Alcune note critiche sui Carmina di Paolino di Nola
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Alcune note critiche sui Carmina di Paolino di Nola
Alcune note critiche sui Carmina di Paolino di Nola Per quanto riguarda il testo critico degli scritti di Paolino di Nola si è ancora fermi all'edizione di W. Hartel, Sancti Pontii Meropii Paulini Nolani Carmina, CSEL 30, Vindobonae 1894, ed ai suoi Patristische Studien VI. Zu den Gedichten des H. Paulinus von Nola, Wien 1895 . Non si può tuttavia ignorare che da più parti, e specialmente in tempi piuttosto recenti, è stata avvertita dagli studiosi l'esigenza di una nuova edizione critica dell'opera paoliniana . A questa richiesta si è associata nel tempo la pubblicazione di articoli più o meno ampi , in cui si proponevano emendamenti e nuove lectiones miranti a sanare il più possibile i loca variamente corrupta degli scritti paoliniani, in previsione anche della pubblicazione di un testo critico filologicamente più attendibile. 1 2 3 1. V a rilevato che nelYeditio altera, supplementis aucta curante Margit Kamptner, Vindobonae 1999, C S E L 3 0 , l'Autrice non interviene sul testo di Paolino e si limita a raccogliere nel suo Index criticus 6 (pp.363ss.) le correzioni proposte dai diversi Studiosi fino al 1999. 2 2. Ci riferiamo in ordine cronologico a Shackleton B a i l e y , Walsh, Duval, D ò p p : v. al riguardo R. Kirstein, Paulinus Nolanus, Carmen 17, X P H 2 I 2 ~ CHRÉSIS. D i e Methode der Kirchenväter i m U m g a n g mit der antiken Kultur VIII, Basel 2 0 0 0 , 2 2 , che nel suo valido commento propone anche alcune lectiones più attendibili di quelle tradite. A l riguardo v. anche la nostra recensione in Zeitschrift für Antikes Christentum 5, 2 0 0 2 , 146-155. 3. D . R. Shackleton Bailey, Critical Notes on the Poems of Paulinus of Nola, AJPh 9 7 , 1976, 3-19; Hudson-Williams, Notes on Paulinus of Nola, Carmina, CQ 27, 1977, 4 5 2 - 4 6 5 ; W. S. Watt, Notes on the Poems of Paulinus Nolanus, VChr 5 2 , 1998, 3 7 1 - 3 8 1 ; G. Guttilla, Rectius legenda, Paolino di Nola, ep. 3 2 , 6, 2 8 1 , 1-4, BStudLat 25, 1995, 1 1 1 - 1 1 3 . A questi articoli vanno aggiunte le diverse lectiones proposte o accolte da alcuni studiosi nelle loro traduzioni o nei loro studi su singoli carmi. Ci riferiamo in particolare a S. Costanza, Meropio Ponzio Paolino, Antologia di Carmi, Messina 1 9 7 1 , 7 3 - 7 6 ; P. G. Walsh, The Poems of St. Paulinus of Nola, N e w York 1967, passim; A. Ruggiero, Paolino di Nola. I Carmi, NapoliR o m a 1996, passim; R. Kirstein, Paulinus Nolanus, Carmen 17, cit.(n. 2 ) . Per quanto concerne la recente edizione dei Carmina di Paolino, curata da M. Kamptner, v. n.l. Anche le "note", che proponiamo ora all'attenzione degli Studiosi, vogliono essere un piccolo contributo per la nuova edizione critica dei Carmina e delle Epistulae di Paolino. Essa è sollecitata da più parti e, dopo la pubblicazione del Lexikon Paulinianum, ci auguriamo che sia vicina nel tempo. 1) Cairn. 15,2-3 I versi appartengono al carm. 15, composto come quarto natalicium per la ricorrenza del 14 gennaio del 398 e fanno parte della eulogia in onore di S. Felice, il santo patronus di Paolino, con cui s'apre il carme. Successivamente, nei vv. 15-20, essa si sviluppa secondo moduli e stilemi lucreziani (de r. nat. 1, 62-63 e 3, 9-10), tra cui l'uso del «Du-Stil»*: , o clarissime Felix, natali proprio Christo mihi carior, ... Anche se la lezione clarissime del codice G (Petropolitanus Q IV) può trovare un riscontro classico in Orazio (carm. 1, 20, 5: dare Maecenas eques), ci sembra tuttavia che l'aggettivo conservi nel contesto un sapore troppo mondano e inopportuno, che neanche il Christo, cui si riferisce e che ne precisa il significato in termini spirituali, riesce ad annullare del tutto. Proprio per questo riteniamo che si debba accogliere la lezione dei codici E (Bononiensis 2671) e T (Urbinas 593) e leggere: , o carissime Felix, Christo ... Sebbene si trovi in codici recentiores, la lezione proposta è confermata anche dal carm. 2 1 , 345: susceptor meus et Christo carissime Felix e per la sua collocazione, ancora una volta alla fine del verso, ci appare come una delle tante clausole che, usate da Paolino nei Carmi più antichi, sarebbero state riprese e riproposte in quelli successivi . 5 4. Guttilla, Preghiere e invocazioni 1993, 9 3 - 1 8 8 , specialmente 113-115. nei Carmi di S. Paolino di Nola, A L G P 2 8 - 3 0 , 1 9 9 1 - 5. A d esempio: carm. 12, 1; Inclite confessor, mentis et nomine Felix,/... ; carm. 13, 1-2: Felix, hoc merito quod nomine, nomine et idem/qui merito, epist. 