Lezione Lena - Liceo Pacinotti

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Lezione Lena - Liceo Pacinotti
Laboratorio di storia “La prima guerra mondiale”
Aspetti militari della prima guerra mondiale
(Lezione prof. Diego Lena)
Argomenti trattati
• L’arte militare
Strategia (v. Clausewitz: “l’impiego dei combattimenti per lo scopo della guerra”)
Tattica (v. Clausewitz: “l’impiego delle forze nel combattimento”)
Logistica (Organizzazione e rifornimento dei viveri e dei materiali necessari alla guerra)
Organica (Reclutamento, organizzazione delle unità militari)
• Un nuovo tipo di guerra (vedi B1)
• Strategia e tattica all’inizio della guerra
• Evoluzione della strategia e della tattica durante la guerra (vedi B2-6)
• Cenni di organica (vedi C)
Strumenti allegati
A. Breve cronologia di alcuni eventi militari significativi della prima guerra mondiale
B. Brani di storiografia
C. Cenni di organica
Qualche esempio di strumenti di facile consultazione
Manuale di Storia in uso per una panoramica generale sugli eventi (capitolo 5, in particolare, per gli aspetti militari, i §§ 2, 5, 6).
Per una storia militare generale della prima guerra mondiale si vedano:
B. H. Liddell Hart, La prima guerra mondiale [1930], Rizzoli, Milano 1999,
J. Keegan, La prima guerra mondiale. Una storia politico-militare [1998], Carocci, Roma 2004.
Il capitolo 4 di J. Keegan, Il volto della battaglia (1976), il Saggiatore, Milano 2005 è sulla battaglia della Somme (1916) e descrive un tipico
scontro della prima guerra mondiale.
Per una visione generale dell’arte militare del periodo si possono vedere (in italiano) P. Pieri, La prima guerra mondiale 1914-1918
[1947], Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma 1986 e i capp. XVII e XVIII del primo volume di F. Stefani, La storia
della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma 1984, volume 1
[entrambi i testi sono consultabili presso la biblioteca Beghi].
Ago.-Set.1914
Nov. 1914
1915
1916
Set. 1917
Ott. 1917
Nov. 1917
Mar. 1918
Ago. 1918
A. Breve cronologia di alcuni eventi militari significativi della prima guerra mondiale
Piano Schlieffen e suo fallimento (battaglia della Marna)
Stabilizzazione del fronte occidentale: guerra di posizione
Offensive italiane e francesi senza risultati. Vittoriosa offensiva tedesca nel fronte russo.
Ad occidente le grandi battaglie “di attrito” di Verdun (primo uso dei “battaglioni d’assalto” ( Sturmbataillon)
tedeschi) e della Somme (primo impiego di carri armati)
Conquista tedesca di Riga (primo uso della tattica “dell’infiltrazione”)
Battaglia di Caporetto (primo uso nel fronte italiano della tattica “dell’infiltrazione”)
Battaglia di Cambrai (nell’offensiva gli inglesi fanno per la prima volta un uso massiccio ed efficace dei carri
armati, nella controffensiva tedesca si fa uso per la prima volta nel fronte occidentale della tattica
“dell’infiltrazione”)
Inizio della Keiserschlacht (attacco tedesco in larga scala con la tattica “dell’infiltrazione”)
Battaglia di Amiens (prima vera vittoria alleata sul fronte occidentale, decisivo l’uso dei carri armati)
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B. Brani di storiografia
1. Liddell Hart. Un nuovo tipo di guerra: “la nazione in guerra”
LE NAZIONI ENTRARONO nel conflitto con le concezioni e i sistemi tradizionali del XVIII secolo, appena modificati dagli avvenimenti del
XIX. Dal punto di vista politico, vedevano la guerra come una lotta tra coalizioni avversarie basate sul tra dizionale sistema delle
alleanze diplomatiche; dal punto di viltà militare, come una specie di gara tra eserciti di mestiere, una gara in cui le file dei
contendenti erano sì gonfiate dal sistema della coscrizione obbligatoria adottato in tutti i paesi del continente, ma che
sostanzialmente era combattuta dai soldati mentre la massa della popolazione stava a guardare, come dalle tribune di un anfiteatro,
le imprese dei suoi campioni. I tedeschi avevano una vaga idea della vera natura della guerra, ma - se si eccettua un paio di menti
profetiche - la teoria della « nazione in armi » elaborata in Germania nel XIX secolo con cepiva la nazione come un serbatoio di
riserva dal quale attingere rinforzi per l'esercito, non come un fiume possente nel quale confluiscono molte forze tributarie, di cui una
e solo una è l'esercito. I tedeschi pensavano alla « nazione in armi », ma non alla « nazione in guerra ». [N]eppure oggi questa
fondamentale verità è stata compresa in tutto il suo significato, né sono state capite tutte le sue implicazioni. Di anno in anno, dal
1914 al 1918, le nazioni belligeranti misero progressivamente al servizio dello sforzo bellico l'attività di ricerca dello scienziato, la
capacità inventiva e la competenza tecnica dell'ingegnere, il lavoro manuale dell'operaio e la penna del propagandista. Per lungo
tempo questa fusione di elementi eterogenei non fu che un caotico maelstrom di forze: il vecchio ordine era crollato, ma il nuovo non
era ancora sorto. Solo gradualmente si riuscì a raggiungere un'autentica, efficace cooperazione, e nessuno è riuscito ancora a
stabilire se anche nelle ultime fasi della guerra la cooperazione delle diverse forze avesse raggiunto lo stadio più avanzato, quello
del coordinamento, in cui l’unità trascende, e quindi dirige, le diversità.
(B. H. Liddell Hart, La prima guerra mondiale [1930], Rizzoli, Milano 1999, pp. 59-60).
2. Keegan. I generali e il problema del comando
La direzione della prima guerra mondiale è uno dei temi più dibattuti dalla storiografia. Buoni generali e cattivi generali abbondano
nelle storie di guerra e così i critici o i difensori di uno o dell'altro nei ranghi degli storici. Nella loro epoca quasi tutti i comandanti più
in vista della guerra erano considerati grandi uomini: l'imperturbabile Joffre, il fiero Foch, il titanico Hindenburg, l'olimpico Haig. Tra le
due guerre la loro reputazione subì duri colpi soprattutto a causa di memorialisti o romanzieri - Sassoon, Remarque, Barbusse - la
cui descrizione della realtà "della guerra dal basso" diminuì inesorabilmente la statura di coloro che avevano dominato dall'alto […].
