Alcune note critiche sui Carmina di Paolino di Nola

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Alcune note critiche sui Carmina di Paolino di Nola
Alcune note critiche
sui Carmina di Paolino di Nola
Per quanto riguarda il testo critico degli scritti di Paolino di Nola si è ancora
fermi all'edizione di W. Hartel, Sancti Pontii Meropii Paulini Nolani Carmina,
CSEL 30, Vindobonae 1894, ed ai suoi Patristische
Studien VI. Zu den
Gedichten des H. Paulinus von Nola, Wien 1895 . Non si può tuttavia ignorare
che da più parti, e specialmente in tempi piuttosto recenti, è stata avvertita dagli
studiosi l'esigenza di una nuova edizione critica dell'opera paoliniana . A
questa richiesta si è associata nel tempo la pubblicazione di articoli più o meno
ampi , in cui si proponevano emendamenti e nuove lectiones miranti a sanare il
più possibile i loca variamente corrupta degli scritti paoliniani, in previsione
anche della pubblicazione di un testo critico filologicamente più attendibile.
1
2
3
1. V a rilevato che nelYeditio
altera, supplementis aucta curante Margit Kamptner,
Vindobonae 1999, C S E L 3 0 , l'Autrice non interviene sul testo di Paolino e si limita a
raccogliere nel suo Index criticus 6 (pp.363ss.) le correzioni proposte dai diversi Studiosi fino
al 1999.
2
2. Ci riferiamo in ordine cronologico a Shackleton B a i l e y , Walsh, Duval, D ò p p : v. al
riguardo R. Kirstein, Paulinus Nolanus, Carmen 17, X P H 2 I 2 ~ CHRÉSIS. D i e Methode der
Kirchenväter i m U m g a n g mit der antiken Kultur VIII, Basel 2 0 0 0 , 2 2 , che nel suo valido
commento propone anche alcune lectiones più attendibili di quelle tradite. A l riguardo v.
anche la nostra recensione in Zeitschrift für Antikes Christentum 5, 2 0 0 2 , 146-155.
3. D . R. Shackleton Bailey, Critical Notes on the Poems of Paulinus of Nola, AJPh 9 7 ,
1976, 3-19; Hudson-Williams, Notes on Paulinus of Nola, Carmina, CQ 27, 1977, 4 5 2 - 4 6 5 ;
W. S. Watt, Notes on the Poems of Paulinus Nolanus, VChr 5 2 , 1998, 3 7 1 - 3 8 1 ; G. Guttilla,
Rectius legenda, Paolino di Nola, ep. 3 2 , 6, 2 8 1 , 1-4, BStudLat 25, 1995, 1 1 1 - 1 1 3 . A questi
articoli vanno aggiunte le diverse lectiones proposte o accolte da alcuni studiosi nelle loro
traduzioni o nei loro studi su singoli carmi. Ci riferiamo in particolare a S. Costanza, Meropio
Ponzio Paolino, Antologia di Carmi, Messina 1 9 7 1 , 7 3 - 7 6 ; P. G. Walsh, The Poems of St.
Paulinus of Nola, N e w York 1967, passim; A. Ruggiero, Paolino di Nola. I Carmi, NapoliR o m a 1996, passim; R. Kirstein, Paulinus Nolanus, Carmen 17, cit.(n. 2 ) . Per quanto
concerne la recente edizione dei Carmina di Paolino, curata da M. Kamptner, v. n.l.
Anche le "note", che proponiamo ora all'attenzione degli Studiosi, vogliono
essere un piccolo contributo per la nuova edizione critica dei Carmina e delle
Epistulae di Paolino. Essa è sollecitata da più parti e, dopo la pubblicazione del
Lexikon Paulinianum, ci auguriamo che sia vicina nel tempo.
1) Cairn. 15,2-3
I versi appartengono al carm. 15, composto come quarto natalicium per la
ricorrenza del 14 gennaio del 398 e fanno parte della eulogia in onore di
S. Felice, il santo patronus di Paolino, con cui s'apre il carme. Successivamente,
nei vv. 15-20, essa si sviluppa secondo moduli e stilemi lucreziani (de r. nat. 1,
62-63 e 3, 9-10), tra cui l'uso del «Du-Stil»*:
, o clarissime
Felix, natali proprio
Christo
mihi carior,
...
Anche se la lezione clarissime del codice G (Petropolitanus
Q IV) può
trovare un riscontro classico in Orazio (carm. 1, 20, 5: dare Maecenas eques),
ci sembra tuttavia che l'aggettivo conservi nel contesto un sapore troppo
mondano e inopportuno, che neanche il Christo, cui si riferisce e che ne precisa
il significato in termini spirituali, riesce ad annullare del tutto.
Proprio per questo riteniamo che si debba accogliere la lezione dei codici E
(Bononiensis 2671) e T (Urbinas 593) e leggere:
, o carissime
Felix,
Christo
...
Sebbene si trovi in codici recentiores, la lezione proposta è confermata anche
dal carm. 2 1 , 345: susceptor meus et Christo carissime Felix e per la sua
collocazione, ancora una volta alla fine del verso, ci appare come una delle tante
clausole che, usate da Paolino nei Carmi più antichi, sarebbero state riprese e
riproposte in quelli successivi .
