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flp magazine
Maggio 2014
rivista mensile del giornale online firstlinepress.org
AGRICOLTURA
AMBIENTE
ENERGIA
FORTEZZE
MOVIMENTI
BALCANI
TERZA PAGINA
MIGRAZIONI
in solidarietà con i minatori di Soma in Turchia
e nel ricordo di tutte le vite affogate al largo del Mediterraneo.
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flp magazine
magazine
Ci occupiamo di conflitti, periferie,
volti, storie che c’imbrattano
diventando libere di essere raccontate.
First Line Press Magazine
anno 1 | numero #2
Rivista mensile curata dalla
redazione del sito internet
firstlinepress.org
Redazione giornalistica
Lorenzo Giroffi
Andrea Leoni
Domenico Musella
Flavia Orlandi
Giuseppe Ranieri
Natascia Silverio
Illustrazioni
Hobo
Progetto grafico e layout
Domenico Musella
In copertina
Illustrazione di Marta Ghezzi
In quarta di copertina
Banner di Marta Ghezzi
First Line Press è una testata giornalistica
regolarmente registrata presso il Tribunale Civile
di Santa Maria Capua Vetere - Autorizzazione n.
810 del 24/10/2013
Quest’opera è distribuita con Licenza
Creative Commons
Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0
Internazionale
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editoriale | #2
EUROPE
Per non cadere nel tranello di una bagarre in vista delle prossime elezioni, abbiamo scelto di dedicare questo
numero alle “Europe” dimenticate. Lo facciamo per mostrarvi la distanza tra chi parla di uscita dalla moneta e
nuove direzioni comunitarie e chi é consapevole che la realtà dei fatti é diversa e i problemi sono radicati altrove. Andremo ad analizzare le “opportunità” offerte dal vecchio continente, insignito anche del Premio Nobel, per
svelare come il potere sia stato centralizzato e le possibilità lasciate solo ad alcuni. Vogliamo parlare di Europe
al plurale perché i problemi sono tanti e diversi: migranti arroccati alla frontiera; passaporti validi solo per il
turismo; guerre fomentate con la scusa di un’Europa a cui aderire col ricatto. Crediamo che la tanto agognata
costruzione comunitaria, principale prodotto politico dell’era post-ideologica, sia sostanzialmente differente da
come l’avevano idealizzata i primi sostenitori.
Più che una casa comune l’Unione Europea oggi appare come una prigione per i popoli che hanno assistito allo
svuotamento delle istituzioni statali, in nome di nuove forme di potere sovranazionale determinate dal capitale
finanziario. Gli abitanti degli Stati periferici hanno da subito imparato a familiarizzare con termini quali austerity, spread, eurobond e molti altri ancora. Così, per la stragrande maggioranza della popolazione, l’Europa tanto
sognata si è rivelata essere un incubo.
Chi quest’incubo lo vive nella sua forma più forte ed atroce sono principalmente le nuove generazioni. A tal riguardo Andrea Leoni ha tradotto degli interventi significativi ospitati nel “The Guardian”: uno a quattro mani,
a firma di Costas Lepavitsas e di Alex Politaki, un altro di David Graeber, allegando una risposta dal “Roar
Magazine” di Jerome Roos. Il tema della condizione giovanile nei Paesi maggiormente in crisi si intreccia con
quello delle difficoltà dei lavoratori e della precarietà. Si fa cenno anche alla piaga della disoccupazione giovanile, e al perché non ci siano più ragazzi che protestano per le strade. Natascia Silverio mette invece a fuoco
gli aspetti più controversi delle politiche e delle pratiche dell’UE: l’ambiguità delle leggi sull’immigrazione, tra
teoria e prassi. Tutto ciò grazie ad un’intervista a Salvatore Fachile, legale dell’ASGI (Associazione per gli studi
giuridici sugli immigrati).
Giuseppe Ranieri, guarda all’Europa da un’angolazione non convenzionale ossia quella di una Belgrado su cui
circa quindici anni fa si è abbattuto il “volto caino” dell’Europa.
Domenico Musella si soffermerà sulle politiche agricole comunitarie. Dalle tariffe doganali agli OGM, fino ad
affrontare l’intera questione dell’alimentazione della popolazione europea. Lorenzo Giroffi affronterà il tema
dei finanziamenti europei alle imprenditorie locali nella “terra dei fuochi”; Flavia Orlandi, si occuperà di politiche energetiche e di un nuovo colonialismo commerciale statunitense, effetto di una nostra mancata sovranità
territoriale.
Marta Bellingreri ci riporta invece al concetto di confine in Europa: una storia dalla frontiera Marocco/Spagna.
La nostra terza pagina resta a cura di Monia Marchionni, che intervista Flaminio Gualdoni, per un ritratto
suggestivo di un artista come Piero Manzoni che ha cambiato il concetto di contemporaneità in Europa e non
solo.
Non ci resta che augurarvi buona lettura.
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#2 | sommario
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AGRICOLTURA
MOVIMENTI/1
BALCANI
Ogm: un nuovo attacco a
cibo e democrazia
Perché i giovani europei
non si rivoltano più?
La nuova Europa dalla
finestra balcanica
Domenico Musella
Costas Lapavitsas e Alex Politaki
da The Guardian
Giuseppe Ranieri
pag. 6
pag. 39
pag. 26
AMBIENTE
MOVIMENTI/2
TERZA PAGINA
Il compost azotato:
finanziamenti europei ed
abbandoni comunitari
nella land of fire
Prendersi troppa cura.
Questa è la maledizione
delle classi lavoratrici
Piero Manzoni: ritratto
di un rivoluzionario
dell’arte
Lorenzo Giroffi
David Graeber da The Guardian
Monia Marchionni
pag. 12
pag. 28
pag. 43
ENERGIA
MOVIMENTI/3
MIGRAZIONI
Lo shale gas Usa alla
conquista dell’Europa
Dov’è la protesta? Una
risposta a Graeber e
Lapavitsas
Siriani sullo Stretto:
frontiera tra Spagna e
Marocco
Jerome Roos da ROARmag.org
Marta Bellingreri
pag. 31
pag. 46
Flavia Orlandi
pag. 16
FORTEZZE
LAVORO
Diritto sulla carta contro Chi un’altra Europa se la
prassi effettive
fa: la Ri-Maflow nel segno
dell’autorganizzazione
Natascia Silverio
pag. 21
Foto di Andrea Polzoni
pag. 34
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6
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AGRICOLTURA
Ogm: un nuovo attacco
a cibo e democrazia
Come lobby e Commissione Europea
riprovano ad autorizzare (e imporre) la
modifica genetica nei campi
Domenico Musella
N
on è un affare per i soli addetti ai
lavori, né si tratta retoricamente
di “difendere il made in Italy” (o
in France o in Germany etc.) o fermare
i cinesi o gli americani che esportano i
loro prodotti agricoli, come qualcuno
vuol far credere. La coltivazione e
l’emissione nell’ambiente di organismi
geneticamente modificati (Ogm) in
Europa ha a che fare con scelte politiche
che condizionano la nostra vita da
vicino, molto vicino. Riguardano quello
che mangiamo ogni giorno.
Ma cosa intendiamo quando parliamo
di Ogm? Si tratta in generale di esseri
viventi (dai batteri agli animali) il
cui patrimonio genetico ha subìto
artificialmente dei cambiamenti, grazie
a più o meno sofisticate procedure
biotecnologiche. Queste modifiche
vengono solitamente realizzate allo
scopo di migliorare le caratteristiche di
tali organismi, ad esempio per renderli
più resistenti. Dagli anni ‘70, quando la
scienza ha scoperto come agire sul DNA,
ad oggi, tali procedure hanno sempre
scatenato dibattiti e sollevato numerosi
interrogativi
etici.
Modificando
geneticamente un batterio si è riusciti
a fargli produrre quell’insulina che oggi
cura il diabete di milioni di persone, ma
non sempre l’essere umano è ispirato
da buone intenzioni, né sempre valuta
le conseguenze delle sue azioni.
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Ogm agricoli: cosa sono, a chi piante geneticamente modificati lo farà
per produrre soldi, e non cibo buono
servono
per migliorare la vita delle persone. Ed
Quando parliamo di Ogm in agricoltura è proprio questo quel che è successo
ci riferiamo prevalentemente a piante finora, di fatto, per gli Ogm agricoli.
i cui geni sono stati modificati in Quelle che potremmo chiamare le “6
laboratorio affinché diano particolari sorelle”, ovvero le sei multinazionali
qualità. Ingenuamente saremmo portati della biotecnologia che producono
a pensare in positivo, a piante super nei loro laboratori sementi Ogm e
resistenti o che possono darci chissà ne controllano il 100% del mercato:
quali prodotti super nutrienti: una vera Monsanto, Dow, DuPont Pioneer,
e propria rivoluzione che potrebbe dare Bayer, Syngenta, Basf producono
buon cibo a tutti, a tutte le latitudini. varietà che hanno sostanzialmente
Ma anche qui quello che ci frega sono due caratteristiche fondamentali.
le intenzioni di chi è in grado di agire La prima è la resistenza agli insetti,
sui genomi delle piante. Se l’obiettivo grazie all’impianto di geni che fanno
è solo il guadagno, chi produce semi di produrre alla pianta insetticidi. La
seconda è la tolleranza agli erbicidi o
pesticidi. Non si tratta di modifiche che
migliorano effettivamente la qualità del
prodotto (non volendo qui discutere
L’utilizzo di Ogm
se ciò sia possibile o legittimo), ma
instaura un rapporto
di caratteristiche che hanno come
effetti o lo squilibrio dell’ecosistema o
di dipendenza dei
l’aumento del profitto. La produzione
contadini da un pugno
di insetticidi porta infatti allo sterminio
di api, falene, farfalle etc., che come tutti
di multinazionali,
gli esseri viventi hanno un loro ruolo
per l’acquisto di semi
nella vita del pianeta e nella catena
alimentare. La resistenza ad erbicidi
e prodotti chimici:
o pesticidi, invece, non serve ad altro
corporate control e
che a far utilizzare una maggiore
fine della sovranità
quantità di tali prodotti chimici, che
guarda caso vengono fabbricati dalle
alimentare»
stesse industrie che producono gli
«
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BRUXELLES | STOP OGM, SI AL BIOLOGICO Una protesta a Bruxelles, 2013 (Foto di Kevin Vanden)
Ogm (è il caso, per esempio, della
Monsanto, la cui soia Ogm è fatta per
resistere al principio attivo del suo
erbicida RoundUp). Utilizzare le varietà
geneticamente modificate che sono sul
mercato ha quindi innanzitutto l’effetto
negativo di diffondere nell’ambiente
sostanze altamente tossiche, siano
esse insetticidi, pesticidi o erbicidi,
che danneggiano la natura e anche
la salute delle persone che ci vivono
(numerosi sono gli studi che associano
ad esse tumori, malattie croniche,
intolleranze). Non bastasse già
questo, l’utilizzo in un campo di semi
geneticamente modificati instaura
un rapporto di dipendenza dei
contadini e delle aziende agricole da
quel piccolo pugno di multinazionali,
sia per quanto riguarda l’acquisto
dei prodotti chimici, sia per quello
dei semi, che in questo caso sono
anch’essi coperti da brevetti come
qualsiasi altro prodotto e sono quindi
“di proprietà” delle corporation. Sul
piano economico i costi di produzione
per gli agricoltori aumentano quindi
notevolmente, e a ciò va anche aggiunto
che difendere i campi non-Ogm dalla
contaminazione di colture modificate
geneticamente comporta altre spese:
un assurdo, se si pensa che invece i
costi dell’inquinamento dovrebbero
essere a carico di chi inquina, non di
chi rischia di essere contaminato. Tutto
ciò che abbiamo appena descritto viene
chiamato corporate control: poche
grandi imprese che hanno in scacco
un intero settore economico, nello
specifico quello agroalimentare.
Un’agricoltura fondata sul “mito”?
espropriato dei suoi mezzi, della sua
terra, della capacità di sostentarsi e
sopravvivere. Finendo nella morsa
di multinazionali monopolistiche
interessate solo ad un’accumulazione
sfrenata di denaro, entrerà ancor
più direttamente nella spirale del
debito: altro che miglioramento delle
condizioni di vita! A spiegarlo sono
diversi studi, come il rapporto Who
benefits from GM crops? An industry
built on myths (“Chi beneficia delle
colture geneticamente modificate?
Un’industria costruita sui miti”)
pubblicato a fine marzo 2014 da
Friends Of the Earth International.
L’annosa questione della “fame nel
mondo” non potrà di certo essere risolta il rapporto di foe international sugli ogm è consultabile
con le colture Ogm, che provocano
a questo link: www.foeeurope.org/who-benefits-gmsvariati danni ambientali, sanitari e
socio-economici. Il piccolo contadino, crops-industry-myths-280314
soprattutto in contesti di povertà, con
il sistema degli Ogm e dell’agricoltura Il “mito” consiste proprio nella
industriale sarà destinato a essere narrazione che vuole farci credere
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che gli Ogm possano risolvere
il
problema
dell’alimentazione.
L’evidenza riscontrata nei contesti (in
diminuzione) in cui si coltivano Ogm,
come alcuni Paesi dell’Africa, del Nord
e del Sud America e dell’Asia, è invece
che tali coltivazioni sono associate al
depauperamento crescente di contadini
e produttori; alla scomparsa di colture
tradizionali e di relazioni e saperi
collegati; all’impoverimento dei suoli
legato alla monocoltura; alla riduzione
della biodiversità e al danneggiamento
dell’ecosistema. Tutto ciò porta alla
graduale impossibilità per l’umanità
di ottenere cibo naturalmente, senza
rivolgersi all’industria, e di scegliere
come alimentarsi: per mangiare
dovremmo sempre stare al ricatto del
potente di turno. Stiamo parlando,
cioè, della perdita della sovranità
alimentare.
Tra l’altro, dove vaste coltivazioni Ogm
sono presenti non è per sfamare le
persone, ma soprattutto per rifornire le
industrie tessili, per produrre mangime
per animali e biocarburanti. Ancora
una volta, in definitiva, il problema è
la volontà, la scelta politica: ciò che
manca non è il cibo a sufficienza per
tutti, bensì un equo accesso al cibo. Il
pianeta sarebbe in grado di sostentarci,
anche senza modificare genomi, ma
a un gruppo ristretto di persone fa
comodo che ci sia il dislivello: che a una
latitudine si muoia di obesità, a un’altra
di fame. E per migliorare l’accesso al
cibo, pressati dai cambiamenti climatici
e dalla crescita della popolazione, una
soluzione più equa e sostenibile per
noi e per la Terra sarebbe piuttosto
valorizzare le coltivazioni tradizionali e
le varietà locali ottenute con modalità
di selezione naturali che sono adatte
ai singoli contesti, e che svincolano
dalla povertà sicuramente molto di più
di costose sementi Ogm e di prodotti
chimici tossici.
L’Europa e gli Ogm
La pressione di una vasta parte
dell’opinione pubblica, dai semplici
cittadini, agli ecologisti, ai contadini e
ad altre componenti sociali è riuscita a
difendere abbastanza bene l’Europa dal
rischio Ogm, riuscendo ad intervenire
anche sulla legislazione. Ora tutto
questo è però in serio pericolo, di
pari passo con la crisi che l’Europa
stessa, insieme anche alla sua opinione
pubblica, sta vivendo in molti ambiti.
La legislazione comunitaria ha
all’inizio aperto cautamente agli Ogm
nel 1990 con la direttiva 220, ma
appunto una grande mobilitazione e
un grande dibattito sul tema hanno
portato prima gli Stati nazionali, poi
le istituzioni europee, ad una vera e
«
Approfittando di
stallo decisionale,
falle della legislazione
e assopimento
dell’opinione pubblica,
Commissione e
lobby provano ad
autorizzare 25 varietà
Ogm»
propria moratoria di fatto sugli Ogm
agricoli (1998-2004). Con la direttiva
2001/18/CE
l’Unione
Europea
ha regolato l’autorizzazione degli
Ogm attraverso un procedimento
controverso, che sostanzialmente
considera le decisioni sul tema come di
natura tecnica ed esecutiva, non politica.
In poche parole, sia il Parlamento che
l’altro organo legislativo, il Consiglio
(formato da rappresentanti dei governi
dei 28 Stati) hanno molti meno poteri
nell’influenzare le decisioni sugli Ogm,
con la Commissione Europea (organo
esecutivo) che ha invece l’ultima parola
e non può essere bloccato né dal veto
dell’Assemblea, né da una maggioranza
semplice contraria del Consiglio.
BRUXELLES | La sede del Commissario europeo
alla Salute (Foto Corporate Europe Observatory)
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Come per un argomento tecnico o di
poco conto, non si “perde tempo” in
discussioni in aula, ma si rimanda a
consultazioni più “oscure” e rapide
tra addetti ai lavori e burocrati, in uno
specifico “comitato”. Altro problema:
per valutare il rischio per la salute e
l’ambiente di una determinata coltura
Ogm, la Commissione si basa da un
lato su studi scientifici presentati dalle
stesse aziende produttrici, che molto
raramente sono obiettivi, dall’altro
sul parere dell’Agenzia Europea per
la Sicurezza Alimentare (EFSA) di
Parma, composta in realtà da membri
non imparziali perché notoriamente
vicini ai giganti della biotecnologia.
Non è un caso che finora l’Agenzia
abbia quasi sempre dato parere
favorevole all’autorizzazione di Ogm
che invece erano stati respinti da
esperti in materia indipendenti o
dei singoli Stati. Ecco, quindi, una
prima falla del sistema legislativo
europeo che permette l’ingresso di
colture geneticamente modificate in
Europa, per di più con un sistema poco
trasparente e democratico.