Alla fine del secolo i generali che avevano una reputazione così alta dopo la grande guerra erano stati trascinati, sembrava,
irrimediabilmente in basso da un'offensiva concentrica contro il loro nome e la loro attività .
E' difficile oggi prendere le distanze dalle condanne, più o meno informate che siano, dei generali della prima guerra mondiale. In
nessun modo - apparenza fisica, atteggiamenti, discorsi, scritti - si rendono attraenti per le opinioni o le emozioni di oggi. I loro volti
impassibili che ci osservano dalle fotografie dell'epoca non ci parlano di problemi di coscienza o di sentimenti scossi dalla
carneficina alla quale questi uomini presiedevano, né aiuta l'ambiente nel quale scelsero di vivere: i lontani castelli, le compagnie
scelte, le macchine fiammanti, le scorte di cavalleria, le abitudini regolari, i pasti luculliani, le ininterrotte ore di sonno. I pasti di due
ore di Joffre, le dieci ore di sonno di Hindenburg, i quotidiani esercizi terapeutici di equitazione di Haig, con il loro corredo teatrale su
strade coperte di sabbia per evitare che il suo cavallo scivolasse, la dieta di champagne e pettegolezzi di corte della Stavka,
sembravano, ed erano in effetti, mille miglia lontano dal rancio freddo, dagli stivali bagnati, dalle uniformi fradice, dalle trincee
allagate, dagli alloggi fatiscenti, dalla piaga dei pidocchi, tutte compagnie quotidiane, almeno in inverno, tra le quali vivevano i loro
sottoposti. Lloyd George, un radicale che certamente non amava gli alti comandi, nemmeno quelli del suo paese, sembrò
sottolineare in modo equilibrato una contraddizione quando scrisse che "la sollecitudine con la quale molti generali in posti di
responsabilità (ma ci sono nobili eccezioni) evitano di esporsi ai rischi è una delle novità discutibili della guerra nei tempi moderni".
Ma ci sono tre elementi che smentiscono Lloyd George e tutti i critici della condotta dei generali in guerra. Il primo è che molti
generali si esposero al rischio, nonostante che accettarlo non fosse necessariamente e in senso stretto il loro dovere. Trentaquattro
generali britannici furono uccisi dall'artiglieria, e ventidue da armi da fuoco leggere; la cifra per la seconda guerra mondiale è di
ventuno uccisi in azione. In secondo luogo, anche se la pratica di insediare i quartier generali lontano dalle linee era effettivamente
una "novità" della guerra nei tempi moderni - Wellington aveva percorso il fronte di Waterloo per tutto il giorno senza perdere il
nemico di vista, mentre alcune centinaia di generali furono uccisi nella guerra civile americana - era una novità giustificata, anzi resa
necessaria, dall'allargamento e dalla profondità dei fronti, che portavano l'azione a svolgersi nella sua interezza lontanissimo dal
campo visivo di qualsiasi comandante; in effetti più un generale si avvicinava alla battaglia peggio era posizionato per acquisire
informazioni e diramare ordini. Solo nel punto di intersezione delle linee telefoniche, necessariamente collocate dietro il fronte,
poteva sperare di rendersi conto degli eventi e trasmettere una risposta adeguata per farvi fronte .
Infine i sistemi di comunicazione impedivano la rapidità, per non parlare dell'istantaneità, del contatto quando era maggiormente
necessario, vale a dire nel pieno dell'azione. La novità più importante nella guerra degli ultimi anni è stato lo sviluppo della
sorveglianza, la selezione degli obiettivi e l'intercomunicazione in "tempo reale", vale a dire alla stessa velocità alla quale si svolgono
gli avvenimenti. Grazie ai radar, alla televisione, ad altre forme di rilevamento e soprattutto alla radio, i comandanti della più recente
grande guerra del xx secolo, la guerra del Golfo, sono rimasti in costante contatto con il fronte ricevendo e trasmettendo informazioni
e istruzioni oralmente con l'immediatezza di una comunicazione telefonica tra due persone e al tempo stesso orchestravano il fuoco
di supporto per le loro truppe con sistemi ugualmente rapidi contro obiettivi che potevano essere osservati in "realtà virtuale" .
Nessuno di questi mezzi, nemmeno la radio, era a disposizione di un comandante della grande guerra. Dipendeva invece, quando
furono scavate le linee trincerate, da una rete fissa e inflessibile di cavi telefonici che venivano verso le retrovie attraverso la catena
dei quartier generali intermedi - battaglione, brigata, divisione, corpo, armata - fino al comando supremo. Lontano dal fronte il cavo
poteva essere aereo mentre nella "zona colpita", dove piovevano proiettili, doveva essere interrato. L'esperienza dimostrò che una
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profondità minore di due metri era insufficiente in caso di bombardamento, per questo il fondo delle trincee fu laboriosamente
scavato per assicurare la protezione necessaria. Nel 1916 l'esercito britannico aveva sviluppato un sistema sofisticato di connessioni
ad ogni livello intermedio di comando in modo che i quartier generali potessero comunicare in tre direzioni - in avanti, indietro e
lateralmente – dallo stesso punto d'interscambio.
Tutto funzionava perfettamente fino all'inizio della battaglia. A quel punto il sistema andava in pezzi, quasi sistematicamente, proprio
nel punto in cui era più necessario, al fronte. In difesa, sotto il bombardamento nemico, i punti di trasmissione erano spazzati via e il
personale davanti agli osservatori di artiglieria era ucciso mentre compiva il proprio dovere. Durante l'offensiva, poiché le truppe si
muovevano allontanandosi dalle terminazioni della rete telefonica, si perdeva automaticamente il contatto con le retrovie. Il cavo
telefonico srotolato si rompeva ogni volta e gli espedienti per sostituirlo - segnali luminosi, piccioni viaggiatori - erano veri e propri
azzardi. Dei risultati insoddisfacenti in qualsiasi situazione ci sono numerose e ripetute testimonianze. In difesa, sulla Somme nel
1916, per esempio, il colonnello von Lossberg, responsabile tecnico degli aspetti tattici dello stato maggiore tedesco, calcolò che ci
volevano in media otto ore perché un messaggio raggiungesse il fronte dal quartier generale di divisione, e lo stesso tempo era
necessario per il percorso inverso. In attacco le comunicazioni potevano essere completamente interrotte come rivelano i rapporti di
cinque livelli di comando - battaglione, brigata, divisione, armata e comando supremo - del primo giorno della battaglia della Somme
il 1° luglio 1916 .