5
4. Guttilla, Preghiere e invocazioni
1993, 9 3 - 1 8 8 , specialmente 113-115.
nei Carmi di S. Paolino
di Nola, A L G P 2 8 - 3 0 , 1 9 9 1 -
5. A d esempio: carm. 12, 1; Inclite confessor, mentis et nomine Felix,/...
; carm. 13, 1-2:
Felix, hoc merito quod nomine, nomine et idem/qui merito,
epist. 32, 6, 1: Presbyter
hic
situs est meritis et nomine Clarus,/...
Su questi ultimi versi v. G. Guttilla, / tituli in onore del
presbyter Clarus e la datazione del carme 31 di Paolino di Nola, BStudLat 19, 1989, 5 8 - 6 9 ,
in particolare 60-62.
2) Cairn. 15, 46-49
I versi costituiscono lo sviluppo dell'eulogia con cui s'apre il carme. In essi,
dopo essersi rivolto inizialmente alla sua cetra ed avere affermato che le
ispiratrici della sua poesia non sono più ora le Muse castalidi né il sordo Febo
ma Cristo, Paolino Lo prega di ispirarlo, dal momento che la lode del Suo
martire Felice è anche la Sua lode :
6
... ; namque tui laus martyris
et tua laus est,
quifacis
omnipotens homines divina
fortiaque
infirmis superas de carne
aèrios proceres
valere
triumphans,
vincens in corpore
nostro.
Proprio perché è usato nel contesto d'una preghiera, ci sembra che l'aggettivo
omnipotens sia da considerare un vocativo, con cui Paolino si rivolge a Cristo,
piuttosto che un suo attributo, analogamente a quanto avviene ai vv. 34-35 dello
stesso carme: Nec tibi difficile, omnipotens, mea solvere doctis/ ora modis, qui
muta loqui, fluere arida, solvi/dura iubes. Anche qui l'aggettivo acquista infatti
una maggiore efficacia, dal momento che anch'esso, in quanto vocativo, è un
elemento della componente eulogica presente nel brano.
Alla luce di queste considerazioni il testo va pertanto letto così:
namque tui laus martyris
et tua laus est,
quifacis,
omnipotens, homines divina
fortiaque
infirmis superas
aèrios proceres
de carne
vincens in corpore
valere
triumphans,
nostro.
3) Cairn. 17,6-8
II carm. 17 è un propempticon
e per il suo contenuto rappresenta il primo
carme 'dotto' composto da Paolino. Il destinatario dello scritto è il vescovo
Niceta di Remesiana che, dopo essere stato a Nola nel 400, era partito per
tornare nella sede in cui svolgeva il ministero che gli era stato affidato :
7
Sed et hic
sancte Niceta, quoniam
corde
6. Guttilla, Preghiere
e invocazioni
resistis,
et
profectum
tenemus.
nei Carmi di Paolino,
cit. n.4, 115-118.
7. Oltre a Kirstein, Paulinus Nolanus. Carmen 17, cit. (n. 2), 35-55 e 106-107, v. Guttilla,
L'esordio
di Paolino come poeta 'dotto' cristiano. Il propempticon a Niceta (carm. 17),
Impegno e Dialogo 13, 2 0 0 1 , 359-390.
È facile capire il senso dell'ultimo endecasillabo saffico e del successivo
adonio che completa la strofa, ma nello stesso tempo non appare evidente a
livello grammaticale a cosa si riferisca il participio profectum, anche se è
evidente che esso concorda ad sensum, in maniera piuttosto maldestra, col
vocativo Niceta. Di nessuna utilità è nello stesso tempo quanto troviamo
nell'apparato critico in relazione a questi versi. Per il v. 8, un adonio, esso
propone infatti la lezione te tenemus, in realtà improponibile dal punto di vista
metrico.
Per quanto ci riguarda, riteniamo che i versi si debbano leggere così:
Sed et hic
sancte, Nicetam quoniam
corde
resistis,
et
profectum
tenemus.
Così facendo, il termine Nicetam, grazie anche alla posizione anastrofica che
ora occupa rispetto ai termini quoniam et, finisce con l'acquisire una carica
enfaticamente laudativa ben maggiore di quanto non ne abbia il vocativo Niceta,
che troviamo nei codici.
La traduzione dei versi suona pertanto così:
"Ma tu resti anche qui, o santo, dal m o m e n t o che, anche quando è partito, noi
teniamo in cuore Niceta".
4) Carni. 17, 25-44
I versi che ci accingiamo ad esaminare fanno parte anch'essi del propempticon e costituiscono una preghiera che Paolino rivolge a Cristo, affinché Niceta
possa trovare una temperatura mite e una lieve brezza durante la prima parte del
viaggio, nella quale attraverserà le assolate terre della Puglia :
8
25
Ast ubi paulum via
det, precor,
proferetur,
mites tibi Christus
et levis spiret sine nube
aura
Calabris.
Sicut antiqui manibus
30
per sacramentum
prophetae
crucis unda
dulcuit Ugno posuitque
merra
aestus
siccis
misso
tristes
liquores,
8. N e i vv. 2 9 - 5 6 Paolino arricchisce in chiave 'dotta', mediante due exempla di estrazione
biblica, il contenuto della sua precedente preghiera: v. Kirstein, Paulinus Nolanus,
Carmen
17, cit.(n.2), 112-128; Guttilla, L'esordio di Paolino come poeta 'dotto' cristiano
cit.(n.7),
364-367.
sic tibi caelum modo
temperetur,
et levi sudo tenuatus
35
aer
flatibus puris placide
salubres
spiret in auras,
qui solet flatu gravis e
palustri
anguium tetros referens
odores
solvere
40
in morbos
corpora
quem potens
tumefacta
crasso
vento,
rerum dominus
sive mutari iubeat
nunc sacerdoti
bona
flabra
fugari
suoque
sanitatis
ministret.
