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flp magazine Maggio 2014 rivista mensile del giornale online firstlinepress.org AGRICOLTURA AMBIENTE ENERGIA FORTEZZE MOVIMENTI BALCANI TERZA PAGINA MIGRAZIONI in solidarietà con i minatori di Soma in Turchia e nel ricordo di tutte le vite affogate al largo del Mediterraneo. First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress flp magazine magazine Ci occupiamo di conflitti, periferie, volti, storie che c’imbrattano diventando libere di essere raccontate. First Line Press Magazine anno 1 | numero #2 Rivista mensile curata dalla redazione del sito internet firstlinepress.org Redazione giornalistica Lorenzo Giroffi Andrea Leoni Domenico Musella Flavia Orlandi Giuseppe Ranieri Natascia Silverio Illustrazioni Hobo Progetto grafico e layout Domenico Musella In copertina Illustrazione di Marta Ghezzi In quarta di copertina Banner di Marta Ghezzi First Line Press è una testata giornalistica regolarmente registrata presso il Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere - Autorizzazione n. 810 del 24/10/2013 Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale firstlinepress.org flp magazine editoriale | #2 EUROPE Per non cadere nel tranello di una bagarre in vista delle prossime elezioni, abbiamo scelto di dedicare questo numero alle “Europe” dimenticate. Lo facciamo per mostrarvi la distanza tra chi parla di uscita dalla moneta e nuove direzioni comunitarie e chi é consapevole che la realtà dei fatti é diversa e i problemi sono radicati altrove. Andremo ad analizzare le “opportunità” offerte dal vecchio continente, insignito anche del Premio Nobel, per svelare come il potere sia stato centralizzato e le possibilità lasciate solo ad alcuni. Vogliamo parlare di Europe al plurale perché i problemi sono tanti e diversi: migranti arroccati alla frontiera; passaporti validi solo per il turismo; guerre fomentate con la scusa di un’Europa a cui aderire col ricatto. Crediamo che la tanto agognata costruzione comunitaria, principale prodotto politico dell’era post-ideologica, sia sostanzialmente differente da come l’avevano idealizzata i primi sostenitori. Più che una casa comune l’Unione Europea oggi appare come una prigione per i popoli che hanno assistito allo svuotamento delle istituzioni statali, in nome di nuove forme di potere sovranazionale determinate dal capitale finanziario. Gli abitanti degli Stati periferici hanno da subito imparato a familiarizzare con termini quali austerity, spread, eurobond e molti altri ancora. Così, per la stragrande maggioranza della popolazione, l’Europa tanto sognata si è rivelata essere un incubo. Chi quest’incubo lo vive nella sua forma più forte ed atroce sono principalmente le nuove generazioni. A tal riguardo Andrea Leoni ha tradotto degli interventi significativi ospitati nel “The Guardian”: uno a quattro mani, a firma di Costas Lepavitsas e di Alex Politaki, un altro di David Graeber, allegando una risposta dal “Roar Magazine” di Jerome Roos. Il tema della condizione giovanile nei Paesi maggiormente in crisi si intreccia con quello delle difficoltà dei lavoratori e della precarietà. Si fa cenno anche alla piaga della disoccupazione giovanile, e al perché non ci siano più ragazzi che protestano per le strade. Natascia Silverio mette invece a fuoco gli aspetti più controversi delle politiche e delle pratiche dell’UE: l’ambiguità delle leggi sull’immigrazione, tra teoria e prassi. Tutto ciò grazie ad un’intervista a Salvatore Fachile, legale dell’ASGI (Associazione per gli studi giuridici sugli immigrati). Giuseppe Ranieri, guarda all’Europa da un’angolazione non convenzionale ossia quella di una Belgrado su cui circa quindici anni fa si è abbattuto il “volto caino” dell’Europa. Domenico Musella si soffermerà sulle politiche agricole comunitarie. Dalle tariffe doganali agli OGM, fino ad affrontare l’intera questione dell’alimentazione della popolazione europea. Lorenzo Giroffi affronterà il tema dei finanziamenti europei alle imprenditorie locali nella “terra dei fuochi”; Flavia Orlandi, si occuperà di politiche energetiche e di un nuovo colonialismo commerciale statunitense, effetto di una nostra mancata sovranità territoriale. Marta Bellingreri ci riporta invece al concetto di confine in Europa: una storia dalla frontiera Marocco/Spagna. La nostra terza pagina resta a cura di Monia Marchionni, che intervista Flaminio Gualdoni, per un ritratto suggestivo di un artista come Piero Manzoni che ha cambiato il concetto di contemporaneità in Europa e non solo. Non ci resta che augurarvi buona lettura. First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress flp magazine #2 | sommario firstlinepress.org flp magazine AGRICOLTURA MOVIMENTI/1 BALCANI Ogm: un nuovo attacco a cibo e democrazia Perché i giovani europei non si rivoltano più? La nuova Europa dalla finestra balcanica Domenico Musella Costas Lapavitsas e Alex Politaki da The Guardian Giuseppe Ranieri pag. 6 pag. 39 pag. 26 AMBIENTE MOVIMENTI/2 TERZA PAGINA Il compost azotato: finanziamenti europei ed abbandoni comunitari nella land of fire Prendersi troppa cura. Questa è la maledizione delle classi lavoratrici Piero Manzoni: ritratto di un rivoluzionario dell’arte Lorenzo Giroffi David Graeber da The Guardian Monia Marchionni pag. 12 pag. 28 pag. 43 ENERGIA MOVIMENTI/3 MIGRAZIONI Lo shale gas Usa alla conquista dell’Europa Dov’è la protesta? Una risposta a Graeber e Lapavitsas Siriani sullo Stretto: frontiera tra Spagna e Marocco Jerome Roos da ROARmag.org Marta Bellingreri pag. 31 pag. 46 Flavia Orlandi pag. 16 FORTEZZE LAVORO Diritto sulla carta contro Chi un’altra Europa se la prassi effettive fa: la Ri-Maflow nel segno dell’autorganizzazione Natascia Silverio pag. 21 Foto di Andrea Polzoni pag. 34 First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 6 flp magazine AGRICOLTURA Ogm: un nuovo attacco a cibo e democrazia Come lobby e Commissione Europea riprovano ad autorizzare (e imporre) la modifica genetica nei campi Domenico Musella N on è un affare per i soli addetti ai lavori, né si tratta retoricamente di “difendere il made in Italy” (o in France o in Germany etc.) o fermare i cinesi o gli americani che esportano i loro prodotti agricoli, come qualcuno vuol far credere. La coltivazione e l’emissione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (Ogm) in Europa ha a che fare con scelte politiche che condizionano la nostra vita da vicino, molto vicino. Riguardano quello che mangiamo ogni giorno. Ma cosa intendiamo quando parliamo di Ogm? Si tratta in generale di esseri viventi (dai batteri agli animali) il cui patrimonio genetico ha subìto artificialmente dei cambiamenti, grazie a più o meno sofisticate procedure biotecnologiche. Queste modifiche vengono solitamente realizzate allo scopo di migliorare le caratteristiche di tali organismi, ad esempio per renderli più resistenti. Dagli anni ‘70, quando la scienza ha scoperto come agire sul DNA, ad oggi, tali procedure hanno sempre scatenato dibattiti e sollevato numerosi interrogativi etici. Modificando geneticamente un batterio si è riusciti a fargli produrre quell’insulina che oggi cura il diabete di milioni di persone, ma non sempre l’essere umano è ispirato da buone intenzioni, né sempre valuta le conseguenze delle sue azioni. firstlinepress.org Ogm agricoli: cosa sono, a chi piante geneticamente modificati lo farà per produrre soldi, e non cibo buono servono per migliorare la vita delle persone. Ed Quando parliamo di Ogm in agricoltura è proprio questo quel che è successo ci riferiamo prevalentemente a piante finora, di fatto, per gli Ogm agricoli. i cui geni sono stati modificati in Quelle che potremmo chiamare le “6 laboratorio affinché diano particolari sorelle”, ovvero le sei multinazionali qualità. Ingenuamente saremmo portati della biotecnologia che producono a pensare in positivo, a piante super nei loro laboratori sementi Ogm e resistenti o che possono darci chissà ne controllano il 100% del mercato: quali prodotti super nutrienti: una vera Monsanto, Dow, DuPont Pioneer, e propria rivoluzione che potrebbe dare Bayer, Syngenta, Basf producono buon cibo a tutti, a tutte le latitudini. varietà che hanno sostanzialmente Ma anche qui quello che ci frega sono due caratteristiche fondamentali. le intenzioni di chi è in grado di agire La prima è la resistenza agli insetti, sui genomi delle piante. Se l’obiettivo grazie all’impianto di geni che fanno è solo il guadagno, chi produce semi di produrre alla pianta insetticidi. La seconda è la tolleranza agli erbicidi o pesticidi. Non si tratta di modifiche che migliorano effettivamente la qualità del prodotto (non volendo qui discutere L’utilizzo di Ogm se ciò sia possibile o legittimo), ma instaura un rapporto di caratteristiche che hanno come effetti o lo squilibrio dell’ecosistema o di dipendenza dei l’aumento del profitto. La produzione contadini da un pugno di insetticidi porta infatti allo sterminio di api, falene, farfalle etc., che come tutti di multinazionali, gli esseri viventi hanno un loro ruolo per l’acquisto di semi nella vita del pianeta e nella catena alimentare. La resistenza ad erbicidi e prodotti chimici: o pesticidi, invece, non serve ad altro corporate control e che a far utilizzare una maggiore fine della sovranità quantità di tali prodotti chimici, che guarda caso vengono fabbricati dalle alimentare» stesse industrie che producono gli « flp magazine BRUXELLES | STOP OGM, SI AL BIOLOGICO Una protesta a Bruxelles, 2013 (Foto di Kevin Vanden) Ogm (è il caso, per esempio, della Monsanto, la cui soia Ogm è fatta per resistere al principio attivo del suo erbicida RoundUp). Utilizzare le varietà geneticamente modificate che sono sul mercato ha quindi innanzitutto l’effetto negativo di diffondere nell’ambiente sostanze altamente tossiche, siano esse insetticidi, pesticidi o erbicidi, che danneggiano la natura e anche la salute delle persone che ci vivono (numerosi sono gli studi che associano ad esse tumori, malattie croniche, intolleranze). Non bastasse già questo, l’utilizzo in un campo di semi geneticamente modificati instaura un rapporto di dipendenza dei contadini e delle aziende agricole da quel piccolo pugno di multinazionali, sia per quanto riguarda l’acquisto dei prodotti chimici, sia per quello dei semi, che in questo caso sono anch’essi coperti da brevetti come qualsiasi altro prodotto e sono quindi “di proprietà” delle corporation. Sul piano economico i costi di produzione per gli agricoltori aumentano quindi notevolmente, e a ciò va anche aggiunto che difendere i campi non-Ogm dalla contaminazione di colture modificate geneticamente comporta altre spese: un assurdo, se si pensa che invece i costi dell’inquinamento dovrebbero essere a carico di chi inquina, non di chi rischia di essere contaminato. Tutto ciò che abbiamo appena descritto viene chiamato corporate control: poche grandi imprese che hanno in scacco un intero settore economico, nello specifico quello agroalimentare. Un’agricoltura fondata sul “mito”? espropriato dei suoi mezzi, della sua terra, della capacità di sostentarsi e sopravvivere. Finendo nella morsa di multinazionali monopolistiche interessate solo ad un’accumulazione sfrenata di denaro, entrerà ancor più direttamente nella spirale del debito: altro che miglioramento delle condizioni di vita! A spiegarlo sono diversi studi, come il rapporto Who benefits from GM crops? An industry built on myths (“Chi beneficia delle colture geneticamente modificate? Un’industria costruita sui miti”) pubblicato a fine marzo 2014 da Friends Of the Earth International. L’annosa questione della “fame nel mondo” non potrà di certo essere risolta il rapporto di foe international sugli ogm è consultabile con le colture Ogm, che provocano a questo link: www.foeeurope.org/who-benefits-gmsvariati danni ambientali, sanitari e socio-economici. Il piccolo contadino, crops-industry-myths-280314 soprattutto in contesti di povertà, con il sistema degli Ogm e dell’agricoltura Il “mito” consiste proprio nella industriale sarà destinato a essere narrazione che vuole farci credere First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 7 8 flp magazine che gli Ogm possano risolvere il problema dell’alimentazione. L’evidenza riscontrata nei contesti (in diminuzione) in cui si coltivano Ogm, come alcuni Paesi dell’Africa, del Nord e del Sud America e dell’Asia, è invece che tali coltivazioni sono associate al depauperamento crescente di contadini e produttori; alla scomparsa di colture tradizionali e di relazioni e saperi collegati; all’impoverimento dei suoli legato alla monocoltura; alla riduzione della biodiversità e al danneggiamento dell’ecosistema. Tutto ciò porta alla graduale impossibilità per l’umanità di ottenere cibo naturalmente, senza rivolgersi all’industria, e di scegliere come alimentarsi: per mangiare dovremmo sempre stare al ricatto del potente di turno. Stiamo parlando, cioè, della perdita della sovranità alimentare. Tra l’altro, dove vaste coltivazioni Ogm sono presenti non è per sfamare le persone, ma soprattutto per rifornire le industrie tessili, per produrre mangime per animali e biocarburanti. Ancora una volta, in definitiva, il problema è la volontà, la scelta politica: ciò che manca non è il cibo a sufficienza per tutti, bensì un equo accesso al cibo. Il pianeta sarebbe in grado di sostentarci, anche senza modificare genomi, ma a un gruppo ristretto di persone fa comodo che ci sia il dislivello: che a una latitudine si muoia di obesità, a un’altra di fame. E per migliorare l’accesso al cibo, pressati dai cambiamenti climatici e dalla crescita della popolazione, una soluzione più equa e sostenibile per noi e per la Terra sarebbe piuttosto valorizzare le coltivazioni tradizionali e le varietà locali ottenute con modalità di selezione naturali che sono adatte ai singoli contesti, e che svincolano dalla povertà sicuramente molto di più di costose sementi Ogm e di prodotti chimici tossici. L’Europa e gli Ogm La pressione di una vasta parte dell’opinione pubblica, dai semplici cittadini, agli ecologisti, ai contadini e ad altre componenti sociali è riuscita a difendere abbastanza bene l’Europa dal rischio Ogm, riuscendo ad intervenire anche sulla legislazione. Ora tutto questo è però in serio pericolo, di pari passo con la crisi che l’Europa stessa, insieme anche alla sua opinione pubblica, sta vivendo in molti ambiti. La legislazione comunitaria ha all’inizio aperto cautamente agli Ogm nel 1990 con la direttiva 220, ma appunto una grande mobilitazione e un grande dibattito sul tema hanno portato prima gli Stati nazionali, poi le istituzioni europee, ad una vera e « Approfittando di stallo decisionale, falle della legislazione e assopimento dell’opinione pubblica, Commissione e lobby provano ad autorizzare 25 varietà Ogm» propria moratoria di fatto sugli Ogm agricoli (1998-2004). Con la direttiva 2001/18/CE l’Unione Europea ha regolato l’autorizzazione degli Ogm attraverso un procedimento controverso, che sostanzialmente considera le decisioni sul tema come di natura tecnica ed esecutiva, non politica. In poche parole, sia il Parlamento che l’altro organo legislativo, il Consiglio (formato da rappresentanti dei governi dei 28 Stati) hanno molti meno poteri nell’influenzare le decisioni sugli Ogm, con la Commissione Europea (organo esecutivo) che ha invece l’ultima parola e non può essere bloccato né dal veto dell’Assemblea, né da una maggioranza semplice contraria del Consiglio. BRUXELLES | La sede del Commissario europeo alla Salute (Foto Corporate Europe Observatory) firstlinepress.org flp magazine Come per un argomento tecnico o di poco conto, non si “perde tempo” in discussioni in aula, ma si rimanda a consultazioni più “oscure” e rapide tra addetti ai lavori e burocrati, in uno specifico “comitato”. Altro problema: per valutare il rischio per la salute e l’ambiente di una determinata coltura Ogm, la Commissione si basa da un lato su studi scientifici presentati dalle stesse aziende produttrici, che molto raramente sono obiettivi, dall’altro sul parere dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) di Parma, composta in realtà da membri non imparziali perché notoriamente vicini ai giganti della biotecnologia. Non è un caso che finora l’Agenzia abbia quasi sempre dato parere favorevole all’autorizzazione di Ogm che invece erano stati respinti da esperti in materia indipendenti o dei singoli Stati. Ecco, quindi, una prima falla del sistema legislativo europeo che permette l’ingresso di colture geneticamente modificate in Europa, per di più con un sistema poco trasparente e democratico. 