finite, e, una volta terminata tutta la faccenda di Azuma Kiyosato, nessuno potrà
portarmi più via l’uomo che ho deciso di amare. Sanosuke è un bravo ragazzo, mi capisce e, forse, grazie a lui
riuscirò a dimenticarmi di Kenshin senza dovermene andare chissà dove per non vederlo. Beh, ho tutto il tempo per
pensarci .”concluse legandosi i capelli in una lunga coda di cavallo. Aveva un bel sorriso stampato sulle labbra,
sembrava un giovane fiore rinato a nuova vita. E tutto questo grazie a Sanosuke, doveva ringraziarlo in qualche
modo, così decise di preparagli la colazione. Ma con cosa? In quella casupola non c’era proprio nulla da mangiare.
Logico, Sanosuke era solito andare a scroccare pasti all’Akabeko o da Kaoru. Ma Hinabiki non si perse d’animo,
d’altronde era abituata a cavarsela in ogni situazione. Rovistò nella sua bisaccia di pelle, afflosciata in un angolo che
conteneva sono un sacchettino di riso regalatole dai monaci di Fukishima. “Che colpo di fortuna!” pensò correndo
fuori, con una pentola arrugginita sottobraccio, aveva in mente di preparare delle polpette di riso.
Intanto Kenshin si svegliò di soprassalto, sudato ed ansimante. Il suo giaciglio era ridotto ad un campo di battaglia.
Doveva aver fatto un altro spaventoso incubo. Da quando aveva incontrato Azuma Kiyosato non riusciva più a
dormire tranquillamente ed era continuamente assillato da sogni terribili, che l’inducevano a svegliarsi di scatto a
qualunque ora della notte, lasciandogli nel cuore un’incessante angoscia. Non ce la faceva davvero più, si sentiva
impazzire. Il sole stava ancora sorgendo, ma Enishi, che dormiva nella sua stessa stanza, era già uscito. Inoltre,
tendendo l’orecchio, il samurai sentì dei rumori provenire dalla palestra: urla e colpi di shinai. Incuriosito, decise di
andare a vedere. “E’ strano, di solito io mi sveglio sempre per quest’ora, mentre Yahiko e Kaoru dormono tre ore
più di me. Non li ho mai visti alzarsi a quest’ora. È davvero un fatto inconsueto .”pensò mentre, una volta tolto il
kimono per la notte, indossava i suoi soliti abiti, legandosi, come sempre, la katana al fianco. Si stava avviando
verso la palestra, quando incontrò Tsubame. “Buongiorno signor Kenshin. Vuole fare colazione?”gli chiese lei con
aria ancora assonnata, nascondendo uno sbadiglio con una mano. “Grazie signorina Tsubame, magari più tardi.
Come mai vi siete alzati tutti così presto?”le domandò il samurai “Yahiko ha letteralmente buttato giù dal letto
Kaoru, chiedendole di allenarlo di più e più duramente. Kaoru, furibonda, alla fine ha accettato ed è andata a
svegliare il signor Yukishiro, mentre Yahiko è venuto a svegliare me, chiedendogli di preparargli la colazione. Non
era ancora sorto il sole quando hanno iniziato ad allenarsi .”rispose la ragazzina sbadigliando ancora. Kenshin si
sorprese, allenarsi prima dell’alba? Cos’era tutta quella fretta? Si chiese salutando la piccola Tsubame. Quando aprì
lo shoji della palestra vide Yahiko madido ed ansimante, ma concentratissimo, attaccato incessantemente da Enishi e
Kaoru. Erano talmente concentrati da non accorgersi del suo arrivo, e lui restò a guardarli, sembrava un allenamento
davvero pesante per il giovane Yahiko.
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Nel frattempo anche Sanosuke si svegliò e, non vedendo più Hinabiki al suo fianco, si allarmò. Pensava che se ne
fosse andata senza dir niente, proprio come aveva fatto a Kyoto non molto tempo fa, invece, con suo grande
sollievo, eccola entrare con, tra le braccia, un grezzo vassoio di legno, portante alcune polpettine di riso.
“Buongiorno .”lo salutò lei, posando il vassoio sul tatami. “Ciao!”ricambiò Sano con sguardo sollevato e, mentre
Hina spegneva il fuoco e lavava la pentola usata, lui si vestì. Quando la guerriera rientrò fecero colazione insieme.
Hinabiki non era una grande cuoca, del resto ai samurai non s’insegna a cucinare, ma Sanosuke gradì lo stesso le
palline di riso preparate così rusticamente, tanto da divorarne due contemporaneamente. Hina lo guardò con stupore,
poi sorrise nel vedere il suo viso tutto sporco di riso :”Sei proprio una fogna Sano!”affermò scherzosamente.
Entrambi si osservarono in silenzio, poi scoppiarono a ridere nello stesso istante. “Hina, sto bene con te .”sostenne
Sano tornando serio, inducendo la ragazza a sorridergli dolcemente. “Anche io .”e lui tentò di baciarla ma lei, con
grande prontezza si alzò, cambiando discorso. “Muoviti, dobbiamo andare dagli altri. Non sappiamo se siano stati
attaccati o meno.”affermò infilandosi i sandali di paglia. Sanosuke la guardò, era un po’ deluso, ma sorrise
ugualmente e s’infilò le scarpe, pronto a partire.
Alla palestra Kamiya, Kaoru si accorse finalmente della presenza di Kenshin e l’invitò ad entrare. “Signor
Yukishiro, continui lei .”disse prima di prendere un asciugamano ed avvicinarsi al samurai. “Signorina Kaoru, che
cosa stai facendo?” le chiese lui continuando ad osservare l’allenamento di Yahiko :”Yahiko mi ha chiesto di
allenarlo più duramente, visto che gli ho fatto chiaramente capire che non può ancora essere iniziato ai segreti della
scuola .”gli rispose, gentilmente, Kaoru, mentre si asciugava il sudore dal volto e dalle braccia. “Non pensi che sia
stato un cambiamento troppo repentino?” “Subito la pensavo così, ma lui ha insistito talmente tanto che, alla fine, ho
ceduto. Vuole diventare forte, non ne può più di sentirsi l’unico debole. Sta cercando di crescere per aiutarti. Anche
se non è stato coinvolto direttamente nelle battaglie dell’altra notte, sente che c’è qualcosa che non va, e vuol essere
pronto ad aiutarti, per ricambiare i favori che gli hai fatto .”. Kenshin sembrò sorpreso, poi il suo sguardo si fece
malinconico e si appoggiò, pesantemente, ad una parete della palestra. “Yahiko potrebbe correre dei rischi e
compiere degli errori andando così di fretta, ma non sbaglierebbe mai strada come ho fatto io, perché ha una maestra
buona che sa ascoltarlo e degli amici pronti ad aiutarlo in qualunque momento. Lui non è solo .”sostenne abbassando
il capo. Kaoru lo guardò in modo quasi compassionevole mentre il cuore le si strinse. “Tutti avete percepito il
cambiamento che sta avvenendo dentro di me e, forse, è giunto il momento di dirvi la verità .”affermò, quasi con un
filo di voce, tenendo sempre il capo chinato. La compagna gli si avvicinò e, con amorevole gentilezza, l’indusse ad
alzare il viso.”Piuttosto, sei riuscito a dormire stanotte? Sembri molto stanco. Se non te la senti di parlare poi anche
non farlo .”gli disse, mostrando un tenero sorriso, cercando di risollevare il suo animo. Kenshin accennò un leggero
inchino con il capo e la ringraziò, sorprendendola nell’afferrargli, delicatamente, una mano. Kaoru arrossì,
imbarazzata. In quel mentre, Tsubame entrò nella palestra, annunciando l’arrivo di Sanosuke e Hinabiki. Appena
entrarono, Enishi smise di allenare Yahiko e Kenshin, salutandoli con un cenno del capo, li invitò ad entrare. “Se
voglio liberarmi di quegli orribili sogni, devo far sfogare il mio cuore, rimasto troppo a lungo avvolto nella morsa
del dolore. Solo allora, forse, potrò ritrovare la serenità. E poi è giusto che tutti sappiano l’origine della vendetta che
vuole attuare contro di me Azuma Kiyosato .”pensò tra se e sé prima di riprendere parola. “Sto bene signorina
Kaoru, e mi sento di raccontare a te ed a tutti gli altri la verità sulle battaglie che abbiamo dovuto affrontare in questi
giorni e di quando tutto cominciò.” affermò sorprendendo tutti i suoi compagni. Enishi sembrava, invece, soddisfatto
della scelta fatta dall’amico :”Bravo Ken, finalmente ti sei deciso ad aprire il tuo cuore .”sibilò sorridendo. Hinabiki
assunse uno sguardo un po’ triste, il racconto di Kenshin avrebbe risvegliato in lei tutti quei dolori di cui sembrava
essersi appena liberata. Tutti quanti, raccogliendo il desiderio del samurai, si sedettero intorno a lui, pronti ad
ascoltare la sua storia. Tsubane aveva preparato anche del tè. “Il qui presente Enishi Yukishiro, non è solo un mio
carissimo amico, ma è anche mio fratello.” fu la prima rivelazione che fece sobbalzare tutti di stupore “E’ un fratello
acquisito per me in quanto è il fratello di Tomoe Yukishiro in Himura, la moglie che rubai ad Azuma Kiyosato e
straziai con le mie stesse mani .”. Sentendo quella rivelazione, Kaoru, lasciò cadere a terra la tazzina che teneva fra
le mani, che si ruppe in mille pezzi, rovesciando il tè sul tatami. La ragazza sembrava sconvolta.
“Tutto cominciò alla fine dello shogunato. Una storia d’amore e di rancore incisi in questa cicatrice a forma di
croce.” continuò Kenshin per nulla scalfito dall’incidente provocato dalla tensione di Kaoru, indicandosi l’indelebile
segno che gli solcava la guancia sinistra. Tutti pendevano dalle sue labbra ed attorno a loro si era stagliato un
silenzio carico d’attesa, l’unico rumore udibile era il fruscio del vento sugli alberi ed il frinire delle cicale.
“Quando tutto ebbe inizio correva l’anno 1866, a Kyoto la città imperiale intrisa di sangue.” riprese Kenshin con
occhi che guardavano lontano. “Dopo il Kinmon no Hen, io e Kenshin riuscimmo a ricreare due gruppi abbastanza
numerosi di samurai, pronti a liberare Kyoto dagli Shinsengumi ed a ricostruire la città. Tutto in soli due anni.”
aggiunse Hinabiki :”Già, fu durante il Kinmon no Hen che ci conoscemmo. Ma l’incontro con mia sorella avvenne
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qualche tempo dopo .”la seguì Enishi “Tutto ebbe inizio in una fredda sera dell’aprile 1866, quando mi fu assegnato
il compito di assassinare il prefetto di Kyoto. Anche se Kogoro Katsura, il nostro leader indiscusso, era sparito, io e
Hinabiki restammo sempre in stretto contatto con lui tramite lettere segrete .”affermò Kenshin, mentre, attraverso i
suoi lucidi occhi chiari, trasparivano le immagini di quel giorno, nitide come non mai. Tre uomini stavano
camminando per le oscure vie della città. Il primo teneva in mano una lanterna, era molto giovane ed attraente.
Come gli altri suoi compagni portava i capelli tagliati alla chonmage, ed indossava un elegante kimono, completo di
haori. Aveva una faccia simpatica e non più di vent’anni. Dietro di lui lo seguivano un ometto tarchiato con i capelli
ormai candidi, che sembrava una persona importante visto il suo portamento onorevole, ed un alto e robusto uomo
dall’espressione truce. Questi aveva la fronte ampia, portava folte sopracciglia e basette nere come la pece. Tutti e
tre tenevano, legato al fianco sinistro, un daisho ciascuno. “Abbiamo fatto tardi, sarà meglio sbrigarci. Ho sentito
dire che negli ultimi tempi gli assassini, in questa zona, stanno aumentando. Dopo la disfatta i ribelli di Choshu
vogliono recuperare il controllo su Kyoto, infestando la città di crudeli sicari. Dicono che, fra loro, ce ne siano due
piuttosto abili .”affermò l’omone in coda :”Si, anch’ io ho sentito parlare di un certo Battosai e di un altro che si fa
chiamare Tsuki Hijin .”sostenne il ragazzo in testa al terzetto. “Per stasera lasciamo perdere le questioni belliche.
Piuttosto, Kiyosato, il prossimo mese ti sposerai. Congratulazioni .”disse l’uomo al centro. Eh si, era proprio Azuma
Kiyosato quel bel ragazzo all’apparenza simpatico e gentile. “Grazie.” sembrava davvero felice al pensiero del
matrimonio, doveva amare molto la sua futura sposa, Tomoe Yukishiro. “L’unica figlia femmina della famiglia
Yukishiro, la grande casta di mercanti di Edo. Per una semplice guardia del corpo come te è proprio un bel
colpo!”esclamò l’omone in fondo con una risatina maliziosa :”Già, quando il signor Yukishiro me l’ ha promessa in
sposa, stentavo crederci. Mi disse che il figlio del suo migliore amico meritava di riceve in sposa la sua unica figlia.
Me ne innamorai all’istante. La amo tantissimo, ma proprio per questo mi sento in colpa. Nonostante i miei doveri
ed il mondo che sta degenerando nella guerra civile, io…” “Ah, non dire sciocchezze! Tu devi pensare alla tua
felicità. La tua vita viene prima di qualsiasi altra cosa. Devi vivere ragazzo mio, non ti fare dei problemi inutili. Sei
giovane, pensa a goderti i piaceri della vita.” l’interruppe l’anziano al suo seguito poggiandoli, amorevolmente, una
mano su una spalla. Kenshin stava seguendo quei tre già da molto tempo, ascoltando i loro futili discorsi. Avrebbe
potuto tendergli un agguato in qualsiasi momento, ma, come un vero samurai, sfidò i suoi rivali a viso aperto.
“Signor Jubei Shigekura, prefetto di Kyoto, io non serbo alcun rancore e, sinceramente, sino a poche ore fa non
sapevo nemmeno chi foste, ma desidero la vostra morte, per il bene della nuova epoca .”affermò parandosi, come
uscito dal nulla, dinnanzi ai tre uomini, rivolgendosi, in modo particolare, a quello più anziano. Un giovane Kenshin,
molto simile all’attuale, come se il tempo per lui si fosse fermato ad allora. Aveva i capelli un po’ più corti, legati in
un’alta coda di cavallo, indossava un kimono sgualcito, dalla casacca blu ed i pantaloni bianchi. Dagli avambracci
sin sulle mani portava delle protezioni, simili a guanti, di cuoio. Il suo sguardo era gelido, tanto da far rabbrividire i
suoi rivali e gli mancava la cicatrice sulla guancia sinistra. Kiyosato gettò a terra la lanterna e si preparò alla
battaglia. L’omone si parò dinnanzi al prefetto, pronto ad attaccare, ma Kenshin era troppo veloce, non gli lasciò
nemmeno il tempo di sguainare la spada. Lo trafisse più volte, usando una micidiale tecnica della scuola Mitsurugi
Hiten, il Ryu Shosen Zan. Questi stramazzò a terra, ormai privo di vita. Era la volta del prefetto. Battosai, così era
conosciuto Kenshin allora, balzò, un salto incredibile, per poi piombare sul cranio del nemico, conficcandogli dentro
tutta la lama della sua katana. “Hiten Mitsurugi Ryu! Ryu Tsuisen Zan!”urlò dentro di sé, non poteva svelare la sua
arcana tecnica ai nemici. Né mancava solo uno e, anche se aveva già compiuto la sua missione, non poteva lasciare
in vita un testimone, a maggior ragione se si trattava di una guardia del corpo dello stesso prefetto. “Signor Ishiji!
Signor Shigekura!”gridò Kiyosato in preda alla disperazione assistendo alla morte dei propri compagni, cominciò a
sudare freddo, non aveva scampo. Kenshin lo fulminò con lo sguardo e, con un rapidissimo fendente, lo spinse
contro un muro. Per miracolo Azuma riuscì a parare l’attacco e, vedendo la lama sporca del sangue, iniziò a tremare.
Non voleva morire! Non voleva morire! “Rassegnati. Non uscirai vivo da questo scontro.” affermò Kenshin,
squadrandolo con occhi di ghiaccio. Kiyosato, preso dal desiderio di opporsi alla morte, riuscì a togliersi dal muro
contro cui era stato spinto e strinse con forza l’elsa della sua spada, pensando alla ragazza che tanto amava. Si lanciò
con tutta la sua determinazione e furore contro l’assassino, il quale lo guardò con un’espressione quasi
compassionevole. “Per quindici anni, dall’arrivo della nave nera, comandata dall’americano Perry alla restaurazione
Meiji, nel vortice di tante ambizioni e ideali si combatterono i samurai ambiziosi del Choshu e di Satsuma contro
quelli fedeli al Bakufu. Da una parte c’era la volontà di aprire il Giappone al mondo, dall’altra la venerazione per
l’imperatore, la fedeltà allo shogunato e la caccia agli stranieri. Quel groviglio di sogni, desideri e sangue segnò il
Bakumatsu, la fine dello shogunato.” espose Kenshin, tornando per un istante al presente, tenendo sempre il capo
chino, sorseggiando, ogni tanto un po’ di tè bollente. Fu una brevissima pausa poiché, nei suoi profondi occhi
azzurri, già si vedeva il seguito della storia. Le spade cozzarono. Kenshin balzò e piombò sul nemico con una
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velocità impressionante :”Hiten Mitsurugi Ryu! Ryu Tsuisen Zan!”gridò mentalmente tagliando, dall’alto verso il
basso, prima il viso e poi tutto il corpo del ragazzo. Questi riuscì a muovere un ultimo colpo che ferì l’assassino alla
guancia sinistra. La prima cicatrice, il primo segno di una vendetta annunciata era apparso. Kiyosato svenne e
Kenshin, ancora sorpreso per il colpo subito, non era mai stato ferito sino ad allora, non si curò di constatare se fosse
morto. Pulì la spada con uno straccio, che poi gettò a terra, e la ripose nel fodero. In quel mentre giunsero due
uomini, Kenshin non si allarmò, sembrava conoscerli. “Salve, buon lavoro per l’ispezione .”disse alzando gli occhi
verso il cielo stellato. “Ha una ferita sulla guancia! È sicuro di sentirsi bene?”gli domandò uno dei due uomini,
aveva le guance molto incavate e magre. “Non si preoccupi, è solo un graffio .”rispose l’assassino con distacco.
“Se è riuscito a colpirla al volto significa che era abbastanza abile. Peccato che appartenesse a quei bastardi fedeli al
Bakufu .”affermò l’altro uomo, indossante un kimono bianco, sembrava un lottatore di judo. “No, non era un
granché. Era solo furioso a causa del suo tenace attaccamento alla vita. Esistono uomini infinitamente più forti. Mi
raccomando, trattateli bene, erano pur sempre dei samurai .”concluse voltandosi, tornando sui suoi passi, mentre i
due uomini posavano dei fogli riportanti l’ideogramma Tenchu, vendetta divina, sui corpi straziati che avevano
osato opporsi a Battosai l’assassino.
NOTE:
1
ONI: sono i demoni leggendari descritti nelle antiche favole giapponesi. Generalmente erano rappresentati com’esseri
raccapricciati, metà umani e metà diavoli. Avevano due (uno o addirittura tre) corte corna, affilati e lunghi canini. Irsuti e muscolosi, erano
armati in modo rudimentale ed indossavano pelli tigrate. Tra le maschere del tradizionale teatro giapponese, ricorre frequentemente la
maschera di questi mitologici personaggi.
2
NISHIKIE: lavorazioni artigianali su legno dipinto con lacche colorate.
3
SOZOU SAGARA: personaggio realmente esistito. Era il capo del primo Squadrone dei Messaggeri Rossi. Sanosuke, che lo
ammirava profondamente, dopo la sua morte decise di prendere il suo cognome.
4
KINMON NO HEN: prese questo nome l’attacco che il feudo Choshu, dopo la sconfitta subita dagli Shinsengumi, sferrò il 18
luglio 1864 a Kyoto per riconquistare una posizione favorevole, ma venne sconfitto rovinosamente. In quel frangente il leader del feudo,
Kogoro Katsura, si allontanò dai suoi soldati, nascondendosi in un luogo segreto.
5
KOGORO KATSURA: personaggio realmente esistito. Era il giovane signore del feudo Choshu. Insieme a Takamori Saigou,
signore del feudo Satsuma, organizzò la rivolta contro lo shogunato. Entrò a far parte del governo Meiji e, poco dopo lo scoppio della
guerra Seinan (maggio 1877), morì a causa di una malattia al cervello. Era un personaggio che, fino alla fine, non fece altro che
preoccuparsi del futuro del suo paese.
6
CHONMAGE: pettinatura tipica dei samurai, con un ciuffo di capelli raccolto sulla sommità del capo.
7
HAORI: una sorta di giacca ampia e corta da indossare sopra il kimono.
8
EDO: antico nome della città di Tokyo, significava “ingresso ai fiumi”. Divenne capitale del Giappone solo nel 1615, occupando il
posto di Kyoto.
9
RYU SHOSEN ZAN: letteralmente significa “Taglio dei Lampi del Drago". È una tecnica della scuola Mitsurugi Hiten che mira a
colpire l’avversario con rapidi fendenti ed affondi consecutivi.
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-Capitolo 3: Tomoe Yukishiro –
Ogni notte, Kenshin commetteva almeno un delitto e, con l’andare del tempo, l’odore disgustoso del sangue impregnò
prima le sue vesti e poi tutto il suo corpo. I suoi compagni non riuscivano a sentire quel fetore, ma per lui stava
diventando un’ossessione, si sentiva soffocare. Per quanto si lavasse non riusciva a sentirsi pulito, nel riflesso dell’acqua
limpida si vedeva sempre sporco di sangue non suo. Stava per impazzire, ma lo faceva con discrezione, tenendosi tutto
dentro per non dar fastidio ai compagni. Non poteva e non voleva nemmeno confessare tutto a Hinabiki, coordinatrice,
ma anche assassina come lui, di una squadra di samurai ambiziosi dall’altra parte della città, non voleva turbarla o
disturbarla durante il suo lavoro. “Tutti mi dicevano che Kenshin era cambiato, che non era più quello di una volta. Io
avrei tanto voluto vederlo e capire se quelle voci erano effettivamente vere, ma, in quel periodo, dovevo pensare a
proteggere i miei uomini dalla furia degli Shinsengumi .”intervenne Hinabiki, trangugiando, tutto d’un sorso, un generoso
bicchierino di sakè.
Il racconto riprese.