Il quem del v. 41 non è un pronome relativo, bensì un "nesso relativo" (un
"relatif de liaison"), che ha il valore di et ovvero at (etc.) eum.... .
Pur
riferendosi grammaticalmente all' et ... aer/ .../spiret
in auras, ... del brano
precedente (vv. 34-36), esso dà l'avvio ad un nuovo periodo (vv. 41-44: Quem
... ministret.), che successivamente, ai vv. 45-56, è completato anch'esso da una
similitudine:
9
45
Sicut Aegypto
pereunte
quondam
noctis et densae tenebris
operta,
qua dei vivi sacra gens
lux erat
50
agebat,
orbi,
quae modo in toto species
probatur
orbe, cum sanctae pia pars
fidei
fulgeat
Christo,
reliquos
obruat
tenebris
error:
sic meo, qua se fer et actus
cuncta Nicetae
55
dominus
donec optato patriam
laetus ad
ora,
secundet,
vehatur
urbem.
Sia a livello strutturale sia sintattico i vv. 41-56 ripropongono i vv. 25-40.
Hanno infatti una strofa iniziale (vv. 25-28 ~ vv. 41-44) contenente la proposizione reggente, che evidenzia in entrambi i casi due congiuntivi esortativi, cui
segue un'ampia similitudine di eguale ampiezza complessiva (vv. 29-40 ~ 4556), i cui membri sono introdotti specularmente da Sicut ... sic ... Va tuttavia
rilevato che, mentre nella similitudine iniziale il primo colo si conclude
nell'ambito di una sola strofa ed invece il secondo si sviluppa in quello di due
9. Per altri casi di "nessi relativi", che ovviamente non si limitano a quelli indicati da noi,
v. l'Appendice di pp. 37-40.
strofe, nella seconda similitudine siffatto rapporto è chiasticamente invertito,
anche se in entrambe le proposizioni introdotte da cum sono presenti rispettivamente due ed un congiuntivo esortativo.
La correzione da noi proposta ai vv. 37-44:
qui solet
solvere in morbos
40
corpora
Quem potens
tumefacta
crasso
vento.
rerum dominus
sive mutari iubeat
nunc sacerdoti
bona
flabra
fugari
suoque
sanitatis
ministret.
ci dà una punteggiatura più attendibile, che ci permette nello stesso tempo di
apprezzare meglio la tecnica compositiva di Paolino:
"... (l'aria) ...che ... suole dissolvere, facendoli ammalare, i corpi resi tumefatti dal
vento impetuoso. E il potente Signore dell'universo comandi o che esso (cioè il
vento) sia m e s s o in fuga o sia fatto mutare e conceda ora al Suo sacerdote brezze
favorevoli, apportatrici di salute".
5) Cairn. 17, 161-168
Proseguendo, mediante un Wortspiel avente per oggetto il significato etimologico del suo n o m e , Niceta è definito da Paolino "vincitore del proprio
corpo" e subito dopo, con una similitudine dottamente biblica, è paragonato a
Giacobbe, che fu chiamato Israele', perché nella profondità del proprio cuore
aveva contemplato il sommo Creatore:
10
Tuque, Niceta,
corporis
bene nominatus
Victor, velut ille
Israel, summum quia vidit
corde
165
unde Nicetes meus
Israelites
sinefraude
qui deum cernit
lumine
dictus
alto
satorem,
adprobatur
verus,
solidaefidei
Christum.
10. È notevole negli scritti di Paolino il numero dei Wortspiele
(detti anche "giochi di
parole", "jeux sur les mots" ovvero "puns") aventi per oggetto il significato spirituale degli
appellativi di coloro cui essi sono attribuiti: v. Guttilla, Meritis et nomine Felix: I Wortspiele
con i nomi propri negli scritti di Paolino di Nola, Scholia 9, 2 0 0 2 , 9 6 - 1 0 9 .
Il nominatus del v. 161 non è certamente la forma originaria, ma è stato
suggerito, all'interno della trasmissione del testo, probabilmente dal dictus, con
cui termina il verso seguente. Proprio perché non rientra nell'uso paoliniano il
sottintendere nelle forme verbali, per ben due volte di seguito, il verbo "essere"
(nominatus /... dictus = nominatus es / ... dictus est), pensiamo che la lectio
corretta debba essere nominaris, che in tal modo diventa opportunamente il
verbo principale della strofa.
Anche se la lezione nominaris da noi proposta elimina dal punto di vista
retorico l'omoptoto che univa prima i due participi, essa ne stabilisce tuttavia un
altro col termine corporis, con cui comincia il verso seguente ed al quale essa è
ora legata dall' enjambement.
Una volta accolta la lezione da noi proposta, bisogna leggere il testo così,
accettando anche la punteggiatura che abbiamo introdotto dopo il primo adonio:
Tuque, Niceta,
corporis
bene nominaris
Victor, velut Me
dictus
Israel, summum quia vidit
corde
165
unde Nicetes
Israelites
meus
adprobatur
sine fraude
verus,
qui deum cernit solidae
lumine
alto
satorem;
fidei
Christum.
e intendendo nello stesso tempo i versi come segue:
"E tu, o Niceta, sei chiamato a ragione 'vincitore del corpo', come colui che fu
chiamato 'Israele', perché vide nel profondo del suo cuore il sommo Creatore;
perciò il mio Niceta, che vede Cristo Dio con la luce della sua solida fede, è
giudicato un vero 'Israelita' senza frode".