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GIVE BEES A CHANCE | Campagna europea a difesa delle api (Foto di Greensefa)
Dal 2010 è bloccata sul tavolo delle
istituzioni continentali una proposta di
regolamento (che, ricordiamo, è un atto
di legge direttamente applicabile in
tutti gli Stati membri, a differenza delle
direttive) sugli Ogm che consegnerebbe
alla Storia la direttiva in vigore. In
questi anni non si è riusciti ad uscire da
un impasse dovuto principalmente alle
diverse posizioni dei governi nazionali,
pur essendo ormai palese che la
stragrande maggioranza della società
civile europea è fermamente contraria
ai semi modificati geneticamente.
Uno degli oggetti del contendere è la
possibilità per i singoli Stati di bloccare
le colture Ogm nel proprio territorio
anche per ragioni socio-economiche,
sancita da un testo già approvato in
prima lettura dal Parlamento.
Nonostante questo, Parlamento e
società civile sono stati vigili sul
tema, e nonostante le molte richieste
e pressioni delle lobby del biotech
finora sono state autorizzate dalla
Commissione solo due prodotti
agricoli Ogm: una varietà di mais della
Monsanto, il Mon 810 (vietato poi da
diverse istituzioni nazionali per la sua
tossicità e coltivato attualmente per
i mangimi solo in Spagna, Portogallo,
Repubblica
Ceca,
Slovacchia
e
Romania) e una varietà di patata della
Basf, la Amflora (poi vietata dalla
Corte di Giustizia europea poiché la
Commissione, per autorizzarla, aveva
forzato arbitrariamente le procedure Approfittando dello stallo decisionale,
delle falle della legislazione e
legislative).
dell’assopimento dell’opinione pubblica
europea sul tema, la Commissione,
cedendo alle lusinghe delle lobby,
è passata al contrattacco, attivando
le procedure per l’autorizzazione
di ben 25 varietà Ogm di mais, soia,
Altre minacce al cibo
barbabietola da zucchero. Il caso
e alla democrazia
più recente e controverso riguarda
il mais 1507 della DuPont Pioneer,
vengono da Ttip,
modificato per produrre la tossina
Politica agricola
antiparassitaria Bt e per resistere
comune e brevetto dei
all’erbicida glufosinato ammonio. A
gennaio il Parlamento europeo ha
semi»
chiesto con larga maggioranza alla
Commissione di ritirare la proposta
«
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di autorizzazione. A febbraio un altro
cartellino rosso è giunto dal Consiglio,
nella sua composizione per gli Affari
generali, con 19 Stati contrari (Italia
inclusa), 4 astenuti (Belgio, Germania,
Portogallo, Repubblica Ceca) e 5
favorevoli (Spagna, Gran Bretagna,
Estonia, Finlandia e Svezia). Per tutta
risposta la Commissione, e in primis
il commissario alla Salute pro-Ogm
Tonio Borg, nazionalista maltese, sta
provando ugualmente ad approvare
il mais 1507. La giustificazione
ufficiale è che la Commissione sarebbe
“tecnicamente costretta” a dare il suo
placet a causa della procedura: per
bloccare l’autorizzazione è necessario
infatti un no del Consiglio a maggioranza
qualificata (¾ dei componenti, ossia
21 Stati). Parlamentari, associazioni e
cittadini rammentano tuttavia che la
Commissione, al di là dei tecnicismi,
dovrebbe garantire gli interessi
comuni, innanzitutto rispettando le
scelte di organi democraticamente
eletti (il Parlamento e il Consiglio,
formato dai governi dei singoli Paesi)
ed in più tenendo fede al Trattato sul
Funzionamento dell’UE, che all’art.
191 (ex art. 174 Trattato CE) vincola
le politiche ambientali europee ai
principi della precauzione, della
prevenzione, della correzione dei danni
causati all’ambiente e del «chi inquina
paga». Molti studi hanno accertato la
tossicità, per falene e farfalle e anche
per gli esseri umani, delle sostanze
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BRUXELLES | Marcia contro gli Ogm nel maggio 2013 (Foto di Kevin Vanden)
prodotte da questo mais della Pioneer,
e autorizzarlo significherebbe anche
violare il Protocollo internazionale di
Cartagena sulla biosicurezza (2000, in
vigore dal 2003).
A poche settimane dalle elezioni
europee, la Commissione è in
scadenza di mandato e non ha ancora
sferrato l’attacco finale. Ha contro
di lei molti attori, oltre che poco
tempo e una legittimità agli sgoccioli.
Molto probabilmente l’intenzione è
quella di aspettare lo scrutinio del
25 maggio, sperando magari in una
grosse koalition che dia nuovamente le
chiavi della Commissione a Popolari,
Liberali e Socialisti riuscendo ad
approvare quest’autorizzazione con
maggiore legittimità. Altra carta che
Borg e colleghi, o chi per loro, potrebbe
giocarsi, è quella di aspettare prima
l’approvazione del nuovo regolamento
sugli Ogm e poi dare l’ok al mais 1507.
In particolare, il regolamento già
citato placherebbe gli animi di molti
Stati garantendo l’opt-out, ossia la
possibilità di scegliere il divieto sul
proprio territorio delle singole colture,
sulla base di rischi per la salute o
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anche socio-economici. Gli Stati finora
contrari non si opporrebbero, una volta
ottenuta tale conquista di “libertà”
nazionale, ad un sì di Bruxelles. Tale
proposta di regolamento, rilanciata
dalla presidenza di turno del
Consiglio (che fino a giugno è della
Grecia, governata da “larghe intese”
che applicano con zelo i diktat di
austerity della Troika, e che da luglio a
dicembre 2014 è dell’Italia, anch’essa
guidata da un governo di coalizione
vicino alla tecnocrazia e alla grande
finanza), porterebbe di fatto a una
“rinazionalizzazione” del tema Ogm.
Lasciare tale regolamentazione ai
singoli Paesi significherebbe, in realtà,
quasi spalancare una porta alle colture
Ogm delle grandi imprese: queste
avrebbero un forte condizionamento
sui singoli governi, rispetto ad un
chiaro No stabilito nero su bianco da
regole continentali, senza contare che
l’Europa si dimostrerebbe così un vero
fallimento anche nella sicurezza e nella
sovranità alimentare. Non avrebbe poi
senso tale nazionalizzazione: pollini e
semi (almeno loro) non sono sottoposti
a confini. La contaminazione da Ogm
dei campi non si fermerebbe di certo ad
una frontiera solo perché uno Stato ha
deciso di autorizzarla e un altro vicino
no!
Altri rischi e minacce
Una rinazionalizzazione del tema
Ogm sarebbe ancora più ridicola e
inconsistente se andasse in porto
il Ttip (Transatlantic Trade and
Investment Partnership), accordo di
libero commercio che in gran segreto
stanno negoziando Usa e vertici
europei. In base a questo testo, gli
alti standard europei su salute e
ambiente verrebbero sacrificati
sull’altare del profitto, soprattutto
con una clausola che permetterebbe
alle filiali europee di multinazionali
americane di citare in giudizio gli
Stati europei che “intralciano” i loro
interessi. Va considerato che spesso
nelle Corti siedono grandi avvocati
che difendono le stesse imprese, con
evidente conflitto d’interesse e scarse
possibilità di deliberazioni imparziali.
Prendiamo un caso pratico sul tema
Ogm: uno Stato, ad esempio l’Italia,
ha sul suo suolo una filiale di una
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multinazionale americana, magari
una corporation dell’agrochimica. Se
quest’ultima si basa su determinati
standard produttivi americani, che
permettono un largo uso di organismi
geneticamente modificati, mentre la
legislazione italiana non consente gli
Ogm, può decidere di portare l’Italia
in tribunale perché con le sue regole
intralcia la produzione. L’Italia, che
molto probabilmente vedrà addossarsi
una multa, di fronte a questo rischio
penserà sicuramente più di due
volte prima di mantenere leggi che
vincolano il processo produttivo alla
tutela di salute e ambiente. Risultato:
potremmo avere leggi ancor più votate
all’interesse di pochi e potenti gruppi
industriali.
sfruttare tutti i mezzi a disposizione
significherebbe, di fatto, avallare
le decisioni che i grossi gruppi
finanziari, con la complicità dei vertici
istituzionali, prenderanno per noi e per
il nostro futuro. Significherebbe firmare
un assegno in bianco e non provare
a difendere le nostre vite dal bieco
profitto che ci considera non come
persone ma come numeri. Sovranità
alimentare e vita democratica sono le
poste in gioco in questo duro confronto.
Scusate se è poco. �
Sul tema della sovranità alimentare,
vale la pena citare altri due
tentativi di attacco dell’accoppiata
tecnocrazia-lobby di Bruxelles. Uno è
la regolamentazione e il brevetto
dei semi, proposta per l’agricoltura
professionale
dalla
Commissione
e per ora bloccata dal Parlamento
europeo. Brevettare i semi, come
accade
altrove,
significherebbe
aumentare ancora la dipendenza dalle
multinazionali e di fatto privatizzare il
nostro sostentamento in vari aspetti.
Altro versante su cui incombono
diverse ombre è la PAC, la politica
agricola comune. La linea di tendenza
finora imposta dalle lobby e dalla
Commissione in questo ambito ha
danneggiato i piccoli produttori a
tutto vantaggio delle grandi imprese.
Lasciando senza lavoro persone,
riducendo la biodiversità e mettendo a
rischio il pianeta, al posto di investire
sui territori, le culture, i saperi locali, le
relazioni sociali.
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Per tutto ciò è necessario che la
controparte, ossia le persone comuni,
le associazioni, i contadini, tutto quel
mondo chiamato “società civile” si
unisca e faccia sentire chiara e forte
la propria voce contro tali scelte
politiche. La maggioranza del prossimo
Parlamento, che secondo il trattato
di Lisbona sarà determinante anche
per decidere la composizione della
Commissione, avrà un ruolo chiave.
All’interno del Parlamento e nelle
strade sarà possibile far pressione
per orientare queste decisioni e fare
pressione in un senso opposto rispetto
a quello di poche corporation. Non
EUROPA.EU TRACCIABILITÀ ED ETICHETTATURA DEGLI OGM europa.eu/legislation_summaries/environment/nature_and_biodiversity/
l21170_it.htm
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IN THE EU corporateeurope.org
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AMBIENTE
Il compost azotato:
finanziamenti
europei ed abbandoni
comunitari nella Land
of Fire
Euro Compass ha rifiuti stoccati dal 2009
nell’illusione di lavoro in provincia di Caserta
Lorenzo Giroffi
P
ensi all’Europa e rimbombano
le discussioni sui meccanismi
socio-economici-politici che da
Bruxelles possono o meno influire sui
singoli Stati. Passeggi poi di fianco lo
scheletro di uno stabile industriale ad
Orta di Atella e non puoi che vivere l’abbandono, col carico d’ipocrisia del paventato spirito comunitario. Una provincia, che forse le sedie del Parlamento europeo non riuscirebbero neanche
ad identificare su una mappa. É Caserta, dove le lenti d’ingrandimento dei
media si sono accavallate intonandone
ripetutamente la filastrocca “terra-deifuochi”, fino a spolparla e abbandonarne la carcassa, lasciandone immutati i
problemi e riabbandonati i destini.
di Atella, un capannone fatto in lamiere diventa un’opportunità per Emilio
Mormile, che vince un bando comunitario e tira su la Euro Compost, società
che accogliere spazzatura, per poi selezionarla e riutilizzarne solo l’organico
per la produzione di composto azotato.
Nella parte meno costruita della sovraffollata Orta di Atella non si sente neanche più l’eco dei macchinari della Euro
Compost. Un’automobile incidentata,
i cui pezzi sono sparsi in un campo, è
il tappeto di benvenuto in quest’area
dove di erge solo lo scheletro del capannone che ha prodotto compost azotato. I cancelli sono stati portati via, gli
infissi depredati, le mura sono piene di
scritte sconnesse, cumuli di spazzatura
sono lasciati in attesa di stoccaggio da
Europa vuol dire anche finanzia- anni, le catene produttrici arrugginite,
menti ed opportunità per imprenditori rimasugli di capannone anneriti da indi provincia. Succede così che, ad Orta cendi e volano documenti stampati su
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fogli ingialliti. Questo è ciò che resta
dell’Euro Compost. Arrivo con Enzo
Tosti, del Coordinamento Comitati
Fuochi, attivo sul territorio per tutti i
temi di natura ambientale che devastano la zona, ma anche memoria storica
di questa striscia d’Italia e di Europa.
Passeggiando, scansando buche, detriti e provando a non scivolare sul muschio, in un’area che in quanto sotto
sequestro dovrebbe essere inaccessibile, Enzo mi racconta la storia di questo
sito, riportandomi ai fumi del 2008. Qui
circa trenta operai producevano questo
compost azotato organico, ma soprattutto fumi ed odori insopportabili per
i cittadini sia di Orta di Atella che del
Comune limitrofo Caivano. I comitati
cittadini iniziarono una serie di proteste, allarmati dalle esalazioni e dalle
nubi dell’Euro Compost, che lavorando
correttamente solo con l’organico non
flp magazine
ORTA DI ATELLA | Capannone con linee di produzione
avrebbe dovuto avere delle esalazioni
tanto forti. Ed infatti le manifestazioni
ed i presidi riuscirono ad ottenere nel
2009 un’ispezione sindacale all’interno dei capannoni che sancì la chiusura
della fabbrica per produzione non a
norma. In questo caso ritorna il ruolo
dell’Europa economica ed i suoi criteri
di selezione dei soldi da elargire: una
tale struttura, per lo più in eternit, già
di per se non sarebbe stata inadatta
alla produzione di compost azotato?
Come individuare poi i responsabili del
fallimento, del malfunzionamento del
sito e dei danni ambientali?
L’imprenditore ha potuto godere
di tale finanziamento senza perdere
un soldo per la cattiva gestione: dal
2009 al 2012 non sono state apportate
ORTA DI ATELLA | Resti dell’incendio del 2013
modifiche alla produzione, che è stata
praticamente solo annullata. Arrivati al
2012 poi la società ha dichiarato fallimento e a quel punto è subentrato un
curatore fallimentare, con un custode
giudiziario, dichiarando immediatamente di non essere in possesso di denaro utile alla messa in sicurezza dell’area. Intanto dal 2009 al 2012 il capannone, gli uffici e le linee di produzione
sono stati completamente depredati di
ogni materiale. La microcriminalità ha
fatto affari rivendendo dagli infissi ai
macchinari industriali, fino agli oggetti
di ufficio. Fino all’estate del 2013 quando infine è stato appiccato un enorme
incendio nell’ex fabbrica che ha distrutto tutto quanto era rimasto. Fiamme
che non hanno escluso anche l’immondizia ancora qui stoccata dal 2009, che
First Line Press
ha continuato ad espandersi su tutta la
superficie dello stabile in abbandono.
Mentre ascolto i pezzi di questa storia a stelle europee, osservo flaconi di
azoto, fiale vuote e bucate, faldoni di
estratti conto della società. Uno stabile
a due piani, con le catene di produzione
nel mezzo, su cinghie, la parte alta del
capannone completamente carbonizzata, pezzi di eternit e lamiere a picco
come lacrime, un enorme spazio buio
e scivoloso dove ancora è ammassata tutta la spazzatura: da una parte la
plastica scartata e dall’altra i residui
che sarebbero serviti al compost. Pur-
«
In questo caso ritorna
il ruolo dell’Europa
economica ed i suoi
criteri di selezione dei
soldi da elargire: una
tale struttura, per lo
più in eternit, già di
per se non era inadatta
alla produzione di
compost azotato?»
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flp magazine
ORTA DI ATELLA | Il vecchio laboratorio
troppo in questo secondo ammassamento però non c’è solo organico ed è
stata questa la ragione delle proteste
e soprattutto della chiusura dell’Euro
Compost.
Il sito sequestrato non è stato messo in sicurezza e il sottosuolo non è stato oggetto d’analisi, nonostante alcune
dichiarazioni anonime di un ex lavoratore che parlò di interramenti notturni
di fanghi industriali. Ci si limitò a sequestrare l’area del capannone, mentre
i campi interessati da questa denuncia
sono rimasti privi di indagini e sequestri. La segnalazione anonima non ha
quindi avuto un riscontro ed è stata
inoltre rinnegata dall’ex presidente
Mormile, che ha rilanciato dichiarando
di aver depositato tutti i piani di lavorazione presso la Provincia di Caserta, negando ogni tipo di lavorazione nel sito
oltre le 17.30. I pozzi d’acqua che gravitano intorno il sito sono stati analizzati
dalla Forestale e nulla di preoccupante
è stato rilevato, però i comitati cittadini
s’interrogano sul perché non analizzare
i campi indicati dall’ex lavoratore, che
sono di fronte e di fianco a ciò che è
rimasto dell’Eco Compass. Preoccupazioni non pernecessariamente fondate,
però controllare eviterebbe possibili
estensioni dei liquami nel sottosuolo:
si potrebbe essere ancora in tempo per
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arginare il rischio. Non mettere in sicurezza il capannone e lasciarlo in abbandono con le stelle dell’Unione Europea
ingiallite sull’insegna d’ingresso dell’ex
fabbrica, vuol dire lasciarlo esposto alla
fatale attrazione per i luoghi da riempire illecitamente di monnezza. Dato che
al momento non c’è più nulla da depredare, il sito potrà ben presto divenire
meta di sversamenti illegali: perché
permettere che questo spazio si trasformi in un’opportunità tossica?