9 GIVE BEES A CHANCE | Campagna europea a difesa delle api (Foto di Greensefa) Dal 2010 è bloccata sul tavolo delle istituzioni continentali una proposta di regolamento (che, ricordiamo, è un atto di legge direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, a differenza delle direttive) sugli Ogm che consegnerebbe alla Storia la direttiva in vigore. In questi anni non si è riusciti ad uscire da un impasse dovuto principalmente alle diverse posizioni dei governi nazionali, pur essendo ormai palese che la stragrande maggioranza della società civile europea è fermamente contraria ai semi modificati geneticamente. Uno degli oggetti del contendere è la possibilità per i singoli Stati di bloccare le colture Ogm nel proprio territorio anche per ragioni socio-economiche, sancita da un testo già approvato in prima lettura dal Parlamento. Nonostante questo, Parlamento e società civile sono stati vigili sul tema, e nonostante le molte richieste e pressioni delle lobby del biotech finora sono state autorizzate dalla Commissione solo due prodotti agricoli Ogm: una varietà di mais della Monsanto, il Mon 810 (vietato poi da diverse istituzioni nazionali per la sua tossicità e coltivato attualmente per i mangimi solo in Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) e una varietà di patata della Basf, la Amflora (poi vietata dalla Corte di Giustizia europea poiché la Commissione, per autorizzarla, aveva forzato arbitrariamente le procedure Approfittando dello stallo decisionale, delle falle della legislazione e legislative). dell’assopimento dell’opinione pubblica europea sul tema, la Commissione, cedendo alle lusinghe delle lobby, è passata al contrattacco, attivando le procedure per l’autorizzazione di ben 25 varietà Ogm di mais, soia, Altre minacce al cibo barbabietola da zucchero. Il caso e alla democrazia più recente e controverso riguarda il mais 1507 della DuPont Pioneer, vengono da Ttip, modificato per produrre la tossina Politica agricola antiparassitaria Bt e per resistere comune e brevetto dei all’erbicida glufosinato ammonio. A gennaio il Parlamento europeo ha semi» chiesto con larga maggioranza alla Commissione di ritirare la proposta « First Line Press di autorizzazione. A febbraio un altro cartellino rosso è giunto dal Consiglio, nella sua composizione per gli Affari generali, con 19 Stati contrari (Italia inclusa), 4 astenuti (Belgio, Germania, Portogallo, Repubblica Ceca) e 5 favorevoli (Spagna, Gran Bretagna, Estonia, Finlandia e Svezia). Per tutta risposta la Commissione, e in primis il commissario alla Salute pro-Ogm Tonio Borg, nazionalista maltese, sta provando ugualmente ad approvare il mais 1507. La giustificazione ufficiale è che la Commissione sarebbe “tecnicamente costretta” a dare il suo placet a causa della procedura: per bloccare l’autorizzazione è necessario infatti un no del Consiglio a maggioranza qualificata (¾ dei componenti, ossia 21 Stati). Parlamentari, associazioni e cittadini rammentano tuttavia che la Commissione, al di là dei tecnicismi, dovrebbe garantire gli interessi comuni, innanzitutto rispettando le scelte di organi democraticamente eletti (il Parlamento e il Consiglio, formato dai governi dei singoli Paesi) ed in più tenendo fede al Trattato sul Funzionamento dell’UE, che all’art. 191 (ex art. 174 Trattato CE) vincola le politiche ambientali europee ai principi della precauzione, della prevenzione, della correzione dei danni causati all’ambiente e del «chi inquina paga». Molti studi hanno accertato la tossicità, per falene e farfalle e anche per gli esseri umani, delle sostanze @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 10 flp magazine BRUXELLES | Marcia contro gli Ogm nel maggio 2013 (Foto di Kevin Vanden) prodotte da questo mais della Pioneer, e autorizzarlo significherebbe anche violare il Protocollo internazionale di Cartagena sulla biosicurezza (2000, in vigore dal 2003). A poche settimane dalle elezioni europee, la Commissione è in scadenza di mandato e non ha ancora sferrato l’attacco finale. Ha contro di lei molti attori, oltre che poco tempo e una legittimità agli sgoccioli. Molto probabilmente l’intenzione è quella di aspettare lo scrutinio del 25 maggio, sperando magari in una grosse koalition che dia nuovamente le chiavi della Commissione a Popolari, Liberali e Socialisti riuscendo ad approvare quest’autorizzazione con maggiore legittimità. Altra carta che Borg e colleghi, o chi per loro, potrebbe giocarsi, è quella di aspettare prima l’approvazione del nuovo regolamento sugli Ogm e poi dare l’ok al mais 1507. In particolare, il regolamento già citato placherebbe gli animi di molti Stati garantendo l’opt-out, ossia la possibilità di scegliere il divieto sul proprio territorio delle singole colture, sulla base di rischi per la salute o firstlinepress.org anche socio-economici. Gli Stati finora contrari non si opporrebbero, una volta ottenuta tale conquista di “libertà” nazionale, ad un sì di Bruxelles. Tale proposta di regolamento, rilanciata dalla presidenza di turno del Consiglio (che fino a giugno è della Grecia, governata da “larghe intese” che applicano con zelo i diktat di austerity della Troika, e che da luglio a dicembre 2014 è dell’Italia, anch’essa guidata da un governo di coalizione vicino alla tecnocrazia e alla grande finanza), porterebbe di fatto a una “rinazionalizzazione” del tema Ogm. Lasciare tale regolamentazione ai singoli Paesi significherebbe, in realtà, quasi spalancare una porta alle colture Ogm delle grandi imprese: queste avrebbero un forte condizionamento sui singoli governi, rispetto ad un chiaro No stabilito nero su bianco da regole continentali, senza contare che l’Europa si dimostrerebbe così un vero fallimento anche nella sicurezza e nella sovranità alimentare. Non avrebbe poi senso tale nazionalizzazione: pollini e semi (almeno loro) non sono sottoposti a confini. La contaminazione da Ogm dei campi non si fermerebbe di certo ad una frontiera solo perché uno Stato ha deciso di autorizzarla e un altro vicino no! Altri rischi e minacce Una rinazionalizzazione del tema Ogm sarebbe ancora più ridicola e inconsistente se andasse in porto il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), accordo di libero commercio che in gran segreto stanno negoziando Usa e vertici europei. In base a questo testo, gli alti standard europei su salute e ambiente verrebbero sacrificati sull’altare del profitto, soprattutto con una clausola che permetterebbe alle filiali europee di multinazionali americane di citare in giudizio gli Stati europei che “intralciano” i loro interessi. Va considerato che spesso nelle Corti siedono grandi avvocati che difendono le stesse imprese, con evidente conflitto d’interesse e scarse possibilità di deliberazioni imparziali. Prendiamo un caso pratico sul tema Ogm: uno Stato, ad esempio l’Italia, ha sul suo suolo una filiale di una flp magazine multinazionale americana, magari una corporation dell’agrochimica. Se quest’ultima si basa su determinati standard produttivi americani, che permettono un largo uso di organismi geneticamente modificati, mentre la legislazione italiana non consente gli Ogm, può decidere di portare l’Italia in tribunale perché con le sue regole intralcia la produzione. L’Italia, che molto probabilmente vedrà addossarsi una multa, di fronte a questo rischio penserà sicuramente più di due volte prima di mantenere leggi che vincolano il processo produttivo alla tutela di salute e ambiente. Risultato: potremmo avere leggi ancor più votate all’interesse di pochi e potenti gruppi industriali. sfruttare tutti i mezzi a disposizione significherebbe, di fatto, avallare le decisioni che i grossi gruppi finanziari, con la complicità dei vertici istituzionali, prenderanno per noi e per il nostro futuro. Significherebbe firmare un assegno in bianco e non provare a difendere le nostre vite dal bieco profitto che ci considera non come persone ma come numeri. Sovranità alimentare e vita democratica sono le poste in gioco in questo duro confronto. Scusate se è poco. � Sul tema della sovranità alimentare, vale la pena citare altri due tentativi di attacco dell’accoppiata tecnocrazia-lobby di Bruxelles. Uno è la regolamentazione e il brevetto dei semi, proposta per l’agricoltura professionale dalla Commissione e per ora bloccata dal Parlamento europeo. Brevettare i semi, come accade altrove, significherebbe aumentare ancora la dipendenza dalle multinazionali e di fatto privatizzare il nostro sostentamento in vari aspetti. Altro versante su cui incombono diverse ombre è la PAC, la politica agricola comune. La linea di tendenza finora imposta dalle lobby e dalla Commissione in questo ambito ha danneggiato i piccoli produttori a tutto vantaggio delle grandi imprese. Lasciando senza lavoro persone, riducendo la biodiversità e mettendo a rischio il pianeta, al posto di investire sui territori, le culture, i saperi locali, le relazioni sociali. PER APPROFONDIRE | CAMPAGNA STOP THE CROP! PER UN FUTURO SOSTENIBILE E OGM-FREE www.stopthecrop. org/it TESTBIOTECH INDIPENDENT RESEARCH ON THE IMPACTS OF BIOTECHNOLOGY www. testbiotech.org/en/ Per tutto ciò è necessario che la controparte, ossia le persone comuni, le associazioni, i contadini, tutto quel mondo chiamato “società civile” si unisca e faccia sentire chiara e forte la propria voce contro tali scelte politiche. La maggioranza del prossimo Parlamento, che secondo il trattato di Lisbona sarà determinante anche per decidere la composizione della Commissione, avrà un ruolo chiave. All’interno del Parlamento e nelle strade sarà possibile far pressione per orientare queste decisioni e fare pressione in un senso opposto rispetto a quello di poche corporation. Non EUROPA.EU TRACCIABILITÀ ED ETICHETTATURA DEGLI OGM europa.eu/legislation_summaries/environment/nature_and_biodiversity/ l21170_it.htm CORPORATE EUROPE OBSERVATORY EXPOSING THE POWER OF CORPORATE LOBBYING IN THE EU corporateeurope.org TTIP, TUTTO QUELLO CHE NON SAPPIAMO DI MONICA FRASSONI, SBILANCIAMOCI.INFO www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Ttiptutto-quello-che-non-sappiamo-23491 First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 11 12 flp magazine AMBIENTE Il compost azotato: finanziamenti europei ed abbandoni comunitari nella Land of Fire Euro Compass ha rifiuti stoccati dal 2009 nell’illusione di lavoro in provincia di Caserta Lorenzo Giroffi P ensi all’Europa e rimbombano le discussioni sui meccanismi socio-economici-politici che da Bruxelles possono o meno influire sui singoli Stati. Passeggi poi di fianco lo scheletro di uno stabile industriale ad Orta di Atella e non puoi che vivere l’abbandono, col carico d’ipocrisia del paventato spirito comunitario. Una provincia, che forse le sedie del Parlamento europeo non riuscirebbero neanche ad identificare su una mappa. É Caserta, dove le lenti d’ingrandimento dei media si sono accavallate intonandone ripetutamente la filastrocca “terra-deifuochi”, fino a spolparla e abbandonarne la carcassa, lasciandone immutati i problemi e riabbandonati i destini. di Atella, un capannone fatto in lamiere diventa un’opportunità per Emilio Mormile, che vince un bando comunitario e tira su la Euro Compost, società che accogliere spazzatura, per poi selezionarla e riutilizzarne solo l’organico per la produzione di composto azotato. Nella parte meno costruita della sovraffollata Orta di Atella non si sente neanche più l’eco dei macchinari della Euro Compost. Un’automobile incidentata, i cui pezzi sono sparsi in un campo, è il tappeto di benvenuto in quest’area dove di erge solo lo scheletro del capannone che ha prodotto compost azotato. I cancelli sono stati portati via, gli infissi depredati, le mura sono piene di scritte sconnesse, cumuli di spazzatura sono lasciati in attesa di stoccaggio da Europa vuol dire anche finanzia- anni, le catene produttrici arrugginite, menti ed opportunità per imprenditori rimasugli di capannone anneriti da indi provincia. Succede così che, ad Orta cendi e volano documenti stampati su firstlinepress.org fogli ingialliti. Questo è ciò che resta dell’Euro Compost. Arrivo con Enzo Tosti, del Coordinamento Comitati Fuochi, attivo sul territorio per tutti i temi di natura ambientale che devastano la zona, ma anche memoria storica di questa striscia d’Italia e di Europa. Passeggiando, scansando buche, detriti e provando a non scivolare sul muschio, in un’area che in quanto sotto sequestro dovrebbe essere inaccessibile, Enzo mi racconta la storia di questo sito, riportandomi ai fumi del 2008. Qui circa trenta operai producevano questo compost azotato organico, ma soprattutto fumi ed odori insopportabili per i cittadini sia di Orta di Atella che del Comune limitrofo Caivano. I comitati cittadini iniziarono una serie di proteste, allarmati dalle esalazioni e dalle nubi dell’Euro Compost, che lavorando correttamente solo con l’organico non flp magazine ORTA DI ATELLA | Capannone con linee di produzione avrebbe dovuto avere delle esalazioni tanto forti. Ed infatti le manifestazioni ed i presidi riuscirono ad ottenere nel 2009 un’ispezione sindacale all’interno dei capannoni che sancì la chiusura della fabbrica per produzione non a norma. In questo caso ritorna il ruolo dell’Europa economica ed i suoi criteri di selezione dei soldi da elargire: una tale struttura, per lo più in eternit, già di per se non sarebbe stata inadatta alla produzione di compost azotato? Come individuare poi i responsabili del fallimento, del malfunzionamento del sito e dei danni ambientali? L’imprenditore ha potuto godere di tale finanziamento senza perdere un soldo per la cattiva gestione: dal 2009 al 2012 non sono state apportate ORTA DI ATELLA | Resti dell’incendio del 2013 modifiche alla produzione, che è stata praticamente solo annullata. Arrivati al 2012 poi la società ha dichiarato fallimento e a quel punto è subentrato un curatore fallimentare, con un custode giudiziario, dichiarando immediatamente di non essere in possesso di denaro utile alla messa in sicurezza dell’area. Intanto dal 2009 al 2012 il capannone, gli uffici e le linee di produzione sono stati completamente depredati di ogni materiale. La microcriminalità ha fatto affari rivendendo dagli infissi ai macchinari industriali, fino agli oggetti di ufficio. Fino all’estate del 2013 quando infine è stato appiccato un enorme incendio nell’ex fabbrica che ha distrutto tutto quanto era rimasto. Fiamme che non hanno escluso anche l’immondizia ancora qui stoccata dal 2009, che First Line Press ha continuato ad espandersi su tutta la superficie dello stabile in abbandono. Mentre ascolto i pezzi di questa storia a stelle europee, osservo flaconi di azoto, fiale vuote e bucate, faldoni di estratti conto della società. Uno stabile a due piani, con le catene di produzione nel mezzo, su cinghie, la parte alta del capannone completamente carbonizzata, pezzi di eternit e lamiere a picco come lacrime, un enorme spazio buio e scivoloso dove ancora è ammassata tutta la spazzatura: da una parte la plastica scartata e dall’altra i residui che sarebbero serviti al compost. Pur- « In questo caso ritorna il ruolo dell’Europa economica ed i suoi criteri di selezione dei soldi da elargire: una tale struttura, per lo più in eternit, già di per se non era inadatta alla produzione di compost azotato?» @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 13 14 flp magazine ORTA DI ATELLA | Il vecchio laboratorio troppo in questo secondo ammassamento però non c’è solo organico ed è stata questa la ragione delle proteste e soprattutto della chiusura dell’Euro Compost. Il sito sequestrato non è stato messo in sicurezza e il sottosuolo non è stato oggetto d’analisi, nonostante alcune dichiarazioni anonime di un ex lavoratore che parlò di interramenti notturni di fanghi industriali. Ci si limitò a sequestrare l’area del capannone, mentre i campi interessati da questa denuncia sono rimasti privi di indagini e sequestri. La segnalazione anonima non ha quindi avuto un riscontro ed è stata inoltre rinnegata dall’ex presidente Mormile, che ha rilanciato dichiarando di aver depositato tutti i piani di lavorazione presso la Provincia di Caserta, negando ogni tipo di lavorazione nel sito oltre le 17.30. I pozzi d’acqua che gravitano intorno il sito sono stati analizzati dalla Forestale e nulla di preoccupante è stato rilevato, però i comitati cittadini s’interrogano sul perché non analizzare i campi indicati dall’ex lavoratore, che sono di fronte e di fianco a ciò che è rimasto dell’Eco Compass. Preoccupazioni non pernecessariamente fondate, però controllare eviterebbe possibili estensioni dei liquami nel sottosuolo: si potrebbe essere ancora in tempo per firstlinepress.org arginare il rischio. Non mettere in sicurezza il capannone e lasciarlo in abbandono con le stelle dell’Unione Europea ingiallite sull’insegna d’ingresso dell’ex fabbrica, vuol dire lasciarlo esposto alla fatale attrazione per i luoghi da riempire illecitamente di monnezza. Dato che al momento non c’è più nulla da depredare, il sito potrà ben presto divenire meta di sversamenti illegali: perché permettere che questo spazio si trasformi in un’opportunità tossica? « Uno stabile a due piani, con le catene di produzione nel mezzo, su cinghie, la parte alta del capannone completamente carbonizzata, pezzi di eternit e lamiere a picco come lacrime, un enorme spazio buio e scivoloso dove ancora è ammassata tutta la spazzatura» Il sole acido di questa mattinata si spegne sotto la foschia del capannone dentro il quale ci infiliamo. Tavole di legno come passerelle, sopra un muschio scivoloso. Ombre, ed odori fortissimi che galleggiano all’entrata del deposito principale della spazzatura, dove rimane il grosso macchinario che la