6) Cairn. 77, 317-320
I versi rappresentano, a conclusione del carme, il congedo definitivo
Paolino dall'amico Niceta:
Nunc abifelix,
tamen et
recedens
semper huc ad nos animo
esto nobiscum,
licet ad
veneris
di
recurre;
paternam
urbem.
Sebbene nel testo tradito il recedens del v. 317 con la sua allitterazione e la
sua posizione in clausola si riferisce chiaramente al recurre del verso successivo, tuttavia, essendo il suo significato ("ritornando") abbastanza similare a
quello dell'imperativo recurre, esso non evidenzia rispetto ad esso un valore
attributivo concettualmente valido. Bisogna piuttosto pensare che il recedens, in
quanto si riferisce concettualmente in termini antitetici all'imperativo recurre,
debba leggersi decedens. In tal modo esso acquista nello stesso tempo anche il
significato di una proposizione concessiva implicita.
La conferma della validità della nostra congettura ci è offerta chiaramente dal
terzo e dal quarto verso della strofa. Qui infatti la dipendente licei...
veneris
ripropone chiasticamente rispetto all'imperativo futuro esto, ed in una forma
esplicita ben più evidente, quella stessa struttura concessiva, che nei primi due
versi abbiamo ravvisato nella forma implicita del participio discedens rispetto
all'imperativo recurre.
Per questo bisogna leggere:
Nunc abifelix,
tamen et decedens
semper huc ad nos animo
esto nobiscum,
licet ad
veneris
recurre;
paternam
urbem.
ed intendere conseguentemente il testo come segue:
"Ora allontanati felice, e tuttavia, pur andando via, ritorna sempre qui da noi col
tuo affetto; rimani con noi, sebbene tu sia giunto nella città paterna".
Una conferma fonica della validità della lezione da noi proposta ci è offerta
dai vv. 5-6 dello stesso carme (Iamne discedis revocante longe/ quam colis
terra?), se mettiamo a confronto l'allitterazione dei termini verbali presenti in
essi (discedis revocante) con quella che abbiamo proposto per il brano esaminato: decedens... recurre.
La conferma del valore concessivo che assume nel contesto il participio
decedens ci è data infine anche dai vv. 9-10 dello stesso carme: / memor nostri
remaneque vadens/ spiritu praesens, ... Anche qui infatti, nell'espressione
ossimorica remaneque vadens, il participio ha un valore concessivo, mentre sia
l'aggettivo memor sia quello di natura verbale praesens hanno un valore
attributivo:
"Va, ricordandoti di noi, e pur andando, rimani, e s s e n d o presente in noi
spiritualmente".
7) Cairn. 23, 206-213
All'interno del natalicium 7 il brano rappresenta la parte iniziale della
preghiera che Teridio rivolge a s. Felice dopo che gli uncini, che erano attaccati
ad una fune utilizzata per agganciare e sollevare un lampadario della basilica,
pendendo abbandonati nell'oscurità, s'erano conficcati inavvertitamente dentro
un suo occhio, dandogli la sensazione che esso era ormai irrimediabilmente
perduto :
11
Sonde, precor,
et de contigua
succurre
tuo; scio, proximus
missis huc auribus
audisti, Felix, fletum infelicis
210
adstas
aede
alumni;
sive modo excelso lateri coniunctus
adhaeres
ante thronum magni regis confessor
amicus,
pauperis
hanc, venerande,
tui trans nubila
vocem
accipis aure dei neque temnis, sed petis
illic
quam mihi deportes
salutem.
Christo miserante
Non ci sembra che la lezione accolta da Hartel (scio, proximus adstas) né
l'altra (scio quia proximus), dataci dal codice Ambrosianus Dungali B 102,
evidenzino un nesso sufficientemente chiaro, sia dal punto di vista grammaticale
sia da quello logico, col sive modo excelso lateri coniunctus adhaeres del v.
209. Infatti alla certezza, per quanto riguarda il posto dal quale Felice ha
ascoltato il pianto del suo infelice devoto (scio, proximus adstas/ et de contigua
missis huc auribus aede/ audisti, Felix, fletum infelicis alumni), segue un'altra
ipotesi che, se si considera la natura disgiuntiva della congiunzione mediante cui
è introdotta (sive), non trova nel contesto precedente quel completamento di
natura alternativa che sarebbe lecito aspettarsi.
E tuttavia la difficoltà del testo è sanabile, se si considera che il brano fa
parte d'una preghiera e, ciò che ci sembra ancora più importante, segue direttamente un'invocazione che l'orante rivolge a s. Felice: Sancte, precor, succurre
tuo\ ... Questo particolare ci sollecita perciò a ravvisare nell'espressione scio,
proximus adstas la presenza di un concetto di contenuto alternativo rispetto a
quello introdotto da Paolino subito dopo mediante il sive.