32, 6, 1: Presbyter hic situs est meritis et nomine Clarus,/... Su questi ultimi versi v. G. Guttilla, / tituli in onore del presbyter Clarus e la datazione del carme 31 di Paolino di Nola, BStudLat 19, 1989, 5 8 - 6 9 , in particolare 60-62. 2) Cairn. 15, 46-49 I versi costituiscono lo sviluppo dell'eulogia con cui s'apre il carme. In essi, dopo essersi rivolto inizialmente alla sua cetra ed avere affermato che le ispiratrici della sua poesia non sono più ora le Muse castalidi né il sordo Febo ma Cristo, Paolino Lo prega di ispirarlo, dal momento che la lode del Suo martire Felice è anche la Sua lode : 6 ... ; namque tui laus martyris et tua laus est, quifacis omnipotens homines divina fortiaque infirmis superas de carne aèrios proceres valere triumphans, vincens in corpore nostro. Proprio perché è usato nel contesto d'una preghiera, ci sembra che l'aggettivo omnipotens sia da considerare un vocativo, con cui Paolino si rivolge a Cristo, piuttosto che un suo attributo, analogamente a quanto avviene ai vv. 34-35 dello stesso carme: Nec tibi difficile, omnipotens, mea solvere doctis/ ora modis, qui muta loqui, fluere arida, solvi/dura iubes. Anche qui l'aggettivo acquista infatti una maggiore efficacia, dal momento che anch'esso, in quanto vocativo, è un elemento della componente eulogica presente nel brano. Alla luce di queste considerazioni il testo va pertanto letto così: namque tui laus martyris et tua laus est, quifacis, omnipotens, homines divina fortiaque infirmis superas aèrios proceres de carne vincens in corpore valere triumphans, nostro. 3) Cairn. 17,6-8 II carm. 17 è un propempticon e per il suo contenuto rappresenta il primo carme 'dotto' composto da Paolino. Il destinatario dello scritto è il vescovo Niceta di Remesiana che, dopo essere stato a Nola nel 400, era partito per tornare nella sede in cui svolgeva il ministero che gli era stato affidato : 7 Sed et hic sancte Niceta, quoniam corde 6. Guttilla, Preghiere e invocazioni resistis, et profectum tenemus. nei Carmi di Paolino, cit. n.4, 115-118. 7. Oltre a Kirstein, Paulinus Nolanus. Carmen 17, cit. (n. 2), 35-55 e 106-107, v. Guttilla, L'esordio di Paolino come poeta 'dotto' cristiano. Il propempticon a Niceta (carm. 17), Impegno e Dialogo 13, 2 0 0 1 , 359-390. È facile capire il senso dell'ultimo endecasillabo saffico e del successivo adonio che completa la strofa, ma nello stesso tempo non appare evidente a livello grammaticale a cosa si riferisca il participio profectum, anche se è evidente che esso concorda ad sensum, in maniera piuttosto maldestra, col vocativo Niceta. Di nessuna utilità è nello stesso tempo quanto troviamo nell'apparato critico in relazione a questi versi. Per il v. 8, un adonio, esso propone infatti la lezione te tenemus, in realtà improponibile dal punto di vista metrico. Per quanto ci riguarda, riteniamo che i versi si debbano leggere così: Sed et hic sancte, Nicetam quoniam corde resistis, et profectum tenemus. Così facendo, il termine Nicetam, grazie anche alla posizione anastrofica che ora occupa rispetto ai termini quoniam et, finisce con l'acquisire una carica enfaticamente laudativa ben maggiore di quanto non ne abbia il vocativo Niceta, che troviamo nei codici. La traduzione dei versi suona pertanto così: "Ma tu resti anche qui, o santo, dal m o m e n t o che, anche quando è partito, noi teniamo in cuore Niceta". 4) Carni. 17, 25-44 I versi che ci accingiamo ad esaminare fanno parte anch'essi del propempticon e costituiscono una preghiera che Paolino rivolge a Cristo, affinché Niceta possa trovare una temperatura mite e una lieve brezza durante la prima parte del viaggio, nella quale attraverserà le assolate terre della Puglia : 8 25 Ast ubi paulum via det, precor, proferetur, mites tibi Christus et levis spiret sine nube aura Calabris. Sicut antiqui manibus 30 per sacramentum prophetae crucis unda dulcuit Ugno posuitque merra aestus siccis misso tristes liquores, 8. N e i vv. 2 9 - 5 6 Paolino arricchisce in chiave 'dotta', mediante due exempla di estrazione biblica, il contenuto della sua precedente preghiera: v. Kirstein, Paulinus Nolanus, Carmen 17, cit.(n.2), 112-128; Guttilla, L'esordio di Paolino come poeta 'dotto' cristiano cit.