Anche sotto una fredda pioggia battente, Kenshin, una sera, decise di fare un giro di perlustrazione per scongiurare
eventuali rivolte o attacchi da parte dell’esercito shogunale. Le strade erano deserte e buie, solo dei fiochi raggi di luce
trasparivano dalle finestre in carta di riso dei locali e delle case. Ad un tratto uno stridio metallico, forse prodotto da delle
catene, seguito da un urlo smorzato e da un leggero tonfo, giunsero all’acuto udito del samurai. Questi corse nella
direzione da cui provenivano quei rumori ed entrando in uno stretto vicolo si trovò dinnanzi una donna seduta a terra,
probabilmente era stata lei ad urlare e, successivamente, a lasciarsi cadere. Davanti alla donna si stagliava la figura oscura
di un uomo misterioso, vestito di nero ed armato di una kusarikama a doppia falce. Dietro di lui erano stesi, esanimi in un
lago di sangue, tre corpi straziati di giovani guerrieri. Probabilmente la ragazza aveva assistito all’assassinio. Per fortuna
era giunto Kenshin a scongiurare la sua morte. Le porse il suo ombrello di carta per ripararla dalla pioggia battente. Non
sembrava spaventata né, tanto meno, inorridita alla vista dei tre corpi orribilmente mutilati. I suoi grandi, profondi e
lucidi occhi scuri sembravano privi di qualsiasi emozione. Era identica alla ragazza apparsa nell’incubo di Kenshin e,
proprio come lei, indossava un candido kimono ed uno scialle viola.
“Ma bene! Ecco qui un altro aspirante suicida!” ruppe il silenzio con sarcasmo l’uomo misterioso, ridacchiando
sotto la sciarpa di cotone grezzo che gli copriva il volto. “Non credo che ti sarà così facile uccidermi. Piuttosto, da
che parte stai? Sembreresti uno dello shogunato, ma a volte le apparenze possono ingannare .”ribatté Kenshin
mantenendo il sangue freddo, pronto ad attaccare alla minima mossa del probabile avversario. Questi scoppiò in una
rumorosa risata. “Che razza di domande mi fai?! Bastardo di un ribelle! Ti ridurrò ad un ammasso di carne come ho
fatto con quei tre pappamolle dell’esercito del Choshu!”scattò il rappresentante del Bakufu, lanciando una delle sue
falci contro Kenshin, che non si fece cogliere impreparato e fermò l’attacco con la sua fida katana. “Non provo
rancore nei tuo confronti, né dolore per l’uccisione dei miei sconosciuti compagni. Comunque non posso lasciare
impunito quest’atroce delitto. Per il bene della nuova epoca quelli come te devono morire!”disse con decisione ma
senza cambiare l’espressione del suo viso, e partì all’attacco con un affondo micidiale. Il nemico lo schivò e,
balzando su un tetto, imprigionò il samurai con la catena. Intanto la bella fanciulla si era rialzata, non sembrava
ferita, era solo un po’ sporca di fango, ed osservava lo scontro con occhi inespressivi, privi di paura o orrore.
Kenshin ed il suo rivale si guardarono fissi negli occhi per un breve ma intenso istante. Per il samurai sembrava la
fine, ma, quando il nemico balzò per dargli il colpo di grazia, lui riuscì a liberare un braccio dalla stretta morsa della
catena e, sfoderando il wakizashi, lo trafisse mortalmente. Una pioggia di sangue cadde sulle erette figure di
Kenshin e della misteriosa fanciulla. Il samurai si lasciò cadere in ginocchio, sfinito. Si era quasi dimenticato della
donna che gli stava alle spalle, la quale sibilò un timo “Grazie .” quasi impercettibile. Kenshin si voltò indietro
restando abbagliato dalla sua bellezza. Una donna aveva assistito ad un suo crimine, come si doveva comportare?
Avrebbe dovuto ucciderla? Cercò di stringere l’elsa della sua katana, ma questa gli scivolò via dalle fradice dita.
Lui, lo spietato assassino Battosai stava esitando nell’uccidere un testimone? Sentì tutte le sue convinzioni vacillare
mentre scrutava gli impenetrabili e lucenti occhi della misteriosa fanciulla. Per un attimo gli sembrò di sprofondarci
dentro. Si sentiva disorientato e restava lì, inerme come un bambino, sentendosi messo a nudo da quello sguardo
così penetrante ed irresistibile. All’improvviso la giovane, con passo lento ma deciso, gli si avvicinò e lo riparò sotto
l’ombrello di carta. “La ringrazio per avermi salvata. Come posso sdebitarmi?”domandò con voce dolce ma senza
cambiare l’espressione vuota del suo volto. Kenshin distolse lo sguardo, si sentiva a disagio nel starle tanto vicino
:”Lascia perdere e tornatene a casa. Dimenticati in fretta di me e di tutto ciò che hai visto .”le rispose
incamminandosi per la propria strada, senza nemmeno voltarsi a salutarla. Lei lo guardò allontanarsi per un attimo,
poi gli corse dietro :”Aspettate!” urlò parandosi dinnanzi a lui. “Mi sono perduta e, a causa di questa fitta pioggia,
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non riesco più a trovare la strada di casa. Non sono della zona, sono solo di passaggio. Potrebbe aiutarmi a trovare
un alloggio per la notte?”
chiese in tono quasi supplichevole. Kenshin si passò una mano fra i capelli fradici e sbuffò :”E’ meglio se non ti fai
vedere in compagnia di uno come me. Se prosegui per questa strada, troverai alcuni alberghi .”era seccato, la
presenza di quella ragazza, non capiva perché, ma l’innervosiva e non sapeva come comportarsi. La giovane abbassò
il capo :”Ecco…io non ho abbastanza denaro per alloggiare in un albergo…”confessò timidamente. Kenshin sospirò,
sempre più seccato. “Non c’è niente da fare. In fondo non posso lasciare qui un testimone e poi, una donna sola nella
notte a Kyoto, chissà cosa potrebbe succederle .”pensò :”D’accordo, vieni con me.” affermò infine prendendo una
decisione e riprendendo a camminare, seguito dalla fanciulla che lo ringraziò più volte. Ma cosa stava facendo?
Preoccuparsi per la sorte di una donna che neanche conosceva? Non era proprio da lui! Avrebbe dovuto ucciderla e,
invece, le stava offrendo anche un riparo per la notte. Ma cosa gli stava mai passando per la testa? Cercava di
camminare a debita distanza dalla giovane, il suo dolce profumo lo metteva terribilmente a disagio. Percorrendo
strade poco trafficate e scorciatoie, in breve, Kenshin condusse la fanciulla misteriosa dinnanzi al suo covo segreto
dove, insieme a lui, abitavano altri samurai del Choshu. Era un vecchio albergo andato in fallimento, per cui era
abbastanza grande da poter ospitare tutti i componenti del rinato esercito ribelle. C’era tanto di giardino ed un’alta
staccionata circondava la proprietà. Mentre Kenshin accompagnò la ragazza all’entrata della bizzarra abitazione,
smise di piovere. “Sii più silenziosa che puoi, d’accordo?”le impose il samurai senza neanche voltarsi e lei annuì.
Ma proprio mentre l’assassino aprì lo shoji, sentì il capo della ragazza posarsi sulla sua spalla destra. Si voltò di
scatto e scoprì che si era addormentata appoggiandosi alla sua schiena. “Accidenti, ci mancava solo questa!”imprecò
sottovoce, alquanto contrariato, prendendola in braccio e, cercando di non fare alcun rumore, entrando
nell’abitazione. Pian piano salì le scale che portavano alla sua stanza e riuscì a non farsi vedere da nessuno, per
fortuna. Chissà quali commenti avrebbero fatto i suoi compagni se l’avessero visto tornare con una donna tra le
braccia. Giunto nella sua camera, Kenshin stese il futon e vi posò sopra la giovane con estrema delicatezza per non
svegliarla. La coprì per bene e, vedendo che aveva ancora il candido viso sporco di sangue, prese un asciugamano e
la pulì. Si sentiva un po’ strano, da quando si era avvicinato a quella misteriosa giovane non aveva più sentito
l’odore del sangue, ma solo un dolce ed indescrivibile profumo. Nonostante l’imbarazzo si sentiva stranamente
sereno e finì per appisolarsi appoggiato ad una parete, mentre guardava il viso addormentato della fanciulla. Il
mattino seguente, svegliato dai tiepidi raggi del sole che filtravano dalla finestra alle sue spalle, Kenshin si alzò e,
vedendo che il futon era stato ben piegato in un angolo e che i suoi libri, che lasciava sempre sparsi per tutta la
stanza, erano impilati con cura su una scrivania, cercò con lo sguardo la misteriosa ragazza della sera prima, ma non
la trovò. Scese le scale in tutta fretta, diretto prima all’ingresso e poi nella cucina. Con sua grande sorpresa, la
ragazza era lì. Stava aiutando il cuoco a distribuire la colazione. Indossava un kimono pulito, color pesca. Dove
l’aveva trovato questo Kenshin proprio non lo sapeva. “Buongiorno Himura! La tua ragazza è davvero eccezionale!
Mi ha aiutato per tutta la mattina nella preparazione della colazione .”affermò il cuoco entusiasta. Era un ragazzo sui
venticinque anni, magro e slanciato. Aveva chiari comportamenti effeminati, si poteva definire più donna che uomo.
Ovviamente non era un combattente, ma il fratello di uno di loro. Kenshin cercò subito di smentire la voce creatosi.
Quella donna non era assolutamente la sua fidanzata! “Che cosa ci fai ancora qui? Non dovevi tornare a
casa?”domandò il samurai alla ragazza non appena uscirono dalla cucina per distribuire la colazione. “Beh, per
ringraziarti dell’ospitalità volevo rendermi utile .” rispose lei senza voltarsi :”Nessuno te l’ ha chiesto!” ribatté,
sgarbatamente, Kenshin, sempre più contrariato :”Come sei scortese! Non preoccuparti, appena avrò finito di
distribuire la colazione me ne andrò. Ora lasciami lavorare.” sostenne lei senza degnarlo di uno sguardo, prima di
fermarsi dinnanzi ad un fusuma “Non la sopporto!” pensò il samurai, assumendo una chiara espressione corrucciata.
Non appena la ragazza aprì la porta scorrevole, tutti i samurai si precipitarono di fronte a lei. Era così raro sentire la
voce di una donna in quel luogo pieno di soli uomini. Appena la videro rimasero abbagliati dalla sua bellezza ed
iniziarono a fare commenti ed apprezzamenti. “Questa è la donna di Himura?!”esclamò uno. Ormai la falsa voce si
era sparsa per tutta la casa. “Certo che è proprio bella!”commentò un altro :”Già, è sprecata per un bambino come
lui!” disse un altro ancora. “Fate vedere anche me!”si lamentò un giovane facendosi largo fra la ressa creata dai suoi
compagni. Era un ragazzo dagli occhi lucidi e neri, proprio come quelli della ragazza, e portava una cicatrice
orizzontale sulla fronte, era proprio lui, Enishi Yukishiro. Quando, finalmente, riuscì a vedere la giovane, entrambi
rimasero per un istante in silenzio, a guardarsi con espressioni inebetite per lo stupore. “To…Tomoe!”esclamò
Enishi mostrando un sorriso radioso, abbracciando la sorella. Lei lo strinse a se, sussurrando :”Enishi, caro fratello.
Sono davvero contenta di rivederti .”gli sorrise lievemente. Vedendo quella scena, i bollenti spiriti degli altri
samurai si placarono e, distribuendosi la colazione, ascoltarono la storia dei due fratelli. Kenshin non si sedette con
gli altri, ma restò ugualmente ad ascoltare, appoggiato ad una parete. Tutta quella faccenda, chissà perché, l’aveva
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incuriosito. “Sono passati due anni da quando mi separai da Tomoe per intraprendere la carriera di samurai qui a
Kyoto .”iniziò a raccontare Enishi :”Partii da Edo insieme al suo fidanzato, che si era lasciato convincere a schierarsi
dalla parte dello shogunato .”. “Quindi tua sorella non è la ragazza di Himura?”domandò un samurai, la ragazza
scosse il capo in contemporanea con il fratello. Kenshin sbuffò :”Come hanno solo potuto pensare che io trascurassi
i miei doveri per spassarmela con una donna!”pensò incrociando le braccia. Non voleva ammetterlo e, tanto meno,
darlo a vedere, ma si sentiva un po’ turbato, quasi geloso. “Purtroppo il mio promesso è mancato ed io, appena seppi
la notizia, partii per Kyoto ma, mentre cercavo la sua casa, mi perdetti e fu quel samurai dai capelli rossi a salvarmi
da un’aggressione ed a portarmi qui .”affermò Tomoe indicando Kenshin, che evitò d’incrociare il suo sguardo.
“Senti, perché non rimani qui?” le propose Enishi pieno d’entusiasmo, anche gli altri samurai la invitarono a
fermarsi impietositi dalla sua storia. Solo Kenshin era contrario ma, visto che era l’unico a pensarla così, non
pronunciò il suo pensiero. Alla fine Tomoe accettò, in fondo non aveva nessun altro posto dove andare. Nella casa
del suo fidanzato non c’era più nessuno ad attenderla.
E così una donna entrò a vivere nel covo segreto dei samurai del Choshu. Da allora Kenshin non sentì più l’odore
del sangue, ma solo il suo dolce profumo. Anche ciò che mangiava o beveva aveva perso il disgustoso sapore del
plasma. Non sapeva come spiegarselo. Non voleva nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi di essersi
innamorato di Tomoe. Lui non aveva tempo da sprecare con le donne. Si doveva dare anima e corpo ad infliggere la
punizione celeste ai suoi nemici.
“Che cosa?! Ma sono tutti impazziti?! Ospitare una donna nella loro base segreta, e se si trattasse di una spia inviata
dallo Shinsengumi o dall’esercito shogunale?!”esclamò Hinabiki non appena seppe la notizia. A portargliela fu un
certo Ushizo Tsujimura, un giovane che si occupava di mantenere i contatti fra le due divisioni dell’esercito del
Choshu. Anche lui, come Kenshin, sapeva il segreto della donna samurai. Quando si conobbero Ushizo sfidò a
duello Hinabiki e, inavvertitamente, le tagliò il kimono all’altezza del seno, scoprendo il suo segreto. Si era anche
accorto che la giovane provava un sentimento d’amore per Kenshin, ma faceva finta di esserne all’oscuro. “Stai
tranquilla, è la sorella di Enishi Yukishiro, uno dei componenti della squadra di Himura.” affermò il giovane, ma la
preoccupazione di Hinabiki non si placò :”Quante vote ti devo ripetere che devi trattarmi come se fossi un uomo?!
Se qualcun altro scoprisse il mio segreto mi troverei nei guai. Comunque, tieni d’occhio quella donna, fidarsi è bene,
ma non fidarsi è meglio .”aggiunse, guardando, turbata, il tramonto attraverso una finestra.
In quel mentre, Kenshin si appisolò seduto sulla sponda della sua finestra aperta sul rosso tramonto. Qualche minuto
dopo, nella sua stanza entrò Tomoe e, visto che l’aria era ancora fredda, nonostante la primavera fosse già inoltrata,
si avvicinò al samurai per coprirlo con il suo scialle viola. Sì, quello che indossava quando lo conobbe. Il suo
sguardo si addolcì quando si fermò a guardare il viso addormentato del giovane. “Sembra un ragazzo prima del
genpuku, invece è uno dei più forti assassini di quest’epoca di pazzia, almeno così mi ha detto Enishi. Deve essere
dura per un ragazzo dal viso così dolce portare sulle spalle il peso di un compito tanto gravoso.” pensò mentre si
chinò per coprirlo. In quell’istante Kenshin aprì gli occhi e, con un gesto repentino, sguainò la spada, fermandosi a
pochi centimetri dal collo della ragazza. Lei, spaventata, rimase immobile e, non appena Kenshin si accorse di cosa
stava per fare, le diede un violento spintone, allontanandola da sé. Tremava e, tra gli affanni, cercò di scusarsi.
“Perdonami. Io pensavo di poter controllare il mio corpo e di evitare di uccidere le persone innocenti e disarmate,
ma guarda come ho reagito con te…erano tutte sciocchezze…sto impazzendo, ora ne ho la certezza, per cui ti
chiedo, per favore, di starmi lontana altrimenti…prima o poi finirò con l’ucciderti .”confessò abbassando il capo a
nascondere il suo senso di vergogna. Tomoe lo guardò con tenerezza e, pian piano, con dolcezza, gli coprì le gambe.
“Resterò qui con te ancora per un po’, se lo desideri. Adesso la cosa di cui hai più bisogno è riposare e…trovare un
riparo per calmare la tua follia .”affermò con una voce dolcissima. Kenshin si sorprese, mai nessuno l’aveva trattato
con tanta tenerezza. Il cuore gli batteva forte ed il tepore che lo scialle di Tomoe sprigionava lo faceva sentire bene.
Pian piano il suo respiro affannoso si calmò. Per la prima volta da quando quella giovane era entrata a far parte della
sua vita, desiderava che gli rimanesse accanto. Voleva sentire ancora il suo profumo e la sua voce così soave e
rassicurante. “Ti prego, rimani ancora un po’. Desidero che tu rimanga qui con me.” sostenne con voce rotta
dall’imbarazzo, nascondendo il volto arrossato dietro ai lunghi capelli. Come lui desiderava, Tomoe gli rimase
accanto per tutta la sera e mentre lei rammendava i kimono del fratello, lui si riaddormentò come un bambino.
“Nel giro di qualche mese, pur continuando a svolgere il mio compito di assassino, stando vicino a Tomoe la mia
pazzia si placò. E, pian piano cominciai ad innamorarmi di lei.” sostenne Kenshin sorridendo, i suoi occhi erano
lucidi in un misto di gioia e tristezza. Anche a distanza di anni, si vedeva benissimo che amava ancora Tomoe e che
il suo amore era così forte da resistere al tempo. Hinabiki lo capì all’istante e, lasciandosi prendere dallo sconforto,
abbassò il capo, sospirando. Sanosuke, vedendola in quello stato, cercò di rassicurarla, tenendole, teneramente, una
mano. Lei gli sorrise, ma i suoi occhi rimasero velati da una terribile tristezza.
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“Benché Tomoe non fosse ancora riuscita a dimenticare il suo fidanzato, provava una certa simpatia per te. Sul suo
diario scriveva sempre di te, dei tuoi comportamenti bizzarri ma, allo stesso tempo, così gentili per appartenere ad
un assassino. Non era una gran chiacchierona, per cui non mi parlò mai dei suoi sentimenti, ma non ci voleva certo
la mente di un genio per capire che ti voleva bene .”affermò Enishi con un sorriso malinconico, versandosi del sakè.
Kaoru, che fino ad allora aveva ascoltato in silenzio e con il capo chino il racconto di Kenshin, all’improvviso prese
la parola, esortando il compagno a continuare la sua storia. Lui annuì e, dopo essersi dissetato, riprese a narrare.
Tomoe e Kenshin instaurarono un rapporto sempre più stretto. Benché sapessero poco l’uno dell’altra, si sentivano
bene quando stavano insieme ed Enishi era contento di ciò, desiderava ardentemente rivedere la cara sorella
sorridere come una volta, e sapeva che Kenshin sarebbe stato in grado di ridarle la felicità perduta con la morte del
proprio fidanzato. Hinabiki non appena seppe la notizia che Tomoe era riuscita a placare la pazzia di Kenshin, sentì
il suo cuore ardere di gelosia. Era furiosa ma allo stesso tempo terribilmente triste. “Dannazione!”imprecò tirando un
violento pugno contro una parete. “Io che conosco Kenshin sin da quando era un bambino, non sono riuscita a
calmare la sua follia invece quella donna…”digrignò i denti :”Quella dannata donna che lo conosce da pochi mesi
appena è riuscita a capirlo più di quanto sia riuscita a fare io in tutti questi anni! Maledizione!”tirò un altro pugno, e
poi un calcio ammaccando visibilmente la parete. “Maledizione…maledizione…maledizione…”e si lasciò scivolare
a terra. Avvicinò le ginocchia al petto e, cingendole con le braccia, abbassò il capo. Sul suo viso semi oscurato brillò
una lacrima. Ushizo, che la stava osservando da dietro il fusuma, aperto di poco, sentì il suo cuore stringersi.
Avrebbe voluto consolarla, ma sapeva che lei non avrebbe ricambiato, anzi, forse le avrebbe dato addirittura fastidio.
Nel frattempo era giunta l’estate, ma la lotta fra i samurai ambiziosi ed i rappresentanti dell’esercito shogunale non
si era ancora placata. Kenshin e Hinabiki ricevevano sempre, quasi ogni notte, l’ordine di assassinare qualcuno.
Una sera in cui, stranamente, Kenshin non ricevette alcun ordine e se ne stava tranquillamente seduto sul bordo della
finestra, a petto nudo a causa della calura estiva,Tomoe gli fece visita, sorprendendolo con una richiesta alquanto
insolita per una ragazza taciturna e riservata come lei. “Kenshin, parliamo un po’ insieme .”. Il samurai sgranò gli
occhi non solo per la sorpresa, ma anche per osservare meglio la bellezza della ragazza. Era davvero stupenda.
Indossava uno yukata blu, ricamato con fini fiorellini bianchi e stretto in vita da un obi azzurro. Era la prima volta
che il samurai la vedeva indossare quell’abito, probabilmente le era stato da poco regalato da Enishi. Più che fratelli
quei due sembravano quasi amanti tanto il sentimento che li legava era forte. I lunghi capelli che non scioglieva mai
ed i suoi occhi lucidi e profondi, risaltavano nella tenue oscurità che si stava creando nella stanza. La sua pelle
sembrava ancora più mordila e candida, illuminata dall’argentea luce di una luna nascente. Kenshin rimase
abbagliato da tanta bellezza e rimase a guardarla, in silenzio, a bocca aperta, per un lungo istante. Inoltre era ancora
sorpreso dalla richiesta fattagli. In quei mesi di convivenza i loro rapporti si erano addolciti, ma mai avevano parlato
insieme. Tutto quello che Kenshin sapeva di lei glielo aveva riferito Enishi. Superato il primo impatto, il samurai
accolse la richiesta di Tomoe con un cenno del capo, sembrava estremamente impacciato. In fondo non gli era mai
capitato di parlare a tu per tu con una donna, soprattutto con una che suscitava in lui quelle strane emozioni. Tomoe
gli si avvicinò, sedendosi al suo fianco sul bordo della finestra affacciata sul piccolo giardino, dove danzavano,
festose, centinaia di lucciole. “Sai, come mio fratello ti avrà già raccontato, noi due siamo originari di Edo. Mio
padre era un famoso mercante di stoffe e, quando vivevamo ancora tutti assieme, non ci faceva mancare mai nulla.
