2. Il serpente nel paradiso del cuore

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2. Il serpente nel paradiso del cuore
sotto il tiglio 9.
Tomás̆ S̆pidlík
L’arte di purificare
il cuore
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
© 1999 Lipa Srl, Roma
Indice
prima edizione: febbraio 1999
prima ristampa: febbraio 2000
seconda ristampa: febbraio 2001
terza ristampa: gennaio 2002
quarta ristampa: gennaio 2003
quinta ristampa: marzo 2004
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
00184 Roma
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In copertina: particolare di un mosaico di Marko I. Rupnik
Stampato a Roma nel marzo 2004
da Abilgraph via Ottoboni, 11
Selezioni di copertina: Studio Lodoli Sud, Aprilia
Proprietà letteraria riservata
Printed in Italy
codice ISBN 88-86517-39-4
Introduzione.........................................................
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1. Il mistero del bene e del male .............................
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2. Il serpente nel paradiso del cuore ........................
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3. La vigilanza del cuore ........................................
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4. Il discernimento degli spiriti ...............................
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5. Gli otto pensieri cattivi ......................................
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6. L’esperienza personale .......................................
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7. Il metodo psico-fisico degli esicasti ......................
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8. Pregare “nel cuore” ...........................................
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Epilogo ...............................................................
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Introduzione
Cominciamo con alcuni testi caratteristici:
«Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di
Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel
loro animo, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31,33).
«Che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati
e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i
santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la
profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef
3,17-19).
«Può essere che l’aria sensibile divenga meno presente al respiro dei nostri sensi esteriori di quanto lo Spirito di Dio divenga intimo al nostro cuore, alitandovi senza posa il suo ricordo,
dimorando sempre più in noi...» (Martyrius Sahdônâ, autore
siriaco del VII sec.).
«Puro di cuore è chi disprezza le cose terrene e cerca le celesti
non cessando mai di adorare e di vedere il Signore Dio vero con
cuore e animo puro» (san Francesco d’Assisi).
«Non è l’abbondanza della scienza che soddisfa l’anima,
ma sentire e gustare interiormente le cose» (sant’Ignazio di
Loyola).
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«Il nostro cuore è davvero la radice e il centro della vita. Esso mostra se lo stato dell’uomo è buono o cattivo ed incita le altre forze all’attività e, dopo che esse hanno realizzato la loro
opera, esso riceve dentro di sé il risultato di queste azioni per
rafforzare o indebolire quel sentimento che caratterizza la disposizione permanente dell’uomo. Sembra, quindi, che ad esso—il cuore—si dovrebbe concedere il governo della vita—ed
infatti è così presso molti e in maniera minore presso altri—e
può darsi che inizialmente fosse così. Ma vennero le passioni e
turbarono tutto. Quando esse sono presenti, il nostro cuore non
è un segnalatore sicuro, le nostre impressioni non sono come dovrebbero essere, i gusti sono perversi e conducono l’attività delle
altre forze verso la dissipazione. Il programma, quindi, è questo: tieni il cuore sotto controllo e sottometti ad una severa critica tutti i sentimenti, i gusti e le inclinazioni. Quando sarà purificato dalle passioni, esso potrà agire a suo agio» (Teofane il
Recluso, autore spirituale russo, † 1894).
«Se la religione è una relazione personale con Dio, allora il
contatto con la Divinità non è possibile che nella profondità del
mio io, nella profondità del cuore, perché Dio, come dice Pascal,
è sensibile al cuore» (B. Vyšeslavcev, teologo russo, † 1954).
1. Il mistero del bene e del male
DA DOVE PROVIENE IL MALE?
È la domanda che gli uomini si sono continuamente
fatti, pur rimanendo sempre convinti che il problema del
male ci pone davanti ad un mistero. Schematicamente,
prima del cristianesimo possiamo distinguere tre diverse
risposte fondamentali date a tale interrogativo:
1. Quella del dualismo cosmico: nel mondo ci sono
due tipi di forze che si combattono a vicenda: quelle
delle divinità buone e quelle delle divinità malvagie, la
luce e le tenebre. Il bene appare più forte, ma la sua lotta con il male è eterna.
2. Quella del dualismo antropologico: il bene e il
male stanno nell’uomo stesso. La loro lotta si manifesta
come opposizione di carne e spirito. I desideri della carne ci portano al male, lo spirito ci eleva verso l’alto. Ma
con l’ascesi l’uomo può indebolire l’influsso della carne
e fortificare così lo spirito.