(n.7), 364-367. sic tibi caelum modo temperetur, et levi sudo tenuatus 35 aer flatibus puris placide salubres spiret in auras, qui solet flatu gravis e palustri anguium tetros referens odores solvere 40 in morbos corpora quem potens tumefacta crasso vento, rerum dominus sive mutari iubeat nunc sacerdoti bona flabra fugari suoque sanitatis ministret. Il quem del v. 41 non è un pronome relativo, bensì un "nesso relativo" (un "relatif de liaison"), che ha il valore di et ovvero at (etc.) eum.... . Pur riferendosi grammaticalmente all' et ... aer/ .../spiret in auras, ... del brano precedente (vv. 34-36), esso dà l'avvio ad un nuovo periodo (vv. 41-44: Quem ... ministret.), che successivamente, ai vv. 45-56, è completato anch'esso da una similitudine: 9 45 Sicut Aegypto pereunte quondam noctis et densae tenebris operta, qua dei vivi sacra gens lux erat 50 agebat, orbi, quae modo in toto species probatur orbe, cum sanctae pia pars fidei fulgeat Christo, reliquos obruat tenebris error: sic meo, qua se fer et actus cuncta Nicetae 55 dominus donec optato patriam laetus ad ora, secundet, vehatur urbem. Sia a livello strutturale sia sintattico i vv. 41-56 ripropongono i vv. 25-40. Hanno infatti una strofa iniziale (vv. 25-28 ~ vv. 41-44) contenente la proposizione reggente, che evidenzia in entrambi i casi due congiuntivi esortativi, cui segue un'ampia similitudine di eguale ampiezza complessiva (vv. 29-40 ~ 4556), i cui membri sono introdotti specularmente da Sicut ... sic ... Va tuttavia rilevato che, mentre nella similitudine iniziale il primo colo si conclude nell'ambito di una sola strofa ed invece il secondo si sviluppa in quello di due 9. Per altri casi di "nessi relativi", che ovviamente non si limitano a quelli indicati da noi, v. l'Appendice di pp. 37-40. strofe, nella seconda similitudine siffatto rapporto è chiasticamente invertito, anche se in entrambe le proposizioni introdotte da cum sono presenti rispettivamente due ed un congiuntivo esortativo. La correzione da noi proposta ai vv. 37-44: qui solet solvere in morbos 40 corpora Quem potens tumefacta crasso vento. rerum dominus sive mutari iubeat nunc sacerdoti bona flabra fugari suoque sanitatis ministret. ci dà una punteggiatura più attendibile, che ci permette nello stesso tempo di apprezzare meglio la tecnica compositiva di Paolino: "... (l'aria) ...che ... suole dissolvere, facendoli ammalare, i corpi resi tumefatti dal vento impetuoso. E il potente Signore dell'universo comandi o che esso (cioè il vento) sia m e s s o in fuga o sia fatto mutare e conceda ora al Suo sacerdote brezze favorevoli, apportatrici di salute". 5) Cairn. 17, 161-168 Proseguendo, mediante un Wortspiel avente per oggetto il significato etimologico del suo n o m e , Niceta è definito da Paolino "vincitore del proprio corpo" e subito dopo, con una similitudine dottamente biblica, è paragonato a Giacobbe, che fu chiamato Israele', perché nella profondità del proprio cuore aveva contemplato il sommo Creatore: 10 Tuque, Niceta, corporis bene nominatus Victor, velut ille Israel, summum quia vidit corde 165 unde Nicetes meus Israelites sinefraude qui deum cernit lumine dictus alto satorem, adprobatur verus, solidaefidei Christum. 10. È notevole negli scritti di Paolino il numero dei Wortspiele (detti anche "giochi di parole", "jeux sur les mots" ovvero "puns") aventi per oggetto il significato spirituale degli appellativi di coloro cui essi sono attribuiti: v. Guttilla, Meritis et nomine Felix: I Wortspiele con i nomi propri negli scritti di Paolino di Nola, Scholia 9, 2 0 0 2 , 9 6 - 1 0 9 . Il nominatus del v. 161 non è certamente la forma originaria, ma è stato suggerito, all'interno della trasmissione del testo, probabilmente dal dictus, con cui termina il verso seguente. Proprio perché non rientra nell'uso paoliniano il sottintendere nelle forme verbali, per ben due volte di seguito, il verbo "essere" (nominatus /... dictus = nominatus es / ... dictus est), pensiamo che la lectio corretta debba essere nominaris, che in tal modo diventa opportunamente il verbo principale della strofa. Anche se la lezione nominaris da noi proposta elimina dal punto di vista retorico l'omoptoto che univa prima i due participi, essa ne stabilisce tuttavia un altro col termine corporis, con cui comincia il verso seguente ed al quale essa è ora legata dall' enjambement. Una volta accolta la lezione da noi proposta, bisogna leggere il testo così, accettando anche la punteggiatura che abbiamo introdotto dopo il primo adonio: Tuque, Niceta, corporis bene nominaris Victor, velut Me dictus Israel, summum quia vidit corde 165 unde Nicetes Israelites meus adprobatur sine fraude verus, qui deum cernit solidae lumine alto satorem; fidei Christum. e intendendo nello stesso tempo i versi come segue: "E tu, o Niceta, sei chiamato a ragione 'vincitore del corpo', come colui che fu chiamato 'Israele', perché vide nel profondo del suo cuore il sommo Creatore; perciò il mio Niceta, che vede Cristo Dio con la luce della sua solida fede, è giudicato un vero 'Israelita' senza frode". 