differenziava. Da una parte c’è un cumulo di rifiuti in plastica e dall’altro montagne di “monnezza” pronta ad essere riutilizzata per il compost azotato. Del putrido delle montagne di scarti si nota ad occhio nudo che la plastica è plastica, ma il resto non è organico, quindi i dubbi sul fatto che il compost azotato dell’Eco Compass fosse fatto con materiale organico si riconfermano. Enzo Tosti, il mio Virgilio in questo inferno di tossicità, guardando le lamiere della struttura e l’inconsistenza della parte superiore del capannone mi chiede insistentemente se sia logico finanziare un’impresa di compost azotato che ha come base quest’area. Fondi comunitari, elargiti senza verificare i permessi comunali, l’impatto ambientale, e infine senza individuare i responsabili dei possibili danni. Ad oggi infatti la società che ha beneficiato del finanziamento europeo ha solo incassato, per non perdere successivamente neanche un centesimo del proprio patrimonio. flp magazine « Enzo mi mostra il paesaggio circostante. Giusto a ricordare come le coltellate a queste terre non sono mai estemporanee, ma sempre parte di un più ampio Segnali di tossicità su progetto di distruzione: in lontananza adesivi sparpagliati, si nota un sito di stoccaggio portato ingialliti, come i ad Orta di Atella durante l’emergenza rifiuti dell’ “Era Bertolaso”. Sarebbe faldoni con numeri ad dovuta essere un’area provvisoria e inindicare ordinazioni e vece è lì, ferma a marcire da nove anni bilanci, tutto sospeso e ciò potrebbe ancora non sorprendetra surrealtà e re. La meraviglia è sapere che quel sito non è stato mai censito dal Comune di scempio» Orta di Atella: è come se non esistesse, ed in quanto invisibile resta impossibile prendere provvedimenti. La Regione Saliamo nel piano che ricorda la Campania è ancora in attesa di una sesuddivisione di uffici e laboratori. Ci gnalazione ufficiale di tale discarica. sono latte di solventi squarciate e diDa questa posizione Enzo mi fa nomenticate. Simboli di tossicità su adesivi sparpagliati, ingialliti, faldoni con i tare una piccola gobba del terreno che numeri delle ordinazioni e dei bilanci, fronteggia l’ex Eco Compass: rilievo in un’atmosfera sospesa tra surrealtà che alimenta i sospetti di sversamenti e scempio. Quella che poteva essere nel sottosuolo. La scritta in rosso che un’opportunità di lavoro è diventata sul muro d’ingresso indica “Area Conl’ennesima bandiera di abuso e irre- taminata”, è stata fatta dai vigili urbani sponsabilità. Attraverso la grossa ed con una bomboletta spray. Forse nel impolverata finestra dei laboratori, tentativo di intimidire malintenzio- nati e impedirgli di entrare, ma anche l’ennesimo simbolo della precarietà di una messa in sicurezza bislacca. Solo un filo di plastica tra i cespugli secchi dovrebbe bloccare l’ingresso al vecchio capannone. É l’Europa che dimentica i suoi luoghi o che forse non li ha mai voluti conoscere. Una Comunità che non può sfoggiare solo diritti e Nobel ma anche la responsabilità rispetto ai suoi finanziamenti elargiti senza ombra di lungimiranza. Una selezione che sembra accurata solo quando si tratta di scegliere le tasche da riempire, che guarda caso sono sempre le stesse. � ORTA DI ATELLA | Enzo Tosti ed il capannone First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 15 16 flp magazine ENERGIA Lo shale gas Usa alla conquista dell’Europa Quando è troppo... si esporta Flavia Orlandi U no spettro si aggira per l’Europa. Arriva dagli Stati Uniti, dove ormai è ben conosciuto, temuto, idolatrato, combattuto, sostenuto, a seconda che a parlare sia un cittadino o un lobbista del settore energetico. Si tratta del fracking, la fratturazione idraulica, una tecnica per l’estrazione del gas di scisto presentata spesso come lo strumento di emancipazione energetica dell’Occidente. Di questa tecnica si parla ormai da molto tempo ed ha rappresentato una rivoluzione nel settore estrattivo, dal momento che rende accessibili una serie di giacimenti prima inutilizzabili. La fratturazione idraulica infatti permette di estrarre il gas incastrato in microbolle all’interno di rocce porose di origine argillosa dette scisti. L’estrazione tradizionale non lo permetterebbe perché la trivella verticale non potrebbe accedere ai singoli pori. Con il fracking invece la trivella raggiunge una certa profondità per poi direzionare orizzontalmente grandi quantità di acqua ad alta pressione arricchita da sostanze chimiche, producendo una serie di microsismi che frantumano la roccia e liberano il gas. Alcune varianti di questi impianti permettono anche l’estrazione di petrolio non convenzionale, di metano intrappolato nel carbone (Coal Bed Methane) e di calore per impianti geotermici. firstlinepress.org Negli Usa la scoperta di questa tecnica ha portato trivelle in 34 Stati. Si è partiti dall’ovest: New Mexico, Colorado, Texas, Wyoming, Oklahoma. Poi a sud: Arkansas, Louisiana, Alabama. Ed infine le trivelle sono arrivate a est, negli Stati di New York, Ohio e South Virginia, dove è situato il megagiacimento di gas “Marcellus”. Tuttavia le popolazioni nordamericane hanno cominciato a fare pressione contro il fracking ed in alcuni casi sono riuscite a farlo bandire: Los Angeles l’ha recentemente vietato, e ciò era già avvenuto in altre 4 città nel Colorado nel 2013, e ancora prima nel maggio 2013 lo ha fatto una contea del New Mexico, mentre negli stati di New York, Vermont e Hawaii si stanno portando avanti delle moratorie sul tema che per il momento hanno bloccato l’attività delle trivelle in attesa di dati più approfonditi. La motivazione di questa opposizione è presto chiara: vivere vicino alle trivelle è impossibile. Il problema principale è la contaminazione delle falde: l’acqua iniettata nel terreno per fratturare le rocce di scisto è arricchita da un numero altissimo di composti chimici per lo più segreti in quanto protetti da una deroga governativa. Si tratta di condensanti, antigelo, anticorrosivi, battericidi e funghicidi, riduttori di vischiosità e chissà cos’altro. Theo Colborn, una famosa giornalista di inchieste ameri- cana, cercando tra i dossier e facendo analisi private è riuscita a identificare 596 di questi composti, calcolando però la presenza di almeno altri 300. Si tratta di sostanze pericolosissime per la salute umana, che creano problemi neurologici, di sviluppo fetale, lesioni cerebrali, malattie del sangue, del fegato, dei reni, dei polmoni, sterilità, cancro. Le fratture estrattive infatti avvengono a livelli generalmente inferiori rispetto alle falde acquifere e ciò che si libera, ovvero acqua, gas, composti chimici e radioattività naturale delle rocce di scisto, va a finire nell’acqua che arriva nei rubinetti delle case. Nel 2010 Josh Fox, autore del documentario Gasland ha attraversato i territori trivellati di tutti gli Stati Uniti per parlare con le comunità rurali che « Negli Usa cominciano i divieti e le moratorie contro il fracking. La motivazione dell’opposizione è presto chiara: vivere vicino alle trivelle è impossibile» flp magazine 17 prima di lui avevano accettato soldi dalle imprese estrattive per farle scavare sui propri terreni. Negli Usa infatti il proprietario di un terreno detiene anche i diritti sul sottosuolo, diritti che può vendere separatamente rispetto a quelli superficiali. Come a tanti altri americani, a Josh un giorno è arrivata una lettera che proponeva la vendita di quei diritti ad una cifra molto appetibile. È così cominciato il suo viaggio tra le vite distrutte degli abitanti del Texas, della Pennsylvania, del Wyoming, tra gente che mai sarebbe disposta a farsi chiamare ambientalista, o “abbraccia alberi”, ma che oggi si sente truffata ed è consapevole di come sia impossibile tornare indietro. Dai lavandini degli ospiti di Josh non esce semplicemente acqua sporca, contaminata, imbevibile, ma addirittura gas che si incendia appena un accendino viene avvicinato al rubinetto. L’Epa, l’agenzia governativa statunitense a difesa dell’ambiente, nel 2004 ha annullato una ricerca sugli effetti del fracking senza un ben chiaro motivo, nonostante le continue richieste di analisi delle acque da parte dei cittadini. L’autorizzazione a procedere fu annullata dal Congresso, e le “ma- lelingue” sostennero che ciò avveniva perché 5 dei 7 membri avevano conflitti d’interesse rispetto al mercato estrattivo. Alla fine le forti spinte da parte della società civile hanno costretto l’agenzia a iniziare una nuova ricerca a partire dal 2011, ed entro quest’anno dovrebbero essere pubblicati dei risultati definitivi. Però per molto tempo le persone si sono sentite dire che l’acqua era buona, che sì, magari c’erano dei composti chimici, ma che non rappresentavano un problema per la salute. Tuttavia gli stessi ambasciatori di tali “sentenze senza ricerca” dell’agenzia governativa si rifiutavano di bere l’acqua a loro offerta: era evidente che la gente si ammalava. I problemi non si fermano all’acqua: l’aria nelle zone adiacenti alle trivelle è irrespirabile, sia perché il gas si libera incontrastato dalle fratture verso la superficie, sia perché l’acqua utilizzata per le fratture viene poi polverizzata al sole per ridurne i costi di smaltimento. In questa maniera i composti chimici presenti si liberano nell’aria: nel Wyoming il Department of Environment Quality anni fa ha segnalato pericolosi livelli di ozono, l’O3, che se presente in atmosfera protegge dai raggi ultravioletti, ma a livello superficiale brucia i polmoni. Ogni trivellazione necessita dai 4 ai 28 milioni di litri d’acqua, e della serie di camion cisterna che la portano sul luogo (Josh Fox ne conta circa 600 per ogni pozzo) solo la metà torna indietro: il resto dell’acqua inquinata finisce nelle falde o seccata al sole. E pensare che la “rivoluzione del gas” viene presentata come fase di passaggio nella lotta contro il surriscaldamento globale. Ed infatti la combustione del metano libera nell’aria una quantità di CO2 inferiore rispetto ai combustibili fossili. Peccato però che se il metano non è bruciato, ma liberato nell’aria come avviene nelle aree adiacenti alle trivelle americane, esso sia un gas serra 25 volte più pericoloso della CO2. Un dato semplice, che però nessuno ricorda, e alla fine la produzione di gas americana è diventata una “rivoluzione verde”, di cui tra l’altro vengono sottolineati i vantaggi geopolitici. «Il gas è nostro» tuonano i repubblicani in televisione, «ci emanciperà dal Medio Oriente, e ci libererà dal terrorismo». FRATTURAZIONE IDRAULICA | Come funziona First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 18 flp magazine EUROPA | Giacimenti di shale gas Ma il gas non è estratto solo per il se finanziarie che hanno effettuato gli mercato americano, e qui entra in investimenti iniziali nel settore. gioco l’Europa. Per le imprese estrattive invece è diLe estrazioni di gas negli Stati Uni- ventata necessaria la ricerca di nuovi ti infatti, fatte in maniera capillare e mercati. L’Europa è al primo posto deldistribuita, con trivelle attive per un la lista, visto che si tratta della costola anno circa e poi spostate poco più in statunitense, l’alleato-colonia del patto là, superano abbondantemente il con- atlantico. E per essere più precisi disumo interno. Tale surplus energetico venta necessario rubare quote di merè arrivato ad essere un problema vero cato alla Russia. Sempre le solite “malee proprio: la distanza tra l’offerta sem- lingue” ritengono che l’attuale conflitto pre più abbondante e la domanda so- in Ucraina sia stato fin dal principio stanzialmente ferma ha prodotto una pilotato dagli Stati Uniti, dal momenbolla speculativa per cui le estrazioni to del colpo di stato interno spacciato non sono più remunerative. Il prezzo come rivoluzione democratica. Ma vodel gas è sceso e le spese delle impre- lendo glissare su questioni geopolitiche se estrattive non sono più sostenibili. tanto oscure, è un dato che la reazione Chi ci ha guadagnato a guardare i conti di Putin a sostegno della Crimea è stasono più che altro le banche e le impre- ta prontamente accolta come un gesto firstlinepress.org inaccettabile da punire con l’embargo economico. E tale improvvisa isteria antirussa ha subito prodotto nell’agenda del Congresso statunitense due proposte di legge, che permetterebbero di approvare fast track (ossia con procedura rapida) l’esportazione in Europa di gas liquido, da ritrasformare qui successivamente attraverso ulteriori nuovi rigassificatori. Cory Gardner, uno dei legislatori repubblicani che sta portando avanti la proposta alla Camera dei rappresentanti, non ha mancato di presentarla come una legge a sostegno della “sicurezza nazionale statunitense”: «opporsi a questa legislazione è come staccare il telefono in risposta ad una chiamata d’emergenza dei nostri amici e alleati». Ma gli alleati sembrano essere più le compagnie estrattive flp magazine che i Paesi europei, e l’obiettivo sembra più risolvere il problema dell’eccedenza di gas, creando in Europa un nuovo rapporto di dipendenza energetico, che salvaguardare l’autonomia della Crimea. E quest’obiettivo implica la costruzione di un’infrastruttura grandissima, il cui costo secondo Naomi Klein si aggirerebbe intorno ai 7 miliardi. Un sistema di gasdotti, navi da trasporto, postazioni di compressione e rigassificatori la cui realizzazione impiegherebbe anni per essere terminata e quindi incapace di dare una risposta tempestiva al problema attuale. Problema che tra l’altro negli ultimi giorni sembra riassorbirsi, davanti ai tentativi di Putin di non apparire condizionante nei confronti delle popolazioni crimeane e del loro referendum. Ma il gas americano potrebbe entrare nei nostri mercati anche in un’altra maniera: attraverso il Ttip, Transatlantic Trade and Investiment Partnership, un patto commerciale la cui stipula fortemente contestata è ancora in corso, che prevede l’abbattimento di ogni barriera commerciale, tariffaria e non, tra le due sponde dell’Atlantico. L’obiettivo di questo negoziato sarà allora quello di armonizzare le regolamentazioni in materia di commercio internazionale di Usa e Ue, che differiscono soprattutto in materia di protezione sanitaria, alimentare, di diritto d’autore e del lavoro. Un’armonizzazione che ovviamente spingerà al ribasso la parte con sistemi di controllo e di tutela del consumatore/lavoratore maggiori, ossia l’Unione Europea. Nel caso in cui questa partnership venisse approvata, gli Stati che non adattassero le proprie normative a quelle statunitensi potrebbero essere citati in giudizio dalle multinazionali, all’interno di tribunali internazionali che processerebbero a porte chiuse e senza possibilità di appello. Il risultato finale non sarà semplicemente la liberalizzazione degli scambi, ma l’ottenimento di un nuovo ruolo egemonico da parte degli Stati Uniti verso i paesi della zona euro. E nei nostri mercati vedremo entrare Ogm, carni cresciute ad ormoni e trattate col cloro, nonché GRAN BRETAGNA | Proteste contro il fracking lo shale gas americano, completo di trario e le opposizioni locali sono già tecnica estrattiva. sul piede di guerra, poco convinte dalle royalties e dalle donazioni alle comuLa Commissione Europea infatti nità promesse dalle aziende del gas. La non ha ancora preso una posizione uni- Polonia è sulle stesse posizioni della voca nei confronti del fracking, e forse Gran Bretagna, nel tentativo di emannon lo farà mai, lasciando ad ogni Stato ciparsi dalle importazioni russe. In una propria autonomia decisionale. In Francia e in Germania una moratoria Gran Bretagna ad esempio il governo impedisce il fracking a partire rispettidi Cameron ha autorizzato le estrazioni vamente dall’ottobre e dal marzo 2011, tramite fratturazione idraulica: si ritie- in vista di analisi più approfondite. In ne ci siano 1.300 miliardi di metri cubi Italia ufficialmente non esistono prodi shale gas intrappolati sotto le rocce getti di fratturazione idraulica, sebbene britanniche. Tuttavia secondo un son- una tecnica ad iniezione simile sia usadaggio l’82% dei cittadini inglesi è con- ta per stoccare il gas nei vecchi pozzi esauriti. E tuttavia secondo Maria Rita D’Orsogna, una docente di fisica consulente de Il Fatto Quotidiano sul tema del fracking, esisterebbero dei casi: nell’a“Il gas è nostro” prile 2013, nel corso della North Africa tuonano i repubblicani Technical Conference and Exhibition al Cairo, l’Eni avrebbe presentato un lavoin televisione, “ci ro, sostenendo di aver “rivitalizzato” un emanciperà dal Medio pozzo di gas già sfruttato vicino Lucera Oriente, e ci libererà (Foggia) tramite una serie di nuove tecniche, tra cui la fratturazione idraulica dal terrorismo”. Ma e l’uso di fluidi “energizzanti” a base di il gas non è estratto zinconati. La notizia è reperibile solo solo per il mercato sul sito della Society of Petroleum Engineers, mentre non ve ne è traccia sui americano, e qui entra siti ministeriali, per i quali il fracking in gioco l’Europa.» in Italia ancora non esiste. Tuttavia ci sono spinte per una fratturazione no- « First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 19 20 flp magazine « Il risultato finale del TTIP non sarà un nuovo ruolo egemonico degli