3. Quella del dualismo morale: non è la carne in sé
che conduce al male, ma le “passioni”. La virtù consiste
allora nel vincere le passioni e vivere secondo ragione.
SI PUÒ ACCETTARE LA SPIEGAZIONE DEL
DUALISMO COSMICO?
Questa concezione, tipica delle antiche religioni
orientali, si riflette nelle favole che sono come i documenti più antichi della letteratura umana. In esse ci so6
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no le fate buone, le streghe cattive e i principi che vanno a combattere i draghi. I bambini ascoltano volentieri
questi racconti perché vi è una chiara distinzione fra ciò
che è bene e ciò che è male e alla fine si manifesta la fede nella vittoria del bene. Eppure, in fondo, questa concezione contraddice la rivelazione cristiana. Tutto ciò
che esiste è stato creato da Dio e tutto ciò che Dio ha
creato è buono. Non si può quindi ammettere l’esistenza di qualche forza del male indipendente da Dio, contemporanea a lui, né si può ammettere qualche essere
cattivo fin dall’inizio per sua natura.
MA NELLA NOSTRA CARNE, COME ATTESTA
SAN PAOLO (CF RM 7), È NASCOSTO IL
PECCATO, LA CARNE SI OPPONE ALLO
SPIRITO. COME DOBBIAMO INTENDERE
QUESTA OPPOSIZIONE?
Infatti, nella Bibbia e nella letteratura ascetica, la
“carne” è indicata come la sorgente del male. Ma questo termine non deve indurci in errore. “Carne” non significa il corpo umano, ma è un termine usato in senso
morale, che indica l’insieme delle tentazioni causate dal
peccato che ha già preso dimora in noi. Si chiama anche “concupiscenza”, di cui si dice che «dal peccato
proviene, al peccato ci attira, ma in se stessa non è ancora peccato». Perciò sarebbe erroneo credere che il nostro
corpo, la componente materiale dell’uomo, sia male. Il
corpo di Cristo è santo e noi siamo chiamati a santificare il nostro corpo in unione con Lui.
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COME GLI ANTICHI FILOSOFI STOICI, ANCHE
LA MORALE CRISTIANA INSEGNA A DOMARE
LE PASSIONI; SONO DUNQUE QUEST’ULTIME
A DOVER ESSERE CONSIDERATE UN MALE?
Il termine “passione” si può intendere in due modi.
Positivamente, come un desiderio sensibile buono, quando indica una tendenza naturale: ad esempio il desiderio
di mangiare quando uno ha fame, la gioia di muoversi, la
voglia di sposarsi al tempo opportuno, ecc. Negativamente, quando le passioni che eccedono la misura e sono difficilmente controllabili ci conducono al male.
Ma nemmeno le passioni in se stesse costituiscono
peccato. Con la grazia di Dio, l’uomo possiede normalmente la libertà e la forza di vincere le inclinazioni al
male. E se, per un’eccezione, la passione fosse così forte
che l’uomo perdesse la libertà o la conoscenza del bene
e del male, egli commetterebbe, come dicono i moralisti, un peccato “materialmente”, ma davanti a Dio tale
peccato risulta giustificato a causa dell’estrema debolezza dell’uomo.
ALLORA CHE COSA, SECONDO
L’INSEGNAMENTO CRISTIANO, DEV’ESSERE
CONSIDERATO “MALE” E CHI È RESPONSABILE
PER LA SUA VENUTA NEL MONDO?
Solo il peccato è vero male, cioè frutto di un libero
acconsentire al male dato dall’uomo stesso. Quindi, solo
l’uomo è responsabile del male che s’impossessa del suo
cuore e attraverso di lui entra nel mondo. I Padri della
Chiesa scrissero omelie sul tema “Dio non è causa dei
mali” (san Basilio). Apostrofano l’uomo con queste paro9
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le: «Non dare la colpa né a Dio né al diavolo, né al mondo, né alla carne con le sue passioni, ma da’ la colpa a te
stesso e solo a te stesso!» San Giovanni Crisostomo scrisse
un trattato dal titolo: Nessuno può soffrire danno se non da se
stesso. Sembra una constatazione triste? Lo è? In un certo
senso sì, ma vi è anche il rovescio della medaglia: se da un
lato siamo stati noi stessi a causare il male, dall’altro noi
stessi possiamo cercare di ripararlo.
