La sociopsichiatria fenomenologica, fondandosi sulla psicologia dell

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La sociopsichiatria fenomenologica, fondandosi sulla psicologia dell
L’INVECCHIAMENTO
FRA EMARGINAZIONE E CREATIVITÀ
B. CALLIERI
Youth, large, lusty, loving –
youth full of grace, force, fascination,
Do you know that Old Age may come after you with
equal grace, force, fascination?
Day full-blown and splendid.
Walt Whitman, “Leaves of grass”, 1855
La sociopsichiatria fenomenologica, fondandosi sulla psicologia
dell’intersoggettività, apre orizzonti di vasto significato per la comprensione di molti fatti della vita associata: l’invecchiarsi è uno di questi. Lo psichiatra, osservatore-partecipe, vi si trova naturalmente impegnato in quanto egli stesso fa parte del medesimo ciclo vitale.
L’aumentato interesse per il vecchio non si spiega solo con
l’aumento della popolazione vecchia né con l’urgenza pressante di
istanze sociali, assistenziali, ecc.. Si potrebbe pensare ad un vero e proprio fenomeno di contraccolpo, per controbilanciare l’eccessiva enfasi
posta dalla propaganda sulla giovinezza, intesa sia come aspetto somatico che come capacità di apprendimento. La svalutazione dell’accumulo personale di esperienza umana, l’opinione che dopo i venti
anni si verifichi un deterioramento mentale, il predominante concetto
cibernetico di un processo di memorizzazione puramente meccanicostatistico, costituiscono altrettanti elementi di ostacolo per una valutazione globale positiva dell’età senile. Anche nel campo di discipline
obiettive e scientifiche si rischia di far ricorso al concetto troppo semplicistico e poco critico del “far largo ai giovani”. Sfugge in tal modo la
possibilità di cogliere quegli aspetti ampiamente positivi che derivano
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Comprendre 16-17-18, 2006-2007-2008
L’invecchiamento fra emarginazione e creatività
al vecchio dalla consapevolezza vissuta delle proprie esperienze passate, dalla possibilità di un suo autentico porsi in relazione e, non ultimo, dalla presenza ragionata ed accettata dell’idea della morte.
La vecchiaia si propone quindi all’indagine psicologica, sociologica
e psichiatrica non soltanto come un onere per la collettività o come una
malattia di per sé, ma anche e soprattutto come uno dei modi dell’esistenza umana, l’ultimo, cui dovrebbe essere propria la capacità di
riassumere e di ricapitolare da una posizione panoramica di distacco
partecipe (Callieri, Frighi). Se del vecchio si scorge solo la fatale conclusività di un’esistenza, allora il problema dell’assistenza geriatrica
esaurisce da solo tutta la gerontologia e solo apparente è lo sganciamento dalle pressioni ecologiche. Il vecchio che, nella nostra cultura,
entra in un istituto per cronici e il vecchio esquimese che si allontana
nella tundra per non essere più di peso al gruppo si iscrivono in uno
stesso tipo esistenziale di allontanamento dalla vita.
Certamente, nel tentativo “psicologico” di quantificare in età la vita
dell’uomo, dissolvendo il tempo vissuto, possiamo dire che l’età involutiva vada incontro a profonde modificazioni. Queste, però, contrariamente a quelle psicopatologiche, non interrompono la continuità di significato dell’esistenza psichica, ma caratterizzano lentamente, progressivamente e in modo peculiare la personalità nel suo stile e nel suo
declinarsi nell’ambiente, nei suoi tratti e nei suoi processi adattativi.
Ancora ben poco conosciamo circa l’inizio, l’intensità, e la qualità di
queste modificazioni, la gradualità del loro instaurarsi o il loro improvviso annunziarsi psico-biologico: il tutto reso ancor più complesso dalla
portata sempre diversa delle reciproche interazioni.