Stati Uniti verso i paesi della zona euro. E nei nostri mercati entreranno Ogm, carni cresciute ad ormoni e trattate col cloro, nonché lo shale gas americano, completo di tecnica estrattiva» strana. Ad esempio c’è Giuseppe Recchi, presidente uscente di Eni e nuovo presidente Telecom, che ha scritto un libro sul fracking, sebbene poi si sottragga alle domande dei giornalisti di Report dicendo di non essere un esperto. Nei suoi scritti Recchi si limita infatti a rimproverare l’Europa e l’Italia di aver perso l’ennesimo treno verso la crescita a differenza del suo partner d’oltreoceano. Nel suo libro riferimenti al problema del surriscaldamento globale o ai patti internazionali contratti in merito alla riduzione della CO2 prodotta non ve ne sono, mentre le fonti energetiche rinnovabili diventano spese inutili che alzano il costo dell’energia. A sostenere lo shale gas nostrano al suo fianco c’è Giuliano Amato, anche lui critico rispetto agli «eccessivi» finanziamenti che in passato sono stati destinati alle fonti rinnovabili (tuttavia non utilizzati per sviluppare tecnologie italiane, ma per comprarne di asiatiche già pronte), ma invece positivo per quel «po’ di gas italiano disponibile». Intanto Carlo Doglioni, presidente della Società Geologica Italiana, sostiene che il fracking in Italia non c’è perché non esistono riserve economicamente rilevanti di shale gas e perché non è previsto dal Governo nel Piano di Strategia Energetica Nazionale. firstlinepress.org GRAN BRETAGNA | Immagine da Gasland (Foto di Josh Fox 3) Vedremo che succederà e chi ha ragione, se i pessimisti o gli ottimisti. Anche perché le estrazioni dal fondale del mar Adriatico sembrano far gola a molti, e la concorrenza tra confinanti è agguerrita. Si può sperare che l’eventuale approvazione del Ttip, contestata fortemente a Bruxelles il 15 maggio nel corso dell’European Business Summit, non permetta alle imprese petrolifere di livellare le legislazioni europee su quelle statunitensi in questo settore. Si può sperare che lo stesso Ttip non venga approvato e che l’Europa si emancipi dalle politiche commerciali degli Stati Uniti. In fondo il progetto iniziale dell’Unione Europea verteva sulla necessità di diventare più forti e resistenti verso le altre economie. Ma oggi l’Unione Europea sembra una strategia ideologica per giustificare l’austerity, e gli Stati Uniti sono più presenti che mai. � flp magazine FORTEZZE Diritto sulla carta contro prassi effettive L’ambiguità europea nelle politiche sui migranti Natascia Silverio AMBURGO | Europa vergognati. Lampedusa è qui per restare. (Foto di Lampedusa in Hamburg) I n un’intervista raccolta nel suo studio legale a Roma, l’avvocato Salvatore Fachile ci ha parlato delle politiche che l’Europa attua nei confronti dei migranti, coloro che si muovono dal loro paese d’origine per cercare altrove un futuro migliore o per fuggire da guerre e persecuzioni. Membro del Consiglio Direttivo dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), Salvatore Fachile non esercita solamente la sua professione ma è anche ricercatore giuridico nell’ambito del diritto dell’immigrazione e della protezione internazionale, dei minori stranieri non accompagnati e della tratta degli esseri umani; un’altra importante atFirst Line Press tività è quella di formatore all’interno di master universitari e corsi per operatori del settore. Quelle che seguono sono le sue opinioni sul sistema giuridico italiano e europeo che, per quanto riguarda i migranti, getta ombre di ipocrisia sul concetto di democrazia e libertà di movimento. @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 21 22 flp magazine ASGI | Salvatore Fachile (Foto di SenzaConfine) Qual è l’atteggiamento dell’Italia e dell’Europa rispetto ai migranti da un punto di vista giuridico? «Ormai da decenni l’Europa viola i diritti fondamentali dei cittadini stranieri, siano essi migranti economici oppure richiedenti asilo. In questo senso, la normativa dei vari stati europei tende ad assomigliarsi e non fa altro che ricalcare, perlomeno a grandi linee, le normative delle altre nazioni “ricche”. L’Europa costruisce sostanzialmente un meccanismo di chiusura: quasi totale nei confronti dei migranti economici, non dichiaratamente palese per quanto riguarda i richiedenti asilo. Per moltissimi di questi ultimi il meccanismo diventa di esclusione, poiché li si spinge a non ricercare la protezione internazionale in Europa. Nel caso dei migranti che non intendono richiedere asilo, prevale l’idea per cui un cittadino proveniente da un paese non comunitario puó accedere all’Europa - quindi ai suoi singoli paesi - solo qualora abbia un visto, cioè un’autorizzazione per l’ingresso concessa soltanto per motivi tassativi e dopo una serie di minuziosi controlli. In questo modo vengono escluse le persone indesiderate, tutte quelle che non vengono espressamente e individualmente autorizzate, permettendo l’ingresso solo a coloro che in qualche modo possono essere utili per l’Europa stessa. firstlinepress.org Esistono anche altri tipi di visto in Italia (per lavoro tramite “decreto flussi”, per turismo ecc.) ma il loro ottenimento è sempre subordinato a regole rigide e macchinose. Senza descrivere tutto il sistema, l’impressione che ne deriva è quella di una filosofia di esclusione, che contrasta con l’idea stessa della libertà. Tutte le democrazie europee nascono da un’idea di pari dignità degli uomini, che peró trova applicazione molto spesso solo nei confronti dei cittadini europei. Da un punto di vista giuridico, il concetto della Fortezza Europa che tende a chiudere i propri confini risulta assurdamente in contrasto con lo sviluppo del diritto europeo, il cui processo di evoluzione dura da secoli. tà di inoltrare domanda di protezione internazionale; esse vengono respinte verso paesi molto pericolosi, tra cui la Libia, condannata sistematicamente per le violazioni dei diritti umani e neanche firmataria della Convenzione di Ginevra. Paesi di questo genere non hanno evidentemente subito minacce economiche o di altro genere che potessero scoraggiarli nei loro comportamenti. Purtroppo, l’Italia stessa ne è una dimostrazione. Siamo stati più volte ripresi e condannati per questa nostra sistematica prassi di respingimento da Lampedusa e presso le frontiere adriatiche. Disponiamo di numerosi rapporti che dimostrano che a molte persone Per quanto riguarda i richiedenti in arrivo non viene data la possibilità di asilo, invece, si puó dire che l’approccio fare richiesta di asilo politico. europeo è formalmente più corretto. È comunque garantita – almeno in teoria Il respingimento è forse lo struuna possibilità di entrare in Europa e di mento più drammatico per negare querichiedere protezione internazionale. Il sto diritto. Ma ne esistono anche altre tutto è condotto peró con dei limiti giu- forme: come ora accade con l’operazioridici e con tali violazioni sistematiche ne Mare Nostrum, i migranti vengono della stessa normativa europea da risul- aiutati in mare a raggiungere i porti tare fortemente compromesso». italiani ma in seguito subiscono un respingimento differito, cioè una sorta di Quali sono questi limiti? decreto di espulsione, che molto spesso li costringe a presentare domanda di «L’Europa evita di offrire un’oppor- protezione internazionale all’interno di tunità concreta d’ingresso ai cittadini di paesi in guerra, dove si corre un rischio reale per la propria incolumità; lascia che i richiedenti asilo raggiungano il suo territorio a proprio rischio e Una società veramente pericolo. democratica e civile « Da questo punto di vista una società veramente democratica e civile non soltanto dovrebbe consentire, al momento dello sbarco o dell’attraversamento della frontiera, la possibilità di chiedere protezione internazionale ma anche coadiuvare le persone in fuga a rifugiarsi in un posto sicuro. Inoltre, nella prassi, il comportamento dell’Italia, della Grecia e di Malta ci dimostra che l’atteggiamento dell’Europa è ambiguo: da una parte si tollerano certe pratiche, dall’altra queste vengono fortemente criticate. Si prendano come esempio i respingimenti collettivi: alle persone in arrivo è negata la possibili- non soltanto dovrebbe consentire, al momento dello sbarco o dell’attraversamento della frontiera, la possibilità di chiedere protezione internazionale ma anche coadiuvare le persone in fuga a rifugiarsi in un posto sicuro» flp magazine un CIE tramite una procedura accelerata. Ció aggrava la situazione e porta alla vera e propria espulsione in caso di esito negativo ancor prima che il giudice adibito si esprima sulla legittimità del diniego. La drammaticità di questa situazione è sottolineata dalle prassi ma soprattutto dall’atteggiamento dell’Europa, che non mostra una reale volontà di imporre il rispetto della propria normativa. Allo stesso tempo, ci si guarda bene dal prevedere un sistema di accoglienza equilibrato per i richiedenti asilo, togliendo loro ogni voce in capitolo. libertà di movimento esclusivamente per motivi di tipo amministrativo, non in seguito al compimento di un reato o alla dimostrazione di una qualche pericolosità per l’ordine pubblico. In Italia, tra l’altro, la facoltà di detenere queste persone non è delegata neppure a un’autorità effettivamente giurisdizionale ma soltanto a un giudice di pace. Si punisce così colpendo la libertà personale.Ció contravviene ai principi di base del diritto moderno che prevedono che quest’azione possa essere compiuta solo come misura residuale, come estremo rimedio – un momento in cui lo stato, quasi con pudore, è costretto a eseguirla per garantire i beni giuridici più importanti degli altri concittadini. I migranti economici vengono quindi considerati passibili di una limitazione della propria libertà personale solo perché non hanno un permesso di soggiorno valido e non sono più utili per il meccanismo economico della società». Si scarica sui paesi di confine (Malta, Grecia, Italia, ecc..) il peso più grande relativo alla prima accoglienza. Risulta veramente illogico trascurare completamente l’interesse nel presentare domanda d’asilo in un paese diverso da quello di primo arrivo: un migrante puó avere anche un forte legame dovuto alla lingua, alla comunità, all’attività In Italia, tra l’altro, si sta pensando economica avviata da amici e parenti di riaprire alcuni CIE che erano stati già presenti su quel territorio. chiusi… Continuare a negare del tutto la rilevanza giuridica dell’interesse del richiedente asilo significa dare prova che l’Europa è governata dai paesi più forti, che coincidono territorialmente con i paesi interni. L’Italia in questo senso dimostra la sua incapacità di imporre ai Paesi UE più ricchi alcune modifiche, che potevano essere effettuate in particolare l’anno scorso sul regolamento Dublino». « Da un punto di vista giuridico, il concetto della Fortezza Europa che tende a chiudere i propri confini risulta assurdamente in contrasto con lo sviluppo del diritto europeo, il cui processo di evoluzione dura da secoli.» «Nel giro di poco tempo, probabilmente verrà riaperto il CIE di Milano ma anche altri centri che erano stati chiusi. Nonostante gli sforzi di una piccolissima parte della società civile, una limitazione al funzionamento dei CIE (almeno in Italia), si è registrata solo a seguito delle proteste dei migranti che si sono concretizzate anche in un danneggiamento delle strutture. Non AMBURGO | Occupazione di una vecchia scuola a Karolinenviertel per creare il Refugee Welcome Center (Foto di md-protestfotografie.com) Esistono particolari metodi per negare i diritti fondamentali? «Alla luce di queste riflessioni, non si puó negare che l’Europa cerchi di mantenere il principio dell’esclusione con strumenti violenti che spesso contrastano con altre conquiste, come quella della libertà personale. L’esempio sicuramente più eclatante è rappresentato dai CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione). Chiamati in modo diverso nei vari paesi europei, seguono tutti sostanzialmente lo stesso principio: privare un migrante della sua First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 23 24 flp magazine si è verificata una presa di posizione politica, né la società civile è riuscita a conquistare qualcosa: la chiusura di alcuni CIE ha rappresentato semplicemente un fatto logistico dovuto all’esasperazione dei migranti trattenuti. Purtroppo, non si riesce a intravvedere nessuna speranza concreta per una scelta politica che operi un’inversione dell’ottica con la quale sono considerati i migranti privi di permesso di soggiorno. Con queste azioni, si è tradito lo spirito di democrazia dell’Europa per creare un insieme di paesi che somiglia sempre più ad un luogo chiuso, in cui le persone straniere non sono considerate come esseri umani in quanto tali ma ammesse esclusivamente nel caso possiedano una funzione. È un sistema teso più alla convenienza e al funzionamento economico piuttosto che al rispetto dei diritti e dei principi di democrazia di cui ci vantiamo essere tra i principali portatori nel mondo». « Purtroppo, non si riesce a intravvedere nessuna speranza concreta per una scelta politica che operi un’inversione dell’ottica con la quale sono considerati i migranti privi di permesso di soggiorno» messi in atto dai singoli paesi dell’Unione Europea al fine di scoraggiare i richiedenti asilo e portarli in seguito a raggiungere uno stato di esasperazione. Un esempio: nel sistema tedesco essi vengono frequentemente confinati in luoghi molto lontani dalla città, con l’obbligo di risiedervi e di non allontanarsi per più di un determinato numero di chilometri. Ció innesca un’attesa che dura anni, che conduce le persone a cadere nella disperazione e ad allontanarsi volontariamente. La stessa cosa avviene in Italia con i CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo): il nostro paese tendenzialmente garantisce l’accoglienza ma confina queste persone in un luogo “surreale” lontano dalla città, aspettando velatamente che se ne vadano di propria spontanea volontà perché esasperati dalle condizioni e dalla lentezza dei procedimenti. Il caso di Castelnuovo di Porto (Roma) è emblematico. anch’esso un meccanismo che incatena le persone nel tentativo a volte infinito di richiedere protezione internazionale in un paese dove esse non hanno interesse di farlo. Affermare l’idea per cui un cittadino non comunitario chiede Lo Stato italiano dà dimostrazione Anche il regolamento Dublino protezione all’Europa e non al singolo puó essere considerato uno stru- paese dove sbarca sarebbe un principio di questo desiderio non dichiarabile mento simile a quelli di cui parlavi di civiltà giuridica; il sistema Europa quando lascia che le persone vengano accolte, come in questo periodo, in precedenza? andrebbe inteso come unitario. ma non identificate per poter di fatto «Sì, il regolamento Dublino nega Sono da considerarsi inoltre asso- aggirare il regolamento Dublino. La i diritti fondamentali e rappresenta lutamente deprecabili alcuni strumenti stessa situazione si è verificata anche AMBURGO | La libertà di movimento è un diritto di tutti (Foto di md-protestfotografie.com) firstlinepress.org flp magazine con i richiedenti asilo sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre 2013. Queste persone sono rimaste sul territorio per più di un mese senza che fossero loro prelevate le impronte digitali, per poi essere inviate a Roma e accolte dal sindaco Marino. Si sono date alla fuga pochi giorni dopo, senza lasciare traccia, e probabilmente si trovano ancora sul territorio italiano alla disperata ricerca di fondi per poter riuscire a raggiungere i paesi del Nord Europa». Quali sono le attività dell’ASGI? «L’ASGI è composta da una vasta rete sul territorio italiano di avvocati e giuristi (quasi 300), che lavorano in modo volontario contribuendo alla sua principale attività: contribuisce alla costruzione del sapere giuridico sull’immigrazione tramite approfondimenti, redazione di documenti e formazione. Inoltre viene condotto anche un lavoro parallelo e complementare di influenza sugli organi legislativi e esecutivi italiani/europei allo scopo di migliorare il sistema giuridico e/o di assicurare un maggiore rispetto delle regole che già esistono. L’ASGI rappresenta spesso un referente per gli organi dell’Unione Europea e del Consiglio Europeo, segnalando continuamente le carenze del sistema giuridico italiano; proponiamo modifiche e siamo tra i sostenitori dell’abolizione del regolamento Dublino in favore della creazione di un sistema d’asilo comune europeo. Per approfondire | Il sito dell’ASGI (www.asgi.it) presenta una serie di materiali molto utili (consultabili agevolmente anche dai non addetti ai lavori) per comprendere la legislazione sull’immigrazione e le sue criticità: archivio dei comunicati stampa, segnalazioni e commenti di facile comprensione. Ma anche schede pratiche ed elementi più complessi, destinati ai giuristi. E’ possibile anche scaricare un importantissimo documento, pubblicato nel 2012: Il diritto alla protezione. Qui l’ASGI, insieme ad altre organizzazioni, ha fatto il punto della situazione in Italia sul rispetto delle norme che