Il rapporto di un battaglione, l'11° East Lancashire, l'unità effettivamente in contatto con il nemico, comincia, alle 7.20 del mattino,
con queste parole scritte dall'ufficiale che lo comandava: "la prima ondata ha attraversato la terra di nessuno". Alle 7.42 "notizie da
staffetta [N. B. non per telefono] di intenso fuoco di tutti i generi". Alle 7.50 "ho inviato il luogotenente Macalpine per organizzare le
comunicazioni telefoniche [...] è tornato per dirmi che tutte le comunicazioni erano interrotte [...] per tutta la giornata non sono state
ristabilite". Alle 8.22 "nessuna notizia dalle mie ondate"; alle 9 "non ho visto traccia della terza e della quarta ondata"; alle 10.01
"nessuna segnalazione dalle mie ondate"; alle 11.25 "nessuna notizia dalle mie ondate"; alle 11.50 "nessuna segnalazione dalle mie
ondate tranne i racconti dei feriti"; alle 15.10 " [le unità vicine] non sono in contatto con le loro ondate"; alle 15.50 "richiesti
urgentemente uomini in più"; alle 21.20 "non ho razzi [...] né Verey Lights [il solo sistema d'emergenza per comunicare con
l'artiglieria di supporto] "; alle 21.40 lo stesso ufficiale comandante fu "colpito da un proiettile" .
Il comandante di brigata, il livello superiore successivo di comando, brigata 94, guardava il battaglione avanzare ma perse contatto:
"le linee telefoniche dal suo quartier generale verso i livelli superiori continuarono a funzionare bene, ma dal suo quartier generale
verso il basso furono completamente tagliate, nonostante la linea fosse interrata a due metri di profondità". Raccontò che una
staffetta dal battaglione "fu tre volte bloccata sulla via del ritorno ma riuscì a portare il messaggio a destinazione", presumibilmente
uno dei pochi se non il solo che il comandante di brigata ricevette durante il giorno. Il quartier generale della 31ª divisione, al quale si
riferiva il comandante di brigata, segnalò alle 8.40 che egli "aveva comunicato per telefono che la sua linea attraversava le prime
trincee tedesche ma è molto difficile vedere cosa succede. Non ha informazioni certe"; alle 18.00, quasi undici ore dopo l'inizio
dell'attacco il comandante di divisione comunicava al livello superiore, l'viii corpo "i miei uomini addetti alle segnalazioni hanno
tentato di tenersi in contatto [con le truppe] ma non hanno potuto ricevere alcun segnale". Nonostante ciò al livello superiore rispetto
all'viii corpo, il quartier generale della quarta armata, quella sera il comandante scrisse un ordine operativo confidenziale per
l'indomani, basato sull'assunto che "una gran parte delle riserve tedesche sono state sommerse, è essenziale mantenere la
pressione e logorare la difesa", mentre più o meno nello stesso momento Douglas Haig riportava che l'viii corpo "dice di aver
cominciato bene, ma con il procedere della giornata le loro truppe sono state costrette a tornare indietro [...] sono portato a credere,
da ulteriori comunicazioni che solo pochi uomini dell'viii corpo hanno lasciato le trincee!!". Due ore dopo il diario di guerra della 31ª
divisione riporta che l'11° East Lancashire Regiment, il cui comandante ferito aveva visto la partenza delle "mie ondate" verso la
terra di nessuno e l'arrivo nelle posizioni nemiche prima delle otto del mattino, aveva "30 uomini di ogni grado a disposizione per
tenere la linea questa notte". Il rapporto con l'elenco delle vittime, recuperato più tardi, avrebbe consentito di stabilire che l'11° East
Lancashire, l'Accrington Pals, aveva avuto quel giorno 234 morti, 131 dei quali non trovarono sepoltura, e 360 feriti; rimanevano solo
135 uomini sani e salvi.
E' facile scagliarsi contro l'apparente mancanza di cuore dimostrata dalle note del diario di Haig, scritto tra gli agi del castello di
Beaurepaire dopo un giorno impiegato nel lavoro abituale nel quartier generale di Montreuil e dopo essere stato portato dall'autista
lungo la zona sicura delle retrovie alle spalle del campo di battaglia. Mentre 20.000 soldati morivano, o aspettavano la morte in
seguito alle ferite negli ospedali straripanti o nella solitudine di un cratere di proiettile nel campo di battaglia, il loro comandante
supremo lavorava alla scrivania, pranzava, rendeva visita ai suoi subordinati, cenava e si preparava per coricarsi in un letto
confortevole. Il contrasto può sembrare veramente impressionante soprattutto se si pensa che Wellington, dopo la giornata di
Waterloo durante la quale aveva corso tutti i rischi, tornò alla base su un cavallo stanco verso una baracca di fortuna e lì rinunciò al
suo letto in favore di un ufficiale ferito.