6) Cairn. 77, 317-320 I versi rappresentano, a conclusione del carme, il congedo definitivo Paolino dall'amico Niceta: Nunc abifelix, tamen et recedens semper huc ad nos animo esto nobiscum, licet ad veneris di recurre; paternam urbem. Sebbene nel testo tradito il recedens del v. 317 con la sua allitterazione e la sua posizione in clausola si riferisce chiaramente al recurre del verso successivo, tuttavia, essendo il suo significato ("ritornando") abbastanza similare a quello dell'imperativo recurre, esso non evidenzia rispetto ad esso un valore attributivo concettualmente valido. Bisogna piuttosto pensare che il recedens, in quanto si riferisce concettualmente in termini antitetici all'imperativo recurre, debba leggersi decedens. In tal modo esso acquista nello stesso tempo anche il significato di una proposizione concessiva implicita. La conferma della validità della nostra congettura ci è offerta chiaramente dal terzo e dal quarto verso della strofa. Qui infatti la dipendente licei... veneris ripropone chiasticamente rispetto all'imperativo futuro esto, ed in una forma esplicita ben più evidente, quella stessa struttura concessiva, che nei primi due versi abbiamo ravvisato nella forma implicita del participio discedens rispetto all'imperativo recurre. Per questo bisogna leggere: Nunc abifelix, tamen et decedens semper huc ad nos animo esto nobiscum, licet ad veneris recurre; paternam urbem. ed intendere conseguentemente il testo come segue: "Ora allontanati felice, e tuttavia, pur andando via, ritorna sempre qui da noi col tuo affetto; rimani con noi, sebbene tu sia giunto nella città paterna". Una conferma fonica della validità della lezione da noi proposta ci è offerta dai vv. 5-6 dello stesso carme (Iamne discedis revocante longe/ quam colis terra?), se mettiamo a confronto l'allitterazione dei termini verbali presenti in essi (discedis revocante) con quella che abbiamo proposto per il brano esaminato: decedens... recurre. La conferma del valore concessivo che assume nel contesto il participio decedens ci è data infine anche dai vv. 9-10 dello stesso carme: / memor nostri remaneque vadens/ spiritu praesens, ... Anche qui infatti, nell'espressione ossimorica remaneque vadens, il participio ha un valore concessivo, mentre sia l'aggettivo memor sia quello di natura verbale praesens hanno un valore attributivo: "Va, ricordandoti di noi, e pur andando, rimani, e s s e n d o presente in noi spiritualmente". 7) Cairn. 23, 206-213 All'interno del natalicium 7 il brano rappresenta la parte iniziale della preghiera che Teridio rivolge a s. Felice dopo che gli uncini, che erano attaccati ad una fune utilizzata per agganciare e sollevare un lampadario della basilica, pendendo abbandonati nell'oscurità, s'erano conficcati inavvertitamente dentro un suo occhio, dandogli la sensazione che esso era ormai irrimediabilmente perduto : 11 Sonde, precor, et de contigua succurre tuo; scio, proximus missis huc auribus audisti, Felix, fletum infelicis 210 adstas aede alumni; sive modo excelso lateri coniunctus adhaeres ante thronum magni regis confessor amicus, pauperis hanc, venerande, tui trans nubila vocem accipis aure dei neque temnis, sed petis illic quam mihi deportes salutem. Christo miserante Non ci sembra che la lezione accolta da Hartel (scio, proximus adstas) né l'altra (scio quia proximus), dataci dal codice Ambrosianus Dungali B 102, evidenzino un nesso sufficientemente chiaro, sia dal punto di vista grammaticale sia da quello logico, col sive modo excelso lateri coniunctus adhaeres del v. 209. Infatti alla certezza, per quanto riguarda il posto dal quale Felice ha ascoltato il pianto del suo infelice devoto (scio, proximus adstas/ et de contigua missis huc auribus aede/ audisti, Felix, fletum infelicis alumni), segue un'altra ipotesi che, se si considera la natura disgiuntiva della congiunzione mediante cui è introdotta (sive), non trova nel contesto precedente quel completamento di natura alternativa che sarebbe lecito aspettarsi. E tuttavia la difficoltà del testo è sanabile, se si considera che il brano fa parte d'una preghiera e, ciò che ci sembra ancora più importante, segue direttamente un'invocazione che l'orante rivolge a s. Felice: Sancte, precor, succurre tuo\ ... Questo particolare ci sollecita perciò a ravvisare nell'espressione scio, proximus adstas la presenza di un concetto di contenuto alternativo rispetto a quello introdotto da Paolino subito dopo mediante il sive. Sia nella forma più frequente (sive ... sive ... o seu ... seu ...) sia nelle altre combinazioni caratterizzate da una variatio lessicale (sive ... seu... oppure seu ... sive) si tratta di un modulo formulare tipico dell'epiclesi pagana, che il poeta accoglie anche in altre preghiere ed invocazioni: v. carm. 18, 30-32: ... ahi ... quipulchra tegendis/vela ferant foribus, seu puro splendida lino/sive coloratis textum fucata figuris . 