Mia madre ci cresceva con la massima cura e, visto che eravamo gemelli, gli davamo proprio un gran daffare,
soprattutto Enishi che era un gran piagnucolone .” “Non l’avrei mai immaginato.” intervenne Kenshin con un certo
imbarazzo. “Sinceramente non so se i miei siano ancora vivi.” seguì un istante d’opprimente silenzio, in cui l’aria fu
rinfrescata da un leggero alito di fresco vento. “Mio padre era una persona buona, ma molto legato ai principi feudali
ed ai debiti d’amicizia. Infatti mi diede in sposa al figlio del suo migliore amico, che in gioventù gli aveva salvato la
vita. Mia madre era contraria poiché io non conoscevo il mio promesso, per cui non potevo amarlo. Per mettersi
d’accordo, decisero di farmi convivere per qualche tempo con lui. Alla fine c’innamorammo perdutamente l’uno
dell’altra.” Arrossì leggermente :“Avevamo già fissato la data del matrimonio quando il mio amato decise di partire
alla volta di Kyoto, in contemporanea con il mio caro fratello. Per due anni rimasi ad aspettarlo, scrivendogli lettere
su lettere, al quale lui rispondeva puntualmente. Ma arrivò il giorno in cui non mi rispose più .” prese fiato e la sua
voce cominciò a tremare :”Io, presa dal panico, decisi di partire senza dir niente a nessuno. Qui giunta mi fu data la
triste notizia della sua morte, era stato ucciso durante l’agguato al prefetto di Kyoto.”. Nel sentire quella rivelazione,
Kenshin si sentì sussultare. In effetti, mentre pedinava i tre obbiettivi del suo Tenchu, aveva udito che uno di loro
doveva sposarsi. “No, non poteva essere lui .”cercò di convincersi, scotendo fortemente il capo, mentre Tomoe
riprese a narrare :”I suoi compagni mi condussero nella casa dove abitava, ma una sera, presa dallo sconforto, decisi
di uscire e di andare a bere del sakè. Quella stessa notte di pioggia mi persi e poi t’incontrai .”i suoi occhi si erano
fatti lucidi di lacrime e, nel guardarli, lo sguardo di Kenshin si fece, stranamente, compassionevole.
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“Gli volevo bene, davvero, tanto che dopo la sua morte non riuscii più a sorridere.” singhiozzò, portandosi le mani al
petto :”E’ stata tutta colpa mia, se gli avessi chiesto piangendo di non partire, forse sarebbe ancora vivo.” il candido
viso le si rigò di calde e silenziose lacrime. Kenshin, senza dir nulla, mostrando un atteggiamento senza dubbio
inconsueto, l’abbracciò. Tomoe sussultò, sorpresa da quell’improvvisa ed inaspettata reazione. “Se ti fa soffrire così
tanto, non parlarne più .”disse quasi in un sussurro, cercando di superare il suo incontenibile imbarazzo, alimentato
dal dolce profumo dei capelli della ragazza. “Grazie.” sibilò lei scoppiando a piangere sul petto nudo dell’amico, che
la strinse a sé teneramente. Quando i suoi singhiozzi si placarono, Kenshin andò a prenderle una tazza di tè. Durante
il tragitto dalla sua stanza alla cucina, incontrò Enishi, appena uscito dal bagno. Aveva ancora i capelli bagnati che
gli gocciolavano sul kimono pulito. “Tomoe è da te?” chiese lui all’amico, che annuì :”Sì, mi ha raccontato un po’ di
lei .”. Enishi si stupì, ma, allo stesso tempo, si sentì felice. Finalmente la sua amata sorella era riuscita a sfogare il
suo dolore. “Mi fa piacere, questo vuol dire che si fida di te .”disse con serietà, poi, con sguardo malizioso, cinse le
spalle del compagno con un braccio. “Mi sa che hai fatto colpo, caro il mio rubacuori! A quando il matrimonio?”.
Kenshin aveva già posato la mano destra sull’elsa della katana, con fare minaccioso nonostante il volto arrossato.
Enishi, avvertendo il pericolo, si allontanò di colpo. “Mi ero dimenticato che lui è Battosai l’assassino!”pensò
asciugandosi il gelido sudore che gli colava dalla fronte. “Enishi .”lo chiamò, ad un tratto, Kenshin, tornando serio.
Aveva lo sguardo perso nel vuoto, come se si fosse perso nei pensieri. Enishi, vedendo quell’espressione, si fece
serio. “Dimmi.” l’incalzò passandosi una mano fra i capelli bagnati. “Se mi è lecita la domanda, che lavoro faceva il
fidanzato di Tomoe? Era per caso una guardia del corpo del prefetto di Kyoto?”fu il quesito, e Kenshin sperava con
tutto se stesso di ricevere una risposta negativa. Non voleva credere di essere lui la causa del dolore di Tomoe.
Enishi sospirò “Sì, purtroppo l’ hai ucciso tu stesso. Il suo nome era Azuma Kiyosato.” non poteva nasconderglielo,
prima o poi l’avrebbe scoperto comunque. Kenshin sentì una fitta al cuore. “Allora sono davvero io la causa delle
sofferenze di Tomoe .”pensò, sconvolto da quella rivelazione. Chissà se Tomoe sapeva che era stato proprio lui,
Battosai l’assassino, ad uccidere il suo amato fidanzato. “Grazie .”si congedò il giovane, rimettendosi sui suoi passi.
“Mi dispiace Kenshin, il nostro è un lavoro ingrato. Da qualsiasi parte la si guardi, questa guerra resta solo un
ammasso di disperazione, dolore e lacrime. Speriamo che presto possa nascere una nuova era di pace per il nostro
paese” pensò Enishi guardando con compassione le spalle dell’amico sino a quando non sparirono dietro ad un
angolo. Per la prima volta nella sua vita, Kenshin sentì crescergli dentro un forte senso di colpa. Cosa poteva fare
per rimediare al delitto commesso? Come poteva ridare la felicità a quella ragazza che tanto l’aveva aiutato? Questi
quesiti si pose mentre saliva le scale con, tra le mani, una tazzina di tè. A lui non andava di bere nulla. Quando
rientrò nella stanza, Tomoe era nella stessa posizione nella quale l’aveva lasciata. Seduta sul bordo della finestra
scrutava il cielo buio, tempestato di stelle. Aveva ancora il viso segnato dalle lacrime e gli occhi gonfi ed arrossati.
Kenshin si sentì stringere il cuore nel vederla in quello stato e, porgendole la tazzina di tè, cercava le parole per dirle
la verità. “Il tuo fidanzato è stato ucciso da Hitokiri Battosai, non è vero?” ruppe il ghiaccio abbassando il capo e
Tomoe annuì. “Ebbene, l’assassino in questione, sono io.” confessò con voce ferma, nonostante il rimorso cercasse
di far tremare le sue parole. La ragazza sobbalzò per lo stupore e, senza accorgersene, strinse così forte la delicata
tazzina di terracotta da romperla. Avendo bevuto tutto il tè, sul suo yukata nuovo di zecca caddero solo dei cocci e,
per fortuna non si ferì le dita. “Se in questo momento tu potessi impugnare una spada, mi uccideresti?” fu la
domanda che Kenshin le rivolse, quasi con un filo di voce. Lei iniziò a tremare, si morse il labbro inferiore e, con le
lacrime agli occhi gli rispose :”No.” Kenshin alzò il volto di scatto a guardarla, era esterrefatto. “Come potrei mai
uccidere la persona che mi ha salvato la vita e mi ha ospitato sino ad ora?”sussurrò lei guardando intensamente per
un istante, ì prima di coprirsi il viso con le mani, scoppiando nuovamente in un pianto disperato. Il samurai rimase
immobile, inebetito per lo stupore per qualche minuto, poi s’inginocchiò di fronte a Tomoe e, prendendole le mani le
promise, dolcemente :”La felicità che ti ho sottratto ingiustamente, te la restituirò con ogni mio sforzo. Ti prego,
fidati. Proteggerò la tua felicità anche a scapito della mia vita.” Il suo volto gli si fece rosso per l’imbarazzo, proprio
come quello di Tomoe che, nonostante la sorpresa, cercò di calmare il pianto. “Mi fido di te.”confesso tra i
singhiozzi, riuscendo, nuovamente, a sorridere. Fu un sorriso leggero, appena percettibile, ma andava bene
ugualmente. Non era male come inizio. La ragazza si lanciò fra le braccia di Kenshin, mentre il suo profumo e
calore facevano battere forte il cuore del samurai.
Da allora, anche se la loro vita scorreva normalmente, Tomoe e Kenshin cominciarono a scambiarsi sguardi dolci ed
a parlare sempre più spesso. Alcune sere capitava che, a furia di parlare e scherzare, si addormentassero l’uno
accanto all’altra appoggiati ad una parete. “Sai Tomoe quale è il mio sogno?”le domandò una sera Kenshin mentre
erano seduti tutti e due sull’umida erba del giardino a guardare il cielo stellato. La ragazza scosse il capo, e lui le
sorrise, sdraiandosi, supino, sul prato. “Magari lo considererai una sciocchezza, ma, se il signor Katsura mi darà il
permesso, desidererei fare il voto del sokubato e proteggere la felicità della gente senza uccidere più nessuno.” rise
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:”Che stupidaggine, vero?” “No, tutt’altro, è un desiderio molto nobile. Sono sicura che un giorno riuscirai a
proteggere più gente di quanta tu ne abbia mai uccisa e ne ucciderai ancora .”gli rispose Tomoe incrociando il suo
sguardo, mostrando un luminoso sorriso. Il samurai arrossì, e, con un balzò si alzò. “E poi ti sposerò e ti porterò in
un posto lontano, magari in campagna, dove vivremo insieme per tutta la nostra vita. Io mi troverò un lavoretto
onesto ed avremo dei bambini, tanti bambini.” affermò con occhi da sognatore, inginocchiandosi di fronte all’amata
che, dapprima sembrò imbarazzata, poi sorrise ed annuì con decisione, :”Sì .”
Il tempo passò in fretta e, in un caldo pomeriggio di metà agosto, Hinabiki fece visita a Kenshin, accompagnata da
Ushizo. I due assassini si chiusero in una stanza, mentre Ushizo si unì agli altri samurai nella sala comune, dove si
giocava a dadi e beveva sakè. “E’ da tanto che non ci vediamo, come stai, cara Hina?”chiese Kenshin sorridendo,
offrendo all’amica un bicchierino di sakè. “Non c’è male. Tu mi sembri in ottima forma. Era da tanto tempo che non
ti vedevo sorridere così .”rispose lei, sorseggiando il liquore, cercando di comportarsi in modo cortese, ma, in realtà
era furente di gelosia. Se ora Kenshin sorrideva ed era così tranquillo non era certo per merito suo. “Qual buon vento
ti porta?” anche Kenshin sorseggiò un bicchiere di sakè :“Ho ricevuto una lettera del signor Katsura in cui vi era
scritto il programma per un attacco diretto all’esercito shogunale. Tra un mese attaccheremo i nemici ad Ono e,
quando questi cercheranno rifugio nella città di Hiroshima, altre truppe, che si trovano già là, si uniranno a noi.”
iniziò a spiegare lei gesticolando con foga. “Li circonderemo e costringeremo alla resa. Saranno presenti tutte le
varie squadre disseminate in tutto il Giappone. Questa volta non possiamo permetterci di perdere!”concluse tirando
un pugno sul tatami, rapita dall’impeto della battaglia. Kenshin sembrava dubbioso. “Se ci recheremo entrambi con i
nostri rispettivi squadroni ad Ono, gli Shinsengumi potrebbero approfittare della nostra assenza per riprendere il
dominio della città.” affermò massaggiandosi il mento :”Non temere, ho preso in considerazione anche questa
eventualità.” sostenne Hinabiki versandosi una generosa dose di sakè nel bicchierino di ceramica :”Ushizo ed Enishi
sono gli uomini di cui ci fidiamo di più. Lasceremo una piccola parte delle nostre truppe qui sotto il loro comando.
Sono certa che se la sapranno cavare anche senza di noi .”concluse, bevendo il liquore tutto d’un fiato. Dopo aver
spiegato nei dettagli lo svolgimento dell’azione, i due amici discorsero del più e del meno sino a tarda sera. Erano
quasi le otto quando Hinabiki si avvicinò al fusuma per andarsene. “La partenza è prevista agli inizi di settembre. Ci
vedremo a mezzanotte, sulla collina a sud della città. Mi raccomando, non dimenticartelo.”. Kenshin annuì e la
guerriera gli sorrise prima di salutarlo con un cenno della mano, uscendo dalla camera.
Il tempo passò in fretta ed, in breve giunse il giorno precedente a quello fissato per la partenza verso Ono. Alla
mezzanotte di quello stesso giorno Kenshin sarebbe partito per un paese lontano per combattere una battaglia
importante, proprio come aveva fatto Azuma Kiyosato quando partì da Edo, lasciando sola la povera Tomoe. Il
samurai non se la sentiva di farla soffrire ancora, ma non poteva tenerle nascosta la verità ancora per molto. Anche
se per lei sarebbe stata dura accettarlo, doveva parlarle subito e cercare di convincerla a lasciarlo partire. Non poteva
mancare, era una battaglia troppo importante. Così, quando Tomoe finì di pulire le stoviglie usate per la cena,
Kenshin l’invitò ad andare nella sua stanza. Avrebbe preferito parlarle sotto il bel cielo stellato, ma qualche spia
avrebbe potuto udire il loro discorso, mandando a monte il piano. “Come sei serio questa sera. Deve essere una cosa
importante quella che stai per dirmi.” costatò la ragazza chiudendosi il fusuma alle spalle. “Tomoe, devo partire per
Ono. Là si svolgerà la battaglia che decreterà le sorti dell’intero Giappone. Non posso assolutamente mancare. Mi
dispiace .”disse, senza mezzi termini, Kenshin, evitando di guardare negli occhi l’amata. Sapeva che se avesse visto
il suo sguardo non sarebbe più riuscito a confessarle la verità. Lei si sentì crollare il mondo addosso e, disperata,
s’inginocchiò ai piedi dell’amato, pregandolo di non partire. Pian piano le salirono le lacrime agli occhi. Kenshin si
sforzò di resistere alle sue suppliche. Per il bene del Giappone non doveva cedere, non poteva lasciarsi impietosire,
anche se il suo cuore piangeva nel veder Tomoe soffrire a quel modo. Vedendo che le sue preghiere non venivano
ascoltate, la giovane si alzò e, asciugandosi le lacrime dal volto cercò di ricomporsi. Si mise di fronte a Kenshin, lo
guardò dritto negli occhi e, con voce decisa affermò :”Visto che non posso piegare la tua volontà, ti chiedo solo una
cosa…sposami! Se mi prenderai come tua moglie avrai il dovere di tornare da me. Un marito non può abbandonare
la consorte”. I suoi profondi occhi scuri grondavano di lacrime e Kenshin, sbigottito, non sapeva cosa risponderle.
Stava accadendo tutto così in fretta, però non poteva rifiutarsi, in fondo l’amava e poi non voleva farla soffrire
ancora. Il suo sguardo si addolcì, le prese le mani, le strinse forte tra le sue e con voce dolce ma decisa sostenne
solennemente :”Io Kenshin Himura prendo te, Tomoe Yukishiro, come mia legittima sposa. Da questo giorno e per
l’eternità io non amerò nessun’altra donna che te e rimarrò al tuo fianco per sempre”. “Ed io, Tomoe Yukishiro, non
amerò nessun altro uomo che te, Kenshin Himura, e rimarrò sempre al tuo fianco.” riprese Tomoe, sorridendo fra le
lacrime, ed, insieme, i due amanti pronunciarono la fatidica frase che gli avrebbe uniti per sempre. “Finché morte
non ci separi .”
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NOTE:
1. FUSUMA: porta scorrevole da interni formata da un’intelaiatura in legno su cui sono montati pannelli in carta di riso.
-Capitolo 4: La cicatrice a forma di croce –
Kenshin si fermò. Accennò un lieve, ma, subito, questo gli sparì dal viso. Tutti rimasero in silenzio. Avevano paura di
fare interventi poco opportuni o, addirittura, non sapevano proprio cosa dire. “Facciamo una pausa.” sussurrò Kenshin.
Tutti annuirono e si trovarono d’accordo. Sapevano quanto fosse dura per il samurai raccontare del suo doloroso passato.
“D’accordo, in fondo sono già passate tre ore da quando hai iniziato a narrare.” affermò Sanosuke cercando di dissipare la
tesa atmosfera che si era creata nella stanza. In tutta risposta, Tsubame e Kaoru, con la scusa di andare a preparare
dell’altro tè, si allontanarono, mentre Yahiko e Sano le seguirono con l’intento di andare a prendere dei dolcetti. Enishi,
invece, si alzò per andare al bagno. Nella stanza, resa afosa dei raggi del caldo sole estivo che battevano, incessanti, sulle
sue pareti, rimasero solo Kenshin e Hinabiki, circondati da un surreale silenzio, carico di tensione. Dopo poco, anche la
guerriera si arrese. Non ce la faceva proprio più a sopportare quel silenzio, che sembrava rendere ancora più opprimenti i
tristi ricordi che il racconto di Kenshin aveva risvegliato in lei. Si alzò e, tenendo il capo chino, con passo lento, uscì.
Aveva una gran voglia di massacrare qualcuno. Gli capitava sempre di provare quel desiderio quando il passato tornava
ad ossessionarla, con le sue grida cariche di rabbia e dolore. Ma, ormai, in quell’epoca d’apparente pace, non c’erano più
Shinsengumi o nemici da uccidere. Non poteva certo assassinare delle persone innocenti solo per placare il suo sconforto.
Così, cercando di calmarsi, affondò il viso in un catino pieno d’acqua gelida. Intanto, Kenshin non si mosse. Rimase solo,
nella gran palestra, seduto nella stessa posizione in cui i suoi compagni l’avevano lasciato. Ad un tratto, le spalle gli
tremarono leggermente ed il suo viso sembrò solcato da una lacrima.
Nel frattempo, nella casetta immersa nelle campagne limitrofe alla città di Yokohama, il covo dei vendicatori comandati
da Azuma Kiyosato, c’era un’atmosfera di pesante impazienza. Per ingannare il tempo e calmare gli istinti omicidi,
Kurokage affilava la sua kusarikama; il bestione lucidava il suo Cannone Armstrong; Takezo Shimada sembrava dormire;
Ayame Otowa era sdraiata su una stuoia e Sasuke Seikaku era appoggiato ad una parete, con le braccia incrociate.
“Hei Azuma! Sono stufo di aspettare, quando attaccheremo nuovamente Battosai? Non vedo l’ora di massacrarlo con
questi miei pugni.” affermò il giovane lottatore, fremente d’impazienza, battendo i pugni l’uno contro l’altro. “Sei troppo
impaziente, Sasuke.” lo rimproverò Kiyosato, seduto in un angolo buio, al riparo dai raggi cocenti del sole, mentre si
accendeva una sigaretta. “Quando il nostro settimo compagno ci darà il segnale, attaccheremo. Dobbiamo essere
pazienti.” aggiunse e l’unico occhio sano gli brillò di furore ed eccitazione. “E’ da molto che quel bastardo sta con
Battosai fingendosi un suo compagno, siamo sicuri con non si sia fatto plagiare dai suoi sofismi?”domandò, scettica,
Ayame, alzandosi dal suo giaciglio. “Stai tranquilla, è un uomo d’onore, non ci tradirà.” le rispose Azuma buttando fuori
del fumo dalla bocca. Chi poteva mai essere quel fantomatico settimo compagno? Molti odiavano Kenshin, basti pensare
che anche fra i suoi stessi compagni si erano creati tentativi di vendetta a suo danno. Sanosuke Sagara, ad esempio, prima
di diventare amico del samurai, l’aveva sfidato a duello nel tentativo di vendicare l’onore dei Sekihoutai e la morte del
suo comandante, Sozou Sagara. Ma anche gli altri potevano avere dei motivi, più o meno validi, per odiarlo: Yahiko
faceva parte di una banda di mafiosi e, essendo figlio di un samurai fedele al Bakufu, poteva avere qualche desiderio
vendicativo; Enishi, a causa del samurai, aveva perso la tanto amata sorella; Hinabiki poteva odiarlo per motivi
passionali, non era mai stata ricambiata da Kenshin, nonostante lei lo amasse con tutta se stessa. Senza dimenticare Aoshi
e gli altri Oniwabanshu che, per motivi politici, potevano attentare alla sua vita. Forse l’unica che non provava rancore
nei suoi confronti, era Kaoru Kamiya. Ma chi, fra Sanosuke Sagara, Hinabiki Sekigawa, Yahiko Myojin, Enishi
Yukishiro, Aoshi Shinomori e gli altri Oniwabanshu era, in realtà, il misterioso settimo compagno inviato da Azuma
Kiyosato? Intanto, Kenshin, senza sospettare nulla, vedendo che i suoi compagni si erano radunati nuovamente intorno a
lui, riprese a raccontare. “Dopo esserci sposati seguendo le consuete formalità, passammo la notte insieme, dopodiché
partii.“ narrò, sorseggiando del tè. Kaoru sentì il cuore batterle forte, mentre il suo viso si faceva paonazzo. Quanto
avrebbe voluto trovarsi nei panni di Tomoe in quell’occasione! Kenshin, invece, nel ricordare quell’avvenimento tanto
importante, arrossì. Prima di allora non sapeva neanche come fosse fatto il corpo di una donna! Si poteva definirlo un
ragazzo vergine sia nel corpo sia nell’animo. Tomoe, al contrario, aveva già avuto rapporti sessuali con il suo promesso, e
sapeva bene come comportarsi. Fu lei a prendere l’iniziativa, trascinando Kenshin in un turbine di passioni a lui
sconosciute. Hinabiki, quella stessa sera, si era riproposta di recarsi da Kenshin per informarlo degli ultimi dettagli sulla
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campagna militare che avrebbero affrontato. Senza sospettare nulla, si accinse ad aprire il fusuma della camera del
samurai, quando i rumori che udì la sconvolsero a tal punto che corse via con le lacrime agli occhi. Non poteva crederci.
Kenshin, il suo amato Kenshin stava facendo l’amore con una donna! Una donna che non era lei! Una donna che non
sarebbe mai potuta essere lei. Già, poiché Hinabiki non era una donna, era un samurai. Era così disperata che non sapeva
che fare. Erano solo le nove di sera, ma non se la sentiva di tornare dai suoi compagni e così restò a girovagare, senza
meta, per le vie della città. Dopo un’ora, stanca di camminare, entrò in un’osteria, cercò di ubriacarsi, ma, per quanto sakè
trangugiasse, restava sempre sobria. Sconsolata e terribilmente seccata, Hinabiki gettò alcune monete sul tavolo ed uscì.
Le strade erano buie e l’aria, nonostante settembre fosse appena cominciato, aveva già un vago odore autunnale. Mentre
camminava, stancamente, senza meta, fu fermata da un gruppo di quattro robusti uomini. “Hei moccioso! Dove te ne vai
a quest’ora della notte?” la schernì uno :”Non lo sai che i bambini come te a quest’ora dovrebbero già essere a dormire da
un pezzo?” aggiunse un altro, provocando le risate dei suoi compagni. “Vi conviene lasciarmi passare. Questa sera mi
sento terribilmente irritato. Se tenete alla vostra vita, vi conviene andarvene subito.” li minacciò lei, senza degnare i
quattro tangheri di uno sguardo. Questi non si curarono delle sue parole e, ignorando il pericolo che stavano correndo,
ripresero a canzonarla fra sboccate risate. “Ma sentitelo! Tu, piscialletto, osi minacciarci?! Evidentemente non sai con chi
hai a che fare.” “Noi siamo i più valorosi samurai dell’esercito shogunale! Devi portarci rispetto!” affermarono pieni di
tracotanza. Hina ridacchiò, una risata arrogante, quasi sadica. “E così siete dell’esercito shogunale! Bene! Molto bene!