«
Uno stabile a due
piani, con le catene di
produzione nel mezzo,
su cinghie, la parte
alta del capannone
completamente
carbonizzata, pezzi
di eternit e lamiere a
picco come lacrime, un
enorme spazio buio e
scivoloso dove ancora
è ammassata tutta la
spazzatura»
Il sole acido di questa mattinata si
spegne sotto la foschia del capannone
dentro il quale ci infiliamo. Tavole di legno come passerelle, sopra un muschio
scivoloso. Ombre, ed odori fortissimi
che galleggiano all’entrata del deposito principale della spazzatura, dove
rimane il grosso macchinario che la differenziava. Da una parte c’è un cumulo
di rifiuti in plastica e dall’altro montagne di “monnezza” pronta ad essere
riutilizzata per il compost azotato. Del
putrido delle montagne di scarti si nota
ad occhio nudo che la plastica è plastica, ma il resto non è organico, quindi i
dubbi sul fatto che il compost azotato
dell’Eco Compass fosse fatto con materiale organico si riconfermano.
Enzo Tosti, il mio Virgilio in questo
inferno di tossicità, guardando le lamiere della struttura e l’inconsistenza della
parte superiore del capannone mi chiede insistentemente se sia logico finanziare un’impresa di compost azotato che
ha come base quest’area. Fondi comunitari, elargiti senza verificare i permessi
comunali, l’impatto ambientale, e infine
senza individuare i responsabili dei possibili danni. Ad oggi infatti la società che
ha beneficiato del finanziamento europeo ha solo incassato, per non perdere
successivamente neanche un centesimo
del proprio patrimonio.
flp magazine
«
Enzo mi mostra il paesaggio circostante. Giusto a ricordare come le coltellate
a queste terre non sono mai estemporanee, ma sempre parte di un più ampio
Segnali di tossicità su
progetto di distruzione: in lontananza
adesivi sparpagliati,
si nota un sito di stoccaggio portato
ingialliti, come i
ad Orta di Atella durante l’emergenza
rifiuti dell’ “Era Bertolaso”. Sarebbe
faldoni con numeri ad
dovuta essere un’area provvisoria e inindicare ordinazioni e
vece è lì, ferma a marcire da nove anni
bilanci, tutto sospeso
e ciò potrebbe ancora non sorprendetra surrealtà e
re. La meraviglia è sapere che quel sito
non è stato mai censito dal Comune di
scempio»
Orta di Atella: è come se non esistesse,
ed in quanto invisibile resta impossibile prendere provvedimenti. La Regione
Saliamo nel piano che ricorda la Campania è ancora in attesa di una sesuddivisione di uffici e laboratori. Ci gnalazione ufficiale di tale discarica.
sono latte di solventi squarciate e diDa questa posizione Enzo mi fa nomenticate. Simboli di tossicità su adesivi sparpagliati, ingialliti, faldoni con i tare una piccola gobba del terreno che
numeri delle ordinazioni e dei bilanci, fronteggia l’ex Eco Compass: rilievo
in un’atmosfera sospesa tra surrealtà che alimenta i sospetti di sversamenti
e scempio. Quella che poteva essere nel sottosuolo. La scritta in rosso che
un’opportunità di lavoro è diventata sul muro d’ingresso indica “Area Conl’ennesima bandiera di abuso e irre- taminata”, è stata fatta dai vigili urbani
sponsabilità. Attraverso la grossa ed con una bomboletta spray. Forse nel
impolverata finestra dei laboratori, tentativo di intimidire malintenzio-
nati e impedirgli di entrare, ma anche
l’ennesimo simbolo della precarietà di
una messa in sicurezza bislacca. Solo
un filo di plastica tra i cespugli secchi
dovrebbe bloccare l’ingresso al vecchio
capannone.
É l’Europa che dimentica i suoi
luoghi o che forse non li ha mai voluti
conoscere. Una Comunità che non può
sfoggiare solo diritti e Nobel ma anche
la responsabilità rispetto ai suoi finanziamenti elargiti senza ombra di lungimiranza. Una selezione che sembra accurata solo quando si tratta di scegliere
le tasche da riempire, che guarda caso
sono sempre le stesse. �
ORTA DI ATELLA | Enzo Tosti ed il capannone
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flp magazine
ENERGIA
Lo shale gas Usa alla
conquista dell’Europa
Quando è troppo... si esporta
Flavia Orlandi
U
no spettro si aggira per l’Europa. Arriva dagli Stati Uniti, dove
ormai è ben conosciuto, temuto,
idolatrato, combattuto, sostenuto, a
seconda che a parlare sia un cittadino
o un lobbista del settore energetico.
Si tratta del fracking, la fratturazione
idraulica, una tecnica per l’estrazione del gas di scisto presentata spesso
come lo strumento di emancipazione
energetica dell’Occidente.
Di questa tecnica si parla ormai da
molto tempo ed ha rappresentato una
rivoluzione nel settore estrattivo, dal
momento che rende accessibili una serie di giacimenti prima inutilizzabili. La
fratturazione idraulica infatti permette
di estrarre il gas incastrato in microbolle all’interno di rocce porose di origine
argillosa dette scisti. L’estrazione tradizionale non lo permetterebbe perché la trivella verticale non potrebbe
accedere ai singoli pori. Con il fracking
invece la trivella raggiunge una certa
profondità per poi direzionare orizzontalmente grandi quantità di acqua
ad alta pressione arricchita da sostanze chimiche, producendo una serie di
microsismi che frantumano la roccia e
liberano il gas. Alcune varianti di questi impianti permettono anche l’estrazione di petrolio non convenzionale, di
metano intrappolato nel carbone (Coal
Bed Methane) e di calore per impianti
geotermici.
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Negli Usa la scoperta di questa tecnica ha portato trivelle in 34 Stati. Si è
partiti dall’ovest: New Mexico, Colorado, Texas, Wyoming, Oklahoma. Poi a
sud: Arkansas, Louisiana, Alabama. Ed
infine le trivelle sono arrivate a est, negli Stati di New York, Ohio e South Virginia, dove è situato il megagiacimento
di gas “Marcellus”. Tuttavia le popolazioni nordamericane hanno cominciato
a fare pressione contro il fracking ed in
alcuni casi sono riuscite a farlo bandire:
Los Angeles l’ha recentemente vietato,
e ciò era già avvenuto in altre 4 città nel
Colorado nel 2013, e ancora prima nel
maggio 2013 lo ha fatto una contea del
New Mexico, mentre negli stati di New
York, Vermont e Hawaii si stanno portando avanti delle moratorie sul tema
che per il momento hanno bloccato l’attività delle trivelle in attesa di dati più
approfonditi. La motivazione di questa
opposizione è presto chiara: vivere vicino alle trivelle è impossibile.
Il problema principale è la contaminazione delle falde: l’acqua iniettata nel terreno per fratturare le rocce
di scisto è arricchita da un numero altissimo di composti chimici per lo più
segreti in quanto protetti da una deroga governativa. Si tratta di condensanti, antigelo, anticorrosivi, battericidi
e funghicidi, riduttori di vischiosità
e chissà cos’altro. Theo Colborn, una
famosa giornalista di inchieste ameri-
cana, cercando tra i dossier e facendo
analisi private è riuscita a identificare 596 di questi composti, calcolando
però la presenza di almeno altri 300. Si
tratta di sostanze pericolosissime per
la salute umana, che creano problemi
neurologici, di sviluppo fetale, lesioni cerebrali, malattie del sangue, del
fegato, dei reni, dei polmoni, sterilità,
cancro. Le fratture estrattive infatti avvengono a livelli generalmente inferiori
rispetto alle falde acquifere e ciò che si
libera, ovvero acqua, gas, composti chimici e radioattività naturale delle rocce
di scisto, va a finire nell’acqua che arriva nei rubinetti delle case.
Nel 2010 Josh Fox, autore del documentario Gasland ha attraversato i
territori trivellati di tutti gli Stati Uniti
per parlare con le comunità rurali che
«
Negli Usa cominciano
i divieti e le moratorie
contro il fracking.
La motivazione
dell’opposizione è
presto chiara: vivere
vicino alle trivelle è
impossibile»
flp magazine 17
prima di lui avevano accettato soldi
dalle imprese estrattive per farle scavare sui propri terreni. Negli Usa infatti
il proprietario di un terreno detiene
anche i diritti sul sottosuolo, diritti che
può vendere separatamente rispetto
a quelli superficiali. Come a tanti altri
americani, a Josh un giorno è arrivata
una lettera che proponeva la vendita di
quei diritti ad una cifra molto appetibile. È così cominciato il suo viaggio tra
le vite distrutte degli abitanti del Texas,
della Pennsylvania, del Wyoming, tra
gente che mai sarebbe disposta a farsi
chiamare ambientalista, o “abbraccia
alberi”, ma che oggi si sente truffata ed
è consapevole di come sia impossibile
tornare indietro. Dai lavandini degli
ospiti di Josh non esce semplicemente
acqua sporca, contaminata, imbevibile,
ma addirittura gas che si incendia appena un accendino viene avvicinato al
rubinetto. L’Epa, l’agenzia governativa
statunitense a difesa dell’ambiente, nel
2004 ha annullato una ricerca sugli effetti del fracking senza un ben chiaro
motivo, nonostante le continue richieste di analisi delle acque da parte dei
cittadini. L’autorizzazione a procedere
fu annullata dal Congresso, e le “ma-
lelingue” sostennero che ciò avveniva
perché 5 dei 7 membri avevano conflitti d’interesse rispetto al mercato
estrattivo. Alla fine le forti spinte da
parte della società civile hanno costretto l’agenzia a iniziare una nuova ricerca
a partire dal 2011, ed entro quest’anno
dovrebbero essere pubblicati dei risultati definitivi. Però per molto tempo le
persone si sono sentite dire che l’acqua
era buona, che sì, magari c’erano dei
composti chimici, ma che non rappresentavano un problema per la salute.
Tuttavia gli stessi ambasciatori di tali
“sentenze senza ricerca” dell’agenzia
governativa si rifiutavano di bere l’acqua a loro offerta: era evidente che la
gente si ammalava.
I problemi non si fermano all’acqua:
l’aria nelle zone adiacenti alle trivelle
è irrespirabile, sia perché il gas si libera incontrastato dalle fratture verso la
superficie, sia perché l’acqua utilizzata
per le fratture viene poi polverizzata al
sole per ridurne i costi di smaltimento.
In questa maniera i composti chimici
presenti si liberano nell’aria: nel Wyoming il Department of Environment
Quality anni fa ha segnalato pericolosi
livelli di ozono, l’O3, che se presente in
atmosfera protegge dai raggi ultravioletti, ma a livello superficiale brucia i
polmoni. Ogni trivellazione necessita
dai 4 ai 28 milioni di litri d’acqua, e della serie di camion cisterna che la portano sul luogo (Josh Fox ne conta circa
600 per ogni pozzo) solo la metà torna
indietro: il resto dell’acqua inquinata finisce nelle falde o seccata al sole.
E pensare che la “rivoluzione del
gas” viene presentata come fase di passaggio nella lotta contro il surriscaldamento globale. Ed infatti la combustione del metano libera nell’aria una
quantità di CO2 inferiore rispetto ai
combustibili fossili. Peccato però che
se il metano non è bruciato, ma liberato
nell’aria come avviene nelle aree adiacenti alle trivelle americane, esso sia un
gas serra 25 volte più pericoloso della
CO2. Un dato semplice, che però nessuno ricorda, e alla fine la produzione di
gas americana è diventata una “rivoluzione verde”, di cui tra l’altro vengono
sottolineati i vantaggi geopolitici. «Il
gas è nostro» tuonano i repubblicani in
televisione, «ci emanciperà dal Medio
Oriente, e ci libererà dal terrorismo».
FRATTURAZIONE IDRAULICA | Come funziona
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flp magazine
EUROPA | Giacimenti di shale gas
Ma il gas non è estratto solo per il se finanziarie che hanno effettuato gli
mercato americano, e qui entra in investimenti iniziali nel settore.
gioco l’Europa.
Per le imprese estrattive invece è diLe estrazioni di gas negli Stati Uni- ventata necessaria la ricerca di nuovi
ti infatti, fatte in maniera capillare e mercati. L’Europa è al primo posto deldistribuita, con trivelle attive per un la lista, visto che si tratta della costola
anno circa e poi spostate poco più in statunitense, l’alleato-colonia del patto
là, superano abbondantemente il con- atlantico. E per essere più precisi disumo interno. Tale surplus energetico venta necessario rubare quote di merè arrivato ad essere un problema vero cato alla Russia. Sempre le solite “malee proprio: la distanza tra l’offerta sem- lingue” ritengono che l’attuale conflitto
pre più abbondante e la domanda so- in Ucraina sia stato fin dal principio
stanzialmente ferma ha prodotto una pilotato dagli Stati Uniti, dal momenbolla speculativa per cui le estrazioni to del colpo di stato interno spacciato
non sono più remunerative. Il prezzo come rivoluzione democratica. Ma vodel gas è sceso e le spese delle impre- lendo glissare su questioni geopolitiche
se estrattive non sono più sostenibili. tanto oscure, è un dato che la reazione
Chi ci ha guadagnato a guardare i conti di Putin a sostegno della Crimea è stasono più che altro le banche e le impre- ta prontamente accolta come un gesto
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inaccettabile da punire con l’embargo
economico. E tale improvvisa isteria
antirussa ha subito prodotto nell’agenda del Congresso statunitense due proposte di legge, che permetterebbero di
approvare fast track (ossia con procedura rapida) l’esportazione in Europa di gas liquido, da ritrasformare qui
successivamente attraverso ulteriori
nuovi rigassificatori. Cory Gardner, uno
dei legislatori repubblicani che sta portando avanti la proposta alla Camera
dei rappresentanti, non ha mancato di
presentarla come una legge a sostegno
della “sicurezza nazionale statunitense”: «opporsi a questa legislazione è
come staccare il telefono in risposta ad
una chiamata d’emergenza dei nostri
amici e alleati». Ma gli alleati sembrano essere più le compagnie estrattive
flp magazine
che i Paesi europei, e l’obiettivo sembra
più risolvere il problema dell’eccedenza di gas, creando in Europa un nuovo
rapporto di dipendenza energetico,
che salvaguardare l’autonomia della
Crimea. E quest’obiettivo implica la costruzione di un’infrastruttura grandissima, il cui costo secondo Naomi Klein
si aggirerebbe intorno ai 7 miliardi. Un
sistema di gasdotti, navi da trasporto,
postazioni di compressione e rigassificatori la cui realizzazione impiegherebbe anni per essere terminata e quindi
incapace di dare una risposta tempestiva al problema attuale. Problema che
tra l’altro negli ultimi giorni sembra
riassorbirsi, davanti ai tentativi di Putin di non apparire condizionante nei
confronti delle popolazioni crimeane e
del loro referendum.
Ma il gas americano potrebbe entrare nei nostri mercati anche in un’altra maniera: attraverso il Ttip, Transatlantic Trade and Investiment Partnership, un patto commerciale la cui
stipula fortemente contestata è ancora
in corso, che prevede l’abbattimento
di ogni barriera commerciale, tariffaria e non, tra le due sponde dell’Atlantico. L’obiettivo di questo negoziato
sarà allora quello di armonizzare le
regolamentazioni in materia di commercio internazionale di Usa e Ue, che
differiscono soprattutto in materia di
protezione sanitaria, alimentare, di
diritto d’autore e del lavoro. Un’armonizzazione che ovviamente spingerà al
ribasso la parte con sistemi di controllo e di tutela del consumatore/lavoratore maggiori, ossia l’Unione Europea.
Nel caso in cui questa partnership
venisse approvata, gli Stati che non
adattassero le proprie normative a
quelle statunitensi potrebbero essere
citati in giudizio dalle multinazionali,
all’interno di tribunali internazionali
che processerebbero a porte chiuse e
senza possibilità di appello. Il risultato
finale non sarà semplicemente la liberalizzazione degli scambi, ma l’ottenimento di un nuovo ruolo egemonico
da parte degli Stati Uniti verso i paesi
della zona euro. E nei nostri mercati
vedremo entrare Ogm, carni cresciute
ad ormoni e trattate col cloro, nonché
GRAN BRETAGNA | Proteste contro il fracking
lo shale gas americano, completo di trario e le opposizioni locali sono già
tecnica estrattiva.
sul piede di guerra, poco convinte dalle
royalties e dalle donazioni alle comuLa Commissione Europea infatti nità promesse dalle aziende del gas. La
non ha ancora preso una posizione uni- Polonia è sulle stesse posizioni della
voca nei confronti del fracking, e forse Gran Bretagna, nel tentativo di emannon lo farà mai, lasciando ad ogni Stato ciparsi dalle importazioni russe. In
una propria autonomia decisionale. In Francia e in Germania una moratoria
Gran Bretagna ad esempio il governo impedisce il fracking a partire rispettidi Cameron ha autorizzato le estrazioni vamente dall’ottobre e dal marzo 2011,
tramite fratturazione idraulica: si ritie- in vista di analisi più approfondite. In
ne ci siano 1.300 miliardi di metri cubi Italia ufficialmente non esistono prodi shale gas intrappolati sotto le rocce getti di fratturazione idraulica, sebbene
britanniche. Tuttavia secondo un son- una tecnica ad iniezione simile sia usadaggio l’82% dei cittadini inglesi è con- ta per stoccare il gas nei vecchi pozzi
esauriti. E tuttavia secondo Maria Rita
D’Orsogna, una docente di fisica consulente de Il Fatto Quotidiano sul tema del
fracking, esisterebbero dei casi: nell’a“Il gas è nostro”
prile 2013, nel corso della North Africa
tuonano i repubblicani Technical Conference and Exhibition al
Cairo, l’Eni avrebbe presentato un lavoin televisione, “ci
ro, sostenendo di aver “rivitalizzato” un
emanciperà dal Medio
pozzo di gas già sfruttato vicino Lucera
Oriente, e ci libererà
(Foggia) tramite una serie di nuove tecniche, tra cui la fratturazione idraulica
dal terrorismo”. Ma
e l’uso di fluidi “energizzanti” a base di
il gas non è estratto
zinconati. La notizia è reperibile solo
solo per il mercato
sul sito della Society of Petroleum Engineers, mentre non ve ne è traccia sui
americano, e qui entra
siti ministeriali, per i quali il fracking
in gioco l’Europa.»
in Italia ancora non esiste. Tuttavia ci
sono spinte per una fratturazione no-
«
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19
20 flp magazine
«
Il risultato finale del
TTIP non sarà un
nuovo ruolo egemonico
degli Stati Uniti verso i
paesi della zona euro.