11 11. Guttilla, Preghiere e invocazioni nei Carmi di s. Paolino, cit. (n. 4), 132-135. 12. Sull'argomento v. G. Appel, De Romanorum precationibus, N e w York 1975, 7 6 - 8 0 ; E. Norden, Agnostos Theos. Untersuchungen zur Formengeschichte Religiöser Rede, LeipzigBerlin 1913, 143-147; G.B. Pighi, La poesia religiosa romana, B o l o g n a 1958, 2 4 0 - 2 4 1 ed infine C. D e M e o , Lingue tecniche del Latino, Bologna 1983, 133-165. Se si accetta la lezione seu da noi proposta, il brano si sviluppa secondo un modulo che è proprio dell'eulogia pagana, ma è anche ben noto a Paolino e nello stesso tempo acquista una coerenza formale e logica che non troviamo nel testo tradito: 13 Sancte, precor, et de contigua succurre tuo; seu proximus missis huc auribus audisti, Felix, fletum infelicis sive modo excelso 210 alumni, lateri coniunctus adhaeres ante ihronum magni regis confessor pauperis hanc, venerande, adstas aede amicus^, tui trans nubila vocem accipis aure dei neque temnis, sed petis illic quam mihi deportes salutem. Christo miserante La traduzione del brano è pertanto la seguente: "O Santo, ti prego, vieni in soccorso del tuo fedele: sia che tu mi stia vicinissimo e dal vicino tempio, avendo rivolto qui le orecchie, o Felice, hai udito il pianto del tuo infelice devoto, sia che ora, quasi unito all'alto S u o fianco, stai vicinissimo c o m e confessore amico davanti al trono del grande Re, tu accogli con le orecchie, o venerando, al di là delle nubi questa invocazione del tuo povero fedele e non la disprezzi, ma chiedi lì quale soccorso tu possa portarmi grazie alla misericordia di Cristo". 8) Cairn. 26, 351-365 Mentre si teme che i barbari, che hanno invaso l'Italia, possano minacciare anche la città di Nola, nel natalicium del 402 Paolino tesse l'elogio delle straordinarie capacità taumaturgiche di s. Felice, il solo che potrà allontanare dalla città siffatto pericolo. Egli infatti, tra l'altro, è in grado di fare da morto tutti quei miracoli che i patres sancii, di cui parla la Bibbia, fecero da vivi : 15 13. Sulla preghiera cristiana, oltre alla v o c e Gebet di E. v o n Severus, R A C h V i l i , 1972, coli. 1169-1255, v. Chr. Mohrmann, La langue et le style de la poésie latine chrétienne, R E A 2 5 , 1947, 2 8 0 - 2 9 7 = Études sur le latin des Chrétiens, R o m a 1 9 5 8 , 1 , 151-168; J. Fontaine, L'apport de la tradition poétique romaine à la formation de l'hymnodie latine chrétienne, REL 5 2 , 1974, 3 1 8 - 3 5 5 ed infine R. Liver, Die Nachwirkung der antiken Sakralsprache in christlichen Gebet des lateinischen und italianischen Mittelalters, Bern 1979, in particolare 4 3 0 - 4 7 0 : Die syntaktisch-stilistischen Formen des Gebets. 14. Per un brano similare, in cui ancora una volta l'antitesi (sive ...-ve ... aut) ... riguarda i luoghi in cui può trovarsi Claro dopo la morte, v. epist. 3 2 , 6, 20-25: Sed quia tu non hac, qua corpus, sede teneris,/ qui meritis superis spiritus involitas,/ sive patrum sinibus recubas dominive sub ara/ conderis aut sacro pasceris in nemore,/ qualibet in regione poli situs aut paradisi,/ Clare, sub aeterna pace beatus agis. 15. Guttilla, S. Paolino e i barbari nei Natalicia, Koinonia 13, 1989, 5-29. Cernimus ecce pares domini caelestis adesse ad meritum Felicis opes, operum quoque congruere 360 ediderint et quaecumque documenta patres dei sine corpore in Christo Felicem agere insignique mente animam, positi dum corporis qualem pro mentis cum steterit sit gestatura toto redivivus sancti vivum potentem ossa ante diem reditus claris praetendere 365 formas in corpore quiescunt, signis, coronam, corpore Felix. L'ampio brano è costituito da quattro proposizioni oggettive dipendenti dal Cernimus iniziale. Dalla terza e dalla quarta dipendono a loro volta delle proposizioni subordinate di varia natura. Proprio perché anche nella quarta (... insignique potentem/ mente animam, positi dum corporis ossa quiescunt,/ ante diem reditus claris praetendere signis,/ qualem prò mentis sit gestatura coronam,/...) il soggetto logico sottinteso è sempre Felicem, che è riproposto in essa mediante l'espressione metonimica insignem ... animam, bisogna dedurre che esso lo sia anche della dipendente, avente un valore temporale: cum steterit toto redivivus corpore Felix. Infatti anche questa, come dipendente di secondo grado dell'interrogativa indiretta qualem prò meritis sit gestatura coronam, è retta ugualmente dalla proposizione oggettiva. Pertanto il Felix, con cui termina il brano, è in realtà un aggettivo, avente nel contesto il valore di complemento predicativo del soggetto, e pertanto deve essere scritto con l'iniziale minuscola. Esso non indica affatto il nome proprio del santo patrono di Paolino, indicato invece al v. 361, bensì costituisce un Wortspiel di natura aggettivale, forse non troppo 'felice', che per paronomasia si riferisce ad esso, così come avviene nel carm. 2 1 , 414: Tu Felix semper felix mihi e nel carm. 2 7 . 