Almeno ho un valido motivo per uccidervi!” sostenne alzando il capo. I suoi occhi brillavano d’eccitazione; il suo sorriso
peccava d’arroganza; le dita fremevano, desiderosa d’impugnare la katana. Uno dei quattro samurai sobbalzò, iniziando a
sudare freddo ed a tremare. Aveva visto la profonda ed inconfondibile cicatrice che solcava la gola della combattente ma
ormai era troppo tardi per fuggire. “Tsu…Tsu…Tsuki Hijin!” urlò in preda al panico :”Cosa?!Ma è solo un moccioso!”
esclamò un altro, cominciando ad allarmarsi :”La cicatrice sul collo! È proprio lui!” costatò un altro ancora, pronto ad
estrarre la spada. “Esatto!” sibilò Hinabiki partendo all’attacco con una velocità inaudita. La sua prima vittima non fece
nemmeno in tempo a capire cosa stesse accadendo che la sua testa stava rotolando sul terreno, seguita da una scia di
sangue. In breve anche gli altri furono sistemati senza alcuna pietà. Una pioggia rossa si abbatté nuovamente su Kyoto.
Hinabiki, tutta sporca di sangue, era priva di ferite e, nonostante la violenza dello scontro, il suo fiato non era per nulla
affannoso. Tutt’un tratto scoppiò a ridere, presa dall’eccitazione. Si sentiva meglio, veramente. Forse stava impazzendo,
ma, in quel momento, non le importava affatto. La sua mente ed il suo cuore erano pervasi da una sadica gioia che la
portava a ridere sempre più forte. Sembrava proprio un demone sanguinario.
Una volta dissipata quella perversa letizia, però, si sentì di nuovo vuota, forse ancor più di prima. Ormai non le bastava
più uccidere per sentirsi appagata e la sua sete di sangue aumentava sempre più. Solo il suo incrollabile orgoglio di
samurai le impediva di trasformarsi in una belva.
Mancava un quarto alla mezzanotte quando Kenshin, dopo un breve sonnellino, si alzò. Tomoe dormiva profondamente,
con le rosee e lisce braccia che uscivano dal leggero lenzuolo con il quale era coperta. Sembrava una bambina.
Vedendola, il samurai non poté fare a meno di sorridere, provando una profonda tenerezza, e si chinò a baciarle la fronte.
Dopodiché si rivestì e lasciò la stanza. I suoi compagni lo stavano aspettando nel cortile e, al suo arrivo, s’incamminarono
verso il luogo dell’appuntamento. Hinabiki ed i suoi erano già là ad attenderli. La ragazza era ancora sporca di sangue,
non aveva avuto né il tempo né la voglia per lavarsi e cambiarsi.
“Dopo cinque giorni di cammino giungemmo ad Ono. Lì ci unimmo agli altri distaccamenti dell’esercito di Choshu e,
dopo una settimana, come previsto, attaccammo l’esercito del Bakufu. Fu una dura battaglia, ma, alla fine, andò tutto
secondo i nostri piani. Riuscimmo ad assediare gli avversari a Hiroshima e, in seguito ad una breve lotta, li costringemmo
alla resa. Ottobre era già iniziato quando tornammo a Kyoto”. Tomoe fu la prima a sapere del loro ritorno e, impaziente,
aspettò il suo amato alle porte della città. Seguì un breve periodo di pace. Gli Shinsengumi non smisero di dare la caccia
ai samurai ambiziosi, ma, essendo ancora sconvolti dalla recente e del tutto inaspettata sconfitta del Bakufu, agirono con
cautela, perdendo molto tempo nella preparazione di piani d’attacco efficienti. Non potevano più permettersi di perdere.
Pian, piano l’autunno lasciò il posto al freddo inverno. Le montagne circostanti Kyoto cominciarono a coprirsi di neve e
l’aria si fece gelida. “Speriamo che gli attacchi degli Shinsengumi diminuiscano ancora. Con questo freddo non credo
proprio che si metteranno in azione.” affermò Tomoe servendo del caldo tè al suo sposo, seduto sul tatami con la spada
poggiata al suo fianco, come di consueto. “Non ci sperare.” Sostenne lui con un sorriso amaro, afferrando la tazzina di
terracotta :”Quella è gente che pur di raggiungere lo scopo prefissato è pronta a tutto. Non sarà certo il freddo a fermarli.”
la bevanda ambrata che gli scese, bollente, giù per la gola, riscaldando tutte le sue membra infreddolite. “Se quel che dici
è vero, perché non vi hanno più attaccati?”gli domandò Tomoe, sedendosi al suo fianco :”Probabilmente staranno
organizzando un piano per colpirci di sorpresa. Dopo la nostra vittoria a Hiroshima sono diventati molto prudenti, e,
forse, anche più pericolosi.” le rispose lui mentre lo sguardo gli si fece serio e cupo. Tomoe, invece, non tradì
alcun’emozione e prese a bere il suo tè.
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Dicembre. La neve imbiancò anche le strade di Kyoto. Lasciando delle leggere impronte sul candido manto, un paio
di waragi corsero per una delle principali vie della città. Appartenevano ad un basso samurai, indossante un largo
kimono scuro ed un ampio cappello di paglia ben calcato sul viso. Portava un daisho fisso al fianco sinistro. Correva
come un cavallo al galoppo, affondando, leggermente, i sandali nella neve fresca. Sembrava dirigersi verso il covo
dei samurai di Choshu comandati da Kenshin. “Questa neve rimarrà fino a primavera. Sarà un lungo inverno.”
costatò Kenshin guardando la città innevata dalla finestra della sua stanza, mentre Tomoe rammendava un paio di
calzini. In quel mentre, il samurai dal gran cappello entrò, con enfasi, nella camera. Aveva le calze bagnate fradice, i
waragi li aveva lasciati, educatamente, all’ingresso. Dalle spalle gli colavano fredde gocce di neve sciolta.
Ansimante, il giovane si tolse il cappello e mostrò il suo viso, che Kenshin subito riconobbe. “Hina?!”esclamò,
correggendosi all’istante, Tomoe non doveva sapere. “Tsuki Hijin, che cosa è successo?!”le domandò con ansia,
avvicinandosi a lei, notando che era proprio bagnata come un pulcino. “Tomoe, va a preparare del tè caldo e porta
anche degli asciugamani, per favore.” chiese alla moglie che, rapidamente, si allontanò. “Eh, quante inutili premure!
Sai bene che non soffro né, tanto meno, temo il freddo.” affermò Hinabiki con un quel pizzico d’arroganza che
caratterizzava ogni sua azione. “Certo che lo so. Era solo una scusa per far allontanare Tomoe senza farla
preoccupare.” ribatté Kenshin, ed entrambi si sedettero sul tatami. “Che cosa è successo? Per farti correre come una
forsennata fin qui, deve proprio trattarsi di una cosa importante.” sostenne l’assassino mostrando un sorriso, anche
se il suo sguardo era terribilmente serio, quasi gelido. “Abbiamo ricevuto una soffiata. Un gruppo di ribelli, alleati
con gli Shinsengumi, ha intenzione di attaccarci, questa notte.” spiegò la ragazza, calmando l’affanno, mentre le
guance le si fecero paonazze per la differenza di calore. Kenshin non sembrava particolarmente turbato, ma non
sottovalutava nemmeno l’accaduto. “Tutta quest’agitazione per un gruppo di rivoltosi? È strano. C’è qualcosa di più
grosso sotto, vero?”. La guerriera annuì. “Sono dotati d’armi da fuoco occidentali, alcune anche di grosso calibro.
Dobbiamo agire prima di loro o potrebbero crearci seri problemi.” “Il signor Katsura ne è al corrente?” “Sì, l’ ho
fatto avvertire appena ho ricevuto la notizia. Una delle sue guardie del corpo mi ha recapitato questa lettera. È
indirizzata solo a noi due.” così dicendo, Hinabiki estrasse una lettera dal suo kimono, porgendola al compagno. In
quel mentre rientrò Tomoe e, capendo d’esser di troppo, lasciò il vassoio e gli asciugamani vicino al fusuma prima
di allontanarsi. Solo allora Kenshin lesse attentamente la lettera. Doveva uccidere qualcuno, questo l’aveva intuito
subito, bastava guardare il colore della busta per capirlo. Ogni qualvolta che gli veniva recapitata una busta nera, una
pioggia di sangue si abbatteva su Kyoto. Mentre leggeva, Hinabiki lo vide sussultare e sgranare gli occhi. Lei sapeva
e, distogliendo lo sguardo, prese a sorseggiare il suo tè, anche se avrebbe preferito bere qualcosa di più forte, come
del sakè, ad esempio. “Yukishiro?! Takehide Yukishiro di Edo? Ma…” “Si, è come pensi. Ho svolto delle rapide
ricerche e sono riuscita a scoprire che si tratta proprio del padre di Enishi e Tomoe”. Hina pronunciò a fatica il nome
della donna, cercando di reprimere uno sprazzo d’odio. “Ed io dovrei ucciderlo?!”esclamò :”Sì, è lui il fornitore dei
ribelli nonché organizzatore dell’intera operazione. È entrato a far parte dello Shinsengumi da un anno a questa
parte. Se non eliminiamo lui, potremo scongiurare quest’agguato, ma altri ne seguiranno e, stanne certo, saranno
sempre più pericolosi.” annuì Hinabiki, nascondendo la bocca dietro alla tazzina. Kenshin si alzò, era inquieto.
Aveva già ucciso il promesso di Tomoe, se le avesse tolto anche il padre, di sicuro avrebbe aperto una nuova ferita
nel cuore dell’amata, che difficilmente si sarebbe richiusa. Non poteva farlo, non poteva farla soffrire ancora. Ma se
avesse rifiutato gli ordini, sarebbero stati i suoi compagni a trovarsi in pericolo. “Ucciderlo o non ucciderlo, la scelta
spetta a te. Ma sappi che se non sarai tu a farlo, lo farò io, anche se, mi spiace ammetterlo, ma tenendo conto che
dovrei vedermela con, almeno, una cinquantina di soldati armati di moschetti ed altre diavolerie, da sola sarà
difficile che riesca ad uscirne viva. Non ho paura di morire ma, se dovessi fallire, i nostri eserciti si troverebbero in
grave pericolo. Inoltre non posso contare sull’aiuto di Ushizo, di Enishi o di chiunque altro, poiché non sarebbero
mai all’altezza di questo compito. Non possiamo permetterci una sconfitta proprio ora che le cose stanno andando
come vogliamo. Tienilo a mente.” affermò Hinabiki voltando le spalle al compagno, pronta ad andarsene. “Decidi in
fretta, dovremmo agire appena calerà il sole. Mi affido al tuo buon senso.” concluse chiudendosi il fusuma alle
spalle. E così Kenshin rimase solo, con i suoi dubbi e le sue paure. Camminò su e giù per la stanza per una buona
mezz’ora, prima di decidersi a chiedere consiglio ad Enishi, l’uomo di cui si fidava di più, dopo Hinabiki, s’intende.
“Bastardo di un genitore!”imprecò il samurai non appena venne a sapere del piano organizzato dal padre, rompendo
il bicchierino per il sakè che teneva fra le dita. Era proprio furibondo. “Già ha rovinato l’esistenza mia, di Tomoe e
della mamma con la sua ossessiva fedeltà al Bakufu. Ora vuole attentare pure a quella dei poveri cittadini di questa
disgraziata città. Non hanno forse già patito abbastanza?!”. Si attaccò alla caraffa del sakè, trangugiandone una
buona dose. “Calmati Enishi. Non sei degno di te.” l’invitò Kenshin con serietà. Il compagno capì d’aver esagerato e
cercò di ricomporsi. “Scusami, ma tra me e mio padre non è mai corso buon sangue. Non gli ho mai perdonato
d’aver costretto mia sorella a fidanzarsi con Kiyosato. Non perché ce l’avessi in modo particolare con lui, ma perché
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sapevo che non sarebbe mai stato in grado di difendere la felicità di Tomoe. Non era pronto per combattere una
guerra sanguinosa come questa, infatti è stato ucciso quasi subito, facendo soffrire la mia cara sorella.” strinse i
pugni :”Se non fosse stato per mio padre, Tomoe si sarebbe innamorata di un altro uomo e, forse, non avrebbe
sofferto.” cercò di rilassarsi respirando profondamente, doveva imparare a controllare la sua rabbia. “Comunque,
devi obbedire agli ordini, Kenshin. Tsuki Hijin è forte, ma da solo può fare ben poco. Tu e lui siete i migliori
assassini di quest’epoca di pazzia, e solo se agirete in coppia sarete in grado di scongiurare una strage.” “E Tomoe?
Non posso ferirla di nuovo!”. Kenshin scattò in piedi ed Enishi gli si avvicinò, poggiandogli una mano su una spalla.
Capiva il suo stato di turbamento, ed era pronto a sostenerlo con tutte le sue forze. Doveva infondergli coraggio ed
aiutarlo a prendere la decisione giusta. In fondo a quello servivano gli amici. “Smettila di sentirti colpevole. Tu hai
ucciso Kiyosato perché lui si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Era un tuo nemico, basta. Smettila di
cercare inutili giustificazioni. Tomoe si è già ripresa, solo grazie a te è tornata a sorridere. Ma se tu ora non accetti
l’incarico che ti è stato assegnato, non solo noi tutti, ma anche l’avvenire della nuova epoca sarà in pericolo.” “A
quanto pare non ho altra scelta .”sospirò Kenshin dopo un lungo silenzio. Nonostante lo sguardo deciso, nel
profondo del suo cuore si sentiva ancora turbato ed aveva mille dubbi, ma, ormai non poteva più tornare indietro.
“Tomoe, un giorno la smetterò di farti soffrire.” pensò chiudendo gli occhi, rivedendo il volto dell’amata rigato dalle
lacrime. E così Kenshin andò a dare la notizia a Hinabiki, tornando a casa nel tardo pomeriggio. Mangiò in fretta e,
dopo essersi preparato, uscì. Mentì a Tomoe, dicendole che doveva svolgere solo uno dei suoi soliti “lavoretti”, e
lasciò la lettera inviatogli da Katsura sulla scrivania. Faceva davvero freddo quella sera, e la neve scendeva lenta ed
incessante. Il samurai s’incontrò con Hinabiki nei pressi del covo dei ribelli. Si misero d’accordo sul da farsi: mentre
la guerriera si sarebbe occupata dei rivoltosi, Kenshin si sarebbe recato dal capo, Takehide Yukishiro. Tutto
sembrava andare secondo i loro piani, ma quando Kenshin entrò, furtivamente, nella camera del signor Yukishiro,
con sua grande sorpresa, non vi trovò nessuno. Capì in un solo istante che si trattava di una trappola, ma ormai era
troppo tardi. Che stupidi erano stati a cascarci! Sospettoso si guardò attorno ed annusò l’aria. C’era odore di polvere
da sparo! Doveva uscire da quella stanza al più presto! Cercò la finestra più vicina e si gettò, senza esitazioni, nel
vuoto. In quel preciso istante, l’intera abitazione esplose. Kenshin riuscì a scendere in piedi, e strisciò per qualche
metro sulla neve fresca prima di fermarsi. Allora alzò lo sguardo, una densa colonna di fumo si alzava dalla
costruzione in fiamme. “Hina!” urlò preso dall’ansia, non riuscendo a scorgere, da nessuna parte, la figura della
compagnia. Si mise a correre verso l’abitazione, doveva salvare Hinabiki! Ma un numeroso gruppo di uomini armati
fino ai denti gli si parò dinnanzi, impedendogli di proseguire. Erano tutte persone comuni, armati di fucili e
baionette. Kenshin sentì una rabbia irrefrenabile crescergli dentro. Strinse l’elsa della katana mentre i suoi occhi si
fecero gelidi, inquietanti. Stava per partire all’attacco, quando una lama mozzò le teste di due ribelli. Era opera di
Hinabiki, questo Kenshin, con un sospiro di sollievo, lo capì subito. Infatti, la ragazza, tutta sporca di fuliggine e con
il kimono leggermente bruciacchiato, balzò al suo fianco. Il sangue che colava dalla sua spada macchiò la neve di
rosso. “Ci hanno fregati per bene. Bastardi! Ma ora se ne pentiranno amaramente!”sostenne la guerriera, pronta a
colpire ancora. Kenshin annuì.
Nel frattempo, Tomoe, udendo l’eco del sordo rumore dell’esplosione, si alzò di scatto e, preoccupata, si precipito
alla finestra. Una colonna di fumo nero s’alzava poco fuori città. Una folata di vento gelido entrò nella stanza dalla
finestra aperta, buttando all’aria tutti i fogli che si trovavano sulla scrivania di Kenshin. Tomoe, infreddolita, chiuse
subito e, rapidamente, si mise a raccogliere le carte sparse per tutta la camera. Tra esse vi era la lettera di Katsura,
che, a causa del vento, si era aperta. La ragazza la prese e, senza volere, l’occhio le cadde a leggere il nome del
padre. Presa dallo sgomento e dalla curiosità si mise a leggerla. Sapeva di fare una cosa poco leale, ma non riuscì a
trattenersi. Doveva sapere. Dopo poco, il foglio le scivolò via dalle mani tremanti. Gli occhi le luccicarono di
lacrime e, con un’espressione sconvolta stampata sul viso, si vestì, prese il suo pesante scialle viola ed uscì in tutta
fretta. L’uomo che amava doveva uccidere suo padre?! Era assurdo! E se si fossero uccisi a vicenda? Non voleva
perdere un’altra volta una persona che amava. Doveva fermarli ad ogni costo! I suoi sandali affondavano nell’alta
neve, le calze le s’infradiciarono ed i fiocchi, che scendevano incessanti, le si fermarono sui lunghi capelli scuri. Ma
lei non se ne curò, pensava solo a correre più velocemente che poteva. Doveva fare presto…presto! Intanto, Kenshin
e Hinabiki si destreggiavano abilmente con le loro spade, uccidendo, uno dopo l’altro tutti coloro che osavano
attaccarli. Ad un tratto :”Siete abili, devo ammetterlo. La vostra fama è ben meritata.” un roca voce maschile
interruppe la battaglia ed, in un lampo, Hinabiki e Kenshin si trovarono circondati. Mentre studiavano la situazione,
un uomo dall’aspetto possente, nonostante la corta chioma argentata, si fece largo fra i ribelli. Indossava il tipico
kimono degli Shinsengumi. “Siete Takehide Yukishiro, vero? Allora sarete voi il mio avversario. Vi ucciderò per il
bene della nuova epoca.” affermò Kenshin con determinazione, puntando la spada contro l’uomo. I due si
squadrarono, in silenzio, per un lungo istante. Il tempo sembrava essersi fermato. Nel guardare il signor Yukishiro,
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Kenshin credette di vedere Enishi, tanto i due si rassomigliavano. Strinse l’elsa della spada, non poteva fermarsi
proprio ora. Non doveva esitare! Nel frattempo, Hinabiki se la doveva vedere con il gruppo di ribelli. “Kenshin!
Uccidilo!”urlò cercando di spronare l’amico, mentre infilzò un giovane avversario. In quel preciso istante, i due
contendenti partirono all’attacco. Le loro spade cozzarono violentemente, producendo deboli scintille. Intanto,
Tomoe continuava a correre e, in breve, giunse nel luogo dello scontro. Vide Hinabiki battersi come una furia, ma
passò oltre, doveva trovare Kenshin e fermarlo! Girò la testa a destra ed a sinistra diverse volte prima di scorgere la
sagoma dell’amato. Subito non riuscì a riconoscere l’uomo contro cui stava combattendo. Facendosi largo fra i corpi
esanimi dei ribelli, riprese a correre. Man mano che si avvicinava, i suoi occhi riconobbero la figura possente del
padre. Con un filo di voce affannosa cercò d’interrompere lo scontro. “Fermatevi!”ma nessuno udì il suo disperato
appello. Tentando di calmarsi prese un profondo respiro, ed urlò con tutto il fiato che le restava nei polmoni :”Padre!
Kenshin! Vi prego fermatevi!”. Questa volta la sua voce venne recepita da entrambi i contendenti, che interruppero
lo scontro e si voltarono verso di lei. Kenshin, nel guardarla, quasi si dimenticò del suo rivale. Dalle sue guance
paonazze e dal respiro affannoso, capì che era corsa di gran lena fin lì, incurante del freddo. Anche il signor
Yukishiro si fermò a guardarla esterrefatto. “Tomoe?”sussurrò, dubbioso. Lei annuì e gli si avvicinò. Takehide la
tirò a sé, abbracciandola. Quella scena impietosì Kenshin, che fu tentato di rifoderare la spada ed andarsene, ma
dovette resistere. Ormai aveva preso la sua decisione, non poteva più tornare indietro. “Cara Tomoe, per fortuna sei
viva. Non sai quanto ci hai fatto stare in pensiero.” affermò il signor Yukishiro baciando i profumati capelli della
figlia :”Mi dispiace padre.” si limitò a sussurrare lei, con un’espressione indecifrabile. “Quel dannato Hitokiri
Battosai dei samurai di Choshu! Se non fosse stato per lui ora saresti felicemente sposata”. Nell’udire quelle parole,
Tomoe si allontanò, lentamente, dall’abbraccio del padre e, indietreggiando, s’avvicinò a Kenshin. Lo Shinsengumi
sembrò sorpreso. “Padre, perché sei entrato a far parte dei Lupi di Mibu?”gli domandò la figlia con decisione,
guardandolo dritto negli occhi con sguardo accusatorio :”Perché mi fai questa domanda? E poi cosa significa
quell’espressione d’accusa? Anche se sono un mercante questo non m’impedisce di proteggere la mia patria dai
ribelli. Come giapponese ho il dovere di difendere il sacro Giappone dai gaijin profanatori!”gli rispose con enfasi.
Tomoe scosse il capo :”Allora non comprenderai la mia scelta.” “Cosa vuoi dire?”. Il signor Yukishiro sembrava
alquanto seccato e dubbioso, mentre la sua adorata figlia si avvicinava sempre più a Battosai, il ribelle bastardo.
“Padre, io ho sposato colui che mi tolse la felicità uccidendo il mio promesso. Ora, insieme a lui, ho ritrovato la
gioia. Non ti permetterò di ucciderlo.” sostenne con un’incredibile determinazione, stringendo la mano sinistra dello
sposo. Il signor Yukishiro subito sorrise, ripetendosi che doveva per forza trattarsi di uno scherzo, poi, in un raptus
di follia, i suoi occhi s’infiammarono d’odio. “Tu…Puttana di una figlia!”sbraitò lanciandosi con la katana in pugno
contro Tomoe, ma Kenshin, senza troppi problemi, fermò il suo fendente. Poi invitò la moglie ad allontanarsi.