riguardano la L’ASGI, infine, non si propone solamente di orientare il pensiero politico ma anche di offrire mezzi tecnici nel momento in cui si presenta la possibilità di emanare una nuova norma». � procedura di richiesta della protezione internazionale e sulle criticità dell’accoglienza dei richiedenti asilo. È una manuale di facile lettura, molto vasto, attraverso il quale si possono comprendere alcuni problemi in maniera particolarmente dettagliata. First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 25 26 flp magazine MOVIMENTI/1 Perché i giovani europei non si rivoltano più? Negati i sogni di istruzione e lavoro, i giovani sono stati privati di energia ribelle. Ma la loro rabbia sta crescendo. Costas Lapavitsas e Alex Politaki N vita sociale ed economica. I giovani sono stati in gran parte assenti dalla politica, dai movimenti sociali e persino dalle spontanee reti sociali che hanno affrontato la parte peggiore della catastrofe. Nel quinto anniversario degli eventi del 2008, solo qualche centinaio di giovani ha manifestato nei centri urbani greci. Non c’era nessuna tensione, nessuna passione, nessun sentimento: solo processioni stanche che ripetevano slogan ben Alla fine del 2009 è parso chiaro noti. Dove erano i diciassettenni di che la Grecia aveva vissuto in un pe- cinque anni fa? riodo di falsa prosperità e fosse in Esempi simili possono essere oseffetti in bancarotta. Il paese è poi caduto nella morsa della troika: UE, servati in diversi altri paesi europei, FMI e la Banca Centrale Europea. A anche se forse non così estremi. Cosa seguito delle severe misure di auste- stanno facendo i giovani del Portorità nel 2010-11, vi furono, ancora, gallo mentre le strutture sociali del manifestazioni di massa e scioperi paese continuano a crollare? Dov’è la che si conclusero con il “movimento gioventù della Francia mentre il paese delle piazze” - proteste contro la di- scivola ulteriormente in stagnazione struzione della vita privata e sociale. I ed irrilevanza? E, più vicino a casa, giovani erano di nuovo l’elemento che dove sono i giovani britannici mentre prevaleva, dando entusiasmo e spirito il governo di coalizione ha perseverato con le sue politiche di austerity? al movimento. el dicembre del 2008, ad Atene, un “agente della sicurezza speciale” uccise un giovane studente, scatenando manifestazioni, scioperi e sommosse. I giovani erano nella prima linea delle proteste, in un paese con una lunga tradizione di partecipazione dei giovani nei movimenti sociali e politici. Vari commentatori in quel momento parlavano di una “ribellione giovanile”. La risposta sembra essere che la Poi non ci fu nulla. Quando il disastro economico e sociale ebbe inizio gioventù europea è stata colpita da un nel 2012 e nel 2013, i giovani della “doppio smacco” legato al problemaGrecia sono diventati invisibili nella tico accesso all’istruzione e dall’au- firstlinepress.org mento della disoccupazione, costringendo i giovani a fare affidamento sul sostegno della famiglia e limitando così la loro indipendenza. Incerti per il futuro, preoccupati per lavoro e alloggio, i giovani d’ Europa non hanno fiducia nei partiti politici. Significative parti di loro sono state già attratte dalle estremità nichiliste dello spettro politico, compresi vari tipi di anarchismo e fascismo. La sinistra, tradizionalmente una casa per le radicali aspirazioni dei giovani, ha perso il suo fascino. Take education. Come la crisi greca si è intensificata, un gran numero di Il professor Costas Lapavitsas, School of Oriental and African Studies di UNCTAD flp magazine studenti sono stati costretti ad accelerare o addirittura ad interrompere i loro studi. Non ci sono rilevanti indicatori ufficiali di queste tendenze, ma prove empiriche abbondano e si sposano con le altre statistiche complessive. Nel 2008 le famiglie greche hanno speso, in media, il 17 % del loro reddito disponibile nell’istruzione e le famiglie a basso reddito oltre il 20 %. Questa era già una percentuale elevata, che riflette l’importanza tradizionalmente posta sull’istruzione scolastica nella società greca. Quando si è aperta la crisi e nel corso dei cinque anni successivi la percentuale è raddoppiata, rendendo l’istruzione un peso insostenibile. L’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo ha riferito che, nel 2011, il 15 % delle persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni non stava studiando, non era occupata né si stava formando professionalmente. In Grecia, Irlanda, Italia e Spagna questa percentuale era del 20%, e gli ultimi dati dell’UE indicano che nel 2012 le cose peggiorarono nei tre paesi del sud. Le condizioni sono ancora più dure rispetto al lavoro. La disoccupazione giovanile in Europa è leggermente sotto del 25 %, già un numero enorme, mentre in Grecia e in Spagna ha raggiunto cifre incredibili, in prossimità del 60 %. Il collasso dell’occupazione giovanile non è chiaramente il risultato di un maggior numero di giovani in cerca di occupazione, dal momento che il numero di giovani in Europa, come percentuale della popolazione, sta diminuendo rapidamente. La disoccupazione giovanile è in aumento perché le economie europee non riescono a generare un numero significativo di posti di lavoro. Per coloro che hanno meno di 25 anni non ci sono posti di lavoro nei paesi del sud e ne rimangono pochi decenti in quelli del nord. La disoccupazione giovanile di massa è una realtà in tutta Europa e le cose sono tutt’altro che rosee anche in Germania, la presunta vincitrice degli ultimi anni. « massiccio accumulo di cupa rabbia in tutta Europa, con esiti imprevedibili. Coloro che hanno a cuore lo sviluppo sociale ne prendano atto. � Nel quinto anniversario degli eventi del 2008, solo qualche centinaio di giovani ha manifestato nei centri urbani greci. Non c’era nessuna tensione, nessuna passione, nessun sentimento: solo processioni stanche che ripetevano slogan ben noti. Dove erano i diciassettenni di cinque anni fa?» traduzione a cura di Andrea Leoni Il doppio smacco sembra aver minato l’energia ribelle dei giovani, costringendoli a cercare un maggior aiuto finanziario dai genitori, sia per l’alloggio che per la vita quotidiana. Questa tendenza è alla radice dell’attuale paradosso dei giovani in Europa. C’è poca povertà estrema, e i giovani sono relativamente protetti e ben formati, ma il loro lavoro non è apprezzato, i loro sogni di istruzione sono negati e la loro indipendenza è limitata. Di conseguenza la frustrazione è cresciuta. Eppure non si riesce a trovare uno sfogo nei partiti tradizionali, compresa nella sinistra, che risulta a molti giovani troppo timida. Anche in Grecia, dove l’opposizione ufficiale di Syriza - il partito della sinistra - si sta preparando per il governo, i giovani guardano con diffidenza ad un partito che non sembra disposto a prendere provvedimenti radicali. Problemi che non possono continuare indefinitamente lungo queste linee. La frustrazione sta crescendo sia tra i giovani che tra i loro genitori. Ma se chi fa politica rifiuta di riconoscere il problema, il gran cambiamento potrebbe essere tardato per un lungo periodo. Il risultato sarebbe un First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 27 28 flp magazine MOVIMENTI/2 Prendersi troppa cura. Questa è la maledizione delle classi lavoratrici Perché la logica di fondo dell’austerity è stata accettata da tutti? Perché la solidarietà è arrivata ad essere vista come una piaga David Graeber Q uello che non riesco a capire è: perché non ci sono persone che si rivoltano nelle strade?” Ho sentito questo, di tanto in tanto, da persone di estrazione sociale ricca e potente. C’è una sorta di incredulità. “Dopo tutto,” sembra di leggere tra le righe, “urliamo al sanguinoso omicidio, quando qualcuno minaccia i nostri paradisi fiscali; se qualcuno dovesse badare alla mia possibilità di avere cibo o riparo avrei sicuramente dato fuoco come nell’inferno a banche ed infestato parlamenti. Cosa c’è di sbagliato in queste persone?”. continue sofferenze hanno conquistato qualsiasi accettazione da parte della classe operaia, e addirittura il supporto, in cambio di nulla? Penso che la stessa incredulità con cui ho iniziato, fornisce una risposta parziale. La classe lavoratrice può essere, come stiamo incessantemente ricordando, meno meticolosa su questioni di diritto e di buone maniere rispetto ai loro “scommettitori”, ma sono anche molto meno auto-ossessionati. Si preoccupano di più dei loro amici, delle loro famiglie e dalla loro comunità. Nel complesso, quantomeno, sono fondaÈ una buona domanda. Si potrebbe mentalmente più carini. pensare che un governo che ha inflitto In una certa misura questo sembra tanta sofferenza su coloro che hanno meno risorse per resistere, senza nem- riflettere una universale legge sociomeno far girare l’economia attorno, logica. Le femministe hanno da tempo sarebbe stato a rischio di suicidio po- sottolineato che coloro che si trovano litico. Invece, la logica di base dell’au- nel fondo di ogni diseguale ordinamensterity è stata accettata da quasi tutti. to sociale tendono a pensare, e quindi Perché? Perché i politici promettendo si preoccupano, di quelli della parte firstlinepress.org superiore, di più di quanto quelli che sono in cima pensano, o se ne prendono cura, di loro. Le donne in tutto il mondo tendono a pensare, e a sapere di più, della vita degli uomini rispetto a quanto gli uomini fanno con le donne, proprio come i neri ne saprebbero di più sui bianchi, i dipendenti dei datori di lavoro e il povero del ricco. E gli esseri umani essendo le creature comprensive che sono, fanno sì che la conoscenza porti alla compassione. I ricchi e potenti, nel frattempo, possono rimanere ignari ed indifferenti, perché possono permetterselo. Numerosi studi psicologici lo hanno recentemente confermato. Quelli nati da famiglie operaie ottengono un punteggio invariabilmente di gran lunga migliore, nelle prove che misurano i sentimenti verso gli altri, rispetto ai rampolli dei ricchi, o alle classi professionali. In un certo senso è sorprendente. Dopo tutto, questo è in gran parte ciò che signifi- flp magazine ATENE | 6 Dicembre 2012 - Prima linea per una manifestazione contro l’austerity e per il ricordo di Alexis Grigoropoulos (Foto di Andrea Leoni) ca essere “potenti” : non dover prestare molta attenzione a ciò che le persone intorno pensano e provano. Il potere designa altri che lo facciano per loro. E chi designano? Soprattutto i bambini delle classi lavoratrici. Qui credo che tendiamo ad essere accecati da un’ossessione (oserei dire, da una romanticizzazione?): il lavoro in fabbrica è visto come il nostro paradigma del “vero lavoro” in quanto abbiamo dimenticato in cosa attualmente consista la maggior parte del lavoro umano. Anche nei giorni di Karl Marx o di Charles Dickens, i quartieri operai erano abitati da molti più camerieri, lustrascarpe, spazzini, cuochi, infermieri, tassisti, insegnanti, prostitute e venditori ambulanti che lavoratori del- le miniere di carbone, delle fabbriche tessili o delle fonderie di ghisa. Tanto più oggi. Quello che noi pensiamo del modello del lavoro femminile – curare le persone, ricercare i loro desideri e i loro bisogni, spiegare, rassicurare, anticipare quello che il capo vuole o sta pensando, per non parlare della cura, del monitoraggio e del mantenimento di piante, animali, macchine e altri oggetti - rappresenta una percentuale molto superiore di ciò che la classe operaia fa quando lavora martellando, incidendo, sollevando o raccogliendo cose. Questo è vero non solo perché la maggior parte delle persone della classe operaia sono donne (poiché la maggior parte delle persone in generale è composta da donne), ma perché abbiamo una visione distorta anche di quello First Line Press che fanno gli uomini. Come recentemente si è dovuto spiegare lo sciopero dei lavoratori della metro ai pendolari indignati, infatti, i “ticket takers”, non passano la maggior parte del loro tempo a prendere i biglietti: trascorrono la maggior parte del loro tempo a spiegare cose, riparando cose, trovando figli perduti e prendendosi cura del vecchio, del malato e del confuso. Se ci pensate, non è questo ciò per cui la vita è fondamentale? Gli esseri umani sono progetti di creazione reciproca. La maggior parte del lavoro che facciamo è reciproco. Le classi lavorative fanno solo una quota sproporzionata. Sono le classi che si prendono cura, e lo sono sempre state. È proprio la demonizzazione incessante dei poveri da parte di coloro che traggono profitto dal loro lavoro di cura che rende diffici- @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 29 30 flp magazine le, in un forum pubblico come questo, della classe operaia o comunità della di riconoscerlo. classe operaia. Questa guerra ideologica ha lasciato la maggior parte dei lavoCome figlio di una famiglia operaia, ratori con poca possibilità di esprimere posso testimoniare che questo è quello quella cura se non per dirigerla verso di cui siamo stati davvero orgogliosi. Ci qualche astrazione prodotta: “i nostri hanno costantemente detto che il lavo- nipoti” ; “la nazione” ; sia attraverso il ro è una virtù in sé - modella il caratte- patriottismo fanatico o gli appelli al sare o qualcosa di simile - ma nessuno ci crificio collettivo. credeva. La maggior parte di noi vedeva il lavoro come qualcosa che sarebbe Di conseguenza tutto è lanciato stato meglio evitare, cioè , a meno che all’opposto. Generazioni di manipolanon ne abbiano tratto beneficio altri. zione politica hanno finalmente traMa del lavoro fatto, che sia costruire sformato quel senso di solidarietà in ponti o svuotare padelle, si può essere una piaga. Il nostro senso di cura è giustamente orgogliosi. E c’era qual- stato usato come arma contro di noi. cos’altro di cui andavamo sicuramente E così è probabile che rimanga fino a fieri: che eravamo il genere di persone che la sinistra, che reclama di parlare che si prendevano cura gli uni degli al- a nome degli operai, cominci a pensare tri. Questo è ciò che ci distingue dai ric- seriamente e strategicamente sopra il chi che, per quanto la maggior parte di concetto attuale di lavoro, e che colonoi potrebbe far credere, la metà delle ro che vi si dedicano pensino a quanto volte sono a malapena in grado di pren- esso possa essere virtuoso. � dersi cura dei loro figli. C’è una ragione per cui la somma virtù borghese è il risparmio e quella della classe operaia è la solidarietà. Questo è proprio la corda da cui tale classe è attualmente sospesa. C’è stato un tempo in cui la cura per la propria comunità avrebbe significato lottare per la classe operaia stessa. Tornando a quel periodo eravamo abituati a parlare di “progresso sociale”. Oggi stiamo vedendo gli effetti di un conflitto senza sosta contro l’idea stessa di politica « Quelli nati da famiglie operaie ottengono un punteggio invariabilmente di gran lunga migliore, nelle prove che misurano i sentimenti verso gli altri, rispetto ai rampolli dei ricchi, o alle classi professionali.» firstlinepress.org traduzione a cura di Andrea Leoni flp magazine MOVIMENTI/3 31 Dov’è la protesta? Una risposta a Graeber e Lapavitsas Sì, siamo bella gente, e sì siamo stati indeboliti della nostra energia. Ma i motivi principali per cui non stiamo protestando sono più profondi e devono esser inquadrati immediatamente. Jerome Roos L a scorsa settimana, due commenti apparsi nel quotidiano The Guardian - uno di David Graeber e l’altro a firma di Costas Lapavitsas ed Alex Politaki – pongono sostanzialmente la stessa domanda: dato che ci troviamo in questo assalto implacabile dei ricchi e dei potenti, perché non ci sono persone che si rivoltano nelle strade? Che fine ha fatto l’indignazione? Le viti dell’austerity sono state solo strette. Allora, dove sono le proteste? I due pezzi forniscono due risposte molto diverse alla domanda e mentre entrambe contengono un’intuizione, in ultima analisi, restano insoddisfacenti. Prima di passare agli articoli, però, dobbiamo notare che le cose non sono andate così male da come sembrerebbe da una rapida occhiata ai titoli. Tor- nando al 2010-11, la protesta popolare era una novità presente in tutti i media mainstream. Oggi, la resistenza è molto diffusa, ma non vediamo più riportate le notizie. Per fare solo l’esempio più evidente: due settimane fa Madrid ha visto una delle sue più grandi manifestazioni dall’inizio della crisi, con centinaia di migliaia di persone che sono scese in piazza. Nonostante l’enorme affluenza e i violenti scontri che sono scoppiati verso la fine della marcia, i media spagnoli e quelli internazionali hanno scelto di ignorare sistematicamente l’evento. David Graeber sostiene che la classe operaia semplicemente “si preoccupa troppo”. Con le sue parole: “la classe lavoratrice [è] molto meno auto-ossessionato [dei ricchi]. Si preoccupano di più dei loro amici, delle loro famiglie e dalla loro comunità. Nel complesso, quantomeno, sono fondamentalmente più carini”. In un certo senso, Graeber ha giustamente sottolineato questo abisso morale. Una recente ricerca ha prodotto una pletora di prove scientifiche secondo le quali i ricchi - e loro seguaci “razionali” dei dipartimenti di economia - sono infatti molto più egoisti della gente comune. Qui ad Atene, Ci preoccupiamo troppo? la solidarietà comunitaria e il reciproco aiuto è singolarmente responsabile Detto questo, c’è l’impressione del mantenimento del tessuto sociale che le proteste si siano calmate in fre- di fronte a questo egoismo distruttivo quenza ed intensità dal 2011. Perché di banchieri e politici. questo? Nel suo articolo, l’antropologo First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 32 flp magazine ROMA | 14 Novembre 2012 - Gli studenti rispondono al blocco delle forze dell’ordine caschi e scudi a protezione (Foto di Andrea Leoni) Ma possiamo davvero dedurre da questa osservazione a tratti moralistica che la gentilezza fondamentale delle persone che lavorano - in combinazione con lo spostamento del loro senso di solidarietà in concetti astratti come quello dell’identità nazionale - fornisca una “risposta parziale” al mistero delle strade vuote? Tale conclusione mi sembra un po’ fuori luogo. Dopo tutto, come Graeber stesso può attestare, c’era un sacco di gente comune per le strade nel 2011 che costruiva campi di protesta sulla base della solidarietà. Perché non siamo ancora là fuori oggi? Siamo improvvisamente diventati molto più attenti verso il ricco e tanto meno solidali l’uno con l’altro? Che cosa è cambiato? Mi sembra che dovremmo concentrarci non tanto sulle virtù morali dei lavoratori, ma piuttosto sulle cause sociali della natura effimera ed inefficace della protesta contemporanea in sé . Un doppio smacco economico ? Qui, l’articolo dell’economista politico Costas Lapavitsas e del giornalista Alex Politaki - che si concentra in particolar modo rispetto alla contestazione giovanile europea, anche se la loro domanda è fondamentalmente la stessa di Graeber - fornisce una spiegazione un po’ più dinamica. Secondo Lapavitsas e Politaki “la risposta sembra essere che la gioventù europea è stata firstlinepress.org colpita da un “doppio smacco” legato al problematico accesso all’istruzione e dall’aumento della disoccupazione”. Ciò a sua volta ha “minato l’energia ribelle dei giovani, costringendoli a cercare un maggior aiuto finanziario dai genitori, sia per l’alloggio che per la vita quotidiana”. Di conseguenza “i giovani sono stati in gran parte assenti dalla politica, dai movimenti sociali e persino dalle spontanee reti sociali che hanno affrontato la parte peggiore della catastrofe”. A prima vista, questo argomento sembra avere qualche merito esplicativo. Un esame più attento però, lo contraddice nettamente. Già nel 2010- « Ciò di cui abbiamo disperatamente bisogno in questo momento è un serio dibattito all’interno dei movimenti su come abbattere i meccanismi di controllo neoliberisti di precarietà, ansia e inutilità» 11, tutti - compreso Lapavitsas – avevano citato l’aumento della disoccupazione come un fattore determinante delle proteste. Ora le stesse persone citano l’aumento della disoccupazione come motivo per la mancanza delle proteste stesse? Questa spiegazione sembra fare acqua. Nel 2012, Lapavistas ha scritto che “questa situazione è chiaramente insostenibile. Porta disoccupazione ... e diffonde disperazione in tutta Europa. Appena l’eurozona si muoverà a fondo nella recessione nel 2013, tensioni economiche e sociali sbocceranno in tutto il continente”. A parte il fatto che non è successo, poiché la zona euro è andata più a fondo nella recessione mentre le strade si sono svuotate, non è possibile retroattivamente spiegare questo fatto, con lo stesso ragionamento economicistico, una volta enunciata la previsione dell’esito opposto, a meno che non si ipotizza esplicitamente l’esistenza di una sorta di soglia a partire dalla quale le difficoltà economiche cominciano a scoraggiare la protesta popolare ma Lapavitsas non lo fa. Precarietà, ansia, inutilità. Quindi, a parte il fattore frenante più immediato delle proteste (cioè la violenta repressione dello Stato), perché non siamo ancora per le strade? Vorrei suggerire che, se guardiamo un po’ più a fondo e ci muoviamo al di là flp magazine di mere manifestazioni di superficie, possiamo individuare almeno tre fattori correlati - tra tutti gli sviluppi a lungo termine che vengono oggi alla ribalta - alla base del carattere relativamente effimero della protesta contemporanea: nel produrre cambiamenti immediati nei risultati politici o nella politica economica, le persone sono comprensibilmente deluse dalla inutilità percepita della protesta di strada. L’inutilità - ossia la convinzione che “non ci sia alternativa” al controllo capitalistico - diventa così l’arma più importante 1. La totale disgregazione ed atomiz- dell’arsenale ideologico dell’immagizazione del tessuto sociale come con- nario neoliberista. seguenza della crescita dell’indebitamento e la natura precaria del lavoro In un prossimo articolo, cercherò nel capitalismo finanziario, insieme di analizzare questi tre fattori in magcon l’emergere degli apparentemen- gior dettaglio e a fornire una panorate “rivoluzionari” social media e delle mica di ciò che considero le principali tecnologie di comunicazione, che pos- sfide che i movimenti incontrano nel sono essere strumenti molto utili di riaccendere l’immaginazione radicale. coordinamento di proteste, ma che ci Qui, però, voglio limitarmi a sottolinerendono sempre più incapaci di tene- are un punto critico: né la narrazione re insieme ampie coalizioni popolari. moralistica di Graeber (che contrapL’atomicità sociale del tardo capitali- pone la fondamentale gentilezza dei smo inibisce lo sviluppo di un senso di lavoratori con l’egoismo dei capitalisolidarietà e rende molto più difficile sti), né la lettura economicistica di Lal’autorganizzazione nei posti di lavoro pavitsas e Politaki (che spiega il calo e la costruzione di forti e duraturi mo- delle proteste attraverso la difficoltà vimenti autonomi dal basso. di accesso ai posti di lavoro e ad una più elevata istruzione) ci forniscono 2. Il diffuso senso di ansia creato dal molto, in un quadro analitico-stratemantra neoliberista della produttività gico, al fine di aiutare a migliorare la permanente e connettività costante, resistenza in questa fase di relativa fattori che mantengono le persone smobilitazione. Ciò di cui abbiamo diisolate e perennemente preoccupate speratamente bisogno in questo mocon le esigenze del momento presente mento è un serio dibattito all’interno e quindi ostacolando il pensiero stra- dei movimenti su come abbattere i tegico e organizzativo di base a lungo meccanismi di controllo neoliberisti termine. Strettamente connesso alla di precarietà, ansia e inutilità - e come crescita dell’indebitamento e alla pre- adattare di conseguenza le nostre tatcarietà, l’ansia diventa l’effetto domi- tiche di protesta e le strategie organiznante sotto il capitalismo finanziario. zative. Mentre l’ansia si trasforma facilmente in brevi esplosioni di rabbia, i suoi Se vogliamo veramente andare effetti paralizzanti formano anche oltre il momento rivoluzionario del una barriera psicologica per gli inve- 2011 e la costruzione di un movimenstimenti e per il coinvolgimento nelle to anti-capitalista radicalmente derelazioni inter-personali e nei progetti mocratico che possa effettivamente sociali a lungo termine. resistere e cambiare la costituzione materiale della società, ci sarà biso3. Lo schiacciante senso di inutilità gno di trovare prima di tutto modi per che le persone sperimentano a fronte disarmare i meccanismi strutturali e di un nemico invisibile e apparente- ideologici del controllo capitalistico. mente intoccabile - il capitale finan- Mentre io non pretendo di avere tutte ziario - che non possono affrontare le risposte facili su come fare ciò – l’ordirettamente nelle strade, né sfidare ganizzazione di base di David Graeber in maniera significativa in Parlamento è Occupy e il suo diretto coinvolgimeno nel Governo. Sulla scia dell’evidente to nella campagna Strike Debt è molto fallimento delle recenti mobilitazioni più istruttivo a tal proposito - mi semFirst Line Press bra che riconoscere la sistemica importanza della precarietà, dell’ansia e dell’inutilità è un primo passo fondamentale nel processo di rilancio della resistenza. Solo prendendo di mira direttamente i meccanismi strutturali, ideologici e psicologici, che sostengono il dominio del capitale, possiamo cominciare a recuperare un senso di solidarietà sociale e di abilità alternative durature e significative contro la dittatura finanziaria. � traduzione a cura di Andrea Leoni per approfondire | Mobilitarsi per i beni comuni: qualche lezione dall’Italia di Jérôme Roos firstlinepress . org / mobilitarsi - per - i - beni - comuni qualche-lezione-dallitalia/ link agli articoli originali: http :// www . theguardian . com / commenti sfree/2014/apr/01/europe-young-peoplerioting-denied-education-jobs http :// www . theguardian . com / commenti sfree /2014/ mar /26/ caring - curse - wor king-class-austerity-solidarity-scourge roarmag . org /2014/04/ protest - austeri ty-graeber-lapavitsas/ @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 33 34 flp magazine LAVORO Chi un’altra Europa se la fa: la Ri-Maflow nel segno dell’autorganizzazione Andrea Polzoni L a Ri-Maflow, azienda di Trezzano sul Naviglio, nell’hinterland milanese, svenduta a fini speculativi, produceva pezzi di alta tecnologia per la BMW. Peccato che il nuovo padrone non avesse nessun interesse a far continuare l’attività della fabbrica, che alla fine ha chiuso. firstlinepress.org Una storia come tante. E invece, ma erano lavoratori dipendenti. Hanno quella della Ri-Maflow, è diversa. poi creato una cooperativa e autogestiscono le loro nuove scelte lavorative in Alcuni operai hanno occupato i ca- modo autonomo. Danno vita ad attività pannoni e, autorganizzandosi, si sono sociali e aggregative restando indipenreinventati una attività lavorativa di ri- denti da sindacati e partiti. ciclaggio di materiale elettrico ed elettronico all’interno del luogo dove priUn’altra Europa. Veramente. flp magazine First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 35 36 flp magazine firstlinepress.org flp magazine 37 First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 38 flp magazine firstlinepress.org flp magazine BALCANI La nuova Europa dalla finestra balcanica Crimea come Kosovo? Euroscettici e xenofobi? Il vecchio continente visto da Belgrado Giuseppe Ranieri B elgrado è stata l’ultima capitale europea a subire un’aggressione militare, venendo bombardata da una forza sovranazionale, la NATO, a cui vi aderiscono i principali Stati dell’Unione Europea. Uno scontro fratricida che rappresenta una ferita ancora aperta in seno alla società serba, una società che storicamente rappresenta, per lo meno da un punto di vista geografico, il primo segno di alterità all’idea occidentale di Europa. Ne parliamo con Giorgio Fruscione, redattore di East Journal e di Most, abitante della capitale serba e profondo conoscitore della realtà balcanica. Con lui analizziamo la percezione dell’UE da questo particolare punto d’osservazione. Analisi che con Fruscione si allunga anche sulla nuova tragedia che sta insanguinando l’Europa, cioè l’Ucraina, provando a tracciare analogie e differenze con quanto successe quindici anni fa. Ciao Giorgio, pensi che a distanza di 15 anni Belgrado e la Serbia abbiano metabolizzato la ferita dei bombardamenti? «Le bombe su Belgrado di 15 anni fa, che rappresentarono “la prima volta” di un attacco NATO diretto a un Paese che non minacciava la sicurezza di alcun Paese membro dell’organizzazione, hanno lasciato una ferita aperta, non tanto nell’architettura della città (che conserva solo alcuni dei palazzi bombardati), ma nella testa delle persone. Uno dei monumenti dedicati al ricordo della vittime è quello per i 16 impiegati della tv di Stato che morirono nel bombardamento del 23 aprile ’99 e che riporta l’incisione “perché?”. Io credo che questo interrogativo continuerà a fare parte della popolazione belgradese e serba in generale, non tanto come avversione alla NATO e appoggio incondizionato verso la propria nazione e patria (così come vorrebbero speculare molti politici ”nazionalisti”), ma piuttosto come richiesta di verità e giustizia: perché a pagare, col sangue e la distruzione di infrastrutture civili, fu il popolo serbo? Perché si decise di rispondere a una guerra, quella della “lontana” provincia del Kosovo, con un’altra guerra, bombardando città come Belgrado e Novi Sad, da sempre culla di una menFirst Line Press talità multiculturale tipica di città quali Berlino o Parigi? Personalmente credo che sia difficile capire il dolore di cittadini che si sono sentiti attaccati in modo unilaterale e senza possibilità di reagire. Allo stesso modo credo che Belgrado e la Serbia non vivano nel rancore. Conserveranno per sempre il vuoto di quegli anni, fatti di guerra e terrore, gli anni 90, allo stesso modo in cui la domanda “perché?” continuerà a non aver risposta.» Quale ritieni che sia l’atteggiamento dei serbi nei confronti dell’UE? «In Serbia l’euroscetticismo è piuttosto diffuso. In particolare, molte persone, inclusi gli stessi euroscettici, non credono che la Serbia entrerà mai nell’Unione Europea, o perlomeno lo sperano, per molteplici motivi che cercherò di riassumere. Il neo-eletto governo di Aleksandar Vučić ha fatto dell’ingresso in UE il suo principale obiettivo in politica estera. Il precedente governo ha già “spianato la strada” affinché il paese si adegui agli standard europei: @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 39 40 flp magazine più o meno formale, era stata posta dalla diplomazia UE quale precondizione necessaria ai negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea. L’accordo di Bruxelles, tra i primi ministri di Serbia e Kosovo, dell’aprile 2013, rappresenta ad oggi il maggior “successo” in questa direzione. In virtù di questo accordo infatti, nonostante de iure, la Serbia continua a non riconoscere la sovranità di quella che continua a ritenere una sua regione. Belgrado de facto riconosce in modo informale l’indipendenza del sistema politico kosovaro, avendo infatti incentivato la popolazione serba del Kosovo a recarsi alle urne in occasione delle elezioni comunali, che avrebbero dato vita alla “Comunità di Municipalità Serbe” (così come decretata dall’accordo). Personalmente credo che ci sia un errore di fondo: l’accordo infatti non è stato siglato da autorità locali che rappresentassero anche i serbi del Kosovo. Inoltre, molti serbi avvertono dell’ipocrisia da parte dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera (Catherine Ashton) dal momento in cui viene chiesto a Belgrado, come conditio sine qua non, di riconoscere l’indipendenza di una sua regione storica, BELGRADO | (Foto di Giorgio Fruscione) quando all’interno della stessa organizzazione che la Ashton rappresenta ben innanzitutto attraverso piani d’inve- 5 Paesi non riconoscono l’indipendenza stimento che attirino sempre più com- del Kosovo.» pagnie straniere, di cui quelle italiane stanno al primo posto, attraverso piani A proposito di Kosovo, che idea ti sei di privatizzazione che hanno aperto il fatto sull’applicazione da parte degli Paese al mercato europeo. Tuttavia, po- organismi sovranazionali del diritto litiche di questo tipo hanno indebolito all’autodeterminazione dei popoli? l’economia reale serba: in primis il set«Penso che a livello di organismi intore agricolo, in quanto la competitività dei prodotti agricoli serbi nel mercato ternazionali quello dell’autodeterminaeuropeo è pressoché annullata; inoltre, zione dei popoli sia un principio difficii piani di privatizzazione hanno aumen- le, non solo da interpretare, ma soprattato il numero di disoccupati e compli- tutto da applicare. La sua nascita risale a cato ulteriormente il mercato del lavoro, quasi cento anni fa, quando il presidente dal momento in cui si è ridotta la mobili- americano Woodrow Wilson indirizzò tà dei lavoratori, che non potranno quin- tale diritto a popoli che non conosceva di trovare un nuovo impiego. Ad oggi in e che abitavano regioni la cui eterogeSerbia, la percentuale di popolazione neità non poteva essere modificata a che vive grazie alla pensione è maggiore tavolino. Allora venne impugnato per difendere i diritti esclusivamente di aldi quella con un’entrata fissa. cuni popoli, quelli sottomessi ai grandi Infine, la risoluzione della “questione imperi sconfitti nella Grande Guerra. del Kosovo”, attraverso la normalizzazio- Allo stesso modo oggi il caso del Kosone dei rapporti tra Belgrado e Prishtina, vo dimostra come agli albanesi abbiano se non addirittura a un riconoscimento potuto godere di questo diritto e altri firstlinepress.org popoli invece non siano altrettanto idonei per invocarlo, come appunto gli stessi serbi del Kosovo.» Secondo diversi osservatori, oggi la Crimea, pur con tutte le dovute differenze, sarebbe il nuovo Kosovo, concordi? «I due casi sono molto diversi, ma il motivo per cui vengono paragonati è per la questione di “legittimità”, che sta alla base dei due casi: non appena infatti il Parlamento della Repubblica di Crimea ha invocato il