Ma in realtà il confronto non si può fare. Wellington vide ogni episodio della battaglia con i propri occhi e diresse con precisione le
sue fasi. Haig non è mai stato uno spettatore. Non ha visto niente, non ha sentito niente, tranne il rombo in lontananza dei
bombardamenti e dello sbarramento, e non ha fatto niente. Non c'era niente da fare per lui, come per lui non c'era niente da vedere;
addirittura uno degli ultimi tra i suoi comandanti subordinati, il tenente colonnello Rickman, vide soltanto, quando i suoi Accrington
Pals assaltarono le trincee tedesche, "il sole brillare sui loro triangles", le targhette di metallo fissate agli zaini come segno di
riconoscimento. La cortina di ferro della guerra era scesa tra tutti i comandanti, sia alti che bassi, e i loro uomini, divisi gli uni dagli
altri come se fossero stati su continenti diversi. Gli alti comandanti disponevano naturalmente del materiale con il quale colmare le
lacune, il gran numero di cannoni posizionati dietro le linee. Ma non avevano i mezzi con i quali dirigere il fuoco dell'artiglieria sulle
posizioni del nemico che stava uccidendo i loro soldati. Nelle guerre precedenti gli artiglieri vedevano gli obiettivi a occhio nudo;
nelle guerre successive osservatori d'artiglieria equipaggiati di radio che si muovevano con la fanteria dirigevano il fuoco dei cannoni
basandosi su comunicazioni orali e riferendosi alle cartine. Nella prima guerra mondiale, anche se il fronte era cartografato nei
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minimi dettagli, aggiornato quasi quotidianamente, la radio che avrebbe potuto dirigere il fuoco dei cannoni in "tempo reale",
secondo le reali necessità, non esisteva. Stava per essere sviluppato "un sistema di trincea", ma necessitava di dodici uomini per
essere trasportato, aveva batterie pesantissime, e se un ricognitore aereo poteva correggere via radio la mira dei tiri d'artiglieria, non
poteva comunicare con la fanteria, l'unica a poter dire dove il fuoco era veramente necessario. Poiché il solo metodo per realizzare
rapidi progressi attraverso un sistema trincerato, prima della comparsa dei carri armati, consisteva nel coordinamento ravvicinato e
continuo tra attacchi di fanteria e fuoco di supporto, non è affatto sorprendente che la battaglia della Somme, come le battaglie che
l'avevano preceduta e gran parte di quelle che seguirono, non funzionò in quanto operazione militare .
Molte delle accuse rivolte contro i generali della prima guerra mondiale - incompetenza e soprattutto incomprensione tra di loro possono essere considerate fuori luogo. I generali, messi da parte all'inizio della guerra quelli veramente incompetenti, incapaci di
intendersi, e fisicamente o emotivamente inadatti, capirono in maggioranza la natura della guerra e approntarono le soluzioni più
razionali possibili, considerati i mezzi a loro disposizione. Privati della possibilità di comunicare quando l'azione si svolgeva,
cercarono di superare gli ostacoli e gli incidenti che inevitabilmente sarebbero sorti nel dipanarsi della battaglia prevedendoli e
anticipandoli in forme sempre più complesse. Furono tracciati piani che prevedevano la manovra della fanteria minuto per minuto e
la concentrazione del fuoco dell'artiglieria quasi metro per metro nel tentativo non tanto di determinare ma di preordinare gli esiti. Il
tentativo fu ovviamente vano. Nulla è preordinabile nelle questioni umane, meno che mai in uno scambio di energia così fluido e
dinamico come una battaglia. Poiché le risorse che avrebbero cambiato volto alla guerra - protezioni corazzate affidabili, veicoli che
percorressero qualsiasi terreno, radio ricetrasmittenti portatili – non erano alla loro portata (e stranamente non lo furono solo per
pochi anni) i generali erano intrappolati nei ferrei ceppi di una tecnologia anche troppo evoluta per riuscire nella distruzione
massiccia di vite umane, ma inadeguata a restituire loro la flessibilità di controllo che avrebbe mantenuto la distruzione di vite umane
entro limiti tollerabili.
(J. Keegan, La prima guerra mondiale [1998], Carocci, Roma 2004, pp. 353-359).
3. Stefani. Il fallimento dell’attacco
Il fallimento delle dottrine offensive in vigore all'inizio del conflitto aveva colto di sorpresa tutti gli eserciti, compreso il tedesco che
pure disponeva di un'artiglieria superiore per quantità e per qualità e soprattutto di obici pesanti meglio idonei a distruggere l'ostacolo
passivo e gli elementi fortificati. L'errore era stato di dare l'avvio ad una guerra di tipo ossidionale con i mezzi di una guerra di
movimento. Il successivo aumento delle dotazioni di pezzi pesanti e di medio calibro, in particolare degli obici e dei mortai, e
l'intervento delle armi di trincea a tiro curvo giunsero in ritardo, quando cioè la difesa aveva avuto il tempo di crescere in profondità
ed in robustezza e di moltiplicare il numero degli obiettivi duri. La lotta tra attacco e difesa divenne impari; questa disponeva di
spada e di scudo, l'attacco solo di lancia, che lunga che fosse finì quasi sempre per spezzarsi senza forare lo scudo o, quando vi
riuscì, non ebbe lo scatto e la distensione necessari per l'affondo, che venne sempre parato o schi vato, magari, come sul fronte
orientale, con un lungo salto all'indie-tro senza perdere peraltro il controllo dell'arma.
Delle tre fasi della manovra di rottura la prima — l'apertura della breccia — venne in un primo periodo affidata all'artiglieria, la
seconda — la penetrazione nella breccia — alla fanteria e la terza — il dilagamento — alla cavalleria. I risultati furono del tutto delu denti. A parte il fatto che nelle prime battaglie l'artiglieria non riuscì a distruggere l'ostacolo passivo (per l'inadeguatezza degli effetti
dei pezzi leggeri, per la scarsità di pezzi pesanti ed a tiro curvo, per l'insufficienza quantitativa del munizionamento che era stato
accantonato in previsione di una guerra di rapido corso e non di posizione), ciò che più si dimostrò inattuabile, anche quando le
artiglierie furono in grado di distruggere l'ostacolo passivo, fu la penetrazione della fanteria che, con i propri mezzi e con i procedi menti in vigore, non fu assolutamente in grado di muovere con rendimento operativo accettabile nel dedalo delle superstiti difese
passive ed attive che vennero facendosi sempre più resistenti e sempre più numerose in profondità. La fanteria, una volta
completata la distruzione dell'ostacolo avanzato da parte dell'artiglieria, doveva: muovere da una base preparata, consistente in un
complesso di linee — trincea di partenza — scavate, quando possibile, a distanza media di 1.000 m dalla linea avanzata nemica;
procedere ad ondate, mediante sbalzo di frazioni di onda, appoggiate dal fuoco del- l'artiglieria, secondo il procedimento
dell'avanzata progressiva del fuoco ottenuta mediante la proiezione progressiva degli elementi arretrati sulla prima linea di attacco;
assaltare all'arma bianca gli elementi superstiti della difesa. In altre parole: dopo un prolungato tiro di distruzione dell'ostacolo
passivo, l'artiglieria rovesciava un diluvio di proietti sulle trincee nemiche e la fanteria, dopo essersi spostata più o meno al coperto
nelle trincee di raccolta, ne balzava fuori non appena il tiro della propria artiglieria fosse stato allungato ed avanzava ad ondate
serrate — un passo d'intervallo tra uomo e uomo — seguentisi a brevissima distanza, sino a raggiungere l'obiettivo assegnato […].