Sia nella forma più frequente (sive ... sive ... o seu ... seu ...) sia nelle altre
combinazioni caratterizzate da una variatio lessicale (sive ... seu... oppure seu
... sive) si tratta di un modulo formulare tipico dell'epiclesi pagana, che il poeta
accoglie anche in altre preghiere ed invocazioni: v. carm. 18, 30-32: ... ahi ...
quipulchra tegendis/vela ferant foribus, seu puro splendida lino/sive
coloratis
textum fucata
figuris .
11
11. Guttilla, Preghiere
e invocazioni
nei Carmi di s. Paolino,
cit. (n. 4), 132-135.
12. Sull'argomento v. G. Appel, De Romanorum precationibus,
N e w York 1975, 7 6 - 8 0 ; E.
Norden, Agnostos Theos. Untersuchungen
zur Formengeschichte
Religiöser Rede, LeipzigBerlin 1913, 143-147; G.B. Pighi, La poesia religiosa romana, B o l o g n a 1958, 2 4 0 - 2 4 1 ed
infine C. D e M e o , Lingue tecniche del Latino, Bologna 1983, 133-165.
Se si accetta la lezione seu da noi proposta, il brano si sviluppa secondo un
modulo che è proprio dell'eulogia pagana, ma è anche ben noto a Paolino e
nello stesso tempo acquista una coerenza formale e logica che non troviamo nel
testo tradito:
13
Sancte, precor,
et de contigua
succurre
tuo; seu proximus
missis huc auribus
audisti, Felix, fletum infelicis
sive modo excelso
210
alumni,
lateri coniunctus
adhaeres
ante ihronum magni regis confessor
pauperis
hanc, venerande,
adstas
aede
amicus^,
tui trans nubila
vocem
accipis aure dei neque temnis, sed petis
illic
quam mihi deportes
salutem.
Christo miserante
La traduzione del brano è pertanto la seguente:
"O Santo, ti prego, vieni in soccorso del tuo fedele: sia che tu mi stia vicinissimo
e dal vicino tempio, avendo rivolto qui le orecchie, o Felice, hai udito il pianto del
tuo infelice devoto, sia che ora, quasi unito all'alto S u o fianco, stai vicinissimo
c o m e confessore amico davanti al trono del grande Re, tu accogli con le orecchie,
o venerando, al di là delle nubi questa invocazione del tuo povero fedele e non la
disprezzi, ma chiedi lì quale soccorso tu possa portarmi grazie alla misericordia di
Cristo".
8) Cairn. 26, 351-365
Mentre si teme che i barbari, che hanno invaso l'Italia, possano minacciare
anche la città di Nola, nel natalicium del 402 Paolino tesse l'elogio delle straordinarie capacità taumaturgiche di s. Felice, il solo che potrà allontanare dalla città
siffatto pericolo. Egli infatti, tra l'altro, è in grado di fare da morto tutti quei
miracoli che i patres sancii, di cui parla la Bibbia, fecero da vivi :
15
13. Sulla preghiera cristiana, oltre alla v o c e Gebet di E. v o n Severus, R A C h V i l i , 1972,
coli. 1169-1255, v. Chr. Mohrmann, La langue et le style de la poésie latine chrétienne, R E A
2 5 , 1947, 2 8 0 - 2 9 7 = Études sur le latin des Chrétiens, R o m a 1 9 5 8 , 1 , 151-168; J. Fontaine,
L'apport de la tradition poétique romaine à la formation de l'hymnodie latine
chrétienne,
REL 5 2 , 1974, 3 1 8 - 3 5 5 ed infine R. Liver, Die Nachwirkung der antiken Sakralsprache
in
christlichen Gebet des lateinischen und italianischen Mittelalters,
Bern 1979, in particolare
4 3 0 - 4 7 0 : Die syntaktisch-stilistischen
Formen des Gebets.
14. Per un brano similare, in cui ancora una volta l'antitesi (sive ...-ve ... aut) ... riguarda i
luoghi in cui può trovarsi Claro dopo la morte, v. epist. 3 2 , 6, 20-25: Sed quia tu non hac,
qua corpus, sede teneris,/ qui meritis superis spiritus involitas,/ sive patrum sinibus
recubas
dominive sub ara/ conderis aut sacro pasceris in nemore,/ qualibet in regione poli situs aut
paradisi,/ Clare, sub aeterna pace beatus agis.
15. Guttilla, S. Paolino
e i barbari
nei Natalicia, Koinonia 13, 1989, 5-29.
Cernimus
ecce pares domini caelestis
adesse
ad meritum Felicis opes, operum quoque
congruere
360
ediderint
et quaecumque
documenta
patres
dei sine corpore
in Christo Felicem agere insignique
mente animam, positi dum corporis
qualem pro mentis
cum steterit
sit gestatura
toto redivivus
sancti
vivum
potentem
ossa
ante diem reditus claris praetendere
365
formas
in corpore
quiescunt,
signis,
coronam,
corpore
Felix.
L'ampio brano è costituito da quattro proposizioni oggettive dipendenti dal
Cernimus iniziale. Dalla terza e dalla quarta dipendono a loro volta delle proposizioni subordinate di varia natura. Proprio perché anche nella quarta (... insignique potentem/ mente animam, positi dum corporis ossa quiescunt,/ ante diem
reditus claris praetendere signis,/ qualem prò mentis sit gestatura
coronam,/...)
il soggetto logico sottinteso è sempre Felicem, che è riproposto in essa mediante
l'espressione metonimica insignem ... animam, bisogna dedurre che esso lo sia
anche della dipendente, avente un valore temporale: cum steterit toto redivivus
corpore Felix.