E nei nostri mercati
entreranno Ogm, carni
cresciute ad ormoni
e trattate col cloro,
nonché lo shale gas
americano, completo
di tecnica estrattiva»
strana. Ad esempio c’è Giuseppe Recchi, presidente uscente di Eni e nuovo
presidente Telecom, che ha scritto un
libro sul fracking, sebbene poi si sottragga alle domande dei giornalisti
di Report dicendo di non essere un
esperto. Nei suoi scritti Recchi si limita infatti a rimproverare l’Europa e
l’Italia di aver perso l’ennesimo treno
verso la crescita a differenza del suo
partner d’oltreoceano. Nel suo libro
riferimenti al problema del surriscaldamento globale o ai patti internazionali contratti in merito alla riduzione
della CO2 prodotta non ve ne sono,
mentre le fonti energetiche rinnovabili diventano spese inutili che alzano il
costo dell’energia. A sostenere lo shale
gas nostrano al suo fianco c’è Giuliano Amato, anche lui critico rispetto
agli «eccessivi» finanziamenti che in
passato sono stati destinati alle fonti
rinnovabili (tuttavia non utilizzati per
sviluppare tecnologie italiane, ma per
comprarne di asiatiche già pronte),
ma invece positivo per quel «po’ di gas
italiano disponibile». Intanto Carlo
Doglioni, presidente della Società Geologica Italiana, sostiene che il fracking
in Italia non c’è perché non esistono
riserve economicamente rilevanti di
shale gas e perché non è previsto dal
Governo nel Piano di Strategia Energetica Nazionale.
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GRAN BRETAGNA | Immagine da Gasland (Foto di Josh Fox 3)
Vedremo che succederà e chi ha
ragione, se i pessimisti o gli ottimisti.
Anche perché le estrazioni dal fondale
del mar Adriatico sembrano far gola a
molti, e la concorrenza tra confinanti è
agguerrita. Si può sperare che l’eventuale approvazione del Ttip, contestata fortemente a Bruxelles il 15 maggio nel corso dell’European Business
Summit, non permetta alle imprese
petrolifere di livellare le legislazioni europee su quelle statunitensi in
questo settore. Si può sperare che lo
stesso Ttip non venga approvato e che
l’Europa si emancipi dalle politiche
commerciali degli Stati Uniti. In fondo
il progetto iniziale dell’Unione Europea verteva sulla necessità di diventare più forti e resistenti verso le altre
economie. Ma oggi l’Unione Europea
sembra una strategia ideologica per
giustificare l’austerity, e gli Stati Uniti
sono più presenti che mai. �
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FORTEZZE
Diritto sulla carta
contro prassi effettive
L’ambiguità europea nelle politiche
sui migranti
Natascia Silverio
AMBURGO | Europa vergognati. Lampedusa è qui per restare. (Foto di Lampedusa in Hamburg)
I
n un’intervista raccolta nel suo
studio legale a Roma, l’avvocato Salvatore Fachile ci ha parlato
delle politiche che l’Europa attua nei
confronti dei migranti, coloro che si
muovono dal loro paese d’origine per
cercare altrove un futuro migliore o
per fuggire da guerre e persecuzioni. Membro del Consiglio Direttivo
dell’ASGI (Associazione per gli Studi
Giuridici sull’Immigrazione), Salvatore Fachile non esercita solamente la
sua professione ma è anche ricercatore giuridico nell’ambito del diritto
dell’immigrazione e della protezione
internazionale, dei minori stranieri
non accompagnati e della tratta degli
esseri umani; un’altra importante atFirst Line Press
tività è quella di formatore all’interno
di master universitari e corsi per operatori del settore. Quelle che seguono
sono le sue opinioni sul sistema giuridico italiano e europeo che, per quanto riguarda i migranti, getta ombre di
ipocrisia sul concetto di democrazia e
libertà di movimento.
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22
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ASGI | Salvatore Fachile (Foto di SenzaConfine)
Qual è l’atteggiamento dell’Italia
e dell’Europa rispetto ai migranti da
un punto di vista giuridico?
«Ormai da decenni l’Europa viola i
diritti fondamentali dei cittadini stranieri, siano essi migranti economici oppure richiedenti asilo. In questo senso,
la normativa dei vari stati europei tende ad assomigliarsi e non fa altro che
ricalcare, perlomeno a grandi linee, le
normative delle altre nazioni “ricche”.
L’Europa costruisce sostanzialmente un meccanismo di chiusura: quasi
totale nei confronti dei migranti economici, non dichiaratamente palese per
quanto riguarda i richiedenti asilo. Per
moltissimi di questi ultimi il meccanismo diventa di esclusione, poiché li si
spinge a non ricercare la protezione internazionale in Europa.
Nel caso dei migranti che non intendono richiedere asilo, prevale l’idea per
cui un cittadino proveniente da un paese non comunitario puó accedere all’Europa - quindi ai suoi singoli paesi - solo
qualora abbia un visto, cioè un’autorizzazione per l’ingresso concessa soltanto per motivi tassativi e dopo una serie
di minuziosi controlli. In questo modo
vengono escluse le persone indesiderate, tutte quelle che non vengono espressamente e individualmente autorizzate,
permettendo l’ingresso solo a coloro
che in qualche modo possono essere
utili per l’Europa stessa.
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Esistono anche altri tipi di visto in
Italia (per lavoro tramite “decreto flussi”, per turismo ecc.) ma il loro ottenimento è sempre subordinato a regole
rigide e macchinose. Senza descrivere
tutto il sistema, l’impressione che ne deriva è quella di una filosofia di esclusione, che contrasta con l’idea stessa della
libertà. Tutte le democrazie europee nascono da un’idea di pari dignità degli uomini, che peró trova applicazione molto
spesso solo nei confronti dei cittadini
europei. Da un punto di vista giuridico,
il concetto della Fortezza Europa che
tende a chiudere i propri confini risulta
assurdamente in contrasto con lo sviluppo del diritto europeo, il cui processo
di evoluzione dura da secoli.
tà di inoltrare domanda di protezione
internazionale; esse vengono respinte
verso paesi molto pericolosi, tra cui
la Libia, condannata sistematicamente per le violazioni dei diritti umani e
neanche firmataria della Convenzione
di Ginevra. Paesi di questo genere non
hanno evidentemente subito minacce
economiche o di altro genere che potessero scoraggiarli nei loro comportamenti.
Purtroppo, l’Italia stessa ne è una
dimostrazione. Siamo stati più volte
ripresi e condannati per questa nostra
sistematica prassi di respingimento da
Lampedusa e presso le frontiere adriatiche. Disponiamo di numerosi rapporti che dimostrano che a molte persone
Per quanto riguarda i richiedenti in arrivo non viene data la possibilità di
asilo, invece, si puó dire che l’approccio fare richiesta di asilo politico.
europeo è formalmente più corretto. È
comunque garantita – almeno in teoria Il respingimento è forse lo struuna possibilità di entrare in Europa e di mento più drammatico per negare querichiedere protezione internazionale. Il sto diritto. Ma ne esistono anche altre
tutto è condotto peró con dei limiti giu- forme: come ora accade con l’operazioridici e con tali violazioni sistematiche ne Mare Nostrum, i migranti vengono
della stessa normativa europea da risul- aiutati in mare a raggiungere i porti
tare fortemente compromesso».
italiani ma in seguito subiscono un respingimento differito, cioè una sorta di
Quali sono questi limiti?
decreto di espulsione, che molto spesso li costringe a presentare domanda di
«L’Europa evita di offrire un’oppor- protezione internazionale all’interno di
tunità concreta d’ingresso ai cittadini
di paesi in guerra, dove si corre un rischio reale per la propria incolumità;
lascia che i richiedenti asilo raggiungano il suo territorio a proprio rischio e
Una società veramente
pericolo.
democratica e civile
«
Da questo punto di vista una società veramente democratica e civile
non soltanto dovrebbe consentire, al
momento dello sbarco o dell’attraversamento della frontiera, la possibilità
di chiedere protezione internazionale
ma anche coadiuvare le persone in fuga
a rifugiarsi in un posto sicuro. Inoltre,
nella prassi, il comportamento dell’Italia, della Grecia e di Malta ci dimostra
che l’atteggiamento dell’Europa è ambiguo: da una parte si tollerano certe
pratiche, dall’altra queste vengono
fortemente criticate. Si prendano come
esempio i respingimenti collettivi: alle
persone in arrivo è negata la possibili-
non soltanto dovrebbe
consentire, al momento
dello sbarco o
dell’attraversamento
della frontiera,
la possibilità di
chiedere protezione
internazionale ma
anche coadiuvare
le persone in fuga a
rifugiarsi in un posto
sicuro»
flp magazine
un CIE tramite una procedura accelerata. Ció aggrava la situazione e porta alla
vera e propria espulsione in caso di esito negativo ancor prima che il giudice
adibito si esprima sulla legittimità del
diniego.
La drammaticità di questa situazione è sottolineata dalle prassi ma
soprattutto dall’atteggiamento dell’Europa, che non mostra una reale volontà
di imporre il rispetto della propria normativa. Allo stesso tempo, ci si guarda
bene dal prevedere un sistema di accoglienza equilibrato per i richiedenti asilo, togliendo loro ogni voce in capitolo.
libertà di movimento esclusivamente
per motivi di tipo amministrativo, non
in seguito al compimento di un reato o
alla dimostrazione di una qualche pericolosità per l’ordine pubblico. In Italia,
tra l’altro, la facoltà di detenere queste persone non è delegata neppure a
un’autorità effettivamente giurisdizionale ma soltanto a un giudice di pace.
Si punisce così colpendo la libertà personale.Ció contravviene ai principi di
base del diritto moderno che prevedono che quest’azione possa essere compiuta solo come misura residuale, come
estremo rimedio – un momento in cui
lo stato, quasi con pudore, è costretto a
eseguirla per garantire i beni giuridici
più importanti degli altri concittadini.
I migranti economici vengono quindi
considerati passibili di una limitazione della propria libertà personale solo
perché non hanno un permesso di soggiorno valido e non sono più utili per il
meccanismo economico della società».
Si scarica sui paesi di confine (Malta, Grecia, Italia, ecc..) il peso più grande
relativo alla prima accoglienza. Risulta
veramente illogico trascurare completamente l’interesse nel presentare
domanda d’asilo in un paese diverso
da quello di primo arrivo: un migrante
puó avere anche un forte legame dovuto alla lingua, alla comunità, all’attività In Italia, tra l’altro, si sta pensando
economica avviata da amici e parenti di riaprire alcuni CIE che erano stati
già presenti su quel territorio.
chiusi…
Continuare a negare del tutto la rilevanza giuridica dell’interesse del richiedente asilo significa dare prova che
l’Europa è governata dai paesi più forti,
che coincidono territorialmente con
i paesi interni. L’Italia in questo senso
dimostra la sua incapacità di imporre
ai Paesi UE più ricchi alcune modifiche,
che potevano essere effettuate in particolare l’anno scorso sul regolamento
Dublino».
«
Da un punto di vista
giuridico, il concetto
della Fortezza Europa
che tende a chiudere
i propri confini
risulta assurdamente
in contrasto con lo
sviluppo del diritto
europeo, il cui processo
di evoluzione dura da
secoli.»
«Nel giro di poco tempo, probabilmente verrà riaperto il CIE di Milano
ma anche altri centri che erano stati
chiusi. Nonostante gli sforzi di una piccolissima parte della società civile, una
limitazione al funzionamento dei CIE
(almeno in Italia), si è registrata solo
a seguito delle proteste dei migranti
che si sono concretizzate anche in un
danneggiamento delle strutture. Non
AMBURGO | Occupazione di una vecchia scuola a Karolinenviertel per creare il
Refugee Welcome Center (Foto di md-protestfotografie.com)
Esistono particolari metodi per negare i diritti fondamentali?
«Alla luce di queste riflessioni, non
si puó negare che l’Europa cerchi di
mantenere il principio dell’esclusione con strumenti violenti che spesso
contrastano con altre conquiste, come
quella della libertà personale. L’esempio sicuramente più eclatante è rappresentato dai CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione). Chiamati in modo
diverso nei vari paesi europei, seguono
tutti sostanzialmente lo stesso principio: privare un migrante della sua
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24 flp magazine
si è verificata una presa di posizione
politica, né la società civile è riuscita
a conquistare qualcosa: la chiusura di
alcuni CIE ha rappresentato semplicemente un fatto logistico dovuto all’esasperazione dei migranti trattenuti.
Purtroppo, non si riesce a intravvedere nessuna speranza concreta per una
scelta politica che operi un’inversione
dell’ottica con la quale sono considerati i migranti privi di permesso di soggiorno. Con queste azioni, si è tradito lo
spirito di democrazia dell’Europa per
creare un insieme di paesi che somiglia
sempre più ad un luogo chiuso, in cui
le persone straniere non sono considerate come esseri umani in quanto tali
ma ammesse esclusivamente nel caso
possiedano una funzione. È un sistema
teso più alla convenienza e al funzionamento economico piuttosto che al
rispetto dei diritti e dei principi di democrazia di cui ci vantiamo essere tra i
principali portatori nel mondo».
«
Purtroppo, non si
riesce a intravvedere
nessuna speranza
concreta per una
scelta politica che
operi un’inversione
dell’ottica con la quale
sono considerati
i migranti privi
di permesso di
soggiorno»
messi in atto dai singoli paesi dell’Unione Europea al fine di scoraggiare i
richiedenti asilo e portarli in seguito a
raggiungere uno stato di esasperazione. Un esempio: nel sistema tedesco
essi vengono frequentemente confinati
in luoghi molto lontani dalla città, con
l’obbligo di risiedervi e di non allontanarsi per più di un determinato numero di chilometri. Ció innesca un’attesa
che dura anni, che conduce le persone
a cadere nella disperazione e ad allontanarsi volontariamente. La stessa cosa
avviene in Italia con i CARA (Centri di
Accoglienza per Richiedenti Asilo): il
nostro paese tendenzialmente garantisce l’accoglienza ma confina queste
persone in un luogo “surreale” lontano
dalla città, aspettando velatamente che
se ne vadano di propria spontanea volontà perché esasperati dalle condizioni e dalla lentezza dei procedimenti. Il
caso di Castelnuovo di Porto (Roma) è
emblematico.
anch’esso un meccanismo che incatena
le persone nel tentativo a volte infinito
di richiedere protezione internazionale
in un paese dove esse non hanno interesse di farlo. Affermare l’idea per cui
un cittadino non comunitario chiede
Lo Stato italiano dà dimostrazione
Anche il regolamento Dublino protezione all’Europa e non al singolo
puó essere considerato uno stru- paese dove sbarca sarebbe un principio di questo desiderio non dichiarabile
mento simile a quelli di cui parlavi di civiltà giuridica; il sistema Europa quando lascia che le persone vengano accolte, come in questo periodo,
in precedenza?
andrebbe inteso come unitario.
ma non identificate per poter di fatto
«Sì, il regolamento Dublino nega
Sono da considerarsi inoltre asso- aggirare il regolamento Dublino. La
i diritti fondamentali e rappresenta lutamente deprecabili alcuni strumenti stessa situazione si è verificata anche
AMBURGO | La libertà di movimento è un diritto di tutti (Foto di md-protestfotografie.com)
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con i richiedenti asilo sopravvissuti
alla tragedia del 3 ottobre 2013. Queste persone sono rimaste sul territorio
per più di un mese senza che fossero
loro prelevate le impronte digitali, per
poi essere inviate a Roma e accolte dal
sindaco Marino. Si sono date alla fuga
pochi giorni dopo, senza lasciare traccia, e probabilmente si trovano ancora
sul territorio italiano alla disperata
ricerca di fondi per poter riuscire a
raggiungere i paesi del Nord Europa».
Quali sono le attività dell’ASGI?
«L’ASGI è composta da una vasta
rete sul territorio italiano di avvocati e giuristi (quasi 300), che lavorano
in modo volontario contribuendo alla
sua principale attività: contribuisce
alla costruzione del sapere giuridico
sull’immigrazione tramite approfondimenti, redazione di documenti e formazione.
Inoltre viene condotto anche un
lavoro parallelo e complementare di
influenza sugli organi legislativi e esecutivi italiani/europei allo scopo di
migliorare il sistema giuridico e/o di
assicurare un maggiore rispetto delle
regole che già esistono.
L’ASGI rappresenta spesso un referente per gli organi dell’Unione
Europea e del Consiglio Europeo, segnalando continuamente le carenze
del sistema giuridico italiano; proponiamo modifiche e siamo tra i sostenitori dell’abolizione del regolamento
Dublino in favore della creazione di un
sistema d’asilo comune europeo.
Per approfondire |
Il sito dell’ASGI (www.asgi.it) presenta una serie di
materiali molto utili (consultabili agevolmente anche
dai non addetti ai lavori) per comprendere la legislazione sull’immigrazione e le sue criticità: archivio dei
comunicati stampa, segnalazioni e commenti di facile
comprensione. Ma anche schede pratiche ed elementi
più complessi, destinati ai giuristi. E’ possibile anche scaricare un importantissimo documento, pubblicato nel
2012: Il diritto alla protezione. Qui l’ASGI, insieme ad
altre organizzazioni, ha fatto il punto della situazione in Italia sul rispetto delle norme che riguardano la
L’ASGI, infine, non si propone solamente di orientare il pensiero politico
ma anche di offrire mezzi tecnici nel
momento in cui si presenta la possibilità di emanare una nuova norma». �
procedura di richiesta della protezione internazionale
e sulle criticità dell’accoglienza dei richiedenti asilo. È
una manuale di facile lettura, molto vasto, attraverso
il quale si possono comprendere alcuni problemi in maniera particolarmente dettagliata.