“Togliti di mezzo, bastardo!” urlò Yukishiro, furente d’ira. “Sono venuto qui per ucciderti, e sappi che se dico che ti
ammazzo, la tua morte è assolutamente certa!” ribatté l’assassino con occhi di ghiaccio. “Presuntuoso.” digrignò lo
Shinsengumi riprendendo ad attaccare con furia il nemico. Fra i due iniziò una serrata lotta. Takehide Yukishiro era
abile, troppo abile per essere un commerciante. Un affondo! Kenshin lo schivo balzando e :”Hiten Mitsurugi Ryu!
Ryu Kansen Zan!”ruotò su se stesso, infliggendo un fendente circolare al fianco nemico. Lo Shinsengumi sarebbe
morto tagliato in due se non avesse avuto l’accortezza di spostarsi. Ma non riuscì a schivare del tutto il colpo, infatti
venne ferito di striscio all’altezza della milza. Senza scoraggiarsi attaccò con furia Kenshin che, sorpreso di non
essere riuscito ad ammazzarlo, non riuscì ad evitare un affondo che quasi gli trapassò la spalla destra. “Kenshin!”
urlò Tomoe che, mossa da coraggio o stupidità, gli si parò dinnanzi. “Ti prego padre, non ucciderlo!” supplicò il
genitore mettendosi in ginocchio sulla fredda neve. Egli rimase a guardarla, in silenzio, per qualche istante.
Sembrava essersi calmato ma, all’improvviso, con un movimento fulmineo, tirò violentemente la figlia verso di sé,
minacciandola, poi, con la lama della spada puntata al collo. “Padre, che cosa vuoi fare?”gli domandò lei senza
mostrare il minimo timore :”Taci!” le ordinò accarezzandole la gola con il gelido metallo della katana. Kenshin era
fuori di sé per la rabbia. Digrignava i denti ed i suoi occhi brillarono di una luce sinistra, generata dal profondo odio
che provava. “Ucciditi! Ucciditi dannato ribelle bastardo! Se non lo farai, mozzerò il capo della tua cara moglie!”
sbraitò il signor Yukishiro preso dalla follia, ormai aveva completamente perso il senno. “Devi morire! Tu meriti
soltanto di morire! Ma non per mano mia…no…non mi sporcherei mai le mani con il sangue di un bastardo come
te! Ucciditi con le tue stesse mani! Si…devi soffrire per le colpe di cui ti sei macchiato. Hai ucciso il mio futuro
genero e plagiato la mente disperata della mia povera figlia! Muori! Muori! Muori!”. “Padre smettila! Ti stai
comportando come un folle!” l’ammonì Tomoe con severità. “Zitta! Zitta! Zitta! Non devi parlare!”gridò l’uomo
con occhi iniettati di sangue, schiaffeggiandola. Kenshin avrebbe voluto decapitarlo in quel preciso istante, ma
dovette trattenersi, avrebbe potuto coinvolgere Tomoe. “Forza! Ucciditi! Inginocchiati ed ucciditi!”fu l’ennesimo
ordine, ma il samurai non batté ciglio. “Merito di morire, hai ragione, ma non ho alcuna intenzione di uccidermi o
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farmi uccidere ora. Devo proteggere la felicità di Tomoe. Se ora me ne andassi, lei soffrirebbe ed io non voglio
infliggerle altri dolori.” affermò con determinazione, mandando ancor di più su tutte le furie il signor Yukishiro, che
strinse talmente i denti da ferirsi le labbra con i canini. “Come puoi renderla felice tu! Dannato figlio di un
cane!”urlò spingendo via la figlia da se, che cadde sulla soffice neve, poi tornò ad attaccare Kenshin. Questi parò il
suo fendente, ma lo Shinsengumi non si arrese e, da una delle sue ampie maniche, estrasse una piccola pistola.
Tomoe riuscì subito a scorgerla, mentre Kenshin, che aveva il campo visivo quasi totalmente occupato dalla mano
che il rivale gli pigiava sul viso, non la vide. Yukishiro stava per premere il grilletto, quando Tomoe si alzò di scatto
e corse verso di lui. Kenshin avvertì il pericolo, cercò di liberare la vista, ma non ci riuscì.
Bang!
Il silenzio piombò sul campo di battaglia. Kenshin vide tutto nero, non si era accorto d’aver istintivamente chiuso gli
occhi. Un dolce profumo gli giunse alle narici. Era l’odore dei capelli di Tomoe. Sentendolo, il samurai fu indotto ad
aprire gli occhi. Continuò a vedere tutto buio, credeva d’essere morto. Batté più volte le palpebre, e solo dopo
qualche minuto si accorse che il nero che vedeva altro non erano che i capelli della moglie che gli ricadevano sul
viso. Solo allora cominciò a capire. Tomoe era stesa sopra di lui, dividendolo dal signor Yukishiro, però non
comprese altro. Non sapeva cosa fosse successo in realtà. In quel mentre Hinabiki, che nel frattempo era riuscita a
sconfiggere tutti i suoi avversari o a metterli in fuga, vedendo che Takehide Yukishiro era ancora vivo, corse verso
di lui e, senza pietà, lo decapitò. Poi, preoccupata cercò di costatare le condizioni di Kenshin, quasi dimenticandosi
di Tomoe che era stesa sopra di lui. Vide la mano sinistra del compagno muoversi, e si rasserenò. “E’ ancora vivo .”
pensò sospirando, ma solo quando cercò di liberarlo dal peso di Tomoe, si rese conto che la ragazza respirava a
malapena ed aveva una profonda ferita d’arma da fuoco all’altezza dell’addome. Era svenuta e perdeva molto
sangue. Cercare di tamponare una ferita così profonda era impossibile, non aveva scampo, con tanti anni di
esperienza in battaglia, purtroppo, l’occhio di Hinabiki si era abituato a far cernita dei feriti.
Intanto Kenshin spostò, delicatamente, il corpo dell’amata e rivide il pallido candore della neve. Hinabiki rimase in
silenzio, non aveva il coraggio di dirgli cos’era accaduto. L’assassino scorse del sangue sul suo petto, tastò per
vedere se aveva qualche ferita, ma non sentì dolore. Poi alzò lo sguardo e si rese, finalmente, conto di quanto era
successo. “Tomoe!” urlò disperato prendendo la moglie fra le braccia. Respirava a fatica, ma era ancora viva e,
sentendo il calore del corpo dello sposo, riprese, lentamente, conoscenza. “Kenshin…per fortuna sei salvo…”sibilò
con un sorriso, lui aveva le lacrime agli occhi per il sollievo. Era ancora viva! Non si era ancora accorto della
mortale ferita che le lacerava il ventre. “Va tutto bene, Tomoe, ormai è tutto finito. È tutto finito.” le sussurrò,
dolcemente, vedendo la testa del signor Yukishiro accanto ai piedi di Hinabiki. “Già…va tutto bene…ugh!” gemette
lei sentendo una fitta di dolore. Kenshin, preoccupandosi, si sporse e finalmente notò la profonda ferita sul ventre
dell’amata. “No…no…no! Che cosa hai fatto, Tomoe!”sbraitò, sconvolto. Lei gli sorrise e cercò di rassicurarlo
accarezzandogli il viso con una gelida mano. “Non potevo permettere che morissi. Non dovevi fare la stessa fine di
Kiyosato. È andata bene com’è andata, no?” “Non dire così, tu non morirai hai capito! Devi farti forza. Ci sono io
con te e non permetterò a nessuno, nemmeno alla morte in persona, di portarti via da me.” affermò Kenshin
cercando di mantenere ferma la voce. Sapeva che quella ferita non le avrebbe lasciato scampo, ma s’illudeva di
poterla ancora salvare, anche se non sapeva come. Ad ogni modo, tutto si sarebbe aggiustato, si, la loro storia non
poteva terminare in modo tanto atroce. Solo nelle tragedie rappresentate nei teatri finiva così. Tomoe si sarebbe
salvata senza alcun dubbio. Già… Con le sue ultime energie, la giovane prese tra le mani la spada dello sposo,
sorprendendolo. “La cicatrice che hai sulla guancia, te la fece Kiyosato, non è vero?”, lui annuì. “Allora se tutto è
cominciato da una cicatrice…”e puntò la punta della katana verso la guancia sinistra dell’amato :”…Tutto finirà con
una cicatrice.” così dicendo segnò, per sempre, la pelle di Kenshin con una ferita orizzontale che, insieme alla
vecchia cicatrice, formò una croce. La famosa cicatrice a forma di croce sulla guancia sinistra. “Kenshin, io sono
sicura che un giorno riuscirai a realizzare il tuo sogno, e proteggerai la gente senza uccidere più nessuno. Vivrai
serenamente e t’innamorerai di nuovo.” affermò Tomoe sforzandosi di sorridere, nonostante il notevole sforzo che
faceva a parlare. A Kenshin salirono le lacrime agli occhi. “Non dire così. Vedrai che tutto si aggiusterà.” sussurrò
con voce tremante. La ragazza gli annuì e, sentendo che la morte stava per portare via la sua anima, pronunciò le sue
ultime parole. “Kenshin…stringimi…ho tanto freddo”. Lui l’avvicinò al suo petto e, cullandola dolcemente, cercò di
riscaldarla. Lei chiuse gli occhi e si addormentò per sempre. Solo dopo molti minuti Kenshin, sentendo che il corpo
di lei si era fatto sempre più pesante e freddo, cominciò a scuoterla. “Tomoe, svegliati. Ti prego, apri gli occhi. Apri
gli occhi.” sussurrò, quasi in una supplica con voce tremula ed occhi grondanti di calde lacrime. “Tomoe!” urlò con
tutto il fiato che aveva nei polmoni, prima di scoppiare in uno straziante pianto. Hinabiki distolse lo sguardo,
sforzandosi di trattenere le lacrime. Non soffriva per la morte di Tomoe, ma nel veder il suo amato Kenshin perire
così tanto. Aveva assistito alla tragedia senza poter far nulla. Conosceva bene Kenshin, ma mai l’aveva visto così
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disperato e, sinceramente, non sapeva cosa fare. Sarebbe stato meglio lasciarlo solo con il suo dolore, o cercare di
confortarlo? Alla fine decise di non abbandonarlo, donandogli tutto il suo sostegno. Gli si avvicinò e posò una mano
sulla sua spalla destra, dicendogli :”Se posso fare qualcosa per alleviare il tuo dolore, io sono pronta ad aiutarti.
Chiedimi pure tutto quello di cui hai bisogno”. Seguì un opprimente silenzio, mentre la neve cominciava a scendere
sempre più fredda ed abbondante. La guerriera si pentì d’aver parlato e, mentre si mordeva le labbra per lo sconforto
:”Gr…grazie…”il flebile ringraziamento di Kenshin le giunse alle orecchie, ravvivandole gli occhi di speranza. Ma
:”Grazie Hina…ma vorrei…restare solo…”questa seconda affermazione la ferì più duramente di un fendente. Per
quanto fossero vicini, lei si sentiva terribilmente lontana dal ragazzo che aveva scoperto di amare in quel momento
più che mai. Si sentiva inutile e, con quel dolore nel cuore, decise di andarsene. Aveva già rifoderato la spada,
quando Kenshin si voltò verso di lei. Aveva il volto insanguinato e solcato da mille lacrime. Il cuore di Hinabiki, a
quella pietosa visione, fu stretto da una morsa carica di rammarico e compassione. “Per…per quanto mi sforzi…non
riesco a frenare le lacrime…che samurai indegno che sono…non sono nemmeno riuscito a proteggere il mio unico
amore…sono proprio un fallito…”singhiozzò Kenshin tremando di dolore. Hinabiki aveva visto tanti uomini
piangere durante quel buio periodo di guerra. C’era chi si disperava per la paura di morire o di perdere le persone
care, chi per il dolore di una ferita mortale, ed anche chi aveva visto morire la moglie, i figli o un amico caro. Era un
periodo in cui la morte era la fedele compagna di ogni uomo, ma non ci si abituava mai alla sua presenza, soprattutto
se questa colpiva le persone care. Avrebbe voluto stringerlo a sé, cullarlo sul suo nascente seno, consolarlo con il
calore del suo amore, e dovette lottare per non cedere alla tentazione. Kenshin le aveva chiesto di restare solo, non
doveva più disturbarlo. Così, con un notevole sforzo, stringendo i denti, cominciò ad allontanarsi con passo spedito,
senza voltarsi più indietro. Quando non percepì più la sua presenza, Kenshin sfogò tutto il suo dolore, urlando
disperato fra i singhiozzi che lo scuotevano incessanti.
Rimase lì a cullare il corpo esanime dell’amata sino a notte fonda, incurante del freddo. Quando cominciò a
riprendersi, decise seppellirla. La prese tra le braccia, anche se la spalla destra gli doleva incredibilmente, e
s’incamminò verso il cimitero della città.
-Capitolo 5: La fine della storia –
Erano quasi le quattro del mattino quando Kenshin rientrò. Senza né lavarsi, né cambiarsi, entrò nella sua stanza e rimase
seduto appoggiato ad una parete senza riuscire a dormire. Per giorni restò chiuso nella sua stanza senza bere né mangiare,
rifiutando ogni visita. Circondato da un silenzio irreale, continuava a chiedersi, giorno e notte, perché Tomoe avesse
compiuto un gesto tanto assurdo. Intanto, Enishi, distrutto anch’egli dal dolore, non faceva altro che visitare la tomba
della sorella e, sulla via del ritorno, ubriacarsi in qualche osteria. Era passata quasi una settimana dalla morte di Tomoe,
quando Kenshin ricevette una lettera scritta personalmente dal suo signore, Kogoro Katsura. Niente omicidi misteriosi da
compiere, questa volta la busta era bianca. L’assassino, pur senz’averne alcuna voglia, prese a leggerla. Il leader del
feudo Choshu gli inviava le sue più sincere condoglianze e lo invitava ad incontrarlo segretamente. Avrebbero dovuto
vedersi in un edificio diroccato situato nella periferia della città, al tramonto del 1 gennaio, il giorno seguente. Senza
tradire le sue emozioni, Kenshin ripiegò la lettera e la gettò in un angolo della stanza.
1 gennaio 1867.
Kogoro Katsura, travestito da mendicante, rientrò a Kyoto dopo tre anni d’esilio. La città era ancora in mano agli
Shinsengumi, quindi, non era prudente per il leader del feudo Choshu farsi riconoscere. Come d’accordo si recò
nell’edificio abbandonato dove avrebbe dovuto incontrare Kenshin. Speranzoso rimase lì sino a sera inoltrata, ma
l’assassino non si fece vedere. Stava per andarsene, approfittando del favore delle tenebre, quando un giovane di bassa
statura, dai lunghi capelli, gli si parò dinnanzi. Kogoro gli sorrise, la sua pazienza era stata premiata. Kenshin non era
cambiato molto dall’ultima volta che lui l’aveva visto: stessa altezza, stesso taglio di capelli, stesso abito. Solo la sua
espressione era cambiata, non aveva più quello sguardo vivo, pieno di speranze come quando l’aveva conosciuto. E, poi,
quella cicatrice a forma di croce, chissà come se l’era procurata. “Perdonate il mio ritardo, onorevole Katsura, ma
nemmeno per me è conveniente muovermi alla luce del sole .”affermò Kenshin, inchinandosi al cospetto del suo signore.
Questi gli fece segno di alzarsi ed accomodarsi al suo fianco. “Ho udito la tua storia. La scomparsa della tua consorte mi
addolora profondamente, ma immagino che sarai stufo di sentirti ripetere certe cose, quindi passo subito al sodo .”
Kogoro si fece serio, Kenshin non batté ciglio e, anche se guardava dritto negli occhi il suo interlocutore, il suo sguardo
era spento, assente, privo di qualsiasi emozione. “Gli Shinsengumi sanno troppe cose, ormai, sul tuo conto. Restare a
Kyoto può rappresentare un pericolo sia per te che per i tuoi compagni. Ho deciso, quindi, di mandarti a combattere in
prima linea. L’esercito anti-shogunale necessita della tua forza. Cosa ne pensi?” “Io ho un unico desiderio: proteggere la
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felicità della povera gente .”rispose all’istante Kenshin alzandosi in piedi, dando le spalle al suo signore. Restò per un
istante in silenzio, poi, con un sospiro, riprese :”Non voglio che nessuno al mondo patisca le sofferenze che ho dovuto
sopportare io. Se unirmi all’esercito in prima linea potrà contribuire alla realizzazione del mio sogno ed alla nascita di
un’epoca dominata dalla giustizia, io accetterò la sua proposta. In cambio le chiedo solo una cosa .” così dicendo, il
giovane tornò a guardare gli occhi scuri di Katsura :”Non appena la guerra terminerà, le chiedo di concedermi la grazia di
fare il voto del sokubato. La nuova epoca non avrà più bisogno di assassini .”. Kogoro non sembrò per nulla sorpreso, si
sentì solo avvolgere dalla morsa di un forte senso di colpa. Era stato lui a coinvolgere, sette anni prima, quel giovane dal
cuore speranzoso ed immacolato in quella dolorosa, sanguinosa ed estenuante guerra. Ora il cuore di Kenshin, che
Kogoro considera come un figlio, era stato sporcato dal sangue e dalla sofferenza, non sarebbe mai più tornato lindo
come un tempo. “Shinsaku aveva ragione. Ho rovinato la vita di questo ragazzo, non aveva alcun diritto di coinvolgerlo
in una faccenda più grande di lui. Molto probabilmente non avrò mai l’occasione di chiedergli perdono, l’unica cosa che
posso fare è preservare la sua vita. Non permetterò che muoia, no…per nessuna ragione al mondo .”aveva uno sguardo
deciso Kogoro mentre pensava ciò, guardando le piccole spalle di Kenshin. “Mio signore, è pericoloso per voi restare a
Kyoto. Gli Shinsengumi, nonostante le recenti sconfitte, hanno ancora una rete d’informazioni e di spie molto ramificata
ed efficiente. Per stanotte possiamo ospitarvi all’albergo, almeno lì sarete al sicuro .”affermò l’assassino senza voltarsi,
pronto a tornare suo suoi passi. “Ti ringrazio, Himura, ma tu ed i tuoi compagni avete già abbastanza problemi da
risolvere, non voglio aggravare la vostra situazione. Fin dall’inizio non aveva alcun’intenzione di fermarmi in città,
partirò per il feudo Choshu immediatamente .”declinò con gentilezza Kogoro, alzandosi in piedi, pronto a ripartire.
Entrambi restarono in silenzio a guardarsi per qualche minuto, poi ognuno si avviò per la propria strada.
Non si sarebbero rincontrati mai più.
Il giorno seguente Kenshin cominciò a prepararsi per la partenza. I suoi libri, i suoi abiti ed i suoi ricordi, lasciò tutto la,
nella sua stanza. In una piccola bisaccia mise solo qualche manciata di riso ed i suoi risparmi, nulla di più. La vita
trascorsa sin ora, la sua esistenza da assassino ed il soprannome Hitokiri Battosai, abbandonò tutto per ricominciare, per
iniziare una nuova vita votata alla ricerca del miglior modo per espiare i suoi peccati. Ma la cicatrice a forma di croce
sulla guancia sinistra assieme all’incolmabile dolore che celava, non sarebbero mai scomparsi. Non essere riuscito a
salvare la persona più importante, questo no, non sarebbe mai riuscito a perdonarselo.
Il mattino seguente, ancor prima dell’alba, Hinabiki, come di consueto, si alzò e preparò ad affrontare una nuova
giornata. Nonostante il freddo pungente si lavò il viso con la neve che abbondava nel giardino. Non poté usare
l’acqua del pozzo poiché questa, durante la notte, si era gelata. Mentre scrutava il cielo ancora scuro nel quale
brillavano ormai poche stelle, sentì un pesante rumore di passi. Strano, chi poteva andarsene in giro per la città a
quell’ora, con quel freddo? Pronta a sguainare la katana che sempre portava con sé, attese con pazienza di scorgere il
generatore di tali rumori. Fu avvolta da un forte stupore, però, quando dinnanzi a lei, barcollante, passò la figura di
Enishi Yukishiro. Non riusciva quasi a reggersi in piedi, che fosse stato ferito in un agguato? Hinabiki, preoccupata,
si precipitò a soccorrerlo. Questi si accasciò fra le sue braccia. Solo allora la guerriera si rese conto che era soltanto
ubriaco. Probabilmente, ancora sconvolto dalla morte dell’amata sorella, era stato in un’osteria per tutta la notte,
bevendo fiumi di sakè. A Hinabiki fece quasi pena. “Forza Enishi, cerca di rialzarti. Ti aiuto a tornare dagli altri .”lo
spronò lei con delicatezza, cercando di tirare su lo sbronzo samurai. “Ah, Tsuki Hijin! Che bello vederti, come
stai?”le domandò questi con voce malferma, barcollando. Il suo alito puzzava talmente d’alcool, da far girare la testa
di Hinabiki, che certo non era un tipo astemio. “Io bene, tu mi sembri invece in pessima forma! Forza! Scommetto
che stanotte non sei tornato all’albergo. Kenshin sarà preoccupato da morire .”sostenne lei, sorreggendo Enishi che
proprio non voleva saperne di stare in piedi. “Tanto Kenshin se né andato .” “Come sarebbe a dire che se né
andato?! Stai delirando, spero!”. Hinabiki fu colta da una forte ansia, sperava che Enishi stesse parlando a vanvera
sotto l’effetto della sbornia, ma la risposta che ottenne non la rassicurò minimamente. “Non sono ancora tanto
sbronzo da mettermi a dire assurdità. L’ho visto con i miei occhi, stava andando fuori città con una bisaccia sulle
spalle .”. L’ansia che opprimeva la guerriera si trasformò in angoscia. No, non poteva crederci. Di certo Enishi si
stava sbagliando, ma se invece le sue parole riflettevano veramente la realtà? Non poteva restare nel dubbio. “Hai
detto che l’ hai visto recarsi fuori città, a che ora ed in quale direzione è andato? Ti prego cerca di ricordare Enishi!”
Hinabiki prese a scuoterlo come una bambola di pezza. “Mi sembra che si stesse dirigendo verso la zona est della
città.” “Appena udii quelle parole, mi fulminò un ricordo .”affermò Hinabiki prendendo la parola, tornando al
presente. “Kenshin adorava ammirare Kyoto dall’alto di una collina situata appena fuori città. Me lo confessò un
giorno, quando eravamo bambini .”sorrise nel ricordare quei momenti felici :”Pensai che, se davvero voleva lasciare
la città, avrebbe voluto vederla un’ultima volta dall’alto di quella collina .”concluse facendosi avvolgere, ancora, dal
turbine dei ricordi. Mentre Hinabiki s’accingeva a correre verso la destinazione prefissata, Ushizo uscì in strada e,
vedendo Enishi a terra, preoccupato si recò a soccorrerlo. “Che è successo?”chiese a Hinabiki, mentre s’inginocchiò
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al fianco di Enishi. “Ushizo prenditi cura di lui!”si limitò a rispondergli lei correndo via come un fulmine. Ushizo
rimase spaesato, non si aspettava una simile reazione. Ma cosa stava succedendo? Chiese spiegazioni ad Enishi e,
una volta compresa la realtà dei fatti, decise di seguire Hinabiki. Si caricò sulle spalle lo sbronzo compagno e partì
all’inseguimento. “Kenshin, ti prego! Non te ne andare senza di me!”pensò Hinabiki mentre correva a più non posso
per le vie innevate della città. Kenshin, intanto, era giunto da tempo sulla sommità della collina, citata in precedenza
da Hinabiki. Ormai aveva preso la sua decisione: se ne sarebbe andato da Kyoto e mai più vi avrebbe fatto ritorno.