referendum per unirsi alla Russia, da un lato c’era chi accusava Vladimir Putin di essere ipocrita nel non riconoscere l’indipendenza del Kosovo, mentre dall’altro il presidente russo rispondeva a tali accuse sostenendo che, proprio sulla base del precedente Kosovo, l’occidente sembra avere la memoria corta. Quel che i due casi hanno in comune è che entrambi non sembrano essere in linea col rispetto del diritto internazionale o perlomeno dimostrano nelle due fattispecie quanto questo possa diventare soggettivo, perlomeno “vittima” di logiche geopolitiche tipiche della realpolitik. Il caso del Kosovo sembra molto più complesso e soprattutto graduale: il Kosovo venne dapprima, nel 1989, privato dello status di regione autonoma all’interno della Jugoslavia, per poi essere teatro di scontri tra due fazioni che nel 1998-99 divennero guerra aperta, terminata poi con il bombardamento della Repubblica Federale di Jugoslavia. Da qui si è poi arrivati alla di- « Il muro di Berlino sarà anche caduto e la guerra fredda sarà anche finita ma mai come allora stiamo rivivendo sul nostro continente una così grande contrapposizione di superpotenze» flp magazine chiarazione unilaterale d’indipendenza, non supportata da alcun referendum, nel febbraio 2008, con l’immediato supporto di tutte le più grandi potenze occidentali, Stati Uniti d’America in primis. La Crimea invece, che per la Russia non ha il carico mitologico che ha il Kosovo per la Serbia, non è passata attraverso alcun conflitto armato, né episodi di pulizia etnica nei confronti delle minoranze di tatari (17% circa) ed ucraini. Ad ogni modo, mentre l’interesse statunitense per il lontano e piccolo Kosovo è divenuto palese dopo la costruzione della più grande base militare americana del mondo, Camp Bondsteel, l’interesse della Russia per la Crimea è stato giustificato sì con la tutela della popolazione russa (che ha subito appoggiato il ritorno dopo 60 anni alla Russia), ma va inteso principalmente come obiettivo per tutelare la flotta navale sul Mar Nero, che rappresenta una posizione strategica fondamentale per la difesa degli interessi della federazione russa.» Che idea ti sei fatto più in generale della vicenda ucraina? «Credo che la vicenda ucraina sia la perfetta dimostrazione di come gli ideali di democrazia ed europeismo da un lato, con la tutela della popolazione russa e russofona dall’altro, servano in realtà a mascherare i movimenti geopolitici delle grandi potenze: UE e USA in un blocco e sull’altro versante Russia. Il muro di Berlino sarà anche caduto e la guerra fredda sarà anche finita, ma mai come allora stiamo rivivendo sul nostro continente una così grande contrapposizione di superpotenze. Il paragone con la guerra fredda ci viene suggerito non solo dai grandi interessi imperialisti che si scontrano per spartirsi l’Ucraina, lì dove questa risulta essenziale per il gas russo, che rifornisce l’intera Europa, ma anche e soprattutto per la contrapposizione di idee, ideologie e valori che accompagnano questo scontro. Questo si ripropone sulla stampa estera. Dopo tanto tempo siamo tornati ad assistere ad accuse di “nazifascismo”, sia verso il governo non eletto dell’Ucraina del Maidan, sia verso le mire espansionistiche di Putin. Personalmente credo che l’Unione Europea abbia sbagliato ad andare ad interferire negli affari della Russia, proponendo un accordo non vantaggioso per l’economia di un partner commerciale quale era l’Ucraina e soprattutto credo che abbia sbagliato a sostenere un governo non eletto, imponendo indirettamente la cacciata del legittimo presidente. Non credo che a Bruxelles siano stati così ingenui da non poter prevedere una escalation degli scontri armati come stiamo vivendo oggi, come il manifestarsi di diverse frange violente e nazionaliste, da entrambe le parti, che ora compongono anche il nuovo esecutivo di Kiev.» « Da diversi anni l’UE va consolidandosi come gigante economico le cui politiche sono intese unicamente all’allargamento del proprio mercato. Allo stesso tempo però non fa seguito un reale appoggio politico» Che si pensa in Serbia a riguardo? sidente russo ha temuto che ciò potesse essere accompagnato da un eventuale allargamento NATO e ha optato per una “mossa preventiva”, ovvero la riconquista della base militare di Sebastopoli, attraverso l’annessione della penisola di Crimea. Nonostante personalmente non conferirei mai il Nobel per la pace a Putin, io credo che paradossalmente sia l’occidente che stia spingendo per allargare i propri interessi “in modo imperialista”, legati soprattutto al bisogno di indipendenza energetica. D’altra parte la Russia sta cercando di salvaguardare quello che, sin da Yalta, rappresenta il nucleo dei propri interessi. La Russia Quanto pensi abbia influito il muta- di Putin non ha mai preteso di voler dimento degli equilibri geopolitici ed il fendere, in politica estera, democrazia e ritrovato protagonismo della Russia diritti umani, ma nei confronti degli alputiniana? tri attori internazionali è sempre stata chiara: non toccate i nostri interessi.» «Io credo che da ormai una decina di anni Putin sia l’uomo politico forte del Molti osservatori internazionali hanmomento. A questa affermazione non no puntato il dito contro quella che voglio dare una connotazione né positi- hanno apostrofato come l’immaturiva ne negativa. Dal 2000 ad oggi Putin si tà politico-dìplomatica dell’UE, conè dimostrato di essere aperto al dialogo cordi? come partner economico e politico con quasi tutti i Paesi europei, le cui eco«L’immaturità politica dell’Unione nomie infatti dipendono dal gas russo, Europea non è il frutto di scarsa comche attraversa l’Ucraina. Personalmente petenza diplomatica di Bruxelles, ma penso che la sua politica estera sia det- piuttosto è data dall’assenza di reali tata principalmente dalla paura di ac- intenzioni per la costituzione di un orcerchiamento di Paesi con basi NATO. La ganismo politicamente forte. Da divervicenda della Crimea rientra proprio in si anni l’UE va consolidandosi come questa logica: non appena Kiev ha striz- gigante economico, le cui politiche zato l’occhio all’Unione Europea, il pre- sono intese unicamente all’allar«A Belgrado si pensa bene o male quanto ho detto sopra. È vero che la Russia gioca da sempre nell’immaginario serbo il ruolo di “big brother”, sia per la vicinanza culturale e religiosa, ma anche per motivi ben più pratici. Gli accordi che la Serbia ha siglato con la Federazione Russa sia a livello finanziario, in merito all’inesistenza dei dazi per i prodotti made in Serbia, che a livello politico, quale l’appoggio nella causa del Kosovo, impongono che Belgrado si esprima con cautela a proposito delle vicende ucraine.» First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 41 42 flp magazine gamento del proprio mercato. Allo stesso tempo però, alle politiche economiche attuate tra i Paesi membri e proposte ai Paesi candidati, non fa seguito un reale appoggio politico. D’altro canto, noi stessi in Italia abbiamo più volte accusato Bruxelles di imporre piani d’austerity impopolari, che mettono in ginocchio l’economia di Paesi con debiti alti. Allo stesso tempo però queste politiche non sono accompagnate da una fiscal policy comune tra i Paesi membri, non esiste un piano welfare che copra i danni provocati dalle stesse austerity e non si vede una lotta convincente alla speculazione finanziaria, che ha contribuito a questa crisi. Per questi e altri motivi ciò che più ci ha rimesso è l’idea di un’Europa unita, di una qualche identità europea, e pertanto di una Unione Europea politica.» Pensi che questa vicenda possa modificare indelebilmente i futuri assetti politici dell’UE o anche la stessa credibilità di Bruxelles? «Credo che l’UE debba rivedere i propri piani d’allargamento ed evitare di sbagliare come ha fatto e sta facendo con l’Ucraina. I leader europei non sono uniti unanimemente contro la Russia di Putin. Ciò non fa che dimostrare la scarsa compattezza politica dell’Unione. Mi spiace sembrare allarmista, ma credo che al momento in Ucraina si stia giocando una partita fondamentale per il destino del nostro continente. La situazione è in continua evoluzione, ma quel che non vorrei più vedere è l’erezione di altri muri in Europa. Tuttora esistono « Tuttora esistono molti muri in Europa e in alcuni casi essi sono il prodotto indiretto dell’allargamento UE, che non è altro che uno spostamento di una dogana, un confine» firstlinepress.org molti muri in Europa e in alcuni casi essi sono il prodotto indiretto dell’allargamento UE, che non è altro che uno spostamento di una dogana, un confine. Inoltre questi stessi muri si riflettono nelle coscienze nazionali di popoli che si sentono più o meno europei, vorrebbero quindi partecipare a questa Unione, mentre sembra che dal suo interno molti vorrebbero uscirne.» Cosa ti aspetti da questa tornata elet- sociale e non doveva temere per il futuro dei propri figli. Queste sono le cose torale? che si sentono dire a Belgrado, anche da «Non so cosa aspettarmi, ma spere- parte di coloro che non erano né iscritti rei in un cambiamento. Il cambiamento al partito, né tantomeno interessati alla che voglio è quello che solo un’unione politica. Al contrario oggi, in molti da politica può portare. Ad ogni modo cre- Zagabria a Belgrado, sembrano convindo che, come ogni volta, le elezioni euro- ti che il passaggio verso un regime “più pee rappresentino un po’ un test di pro- libero” si sia pagato con una minore seva per alcuni governi nazionali, mentre renità, una minor garanzia sociale e una in altri Paesi ci sarà una partecipazione maggiore preoccupazione per il futuro molto bassa. In generale credo che i Pa- dei propri figli. esi che stanno soffrendo maggiormente I casi come quello della Jugonostalla crisi dovrebbero dare le risposte più significative. Penso che Tsipras possa gija ci impongono una più ampia riflessione: quella sul sistema della demorappresentare una sorpresa.» crazia rappresentativa. Nei Paesi come A proposito di Europa, spesso si fo- quelli dell’ex Jugoslavia, che vengono calizza l’attenzione sui movimenti definiti “in transizione” (anche se è una euro-scettici che strizzano l’occhio a definizione ipocrita perché non esiste la idee xenofobe, parallelamente però, certezza circa la fine di questa transiziopur meno “reclamizzate”, prendono ne), la democrazia rappresentativa piede fenomeni quali “l’Ostalgia” ha fallito nell’integrare quelle libertà e nello specifico della tua realtà “la individuali, che nei regimi a partito Jugonostalgija”: come giudichi questi unico sono spesso negate, con il forte due fenomeni e che consistenza han- stato sociale, quale era per esempio la Jugoslavia. In questo passaggio, in no? questa cosiddetta “transizione”, la «La crisi ha fatto riemergere l’euro- gente comune ha avuto una percezioscetticismo, ma soprattutto ha diffuso ne maggiore di quello che ha perso, la paura per lo straniero: non c’è quindi abbandonando il socialismo rispetto da meravigliarsi che in contesti di crisi a quello che ha acquisito abbraccianl’accusa verso “l’ altro” attecchisca con do la “democrazia”. Credo che questa tanta popolarità, proprio perché “l’al- sia la ragione principale di tale notro” è facilmente attaccabile come capro stalgia.» � espiatorio. Per quanto riguarda la Jugonostalgija, questa è un sentimento diffuso in tutta la ex Jugoslavia e non va inteso semplicemente come il rimpianto per il socialismo, ma come rimpianto per un periodo in cui la popolazione godeva di una certa serenità, una certa sicurezza flp magazine 43 TERZA PAGINA Piero Manzoni. Ritratto di un rivoluzionario dell’arte Monia Marchionni W alter Sickert è balzato agli onori della cronaca grazie ad un libro di Patricia Cornwell, che identifica in lui l’omicida più famoso di sempre: Jack lo Squartatore. Il mito che si fonde con la vita, verrebbe da dire. Già, perché nella vita fu uno dei rappresentanti di spicco dell’Impressionismo inglese e proprio agli inizi del XX secolo, diceva: “L’importanza che dobbiamo attribuire ai risultati di un artista o ad un gruppo di artisti può essere misurata dalla risposta a questa domanda: hanno realizzato cose tali che sarà impossibile d’ora in poi, per quelli che li seguiranno, comportarsi come se essi non fossero mai esistiti?” La domanda vale oggi più che mai e di certo, dopo aver visto la grande retrospettiva su Piero Manzoni a Palazzo Reale di Milano, la risposta sembra ovvia. Piero Manzoni ha vissuto una vita intensa, ma breve. Nato il 13 luglio del 1933 a Soncino, nel cremonese, muore dopo soli 30 anni di infarto, nel suo studio a Milano, in quella Milano dove ha sempre vissuto e operato, per le strade di Brera, dove il tempo sfuggiva di mano senza essere mai perso, tra una lezione in accademia e un bicchiere di vino con gli amici al Bar Jamaica, lo storico ritrovo di intellettuali e artisti. Per lasciare un segno indelebile nella storia dell’arte del secondo dopoguerra ha avuto a disposizione solo sei anni, un tempo incredibilmente ridotto per qualsiasi altro artista e invece per lui no. Pochi anni sono bastati a mettere in discussione e a sovvertire completamente il ruolo dell’artista, con il relativo significato dell’opera d’arte. Il suo carattere deciso e intraprendente lo porta a compiere continui viaggi in Europa, alla ricerca di quei protagonisti delle neoavanguardie con i quali avrebbe instaurato grandi sodalizi: dal Gruppo Zero al Gruppo Nul, fino a Yves Klein, legato dallo stesso modo di intendere un’opera: “Un documento dell’avvenimento di un fatto artistico” secondo Manzoni e “le ceneri dell’arte” secondo Klein. Così Manzoni continua: “La tela deve essere carne viva, versione diretta, scottante e inalterata della più intima dinamica dell’artista” e ancora “Un quadro vale solo in quanto è essere totale”. Viene da sé comprendere come la sua opera più irritante, scandalosa e popolare, “La merda d’artista”, cugina diretta della “Fontana/Orinatoio” di Duchamp, sia in realtà non una provocazione, come banalmente la si è più volte definita, ma presenza pura e senza sublimazioni dell’artista. È una parte di esso, una sua reliquia, è carne viva e dunque pagata a peso d’oro, come le opere successive “Fiato d’artista”, “Uova sculture” e anche le fiale mai realizzate del suo sangue. Ciò che apre una distanza concettuale tra lui e « La tela deve essere carne viva, versione diretta, scottante e inalterata della più intima dinamica dell’artista” (Piero Manzoni)» First Line Press MANZONI | Alfabeto @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 44 flp magazine MANZONI | Achrome grinzata (Fondazione Piero Manzoni) gli artisti del suo tempo è il completo disinteresse a farsi portatore di un’ideologia culturale, come gli informali, gli astrattisti, i neodada, i pop. Lui rifugge da questo, non utilizza materiali extra pittorici come metafora del presente o per abolire dei codici stabiliti, ma come una ricerca dello “stupore immacolato dei sensi”, che scaturisce da un semplice oggetto tra gli oggetti: il quadro o la scultura. « Manzoni non si “spara le pose”. Non c’è in lui nessuna messinscena dell’artistico, nessuna enfatizzazione che lo faccia apparire speciale” (Flaminio Gualdoni)» firstlinepress.org Il crescente interesse del pubblico e della critica per l’artista si era già attestato nel 2004, con la pubblicazione del Catalogo Generale, ma è solo nella mostra a Palazzo Reale curata da Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo – anche curatrice della Fondazione Piero Manzoni – inaugurata il 26 marzo e aperta fino al 2 giugno, che possiamo conoscere e capire l’intero percorso dell’artista. Sono 130 le opere esposte, accompagnate da foto, lettere e filmati inediti, dagli esordi delle “Opere nucleari”, sotto l’influenza di Enrico Baj e Lucio Fontana, ai primi “Achromes” del 1957. Quadri senza colore, senza titolo, perché non esprimono nulla, se non la propria candida presenza di tela e gesso, di feltro, di piume, di ghiaia di pane; quadri di “una materia allucinante, porzione di un gran vuoto bianco”, per dirla con le parole del poeta Antonio Porta. Continuando la visita si arriva alla serie delle “Linee”, prodotte tra il 1959 e il 1961, in cui l’artista traccia su fogli di car- ta linee di diverse lunghezze, che poi arrotola e sigilla in cilindri di cartone etichettato. Si arriva ai “Corpi d’aria”, alle “Basi magiche”, che trasforma in “sculture viventi” chi vi sale sopra e dunque meritevoli di essere firmati dal Manzoni stesso, fino al “Socle du Monde”, dove poggia il mondo intero. In quest’opera dalla forma così semplice risiede la sua genialità: l’inaccessibile, l’invisibile, diventa visibile grazie ad un atto di fiducia dello spettatore. Credere cioè che tutto è possibile, anche sostenere il mondo intero su un piedistallo, perché è l’artista stesso a dirlo: “Non ci si stacca dalla terra correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano, la trasformazione deve essere reale”. Flaminio Gualdoni ci racconta il “suo” Manzoni, quello vero. A 50 anni dalla morte di Piero Manzoni, Milano gli rende omaggio con una grande mostra a Palazzo Reale. flp magazine 45 « Ciò che apre una distanza concettuale tra