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MOVIMENTI/1
Perché i giovani europei
non si rivoltano più?
Negati i sogni di istruzione e lavoro,
i giovani sono stati privati di energia
ribelle. Ma la loro rabbia sta crescendo.
Costas Lapavitsas e Alex Politaki
N
vita sociale ed economica. I giovani
sono stati in gran parte assenti dalla
politica, dai movimenti sociali e persino dalle spontanee reti sociali che
hanno affrontato la parte peggiore
della catastrofe. Nel quinto anniversario degli eventi del 2008, solo qualche centinaio di giovani ha manifestato nei centri urbani greci. Non c’era
nessuna tensione, nessuna passione,
nessun sentimento: solo processioni
stanche che ripetevano slogan ben
Alla fine del 2009 è parso chiaro noti. Dove erano i diciassettenni di
che la Grecia aveva vissuto in un pe- cinque anni fa?
riodo di falsa prosperità e fosse in
Esempi simili possono essere oseffetti in bancarotta. Il paese è poi
caduto nella morsa della troika: UE, servati in diversi altri paesi europei,
FMI e la Banca Centrale Europea. A anche se forse non così estremi. Cosa
seguito delle severe misure di auste- stanno facendo i giovani del Portorità nel 2010-11, vi furono, ancora, gallo mentre le strutture sociali del
manifestazioni di massa e scioperi paese continuano a crollare? Dov’è la
che si conclusero con il “movimento gioventù della Francia mentre il paese
delle piazze” - proteste contro la di- scivola ulteriormente in stagnazione
struzione della vita privata e sociale. I ed irrilevanza? E, più vicino a casa,
giovani erano di nuovo l’elemento che dove sono i giovani britannici mentre
prevaleva, dando entusiasmo e spirito il governo di coalizione ha perseverato con le sue politiche di austerity?
al movimento.
el dicembre del 2008, ad Atene, un “agente della sicurezza
speciale” uccise un giovane
studente, scatenando manifestazioni,
scioperi e sommosse. I giovani erano
nella prima linea delle proteste, in un
paese con una lunga tradizione di partecipazione dei giovani nei movimenti
sociali e politici. Vari commentatori in
quel momento parlavano di una “ribellione giovanile”.
La risposta sembra essere che la
Poi non ci fu nulla. Quando il disastro economico e sociale ebbe inizio gioventù europea è stata colpita da un
nel 2012 e nel 2013, i giovani della “doppio smacco” legato al problemaGrecia sono diventati invisibili nella tico accesso all’istruzione e dall’au-
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mento della disoccupazione, costringendo i giovani a fare affidamento sul
sostegno della famiglia e limitando
così la loro indipendenza. Incerti per
il futuro, preoccupati per lavoro e alloggio, i giovani d’ Europa non hanno
fiducia nei partiti politici. Significative parti di loro sono state già attratte
dalle estremità nichiliste dello spettro
politico, compresi vari tipi di anarchismo e fascismo. La sinistra, tradizionalmente una casa per le radicali
aspirazioni dei giovani, ha perso il suo
fascino.
Take education. Come la crisi greca
si è intensificata, un gran numero di
Il professor Costas Lapavitsas, School of
Oriental and African Studies di UNCTAD
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studenti sono stati costretti ad accelerare o addirittura ad interrompere
i loro studi. Non ci sono rilevanti indicatori ufficiali di queste tendenze,
ma prove empiriche abbondano e si
sposano con le altre statistiche complessive. Nel 2008 le famiglie greche
hanno speso, in media, il 17 % del
loro reddito disponibile nell’istruzione e le famiglie a basso reddito oltre il
20 %. Questa era già una percentuale
elevata, che riflette l’importanza tradizionalmente posta sull’istruzione
scolastica nella società greca. Quando si è aperta la crisi e nel corso dei
cinque anni successivi la percentuale
è raddoppiata, rendendo l’istruzione
un peso insostenibile.
L’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo ha
riferito che, nel 2011, il 15 % delle
persone di età compresa tra i 15 e i
29 anni non stava studiando, non era
occupata né si stava formando professionalmente. In Grecia, Irlanda, Italia
e Spagna questa percentuale era del
20%, e gli ultimi dati dell’UE indicano
che nel 2012 le cose peggiorarono nei
tre paesi del sud.
Le condizioni sono ancora più
dure rispetto al lavoro. La disoccupazione giovanile in Europa è leggermente sotto del 25 %, già un numero
enorme, mentre in Grecia e in Spagna
ha raggiunto cifre incredibili, in prossimità del 60 %. Il collasso dell’occupazione giovanile non è chiaramente
il risultato di un maggior numero di
giovani in cerca di occupazione, dal
momento che il numero di giovani in
Europa, come percentuale della popolazione, sta diminuendo rapidamente.
La disoccupazione giovanile è in aumento perché le economie europee
non riescono a generare un numero
significativo di posti di lavoro. Per coloro che hanno meno di 25 anni non ci
sono posti di lavoro nei paesi del sud
e ne rimangono pochi decenti in quelli
del nord. La disoccupazione giovanile
di massa è una realtà in tutta Europa e
le cose sono tutt’altro che rosee anche
in Germania, la presunta vincitrice
degli ultimi anni.
«
massiccio accumulo di cupa rabbia in
tutta Europa, con esiti imprevedibili.
Coloro che hanno a cuore lo sviluppo
sociale ne prendano atto. �
Nel quinto
anniversario degli
eventi del 2008, solo
qualche centinaio di
giovani ha manifestato
nei centri urbani greci.
Non c’era nessuna
tensione, nessuna
passione, nessun
sentimento: solo
processioni stanche
che ripetevano slogan
ben noti. Dove erano
i diciassettenni di
cinque anni fa?»
traduzione a cura di
Andrea Leoni
Il doppio smacco sembra aver
minato l’energia ribelle dei giovani,
costringendoli a cercare un maggior
aiuto finanziario dai genitori, sia per
l’alloggio che per la vita quotidiana.
Questa tendenza è alla radice dell’attuale paradosso dei giovani in Europa.
C’è poca povertà estrema, e i giovani
sono relativamente protetti e ben formati, ma il loro lavoro non è apprezzato, i loro sogni di istruzione sono
negati e la loro indipendenza è limitata. Di conseguenza la frustrazione è
cresciuta. Eppure non si riesce a trovare uno sfogo nei partiti tradizionali,
compresa nella sinistra, che risulta a
molti giovani troppo timida. Anche in
Grecia, dove l’opposizione ufficiale di
Syriza - il partito della sinistra - si sta
preparando per il governo, i giovani
guardano con diffidenza ad un partito
che non sembra disposto a prendere
provvedimenti radicali.
Problemi che non possono continuare indefinitamente lungo queste
linee. La frustrazione sta crescendo
sia tra i giovani che tra i loro genitori.
Ma se chi fa politica rifiuta di riconoscere il problema, il gran cambiamento potrebbe essere tardato per un
lungo periodo. Il risultato sarebbe un
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28 flp magazine
MOVIMENTI/2
Prendersi troppa cura.
Questa è la maledizione
delle classi lavoratrici
Perché la logica di fondo dell’austerity
è stata accettata da tutti? Perché la
solidarietà è arrivata ad essere vista
come una piaga
David Graeber
Q
uello che non riesco a capire
è: perché non ci sono persone
che si rivoltano nelle strade?”
Ho sentito questo, di tanto in tanto,
da persone di estrazione sociale ricca
e potente. C’è una sorta di incredulità.
“Dopo tutto,” sembra di leggere tra le
righe, “urliamo al sanguinoso omicidio,
quando qualcuno minaccia i nostri paradisi fiscali; se qualcuno dovesse badare alla mia possibilità di avere cibo
o riparo avrei sicuramente dato fuoco
come nell’inferno a banche ed infestato
parlamenti. Cosa c’è di sbagliato in queste persone?”.
continue sofferenze hanno conquistato qualsiasi accettazione da parte della
classe operaia, e addirittura il supporto, in cambio di nulla?
Penso che la stessa incredulità con
cui ho iniziato, fornisce una risposta
parziale. La classe lavoratrice può essere, come stiamo incessantemente
ricordando, meno meticolosa su questioni di diritto e di buone maniere rispetto ai loro “scommettitori”, ma sono
anche molto meno auto-ossessionati. Si
preoccupano di più dei loro amici, delle
loro famiglie e dalla loro comunità. Nel
complesso, quantomeno, sono fondaÈ una buona domanda. Si potrebbe mentalmente più carini.
pensare che un governo che ha inflitto
In una certa misura questo sembra
tanta sofferenza su coloro che hanno
meno risorse per resistere, senza nem- riflettere una universale legge sociomeno far girare l’economia attorno, logica. Le femministe hanno da tempo
sarebbe stato a rischio di suicidio po- sottolineato che coloro che si trovano
litico. Invece, la logica di base dell’au- nel fondo di ogni diseguale ordinamensterity è stata accettata da quasi tutti. to sociale tendono a pensare, e quindi
Perché? Perché i politici promettendo si preoccupano, di quelli della parte
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superiore, di più di quanto quelli che
sono in cima pensano, o se ne prendono cura, di loro. Le donne in tutto il
mondo tendono a pensare, e a sapere
di più, della vita degli uomini rispetto
a quanto gli uomini fanno con le donne,
proprio come i neri ne saprebbero di
più sui bianchi, i dipendenti dei datori
di lavoro e il povero del ricco.
E gli esseri umani essendo le creature comprensive che sono, fanno sì che
la conoscenza porti alla compassione. I
ricchi e potenti, nel frattempo, possono
rimanere ignari ed indifferenti, perché
possono permetterselo. Numerosi studi psicologici lo hanno recentemente confermato. Quelli nati da famiglie
operaie ottengono un punteggio invariabilmente di gran lunga migliore,
nelle prove che misurano i sentimenti
verso gli altri, rispetto ai rampolli dei
ricchi, o alle classi professionali. In un
certo senso è sorprendente. Dopo tutto, questo è in gran parte ciò che signifi-
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ATENE | 6 Dicembre 2012 - Prima linea per una manifestazione contro l’austerity e per il ricordo di Alexis Grigoropoulos (Foto di Andrea Leoni)
ca essere “potenti” : non dover prestare
molta attenzione a ciò che le persone
intorno pensano e provano. Il potere
designa altri che lo facciano per loro.
E chi designano? Soprattutto i
bambini delle classi lavoratrici. Qui
credo che tendiamo ad essere accecati
da un’ossessione (oserei dire, da una
romanticizzazione?): il lavoro in fabbrica è visto come il nostro paradigma
del “vero lavoro” in quanto abbiamo
dimenticato in cosa attualmente consista la maggior parte del lavoro umano.
Anche nei giorni di Karl Marx o
di Charles Dickens, i quartieri operai
erano abitati da molti più camerieri,
lustrascarpe, spazzini, cuochi, infermieri, tassisti, insegnanti, prostitute e
venditori ambulanti che lavoratori del-
le miniere di carbone, delle fabbriche
tessili o delle fonderie di ghisa. Tanto
più oggi. Quello che noi pensiamo del
modello del lavoro femminile – curare
le persone, ricercare i loro desideri e i
loro bisogni, spiegare, rassicurare, anticipare quello che il capo vuole o sta
pensando, per non parlare della cura,
del monitoraggio e del mantenimento di piante, animali, macchine e altri
oggetti - rappresenta una percentuale molto superiore di ciò che la classe
operaia fa quando lavora martellando,
incidendo, sollevando o raccogliendo
cose.
Questo è vero non solo perché la
maggior parte delle persone della classe operaia sono donne (poiché la maggior parte delle persone in generale è
composta da donne), ma perché abbiamo una visione distorta anche di quello
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che fanno gli uomini. Come recentemente si è dovuto spiegare lo sciopero
dei lavoratori della metro ai pendolari
indignati, infatti, i “ticket takers”, non
passano la maggior parte del loro tempo a prendere i biglietti: trascorrono la
maggior parte del loro tempo a spiegare cose, riparando cose, trovando figli
perduti e prendendosi cura del vecchio,
del malato e del confuso.
Se ci pensate, non è questo ciò per
cui la vita è fondamentale? Gli esseri
umani sono progetti di creazione reciproca. La maggior parte del lavoro che
facciamo è reciproco. Le classi lavorative fanno solo una quota sproporzionata. Sono le classi che si prendono cura,
e lo sono sempre state. È proprio la
demonizzazione incessante dei poveri
da parte di coloro che traggono profitto
dal loro lavoro di cura che rende diffici-
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30
flp magazine
le, in un forum pubblico come questo, della classe operaia o comunità della
di riconoscerlo.
classe operaia. Questa guerra ideologica ha lasciato la maggior parte dei lavoCome figlio di una famiglia operaia, ratori con poca possibilità di esprimere
posso testimoniare che questo è quello quella cura se non per dirigerla verso
di cui siamo stati davvero orgogliosi. Ci qualche astrazione prodotta: “i nostri
hanno costantemente detto che il lavo- nipoti” ; “la nazione” ; sia attraverso il
ro è una virtù in sé - modella il caratte- patriottismo fanatico o gli appelli al sare o qualcosa di simile - ma nessuno ci crificio collettivo.
credeva. La maggior parte di noi vedeva il lavoro come qualcosa che sarebbe
Di conseguenza tutto è lanciato
stato meglio evitare, cioè , a meno che all’opposto. Generazioni di manipolanon ne abbiano tratto beneficio altri. zione politica hanno finalmente traMa del lavoro fatto, che sia costruire sformato quel senso di solidarietà in
ponti o svuotare padelle, si può essere una piaga. Il nostro senso di cura è
giustamente orgogliosi. E c’era qual- stato usato come arma contro di noi.
cos’altro di cui andavamo sicuramente E così è probabile che rimanga fino a
fieri: che eravamo il genere di persone che la sinistra, che reclama di parlare
che si prendevano cura gli uni degli al- a nome degli operai, cominci a pensare
tri. Questo è ciò che ci distingue dai ric- seriamente e strategicamente sopra il
chi che, per quanto la maggior parte di concetto attuale di lavoro, e che colonoi potrebbe far credere, la metà delle ro che vi si dedicano pensino a quanto
volte sono a malapena in grado di pren- esso possa essere virtuoso. �
dersi cura dei loro figli.
C’è una ragione per cui la somma
virtù borghese è il risparmio e quella della classe operaia è la solidarietà.
Questo è proprio la corda da cui tale
classe è attualmente sospesa. C’è stato
un tempo in cui la cura per la propria
comunità avrebbe significato lottare
per la classe operaia stessa. Tornando
a quel periodo eravamo abituati a parlare di “progresso sociale”. Oggi stiamo
vedendo gli effetti di un conflitto senza sosta contro l’idea stessa di politica
«
Quelli nati da famiglie
operaie ottengono
un punteggio
invariabilmente di
gran lunga migliore,
nelle prove che
misurano i sentimenti
verso gli altri, rispetto
ai rampolli dei
ricchi, o alle classi
professionali.»
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traduzione a cura di Andrea Leoni
flp magazine
MOVIMENTI/3
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Dov’è la protesta?
Una risposta a Graeber e
Lapavitsas
Sì, siamo bella gente, e sì siamo stati
indeboliti della nostra energia. Ma i
motivi principali per cui non stiamo
protestando sono più profondi e devono
esser inquadrati immediatamente.
Jerome Roos
L
a scorsa settimana, due commenti apparsi nel quotidiano The
Guardian - uno di David Graeber
e l’altro a firma di Costas Lapavitsas
ed Alex Politaki – pongono sostanzialmente la stessa domanda: dato che
ci troviamo in questo assalto implacabile dei ricchi e dei potenti, perché
non ci sono persone che si rivoltano
nelle strade? Che fine ha fatto l’indignazione? Le viti dell’austerity sono
state solo strette. Allora, dove sono le
proteste? I due pezzi forniscono due
risposte molto diverse alla domanda e
mentre entrambe contengono un’intuizione, in ultima analisi, restano insoddisfacenti.
Prima di passare agli articoli, però,
dobbiamo notare che le cose non sono
andate così male da come sembrerebbe da una rapida occhiata ai titoli. Tor-
nando al 2010-11, la protesta popolare era una novità presente in tutti i
media mainstream. Oggi, la resistenza
è molto diffusa, ma non vediamo più
riportate le notizie. Per fare solo l’esempio più evidente: due settimane fa
Madrid ha visto una delle sue più grandi manifestazioni dall’inizio della crisi,
con centinaia di migliaia di persone
che sono scese in piazza. Nonostante
l’enorme affluenza e i violenti scontri
che sono scoppiati verso la fine della
marcia, i media spagnoli e quelli internazionali hanno scelto di ignorare
sistematicamente l’evento.