Di fronte alle ecatombi delle fanterie le cui ondate successive dovevano accavallarsi l'una sull'altra — la seconda calpestando i morti
della prima e così via — e muovere alla velocità di qualche metro al giorno si cercò di correre ai ripari affidando anche la
penetrazione prevalentemente all'artiglieria e relegando la fanteria al compito quasi passivo dell'occupazione del terreno
preventivamente liberato da ogni ostacolo attivo e passivo della difesa. Ma i procedimenti di lotta non differirono sostanzialmente da
quelli iniziali […]. Il principio, che l'artiglieria conquista e la fanteria mantiene condusse gradualmente ad azioni di preparazione
sempre più lunghe e metodiche, a scindere l'azione generale in una serie di successivi attacchi parziali cadenzati nel tempo,
intervallati da soste più o meno prolungate per riconoscere le resistenze avversarie e distruggerle preventivamente con il fuoco, a
restringere le fronti di attacco tra i 2.500 m (esercito francese) e 1.200 m (esercito tedesco), alla rinunzia ai principi della sorpresa,
dell'inganno e della continuità dello sforzo dando tempo al difensore di correre alla parata e di annullare i vantaggi
iniziali dell'attacco. Nel 1915: la preparazione dell'artiglieria durò 4 ore nella battaglia dell'Artois (maggio); 24 ore in quella di
Gorlice (maggio) e 75 ore in quella dello Champagne; nella la e 2a battaglia dell'Isonzo la preparazione di artiglieria fu assai breve,
ma con il risultato che i reticolati nemici rimasero intatti e la fanteria attaccante vi rimase aggrappata con le pinze tagliatili nelle mani.
Nel 1916: nella battaglia di Verdun del 21 febbraio i tedeschi protrassero il fuoco di preparazione per 9 ore e mezza; in quella della
Somme del luglio i franco-britannici fecero durare la preparazione poco meno di una settimana ed in quella di Verdun 4 giorni e
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mezzo; in quella del Trentino gli austroungarici 24 ore, mentre gli italiani prepararono la 4a battaglia dell'Isonzo con un fuoco di
artiglieria durato 8 ore. . Nel 1917 a Messines (luglio) gli inglesi schierarono 2.400 bocche da fuoco su 16 km; a Verdun (20-26
agosto) i francesi batterono una fronte di 17 km per 7 giorni con 2.332 pezzi consumando 3 milioni di proietti da 75 e 1 milione di
proietti di calibro maggiore […]. Malgrado ciò i risultati furono tuttaltro che incoraggianti
(F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma
1984, volume 1, pp. 648 ss.)
4. Stefani. Le tattiche difensive durante la guerra
Agli inizi della guerra le linee difensive erano semplici, avevano spessore modesto, erano costruite di una sola striscia di trincee a
gruppi separati ed erano facilmente individuabili. La striscia di trincee era rinforzata sul davanti con l'ostacolo passivo, ma già alla
fine del 1914, nelle Fiandre, dalla fascia unica ad elementi staccati — do minante il terreno antistante, povera di ricoveri e munita di
difese accessorie formate di abbattute e di reticolato alto e profondo — si passò alla posizione difensiva di un fascio duplice o triplice
di trincee intervallate l'una dall'altra dai 50 ai 100 metri, collegate da bretelle con mitragliatrici schierate in modo da fiancheggiarsi e
da fiancheggiare l'ostacolo passivo collocato sul davanti della prima linea. Si passò successivamente ad approfondire gli scavi, a
migliorare i ricoveri, a fare uso di blindamenti, ad introdurre il reticolato su più strisce (2 o 3 anziché su di una sola), riducendone le
dimensioni orizzontali (6-10 m per ogni striscia) e verticali (reticolato basso); le linee di trincea vennero organizzate a punti di
appoggio separati da tratti passivi collegati da vie di accesso difese da sistemi di fuoco incrociato. La funzione di resistenza ad
oltranza continuò ad essere affidata alla prima linea, in prossimità della quale venivano schierate le artiglierie, articolate in settori di
battaglione, ma le forze di presidio vennero distribuite in 3 aliquote: un quarto in linea, un quarto in riserva, l'altra metà in
accantonamenti arretrati […].
Dal 1915 a tutta la prima metà del 1917 l’organizzazione e la sistemazione della difesa su tutte le fronti mirarono da un lato a
perfezionare il rendimento di ciascuna fascia difensiva e dall’altro a conferire all'insieme delle fascie maggiori profondità ed elasticità
alla luce del criterio che la caduta di un intero elemento, o di una sua parte, non dovesse compromettere il resto e,
conseguentemente: venne aumentata la distanza delle linee di ogni fascia fino a 300 m e di una fascia dall'altra fino a 10 km; dove
possibile la posizione in contropendenza fu preferita a quella con più profondo campo di tiro; l'ossatura di ogni fascia venne
costituita dalle mitragliatrici e queste vennero collocate quasi sempre fuori della trincea, su postazioni idonee al fiancheggiamento ed
all'incrocio dei fuochi e protette da calcestruzzo o blindamento a prova di artiglieria; il centro di gravità della resistenza venne
trasferito dalla prima linea a quella retrostante; le vie di comunicazione vennero moltiplicate nell'interno della fascia mediante bretelle
trasversali e piazze d'armi (blockhaus); le trincee ed i collegamenti vennero allargati e ridotti di profondità; fu molto incrementata la
rete di osservazione terrestre ed aerea dislocando gli osservatori terrestri sulla prima linea e dotandoli di mezzi multipli di
trasmissione diurni e notturni. Si passò, insomma, dall'organizzazione a fascia a quella a zona costituita, nel suo schema generale,
da un sistema di punti di appoggio (nidi di armi automatiche, postazioni di batterie, ecc.) reciprocamente cooperanti e da una rete di
trinceramenti a compartimenti ed a maglie fitte […].