Infatti anche questa, come dipendente di secondo grado dell'interrogativa
indiretta qualem prò meritis sit gestatura coronam, è retta ugualmente dalla
proposizione oggettiva. Pertanto il Felix, con cui termina il brano, è in realtà un
aggettivo, avente nel contesto il valore di complemento predicativo del soggetto,
e pertanto deve essere scritto con l'iniziale minuscola. Esso non indica affatto il
nome proprio del santo patrono di Paolino, indicato invece al v. 361, bensì
costituisce un Wortspiel di natura aggettivale, forse non troppo 'felice', che per
paronomasia si riferisce ad esso, così come avviene nel carm. 2 1 , 414: Tu Felix
semper felix mihi e nel carm. 2 7 .
16
Pertanto il verso finale deve essere letto così:
cum steterit
toto redivivus
corpore
felix
e va interpretato nel modo seguente:
" . . . , quando egli starà beato, essendo tornato a vivere con tutto il suo corpo".
9) Carm. 33, 88-93
I versi seguenti appartengono a\Y Obitus Baebiani, la cui paternità paoliniana
si può ormai considerare definitivamente acquisita , ed hanno una grande
17
16. Per il testo v. Appendice III: carm. 27, 377.
17. Guttilla, Dottrina e arte nell' Obitus Baebiani di S. Paolino di Nola, A L G P 2 3 - 2 4 ,
1986-1987, 131-157; Idem, / / D e cura prò mortuis gerenda di Agostino e /'Obitus Baebiani di
importanza per quanto riguarda siffatta attribuzione. Il brano di cui ci interessiamo fa parte del racconto della visione avuta, che Bebiano, dopo essersi
ripreso, fa alla moglie e agli altri che erano presenti:
Ille
veneransque
refert, utque angelus
sustulerit per inane vehens, ut milia
viderit angelicis
mixta agninisque
ilium
multa
catervis
L'irregolarità sintattica costituita dall'uso del dimostrativo illuni nell'interrogativa indiretta, dal momento che esso si riferisce al soggetto del verbo reggente
Ille ... refert, assieme ad altre due considerazioni di natura diversa e di
secondaria importanza, è sembrata a P. Fabre una valida ragione per negare a
Paolino l'attribuzione del Carme fatta da W. Brandes poco più di un secolo fa .
18
19
E tuttavia, se si considera che YObitus c'è stato tramandato da un solo codice
(Parisinus 7 5 5 8 ) e che pertanto non conosciamo altre varianti o eventuali
conferme dcìYillum, si può anche pensare che si tratti di un errore manuale o di
una svista del copista.
A nostro giudizio essa si può tuttavia eliminare facilmente, se leggiamo i
versi così:
Ille
.veneransque
refert ut se angelus
illuc
Paolino di Nola, A L G P 2 5 - 2 7 , 1 9 8 8 - 1 9 9 0 , 1 9 3 - 2 0 7 ; I d e m , Filoni pagani
e
cristiani
neirObitus
Baebiani. Una nuova lettura del carm. 33 di Paolino di Nola, Hermes 131/1,
2003, 90-113.
18. P. Fabre, Essai sur la Chronologie de l'oeuvre de Saint Paulin de Noie, Paris 1948, 130134. Per una confutazione delle affermazioni di Fabre sulla impossibilità di attribuire il carme
a Paolino, oltre a R. P. H. Green, The Poetry of Paulinus of Nola, A Study of his Latinity,
Bruxelles 1971, Appendix 1, 131, v. anche Guttilla, Dottrina e arte nell'Obitus
c i t (n. 17),
137 n. 23 e 145 nn. 4 9 e 5 0 e passim.
19. W. Brandes, Studien zur christlich-lateinischen
Poesie. 1. Obitus B a e b i a n i , ein
unerkanntes
Gedicht des Paulinus von Nola, W S 12, 1890, 2 8 0 - 2 9 7 . L'attribuzione di
Brandes, prima d'essere messa in dubbio da Fabre (v. n. p r e c ) , era stata accolta da L. Havet,
Paulinus Nolanus. Obitus Baebiani, RPh 2 4 , 1900, 144-145. Per l'atteggiamento assunto
dalla critica nei confronti dell' Obitus dopo il Fabre, cfr. Guttilla, Dottrina e arte we//'Obitus
cit. (n. 17), 131 n. 2. Per una datazione più attendibile del carme v. Guttilla, / / D e cura pro
mortuis gerenda di Agostino e V Obitus B a e b i a n i c i t . (n. 17), 193-207.
susiulerit per inane vehens, ut milia
viderit angelicis
mixta agninisque
multa
catervis
e li intendiamo pertanto come segue:
"...e pieno di venerazione riferisce come un angelo l'aveva portato lì in alto,
trasportandolo attraverso il vuoto, come aveva visto molte migliaia di anime
mescolate alle schiere degli angeli e degli agnelli
Siffatta lezione, oltre a dare al verso una struttura sintatticamente corretta,
elimina anche l'enclitica -que délVutque, che nel contesto non trova alcuna
giustificazione, soprattutto se si tiene presente che subito dopo, ai vv. 92-94,
segue una seconda interrogativa indiretta unita alla prima asindeticamente:
ut milia multa/ viderit angelicis mixta agninisque catervis/ regnantemque deum
super omnia cum patre
Christuml...