Dall’alto del colle guardava la città ancora avvolta dalle tenebre, l’ultimo sguardo prima della partenza per un
viaggio che, forse, gli sarebbe costato la vita. Con il cuore colmo di ricordi e gli occhi lucidi di dolore, il samurai
mosse qualche passo deciso verso oriente, ma una voce, troppo roca per essere femminile e, al contempo, troppo
dolce per appartenere ad un uomo, l’indusse a fermarsi. “Hinabiki?!”si stupì Kenshin e, voltandosi indietro, vide la
minuta figura della ragazzina corrergli incontro ed urlare il suo nome. Questa tirò un sospiro di sollievo, aveva fatto
in tempo. Mostrando un limpido sorriso, con il fiatone ed il viso arrossato, raggiunse il compagno rallentando il
passo. “Hina, come hai saputo della mia partenza?” domandò Kenshin, visibilmente sorpreso. “Per un fortuito caso
.”gli rispose lei cercando di calmare il fiatone. “Perché te ne stai andando? E’ per via di quello che è successo a
Tomoe-san, oppure l’onorevole Katsura ti ha assegnato una nuova missione?” “Per entrambe le cose. Katsura-san mi
ha proposto di arruolarmi nell’esercito ufficiale anti-shogunato, ed io ho accettato .”. Gli occhi di Hinabiki
s’illuminarono di gioia. Anche lei aveva ricevuto un’analoga offerta! “Davvero?! Anch’io ho accettato di entrare
nell’esercito! Di quale distaccamento farai parte? Io sono stata assegnata allo squadrone di Hakodate !”affermò con
prontezza, mentre le labbra le si allargarono in un sorriso. Quanta speranza in quegli occhi di ragazza, neri e
profondi! Ma una nuova delusione avrebbe presto offuscato quello sguardo gaio. “Probabilmente mi verrà assegnata
la zona del Kanto.” Kenshin sorrise nel rispondere alla domanda di Hinabiki, ma questa non si sentì per nulla
sollevata da quell’atteggiamento sereno. Il Kanto, la regione dove si trovava la città di Edo, sede ufficiale del potere
shogunale. Anche se il potere del Bakufu era stato indebolito, recarsi in quei luoghi significava, comunque,
addentarsi nella tana del nemico. Hinabiki aveva visto molti dei suoi uomini recarsi a Edo, ma mai nessuno fece
ritorno vivo. Certo, Kenshin non si poteva definire un samurai qualunque, però era pur sempre un essere umano.
Anche lui poteva morire. Ed a quel pensiero, Hinabiki rabbrividì. Non ci aveva mai pensato, chissà perché. Forse per
paura? Sì, paura di provare nuovamente quel terribile dolore che ti colpisce quando perdi una persona cara. Hina
strinse i pugni. “Non voglio! Non voglio che Kenshin faccia la fine di mio padre, di mia madre e delle mie sorelle!
Non voglio più sentirmi tanto disperata ed inutile.” pensò quasi singhiozzando, ma ormai Kenshin aveva preso la sua
decisione ed i capricci di una ragazzina non sarebbero cerco serviti a fargli cambiare idea. Mentre lei si struggeva, il
sole sorse alle sue spalle, ed Ushizo, sostenendo lo sbronzo Enishi giunse sulla collina. Kenshin li salutò con un
cenno del capo, poi, vedendo Hinabiki tanto scoraggiata, le accarezzò, con dolcezza, i folti capelli corvini. Lei alzò
lo sguardo e, trattenendo a stento le lacrime, fissò i penetranti e profondi occhi celesti del samurai. Un lieve rossore
le colorì le gote. “Sii forte, Tsuki Hijin. Non cambiare mai e persegui con tenacia i tuoi ideali e sogni .”Kenshin le
sorrise e, avvicinandosi all’orecchio della ragazza, le sussurrò :”Non vergognarti mai di chi sei, Hinabiki Sekigawa,
samurai e donna dell’esercito di Choshu perché sei una persona straordinaria già solo per questo.”.
Il viso di Hinabiki si fece paonazzo, sentì cuore batterle in gola, le mancarono le parole ed il fiato. Che emozione!
Prima di allora nessuno l’aveva mai considerata una donna, si, donna con la D maiuscola! Nemmeno lei si era mai
definita tale. Le era sempre stato imposto, sin da bambina, di reprimere la sua femminilità, doveva comportarsi come
un uomo, come un guerriero. Ma Kenshin, lui e soltanto lui l’accettava per quella che era. Sia donna sia samurai, per
lui Hinabiki era entrambe le cose, non doveva scegliere. E mentre lei rimase immobile, sbigottita da quelle parole
così dolci, Kenshin s’avvicinò ad Ushizo. “Immagino che la gestione dei due squadroni rimasti qui a Kyoto ricadrà
su di te .”affermò ma il compagno scosse il capo :”No, io seguirò Tsuki Hijin a Hakodate .”sostenne questi con
fierezza. Kenshin sembrò sorpreso, poi, ricordando i sinceri e profondi sentimenti che Ushizo provava per Hinabiki,
accennò un lieve sorriso compiaciuto. Lui si che sarebbe stato in grado di rendere felice Hinabiki. Pensando ciò,
Kenshin sussurrò nell’orecchio di Ushizo :”Ushizo Tsujimura dei samurai ambiziosi di Choshu, ti affido Hinabiki
Sekigawa, colei che considero sorella di spada e di sangue.”. Ushizo spalancò gli occhi. “Da molto ho compreso i
sentimenti che ti legano a Hinabiki, e sono sicuro che le saprai dare l’affetto che non ha mai ricevuto. So che la
renderai felice, mi fido di te .” riprese Kenshin mostrando un sorriso fiducioso. Ushizo arrossì leggermente a causa
dell’emozione e non riuscì più a proferir parola. Si sentiva così onorato d’aver ricevuto tanta fiducia, avrebbe voluto
ringraziare come si conviene, ma le parole non volevano uscirgli fuori dalla bocca arida. Si limitò ad inchinarsi al
cospetto di Kenshin che ricambiò prima di avvicinarsi a salutare anche Enishi. Il suo sguardo si fece nuovamente
terribilmente malinconico. Provò pena nel vedere il cognato ridotto in quello stato ed i sensi di colpa tornarono ad
attanagliargli il cuore. In fondo era colpa sua. Se fosse riuscito a proteggere Tomoe, Enishi non avrebbe mai
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annegato il suo dolore nell’alcool. Sopraffatto da tali pensieri, Kenshin, disperato, si gettò ai piedi di Enishi, in
ginocchio, con il viso che quasi sprofondava nella gelida neve. “Enishi, ti chiedo ancora perdono. Se uccidermi potrà
placare il tuo dolore e rancore, sarà lieto di offrirti il mio corpo, ma non ora. Ho ancora un compito da svolgere, però
ti giuro sul mio onore che, non appena il sole della nuova epoca sarà sorto, tornerò a Kyoto. Vieni pure a prendermi
con la spada in pugno .”sostenne con voce ferma, nonostante il dolore gli facesse tremare le piccole spalle. “Almeno
mi libererai da quest’opprimente peso .”aggiunse in un sussurro appena percettibile. Solo il fruscio del vento seguì le
sue parole. Ushizo si era spostato al fianco di Hinabiki, ed entrambi si stavano chiedendo come avrebbe reagito
Enishi. Questi non batté ciglio. L’atmosfera era talmente tesa da opprimere i cuori dei quattro compagni.
Ad un tratto, Enishi appoggiò la mano destra sull’elsa della katana. Hinabiki sussultò. Ushizo, rassegnato, abbassò il
capo. Quella era una battaglia fra Enishi e Kenshin, né lui né tanto meno Hinabiki potevano intromettersi. Enishi
rimase immobile per qualche interminabile minuto. Nemmeno Kenshin si mosse. Mentre un vento gelido sferzò i
volti dei quattro compagni, Enishi allentò la presa sulla katana e strinse il pugno. Stava per colpire il capo di
Kenshin, quando la sua mano si aprì ed andò ad appoggiarsi, con delicatezza, fra i capelli ramati dell’assassino,
quasi a volerlo consolare. Questi sussultò di stupore, mentre Hinabiki tirò un sospiro di sollievo. “Per chi mi hai
preso Kenshin?! Sappi, che non sono ancora caduto così in basso da ignorare le ultime volontà di Tomoe. Lei ha
sacrificato la sua vita per proteggerti, cerca di ricordartelo. La tua vita è preziosa, non devi sprecarla .”affermò con
voce seria, mentre un lieve sorriso gli illuminò il volto. Sembrava essersi totalmente ripreso dall’euforia della
sbornia. Kenshin sentì gli occhi inumidirsi di lacrime, mai si sarebbe aspettato un gesto di così forte amicizia.
“Enishi, grazie .” sibilò quasi singhiozzando. “Invece di ringraziarmi rialzati, mi metti in imbarazzo.” ribatté Enishi
con fare amichevole, portandosi le mani ai fianchi. Anche nei suoi occhi c’era il luccichio nascosto di qualche
lacrima. Kenshin, rincuorato, si rialzò lentamente e, dopo aver stretto la mano al cognato, che lo abbracciò
amichevolmente, si preparò a partire. Voltando le spalle agli amici, s’incamminò verso il sole nascente.
Mentre lo guardava allontanarsi, Hinabiki ripensò alle parole che, poco prima, Kenshin le aveva rivolto :”Non
vergognarti mai di chi sei, Hinabiki Sekigawa, samurai e donna dell’esercito di Choshu .”.La ragazza si portò le
mani al petto, sentì il suo cuore stringersi e, mossa dall’istinto, chiamò Kenshin, inducendolo a fermarsi. “Kenshin!
Ti prego non morire! Fa di tutto per tornare sano e salvo! Io non posso vivere senza di te!!”almeno questo era quello
che avrebbe voluto urlare, abbandonando la vergogna e la repressione dei suoi sentimenti femminili, ma preferì
evitare. Non era il momento adatto per abbandonarsi a simili sentimentalismi. “Kenshin, promettimi che, quando
questa follia sarà terminata, ci rivedremo ancora...vivi.” affermò, cercando di trattenere le lacrime che violentemente
volevano uscirle dagli occhi. Kenshin annuì con decisione e, dopo averle rivolto un ultimo, fugace, sorriso,
scomparve all’orizzonte. Il racconto di Hinabiki terminò, Kenshin non aggiunse altro. Il resto della storia era ben
conosciuto da tutti i suoi compagni. Già, Battosai, dopo essersi battuto strenuamente per la causa dei Choshu, con il
concludersi delle guerre, abbandonò la sua spada e la professione d’assassino. Intraprese una nuova vita come
vagabondo, imbracciando la spada a lama invertita. Erano quasi le dieci della mattina, quando il racconto finì.
Per un attimo i compagni del samurai, sconvolti da quell’amara storia, non si mossero. Fu Kaoru a rompere il
silenzio, chiedendo a Tsubame e Megumi di aiutarla a preparare il pranzo. Solo allora gli altri si fecero coraggio e
tornarono a svolgere le loro quotidiane mansioni. Tutti tranne Kenshin. Lui rimase nella palestra, senza muoversi,
sino a quando il pranzo non fu pronto.
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-Capitolo 6: Tradimento –
Calò la notte. La luce argentea della luna piena, dava al paesaggio un tocco magico e tutto sembrava dormire in una
pacifica immobilità. Il frinire dei grilli ed il gracidio delle rane erano gli unici rumori udibili. Kenshin era seduto in
veranda, non riusciva a dormire. Il suo animo tormentato era in netto contrasto con l’ambiente circostante, ispirante calma
e serenità. Il viso di Tomoe, lo vedeva ovunque. In qualunque direzione volgesse lo sguardo, lei era lì che gli sorrideva,
socchiudendo i suoi splendidi occhi scuri, “Tomoe...Tomoe...perché mi hai lasciato...perché...”sussurrò il samurai,
andando a guardare il cielo, mentre le lacrime gli salirono agli occhi. In quel mentre, Kaoru, che si era alzata per recarsi al
bagno, scorse la figura di Kenshin e, incuriosita, gli si avvicinò. Chissà come mai era ancora sveglio a quell’ora tarda.
Lui sentì l’amica avvicinarsi e trattenne il pianto. “Kenshin, che ci fai ancora sveglio? Non c’è bisogno che tu resti di
guardia. Il signor Yukishiro, Sanosuke e Hinabiki si stanno occupando della ronda, tu puoi riposarti .”affermò la giovane
giungendogli alle spalle. “Non riuscivo a prendere sonno .”si limitò a risponderle lui, voltandosi verso di lei la ragazza
con le labbra schiuse in un dolce sorriso, ma il luccichio dei suoi occhi tradiva i veri sentimenti che provava. Kaoru
scorse quel brillio ed avvicinò il suo viso a quello del samurai, chiedendogli, una volta sedutasi al suo fianco :”Hai gli
occhi lucidi. Sei sicuro di star bene?” “Ah, stai tranquilla. Mi è andata solo della sabbia negli occhi .”mentì Kenshin,
tornando a scrutare il cielo. Kaoru era scettica, ma non replicò. Rimase in silenzio per qualche istante, poi tornò a porre,
con tono ingenuo, una nuova domanda.”Non è proprio possibile evitare questo doloroso scontro?”. Kenshin scosse il
capo, rivolgendole un amaro sorriso :”No. L’unica persona in grado di fermare Kiyosato sarebbe Tomoe .”sospirò :”Se
solo lei fosse ancora viva, tutto questo non sarebbe successo .”. Tutt’un tratto, il viso di Kaoru s’incupì.
Gelosia? Era così che veniva chiamato quel sentimento capace di farle ribollire il sangue nelle vene? Era gelosa di
Tomoe?! Assurdo. Semplicemente assurdo! Come si poteva provare gelosia verso una donna morta da ormai dieci anni!
Che neppure conosceva, per giunta. Si stava sbagliando, sì, senza ombra di dubbio. Non era da lei comportarsi a quel
modo. Ma nonostante cercasse di convincersi del contrario, Kaoru sentiva il suo cuore infiammarsi di rabbia. Cercò di
controllarsi, ma non vi riuscì e, sopraffatta dalla frustrazione, scattò in piedi rivolgendosi con un tono insolitamente duro
a Kenshin. “Kenshin! Ma che ti prende?! Abbattersi in questo, non è da te! Se proprio questa battaglia risulta inevitabile,
combatteremo! Smettila di appellarti a Tomoe! Fattene una ragione, ormai lei è morta! E i morti non ritornano in vita!”.
Senza accorgersene aveva alzato talmente la voce da renderla quasi stridula ed il suo sguardo, sempre dolce e gentile, si
era fatto accigliato. Kenshin non l’aveva mai vista così, ma quello che più lo sconvolse non fu il suo atteggiamento,
quanto le parole che pronunciò. Pensava di essere riuscito ad accettare la scomparsa dell’amata moglie, ma in un angolo
del suo cuore Tomoe era ancora viva, non l’aveva mai abbandonato. Purtroppo si trattava solo di una mera illusione.
“Già .” si ripeté :“Per quanto si preghino, i morti non tornano in vita .”. Quella era la realtà, doveva farsene una ragione,
punto e basta. Pian piano lo stupore lasciò spazio all’angoscia ed il suo sguardo si fece incredibilmente triste e rassegnato.
Sentì nuovamente le lacrime inumidirgli le ciglia, pronte, appena si sarebbe presentata l’occasione, a sfuggire al suo
precario controllo. Sospirando, tremante, il samurai si passò una mano sul volto e fra i folti capelli, mentre Kaoru stava,
lentamente, ritornando in sé. Calmò l’affannoso respiro, la rabbia le scomparve dagli occhi e la tensione abbandonò il suo
corpo. Presto fu di nuovo lucida e, vedendo Kenshin ridotto in quello stato d’apatia, s’accorse con dolore di cosa aveva
fatto. Mortificata e sconvolta si portò le mani alla bocca, soffocando un gemito. “Scusami Kenshin, ti prego scusami!
Io...io non so cosa mi è preso...perdonami...per favore... perdonami...”singhiozzò con occhi grondi di lacrime. “Io...io mi
sentivo messa da parte...tu pensavi solo a Tomoe...”il suo viso prese ad arrossarsi :”...Io ero gelosa di lei...non potevo
sopportare che tu avessi occhi per un’altra donna...volevo che tu capissi che anche io ti voglio bene...tanto
bene...”confessò in un sussurro soffocato dai gemiti. “Non volevo farti del male...credimi...”. Quante emozioni quella sera
dovette sopportare Kenshin! Di nuovo la sua espressione si fece attonita, per poi addolcirsi incredibilmente.
Chissà cosa provava lui per la bella Kaoru. Celava i suoi veri sentimenti nel profondo del cuore.
Lentamente, il samurai si alzò e, voltandosi, si mise di fronte alla compagna. Rimase lì, immobile, a guardare Kaoru
scossa dai singhiozzi per qualche istante. Poi, mosso da un impeto di tenerezza, le passò, dolcemente, una mano sulle
guance, asciugandole le lacrime. Kaoru alzò il viso e lo guardò dritto negli occhi. Com’erano rosse le sue labbra,
sembravano così morbide e calde che Kenshin fu tentato di baciarle, ma si trattenne. Il ricordo di Tomoe era ancora
troppo forte, e non gli permetteva di cercare conforto tra le braccia di un’altra donna. Però non poteva lasciare Kaoru in
quello stato, si sentiva in dovere di consolarla in qualche modo. Fu così che allargò le braccia e la strinse a se. Lei non si
aspettava una simile razione. Stupefatta, frenò i singhiozzi, mentre sentiva il cuore batterle talmente forte che sembrava
volerle sfondare il petto. Si sentiva bruciare mentre annusava con piacere il petto del samurai, e lui sentì l’umido delle
lacrime di lei sulla pelle, ed il suo profumo, quasi, lo stordì. Restarono così, stretti in quel dolce abbraccio, per parecchi
minuti, cercando di consolare i loro cuori feriti. Poi, con gentilezza, Kenshin riaccompagnò Kaoru nella sua stanza,
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invitandola a riposare. Lei acconsentì e si coricò sul futon, anche se sapeva che quella notte non sarebbe riuscita a
dormire. Era troppo emozionata! Kenshin, invece, tornò a sedersi in veranda, aveva tante cose a cui pensare.
Si era accorto solo in quel momento d’amare Kaoru. Già, aveva finito per innamorarsi un’altra volta, proprio lui che
aveva rinunciato all’amore da quando Tomoe se n’era andata. Però, era degno di ricambiare i sinceri sentimenti che
Kaoru provava per lui? Sarebbe stato in grado di darle la felicità, di proteggerla, o tutto sarebbe finito come in quel
tragico giorno di dieci anni prima? Ed inoltre, era pronto a dimenticare per sempre Tomoe? A nessuna di queste
domande, Kenshin riuscì a trovare risposta e, mentre si struggeva, il sonno cominciò ad impossessarsi del suo corpo
stanco. Cercò di opporre resistenza, ma, senza quasi accorgersene, chiuse gli occhi, mentre appoggiava la schiena ad un
pilastro. Forse, almeno per quella notte, sarebbe riuscito a dormire.
Intanto, Enishi era appollaiato sul tetto della palestra. Che strano modo di fare la guardia! E, non appena Kenshin
s’appisolò, il samurai lasciò la sua postazione per recarsi chissà dove. Con passo spedito, in pochi minuti, giunse alla
stazione di Shinbashi, salì sul primo treno diretto a Yokohama e sparì. Che cosa aveva in mente? Aveva forse scoperto il
nascondiglio di Kiyosato? La risposta non avrebbe tardato ad arrivare. In meno di un’ora, il treno giunse a destinazione.
Sceso dal convoglio, Enishi s’incamminò per una straducola ben poco raccomandabile che portava fuori città. Doveva
conoscere bene quei luoghi per riuscire ad orientarsi senza l’ausilio di una lanterna. La luce della luna era troppo flebile
per illuminargli la via ma con disinvoltura , noncurante delle tenebre, giunto fuori città, nelle campagne limitrofe,
imboccò un sentiero che portava alla soglia di una casetta isolata. C’erano delle luci all’interno, nonostante l’ora tarda.
I vendicatori erano ancora svegli, forse stavano aspettando qualcuno... Enishi sembrava non curarsi di quel fatto,
anzi, era stranamente tranquillo...troppo tranquillo. Senza nemmeno sguainare la spada, si stava apprestando ad
aprire lo shoji del covo nemico. Che cosa mai aveva in mente? Era un’idea folle il solo pensare di poter attaccare sei
criminali di quel calibro da solo! Era per caso ammattito?! Enishi aprì la porta scorrevole e, senza mostrare la
minima paura o tensione, entrò. Sasuke lo fulminò all’istante. Balzando lo afferrò per il collo, sbattendolo contro
una parete con violenza. “Calmati Sasuke!” lo ammonì Ayame, alzandosi dal suo giaciglio. Kiyosato osservava con
noncuranza la scena, fumandosi una sigaretta. “Dannato bastardo! Quanto tempo ci hai messo?! Avevi intenzione di
farmi morire di noia! Idiota!” scattò Sasuke lasciando la presa dal collo di Enishi, che non sembrò per nulla provato.
La sua espressione stava cambiando. “Enishi, come procede il piano? Sei riuscito nel tuo intento?”domandò
Kiyosato con sguardo serio, gettando della cenere sul grezzo tatami. L’espressione di Enishi cambiò radicalmente, le
labbra gli si allargarono in un sorriso arrogante ed i suoi occhi brillarono d’eccitazione. “Sì, Azuma. Ho costretto
Battosai a raccontare il suo passato. Ora il suo animo è molto turbato a causa del rimorso. E’ debole. Non
esisterebbe un momento più propizio per concludere il nostro Jinchu!” parlava con foga, sembrava un’altra persona,
e la sua espressione rassomigliava a quella di Kiyosato. Era lui il settimo vendicatore tanto atteso, lui, la chiave di
volta del Jinchu. Enishi Yukishiro, cognato e miglior amico di Kenshin.
Che cosa poteva averlo portato a compiere un gesto tanto spregevole?
“Molto bene!”affermò Kiyosato mostrando un sorriso soddisfatto mentre s’alzò in piedi :”Domani, al tramonto,
attaccheremo! Finalmente Battosai pagherà per i suoi delitti!” un’ovazione accompagnò le sue parole.
Tutti fremevano d’eccitazione, finalmente sarebbe stata fatta giustizia!