David Graeber sostiene che la classe
operaia semplicemente “si preoccupa
troppo”. Con le sue parole: “la classe
lavoratrice [è] molto meno auto-ossessionato [dei ricchi]. Si preoccupano
di più dei loro amici, delle loro famiglie
e dalla loro comunità. Nel complesso,
quantomeno, sono fondamentalmente
più carini”. In un certo senso, Graeber
ha giustamente sottolineato questo
abisso morale. Una recente ricerca ha
prodotto una pletora di prove scientifiche secondo le quali i ricchi - e loro
seguaci “razionali” dei dipartimenti di
economia - sono infatti molto più egoisti della gente comune. Qui ad Atene,
Ci preoccupiamo troppo?
la solidarietà comunitaria e il reciproco aiuto è singolarmente responsabile
Detto questo, c’è l’impressione del mantenimento del tessuto sociale
che le proteste si siano calmate in fre- di fronte a questo egoismo distruttivo
quenza ed intensità dal 2011. Perché di banchieri e politici.
questo? Nel suo articolo, l’antropologo
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flp magazine
ROMA | 14 Novembre 2012 - Gli studenti rispondono al blocco delle forze dell’ordine caschi e scudi a protezione (Foto di Andrea Leoni)
Ma possiamo davvero dedurre da
questa osservazione a tratti moralistica che la gentilezza fondamentale delle
persone che lavorano - in combinazione con lo spostamento del loro senso
di solidarietà in concetti astratti come
quello dell’identità nazionale - fornisca una “risposta parziale” al mistero
delle strade vuote? Tale conclusione
mi sembra un po’ fuori luogo. Dopo
tutto, come Graeber stesso può attestare, c’era un sacco di gente comune
per le strade nel 2011 che costruiva
campi di protesta sulla base della solidarietà. Perché non siamo ancora là
fuori oggi? Siamo improvvisamente
diventati molto più attenti verso il ricco e tanto meno solidali l’uno con l’altro? Che cosa è cambiato? Mi sembra
che dovremmo concentrarci non tanto
sulle virtù morali dei lavoratori, ma
piuttosto sulle cause sociali della natura effimera ed inefficace della protesta contemporanea in sé .
Un doppio smacco economico ?
Qui, l’articolo dell’economista politico Costas Lapavitsas e del giornalista
Alex Politaki - che si concentra in particolar modo rispetto alla contestazione giovanile europea, anche se la loro
domanda è fondamentalmente la stessa di Graeber - fornisce una spiegazione un po’ più dinamica. Secondo Lapavitsas e Politaki “la risposta sembra
essere che la gioventù europea è stata
firstlinepress.org
colpita da un “doppio smacco” legato
al problematico accesso all’istruzione
e dall’aumento della disoccupazione”.
Ciò a sua volta ha “minato l’energia
ribelle dei giovani, costringendoli a
cercare un maggior aiuto finanziario
dai genitori, sia per l’alloggio che per
la vita quotidiana”. Di conseguenza “i
giovani sono stati in gran parte assenti dalla politica, dai movimenti sociali
e persino dalle spontanee reti sociali
che hanno affrontato la parte peggiore
della catastrofe”.
A prima vista, questo argomento
sembra avere qualche merito esplicativo. Un esame più attento però, lo
contraddice nettamente. Già nel 2010-
«
Ciò di cui abbiamo
disperatamente
bisogno in questo
momento è un serio
dibattito all’interno
dei movimenti su
come abbattere
i meccanismi di
controllo neoliberisti
di precarietà, ansia e
inutilità»
11, tutti - compreso Lapavitsas – avevano citato l’aumento della disoccupazione come un fattore determinante
delle proteste. Ora le stesse persone
citano l’aumento della disoccupazione come motivo per la mancanza delle
proteste stesse? Questa spiegazione
sembra fare acqua. Nel 2012, Lapavistas ha scritto che “questa situazione
è chiaramente insostenibile. Porta disoccupazione ... e diffonde disperazione in tutta Europa. Appena l’eurozona
si muoverà a fondo nella recessione
nel 2013, tensioni economiche e sociali sbocceranno in tutto il continente”. A parte il fatto che non è successo,
poiché la zona euro è andata più a fondo nella recessione mentre le strade si
sono svuotate, non è possibile retroattivamente spiegare questo fatto, con
lo stesso ragionamento economicistico, una volta enunciata la previsione
dell’esito opposto, a meno che non si
ipotizza esplicitamente l’esistenza di
una sorta di soglia a partire dalla quale le difficoltà economiche cominciano
a scoraggiare la protesta popolare ma Lapavitsas non lo fa.
Precarietà, ansia, inutilità.
Quindi, a parte il fattore frenante
più immediato delle proteste (cioè la
violenta repressione dello Stato), perché non siamo ancora per le strade?
Vorrei suggerire che, se guardiamo un
po’ più a fondo e ci muoviamo al di là
flp magazine
di mere manifestazioni di superficie,
possiamo individuare almeno tre fattori correlati - tra tutti gli sviluppi a
lungo termine che vengono oggi alla
ribalta - alla base del carattere relativamente effimero della protesta contemporanea:
nel produrre cambiamenti immediati nei risultati politici o nella politica
economica, le persone sono comprensibilmente deluse dalla inutilità percepita della protesta di strada. L’inutilità
- ossia la convinzione che “non ci sia
alternativa” al controllo capitalistico
- diventa così l’arma più importante
1. La totale disgregazione ed atomiz- dell’arsenale ideologico dell’immagizazione del tessuto sociale come con- nario neoliberista.
seguenza della crescita dell’indebitamento e la natura precaria del lavoro
In un prossimo articolo, cercherò
nel capitalismo finanziario, insieme di analizzare questi tre fattori in magcon l’emergere degli apparentemen- gior dettaglio e a fornire una panorate “rivoluzionari” social media e delle mica di ciò che considero le principali
tecnologie di comunicazione, che pos- sfide che i movimenti incontrano nel
sono essere strumenti molto utili di riaccendere l’immaginazione radicale.
coordinamento di proteste, ma che ci Qui, però, voglio limitarmi a sottolinerendono sempre più incapaci di tene- are un punto critico: né la narrazione
re insieme ampie coalizioni popolari. moralistica di Graeber (che contrapL’atomicità sociale del tardo capitali- pone la fondamentale gentilezza dei
smo inibisce lo sviluppo di un senso di lavoratori con l’egoismo dei capitalisolidarietà e rende molto più difficile sti), né la lettura economicistica di Lal’autorganizzazione nei posti di lavoro pavitsas e Politaki (che spiega il calo
e la costruzione di forti e duraturi mo- delle proteste attraverso la difficoltà
vimenti autonomi dal basso.
di accesso ai posti di lavoro e ad una
più elevata istruzione) ci forniscono
2. Il diffuso senso di ansia creato dal molto, in un quadro analitico-stratemantra neoliberista della produttività gico, al fine di aiutare a migliorare la
permanente e connettività costante, resistenza in questa fase di relativa
fattori che mantengono le persone smobilitazione. Ciò di cui abbiamo diisolate e perennemente preoccupate speratamente bisogno in questo mocon le esigenze del momento presente mento è un serio dibattito all’interno
e quindi ostacolando il pensiero stra- dei movimenti su come abbattere i
tegico e organizzativo di base a lungo meccanismi di controllo neoliberisti
termine. Strettamente connesso alla di precarietà, ansia e inutilità - e come
crescita dell’indebitamento e alla pre- adattare di conseguenza le nostre tatcarietà, l’ansia diventa l’effetto domi- tiche di protesta e le strategie organiznante sotto il capitalismo finanziario. zative.
Mentre l’ansia si trasforma facilmente in brevi esplosioni di rabbia, i suoi
Se vogliamo veramente andare
effetti paralizzanti formano anche oltre il momento rivoluzionario del
una barriera psicologica per gli inve- 2011 e la costruzione di un movimenstimenti e per il coinvolgimento nelle to anti-capitalista radicalmente derelazioni inter-personali e nei progetti mocratico che possa effettivamente
sociali a lungo termine.
resistere e cambiare la costituzione
materiale della società, ci sarà biso3. Lo schiacciante senso di inutilità gno di trovare prima di tutto modi per
che le persone sperimentano a fronte disarmare i meccanismi strutturali e
di un nemico invisibile e apparente- ideologici del controllo capitalistico.
mente intoccabile - il capitale finan- Mentre io non pretendo di avere tutte
ziario - che non possono affrontare le risposte facili su come fare ciò – l’ordirettamente nelle strade, né sfidare ganizzazione di base di David Graeber
in maniera significativa in Parlamento è Occupy e il suo diretto coinvolgimeno nel Governo. Sulla scia dell’evidente to nella campagna Strike Debt è molto
fallimento delle recenti mobilitazioni più istruttivo a tal proposito - mi semFirst Line Press
bra che riconoscere la sistemica importanza della precarietà, dell’ansia e
dell’inutilità è un primo passo fondamentale nel processo di rilancio della
resistenza. Solo prendendo di mira
direttamente i meccanismi strutturali,
ideologici e psicologici, che sostengono il dominio del capitale, possiamo
cominciare a recuperare un senso di
solidarietà sociale e di abilità alternative durature e significative contro la
dittatura finanziaria. �
traduzione a cura di Andrea Leoni
per approfondire |
Mobilitarsi per i beni comuni: qualche lezione dall’Italia di Jérôme Roos firstlinepress . org / mobilitarsi - per - i - beni - comuni qualche-lezione-dallitalia/
link agli articoli originali:
http :// www . theguardian . com / commenti sfree/2014/apr/01/europe-young-peoplerioting-denied-education-jobs
http :// www . theguardian . com / commenti sfree /2014/ mar /26/ caring - curse - wor king-class-austerity-solidarity-scourge
roarmag . org /2014/04/ protest - austeri ty-graeber-lapavitsas/
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LAVORO
Chi un’altra Europa se
la fa: la Ri-Maflow
nel segno
dell’autorganizzazione
Andrea Polzoni
L
a Ri-Maflow, azienda di Trezzano
sul Naviglio, nell’hinterland milanese, svenduta a fini speculativi,
produceva pezzi di alta tecnologia per
la BMW. Peccato che il nuovo padrone
non avesse nessun interesse a far continuare l’attività della fabbrica, che alla
fine ha chiuso.
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Una storia come tante. E invece, ma erano lavoratori dipendenti. Hanno
quella della Ri-Maflow, è diversa.
poi creato una cooperativa e autogestiscono le loro nuove scelte lavorative in
Alcuni operai hanno occupato i ca- modo autonomo. Danno vita ad attività
pannoni e, autorganizzandosi, si sono sociali e aggregative restando indipenreinventati una attività lavorativa di ri- denti da sindacati e partiti.
ciclaggio di materiale elettrico ed elettronico all’interno del luogo dove priUn’altra Europa. Veramente.
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BALCANI
La nuova Europa
dalla finestra
balcanica
Crimea come Kosovo? Euroscettici e xenofobi?
Il vecchio continente visto da Belgrado
Giuseppe Ranieri
B
elgrado è stata l’ultima capitale
europea a subire un’aggressione
militare, venendo bombardata da
una forza sovranazionale, la NATO, a cui
vi aderiscono i principali Stati dell’Unione Europea. Uno scontro fratricida che
rappresenta una ferita ancora aperta in
seno alla società serba, una società che
storicamente rappresenta, per lo meno
da un punto di vista geografico, il primo
segno di alterità all’idea occidentale di
Europa.
Ne parliamo con Giorgio Fruscione, redattore di East Journal e di Most,
abitante della capitale serba e profondo
conoscitore della realtà balcanica. Con
lui analizziamo la percezione dell’UE da
questo particolare punto d’osservazione. Analisi che con Fruscione si allunga
anche sulla nuova tragedia che sta insanguinando l’Europa, cioè l’Ucraina,
provando a tracciare analogie e differenze con quanto successe quindici anni fa.
Ciao Giorgio, pensi che a distanza di
15 anni Belgrado e la Serbia abbiano
metabolizzato la ferita dei bombardamenti?
«Le bombe su Belgrado di 15 anni fa,
che rappresentarono “la prima volta”
di un attacco NATO diretto a un Paese
che non minacciava la sicurezza di alcun Paese membro dell’organizzazione,
hanno lasciato una ferita aperta, non
tanto nell’architettura della città (che
conserva solo alcuni dei palazzi bombardati), ma nella testa delle persone.
Uno dei monumenti dedicati al ricordo
della vittime è quello per i 16 impiegati della tv di Stato che morirono nel
bombardamento del 23 aprile ’99 e che
riporta l’incisione “perché?”. Io credo
che questo interrogativo continuerà a
fare parte della popolazione belgradese e serba in generale, non tanto come
avversione alla NATO e appoggio incondizionato verso la propria nazione e
patria (così come vorrebbero speculare
molti politici ”nazionalisti”), ma piuttosto come richiesta di verità e giustizia:
perché a pagare, col sangue e la distruzione di infrastrutture civili, fu il popolo
serbo? Perché si decise di rispondere a
una guerra, quella della “lontana” provincia del Kosovo, con un’altra guerra,
bombardando città come Belgrado e
Novi Sad, da sempre culla di una menFirst Line Press
talità multiculturale tipica di città quali
Berlino o Parigi?
Personalmente credo che sia difficile
capire il dolore di cittadini che si sono
sentiti attaccati in modo unilaterale e
senza possibilità di reagire. Allo stesso
modo credo che Belgrado e la Serbia
non vivano nel rancore. Conserveranno
per sempre il vuoto di quegli anni, fatti
di guerra e terrore, gli anni 90, allo stesso modo in cui la domanda “perché?”
continuerà a non aver risposta.»
Quale ritieni che sia l’atteggiamento
dei serbi nei confronti dell’UE?
«In Serbia l’euroscetticismo è piuttosto diffuso. In particolare, molte
persone, inclusi gli stessi euroscettici,
non credono che la Serbia entrerà mai
nell’Unione Europea, o perlomeno lo
sperano, per molteplici motivi che cercherò di riassumere. Il neo-eletto governo di Aleksandar Vučić ha fatto dell’ingresso in UE il suo principale obiettivo
in politica estera. Il precedente governo
ha già “spianato la strada” affinché il
paese si adegui agli standard europei:
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40 flp magazine
più o meno formale, era stata posta dalla diplomazia UE quale precondizione
necessaria ai negoziati per l’ingresso
nell’Unione Europea. L’accordo di Bruxelles, tra i primi ministri di Serbia e Kosovo, dell’aprile 2013, rappresenta ad
oggi il maggior “successo” in questa direzione. In virtù di questo accordo infatti, nonostante de iure, la Serbia continua
a non riconoscere la sovranità di quella
che continua a ritenere una sua regione.
Belgrado de facto riconosce in modo informale l’indipendenza del sistema politico kosovaro, avendo infatti incentivato
la popolazione serba del Kosovo a recarsi alle urne in occasione delle elezioni
comunali, che avrebbero dato vita alla
“Comunità di Municipalità Serbe” (così
come decretata dall’accordo). Personalmente credo che ci sia un errore di fondo: l’accordo infatti non è stato siglato
da autorità locali che rappresentassero
anche i serbi del Kosovo. Inoltre, molti
serbi avvertono dell’ipocrisia da parte
dell’Alto Rappresentante per la Politica
Estera (Catherine Ashton) dal momento in cui viene chiesto a Belgrado, come
conditio sine qua non, di riconoscere l’indipendenza di una sua regione storica,
BELGRADO | (Foto di Giorgio Fruscione)
quando all’interno della stessa organizzazione che la Ashton rappresenta ben
innanzitutto attraverso piani d’inve- 5 Paesi non riconoscono l’indipendenza
stimento che attirino sempre più com- del Kosovo.»
pagnie straniere, di cui quelle italiane
stanno al primo posto, attraverso piani A proposito di Kosovo, che idea ti sei
di privatizzazione che hanno aperto il fatto sull’applicazione da parte degli
Paese al mercato europeo. Tuttavia, po- organismi sovranazionali del diritto
litiche di questo tipo hanno indebolito all’autodeterminazione dei popoli?
l’economia reale serba: in primis il set«Penso che a livello di organismi intore agricolo, in quanto la competitività
dei prodotti agricoli serbi nel mercato ternazionali quello dell’autodeterminaeuropeo è pressoché annullata; inoltre, zione dei popoli sia un principio difficii piani di privatizzazione hanno aumen- le, non solo da interpretare, ma soprattato il numero di disoccupati e compli- tutto da applicare. La sua nascita risale a
cato ulteriormente il mercato del lavoro, quasi cento anni fa, quando il presidente
dal momento in cui si è ridotta la mobili- americano Woodrow Wilson indirizzò
tà dei lavoratori, che non potranno quin- tale diritto a popoli che non conosceva
di trovare un nuovo impiego. Ad oggi in e che abitavano regioni la cui eterogeSerbia, la percentuale di popolazione neità non poteva essere modificata a
che vive grazie alla pensione è maggiore tavolino. Allora venne impugnato per
difendere i diritti esclusivamente di aldi quella con un’entrata fissa.
cuni popoli, quelli sottomessi ai grandi
Infine, la risoluzione della “questione imperi sconfitti nella Grande Guerra.
del Kosovo”, attraverso la normalizzazio- Allo stesso modo oggi il caso del Kosone dei rapporti tra Belgrado e Prishtina, vo dimostra come agli albanesi abbiano
se non addirittura a un riconoscimento potuto godere di questo diritto e altri
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popoli invece non siano altrettanto idonei per invocarlo, come appunto gli stessi serbi del Kosovo.»
Secondo diversi osservatori, oggi la
Crimea, pur con tutte le dovute differenze, sarebbe il nuovo Kosovo, concordi?
«I due casi sono molto diversi, ma il
motivo per cui vengono paragonati è per
la questione di “legittimità”, che sta alla
base dei due casi: non appena infatti il
Parlamento della Repubblica di Crimea
ha invocato il referendum per unirsi alla
Russia, da un lato c’era chi accusava Vladimir Putin di essere ipocrita nel non
riconoscere l’indipendenza del Kosovo,
mentre dall’altro il presidente russo rispondeva a tali accuse sostenendo che,
proprio sulla base del precedente Kosovo, l’occidente sembra avere la memoria corta. Quel che i due casi hanno in
comune è che entrambi non sembrano
essere in linea col rispetto del diritto
internazionale o perlomeno dimostrano nelle due fattispecie quanto questo
possa diventare soggettivo, perlomeno
“vittima” di logiche geopolitiche tipiche
della realpolitik. Il caso del Kosovo sembra molto più complesso e soprattutto
graduale: il Kosovo venne dapprima,
nel 1989, privato dello status di regione
autonoma all’interno della Jugoslavia,
per poi essere teatro di scontri tra due
fazioni che nel 1998-99 divennero guerra aperta, terminata poi con il bombardamento della Repubblica Federale di
Jugoslavia. Da qui si è poi arrivati alla di-
«
Il muro di Berlino
sarà anche caduto
e la guerra fredda
sarà anche finita
ma mai come allora
stiamo rivivendo sul
nostro continente
una così grande
contrapposizione di
superpotenze»
flp magazine
chiarazione unilaterale d’indipendenza,
non supportata da alcun referendum,
nel febbraio 2008, con l’immediato supporto di tutte le più grandi potenze occidentali, Stati Uniti d’America in primis.