Nella seconda metà del 1917 i tedeschi impressero una nuova svolta all'azione difensiva: articolarono la posizione difensiva in 3
zone aventi ciascuna una funzione diversa; organizzarono e sistemarono le difese con maggiore riguardo all'idea direttrice della
manovra da condurre di volta in volta che non alle formule e agli schemi stereotipati della dottrina; esaltarono la caratteristica della
reattività destinando le riserve per distruggere le penetrazioni anziché per riconquistare le posizioni perdute. La prima zona — zona
di copertura che oggi denominiamo zona di sicurezza — ebbe il compito d'impedire e di contrastare la sorpresa ed i colpi di mano; la
seconda zona di combattimento — che oggi denominiamo posizione di resistenza — quello di arrestare l'attacco mediante l'impiego
degli elementi attivi e passivi dispersi in superficie, ma tatticamente bene collegati; la terza — che oggi denominiamo posizione dì
contenimento — scelta a non meno di 3-4 km dalla seconda e organizzata e sistemata sommariamente, ebbe la funzione di riserva
fortificata per impedire il dilagamento in profondità dell'attacco ad avvenuta rottura della zona di combattimento. « La zona di
combattimento è costituita di un complesso di reti di trincee multiple, camminamenti, punti di appoggio, profondo parecchi chilometri
e diviso in settori, distanti l'uno dall'altro non meno di 3 km. La differenza tra questa concezione fortificatoria e quella del 1916 è
radicale. Giova, ancora, avvertire che l'organizzazione di tali zone, più che dalle forme del terreno, dipende dall'idea direttrice posta
a base della manovra difensiva prevista. Inoltre, circostanza assai importante, si ritorna sul concetto di destinare numerose
mitragliatrici nelle prime linee da tenere fortemente... La zona avanzata è portata, nel 1918, a più di 1.000 m, dove il terreno lo
consente e le truppe ad essa destinate — avamposti veri e propri — devono essere appoggiate sul fianco della zona principale e
ritirarsi di fronte al progresso dell'attacco su quest'ultima a priori fissata».
Siamo di fronte ad un modo nuovo d'intendere la difesa al quale in breve tempo si uniformarono, nei criteri se non nelle mo dalità,
tutti gli eserciti della fronte occidentale e di quella italiana ed al quale continueranno ad ispirarsi tutte le concezioni difensive future
tra la prima e la seconda guerra mondiale e dopo.
(F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma
1984, volume 1, pp. 635 ss.)
5. Liddell Hart. Le innovazioni nelle tattiche offensive alla fine della guerra
Il reale significato dell'attacco sferrato a Cambrai il 20 novembre dell'anno precedente [1917] era consistito nel fatto che esso aveva
riportato alla ribalta l'impiego di tale chiave [la sorpresa], forgiandola da un amalgama di corazza e di cingoli. Purtroppo l'efficacia di
questa nuova chiave restò in gran parte inutilizzata perché, dopo averla infilata nella serratura, Haig non ebbe la forza necessaria
per girarla completamente, essendosi sfiancato nel fango di Passchendaele.
Nel contrattacco del 30 novembre [1917 a Cambrai] i tedeschi avevano impiegato una chiave analoga in linea di principio, anche se
diversa nelle sue caratteristiche specifiche: un breve e intenso bombardamento con granate a gas e fumogene, seguito dall'irruzione
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di contingenti di fanteria addestrati alle nuove tattiche di infiltrazione. Si direbbe che entro il marzo seguente gli inglesi non avessero
ancora perfettamente imparato questa lezione. Se infatti è vero che in seguito la Quinta armata addusse come valida giustificazione
la propria debolezza numerica e l'eccessiva lunghezza del fronte affidatole, è altrettanto vero che in precedenza Gough aveva
dichiarato di essere fiducioso nella propria capacità di resistere all'assalto […].
Se questo fu per i tedeschi un colpo di fortuna [la conquista di un ponte ferroviario intatto all’inizio della Kaiserschlacht nella
primavera del 1918], è innegabile che essi avevano meritato il successo per l'abilità e l'accuratezza con cui avevano preparato l'attacco
iniziale, sebbene anche in questo caso la fortuna giocasse un ruolo di primo piano.
Infatti l'effetto della sorpresa ottenuta con l'impiego delle granate a gas fu enormemente accresciuto dalla natura, che nelle prime ore
del 21 marzo stese sulla zona un manto di fitta foschia che coprì gli attaccanti nella stessa misura in cui ostacolò l'azione delle
mitragliatrici dei difensori. Senza l'aiuto della natura è dubbio che la sorpresa tattica tedesca avrebbe potuto ottenere un successo
tanto consistente; ecco dove sta la sostanziale inferiorità della sorpresa conseguita dai tedeschi in confronto a quella basata
sull'impiego dei mezzi corazzati da parte degli inglesi a Cambrai e, in seguito, l'8 agosto 1918.
I carri armati non soltanto costituirono la principale materia prima con cui fu fabbricata la chiave, ma fornirono anche la forza
necessaria per introdurla nella serratura e girarla. Ludendorff, invece, era costretto ad affidarsi all'indifesa fanteria per sfruttare il
varco aperto dal breve ma intenso bombardamento con granate a gas. Egli infatti non aveva intuito l'enorme importanza del carro
armato, e non si era quindi preoccupato di svilupparne in tempo la produzione; solo nell'agosto del 1918, quando esso venne
impiegato per sferrargli un colpo mortale, lo promosse al rango di materiale bellico "urgente".