A conclusione ci preme sottolineare che il presente articolo non si è proposto
certo di esaminare tutti i brani paoliniani per i quali s'avverte ancora l'esigenza
di pervenire ad un testo filologicamente più valido e quindi più chiaro. Esso
vuole essere soltanto, anche da parte nostra, una testimonianza della necessità di
potere disporre di un testo di Paolino che sia più attendibile, e nello stesso
tempo un invito a tutti gli Studiosi a dare un loro contributo perché ciò possa
avvenire al più presto.
Appendice
Ci sembra a questo punto utile riportare anche alcuni brani, in cui le varie
forme del pronome qui/quae/quod, poste all'inizio del verso, non conservano
nel contesto il loro valore relativo, bensì assumono quello di "nesso relativo": et
(ovvero at etc.) is .../et (ovvero at etc.) ea ... e così via. Perciò, a livello
tipografico, esse vanno precedute da un punto fermo e, meglio ancora, richiedono anche l'iniziale maiuscola, come avviene in alcune edizioni più recenti di
classici.
1) Cairn.
10,310-312
310
inter honora volans sanctorum
milia
caelo,
qui per inane leves neque mundi conpede
ardua in astra pedes facili molimine
tollent
vinctos
Il periodo, che nell'edizione di G. Hartel è abbastanza pesante, dal momento
che è costituito da ben dodici versi, diventerà molto più scorrevole, se al v. 310
si metterà un punto:
310
inter honor a volans sanctorum
milia
caelo.
Qui per inane leves neque mundi conpede
ardua in astra pedes facili molimine
vinctos
tollent
e nello stesso tempo si darà al Qui il valore di "nesso relativo", traducendo
pertanto così:
" . . . volando per il cielo tra le migliaia gloriose dei santi. Ed essi con facile sforzo
solleveranno nel vuoto, alla volta degli astri difficili a raggiungersi, i loro piedi
leggeri e non incatenati dalle catene del mondo
".
2) Carni. 14
y
124-129
.positasque
125
ante tuos vultus animas vectare
tuorum
paterno
ne renuas gremio domini fulgentis
ad ora,
quem bonitate pium sed maiestate
tremendum
exora, ut precibus
redonet
lenis meritisque
debita nostra tuis
Anche in questo caso il brano, costituito da dieci versi, diventa più scorrevole
ed efficace, se il quem del v. 127, riproposto con l'iniziale maiuscola, riacquista
il valore di nesso relativo {Et eum), che gli è proprio:
positasque
125
ante tuos vultus animas vectare
ne renuas gremio domini fulgentis
tuorum
paterno
ad ora.
Quem bonitate pium sed maiestate
tremendum
exora, ut precibus
redonet
debita nostra tuis
lenis meritisque
,
La traduzione del brano pertanto è ora la seguente:
"... e non rifiutarti di trasportare nel tuo grembo paterno, al cospetto splendente
del Signore, le anime dei tuoi - fedeli - che stanno davanti ai tuoi occhi. E prega
Lui, che è misericordioso quanto a bontà, ma terribile nella Sua maestà, affinché
benevolo per le tue preghiere e per i tuoi meriti rimetta a noi i nostri debiti".
3) Cairn. 27, 369-381
Interea nobis amor incidit hoc opus
370
aedificare
ipsa videbatur,
venerandam
eminus adversa foribus
laetior inlustraret
lumine, conspicui
quo tegitur posito
qui sua fulgentis
de fronte
380
adfaciem
reclusis
arcus
intima
largo
conversa
sopitus corpore
sepulchri,
martyr,
solii prò limine Felix
ovans gaudetque
caetibus
aulam
honos et aperta per
atria bis gemino patefactis
spectat
cultum
ut martyris
lucida frons bifores perfunderet
375
isto
loco; namque hunc res poscere
lumine
valvis
piis sua moenia
atque amplas populis
vinci
gaudentibus
laxari densas numerosa per ostia
aulas,
turbas.
L'intero brano è costituito da tredici esametri. Nel nostro caso la sillaba in
arsi del primo piede dei vv. 376-377 è costituita rispettivamente dalle forme
pronominali quo .../ qui.... Ma mentre il quo del v. 376 è un semplice ablativo
neutro del pronome relativo, al contrario il qui, con cui comincia il verso
seguente, è un nesso relativo, che trova il suo pieno significato nel termine
finale dell'esametro precedente: Et is (scil. martyr)... Proprio per questo il
termine Felix, che costituisce il piede finale dell'esametro, non è affatto il nome
proprio del santo patrono di Paolino, bensì un aggettivo (come nell'espressione
felices animae di Aeri. 6, 669) , che con valore di attributo si riferisce a Qui,
nesso relativo e ripresa del termine martyr.
20
Pertanto il brano va letto come segue:
Interea nobis amor incidit hoc opus
370
aedificare
loco; namque hunc res poscere
ipsa videbatur,
venerandam
eminus adversa foribus
laetior inlustraret
lumine, conspicui
de fronte
quo tegitur posito
Qui sua fulgentis
arcus
intima
conversa
sopitus corpore
largo
sepulchri,
martyr.
solii prò limine felix
atria bis gemino patefactis
spectat
aulam
reclusis
honos et aperta per
adfaciem
cultum
ut martyris
lucida frons bifores perfunderet
375
isto
ovans gaudetque
lumine
valvis
piis sua moenia
vinci
20. Lo stesso si verifica nel brano VIII della prima parte del nostro articolo.
380
caetibus atque amplas populis
gaudentibus
laxari densas numerosa per ostia
aulas,
turbas.
e interpretato nel modo seguente:
"Frattanto sorse in noi il desiderio di edificare questa costruzione in questo posto.