Il punto di repere più importante dovrebbe essere quello cronologico
(l’oraziano «Eheu fugaces, Postume, Postume, labuntur anni…»); ma,
diversamente da quanto accade nell’età evolutiva, nell’invecchiamento
il nesso fra bios e chronos è piuttosto lasso e scarsamente prevedibile.
Invero non siamo in grado di sapere (e forse non è un male) quando
comincerà ad invecchiare una persona, quanto e come, e in quali settori
della sua vita fisica, psichica, spirituale. Un sessantenne può vivere
come un giovane ed un altro, alla stessa età, può essere già vecchio. Le
condizioni che influiscono sull’invecchiamento, dalla geopsiche
all’apoptosi (Hetts), sono diverse e varie, e il concetto stesso di vecchiaia (o senilità) è radicalmente relativo.
Certo, ogni cervello invecchia secondo un modello irripetibilmente
personale; ma è pur certo che, sul piano dell’esperienza vissuta,
l’invecchiamento, fino alla quarta età ed oltre, non può riuscire comprensibile se lo si considera isolatamente, cioè separandolo dalla fase
della maturità (lo dimostrano recenti studi su vegliardi ultracentenari)
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(Dentone; Roszak). Non si può comprendere adeguatamente
l’invecchiamento di una persona, di quella persona, se si prescinde dal
suo già vissuto, dalla sua biografia interiore (la innere Lebensgeschichte di Ludwig Binswanger), dalla storia dei suoi modi di sentire,
valutare, tendere e volere, dalla densità dei suoi incontri esistenziali
(Schulte, Harflinger).
È così che, al posto del tempo che scorre, entra, potente, il tempo del
mondo, il tempo che scolpisce sulla faccia del vecchio (si pensi a
Dürer) il suo tratto “metafisico”, non “psicologico”, il tempo del corpo
cadenzato sui ritmi della materia.
Ogni precisazione fenomenologica circa il sentirsi vecchio, l’apparire
vecchio, l’esser divenuto vecchio, è destinata a rimanere ambigua ed insoddisfacente, in quanto l’esperienza stessa dell’invecchiamento implica
sempre modificazioni psicologiche (di difesa e/o di rimozione), modificazioni con cui l’individuo tende ad un nuovo adattamento e/o a nuovi
compensi, modificazioni che incidono sulle sue reazioni emotive e psicosomatiche, sempre più labili e fragili (Cumming, Henry). Da qui il
mito della vecchiaia asessuata o la pesante tirannia del calendario (si
pensi al pensionamento) o, nell’ottimale, il “growing old”; mentre,
davvero, la vecchiaia può sempre essere anche maturazione, anzi creatività, cioè sviluppo di nuove possibilità (Arieti; Fernandes Da Fonseca),
non sempre prevedibili.
Sono questa maturazione e questo sviluppo anche progettuale, con
rinnovati investimenti libidici, che ci inducono a non risolvere totalmente il senio in una più o meno fatale conclusività dell’esistenza, nella
Omega Generation, in uno sterile e ripetitivo ripiegarsi su se stessi, ma
piuttosto a ritrovare in esso la possibilità di un’autentica vita in situazione (Callieri, Priori), di scorgervi le dimensioni di un vero e proprio
stile di vita (Kastenbaum).
È qui che, con Manlio Sgalambro, non possiamo rifugiarci nella giovinezza interiore; dobbiamo invece rivolgerci a quell’eros che non
scaturisce dalle fattezze del corpo o dalla res extensa votata alla riproduzione, a quell’eros che, non avendo più scopi, potrebbe capire
l’amore fine a se stesso, non più fugace abbraccio ma trasalimento.
Ciò, a mio parere, sottolinea la necessità di una riflessione antropologica sull’invecchiamento, oggi più che mai propria per le mutate
aspettative di vita, conseguenti anche all’ulteriore dispiegarsi dell’arco
dell’esistenza. Qui Eugène Minkowski ci è stato maestro, con quelle
indimenticabili pagine che in “Le temps vécu” egli dedica al vissuto
temporale nel vecchio.