Il sole era già alto nel cielo, quando Kenshin, totalmente ignaro del tradimento subito, si svegliò. Saranno state le nove o
dieci del mattino. Doveva proprio essere stanco per dormire sino a quell’ora. Ancora assonnato, si alzò e diresse verso il
pozzo per lavarsi la faccia. Lì incontrò Kaoru che lo stava proprio cercando. Dapprima la ragazza, nel vederlo, arrossì.
Non aveva dimenticato l’emozione provata la sera prima. “Ah, ecco...la colazione è pronta...ti aspettiamo in palestra.”
balbettò cercando di nascondere il rossore delle sue gote. Kenshin le sorrise. Era così tenera! E Kaoru si sentì bruciare,
imbarazzata come non mai, voltò così le spalle al samurai, dirigendosi, in tutta fretta, verso la palestra.
Tutto sembrava procedere come di consueto. Nessuno sospettava l’imminente scoppio della battaglia.
Enishi Yukishiro era rientrato durante la notte, senza che nessuno si accorgesse della sua momentanea scomparsa.
Durante il pomeriggio, però, questi sparì nuovamente. Kenshin pensò che gli fosse stato impartito un nuovo incarico,
mentre Kaoru ipotizzò la sua partenza per Kyoto. Nessuno poteva immaginare che, in realtà, Enishi si era recato nel covo
segreto di Azuma Kiyosato per dare un’ultima ritoccata al piano, al Jinchu.
A Kyoto, intanto, era giunta all’Aoiya la lettera di Kenshin. Subito, Misao, assistita da Okon e Omasu, si mise alla ricerca
della famiglia Yukishiro.
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Mancava poco al tramonto, quando Enishi varcò la soglia della palestra Kamiya Kasshin senza che nessuno si accorse del
suo ritorno. Kaoru stava allenando Yahiko, Hinabiki e Sanosuke giocavano a Go in veranda, Megumi aiutava Tsubame a
preparare la cena, mentre Kenshin era perso nei suoi pensieri. Uno strano ed infausto presentimento lo metteva in ansia.
Stava per succedere qualcosa, ne era certo!
Non si sbagliava.
Appena il sole calò, crash! Qualcosa colpì, con violenza, il portone d’ingresso al podere dei Kamiya, riducendolo in
frantumi. Allarmati, Kenshin e compagni si radunarono nel cortile. Hinabiki stava già per sfoderare la spada. “Ma cosa è
stato?!”si domandò Megumi a voce alta. Kenshin comprese subito la situazione, il momento dello scontro era giunto.
“Signorina Megumi, rientra in palestra portando con te la signorina Tsubame .”dispose il samurai con calma e sangue
freddo. La dottoressa Takani non se lo fece ripetere due volte e, prendendo sottobraccio la piccola Tsubame, si rifugiò
all’interno del dojo. “Yahiko, signorina Kaoru, non vorrei coinvolgervi, ma ho bisogno che proteggiate la signorina
Megumi e la signorina Tsubame .”affermò, ancora, Kenshin senza voltarsi a guardare i compagni che, con decisione
annuirono. “Arrivano .”sostenne Sanosuke a denti stretti vedendo i sette vendicatori varcare la soglia della proprietà.
Questi avanzarono senza timore verso i loro avversari. In testa c’era Azuma Kiyosato, lo seguivano, disposti in riga, a
destra: Ayame Otowa, Sasuke Seikaku e Takezo Shimada, mentre a sinistra c’erano: Kurokage e l’omone proprietario del
Cannone Armstrong, Teppei Arima, che questa volta era armato di una micidiale mazza ferrata. Era stata probabilmente
quella pesante arma a sfondare il cancello della palestra. “Battosai, sei pronto ad andare incontro al destino che ti spetta?”
chiese, con sarcasmo, Kiyosato a Kenshin rispose, con calma in un sospiro di dolore :”So di meritare la morte...” poi si
riprese, continuando con determinazione :”...ma non per mano vostra. Ho ancora un ultimo compito da svolgere,
un’ultima persona da difendere .”. Il suo sguardo era deciso ed il capo alzato, fiero. Guardando dritto negli occhi
Kiyosato, afferrò il fodero appena sotto l’elsa della katana, senza prendere alcuna posizione di combattimento, come era
solito fare. Azuma non fu intimorito da tanta sicurezza, anzi sorrise beffardo. Stava per dare inizio alla battaglia, quando
Enishi gli si parò dinnanzi. “Azuma, per favore, concedimi l’onore di sconfiggere Battosai .”affermò questi con occhi
lucidi d’eccitazione. I Kenshingumi rimasero impietriti per lo stupore. “Non può essere!” esclamò Kaoru sgranando i
grandi occhi scuri, a Yahiko mancarono persino le parole. Hinabiki fu assalita da un’irrefrenabile rabbia mista a tristezza
e delusione :”Tu...dannato bastardo! Come hai potuto tradirci?! Siamo stati compagni di spada, abbiamo condiviso gioie e
dolori! Come hai potuto ingannarci?! Che razza di samurai sei diventato?! Rispondimi! Rispondimi Enishi Yukishiro!”.
“Tu non puoi capire .”Enishi abbassò il capo, mentre il suo sguardo si fece malinconico. “Non puoi comprendere il dolore
che provai quando la mia amata sorella venne uccisa”. Hinabiki fu scossa da furiosi tremiti :”Tu...Tu non sei altro che un
egoista! Pensi che per Kenshin sia stato facile accettare la morte di Tomoe?! Prova a metterti nei suoi panni invece di
ostentare il tuo dolore!”ribatté furibonda, pronta a sfoderare la spada. “Non potrei mai mettermi nei panni dell’assassino
di mia sorella. Piuttosto preferirei morire facendo harakiri .”controbatté Enishi, mostrando tutto il suo disgusto spuntando
per terra. Kenshin sentì una fitta al cuore ed abbassò il capo, senza lasciar trapelare il proprio dolore. Enishi, irritato
dall’indifferenza che il cognato sembrava mostrare, sfoderò la spada e, con occhi talmente rabbiosi da sembrare infuocati,
si scagliò contro di lui. Hinabiki e Sanosuke, con prontezza, però, pararono il suo colpo. “Non ti permetteremo di ferire
ancora Kenshin! Dannato bastardo!”scattò Sanosuke mostrando il pugno chiuso all’avversario. In quel mentre, però,
Kenshin posò una mano sulla spalla del giovane, avanzando al suo fianco. “Ragazzi, apprezzo il vostro gesto, ma questa è
una battaglia personale. Riguarda solo me ed Enishi, vi prego, quindi, di allontanarvi .”solo allora il samurai alzò il capo,
mostrando il suo sguardo addolorato. Hinabiki e Sanosuke compresero e, senza dire più nulla, arretrarono. “Anche se mi
duole il cuore, io, Kenshin Himura, accetto la tua sfida, Enishi Yukishiro. Combatterò, sperando di ottenere il tuo
perdono, come quella volta.” concluse con un sospiro, alludendo al l’ultimo incontro che ebbe con Enishi prima del
Bakumatsu. Già, quando il cognato l’aveva perdonato davanti ad Hinabiki ed Ushizo, sulla cima di una bassa collina che
sovrastava la città di Kyoto. Enishi, ricordando quell’avvenimento, nel profondo del suo cuore fu scosso da un sussulto
carico di malinconia e compassione, ma non gli diede peso e, mostrando la parte bellicosa del suo animo, attaccò
nuovamente Kenshin. Questi sfoderò la spada inversa e parò il colpo senza troppe difficoltà. “Tu non meriti il mio
perdono! Quel giorno fui colto da un attimo di debolezza, lo ammetto, mi facevi pena, ma ora le cose sono cambiate.
Kiyosato mi ha fatto capire che tu non meriti di vivere, poiché non sei stato in grado di proteggere Tomoe, nonostante lei
fosse tua moglie. Ad un samurai che non è nemmeno in grado di proteggere la sua donna, può spettare solo la morte!”urlò
Enishi, ormai aveva perso la ragione, questo Kenshin lo comprese subito. Ma, giunti a quel punto, non gli restava altra
scelta che combattere. Si, quella volta sarebbe riuscito a salvare la persona che aveva deciso di amare! Così pensando,
iniziò il suo duello personale contro Enishi, mentre Hinabiki s’accingeva a chiudere i conti in sospeso con Ayame
“Shinhana” Otowa e Sanosuke riprese il combattimento contro Sasuke “Kamihukushuu” Seikaku. Kurokage
“Kuraikama”e Teppei Arima, invece, si pararono dinnanzi a Kaoru e Yahiko, obbligandoli ad ingaggiare un duello con
loro. Kiyosato, in compagnia di Takezo “Buki no Mahoo Tsukai” Shimada, se ne stava a guardare con aria compiaciuta.
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Chissà cosa avevano in mente quei due. Fu Enishi il primo ad attaccare, Kenshin lo attendeva paziente e schivò la
stoccata con un rapido movimento laterale. Enishi non demorse e, ruotando su se stesso, s’apprestò a colpire il genero con
un fendente rotatorio. Kenshin, però, anticipò l’attacco. Il suo affondo stava per andare a segno, quando :“Kenshin, ti
prego! Non fare del male al mio amato fratello!” la voce di Tomoe s’udì nel suo cuore. No, non poteva colpire Enishi.
Tomoe non l’avrebbe mai perdonato. Quell’attimo di distrazione favorì il suo avversario che, senza scrupoli morali, lo
ferì alla spalla sinistra.
“Hinabiki Sekigawa, muori!” decretò nel frattempo Ayame scagliando contro il samurai una serie di kunai , questi, però,
facendo roteare la sua spada, parò l’attacco. I kunai caddero uno ad uno a terra, ormai erano stati resi inoffensivi. “Per chi
mia hai preso?! Non sono certo il tipo che si fa battere da simili trucchetti!” affermò Hinabiki con la classica arroganza,
mostrando un sorrisetto beffardo. Ayame, furente d’ira, cercò di mantenere la calma. Doveva ammetterlo, per quanto
fosse insopportabile, Hinabiki non era certo un avversario da sottovalutare. Agire seguendo l’istinto l’avrebbe portata
solo ad una sicura sconfitta. Non doveva cedere alle provocazioni della sua avversaria ed estrasse altre armi da lancio,
prese tra le dita dei piccoli shuriken e li scagliò senza alcuna esitazione. Questa volta Hinabiki decise di schivarli con
rapidi movimenti. La difesa si tramutò ben presto in attacco, quando il samurai giunse dinnanzi alla kunoichi la colpì con
una violenta stoccata al ventre. Erano troppo vicine. Ayame non riuscì ad evitare il colpo. “Eh! Il gioco è finito.” sostenne
Hinabiki mostrando un sorriso soddisfatto, mentre non staccava gli occhi dalla sua avversaria, stesa a terra. “Ah, ah!
Povera illusa!” ribatté questa che, ridacchiando, si strappò le vesti dal ventre mostrando una maglia di ferro. “Cosa?!” lo
stupore s’impadronì del volto arrogante di Hinabiki, distraendola. Quando tornò a guardare la sua avversaria, questa le
era giunta alle spalle e s’apprestava a colpirla con un potente calcio. “Che velocità!” esclamò mentalmente il samurai,
parando il colpo con l’avambraccio. Un forte dolore le addormentò l’arto. Aveva sbattuto contro qualcosa di ben più duro
delle semplici ossa. Infatti, Ayame mostrò con orgoglio i suoi lucenti parastinchi di metallo. “La situazione si è
capovolta. Ora che farai, cara Hinabiki Sekigawa?” la schernì questa con un nota di pungente sarcasmo. Hinabiki tremò
di rabbia, aveva commesso un grave errore a sottovalutare la kunoichi. “Merda!” imprecò in un sussurro, imbracciando la
spada con una sola mano.
“È giunto il momento della resa dei conti, testa di gallo!” affermò Sasuke pieno si sé, facendo scricchiolare le dita della
mani. “Mi hai tolto le parole di bocca, damerino!” ribatté Sanosuke, sputando la lisca di pesce che teneva fra i denti. La
situazione però era tutt’altro che rosea per il giovane Sekihoutai. Non riusciva a prevedere le mosse del suo avversario.
Con quale parte del corpo avrebbe attaccato? Sinistra o destra? E usando che cosa, un calcio o un pugno? Oppure avrebbe
con entrambi? Sasuke, nonostante le apparenze, era un tipo molto accorto. Il suo sguardo non lasciava trapelare alcuna
indicazione sull’attacco che avrebbe sferrato. Sentendo il sangue che gli ribolliva, Sanosuke, che non era certo un ragazzo
amante delle lunghe attese, si decise ad attaccare per primo. Caricò un sinistro micidiale che sferrò all’ultimo momento,
Sasuke, però, si spostò alle sue spalle. “Troppo lento.” constatò sferrando un violento calcio al fianco avversario.
Sanosuke si sentì mancare il respiro e ruzzolò, con la faccia in avanti, a terra. “Come ti senti, pivello? È buona la
polvere?” gli domandò, ironico, Sasuke scoppiando in una divertita risata. “Perché non la vieni ad assaggiare con la tua
lingua, buffone!” ribatté l’ex Sekihoutai cingendo il collo dell’avversario con le caviglie. “Yhaaah!!” gridò tirando con
tutte le sue forze il nemico a terra. Sasuke sbatté violentemente con la schiena e, per un istante, si sentì completamente
senza fiato. Intanto, Sanosuke si rialzò, pulendosi il viso da quella poltiglia di sangue, sudore e terra. Contro qualsiasi
previsione, però, Sasuke si era già ripreso e, spostatosi velocemente alle spalle dell’avversario, gli avvolse un braccio
attorno al collo. Voleva soffocarlo. Sanosuke, anche se preso alla sprovvista, elaborò subito un’efficace controffensiva.
Afferrò con entrambe le mani il possente braccio che gli stringeva la gola e, facendo leva con una spalla, gettò a terra il
rivale. Questi si aspettava una tale mossa e, tempestivamente, spinse con sé Sanosuke nella terra. Le loro forze quasi si
equivalevano, chi l’avrebbe spuntata?
Kaoru stringeva l’elsa della sua shinai, cercando d’infondersi la forza necessaria per sconfiggere il terribile ninja
Kurokage. Gelido sudore le lambiva le tempie. Era giunto il momento di mostrare quello che aveva appreso in undici anni
di scuola. Deglutì rumorosamente prima di lanciarsi all’attacco. “Men!”urlò cercando di colpire l’avversario. Era quasi
certa d’averlo preso, quando sentì che qualcosa si era arrotolato attorno alla sua shinai. Era la catena con il peso!
“Oh no!” imprecò presa dal panico. Tentò di liberare l’arma, una pessima mossa. Kurokage strinse ancor più la presa e...
Crash!! La spada di bambù si frantumò in tante piccole schegge. Kaoru rimase immobile, presa dallo stupore.
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“Stupida! Levati da lì!” cercò d’avvertirla Yahiko, ma ormai era troppo tardi. Kurokage aveva già avvolto la sua catena
attorno all’esile collo della spadaccina. “Kenshin!” avrebbe voluto urlare Kaoru, ma dalla sua bocca uscirono solo gemiti.
“Che stupida!” imprecò Yahiko cominciando a sudare freddo. Non poteva correre in aiuto dell’amica, se avesse mosso
anche solo un passo, il bestione che si trovava ad affrontare non avrebbe esitato a colpirlo con quella temibile mazza
ferrata. “Kaoru! Signorina Kaoru!” gridò Kenshin preoccupato nel vedere la compagna in pericolo. In tutta fretta cercò di
raggiungerla, ma Enishi gli si parò dinnanzi. “Spostati Enishi!” gli ordinò con sguardo truce:“Te lo puoi scordare! Vedrai
morire la tua amata senza poter far nulla per aiutarla! Ah, ah! Considerati ancora fortunato, io non riuscii a vedere la mia
cara sorella morire!” ribatté il genero senza lasciarsi impressionare dai freddi, minacciosi occhi che lo guardavano.
Kenshin prese a digrignare i denti come un cane furioso. Intanto, Kiyosato fece un cenno con il capo in direzione di
Kurokage, questi recepì il messaggio segreto e scaraventò Kaoru a terra, liberandola dalla morsa assassina. La ragazza,
tra un colpo di tosse e l’altro, cercava di riprendere fiato, mentre il collo portava i segni della catena. Kenshin si calmò,
ma, chissà come mai non si sentiva ancora tranquillo. Avvertiva un brutto, bruttissimo presentimento. Non era normale,
perché Kurokage aveva lasciato la presa? La testa di Kaoru gli era stata offerta su d’un piatto d’oro, neanche d’argento,
perché aveva sprecato una tale occasione? Le risposte non tardarono ad arrivare. Kurokage sovrastò Kaoru e le lanciò
contro la lama della kusarikama. La ragazza era ancora troppo sconvolta per riuscire a muoversi. “Kaoru!” urlò Kenshin
in preda al panico. Yahiko si sentì mancare il fiato, una forte angoscia gli stringeva la gola. Gli abiti di Kaoru vennero
fatti a pezzi, ma la sua pelle non fu nemmeno graffiata. “Ottimo lavoro.” pensò Kiyosato mostrando un sorriso soddisfatto
:“Takezo, procedi come programmato.” dispose poi al compagno che, annuendo, s’accinse a raggiungere Kurokage.
“No!”urlò silenziosamente il cuore di Kenshin. Aveva capito. “Già, caro Battosai. Ottimo intuito, come sempre.” affermò
Kiyosato scorgendo lo sguardo rivelatore dell’assassino, mentre Takezo s’inginocchiò dietro al capo di Kaoru :“Mi
raccomando, piccola, urla il più possibile.” le disse mostrando un falso sorriso gentile. La ragazza prese a tremare.
Shimada le prese le braccia, tenendogliele ben ferme dietro alla nuca. “Bastardo!” scattò Kenshin, furibondo, voltandosi
verso Kiyosato con sguardo feroce. “Eh, no. Tu devi guardare da quella parte, ricordati che hai un posto in prima fila per
lo spettacolo.” affermò Enishi colpendo con un destro micidiale il ventre del genero. Questi stava per accasciarsi, quando
il samurai lo prese per i capelli, obbligandolo ad assistere allo stupro di Kaoru. “Non fraintendere. Io odio le ragazzine
prive di fascino come te, ma pur di far soffrire Battosai sono pronto a compiere qualche sacrificio.” affermò Kurokage
avvicinando il viso a quello impaurito e tremante di Kaoru. “No!” urlò lei cercando di liberarsi, una fatica inutile. La
presa di Takezo era troppo forte e le gambe erano tenute ferme dalla catena col peso. Era in trappola. Kurokage le strinse
con violenza i seni. Kaoru urlò di dolore. “Brutto bastardo! Non toccare Kaoru!” gridò Yahiko lanciandosi, spada in
pugno, contro il ninja, incurante della reazione del suo gigantesco avversario, che non si fece attendere. Non appena il
ragazzino cercò di colpire Kurokage, la mazza ferrata lo colpi alle gambe, fratturandogliele. Il ragazzino cadde a terra,
perdendo i sensi per il forte dolore. Anche Hinabiki cercò di correre in soccorso dell’amica, ma Ayame la bloccò,
infliggendole un duro colpo che le fratturò una tibia. La guerriera strinse i denti e, furente d’ira, mosse una stoccata dritta
al cuore dell’avversaria. Questa fuggì balzando. Pensava d’essere riuscita a salvarsi, ma si sbagliava. Hinabiki si spostò
con la massima rapidità, nonostante la frattura ed andò a colpire la kunoichi nella parte bassa della spina dorsale. Usò il
fodero, se avesse sparso del sangue anche nemico, Kenshin non l’avrebbe mai perdonata. Ayame stramazzò a terra.
Aveva le gambe indolenzite e per un pò non sarebbe riuscita ad alzarsi in piedi. Hinabiki poteva raggiungere Kaoru, ma,
con quella gamba ferita non sarebbe mai riuscita a raggiungerla in tempo. Sanosuke stava cercando di concludere lo
scontro al più presto. Forse, almeno lui sarebbe riuscito a correre in aiuto di Kaoru. Una previsione troppo ottimistica,
Sasuke era troppo forte, non gli lasciava nemmeno il tempo di pensare. E, per di più, era sfinito, gli faceva male
dappertutto, grondava di sangue ed era pieno di contusioni.
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-Capitolo 7: Colpo di scena –
La situazione si stava complicando. Kaoru aveva perso i sensi per la paura ed i forti colpi che Kurokage le aveva inferto.
Yahiko si trovava nella medesima situazione, Hinabiki, con la gamba fratturata, non sarebbe mai riuscita a raggiungerla
in tempo da scongiurare la disgrazia, Sanosuke era ancora impegnato nella battaglia contro Sasuke, e Kenshin non
riusciva a colpire Enishi per paura di ferire l’amata Tomoe. Megumi e Tsubame, barricate dentro la palestra, forse non si
erano accorte di nulla. “Mi sono stancato di giocare. È giunto il momento di fare sul serio.” affermando ciò, Kurokage
s’alzò e, con l’unica mano, stava cercando di slacciare la cintura di stoffa che gli stringeva i pantaloni. Gli occhi di
Kenshin furono illuminati da gelide fiamme. “Non toccarla.” sibilò a denti stretti. Enishi si stupì, lo sentì tremare, ma non
era la paura a scuoterlo. “Non toccarlaaaa!!” gridò il samurai colpendo il cognato al mento con l’elsa della spada. Questi
fu costretto a lasciare la presa e Kenshin, con la velocità di un fulmine, raggiunse Kurokage e Takezo. “Hiten Mitsurugi
Ryu! Ryu Tsuisen!” urlò con voce tonante prima di colpire il ninja al capo, poi si voltò verso Takezo e, prima che questi
avesse il tempo anche solo di pensare ad una controffensiva, Kenshin gli era già addosso. “Hiten Mitsurugi Ryu! Ryu
Kansen!” urlò colpendo l’avversario al fianco destro. Mentre questi s’accasciava a terra, il samurai scattò verso Teppei
Arima e lo fulminò con rapidissimo colpo al mento. “Hiten Mitsurugi Ryu! Ryu Shosen!”. Il bestione, privo di sensi,
crollò al suolo provocando un forte fragore. Kenshin si posò la spada su una spalla, pronto ad usarla ancora, e, voltandosi
verso Kiyosato, lo raggelò con uno sguardo da vero assassino, a dir poco truce. Azuma fu colto da una forte ansia. Già, il
colpo che Kenshin aveva usato per sconfiggere Teppei Arima, era lo stesso che usò Battosai su di lui e che lo ridusse in
quello stato. Un irrefrenabile sentimento di rabbia mista a terrore portò Kiyosato a tremare. Sudava freddo ed un nodo gli
si formò in gola. Kenshin, intanto, rifoderò la spada ed andò a coprire il corpo nudo di Kaoru con la sua casacca
vermiglia. La battaglia non era ancora finita. Enishi, vedendo la sua mano sporca di sangue, il colpo subito dal genero gli
aveva ferito il labbro inferiore, s’infiammò di rabbia. “Questa me la paghi, Battosai.” sibilò a digrignando i denti.
