2003 08 22 lettera da Kinshasa
Transcript
2003 08 22 lettera da Kinshasa
Kinshasa, festa di Maria Regina, 22/08/2003 Carissimi Amici di MARKOUNDA, perdonatemi se solo ora vengo a scrivervi qualcosa sul villaggio delle termiti che portate in cuore come me (o… più di me!), ma sono rientrata solo da alcuni giorni a Kinshasa (R.D.C.) e non sono riuscita a trovare prima un po’ di tempo per raccontarvi quanto ho visto. Sr Silvia ed io abbiamo approfittato delle ali del nostro angelo custode di Goré (padre Michelangelo), (ali tipo “Toyota double cabine” con doppia trazione!) per raggiungere il villaggio di Komba a pochi Km dal fiume che separa il Tchad dalla R.C.A. Che strada! Terribile! Buchi (voragini!) e pozzanghere (=laghi!) che hanno messo a dura prova non solo il veicolo, ma anche la nostra schiena e la nostra testa: sembravamo un flacone di medicinale su cui era scritto “agitare prima dell’uso”! Rimbalzavamo dal sedile al “soffitto” dell’auto come palline, ma … ma forse chi balzava e rimbalzava di più era il cuore: cosa avremmo trovato?… Ad aspettarci a Komba c’era Francesco, l’amico agronomo, avvisato qualche giorno prima del nostro arrivo: che gioia enorme il rivederlo! Il livello del Nana Baira è salito tantissimo a causa delle abbondanti piogge e così per attraversarlo abbiamo dovuto far uso di una piroga. Posso dire una cosa ad alta voce? “Che paura!” Ma la voglia di arrivare sull’altra riva era tanta che anche quella piroga, vecchia, malandata e sbocconcellata, appariva ai nostri occhi come una delle tre caravelle di Cristoforo Colombo e, proprio come nel lontano 1492, avevamo dentro solo una gran voglia di avvistare terra: “la terra amata!” Sì, non un “nuovo mondo”, ma il “piccolo mondo antico” che avevamo lasciato con tanta pena alcuni mesi fa. Tante delle poche persone rimaste a Markounda ci aspettavano lungo la strada che dal fiume porta alla Missione e ogni abbraccio, ogni stretta di mano aveva sul mio cuore un effetto molto più forte degli scossoni sentiti sulla pista percorsa prima con il fuoristrada. Con molta fatica, da una parte e dall’altra, si costringevano le lacrime a non uscire, le si obbligava ad allagarci l’anima senza inondarci il volto. Arsi dal desiderio di contemplarsi, ci si guardava di sfuggita per non permettere al nodo in gola di sciogliersi in singhiozzi; assetati di notizie su queste settimane vissute lontani gli uni dagli altri ci si rivolgeva solo qualche breve frase, qualche parola al limite con il banale per non dover ammettere “davanti a tutti” l’amore che ci lega (… e mi pareva di rivedere mio nonno, uomo alto, austero, duro che non diede mai in pubblico né una carezza, né un bacio a sua moglie, ma che confessò con un gesto solenne tutto il suo tenerissimo amore quando, ormai sulla sedia a rotelle, fu portato accanto alla bara della sua sposa: si tolse il cappello come davanti a una chiesa, e le sfiorò il volto con la sua mano grande e tremante…) Abbiamo trovato la casa, il dispensario, la scuoletta e il magazzino Tara oserei dire più belli che mai. Francesco, Marthe e i lavoratori della Missione, a cui era stato dato l’incarico di vigilare sulla buona conservazione delle “cose” rimaste dopo i tre saccheggi, hanno veramente custodito con affetto ogni particolare. Nelle nostre camere il bouquet di fiori coloratissimi e profumatissimi trovato sul tavolo ci ha fatto dimenticare che non c’erano più né materassi né lenzuola: eravamo a casa! Francesco, silenzioso e instancabile lavoratore, è riuscito ad edificare con il cemento e i mattoni rimasti, un simpatico cucinino (con annessa legnaia): qui Marthe continua ad insegnare alle poche donne ancora presenti a Markounda sempre nuove ricette a base soprattutto di soia e arachidi. Certamente quando la situazione del Paese si sarà un po’ sistemata questo luogo diventerà un’eccellente “scuola” per le mamme e le giovani ragazze. Siamo potute rimanere a Markounda tre giorni e visitare così anche gli anziani e i ciechi che non si sono spostati né nel campo dei rifugiati, né nella brousse. Il sapone, il sale, lo zucchero e il the che abbiamo portato loro con un po’ di timore e disagio (pensavamo:” Cos’è questo di fronte a tanta miseria?”) pareva essere come una giara piena solo di acqua… Ma…, cosa stava succedendo? Nel momento del dono, l’acqua pareva trasformarsi in vino, perché queste semplici cose facevano scaturire una festa grande: una festa dei cuori! (cfr Gv 2,1-12) Sono stati tre giorni da capogiro! Anche al dispensario è stato un continuo va e vieni e il poco disinfettante, le poche garze, la quattro pastiglie di parecetamolo e chinina rimaste nascoste tra i barattoli vuoti sono riuscite a fare miracoli! L'ultima ragazzina però che, pochi istanti prima che arrivasse la macchina di Goré a prenderci mi si è presentata con le gambe bruciate, mi ha straziato l’animo. Fatto quello che potevo, le ho fatto ripetere almeno venti volte, a mo’ di filastrocca, i vari passaggi che bisogna fare per cambiare la medicazione e, avendole dato bende e pomata, sono partita… piangendo: si “salverà” le gambe dalle terribili cicatrici che possono storpiarla e renderla così handicappata per sempre? Andando verso il fiume non riuscivo più a scorgere né la Nina, né la Pinta, né la Santa Maria, ma solo una piroga vecchia, malandata e sbocconcellata: oh, se fossi stata di sale! L’acqua che filtrava dentro da alcune ferite del legno e invadeva con prepotenza il fondo dell’imbarcazione mi avrebbe sciolta e… lasciata lì, lì nelle acque di questo piccolo villaggio conosciuto solo da Dio e da pochi altri… Ma non sono di sale, sono di p(i)etra! Devo accettare che sia il “lavoro” lungo e quotidiano (di chi?… Mio?… dello Spirito?… del mondo che mi circonda?…) a farmi disciogliere, a permettermi di perdermi per coloro che amo. “Gutta cavat lapidem”, vero??! Dio voglia che non sia solo una goccia, ma una vera pioggia (NGU TI NZAPA) a scavarmi. Il nuovo Presidente della R.C.A. pare abbia già nominato i vari prefetti e sottoprefetti anche della Regione Nord del Paese. Penso che appena ci sarà l’installazione ufficiale di qualcuno del nuovo Governo anche a Markounda, noi potremo rientrare. Forse nel frattempo si potrebbe fare qualcosa a livello del campo profughi? Si potrebbe “inventare” una “presenza-ponte” fra rifugiati e villaggio? Ci pensiamo. Ci preghiamo. Ci pensiamo e preghiamo con voi, cari amici, e sentiamo già le caravelle di Cristoforo (Cristo-foro!) attraccare alla riva ed attenderci. Grazie! Grazie a tutti di tutto! Un fortissimo abbraccio Vostra Sr M. Petra