Invero, il concetto di personalità (eccedente inevitabilmente nello
psicologistico) non è da solo sufficiente a cogliere l’irripetibile singo56
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larità della persona anche nel suo invecchiare, nel farsi categoria senza
ulteriori specificazioni («è un vecchio»): nei suoi “last chapters”
(Marshall), nella Omega Generation, così diffusamente trattata da oltre
trent’anni nel Journal of Death and Dying e così attentamente còlta da
Petrella e da Cesa-Bianchi.
Nel caso di un esclusivo approccio naturalistico, la persona sarebbe
destinata a rimanere radicalmente periferica; ridurre la persona a personalità senile costituirebbe un’ingenua (ed indebita) migrazione nell’esteriore di un qualcosa come l’invecchiarsi, che verrebbe ad appartenere all’ambito dell’apatia, della passività, dell’Old Age as Regret.
Di qui, allora, l’uomo invecchiante quale peculiare presenza-almondo e la necessità d’analizzare, seppure sommariamente, alcuni
aspetti costitutivi che meglio possono illuminare la nostra riflessione.
È qui che, senza maschere e fraintendimenti, lo spirito della vita, il
tempo del mondo, non è più élan, ma è apex, e guizza dentro come una
folgore, lasciando muta la giovinezza, incapace di capire
L’intrudere delle cose nel mondo del vecchio – meglio: di chi invecchia – non significa pervenire ad una radicale passività della presenza.
Si mantiene quasi sempre, anche se velatamente, il disporsi-ad-esse, il
muoversi-verso, l’intenzione progettuale (anche se è doloroso constatare frequenti limiti d’attuazione, e non solo nei decadimenti mentali e
nelle psicosi). Nell’invecchiante, le implicazioni relative allo spazio
vissuto, alla distanza, al contatto, si presentano spesso con ricchezza di
rilievi intessuti di prospettive e di ricordi, con densità di fantasie, intuizioni, percorsi compiuti e da compiere, intessuti del tempo del desiderio
(Callieri, 1988).
Troppo frequentemente, però, l’analisi fenomenologica fa emergere
un’inequivocabile univocità di base, la quale stringe dappresso il senescente ed il vecchio, coartandoli in immanenza e spingendo la presenza
senile a ripiegarsi verso il proprio fondo, senza che ciò comporti il raggiungimento della propria ipseità: in tal senso si può dire che il vecchio
è naturaliter melancholicus (Vischer). A volte, specie nell’evenienza di
segni iniziali di decadimento mentale, si può osservare un più o meno
evidente collage tra la presenza senile e la sfera della materia;
quest’ultima si viene a dare nell’intera sua massiccia attrazione cosale
(l’heideggeriana Dinghaftigkeit); resa ancor più opaca e pesante proprio
dall’incapacità di assumere prospettive al riguardo.
Ci si intenziona sempre meno e ci si riduce a cosa fra le cose, ad
esempio a semplice e mero “cane da guardia” (Troll), in una piccola
abitazione da cui la famiglia è tutto il giorno assente, come oggi accade
nei grandi spazi metropolitani e nell’anonimato dei complessi urbani. A
quest’impietoso appiattimento al loro mondo delle cose, i senili – pen57
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sionati o sradicati, appesantiti o isteriliti – reagiscono con modalità depressive e di inquietudine, sospettose e di sconforto, o con sorprendenti
iperestesie psicosomatiche.
Ma è l’incontro col mondo del sociale ad offrire, nei vecchi, prospettive antropologiche di particolare interesse. Nella trama esistentiva
precostituita del sociale si sclerotizzano e atrofizzano alternative, opinioni, rischi. Il concetto di ruolo assume un pesante significato; il
Grande Vecchio, ma anche il piccolo anziano, vanno incontro ad un
irrigidimento nel ruolo, che può, sì, essere fonte di sicurezza, ma a
spese della loro incondizionata ed irriducibile singolarità. Ne consegue
l’inevitabilità dell’istituzionalizzare se stesso secondo un ruolo predeterminato: ineludibile, allora, giunge l’impatto ubiquitario con l’ansia
(Ferrey). Ansia non come autentica angoscia esistenziale (incontro col
panico, inteso come esperienza del Nulla), ma ansia chiusa in sé, quale
tanto spesso si riverbera nella vita della coppia senile.