Ma il piano tedesco si distingueva per una ricerca della sorpresa tattica più lungimirante che in ogni altra delle pre cedenti operazioni
della guerra. I tedeschi annotano significativamente che « i dispacci di Haig relativi agli attacchi del 1917 si rivelarono estremamente
preziosi, in quanto essi indicavano ciò che non si doveva fare ». A credito di Ludendorff si deve dire che egli si rese conto che la
superiorità numerica non è decisiva quando l'attacco è previsto dal nemico: l'ovvietà ostacola il successo. Ed egli si sforzò di
conseguire e sviluppare la sorpresa mediante una combinazione di molti elementi destinati a fuorviare il nemico. A suo onore si deve
dire anche che, a differenza di Falkenhayn che voleva soltanto ufficiali-funzionari, egli si circondò di abili collaboratori. Il capitano
Geyer compilò il nuovo manuale di addestramento, mentre il colonnello Bruchmüller era tornato alla ribalta per riorganizzare
l'artiglieria tedesca trasformandola in una micidiale arma da battaglia. Con un profetico gioco di parole, egli era noto come
"Durchbruchmüller" ("sfondamento Müller"). Sotto la sua direzione le masse di artiglieria venivano portate fin sotto la prima linea nel
segreto più assoluto ed erano in grado di aprire il fuoco sull'obiettivo senza preventivo aggiustamento grazie al metodo da lui
introdotto. La fanteria venne addestrata alle nuove tattiche di penetrazione, la cui idea ispiratrice era che truppe di punta sondassero
il fronte difensivo nemico alla ricerca di punti deboli attraverso i quali infiltrarsi, mentre le riserve venivano inviate a dar man forte ad
un eventuale successo, non a riscattare un insuccesso. A speciali pattuglie da perlustrazione venne affidato l'esclusivo compito di
rimandare indietro tempestive notizie sullo svolgimento dell'operazione. Le normali colonne di fanteria lanciate all'attacco erano
precedute da una catena dispersa di gruppi "d'assalto", muniti di fucili automatici, mitragliatrici e mortai leggeri. Questi gruppi
dovevano slanciarsi in avanti ovunque riuscissero a trovare un varco, lasciando che dei capisaldi difensivi si occupassero le
sopraggiungenti colonne. Il passo doveva essere regolato su quello delle unità più veloci, e non su quello delle più lente, e nessuno
sforzo veniva fatto per mantenere un allineamento uniforme. Inoltre doveva « essere eliminata la tendenza di certi capi a riunire le
loro truppe per riorganizzarle dopo aver raggiunto un determinato obiettivo ». « Se le truppe conoscono bene le istruzioni impartite
dai comandanti, esse possono continuare per loro conto. » Le divisioni di assalto venivano portate sulle rispettive linee di notte,
quelle di seconda linea in posizioni arretrate di non più di un chilometro e mezzo rispetto alla prima linea, e quelle della terza linea
solo 15 chilometri più indietro. Tutte le riserve cominciavano ad avanzare all'ora zero in modo da essere a portata di mano quando la
situazione avesse richiesto il loro intervento.
E quando una divisione di seconda linea veniva impiegata in questo modo, essa veniva a dipendere non da un comandante di grado
più elevato che stava nelle retrovie, bensì dal comandante della divisione di prima linea, il quale si trovava nella posizione migliore
per "sentire il polso" della battaglia.
(B. H. Liddell Hart, La prima guerra mondiale [1930], Rizzoli, Milano 1999, pp. 500-503).
6. Stefani. I limiti delle innovazioni tattiche offensive
I carri armati furono impiegati prematuramente, mandati allo sbaraglio prima che i loro equipaggi avessero ultimato l'addestramento
e prima che gli stati maggiori avessero avuto il tempo di riflettere sul modo migliore d'impiegarli e di sfruttarne la combina zione di
potenza di fuoco, di movimento e di protezione che essi racchiudevano in un solo strumento. Che il carro armato fosse l'antidoto
giusto al binomio mitragliatrice-reticolato e, perciò, il mezzo idoneo a superare la guerra di posizione che aveva ridotto la strategia
bellica a una semplice tecnica di logoramento, sarà compreso a Cambrai il 20 novembre del 1917 e, soprattutto, l'8 agosto del 1918
quando gli inglesi li impiegheranno a massa contro la 2 a armata tedesca ad est di Amiens; ma, in entrambe le circostanze, faranno
egualmente difetto la capacità e la preparazione necessaria a comprendere che i carri non erano solo mezzi di rottura, ma anche e
soprattutto di sfruttamento del successo.
Quando verso la fine del 1917 i tedeschi, dopo circa 3 anni, decisero di passare nuovamente all'azione offensiva sulla fronte occidentale, avevano pronta una nuova tattica che esperimentarono prima a Riga e poi a Caporetto. Con la tattica dell'attacco contro i
punti deboli che essi adottarono, intesero: restituire alla fanteria il compito della conquista degli obiettivi; conferire alla fase di penetrazione carattere di potenza, continuità e flessibilità, da essi stessi sottratto con la tattica d'intermittenza; rimettere in auge i principi
della sorpresa, dell'inganno e dell'economia materiale delle forze per troppo tempo disattesi. La nuova tattica, alla quale ben presto
si uniformarono gli altri eserciti e che costituirà la base delle dottrine offensive tra la prima e la seconda guerra mondiale, poggiò sui
seguenti criteri fondamentali: preparazione dell'artiglieria non superiore alle 3-5 ore; mascheramento dello sforzo principale me diante
il ricorso a sforzi finti di potenza iniziale non inferiore a quella dello sforzo principale; continui spostamenti di truppe nelle retrovie per
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disorientare il difensore; riduzione e, se possibile, annullamento delle soste attacco durante, mediante stretta cooperazione fanteriaartiglieria che assicuri, finché possibile, l'appoggio mobile di fuoco, e mediante lo stretto coordinamento del movimento dei reparti
fucilieri con il fuoco dei nuclei mitraglieri e lanciagranate, delle bombarde e dei cannoni di accompagnamento; sostituzione nelle
formazioni della fanteria della riga con la fila come la più idonea al movimento e la meno vulnerabile; riduzione della densità della
catena. In Piccardia nel marzo la preparazione di artiglieria durò 5 ore, in Fiandra nell'aprile 3 ore, sull'Aisne nel maggio 2 ore e 40