16 Pertanto il verso finale deve essere letto così: cum steterit toto redivivus corpore felix e va interpretato nel modo seguente: " . . . , quando egli starà beato, essendo tornato a vivere con tutto il suo corpo". 9) Carm. 33, 88-93 I versi seguenti appartengono a\Y Obitus Baebiani, la cui paternità paoliniana si può ormai considerare definitivamente acquisita , ed hanno una grande 17 16. Per il testo v. Appendice III: carm. 27, 377. 17. Guttilla, Dottrina e arte nell' Obitus Baebiani di S. Paolino di Nola, A L G P 2 3 - 2 4 , 1986-1987, 131-157; Idem, / / D e cura prò mortuis gerenda di Agostino e /'Obitus Baebiani di importanza per quanto riguarda siffatta attribuzione. Il brano di cui ci interessiamo fa parte del racconto della visione avuta, che Bebiano, dopo essersi ripreso, fa alla moglie e agli altri che erano presenti: Ille veneransque refert, utque angelus sustulerit per inane vehens, ut milia viderit angelicis mixta agninisque ilium multa catervis L'irregolarità sintattica costituita dall'uso del dimostrativo illuni nell'interrogativa indiretta, dal momento che esso si riferisce al soggetto del verbo reggente Ille ... refert, assieme ad altre due considerazioni di natura diversa e di secondaria importanza, è sembrata a P. Fabre una valida ragione per negare a Paolino l'attribuzione del Carme fatta da W. Brandes poco più di un secolo fa . 18 19 E tuttavia, se si considera che YObitus c'è stato tramandato da un solo codice (Parisinus 7 5 5 8 ) e che pertanto non conosciamo altre varianti o eventuali conferme dcìYillum, si può anche pensare che si tratti di un errore manuale o di una svista del copista. A nostro giudizio essa si può tuttavia eliminare facilmente, se leggiamo i versi così: Ille .veneransque refert ut se angelus illuc Paolino di Nola, A L G P 2 5 - 2 7 , 1 9 8 8 - 1 9 9 0 , 1 9 3 - 2 0 7 ; I d e m , Filoni pagani e cristiani neirObitus Baebiani. Una nuova lettura del carm. 33 di Paolino di Nola, Hermes 131/1, 2003, 90-113. 18. P. Fabre, Essai sur la Chronologie de l'oeuvre de Saint Paulin de Noie, Paris 1948, 130134. Per una confutazione delle affermazioni di Fabre sulla impossibilità di attribuire il carme a Paolino, oltre a R. P. H. Green, The Poetry of Paulinus of Nola, A Study of his Latinity, Bruxelles 1971, Appendix 1, 131, v. anche Guttilla, Dottrina e arte nell'Obitus c i t (n. 17), 137 n. 23 e 145 nn. 4 9 e 5 0 e passim. 19. W. Brandes, Studien zur christlich-lateinischen Poesie. 1. Obitus B a e b i a n i , ein unerkanntes Gedicht des Paulinus von Nola, W S 12, 1890, 2 8 0 - 2 9 7 . L'attribuzione di Brandes, prima d'essere messa in dubbio da Fabre (v. n. p r e c ) , era stata accolta da L. Havet, Paulinus Nolanus. Obitus Baebiani, RPh 2 4 , 1900, 144-145. Per l'atteggiamento assunto dalla critica nei confronti dell' Obitus dopo il Fabre, cfr. Guttilla, Dottrina e arte we//'Obitus cit. (n. 17), 131 n. 2. Per una datazione più attendibile del carme v. Guttilla, / / D e cura pro mortuis gerenda di Agostino e V Obitus B a e b i a n i c i t . (n. 17), 193-207. susiulerit per inane vehens, ut milia viderit angelicis mixta agninisque multa catervis e li intendiamo pertanto come segue: "...e pieno di venerazione riferisce come un angelo l'aveva portato lì in alto, trasportandolo attraverso il vuoto, come aveva visto molte migliaia di anime mescolate alle schiere degli angeli e degli agnelli Siffatta lezione, oltre a dare al verso una struttura sintatticamente corretta, elimina anche l'enclitica -que délVutque, che nel contesto non trova alcuna giustificazione, soprattutto se si tiene presente che subito dopo, ai vv. 92-94, segue una seconda interrogativa indiretta unita alla prima asindeticamente: ut milia multa/ viderit angelicis mixta agninisque catervis/ regnantemque deum super omnia cum patre Christuml... A conclusione ci preme sottolineare che il presente articolo non si è proposto certo di esaminare tutti i brani paoliniani per i quali s'avverte ancora l'esigenza di pervenire ad un testo filologicamente più valido e