lui e gli artisti del suo tempo è il completo disinteresse a farsi portatore di un’ideologia culturale” (Monia Marchionni)» mentazione. La sua curatrice, Rosalia Pasqualino di Marineo, nipote dell’artista, firma la mostra con me. Senza la Fondazione e il suo carisma una mostra così sarebbe assai probabilmente impossibile, anche sul piano della diplomazia dei prestiti. Abbiamo concepito un progetto che documentasse adeguatamente tutto il percorso di Manzoni, circoscritto nel tempo, ma proliferante per quantità e lucidità di invenzioni. Senza nulla privilegiare, ma dando un giusto peso anche a opere – penso agli Achrome in fibra di Sembra una “consacrazione” un po’ vetro e in polistirolo, ai progetti geniali tardiva rispetto al suo valore inter- per la rivista “Gorgona”, ad esempio – nazionale. Perché prima di te nessu- che, appunto, per molti sono state vere no ci ha mai pensato? e proprie sorprese.» «In Italia pare che funzionino ancora molto gli anniversari… A parte questo, a Manzoni è accaduto di diventare una grande figura pop per via della Merda d’Artista, assunta a stereotipo culturale, ma di non essere mai stato adeguatamente divulgato. Proposi – naturalmente senza successo – una mostra a Palazzo Reale già a metà degli anni ’90, e ricordo che allora l’immagine che se ne aveva era di un artista amato solo dagli snob, ma a ben vedere di valore controverso. L’anomalia del lavoro di Manzoni, che è figlia del suo genio, veniva letta come bizzarria, per lo più. Non è un caso che uno degli effetti di questa mostra è che anche molte persone che vivono nel mondo dell’arte, e dovrebbero quindi avere una competenza non superficiale, mi confessano candidamente che molte delle sue opere non le conoscevano. Meglio tardi che mai, dunque.» In mostra ci sono 130 opere che documentano tutto il suo percorso, un’antologica così completa non era mai stata realizzata. Come ti sei mosso per reperire tutte le opere? «Il merito è soprattutto della Fondazione Piero Manzoni, che da un paio di decenni in qua svolge un lavoro straordinario di archiviazione e docu- Quale pensi che sia “l’opera omnia” che possa racchiudere tutta l’arte del Manzoni e quale invece l’opera più sopravvalutata? «Io faccio il tifo per Socle du monde, il basamento su cui poggia la sfera terrestre, che Manzoni realizzò a Herning, in Danimarca, e che è in mostra a Milano. È un’intuizione potentissima, visionaria, cui si accompagna una realizzazione di semplicità sconcertate. Quanto alle sopravvalutazioni, è una questione di mode. Ora pare che tutti sbavino solo per gli Achrome in tela grinzata, che tra l’altro passano di mano a prezzi cospicui. Tuttavia sono faccende che riguardano il mercato, non la qualità artistica, che è e resta sempre altissima.» Bettinetti, uscito da poco e visibile a Palazzo Reale, rendono evidente che Manzoni non si mette in scena, che ha la souplesse esistenziale di uno che non ha bisogno di avere i riflettori puntati per sentirsi vivo.» Manzoni, morendo a soli trent’anni, lascia un discorso aperto nel mondo dell’arte. Come se il lavoro frenetico svolto in una manciata di anni avesse prodotto più domande sul significato di un’opera e di un’artista, invece che risposte. E dopo di lui, chi ha saputo cogliere le sue idee, senza però ripeterle? «Il compito dell’artista moderno è da sempre porre buone domande, più che dare risposte. Nel suo caso, c’è un patrimonio di idee e intuizioni, che va ben al di là delle sue stesse realizzazioni. Possiamo davvero pensare al Concettuale, Minimal, Body Art, Arte povera etc prescindendo dall’opera di Manzoni?» � Il Manzoni performer, all’insegna dell’arte/vita e del bisogna essere: c’era della teatralità nel suo “esistere”? «Quando l’anno scorso ho scritto la biografia Piero Manzoni. Vita d’artista ho scelto di mettere ben in evidenza il fatto che, per dirla alla napoletana, Manzoni non si “spara le pose”. Non c’è in lui nessuna messinscena dell’artistico, nessuna enfatizzazione che lo faccia apparire speciale. Anche le schegge di cinegiornali dell’epoca, che ora si possono vedere nel bel documentario Piero Manzoni, Artista di Andrea First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 46 flp magazine MIGRAZIONI Siriani sullo Stretto: frontiera tra Spagna e Marocco Melilla, passaggio o rifiuto dall’Europa Marta Bellingreri M ustafa è rimasto fuori. Sono passate due settimane ormai da quando mamma e fratelli hanno passato la frontiera. Mentre a lui l’hanno beccato e sbattuto fuori, due volte già. Così si sono presentati Mustafa e l’Europa. Piacere Europa, e Mustafa torna indietro alla frontiera di Melilla, tra Marocco e Spagna. Avrebbe voluto presentarsi all’Europa insieme alla sua famiglia: è rimasto l’unico finora a non avercela fatta. Avrebbe voluto anche presentargli il suo Paese, sempre più distrutto e dimenticato: la Siria. Non gli resterà che aspettare la fortuna per raggiungere i suoi fratelli, magari unendosi ai coetanei diciassettenni di Fes che si intrufolano tra gli adulti e scappano alla polizia di frontiera per guardare da ancora più vicino il vecchio continente. comprato insieme prima della frontiera. Non ha nessun altro mezzo per aiutarlo. Era riuscita a procurare a tutti i figli un passaporto falso a Nador, in Marocco. Tranne per Mustafa. Sperava bastassero i suoi diciassette anni per poterla farla franca. Ma non ci sono eccezioni alla legge neanche per minori, ormai non più con le famiglie: la frontiera di Beni Ensar, prima di Melilla, tra nord del Marocco e l’enclave spagnola, la attraversa solo chi ha il passaporto marocchino come residente di Nador, cittadina a diciassette chilometri da quella frontiera. O naturalmente chi possiede un visto: che né per i marocchini che non sono di Nador né per siriani è pensabile ottenere. E poi ci sono gli spagnoli e il resto degli europei. Nessuna fila, niente calca, nessuno sguardo sospettoso. Timbro d’entrata e d’uscita dal Marocco per poche ore a Melilla, per prendere il traghetto per la Spagna o al contrario per una gita nel deserto, magari per lavoro in Marocco. Finiscono presto così le pagine di un passaporto in quell’andirivieni tra i fortunati dei due continenti. « Non ci sono eccezioni alla legge neanche per minori, ormai non più con le famiglie. Tra nord del Marocco e l’enclave spagnola, passa solo chi ha il passaporto marocchino come residente di Nador» vicini: domestiche che gustano così il “sogno europeo”: pulendo case in cambio di uno stipendio in euro. Ed è così che le donne siriane hanno cominciato a confondersi tra loro. Nella calca di gente che deve passare i controlli, prima marocchini, poi spagnoli, nessuno si accorge se quei passaporti sono falsi e da dove provengono quelle donne. Tutte uguali, tutte arabe, per la polizia di frontiera spagnola. La mamma di Mustafa e gli altri figli sono al di là di quei controlli, per pochi metri in più già parte dell’Europa. Ha comprato una scheda telefoniOgni giorno circa ventimila cittaMa Mustafa non ce l’ha fatta. Aveva ca spagnola a Melilla, per poter avere dini e cittadine marocchine si recano 17 anni… E si vedeva. Che era siriano, ogni giorno sue notizie. Lo chiama a nell’enclave spagnola per lavorare no. La madre non aveva più risparmi quel numero marocchino che avevano nelle case e nelle strade dei loro ricchi per comprare l’ultimo passaporto dai firstlinepress.org flp magazine 47 FRONTIERA MAROCCO-SPAGNA, MELILLA | Il primo maggio 2014 circa 700 migranti africani hanno provato ad arrampicarsi per passare la frontiera: solo 140 ci sono riusciti, alcuni feriti dalla Guardia Civil spagnola. (Foto di José Palazon) contrabbandieri marocchini: ognuno costa mille e cinquecento euro e aveva già speso molti dei suoi averi per attraversare la frontiera tra l’Algeria e il Marocco, prima di quella spagnola. gliaia di euro senza pietà, senza ascolto, vige solo la legge della frontiera. A questo li porta e ci porta il non poter entrare in Europa». Piange la mamma di Mustafa a Me«Ci sfruttano, stanno approfittan- lilla. do della nostra situazione di disperazione dalla guerra per guadagnare mi«Tutte noi famiglie siriane stiamo spendendo circa quindicimila euro per compiere quei pochi passi illegalmente, grazie agli stipendi dei parenti fortunati che lavorano negli Emirati Arabi». Jouhaina, stanca « dei nove mesi di gravidanza tra frontiere, si trova col fratello, Abdalla. Nidal invece, l’ultimo dei figli di Asum, ha sedici anni e quindi né madre, né sorella e né fratello» Poi c’è da aspettare nell’enclave spagnola, in vista di un trasferimento verso la vera Spagna. La vera Europa. tro. Siamo più di quattrocento cittadini siriani e altri mille almeno sono i cittadini di diverse nazionalità africane, soprattutto Mali e Camerun». Queste le parole di Abdalla. Neanche sua madre, Asum, ha raccolto ancora i soldi necessari. Le si illuminano gli occhi per poco e subito si incupiscono, a pensare alla Siria che non c’è più. É parte di un gruppo di altri siriani, tutti di Idlib nel nord-ovest del Paese, poco distante da Aleppo. Si sono lasciati alle spalle l’orrore, e passano aspettando ogni mattina alla frontiera di Beni Ensar, in Marocco. Asum vorrebbe essere dall’altro lato anche solo per un attimo: lì c’è sua figlia Jouhaina e suo nipote sta per nascere. «Qua a Melilla, non siamo in Spagna, non ci sentiamo ancora arrivati in Europa. Siamo in un Ceti (Centro Dopo il matrimonio in Siria, Juhaide Estancia Temporal de Inmigrantes, ndr) ad aspettare, sperando che tutti i na e suo marito si sono dati alla fuga membri della nostra famiglia riescano dalla guerra verso il Libano, e durante ad attraversare in un modo o nell’al- il passaggio in Egitto hanno concepito First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 48 flp magazine FRONTIERA MAROCCO-SPAGNA, CEUTA | La mujer muerta (la donna morta) è il nome della montagna che si vede da Ceuta. Spagna e Marocco sono separati da 6,4 km di barriera il primo figlio. Ma erano già in Algeria quando ne hanno scoperto l’esistenza. Ora sono sposini in viaggio di fuga più che di nozze, vagando tra quattro Paesi arabi, separati dalla frontiera tra Africa e Europa. Sono ancora tutti e due in Africa, ma Khaled é in Marocco e Juhaina in Spagna. Marito e nonna vorrebbero vedere Juhaina il giorno in cui darà alla luce il suo primo figlio in un ospedale spagnolo. Non hanno ancora formalizzato la loro domanda di asilo nell’enclave, perché temono altrimenti di restare per troppo tempo fermi in quei pochi chilometri quadrati di Spagna a loro disposizione. Aspettano di essere a Madrid o in una qualsiasi altra città spagnola per procedere. Jouhaina é stanca dei nove mesi di gravidanza tra frontiere. Ora si trova col fratello, Abdalla. Nidal invece, l’ultimo dei figli di Asum, ha sedici anni e quindi né madre, né sorella e né fratello: a sua volta separato dalla minore età, in un altro centro di permanenza temporanea. Anche lui fermo a Melilla, ma dorme altrove. Fortunatamente èé lasciata loro la possibilità di uscire dai rispettivi centri e hanno potuto piazzare una piccola tenda per ritrovarsi tutti insieme. L’ennesima dopo tre anni da rifugiati. Si riposano e si riparano dal sole caldo africano e spagnolo, le famiglie siriane in “dolce” attesa. firstlinepress.org La Spagna sembra già lì in quella città, Melilla, ma la “vera” Spagna, la penisola iberica, ancora non si vede. Poi c’è Ceuta, l’altra città spagnola autonoma in terra africana, porta sud dello Stretto di Gibilterra, posta a 380 chilometri da Melilla. Una città che guarda dritta in faccia la penisola spagnola, a soli 14 chilometri di distanza, di mare, di nave, di speranza. Brahim, insieme ad altre famiglie siriane di Homs, siede sulla spiaggia di Ceuta, dove almeno i bambini possono giocare. Per lui, la giovane moglie e i loro cinque figli è stato più economico pagare un giro in barca invece di passare con i passaporti falsi. Anche a Ceuta, come a Melilla, ogni giorno i residenti della città marocchina di Tetouan entrano per lavorare dall’alba al tramonto o per fare compere nei centri commerciali spagnoli. Ai siriani spetta il mare. « Abbiamo sentito parlare di Lampedusa ad ottobre. Per questo dall’Egitto, abbiamo preferito volare in Algeria e venire in Marocco. Non volevo portare mia moglie incinta e i miei figli nel Canale di Sicilia con lo spettro dei morti dei nostri connazionali» Aveva già speso tutti i soldi guadagnati con una vita di lavoro per i voli nei vari Paesi, dal Libano in poi: per meno di un’ora di barca valeva la pena pagare ancora e rischiare. «Abbiamo sentito parlare di Lampedusa ad ottobre. Per questo dall’Egitto, abbiamo preferito volare in Algeria e venire in Marocco. Non volevo portare mia moglie incinta e i miei figli nel Canale di Sicilia con lo spettro dei morti dei nostri connazionali. Ma nascere a Ceuta è come nascere in nessun posto». Anche Fayat è di Homs, ha trent’anni ma non ha fatto in tempo a sposarsi prima di partire. La guerra ha portato via tutto e tutti, e in tre anni ha cambiato sette Paesi per dimenticare. Il cugino da Parigi gli ha spedito i soldi necessari per comprare un passaporto marocchino falso, passaporto di Tetouan. L’accendino, invece, se l’è pro«Ci siamo messi in mare il venticin- curato lui. que ottobre 2013, dalla costa marocchina alla costa di spagnola di Ceuta, «Appena superata la frontiera, ho verso il punto in cui il nostro accom- bruciato quel passaporto falso per pagnatore sapeva saremmo potuti ap- chiedere asilo come siriano, come fanprodare. E poi presentarci alla Spagna. no tutti. Non voglio più sapere che cosa Mia moglie ha partorito Khaula il 6 di succede ad Homs, sono solo massacri novembre, la nostra ultima figlia. Ma e persone che si uccidono tra loro sennon so Khaula in quale Paese sia nata: za riconoscersi più. Potrebbero essere né in Marocco, né in Spagna». flp magazine dalla stessa parte, combattere insieme direzione della preghiera. Duecento altrove, invece sparano e basta. Abbia- siriani a Ceuta, quattrocento a Melilla mo perso il nostro Paese per sempre». e molti di più, impossibili da contare, quelli che in Marocco provano a viveFayat si reca alla moschea. È ve- re e lavorare. Chi nella capitale Casanerdì e di fronte alla spiaggia di Ceuta, blanca, chi a Oujda, alla frontiera con vicino al Centro di accoglienza, c’è un l’Algeria, chi ancora a Tetouan e Naedificio color vinaccia adibito a mo- dor. Chi a Tangeri, città e grande porto schea. Non c’è un minareto né un ap- nello Stretto di Gibilterra e porta dal pello alla preghiera. Non sembrerebbe Mediterraneo all’Oceano Atlantico: la neanche un luogo di preghiera se non fine dell’Africa, con la Spagna di fronte fosse per le scale laterali e la grande e la speranza di pace che li chiama ad sala interna. Ma tutti sono là, all’ora andare. � esatta: gli spagnoli musulmani abitanti di Ceuta, i marocchini lavoratori per un giorno di Tetouan, i numerosi africani che hanno attraversato la frontiera, via terra o via mare: sono 800. C’è chi aspetta da un anno e mezzo la commissione per la domanda d’asilo e da anni a migliaia tracciano il passaggio verso l’Europa, scavalcando ove possibile la barriera di ferro della frontiera. Sono neri, un passaporto falso non servirebbe a nulla. Ed infine i siriani, gli ultimi arrivati. Anche loro a condividere la stessa CEUTA | Sulla spiaggia di Ceuta, Fayat, un amico siriano ed un somalo si avviano alla preghiera del venerdì. Sullo sfondo le coste della Spagna sullo Stretto di Gibilterra First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 49 First Line Press ha iniziato la sua avventura nel novembre 2012, un modo diverso di raccontare le storie dal mondo e dall’Italia. L’abbiamo fatto proponendo documentari (uno sui nuovi metodi repressivi in Europa “Repressione ai tempi della recessione” e l’altro sulla situazione dei prigionieri politici nei Paesi Baschi “Odissea Basca”), vari videoreportage (sul caso Veolia da Londra; sui manifestanti spagnoli per l’università pubblica; sul lavoro degli immigrati in Italia, sugli intricati scenari egiziani, sulla situazione curda, su problemi ambientali italiani), reportage fotografici (dagli scontri ad Atene a quelli di Roma, dal Kurdistan all’Egitto, fino alla Cisgiordania ed alle manifestazioni studentesche italiane) e un quotidiano approfondimento su cosa succede nel mondo. La collana di ebook di First Line Press comprende al momento tre titoli: Latitudini dell’immaginario: memorie e conflitti tra la Jugoslavia e il Kosovo (una lettura dei conflitti nei Balcani sullo sfondo della dissoluzione della Jugoslavia, che fa della ricerca-azione il tessuto connettivo tra memoria e comunicazione); Vene Kosovare (racconti di come sia vissuto il Kosovo, un Paese sparito dai racconti mainstream ed in cui sono presenti ancora i silenzi dell’esclusione) e Idropoli (percorso per tutta la penisola di domande sui meccanismi economici che, a seguito dal referendum del giugno 2011, avrebbero dovuto intaccare il sistema idrico italiano). Gli ebook sono disponibili nell’area download del sito www.firstlinepress.org. Ci puoi trovare … sul nostro sito: www.firstlinepress.org su twitter: @FirstLinePress su facebook: First Line Press su youtube: www.youtube.com/user/FirstLinePress