minuti, nello Champagne in luglio 5 ore e 20 minuti, sulla Marna - ore e 40 minuti; a Caporetto nell'ottobre del 1917 ed a Banteux e
Ventidue nel novembre i tedeschi avevano già attaccato dopo una -separazione brevissima, ma intensa, di granate a gas, fumogene
ed esplosive; gli austro-ungarici nel giugno del 1918 aprirono il fuoco alle 3 del giorno 15, preceduti di mezz'ora dalla
contropreparazione italiana, e mossero all'attacco 4 ore dopo. Prendere posizione durante la notte, non logorarsi contro i punti forti,
sfruttare le occasioni favorevoli, insinuarsi nelle zone di maggiore facilitazione e di minore resistenza, non gettarsi in massa contro la
fronte ma sondare i punti deboli, avviluppare e non battere contro: questi i canoni della nuova tattica e della nuova tecnica che
modificarono sostanzialmente la fisionomia fino ad allora avuta dall'azione offensiva, che acquistò così un certo respiro. L'artiglieria
smantella i punti forti, la fanteria manovra per farli cadere; le due armi riassumono i ruoli tradizionali. Ma il problema dell'azione
offensiva non fu risolto, solo reso meno difficile e costoso. Anche con la tattica e la tecnica precedenti, sia pure con costi
insostenibili, si era riusciti talvolta a rompere le sistemazioni difensive ed a penetrarvi in profondità, ma erano mancati i mezzi idonei
al dilagamento. E' vero che spesso il dilagamento non c'era stato o per indisponibilità di riserve, o per la loro dislocazione eccentrica,
o per colpa dei generali, ma la verità di fondo era stata l'inidoneità del mezzo, perché la cavalleria, la cui iniziale insufficienza di
capacità operativa era venuta vieppiù aumentando in proporzione geometrica con il progressivo accrescimento della robustezza
delle difese, non era stata, non era e non sarà più, in grado di esprimere la potenza necessaria a sfondare le barriere difensive che
incontrava in profondità, e neppure a prevenirvi il nemico che non senza ragione le predisponeva così lontane. La forza della
tradizione, lo spirito di sacrificio, il coraggio ed il valore non erano più sufficienti a supplire la debolezza costituzionale di mezzi
inidonei e vulnerabili. La difesa ebbe sempre modo e tempo di correre alla parata anche quando l'attacco ruppe il muro e riuscì a
sboccare in campo aperto, dove giunse però quasi sempre esausto e logoro, privo cioè della forza psicologica e materiale per
spingersi con slancio in profondità. La cavalleria, che guerra durante aveva ricevuto nuovi mezzi di fuoco, non fu egualmente in
grado di svolgere il suo compito principale e dovè appiedare per combattere con procedimenti infanteristici nell'ambito delle azioni
tattiche delle divisioni e dei corpi d'armata.
(F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma
1984, volume 1, pp. 652-653).
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C. Cenni di organica
Si danno di seguito alcuni esempi (tutti presi dall’esercito tedesco) di organizzazione e composizione di unità militari dalla guerra francoprussiana all’inizio della seconda guerra mondiale allo scopo di valutare l’evoluzione dell’organica (correlata ovviamente ai mutamenti strategici e
tattici). Si consideri che i seguenti schemi sono semplificati e parziali (esistevano nella divisione anche varie unità di supporto). Tra parentesi
tonde i simboli NATO usati per le varie unità.
Struttura di una divisione (XX) di fanteria prussiana durante la guerra franco-prussiana (1870)
Brigata (X)
Reggimento (III)
Battaglione* (II)
Fanteria
2
2 per brigata
3 per reggimento
Compagnia** (I)
4 per battaglione
Cavalleria
Artiglieria
4 per reggimento
4 per reggimento
-
1
1
-
* Battaglione è il termine per la fanteria, per artiglieria e cavalleria si usa il termine gruppo. ** Compagnia è il termine per la fanteria, squadrone
quello per la cavalleria e batteria quello per l’artiglieria. Queste note valgono anche per gli schemi seguenti.
I corpi d’armata (XXX) erano tutti composti da due divisioni di fanteria + varie unità di supporto a livello di corpo.
Le tre armate (XXXX) erano composte da un numero variabile di corpi d’armata + 2 divisioni di cavalleria.
Struttura di una divisione (XX) di fanteria tedesca all’inizio della prima guerra mondiale (1914)
Brigata (X)
Reggimento (III)
Battaglione* (II)
Fanteria
2
2 per brigata
3 per reggimento
Cavalleria
Artiglieria
1
1
2
2 per reggimento
Compagnia** (I)
4 per battaglione
+1 di mitragliatrici per
reggimento
3-4 per reggimento
3 per “battaglione”
I corpi d’armata erano tutti composti da due divisioni di fanteria + varie unità di supporto a livello di corpo
Le Armate erano composte da un numero variabile di corpi (da 3 a 6) + unità a livello d’armata.
Struttura di una divisione (XX) di fanteria tedesca alla fine della prima guerra mondiale (1918)
Brigata (X)
Reggimento (III)
Battaglione* (II)
Fanteria
1
3 per brigata/div.
3 per reggimento
(+ altre armi)
+1 pionieri per div.
Cavalleria
Artiglieria
1
3 per reggimento
+1 “pesante” per div.
Compagnia** (I)
3-4 + 1 di mitragliatrici
per battaglione
1 (di fatto appiedato)
3 per “battaglione”
I corpi d’armata erano composti da un numero variabile di divisioni di fanteria (di norma da 2 a 6) + varie unità di supporto a livello di corpo
Le Armate erano composte da un numero molto variabile di corpi (da 2 a 6 e più).
Esistevano anche i gruppi d’Armate che raggruppavano diverse Armate in un determinato fronte.
Struttura di una divisione (XX) di fanteria tedesca all’inizio della seconda guerra mondiale (1939)
Brigata (X)
Reggimento (III)
Battaglione* (II)
Fanteria
3
3 per reggimento
(+ altre armi)
+1 ricognizione, +1 del
genio e +1 anticarro per
div.
Artiglieria
1
4 per reggimento
Compagnia** (I)
3 + 1 di mitragliatrici per
battaglione
3 per “battaglione”
La struttura dei corpi d’armata, delle armate e dei gruppi d’armate era molto variabile. Esistevano corpi corazzati (composti da divisioni corazzate e
motorizzate) che durante la guerra formeranno anche Armate corazzate.
Alcuni dati numerici (approssimativi)
Divisione fanteria
uomini
1870
14.000 (12.000 fant.)
1914
17.000 (13.000 fant.)
1918
13.000 (6.000 fant.)
1939
17.000 (9.000 fant.)
mitragliatrici
24
144 pes + 216 legg.
116 pes. + 527 legg.
pezzi artiglieria
24
72
48 + 76 mortai
74 + 142 mortai + 75 anticarro