L’ansia ci si ostende qui nel suo pieno significato di coartazione
della progettualità della persona, di depressività come fuga regredente,
come difesa da un mondo divenuto lontano, difficile, ostile, oppressivo
ed incalzante nelle sue esigenze, verso le quali ci si sente sempre più
inadeguati ed inermi, fino alla disorganizzazione dei modelli comunicativi e degli schemi adattativi sociali, fino a giungere ad una vera propria condizione di disgerasia. A livello dell’incontro intersoggettivo
emergono spesso i modi della coartazione, dell’ostacolo, della chiusura
(anche se sono interessanti i non tanto rari casi di matrimonio negli
ospizi per anziani).
Ma queste, si badi bene, non sono modalità irreversibili:
l’impoverimento del rapporto Io-Tu non va inteso come determinato
una volta per tutte; che anzi si possono dare ampie fluttuazioni, anche
inattese, e perfino brillanti recuperi, spesso – ma non sempre – transitori. Recuperi in cui si può vedere che l’amore tardo è essenzialmente
discorso. Il giovane abbraccio non è erotico, perché l’erotico è mediato,
non è il naturale, o meglio, non è “natura”. L’erotico non è sostituzione
di qualcosa che manca, è ricchezza che materia di sé l’immagine e la
rende decisa e opulenta. In tal senso la vecchiaia è un luogo privilegiato, è il luogo dove si può dire che la verità è erotica e che la conoscenza è sempre aurorale (Hillman).
Comunque, è di comune rilievo, nella “lontananza” del vecchio, la
diminuita accessibilità al mondo dell’amicizia e della confidenza, con il
ristagnare pesante e cristallizzato nella diffidenza e nella sospettosità.
Se a ciò si aggiunge la rigidità e la scarsa flessibilità dell’immaginario,
si può ben comprendere come il ritirarsi verso se stessi possa assumere
anche la connotazione del rifiuto. Ciò permetterebbe di cogliere la pro58
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gressiva chiusura delle aspirazioni e delle iniziative nei più diversi
campi di valore significante, lasciando spazio a discontrolli istintuali ed
emotivi non di rado sconcertanti. Fermo restando il possibile accendersi
di improvvisi recuperi o l’inatteso profilarsi di orizzonti creativi.
A prescindere da questi accesi tramonti (o forse chiarori aurorali?),
il mondo del senescente e del vecchio tende innegabilmente, nel suo insieme, all’appiattimento, alla coartazione, alla derelizione (la paracoresi degli antichi medici greci). Il monologo prende a poco a poco il
sopravvento sul dialogo, anche se non raramente interrotto da ricchi recuperi di tratti coesistentivi, forse sostenuti dall’archetipo del Grande
Vecchio. Mirabili, qui, le pagine di A. Levi. Anche qui, come sopra accennato, non si tratta di continue tensioni durature, ma di brevi stagioni
estive; anche se, come scrive Dilthey, «ogni età contiene il riferimento
a quella precedente, e continua le forze sviluppatesi in quella, ma nel
tempo stesso è già presente in essa la tendenza creativa che prepara
quella seguente».
La riflessione antropologica non può esimersi dal notare che, nell’invecchiamento umano, l’affettività sembra svolgere una funzione
importante nell’instaurarsi dei processi di compensazione: si pensi a
tutte le implicazioni positive della figura del nonno (cfr. Ottone). Il
nonno, la nonna, peraltro, sono figurazioni polisemiche, che incarnano
tutte le contraddizioni e i luoghi comuni esistenti sulla vecchiaia. Sono
depositati in artefatti culturali e forse li trasmettono di generazione in
generazione. Mantengono rituali e tradizioni. Ad essi è lasciato poco
tempo, eppure hanno molto tempo disponibile; nutrono l’immaginazione e costituiscono dei veri e propri memi viventi, che rendono possibile l’evoluzione più ardita e accesa (forse è proprio qui la creatività del
vecchio?) e che ci fanno dire, con Hillman, che «a Culture is preserved
by the Old».