MA NEL MONDO INCONTRIAMO TANTI GUAI
DI CUI NON SENTIAMO ALCUNA COLPA!
I Padri distinguono i cosiddetti mali “fisici” da quelli
“morali”. Il male morale è il peccato. I mali fisici sono
le malattie, la morte, le catastrofi naturali, le persecuzioni ecc. Anche la loro lontana origine è nel peccato, che
risale alla prima disobbedienza di Adamo. I mali fisici
hanno un carattere punitivo. Ed è proprio per questo
che servono al bene: se si accettano in uno spirito di penitenza. Le sofferenze ci mettono in guardia dal cercare
nel mondo la nostra felicità definitiva, per rivolgere la
mente a Dio.
2. Il serpente nel paradiso del cuore
DOVE CERCARE L’ORIGINE DEL PECCATO?
COME INTERPRETARE IL RACCONTO BIBLICO
SUL SERPENTE NEL PARADISO?
Gen 3 racconta la storia del primo peccato: la tentazione di mangiare il frutto proibito, il colloquio di Eva
con il serpente seduttore, il consenso di Adamo, la cacciata dal paradiso. I Padri ritengono che l’esperienza di
ciascuno confermi e prolunghi nella storia ciò che la
Genesi racconta nei primi capitoli. Ognuno di noi possiede un paradiso, cioè il cuore creato da Dio in uno
stato pacifico. Ed ognuno di noi vive l’esperienza del
serpente, che penetra nel cuore per sedurci. Il serpente
ha la forma di un pensiero cattivo. Scrive Origene—e
con lui concordano tanti altri Padri—che «la sorgente e
l’inizio di ogni peccato è il pensiero» (in greco logismos).
COME MAI UN SEMPLICE PENSIERO PUÒ
CAUSARE IL MALE?
Non si tratta di un semplice pensiero, ma di un pensiero impuro, cattivo. Ad essere sinceri, ciò che spesso chiamiamo tentazioni non sono neppure veri pensieri, piuttosto immagini della fantasia alle quali si aggiunge la suggestione di realizzare qualche cosa di cattivo. San Massimo il
Confessore illustra questa situazione con esempi tratti dalla
vita quotidiana affermando, ad esempio, che non è un
male la facoltà di pensare e neppure lo è il pensare. Non è
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un male la donna. Né è un male pensare ad una donna.
Eppure, nella mente di un uomo incline alla sensualità,
l’immagine di una donna non rimane sempre pura, ma si
mescola ad un impulso carnale che suggerisce un atto
contro la legge di Dio. Allo stesso modo, il denaro e il vino non sono un male in sé, eppure possono diventare pietra di inciampo a causa degli impulsi impuri che si aggiungono ad essi. Diciamo così “puro” ciò a cui non si aggiunge nient’altro, come parliamo, ad esempio, di oro puro, di
acqua pura ecc. Così anche i pensieri sono puri finché
non si aggiunge ad essi qualche impulso che induce a fare
il male.
DA DOVE VENGONO TALI IMPULSI AL MALE?
I Padri paragonano il cuore umano ad una “terra
promessa”, nella quale i Filistei, i Babilonesi e altri popoli pagani gettano lance e frecce, cioè cattive suggestioni. Questi pensieri “diabolici”, “carnali”, “impuri”
non possono aver origine nel nostro cuore, dal momento che esso è creato da Dio. Vengono quindi “dal di
fuori”. Non appartengono al nostro modo naturale di
pensare. E finché rimangono al di “fuori” di noi, non
sono peccato. Costituiscono un male solo nel momento
in cui li accettiamo consapevolmente e liberamente,
quando cioè ci identifichiamo con essi.
MA NEL VANGELO È SCRITTO CHE IL MALE
PROVIENE DAL CUORE E NON DALLE COSE
ESTERNE (MT 15,19). E ALLORA?
Certo, ma dobbiamo stare attenti a come spieghiamo
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questo testo. Dal cuore dell’uomo viene il peccato, perché il consenso al male è dato dall’interno dell’uomo,
dalla sua libera volontà. I pensieri cattivi, i desideri passionali girano continuamente, per così dire, intorno a noi.
Spesso occupano la nostra fantasia e la nostra mente. Costituiscono la debolezza umana dopo il peccato dei primi
antenati. Ma in sé non sono ancora un vero male. La
Chiesa afferma che la concupiscenza proviene dal peccato
e attira al peccato, ma in sé non è peccato.