Ed infatti ci sembrava che la cosa di per sé richiedesse questo abbellimento, che
cioè un maggiore splendore illuminasse la veneranda basilica del martire, essendo
state aperte da lontano le porte dalla facciata antistante ed essa divenuta splendente, essendo stata aperta attraverso gli archi bifori, inondasse di abbondante
luce le sue parti interne, essendo essa orientata per mettere in evidenza l'aspetto
del sepolcro, dal quale è coperto il martire che è ora addormentato, essendo stato
il suo corpo sepolto lì. Ed egli beato, davanti alla soglia della splendente sua
dimora, guarda ovante i suoi atri e si compiace che le sue mura siano insufficienti
per le pie folle, che le basiliche siano ampie per le moltitudini festanti e che le
fitte schiere possano sfollare attraverso le numerose uscite".
4) Cairn. 27, 580-585
580
Propterea
visum nobis opus utile
Felicis domibus pictura
si forte adtonitas
agrestum
sancta,
haec per spectacula
caperet fucata coloribus
quae super exprimitur
585
ludere
totis
mentes
umbra,
titulis, ut littera
monstret
quod manus explicuit,
Anche in questo caso il brano è abbastanza ampio, dal momento che consta
di tredici versi. Per questo motivo, ma anche concettualmente, ci sembra che il
quae iniziale del v. 584 abbia nel contesto il valore di nesso relativo {Et ea, scil.
umbra) e pertanto presuppone un punto fermo alla fine del verso precedente.
Da questo punto di vista il brano va corretto nel modo seguente:
580
Propterea
visum nobis opus utile
Felicis domibus pictura
si forte adtonitas
agrestum
haec per
totis
sancta,
spectacula
caperet fucata coloribus
Quae super exprimitur
585
ludere
mentes
umbra.
titulis, ut littera
monstret
quod manus explicuit,
Il diverso valore del pronome Quae, ancora una volta un nesso relativo, e di
quod, un semplice pronome relativo, che sottintende tuttavia un pronome
dimostrativo {id quod), appare abbastanza evidente nella traduzione:
"Appunto per questo ci è sembrato un'opera utile rappresentare mediante pittura
in tutte quante le dimore di Felice delle scene sacre, nella speranza che mediante
queste raffigurazioni le figure rappresentate a colori s o g g i o g a s s e r o le menti
attonite dei contadini. Ed esse sono spiegate in alto dai tituli, affinché le parole
mostrino ciò che la mano dell'artista ha inteso rappresentare,
Giuseppe GUTTILLA
RÉSUMÉ : Depuis plus d'un siècle, pour ce qui concerne les Poèmes de Paulin de N o i e ,
l'édition utilisée par les spécialistes modernes est encore celle publiée par G. Hartel, Sancti
Pontii Meropii Paulini Nolani Carmina, CSEL 30, Vindobonae 1894. En effet Yeditio
altéra
supplementis aucta, publiée par Margit Kamptner en 1999, n'apporte aucune amélioration au
texte que nous trouvons dans la première édition. Dans l'attente d'une nouvelle édition des
Ĺ“uvres de Paulin, qui nous offrirait un texte plus fiable, nous proposons un groupe de neuf
nouvelles lectiones qui l'améliorent. Elles concernent les carmm. 15, 2-3 ; 15, 4 6 - 4 8 ; 17,
6-8 ; 17, 2 5 - 4 4 ; 17, 161-168 ; 17, 3 1 7 - 3 2 0 ; 2 3 , 2 0 6 - 2 1 2 ; 26, 3 5 7 - 3 6 5 ; 3 3 , 8 8 - 9 3 . Dans
Y Appendice nous examinons aussi quatre passages {carmm. 10, 3 1 0 - 3 1 2 ; 14, 124-129 ; 27,
3 6 9 - 3 8 0 ; 2 7 , 5 8 0 - 5 8 5 ) , qui exigent une ponctuation différente, c'est-à-dire le point final,
pour donner au pronom relatif qui suit, au début du vers suivant, sa véritable valeur de relatif
de liaison.
ABSTRACT : After more than one century, as far as the Poems of Paulinus of N o l a are
concerned, the edition used by modern scholars is still the one edited by G. Hartel, Sancti
Pontii Meropii Paulini Nolani Carmina, CSEL 30, Vindobonae 1894. In fact the editio altera
supplementis aucta, published by Margit Kamptner in 1999, doesn't introduce any improvement into the text that w e find in the first edition. Expecting a new edition of Paulinus' works,
which may g i v e us a more reliable text, w e submit a group of nine n e w lectiones that improve
it. They concern carmm. 15, 2-3; 15, 4 6 - 4 8 ; 17, 6-8; 17, 25-44; 17, 161-168; 17, 3 1 7 - 3 2 0 ; 2 3 ,
206-212; 26, 3 5 7 - 3 6 5 ; 3 3 , 88-93. In the Appendix w e also examine four passages (carmm. 10,
310-312; 14, 124-129; 27, 369-380; 27, 5 8 0 - 5 8 5 ) , that need a different punctuation, i.e. a dot,
in order to g i v e the relative pronoun, which follows at the beginning of the next line, its true
value of relative nexus.