D’altro canto, va detto che la tendenza al determinarsi di un disturbo
affettivo o di un vero e proprio disadattamento all’età senile in quanto
tale, costituisce uno dei problemi più studiati negli ultimi anni (Tatarelli
e coll.). Invero l’età senile non sembra essere una condizione sufficiente di disadattamento, ma soltanto un fattore predisponente; tale potenzialità si attualizza quando compare un fattore intrinseco (per esempio una malattia) o una variazione relativamente brusca ed obbligata
delle situazioni di vita del soggetto; interruzione del lavoro, cambio
dell’abitazione, crisi da pensionamento, mutamenti sociali, lutti, riduzione quasi obbligata alla condizione di watchdog (Troll). Il disadattamento alla propria condizione di individuo senescente è di immediata
rilevanza fenomenica.
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Da un lato si manifesta con involuzione più rapida di tutte le attività
psichiche, specie cognitive (chi non ricorda il detto ciceroniano «memoria minuitur nisi eam exerceas»?), con proclività agli stati confusionali (la sundown Syndrome di Evans); dall’altro, specie nelle casalinghe
invecchiate, il disadattamento si evidenzia con depressione abbandonica, ipocondriaca, con distacco dalle tensioni vitali, con molteplici
somatizzazioni. È qui che si possono focalizzare l’isolamento e la solitudine degli anziani, le vuote stanze della loro esistenza, la “tavola sparecchiata”; ed è qui che si vede quanto non siano separabili l’aspetto
individuale e quello sociale di tali esistenze e le problematiche assistenziali ad esse correlate.
Se si tiene conto del fatto che, purtroppo, la moderna società, nettamente tanatofoba, tende ad escludere le persone vecchie o anche soltanto anziane dalla vita sociale e lavorativa (pure col semplice prepensionamento) e se si pone mente alla difficoltà dell’adattamento ad una
nuova concezione di sé nell’età involutiva, ci si potrà facilmente rendere conto dell’ampiezza e della profondità delle frustrazioni che attendono, quasi inesorabilmente, l’uomo invecchiante e quello invecchiato.
Tuttavia va ripetuto (non solo a mo’ di consolazione) che –
nell’uomo – la creatività, questa grande dimensione vitale ed esistenziale, può esplodere tardivamente e manifestarsi anche con affascinanti
pienezze di progetti e di realizzazioni, in ogni campo dell’umano agire.
Il nostro carattere diviene la feconda sorgente di infingimenti che
aggiungono un’altra dimensione vitale alle nostre esistenze, anche
quando si indebolisce in noi il fattuale. Jung attinse questa verità nei
suoi ultimi anni, comprendendo che era divenuto unfamiliar con il carattere che si era assegnato di essere; egli in tal modo rivelò la dialettica
invecchiamento-carattere in tutta la sua forza di scoperta e di promessa.
La tarda età invita altri dei, che ci possono proporre un programma di
crescita, oltre a quello dell’afflizione.
Tutti sanno quante opere straordinarie siano state compiute proprio
in tarda età: è forse allora che si raggiunge e si percepisce il massimo
grado di trasparenza del mondo cosale, è allora che ci si distacca dalla
coartante ed immiserita identificazione col proprio Io, e si può avanzare
e pervenire fino al salto verso forme espressive di autenticità e di carica
comunicativa ricca di grazia e di mistero; forme che, libere da ogni
connotato di psicopatologia, sembrano preludere ad un passaggio verso
nuovi modi d’esistenza.
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L’invecchiamento fra emarginazione e creatività
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Prof. Bruno Callieri
Via Nizza, 59
I-00198 Roma
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