quindi più chiaro. Esso vuole essere soltanto, anche da parte nostra, una testimonianza della necessità di potere disporre di un testo di Paolino che sia più attendibile, e nello stesso tempo un invito a tutti gli Studiosi a dare un loro contributo perché ciò possa avvenire al più presto. Appendice Ci sembra a questo punto utile riportare anche alcuni brani, in cui le varie forme del pronome qui/quae/quod, poste all'inizio del verso, non conservano nel contesto il loro valore relativo, bensì assumono quello di "nesso relativo": et (ovvero at etc.) is .../et (ovvero at etc.) ea ... e così via. Perciò, a livello tipografico, esse vanno precedute da un punto fermo e, meglio ancora, richiedono anche l'iniziale maiuscola, come avviene in alcune edizioni più recenti di classici. 1) Cairn. 10,310-312 310 inter honora volans sanctorum milia caelo, qui per inane leves neque mundi conpede ardua in astra pedes facili molimine tollent vinctos Il periodo, che nell'edizione di G. Hartel è abbastanza pesante, dal momento che è costituito da ben dodici versi, diventerà molto più scorrevole, se al v. 310 si metterà un punto: 310 inter honor a volans sanctorum milia caelo. Qui per inane leves neque mundi conpede ardua in astra pedes facili molimine vinctos tollent e nello stesso tempo si darà al Qui il valore di "nesso relativo", traducendo pertanto così: " . . . volando per il cielo tra le migliaia gloriose dei santi. Ed essi con facile sforzo solleveranno nel vuoto, alla volta degli astri difficili a raggiungersi, i loro piedi leggeri e non incatenati dalle catene del mondo ". 2) Carni. 14 y 124-129 .positasque 125 ante tuos vultus animas vectare tuorum paterno ne renuas gremio domini fulgentis ad ora, quem bonitate pium sed maiestate tremendum exora, ut precibus redonet lenis meritisque debita nostra tuis Anche in questo caso il brano, costituito da dieci versi, diventa più scorrevole ed efficace, se il quem del v. 127, riproposto con l'iniziale maiuscola, riacquista il valore di nesso relativo {Et eum), che gli è proprio: positasque 125 ante tuos vultus animas vectare ne renuas gremio domini fulgentis tuorum paterno ad ora. Quem bonitate pium sed maiestate tremendum exora, ut precibus redonet debita nostra tuis lenis meritisque , La traduzione del brano pertanto è ora la seguente: "... e non rifiutarti di trasportare nel tuo grembo paterno, al cospetto splendente del Signore, le anime dei tuoi - fedeli - che stanno davanti ai tuoi occhi. E prega Lui, che è misericordioso quanto a bontà, ma terribile nella Sua maestà, affinché benevolo per le tue preghiere e per i tuoi meriti rimetta a noi i nostri debiti". 3) Cairn. 27, 369-381 Interea nobis amor incidit hoc opus 370 aedificare ipsa videbatur, venerandam eminus adversa foribus laetior inlustraret lumine, conspicui quo tegitur posito qui sua fulgentis de fronte 380 adfaciem reclusis arcus intima largo conversa sopitus corpore sepulchri, martyr, solii prò limine Felix ovans gaudetque caetibus aulam honos et aperta per atria bis gemino patefactis spectat cultum ut martyris lucida frons bifores perfunderet 375 isto loco; namque hunc res poscere lumine valvis piis sua moenia atque amplas populis vinci gaudentibus laxari densas numerosa per ostia aulas, turbas. L'intero brano è costituito da tredici esametri. Nel nostro caso la sillaba in arsi del primo piede dei vv. 376-377 è costituita rispettivamente dalle forme pronominali quo .../ qui.... Ma mentre il quo del v. 376 è un semplice ablativo neutro del pronome relativo, al contrario il qui, con cui comincia il verso seguente, è un nesso relativo, che trova il suo pieno significato nel termine finale dell'esametro precedente: Et is (scil. martyr)... Proprio per questo il termine Felix, che costituisce il piede finale dell'esametro, non è affatto il nome proprio del santo patrono di Paolino, bensì un aggettivo (come nell'espressione felices animae di Aeri. 6, 669) , che con valore di attributo si riferisce a Qui, nesso relativo e ripresa del termine martyr. 20 Pertanto il brano va letto come segue: Interea nobis amor incidit hoc opus 370 aedificare loco; namque hunc res poscere ipsa videbatur, venerandam eminus adversa foribus laetior inlustraret lumine, conspicui de fronte quo tegitur posito Qui sua fulgentis arcus intima conversa sopitus corpore largo sepulchri, martyr. solii prò limine felix atria bis gemino patefactis spectat aulam reclusis honos et aperta per adfaciem cultum ut martyris lucida frons bifores perfunderet 375 isto ovans gaudetque lumine valvis piis sua moenia vinci 20. Lo stesso si verifica nel brano VIII della prima parte del nostro articolo. 