La Crimea invece, che per la Russia non
ha il carico mitologico che ha il Kosovo
per la Serbia, non è passata attraverso alcun conflitto armato, né episodi di
pulizia etnica nei confronti delle minoranze di tatari (17% circa) ed ucraini.
Ad ogni modo, mentre l’interesse statunitense per il lontano e piccolo Kosovo
è divenuto palese dopo la costruzione
della più grande base militare americana del mondo, Camp Bondsteel, l’interesse della Russia per la Crimea è stato
giustificato sì con la tutela della popolazione russa (che ha subito appoggiato
il ritorno dopo 60 anni alla Russia), ma
va inteso principalmente come obiettivo per tutelare la flotta navale sul Mar
Nero, che rappresenta una posizione
strategica fondamentale per la difesa
degli interessi della federazione russa.»
Che idea ti sei fatto più in generale
della vicenda ucraina?
«Credo che la vicenda ucraina sia
la perfetta dimostrazione di come gli
ideali di democrazia ed europeismo da
un lato, con la tutela della popolazione
russa e russofona dall’altro, servano in
realtà a mascherare i movimenti geopolitici delle grandi potenze: UE e USA in
un blocco e sull’altro versante Russia. Il
muro di Berlino sarà anche caduto e
la guerra fredda sarà anche finita, ma
mai come allora stiamo rivivendo sul
nostro continente una così grande
contrapposizione di superpotenze. Il
paragone con la guerra fredda ci viene
suggerito non solo dai grandi interessi
imperialisti che si scontrano per spartirsi l’Ucraina, lì dove questa risulta essenziale per il gas russo, che rifornisce
l’intera Europa, ma anche e soprattutto
per la contrapposizione di idee, ideologie e valori che accompagnano questo scontro. Questo si ripropone sulla
stampa estera. Dopo tanto tempo siamo
tornati ad assistere ad accuse di “nazifascismo”, sia verso il governo non eletto dell’Ucraina del Maidan, sia verso le
mire espansionistiche di Putin.
Personalmente credo che l’Unione
Europea abbia sbagliato ad andare ad
interferire negli affari della Russia, proponendo un accordo non vantaggioso
per l’economia di un partner commerciale quale era l’Ucraina e soprattutto
credo che abbia sbagliato a sostenere
un governo non eletto, imponendo indirettamente la cacciata del legittimo
presidente. Non credo che a Bruxelles
siano stati così ingenui da non poter
prevedere una escalation degli scontri
armati come stiamo vivendo oggi, come
il manifestarsi di diverse frange violente
e nazionaliste, da entrambe le parti, che
ora compongono anche il nuovo esecutivo di Kiev.»
«
Da diversi anni l’UE va
consolidandosi come
gigante economico
le cui politiche sono
intese unicamente
all’allargamento del
proprio mercato. Allo
stesso tempo però non
fa seguito un reale
appoggio politico»
Che si pensa in Serbia a riguardo?
sidente russo ha temuto che ciò potesse
essere accompagnato da un eventuale
allargamento NATO e ha optato per una
“mossa preventiva”, ovvero la riconquista della base militare di Sebastopoli,
attraverso l’annessione della penisola
di Crimea. Nonostante personalmente
non conferirei mai il Nobel per la pace a
Putin, io credo che paradossalmente sia
l’occidente che stia spingendo per allargare i propri interessi “in modo imperialista”, legati soprattutto al bisogno di
indipendenza energetica. D’altra parte
la Russia sta cercando di salvaguardare quello che, sin da Yalta, rappresenta
il nucleo dei propri interessi. La Russia
Quanto pensi abbia influito il muta- di Putin non ha mai preteso di voler dimento degli equilibri geopolitici ed il fendere, in politica estera, democrazia e
ritrovato protagonismo della Russia diritti umani, ma nei confronti degli alputiniana?
tri attori internazionali è sempre stata
chiara: non toccate i nostri interessi.»
«Io credo che da ormai una decina di
anni Putin sia l’uomo politico forte del Molti osservatori internazionali hanmomento. A questa affermazione non no puntato il dito contro quella che
voglio dare una connotazione né positi- hanno apostrofato come l’immaturiva ne negativa. Dal 2000 ad oggi Putin si tà politico-dìplomatica dell’UE, conè dimostrato di essere aperto al dialogo cordi?
come partner economico e politico con
quasi tutti i Paesi europei, le cui eco«L’immaturità politica dell’Unione
nomie infatti dipendono dal gas russo, Europea non è il frutto di scarsa comche attraversa l’Ucraina. Personalmente petenza diplomatica di Bruxelles, ma
penso che la sua politica estera sia det- piuttosto è data dall’assenza di reali
tata principalmente dalla paura di ac- intenzioni per la costituzione di un orcerchiamento di Paesi con basi NATO. La ganismo politicamente forte. Da divervicenda della Crimea rientra proprio in si anni l’UE va consolidandosi come
questa logica: non appena Kiev ha striz- gigante economico, le cui politiche
zato l’occhio all’Unione Europea, il pre- sono intese unicamente all’allar«A Belgrado si pensa bene o male
quanto ho detto sopra. È vero che la
Russia gioca da sempre nell’immaginario serbo il ruolo di “big brother”, sia
per la vicinanza culturale e religiosa,
ma anche per motivi ben più pratici.
Gli accordi che la Serbia ha siglato con
la Federazione Russa sia a livello finanziario, in merito all’inesistenza dei dazi
per i prodotti made in Serbia, che a livello politico, quale l’appoggio nella causa
del Kosovo, impongono che Belgrado si
esprima con cautela a proposito delle vicende ucraine.»
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42 flp magazine
gamento del proprio mercato. Allo
stesso tempo però, alle politiche economiche attuate tra i Paesi membri e proposte ai Paesi candidati, non fa seguito
un reale appoggio politico. D’altro canto, noi stessi in Italia abbiamo più volte accusato Bruxelles di imporre piani
d’austerity impopolari, che mettono in
ginocchio l’economia di Paesi con debiti
alti. Allo stesso tempo però queste politiche non sono accompagnate da una
fiscal policy comune tra i Paesi membri,
non esiste un piano welfare che copra i
danni provocati dalle stesse austerity e
non si vede una lotta convincente alla
speculazione finanziaria, che ha contribuito a questa crisi. Per questi e altri
motivi ciò che più ci ha rimesso è l’idea
di un’Europa unita, di una qualche identità europea, e pertanto di una Unione
Europea politica.»
Pensi che questa vicenda possa modificare indelebilmente i futuri assetti politici dell’UE o anche la stessa
credibilità di Bruxelles?
«Credo che l’UE debba rivedere i
propri piani d’allargamento ed evitare
di sbagliare come ha fatto e sta facendo
con l’Ucraina. I leader europei non sono
uniti unanimemente contro la Russia di
Putin. Ciò non fa che dimostrare la scarsa compattezza politica dell’Unione. Mi
spiace sembrare allarmista, ma credo
che al momento in Ucraina si stia giocando una partita fondamentale per il
destino del nostro continente. La situazione è in continua evoluzione, ma quel
che non vorrei più vedere è l’erezione di
altri muri in Europa. Tuttora esistono
«
Tuttora esistono molti
muri in Europa e in
alcuni casi essi sono
il prodotto indiretto
dell’allargamento UE,
che non è altro che uno
spostamento di una
dogana, un confine»
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molti muri in Europa e in alcuni casi
essi sono il prodotto indiretto dell’allargamento UE, che non è altro che
uno spostamento di una dogana, un
confine. Inoltre questi stessi muri si
riflettono nelle coscienze nazionali
di popoli che si sentono più o meno
europei, vorrebbero quindi partecipare a questa Unione, mentre sembra che dal suo interno molti vorrebbero uscirne.»
Cosa ti aspetti da questa tornata elet- sociale e non doveva temere per il futuro dei propri figli. Queste sono le cose
torale?
che si sentono dire a Belgrado, anche da
«Non so cosa aspettarmi, ma spere- parte di coloro che non erano né iscritti
rei in un cambiamento. Il cambiamento al partito, né tantomeno interessati alla
che voglio è quello che solo un’unione politica. Al contrario oggi, in molti da
politica può portare. Ad ogni modo cre- Zagabria a Belgrado, sembrano convindo che, come ogni volta, le elezioni euro- ti che il passaggio verso un regime “più
pee rappresentino un po’ un test di pro- libero” si sia pagato con una minore seva per alcuni governi nazionali, mentre renità, una minor garanzia sociale e una
in altri Paesi ci sarà una partecipazione maggiore preoccupazione per il futuro
molto bassa. In generale credo che i Pa- dei propri figli.
esi che stanno soffrendo maggiormente
I casi come quello della Jugonostalla crisi dovrebbero dare le risposte più
significative. Penso che Tsipras possa gija ci impongono una più ampia riflessione: quella sul sistema della demorappresentare una sorpresa.»
crazia rappresentativa. Nei Paesi come
A proposito di Europa, spesso si fo- quelli dell’ex Jugoslavia, che vengono
calizza l’attenzione sui movimenti definiti “in transizione” (anche se è una
euro-scettici che strizzano l’occhio a definizione ipocrita perché non esiste la
idee xenofobe, parallelamente però, certezza circa la fine di questa transiziopur meno “reclamizzate”, prendono ne), la democrazia rappresentativa
piede fenomeni quali “l’Ostalgia” ha fallito nell’integrare quelle libertà
e nello specifico della tua realtà “la individuali, che nei regimi a partito
Jugonostalgija”: come giudichi questi unico sono spesso negate, con il forte
due fenomeni e che consistenza han- stato sociale, quale era per esempio
la Jugoslavia. In questo passaggio, in
no?
questa cosiddetta “transizione”, la
«La crisi ha fatto riemergere l’euro- gente comune ha avuto una percezioscetticismo, ma soprattutto ha diffuso ne maggiore di quello che ha perso,
la paura per lo straniero: non c’è quindi abbandonando il socialismo rispetto
da meravigliarsi che in contesti di crisi a quello che ha acquisito abbraccianl’accusa verso “l’ altro” attecchisca con do la “democrazia”. Credo che questa
tanta popolarità, proprio perché “l’al- sia la ragione principale di tale notro” è facilmente attaccabile come capro stalgia.» �
espiatorio.
Per quanto riguarda la Jugonostalgija, questa è un sentimento diffuso in
tutta la ex Jugoslavia e non va inteso
semplicemente come il rimpianto per il
socialismo, ma come rimpianto per un
periodo in cui la popolazione godeva di
una certa serenità, una certa sicurezza
flp magazine 43
TERZA PAGINA
Piero Manzoni.
Ritratto di un
rivoluzionario dell’arte
Monia Marchionni
W
alter Sickert è balzato agli
onori della cronaca grazie
ad un libro di Patricia Cornwell, che identifica in lui l’omicida più
famoso di sempre: Jack lo Squartatore. Il mito che si fonde con la vita,
verrebbe da dire. Già, perché nella vita
fu uno dei rappresentanti di spicco
dell’Impressionismo inglese e proprio
agli inizi del XX secolo, diceva: “L’importanza che dobbiamo attribuire ai risultati di un artista o ad un gruppo di artisti può essere misurata dalla risposta a
questa domanda: hanno realizzato cose
tali che sarà impossibile d’ora in poi, per
quelli che li seguiranno, comportarsi
come se essi non fossero mai esistiti?”
La domanda vale oggi più che mai
e di certo, dopo aver visto la grande retrospettiva su Piero Manzoni a Palazzo Reale di Milano, la risposta sembra
ovvia.
Piero Manzoni ha vissuto una vita
intensa, ma breve. Nato il 13 luglio del
1933 a Soncino, nel cremonese, muore
dopo soli 30 anni di infarto, nel suo studio a Milano, in quella Milano dove ha
sempre vissuto e operato, per le strade di Brera, dove il tempo sfuggiva di
mano senza essere mai perso, tra una
lezione in accademia e un bicchiere di
vino con gli amici al Bar Jamaica, lo
storico ritrovo di intellettuali e artisti.
Per lasciare un segno indelebile nella
storia dell’arte del secondo dopoguerra ha avuto a disposizione solo sei anni,
un tempo incredibilmente ridotto per
qualsiasi altro artista e invece per lui
no. Pochi anni sono bastati a mettere
in discussione e a sovvertire completamente il ruolo dell’artista, con il relativo significato dell’opera d’arte. Il
suo carattere deciso e intraprendente
lo porta a compiere continui viaggi in
Europa, alla ricerca di quei protagonisti delle neoavanguardie con i quali avrebbe instaurato grandi sodalizi:
dal Gruppo Zero al Gruppo Nul, fino
a Yves Klein, legato dallo stesso modo
di intendere un’opera: “Un documento
dell’avvenimento di un fatto artistico”
secondo Manzoni e “le ceneri dell’arte”
secondo Klein. Così Manzoni continua:
“La tela deve essere carne viva, versione
diretta, scottante e inalterata della più
intima dinamica dell’artista” e ancora
“Un quadro vale solo in quanto è essere
totale”. Viene da sé comprendere come
la sua opera più irritante, scandalosa
e popolare, “La merda d’artista”, cugina diretta della “Fontana/Orinatoio” di Duchamp, sia in realtà non una
provocazione, come banalmente la si è
più volte definita, ma presenza pura e
senza sublimazioni dell’artista. È una
parte di esso, una sua reliquia, è carne viva e dunque pagata a peso d’oro,
come le opere successive “Fiato d’artista”, “Uova sculture” e anche le fiale
mai realizzate del suo sangue. Ciò che
apre una distanza concettuale tra lui e
«
La tela deve essere
carne viva, versione
diretta, scottante e
inalterata della più
intima dinamica
dell’artista” (Piero
Manzoni)»
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MANZONI | Alfabeto
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44
flp magazine
MANZONI | Achrome grinzata (Fondazione Piero Manzoni)
gli artisti del suo tempo è il completo
disinteresse a farsi portatore di un’ideologia culturale, come gli informali, gli
astrattisti, i neodada, i pop. Lui rifugge
da questo, non utilizza materiali extra
pittorici come metafora del presente o
per abolire dei codici stabiliti, ma come
una ricerca dello “stupore immacolato
dei sensi”, che scaturisce da un semplice oggetto tra gli oggetti: il quadro o la
scultura.
«
Manzoni non si “spara
le pose”. Non c’è in lui
nessuna messinscena
dell’artistico, nessuna
enfatizzazione che
lo faccia apparire
speciale” (Flaminio
Gualdoni)»
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Il crescente interesse del pubblico
e della critica per l’artista si era già attestato nel 2004, con la pubblicazione
del Catalogo Generale, ma è solo nella
mostra a Palazzo Reale curata da Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo – anche curatrice della
Fondazione Piero Manzoni – inaugurata il 26 marzo e aperta fino al 2
giugno, che possiamo conoscere e capire l’intero percorso dell’artista. Sono
130 le opere esposte, accompagnate da
foto, lettere e filmati inediti, dagli esordi delle “Opere nucleari”, sotto l’influenza di Enrico Baj e Lucio Fontana,
ai primi “Achromes” del 1957. Quadri
senza colore, senza titolo, perché non
esprimono nulla, se non la propria candida presenza di tela e gesso, di feltro,
di piume, di ghiaia di pane; quadri di
“una materia allucinante, porzione di
un gran vuoto bianco”, per dirla con le
parole del poeta Antonio Porta. Continuando la visita si arriva alla serie delle
“Linee”, prodotte tra il 1959 e il 1961,
in cui l’artista traccia su fogli di car-
ta linee di diverse lunghezze, che poi
arrotola e sigilla in cilindri di cartone
etichettato. Si arriva ai “Corpi d’aria”,
alle “Basi magiche”, che trasforma in
“sculture viventi” chi vi sale sopra e
dunque meritevoli di essere firmati dal
Manzoni stesso, fino al “Socle du Monde”, dove poggia il mondo intero. In
quest’opera dalla forma così semplice
risiede la sua genialità: l’inaccessibile,
l’invisibile, diventa visibile grazie ad un
atto di fiducia dello spettatore. Credere
cioè che tutto è possibile, anche sostenere il mondo intero su un piedistallo,
perché è l’artista stesso a dirlo: “Non ci
si stacca dalla terra correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non
bastano, la trasformazione deve essere
reale”.
Flaminio Gualdoni ci racconta il
“suo” Manzoni, quello vero.
A 50 anni dalla morte di Piero Manzoni, Milano gli rende omaggio con
una grande mostra a Palazzo Reale.
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«
Ciò che apre una
distanza concettuale
tra lui e gli artisti
del suo tempo è il
completo disinteresse
a farsi portatore di
un’ideologia culturale”
(Monia Marchionni)»
mentazione. La sua curatrice, Rosalia
Pasqualino di Marineo, nipote dell’artista, firma la mostra con me. Senza la
Fondazione e il suo carisma una mostra
così sarebbe assai probabilmente impossibile, anche sul piano della diplomazia dei prestiti.
Abbiamo concepito un progetto che
documentasse adeguatamente tutto il
percorso di Manzoni, circoscritto nel
tempo, ma proliferante per quantità e
lucidità di invenzioni. Senza nulla privilegiare, ma dando un giusto peso anche
a opere – penso agli Achrome in fibra di
Sembra una “consacrazione” un po’ vetro e in polistirolo, ai progetti geniali
tardiva rispetto al suo valore inter- per la rivista “Gorgona”, ad esempio –
nazionale. Perché prima di te nessu- che, appunto, per molti sono state vere
no ci ha mai pensato?
e proprie sorprese.»