Kenshin capì le sue intenzioni e risfoderò la spada inversa. Non si sbagliava, infatti Enishi si lanciò nuovamente
all’attacco. Era un tipo veramente tenace. Intanto, Kiyosato, piombato in un delirio d’odio e paura, si nascose dietro a dei
cespugli. Hinabiki lo vide e, zoppicando, cercò di raggiungerlo. Voleva far quadrare i conti in sospeso. Kiyosato non
l’avrebbe certo passata liscia dopo tutto il dolore che aveva causato al suo amato Kenshin! Sì, doveva fargliela pagare
cara, molto cara. E poi, sinceramente, l’idea di maltrattare il vendicatore l’eccitava da morire. Ad un tratto, mentre lo
scontro tra Kenshin ed Enishi infuriava, una voce di bambina attirò l’attenzione dei due contendenti. “Papà! Papà!”
Enishi, esterrefatto si voltò, lentamente, verso destra. Quella voce, la conosceva bene. Anche Kenshin andò a guardare
verso l’entrata del Dojo Kamiya e, con suo grande stupore, riconobbe la figura scura di Aoshi Shinomori, accompagnato
da Omasu. Accanto a loro vi erano due bambine ed una giovane donna in avanzato stato di gravidanza. Kenshin sorrise,
quella, lo capì d’istinto, doveva trattarsi della famiglia di Enishi. La bambina che aveva gridato era davvero graziosa.
Doveva avere sui sette anni, portava sciolti i suoi lunghi capelli corvini, aveva lucidi e profondi occhi scuri. Sembrava
proprio una Tomoe in miniatura e, nel guardarla, Kenshin provò una forte tenerezza. L’altra bimba era davvero piccola,
probabilmente aveva da poco imparato a camminare. Sembrava timida ed insicura, al contrario della sorella, e si
nascondeva dietro al kimono della madre. “Tomoe...Sumire...Saki...” sibilò Enishi lasciando cadere la katana a terra.
Aveva un’espressione inebetita, ma sembrava aver riacquistato la ragione. “Papà, perché non sei più tornato a casa? Ti
abbiamo aspettato tanto, per ben due mesi, sai?”gli domandò la piccola Tomoe. Kenshin sgranò gli occhi. “Due mesi?!”
esclamò dentro di sé, prima di chiedere spiegazioni agli amici ninja. “Aoshi, signorina Omasu, che significa?” “Quando
io ed Okon siamo andate a sorvegliare la famiglia del signor Enishi Yukishiro, come la vostra lettera chiedeva, abbiamo
scoperto che questi mancava da casa da, almeno, due mesi.” gli rispose Omasu, senza lasciare la sua postazione. “Enishi,
dimmi, perché te ne sei andato? Dove sei stato per tutto questo tempo?” la signora Saki sembrava sconvolta mentre
tempestava il marito di domande :“Ti abbiamo cercato tanto, ma sembravi esser sparito nel nulla. Ci hai fatto preoccupare
tantissimo. Per fortuna stai bene.” concluse quasi singhiozzando. Enishi si sentì sciogliere. Pensando solo alle sue smanie
di vendetta, aveva abbandonato la famiglia senza preavviso, unendosi alla banda capitanata da Azuma Kiyosato. Quale
stupidaggine aveva commesso! Si era comportato proprio come un bambino egoista. Chissà con quanta fatica Saki aveva
lavorato, nonostante la gravidanza, per sfamare le bambine. Solo allora Enishi si rese conto di quante sofferenze e
preoccupazioni aveva causato loro. La sua aggressività si placò, lasciando posto ad un’intensa amarezza. Cadde in
ginocchio con la testa fra le mani, sopraffatto dal peso di tutte quelle colpe. “Che cosa ho fatto...come potrò mai farmi
perdonare?...”singhiozzò. Saki scoppiò in lacrime di gioia, mentre Tomoe e Sumire s’avvicinarono al padre,
abbracciandolo dolcemente. “Non preoccuparti, papà, l’importante è che tu stia bene.” affermò Tomoe con un sorriso.
Enishi strinse a sé entrambe le figlie, baciandole infinite volte. Kenshin sorrise. Ormai la battaglia era finita.
42
Ma non per Sanosuke e Sasuke che non si accorsero di nulla, troppo impegnati a darsele di santa ragione.
Kiyosato era fuori di sé per la rabbia e per la paura di venir sconfitto una seconda volta. Battosai non avrebbe più
sbagliato, stavolta l’avrebbe ucciso sul serio. Al solo pensiero Kiyosato prese a tremare come un bambino, terrorizzato
come non mai. Il dolore di una spada conficcata nel corpo, l’odore del sangue, quell’angoscia che non ti permetteva di
respirare, il buio. No, non voleva rivivere quelle emozioni terrificanti! Non voleva morire. Non voleva morire! Preso dal
panico, Kiyosato estrasse uno shuriken dal kimono e, uscendo dal suo nascondiglio, lo scagliò con tutta la sua rabbia e
disperazione verso la piccola Tomoe. Era lei la causa della sua sconfitta! Doveva morire! Kenshin si accorse subito del
pericolo. Corse verso la bambina, la prese tra le braccia, ma lo shuriken la colpì ugualmente ferendole un polpaccio. Non
era una ferita grave, ma alla sola vista del sangue sul corpo della sua bambina, Enishi s’infiammò d’ira. Solo allora
Kiyosato si rese conto del guaio nel quale si era cacciato. Non sapendo che fare, sempre più impaurito, scaricò la colpa
dell’attacco sui due Oniwabanshu. Nessuno gli credette, tutti avevano visto che era stato lui. Enishi s’alzò in piedi e,
furibondo, si avvicinò ad Azuma con la spada in pugno. Questi prese ad indietreggiare chiedendo pietà. Il samurai
sembrava non udire le sue suppliche, anzi estrasse la katana e lo spinse contro un muro. Kiyosato era in trappola, ormai
non poteva più fuggire. Enishi alzò la spada, era pronto ad infliggergli un colpo mortale quando Kenshin, poggiandogli
entrambe le mani sulle spalle, lo fermò. “Non ucciderlo. Ormai è un uomo sconfitto, non è onorevole infierire su chi non
è più in grado di combattere.” . Enishi era indeciso, ma, alla fine abbassò la spada. Non ne valeva davvero la pena. In quel
mentre giunse uno squadrone di poliziotti comandato dal vicebrigadiere Goro Fujita, alias Hajime Saito. Erano appostati
dietro al portone della palestra già da molto tempo, ma solo allora Saito decise d’intervenire. Da buon Shinsengumi non
s’intromise in una battaglia tanto personale, il suo codice d’onore glielo impediva. I componenti della banda di Kiyosato
furono arrestati. Per far cessare il combattimento fra Sasuke e Sanosuke dovette intervenire proprio Saito che, senza
mezzi termini, li stese entrambi. Dei sette vendicatori solo Kurokage riuscì a fuggire.
L’incubo era finalmente finito.
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-Capitolo 8: Continuare a vivere –
Mentre i poliziotti stavano concludendo le procedure d’arresto, la signora Saki fu colta da forti ed improvvisi dolori al
ventre. Megumi corse subito in suo aiuto e, da buon medico, comprese che il momento del parto era vicino. La donna
venne portata all’interno della palestra dove venne assistita da Megumi e dalla piccola Tsubame, a nessun altro fu
consentito l’accesso. Intanto Kenshin si prese cura di Kaoru, Enishi di Tomoe, Hinabiki della sua gamba fratturata. Kaoru
non era ferita, sì, riportava qualche contusione, ma nulla di grave. Aveva solo bisogno di riposo e consolazione
dall’evidente stato di shock.
Era scesa ormai la notte quando, finalmente, Kenshin poté permettersi un pò di riposo. Megumi e Tsubame erano ancora
all’interno della palestra. Enishi continuava a camminare nervosamente davanti allo shoji del dojo. Yahiko e Sanosuke,
invece, dormivano tranquilli, grazie ad un decotto rilassante e dall’azione antidolorifica. Hinabiki, seduta in veranda,
teneva d’occhio Sumire e Tomoe. La prima le si era addormentata fra le braccia, risvegliando, nel cuore della guerriera,
un dolce istinto materno che credeva d’aver perso con la morte del figlio che aspettava da Ushizo, un bambino mai nato.
Kaoru, nella sua stanza, stava cominciando a riprendere conoscenza. Aoshi ed Omasu erano partiti da tempo alla volta di
Kyoto, giurando che sarebbero tornati a trovarli portando con loro anche Misao e gli altri.
Verso l’alba, Kenshin si stava rinfrescando nei pressi del pozzo, quando Tomoe gli si avvicinò. Aveva qualcosa tra le
mani. “Signor Himura.” lo chiamò con voce timida e lui alzò il viso bagnato. “Mio padre mi ha detto di darle questo.” Lei
le porse un piccolo oggetto quadrato avvolto in un furoshiki azzurro. Kenshin, prima d’afferrarlo, s’asciugò le mani
contro il kimono. Sembrava un quaderno o un libro al tatto. “Grazie.” sorrise prima di aprire l’inaspettato dono. Tolse
accuratamente il furoshiki e scoprì che questi celava un piccolo quaderno. Incuriosito prese a sfogliarlo. Solo allora, con
sua grande sorpresa, si rese conto che quello era il diario della sua amata sposa, il quaderno sul quale Tomoe scriveva i
propri pensieri. Con fatica Kenshin represse un urlo di stupore e le mani gli tremarono a tal punto da quasi far cadere il
libricino. “Tomoe.” sussurrò con un nodo in gola prendendo a sfogliare le pagine del diario. Erano un pò ingiallite, ma
conservavano l’odore del prugno bianco, il profumo di Tomoe. Come in una rapida successione di immagini, vide passare
davanti ai suoi occhi tutta la sua vita trascorsa al fianco della sposa, dal momento in cui si videro per la prima volta sino a
quando si separarono per sempre. Poi, tornando con un brivido al presente, si soffermò a leggere una pagina del diario.
(...)<Odio il mio carattere che m’impedisce di sorridere. Vorrei tanto mostrare il mio sorriso a Kenshin per fargli capire
quanto sono felice insieme a lui, ma non ci riesco e non so nemmeno il perché. Ad ogni modo, spero che Kenshin, al
contrario di me, non smetta mai di sorridere. Se lui sorride anche io, in fondo al cuore, sorrido. Ormai io e Kenshin siamo
diventati una cosa sola, se lui è felice, anche io lo sono.>(...) Alcune lacrime caddero sul foglio ingiallito. In quel mentre,
Kaoru, che dal momento in cui aveva ripreso conoscenza non aveva fatto altro che cercare Kenshin, apparve alle spalle
del samurai. Il suo viso stanco venne illuminato da un radioso sorriso. Raggiante corse verso l’amato e solo quando gli
giunse affianco si accorse che lui stava tremando. Si fermò e, prestando attenzione, udì dei singhiozzi sommessi.
“Kenshin” sibilò intristita, portandosi le mani al petto. Rimase per qualche istante immobile, chiedendosi cosa fosse
accaduto e come avrebbe potuto consolarlo. Alla fine prese coraggio e, allargando le braccia, abbracciò la schiena di
Kenshin. Questi, sentendo il calore del corpo della ragazza, rinsavì e, ripensando ali scritti di Tomoe letti poco prima,
cercò di sorridere. “Va tutto bene, signorina Kaoru. È tutto finito, finalmente ho compreso.” affermò alzando lo sguardo
verso il cielo che iniziava a schiarirsi. Kaoru, sorpresa da quelle calme parole, alzò il viso a guardare la nuca di Kenshin.
“Devo smetterla di pensare al passato e piangere per le colpe di cui mi sono macchiato. È giunto il momento di guardare
davanti a me, di rinascere come il sole all’alba, di sorridere alla vita. Perché solo sorridendo posso rendere felici le
persone che amo.” sostenne voltandosi verso Kaoru con le labbra schiuse in un sorriso, illuminato dalla calda luce di un
sole nascente. In quell’istante :“È nato! È nato!” urlò Enishi esultante. Kaoru e Kenshin si scambiarono un sorriso, poi
corsero davanti alla palestra tenendosi per mano. Si ritrovarono tutti nel cortile antistante il dojo, c’era anche Yahiko,
sorretto da Sanosuke, a festeggiare il lieto evento. E sì, Enishi era diventato padre per la terza volta. Di un maschio per
giunta! Era stato un parto difficile, ma alla fine tutto era andato per il meglio, la signora Saki stava bene ed anche il
bambino. Megumi uscì tenendolo tra le braccia. Il viso stanco per la lunga notte insonne, era illuminato da un sorriso
soddisfatto. Enishi prese subito tra le braccia il piccolino al quale diede il nome Musashi, augurandogli di essere forte
come il valoroso samurai Musashi Miyamoto. “Qui bisogna festeggiare!” affermò Sanosuke sempre pronto a far baldoria,
e la sua richiesta venne accolta. Quello era davvero un giorno speciale, c’erano tante cose di cui rallegrarsi.
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-Capitolo 9: Conclusione –
Ma che fine avevano fatto Azuma Kiyosato ed i suoi seguaci? Ayame Otowa durante la pena carceraria conobbe un
poliziotto che, in passato, faceva parte delle spie Oniwabanshu. S’innamorarono l’uno dell’altra e, grazie alle pressioni
del poliziotto sui capi governativi, dopo quasi un anno Ayame venne rilasciata. Lei ed il suo amato si sposarono, si
trasferirono in campagna e vissero in pace per il resto dei loro giorni. Takezo Shimada, dopo un primo periodo di
ribellione, accettò la pena inflittagli dedicandosi alla meditazione ed alla stesura di poesie. Dopo qualche anno venne
rilasciato per la buona condotta dimostrata. Sembrava ormai aver trovato il suo posto nel mondo. Sasuke Seikaku, invece,
piuttosto che pentirsi si suicidò impiccandosi nella sua cella. Aveva 20 anni. Azuma Kiyosato perse la ragione e passò il
resto dei suoi giorni alternando momenti brevi di lucidità all’oblio. Morì due anni dopo l’arresto, a 32 anni. Di Kurokage
non si seppe più nulla. Come era apparso scomparve e nessuno, nemmeno Hajime Saito riuscì ad acciuffarlo. Per quanto
riguarda i nostri eroi, Enishi Yukishiro e famiglia tornarono a Kyoto. Kenshin affidò al cognato il diario di Tomoe poiché
questi lo seppellisse accanto alla tomba della ragazza. La trattoria Akabeko venne ricostruita e Tsubame tornò a vivere da
sola in una casetta accanto al locale. Hinabiki si ristabilì nel giro di un mese e, non appena fu in grado di camminare,
tornò a vagabondare. Questa volta, però, non era sola, ad accompagnarla c’era Sanosuke. Megumi Takani tornò al suo
paese natio, Aizu, sempre alla ricerca della sua famiglia, scomparsa durante le guerre di fine shogunato. Yahiko rimase
alla palestra Kamiya Kasshin fino a quando non si ristabilì del tutto, dopo di che andò a vivere per conto suo nella casa
che apparteneva a Sanosuke. Continuò, comunque, ad allenarsi strenuamente da solo o al dojo Kamiya Kasshin. Il
desiderio di diventare il samurai più forte del Giappone era sempre vivo nei suoi grandi occhi castani. Kenshin,
nonostante meditasse d’appendere al chiodo la cara spada Sakabatou, continuò a tenersi in allenamento anche dopo il
matrimonio con la bella Kaoru. E nemmeno mancò di far visita, ogni anno nel giorno dei defunti, alla tomba di Tomoe a
Kyoto. Nel giro di un anno, Kaoru partorì un bambino al quale venne dato il nome di Kenji Himura. Finalmente anche
Kenshin aveva ritrovato la serenità.
I Kenshingumi non si rividero più.
Chissà se il destino avrà intenzione di farli riunire ancora una volta. Io penso di sì, e voi?
FINE
Il Bazar di Mari
www.ilbazardimari.net
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- Postfazione dell’Autrice ad oltre 10 anni dalla pubblicazione Questa storia è nata più di un decennio fa…incredibile pensarci! Dopo così tanto tempo aveva bisogno di una
ricontrollata però, devo ammettere, che ho corretto davvero poca roba, piccoli refusi per lo può, ma non ho
modificato nulla della storia arrivando a stupirmi di come sia riuscita a creare un racconto tanto dettagliato e quasi
plausibile. All’epoca non sapevo minimamente come sarebbe andata a finire la storia di Kenshin Himura, in quanto
il manga di Nobuhiro Watsuki, in prima edizione, era ancora in fase di serializzazione in Italia e non avevo letto
nulla riguardo eventuali spoiler dell’edizione giapponese, eppure sono riuscita a creare qualcosa di plausibile con la
storia originale anche se del tutto personale, riscrivendo da zero alcuni personaggi. Questa storia è stata la prima che
pubblicai su Il Bazar di Mari, avevo conosciuto Marialuisa, la creatrice del sito e forum, da poco e l’idea che le mie
opere potessero uscire dalla cartellina sul pc subito mi spaventò, ma poi mi dissi “perché no?” e così accettai la
pubblicazione sul sito. Non ci crederete ma proprio Marialuisa iniziò a comprare il manga di Kenshin e ad
appassionarsi alla sua storia dopo aver letto questa fan fiction! Fu un grande onore per me. E quindi non posso che
ringraziare Mari che da oltre 10 anni mi da sempre fiducia nelle mie proposte editoriali e mi permette di collaborare
con lei alla gestione del sito e del forum, nonostante la mia cronica ormai mancanza di tempo.
Vorrei, prima di concludere, spendere due righe sul personaggio di Hinabiki Sekigawa. Come avrete capito, questa
storia aveva un prequel, ambientato durante la lotta tra Makoto Shishio e Kenshin, ma non la pubblicai mai… non so
bene il perché, fatto sta che comunque ora è irrecuperabile in quanto chissà su quale hard – disk era salvata e quindi
che fine avrà fatto dopo tutto questo tempo. Urge dunque che vi spieghi un attimino come è nato questo personaggio
e qual è più o meno la sua storia visto che è stato completamente ideato da me. Hinabiki Sekigawa (anche Hinabiki è
un nome palesemente inventato, suonava bene e poi volevo qualcosa che ricordasse i pulcini, “hina” in giapponese, e
così è nato questo nome) è una ragazza nata in una famiglia di samurai di Kyoto. Suo padre era un maestro di spada
molto rinomato, titolare della scuola della Luna Calante, ma aveva avuto, dal suo primo ed unico matrimonio, solo
figlie femmine e quindi si struggeva per non riuscire a portare avanti la tradizione di famiglia. Decise dunque che
l’ultima nascitura, Hinabiki, avrebbe dovuto vivere come un uomo sin dalla sua primissima infanzia. Lei, infatti, è
sempre stata vestita, pettinata e trattata come un maschio. Quando Kenshin era ancora un bambino ed abitava con i
genitori, prima che morissero di colera a causa di un’epidemia, a Kyoto, erano quasi vicini di casa e quindi
passavano molto tempo insieme a giocare. Dopo che i genitori di Kenshin morirono, egli sparì e Hinabiki si rattristò
molto per questo fatto in quanto egli era un po’ il suo unico amico visto anche che non abitavano in città, ma tra la
boscaglia e, quindi, in un luogo particolarmente impervio ed isolato. Hinabiki crebbe tra gli insegnamenti e duri
allenamenti del padre, una persona molto autoritaria e severa che, nonostante amasse molto la figlia, non glielo
dimostrò mai e si comportò sempre più come un irreprensibile maestro che come un padre. Giunse il periodo delle
ribellioni che scatenarono il Bakumatsu e fu così che Hinabiki, ormai samurai provetta, si presentò all’audizione che
avrebbe scelto i guerrieri atti a combattere nelle schiere dei samurai ambiziosi di Choshu, capitanati da un giovane
Kogoro Katsura. Li rincontrò Kenshin e le loro due abilità erano indiscusse, tanto da guadagnarsi il posto
dell’esercito anti-shogunale. Combatterono per un po’ in prima linea prima d’intraprendere la carriera di sicari ed
assassini in Kyoto. E fu allora che il loro rapporto si strinse ancora di più. Kenshin, infatti, salvò la vita a Hinabiki.
Durante una battaglia, lei fu gravemente ferita alla gola e fu solo per un caso fortuito che la ferita non fosse così
profonda da ucciderla e decapitarla sul colpo. Kenshin riuscì a portarla via dal campo di battaglia e, rifugiatisi
entrambi in una casetta abbandonata, la assistette curandola come poteva. Li scoprì anche il segreto della ragazza,
che finora aveva considerato un uomo fatto e finito. Kenshin fu il primo uomo a vederla nuda e quindi a scoprire che
fosse una donna. Questo per Hinabiki rappresentò sempre un legame molto forte col samurai e finì per innamorarsi
di lui, ma egli non la ricambiò mai. Per Kenshin, infatti, Hinabiki non era mai stata nulla più di una fratello/sorella
minore da trattare con affetto ma di certo non con amore carnale come lei, invece, avrebbe desiderato.
Il resto della storia è noto e raccontato nella fan fiction. Alla fine Hinabiki ed Ushizo si sposarono e continuarono
comunque a combattere sino a quando, in una delle ultime rivolte, Ushizo perse drammaticamente la vita e Hinabiki
rimase di nuovo sola. Hinabiki non dimenticò mai il suo amore per Kenshin, ma accettò di sposare Ushizo perché,
alla fine, gli dispiaceva vederlo così innamorato e non poter far nulla per dargli un po’ di felicità. Alla fine gli voleva
bene, non era un amore forte, ma l’affetto c’era. Durante la lotta contro Makoto Shishio, Hinabiki, che era, tra
l’altro, aspettava un figlio da Ushizo ma nessun lo sapeva e lei stessa nascondeva la gravidanza per poter continuare
a combattere, fu colpita fortemente al ventre ed ebbe un aborto. La ragazza mia riuscì a perdonarsi di non essere
riuscita a salvare almeno quel ricordo del suo sposo che tanto avrebbe voluto diventare padre e condurre una vita
tranquilla lontano dalle guerre. Dopo tutto l’amore che Ushizo le aveva dato negli anni, non essere riuscita a salvare
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prima lui e poi il figlio che da lui aspettava furono un duro colpo per lei che, dopo la lotta e la sconfitta di Shishio, se
ne andò nuovamente vagabondando per il Giappone. Insomma, un sacco di personaggi complicati, dal passato
drammatico segnano questa storia che, necessariamente, aveva bisogno di un happy ending spero, però, non troppo
scontato. Spero che vi sia piaciuta e, se vi va, lasciate un commento o quello che secondo voi potrebbe essere
migliorato nelle prossime storie di modo che io possa sempre migliorarmi, crescere, e darvi racconti sempre
migliori.
Vi ringrazio per essere arrivati a leggere sin qui e, mi raccomando, seguiteci sempre su Il Bazar di Mari.
Con gratitudine
Claudia Murachelli
In arte La Fallen Angel
09/05/2014
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