380 caetibus atque amplas populis gaudentibus laxari densas numerosa per ostia aulas, turbas. e interpretato nel modo seguente: "Frattanto sorse in noi il desiderio di edificare questa costruzione in questo posto. Ed infatti ci sembrava che la cosa di per sé richiedesse questo abbellimento, che cioè un maggiore splendore illuminasse la veneranda basilica del martire, essendo state aperte da lontano le porte dalla facciata antistante ed essa divenuta splendente, essendo stata aperta attraverso gli archi bifori, inondasse di abbondante luce le sue parti interne, essendo essa orientata per mettere in evidenza l'aspetto del sepolcro, dal quale è coperto il martire che è ora addormentato, essendo stato il suo corpo sepolto lì. Ed egli beato, davanti alla soglia della splendente sua dimora, guarda ovante i suoi atri e si compiace che le sue mura siano insufficienti per le pie folle, che le basiliche siano ampie per le moltitudini festanti e che le fitte schiere possano sfollare attraverso le numerose uscite". 4) Cairn. 27, 580-585 580 Propterea visum nobis opus utile Felicis domibus pictura si forte adtonitas agrestum sancta, haec per spectacula caperet fucata coloribus quae super exprimitur 585 ludere totis mentes umbra, titulis, ut littera monstret quod manus explicuit, Anche in questo caso il brano è abbastanza ampio, dal momento che consta di tredici versi. Per questo motivo, ma anche concettualmente, ci sembra che il quae iniziale del v. 584 abbia nel contesto il valore di nesso relativo {Et ea, scil. umbra) e pertanto presuppone un punto fermo alla fine del verso precedente. Da questo punto di vista il brano va corretto nel modo seguente: 580 Propterea visum nobis opus utile Felicis domibus pictura si forte adtonitas agrestum haec per totis sancta, spectacula caperet fucata coloribus Quae super exprimitur 585 ludere mentes umbra. titulis, ut littera monstret quod manus explicuit, Il diverso valore del pronome Quae, ancora una volta un nesso relativo, e di quod, un semplice pronome relativo, che sottintende tuttavia un pronome dimostrativo {id quod), appare abbastanza evidente nella traduzione: "Appunto per questo ci è sembrato un'opera utile rappresentare mediante pittura in tutte quante le dimore di Felice delle scene sacre, nella speranza che mediante queste raffigurazioni le figure rappresentate a colori s o g g i o g a s s e r o le menti attonite dei contadini. Ed esse sono spiegate in alto dai tituli, affinché le parole mostrino ciò che la mano dell'artista ha inteso rappresentare, Giuseppe GUTTILLA RÉSUMÉ : Depuis plus d'un siècle, pour ce qui concerne les Poèmes de Paulin de N o i e , l'édition utilisée par les spécialistes modernes est encore celle publiée par G. Hartel, Sancti Pontii Meropii Paulini Nolani Carmina, CSEL 30, Vindobonae 1894. En effet Yeditio altéra supplementis aucta, publiée par Margit Kamptner en 1999, n'apporte aucune amélioration au texte que nous trouvons dans la première édition. Dans l'attente d'une nouvelle édition des Ĺ“uvres de Paulin, qui nous offrirait un texte plus fiable, nous proposons un groupe de neuf nouvelles lectiones qui l'améliorent. Elles concernent les carmm. 15, 2-3 ; 15, 4 6 - 4 8 ; 17, 6-8 ; 17, 2 5 - 4 4 ; 17, 161-168 ; 17, 3 1 7 - 3 2 0 ; 2 3 , 2 0 6 - 2 1 2 ; 26, 3 5 7 - 3 6 5 ; 3 3 , 8 8 - 9 3 . Dans Y Appendice nous examinons aussi quatre passages {carmm. 10, 3 1 0 - 3 1 2 ; 14, 124-129 ; 27, 3 6 9 - 3 8 0 ; 2 7 , 5 8 0 - 5 8 5 ) , qui exigent une ponctuation différente, c'est-à-dire le point final, pour donner au pronom relatif qui suit, au début du vers suivant, sa véritable valeur de relatif de liaison. ABSTRACT : After more than one century, as far as the Poems of Paulinus of N o l a are concerned, the edition used by modern scholars is still the one edited by G. Hartel, Sancti Pontii Meropii Paulini Nolani Carmina, CSEL 30, Vindobonae 1894. In fact the editio altera supplementis aucta, published by Margit Kamptner in 1999, doesn't introduce any improvement into the text that w e find in the first edition. Expecting a new edition of Paulinus' works, which may g i v e us a more reliable text, w e submit a group of nine n e w lectiones that improve it. They concern carmm. 15, 2-3; 15, 4 6 - 4 8 ; 17, 6-8; 17, 25-44; 17, 161-168; 17, 3 1 7 - 3 2 0 ; 2 3 , 206-212; 26, 3 5 7 - 3 6 5 ; 3 3 , 88-93. In the Appendix w e also examine four passages (carmm. 10, 310-312; 14, 124-129; 27, 369-380; 27, 5 8 0 - 5 8 5 ) , that need a different punctuation, i.e. a dot, in order to g i v e the relative pronoun, which follows at the beginning of the next line, its true value of relative nexus.