«In Italia pare che funzionino ancora
molto gli anniversari… A parte questo,
a Manzoni è accaduto di diventare una
grande figura pop per via della Merda
d’Artista, assunta a stereotipo culturale, ma di non essere mai stato adeguatamente divulgato. Proposi – naturalmente senza successo – una mostra a
Palazzo Reale già a metà degli anni ’90,
e ricordo che allora l’immagine che se
ne aveva era di un artista amato solo
dagli snob, ma a ben vedere di valore
controverso.
L’anomalia del lavoro di Manzoni,
che è figlia del suo genio, veniva letta come bizzarria, per lo più. Non è
un caso che uno degli effetti di questa
mostra è che anche molte persone che
vivono nel mondo dell’arte, e dovrebbero quindi avere una competenza non
superficiale, mi confessano candidamente che molte delle sue opere non
le conoscevano. Meglio tardi che mai,
dunque.»
In mostra ci sono 130 opere che documentano tutto il suo percorso,
un’antologica così completa non era
mai stata realizzata. Come ti sei mosso per reperire tutte le opere?
«Il merito è soprattutto della Fondazione Piero Manzoni, che da un paio
di decenni in qua svolge un lavoro
straordinario di archiviazione e docu-
Quale pensi che sia “l’opera omnia”
che possa racchiudere tutta l’arte del
Manzoni e quale invece l’opera più
sopravvalutata?
«Io faccio il tifo per Socle du monde,
il basamento su cui poggia la sfera terrestre, che Manzoni realizzò a Herning,
in Danimarca, e che è in mostra a Milano. È un’intuizione potentissima, visionaria, cui si accompagna una realizzazione di semplicità sconcertate. Quanto
alle sopravvalutazioni, è una questione
di mode. Ora pare che tutti sbavino solo
per gli Achrome in tela grinzata, che tra
l’altro passano di mano a prezzi cospicui. Tuttavia sono faccende che riguardano il mercato, non la qualità artistica,
che è e resta sempre altissima.»
Bettinetti, uscito da poco e visibile a
Palazzo Reale, rendono evidente che
Manzoni non si mette in scena, che ha
la souplesse esistenziale di uno che non
ha bisogno di avere i riflettori puntati
per sentirsi vivo.»
Manzoni, morendo a soli trent’anni,
lascia un discorso aperto nel mondo
dell’arte. Come se il lavoro frenetico
svolto in una manciata di anni avesse
prodotto più domande sul significato
di un’opera e di un’artista, invece che
risposte. E dopo di lui, chi ha saputo
cogliere le sue idee, senza però ripeterle?
«Il compito dell’artista moderno è
da sempre porre buone domande, più
che dare risposte. Nel suo caso, c’è un
patrimonio di idee e intuizioni, che
va ben al di là delle sue stesse realizzazioni. Possiamo davvero pensare al
Concettuale, Minimal, Body Art, Arte
povera etc prescindendo dall’opera di
Manzoni?» �
Il Manzoni performer, all’insegna
dell’arte/vita e del bisogna essere:
c’era della teatralità nel suo “esistere”?
«Quando l’anno scorso ho scritto la
biografia Piero Manzoni. Vita d’artista ho scelto di mettere ben in evidenza il fatto che, per dirla alla napoletana,
Manzoni non si “spara le pose”. Non c’è
in lui nessuna messinscena dell’artistico, nessuna enfatizzazione che lo faccia
apparire speciale. Anche le schegge
di cinegiornali dell’epoca, che ora si
possono vedere nel bel documentario
Piero Manzoni, Artista di Andrea
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flp magazine
MIGRAZIONI
Siriani sullo Stretto:
frontiera tra Spagna e
Marocco
Melilla, passaggio o rifiuto dall’Europa
Marta Bellingreri
M
ustafa è rimasto fuori. Sono
passate due settimane ormai
da quando mamma e fratelli
hanno passato la frontiera. Mentre a
lui l’hanno beccato e sbattuto fuori,
due volte già.
Così si sono presentati Mustafa e
l’Europa.
Piacere Europa, e Mustafa torna indietro alla frontiera di Melilla, tra Marocco e Spagna. Avrebbe voluto presentarsi all’Europa insieme alla sua
famiglia: è rimasto l’unico finora a non
avercela fatta. Avrebbe voluto anche
presentargli il suo Paese, sempre più
distrutto e dimenticato: la Siria. Non
gli resterà che aspettare la fortuna
per raggiungere i suoi fratelli, magari
unendosi ai coetanei diciassettenni di
Fes che si intrufolano tra gli adulti e
scappano alla polizia di frontiera per
guardare da ancora più vicino il vecchio continente.
comprato insieme prima della frontiera. Non ha nessun altro mezzo per aiutarlo. Era riuscita a procurare a tutti
i figli un passaporto falso a Nador, in
Marocco. Tranne per Mustafa. Sperava
bastassero i suoi diciassette anni per
poterla farla franca. Ma non ci sono eccezioni alla legge neanche per minori,
ormai non più con le famiglie: la frontiera di Beni Ensar, prima di Melilla,
tra nord del Marocco e l’enclave spagnola, la attraversa solo chi ha il passaporto marocchino come residente di
Nador, cittadina a diciassette chilometri da quella frontiera. O naturalmente
chi possiede un visto: che né per i marocchini che non sono di Nador né per
siriani è pensabile ottenere. E poi ci
sono gli spagnoli e il resto degli europei. Nessuna fila, niente calca, nessuno
sguardo sospettoso. Timbro d’entrata
e d’uscita dal Marocco per poche ore a
Melilla, per prendere il traghetto per la
Spagna o al contrario per una gita nel
deserto, magari per lavoro in Marocco. Finiscono presto così le pagine di
un passaporto in quell’andirivieni tra i
fortunati dei due continenti.
«
Non ci sono eccezioni
alla legge neanche
per minori, ormai
non più con le
famiglie. Tra nord del
Marocco e l’enclave
spagnola, passa solo
chi ha il passaporto
marocchino come
residente di Nador»
vicini: domestiche che gustano così
il “sogno europeo”: pulendo case in
cambio di uno stipendio in euro. Ed
è così che le donne siriane hanno cominciato a confondersi tra loro. Nella
calca di gente che deve passare i controlli, prima marocchini, poi spagnoli,
nessuno si accorge se quei passaporti
sono falsi e da dove provengono quelle
donne. Tutte uguali, tutte arabe, per la
polizia di frontiera spagnola.
La mamma di Mustafa e gli altri figli sono al di là di quei controlli, per
pochi metri in più già parte dell’Europa. Ha comprato una scheda telefoniOgni giorno circa ventimila cittaMa Mustafa non ce l’ha fatta. Aveva
ca spagnola a Melilla, per poter avere dini e cittadine marocchine si recano 17 anni… E si vedeva. Che era siriano,
ogni giorno sue notizie. Lo chiama a nell’enclave spagnola per lavorare no. La madre non aveva più risparmi
quel numero marocchino che avevano nelle case e nelle strade dei loro ricchi per comprare l’ultimo passaporto dai
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FRONTIERA MAROCCO-SPAGNA, MELILLA | Il primo maggio 2014 circa 700 migranti africani hanno provato
ad arrampicarsi per passare la frontiera: solo 140 ci sono riusciti, alcuni feriti dalla Guardia Civil spagnola.
(Foto di José Palazon)
contrabbandieri marocchini: ognuno
costa mille e cinquecento euro e aveva
già speso molti dei suoi averi per attraversare la frontiera tra l’Algeria e il
Marocco, prima di quella spagnola.
gliaia di euro senza pietà, senza ascolto, vige solo la legge della frontiera. A
questo li porta e ci porta il non poter
entrare in Europa».
Piange la mamma di Mustafa a Me«Ci sfruttano, stanno approfittan- lilla.
do della nostra situazione di disperazione dalla guerra per guadagnare mi«Tutte noi famiglie siriane stiamo
spendendo circa quindicimila euro
per compiere quei pochi passi illegalmente, grazie agli stipendi dei parenti
fortunati che lavorano negli Emirati
Arabi».
Jouhaina, stanca
«
dei nove mesi di
gravidanza tra
frontiere, si trova col
fratello, Abdalla. Nidal
invece, l’ultimo dei figli
di Asum, ha sedici anni
e quindi né madre, né
sorella e né fratello»
Poi c’è da aspettare nell’enclave
spagnola, in vista di un trasferimento
verso la vera Spagna. La vera Europa.
tro. Siamo più di quattrocento cittadini siriani e altri mille almeno sono i
cittadini di diverse nazionalità africane, soprattutto Mali e Camerun».
Queste le parole di Abdalla.
Neanche sua madre, Asum, ha raccolto ancora i soldi necessari. Le si illuminano gli occhi per poco e subito si
incupiscono, a pensare alla Siria che
non c’è più. É parte di un gruppo di altri siriani, tutti di Idlib nel nord-ovest
del Paese, poco distante da Aleppo.
Si sono lasciati alle spalle l’orrore, e
passano aspettando ogni mattina alla
frontiera di Beni Ensar, in Marocco.
Asum vorrebbe essere dall’altro lato
anche solo per un attimo: lì c’è sua figlia Jouhaina e suo nipote sta per nascere.
«Qua a Melilla, non siamo in Spagna, non ci sentiamo ancora arrivati
in Europa. Siamo in un Ceti (Centro
Dopo il matrimonio in Siria, Juhaide Estancia Temporal de Inmigrantes,
ndr) ad aspettare, sperando che tutti i na e suo marito si sono dati alla fuga
membri della nostra famiglia riescano dalla guerra verso il Libano, e durante
ad attraversare in un modo o nell’al- il passaggio in Egitto hanno concepito
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FRONTIERA MAROCCO-SPAGNA, CEUTA | La mujer muerta (la donna morta) è il nome
della montagna che si vede da Ceuta. Spagna e Marocco sono separati da 6,4 km di barriera
il primo figlio. Ma erano già in Algeria
quando ne hanno scoperto l’esistenza.
Ora sono sposini in viaggio di fuga più
che di nozze, vagando tra quattro Paesi arabi, separati dalla frontiera tra
Africa e Europa. Sono ancora tutti e
due in Africa, ma Khaled é in Marocco
e Juhaina in Spagna. Marito e nonna
vorrebbero vedere Juhaina il giorno in
cui darà alla luce il suo primo figlio in
un ospedale spagnolo. Non hanno ancora formalizzato la loro domanda di
asilo nell’enclave, perché temono altrimenti di restare per troppo tempo fermi in quei pochi chilometri quadrati di
Spagna a loro disposizione. Aspettano
di essere a Madrid o in una qualsiasi
altra città spagnola per procedere.
Jouhaina é stanca dei nove mesi di
gravidanza tra frontiere. Ora si trova
col fratello, Abdalla. Nidal invece, l’ultimo dei figli di Asum, ha sedici anni e
quindi né madre, né sorella e né fratello: a sua volta separato dalla minore
età, in un altro centro di permanenza
temporanea. Anche lui fermo a Melilla,
ma dorme altrove. Fortunatamente èé
lasciata loro la possibilità di uscire dai
rispettivi centri e hanno potuto piazzare una piccola tenda per ritrovarsi tutti insieme. L’ennesima dopo tre
anni da rifugiati. Si riposano e si riparano dal sole caldo africano e spagnolo, le famiglie siriane in “dolce” attesa.
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La Spagna sembra già lì in quella
città, Melilla, ma la “vera” Spagna, la
penisola iberica, ancora non si vede.
Poi c’è Ceuta, l’altra città spagnola
autonoma in terra africana, porta sud
dello Stretto di Gibilterra, posta a 380
chilometri da Melilla. Una città che
guarda dritta in faccia la penisola spagnola, a soli 14 chilometri di distanza,
di mare, di nave, di speranza.
Brahim, insieme ad altre famiglie
siriane di Homs, siede sulla spiaggia di
Ceuta, dove almeno i bambini possono
giocare. Per lui, la giovane moglie e i
loro cinque figli è stato più economico pagare un giro in barca invece di
passare con i passaporti falsi. Anche
a Ceuta, come a Melilla, ogni giorno i
residenti della città marocchina di Tetouan entrano per lavorare dall’alba
al tramonto o per fare compere nei
centri commerciali spagnoli. Ai siriani
spetta il mare.
«
Abbiamo sentito
parlare di Lampedusa
ad ottobre. Per questo
dall’Egitto, abbiamo
preferito volare in
Algeria e venire in
Marocco. Non volevo
portare mia moglie
incinta e i miei figli nel
Canale di Sicilia con lo
spettro dei morti dei
nostri connazionali»
Aveva già speso tutti i soldi guadagnati con una vita di lavoro per i voli
nei vari Paesi, dal Libano in poi: per
meno di un’ora di barca valeva la pena
pagare ancora e rischiare.
«Abbiamo sentito parlare di Lampedusa ad ottobre. Per questo dall’Egitto, abbiamo preferito volare in Algeria e venire in Marocco. Non volevo
portare mia moglie incinta e i miei figli
nel Canale di Sicilia con lo spettro dei
morti dei nostri connazionali. Ma nascere a Ceuta è come nascere in nessun posto».
Anche Fayat è di Homs, ha trent’anni ma non ha fatto in tempo a sposarsi
prima di partire. La guerra ha portato
via tutto e tutti, e in tre anni ha cambiato sette Paesi per dimenticare. Il
cugino da Parigi gli ha spedito i soldi
necessari per comprare un passaporto
marocchino falso, passaporto di Tetouan. L’accendino, invece, se l’è pro«Ci siamo messi in mare il venticin- curato lui.
que ottobre 2013, dalla costa marocchina alla costa di spagnola di Ceuta,
«Appena superata la frontiera, ho
verso il punto in cui il nostro accom- bruciato quel passaporto falso per
pagnatore sapeva saremmo potuti ap- chiedere asilo come siriano, come fanprodare. E poi presentarci alla Spagna. no tutti. Non voglio più sapere che cosa
Mia moglie ha partorito Khaula il 6 di succede ad Homs, sono solo massacri
novembre, la nostra ultima figlia. Ma e persone che si uccidono tra loro sennon so Khaula in quale Paese sia nata: za riconoscersi più. Potrebbero essere
né in Marocco, né in Spagna».
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dalla stessa parte, combattere insieme direzione della preghiera. Duecento
altrove, invece sparano e basta. Abbia- siriani a Ceuta, quattrocento a Melilla
mo perso il nostro Paese per sempre». e molti di più, impossibili da contare,
quelli che in Marocco provano a viveFayat si reca alla moschea. È ve- re e lavorare. Chi nella capitale Casanerdì e di fronte alla spiaggia di Ceuta, blanca, chi a Oujda, alla frontiera con
vicino al Centro di accoglienza, c’è un l’Algeria, chi ancora a Tetouan e Naedificio color vinaccia adibito a mo- dor. Chi a Tangeri, città e grande porto
schea. Non c’è un minareto né un ap- nello Stretto di Gibilterra e porta dal
pello alla preghiera. Non sembrerebbe Mediterraneo all’Oceano Atlantico: la
neanche un luogo di preghiera se non fine dell’Africa, con la Spagna di fronte
fosse per le scale laterali e la grande e la speranza di pace che li chiama ad
sala interna. Ma tutti sono là, all’ora andare. �
esatta: gli spagnoli musulmani abitanti di Ceuta, i marocchini lavoratori per
un giorno di Tetouan, i numerosi africani che hanno attraversato la frontiera, via terra o via mare: sono 800.
C’è chi aspetta da un anno e mezzo la
commissione per la domanda d’asilo
e da anni a migliaia tracciano il passaggio verso l’Europa, scavalcando
ove possibile la barriera di ferro della
frontiera. Sono neri, un passaporto falso non servirebbe a nulla.
Ed infine i siriani, gli ultimi arrivati. Anche loro a condividere la stessa
CEUTA | Sulla spiaggia di Ceuta, Fayat, un amico siriano ed un somalo si avviano alla
preghiera del venerdì. Sullo sfondo le coste della Spagna sullo Stretto di Gibilterra
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First Line Press ha iniziato la sua avventura nel novembre
2012, un modo diverso di raccontare le storie dal mondo e
dall’Italia. L’abbiamo fatto proponendo documentari (uno
sui nuovi metodi repressivi in Europa “Repressione ai tempi
della recessione” e l’altro sulla situazione dei prigionieri politici nei Paesi Baschi “Odissea Basca”), vari videoreportage
(sul caso Veolia da Londra; sui manifestanti spagnoli per
l’università pubblica; sul lavoro degli immigrati in Italia, sugli
intricati scenari egiziani, sulla situazione curda, su problemi
ambientali italiani), reportage fotografici (dagli scontri ad
Atene a quelli di Roma, dal Kurdistan all’Egitto, fino alla Cisgiordania ed alle manifestazioni studentesche italiane) e un
quotidiano approfondimento su cosa succede nel mondo.
La collana di ebook di First Line Press comprende al momento tre titoli: Latitudini dell’immaginario: memorie e conflitti tra
la Jugoslavia e il Kosovo (una lettura dei conflitti nei Balcani
sullo sfondo della dissoluzione della Jugoslavia, che fa della
ricerca-azione il tessuto connettivo tra memoria e comunicazione); Vene Kosovare (racconti di come sia vissuto il Kosovo,
un Paese sparito dai racconti mainstream ed in cui sono presenti ancora i silenzi dell’esclusione) e Idropoli (percorso per
tutta la penisola di domande sui meccanismi economici che,
a seguito dal referendum del giugno 2011, avrebbero dovuto
intaccare il sistema idrico italiano). Gli ebook sono disponibili nell’area download del sito www.firstlinepress.org.
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