MA ALLORA VIVIAMO IN UNO STATO
PERICOLOSO, SEMPRE ESPOSTI ALLE
TENTAZIONI...
La vita dell’uomo sulla terra è un combattimento, dice Giobbe (7,1). E un proverbio aggiunge che chi non
vuol combattere, non dovrebbe nemmeno vivere. Ma
non dobbiamo esagerare la difficoltà di questa lotta. Un
antico autore mistico, lo Pseudo-Macario, paragona la
nostra anima ad una grande città. Nel centro c’è un bel
castello, vicino c’è la piazza del mercato e intorno la periferia. Il nemico, cioè il peccato originale, ha occupato la
periferia, cioè i nostri sensi. Ed è perciò che in quel punto spesso ci sentiamo turbati. Ma questi turbamenti arrivano di frequente anche alla piazza del mercato, cioè là
dove si comincia a discutere se dobbiamo o non dobbiamo accogliere un pensiero come nostro o se piuttosto
dobbiamo rifiutarlo. Ma nel castello interiore, dove è la
nostra libertà ad essere il padrone, il peccato non può penetrare se non gli apriamo la porta con il nostro libero
consenso.
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Anche santa Teresa d’Avila parla del “castello interiore” della nostra anima, dove possiamo conversare con
il Signore, l’Ospite divino, senza che i turbamenti periferici ce lo impediscano in alcun modo.
CIÒ NONOSTANTE SIAMO INTERNAMENTE
DIVISI. QUESTO NON È PIACEVOLE, E FORSE È
ADDIRITTURA STANCANTE...
Gli uomini spirituali cercano non solo di evitare il
peccato, ma anche di purificare il cuore, perché così facendo l’anima può ritornare alla pace interiore. Gli autori monastici chiamano l’ascesi con il termine greco
praxis, indicando così la pratica spirituale. Ma distinguono tra la “pratica esteriore”—che si concentra per evitare gli atti peccaminosi—, e la “pratica interiore”—che
ha come scopo la purificazione del cuore. Spesso, purtroppo, gli insegnamenti morali che si propongono restano limitati solo alla pratica esteriore: «Non si deve fare questo, si può fare quello». E questo può forse spiegare perché tanto spesso, quando gli uomini si sentono
troppo turbati, non sanno più cosa fare e, dal momento
che l’applicazione di leggi esteriori in loro possesso non
li aiuta, allora, in cerca di ulteriori soluzioni, ricorrono
ai metodi più disparati proposti da qualche falso misticismo, ai medici, alle droghe...
Si dimentica spesso che la spiritualità cristiana offre
istruzioni efficacissime per acquistare la pace.
DOVE SI POSSONO TROVARE QUESTE
ISTRUZIONI?
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I monaci che sceglievano una vita di solitudine erano
particolarmente esperti nell’acquisizione della pace interiore. Cercavano la quiete fuggendo il mondo. Ma ben
presto facevano esperienza del fatto che la sola solitudine
in se stessa non pacifica. Sant’Antonio Abate, ad esempio, si recò nel deserto, ma fu assalito dai “demoni”, cioè
da una quantità di pensieri e di fantasie che lo turbavano.
Dovette quindi imparare a vincere questi “demoni”. Solo dopo un lungo combattimento interiore acquistò l’arte di vincere le fantasie. Solo allora la sua solitudine divenne un luogo di pace. Tale esperienza era così comune, così nota, che una legge statale dell’impero bizantino
proibì ai monaci di recarsi nel deserto, in solitudine, prima di aver vissuto nel monastero dieci anni di vita ascetica. I monaci dovevano dunque, prima di affrontare la vita eremitica, aver già imparato ad essere padroni dei loro
pensieri e delle loro fantasie.
MA QUESTE ESPERIENZE DEGLI ANTICHI
MONACI SONO ANCORA ACCESSIBILI E UTILI
PER L’UOMO DI OGGI?
È interessante che ai nostri giorni—proprio perché
se ne sente particolare bisogno ed aumenta la loro richiesta—vengano tradotti e pubblicati testi dell’antica
spiritualità che riguardano il tema del combattimento
interiore. Per citare un esempio noto, basta ricordare
come ultimamente si moltiplichino le traduzioni della
Filocalia di Nicodemo Agiorita. Il testo è una raccolta di
numerosi brani patristici in cui si insegna come acquistare la purezza del cuore, che è condizione della pre15